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Plato
Eutifrone
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Eutifrone
AUTORE: Plato
TRADUTTORE: Acri, Francesco
CURATORE:
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: Platone
Dialoghi
Nella versione di Francesco Acri
A cura di Carlo Carena
Edizione CDE spa - Milano
su licenza della Giulio Einaudi editore
Milano 1988
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL:
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Lorenzo Riccardi, lorenzo-riccardi@libero.it
REVISIONE:
Lorenzo Riccardi, lorenzo-riccardi@libero.it
Catia Righi, catia_righi@tin.it
PUBBLICATO DA:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
Stefania Ronci, stefaniaronci@libero.it
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L'Eutifrone
ovvero
Del santo
4
INDICE:
L'Eutifrone ...................................................................................................................................... 1
INDICE:.......................................................................................................................................... 4
I. ................................................................................................................................................... 5
II................................................................................................................................................... 5
III.................................................................................................................................................. 5
IV. ................................................................................................................................................ 6
V................................................................................................................................................... 7
VI. ................................................................................................................................................ 7
VII. ............................................................................................................................................... 8
VII. ............................................................................................................................................... 8
IX. ................................................................................................................................................ 9
X................................................................................................................................................. 10
XI. .............................................................................................................................................. 10
XII. ............................................................................................................................................. 10
XIII............................................................................................................................................. 11
XIV............................................................................................................................................. 12
XV.............................................................................................................................................. 13
XVI............................................................................................................................................. 13
XVII. .......................................................................................................................................... 14
XVIII.......................................................................................................................................... 14
XIX............................................................................................................................................. 15
XX.............................................................................................................................................. 15
5
I.
EUTIFRONE Oh, che c'è di nuovo, Socrate? mi pianti la conversazione del Liceo e te la
spassi qua attorno per il portico del Re? Tu dal Re non ci hai da aver lite, come ce l'ho io.
SOCRATE Eutifrone, gli Ateniesi questa mia non la chiaman lite, no, ma accusa.
EUTIFRONE O bella! ti ha alcuno mosso accusa, pare? Tu a un altro? non credo.
SOCRATE Io no.
EUTIFRONE Un altro, a te?
SOCRATE Sí.
EUTIFRONE Chi?
SOCRATE anche io lo conosco bene: e' mi par giovine, una faccia nuova; credo lo
chiamino Melito: e di borgo è Pittéo. Hai tu in mente un Melito Pittéo, capelli lunghi, pelo ancor
vano, naso adunco?
EUTIFRONE No, Socrate: ma qual è codesta accusa?
SOCRATE Tale, penso io, che non gli farà vergogna; perché ti pare un affar di nulla quel che
sa lui, cosí giovine! Sa nientedimeno, come va dicendo, in quali modi sian guasti i giovani, e chi
son quei che li guastano. E ho una paura ch'e' sia qualche brav'omo, che, adocchiata la mia
ignoranza con la quale io fo prendere mala piega a quelli dell'età sua, ricorre alla repubblica come a
una madre, e m'accusa. Certo fra i politici egli è il solo che mi pare cominci a modo: perocché
prima convien pigliarsi cura de' giovani perché vengan su buoni quanto può essere; come fa
l'accorto lavoratore che prima si piglia cura delle pianticelle piú tenere; poi degli altri. E forse
Melito pon la falce prima su noi, che, come va dicendo, annebbiamo i gentili germi de' giovani;
dopo, non v'ha dubbio, rivolgendo le cure sue ai piú vecchi, farà al paese nostro un bene da non si
dire come s'ha ad aspettare da uno che principia cosí.
II.
EUTIFRONE Dio voglia, Socrate; ma io ho paura di no; perché mi par ch'egli con fare a te
oltraggio voglia proprio la rovina della città nostra, proprio. Ma una curiosità me la levi? che fai tu,
secondo lui, per guastare i giovani?
SOCRATE Oh, cose dell'altro mondo, mio caro: dice ch'io sono un fabbricatore d'Iddii, e che,
mentre ne fo de' nuovi, disfaccio i vecchi: vedi che accusa!
EUTIFRONE Ho bell'e capito: gli è perché sei usato dire che hai un demone con te. E il
furbaccio ti accusa che tu fai cose nuove in religione e ti tira in tribunale, sapendo che siffatte
calunnie il popolo se le beve. Di me, poi, quando in parlamento apro bocca su cose di religione e
predico il futuro, si fan le piú grasse risate di me, come fossi impazzato; e pure quante volte ho
predetto, tante ci ho colto. Ma la è tutta invidia: non ci si badi e tiriamo via.
III.
SOCRATE E' non fa nulla, Eutifrone, a esser beffati. Al vedere, cale poco agli Ateniesi se ci sia
alcuno bravo, purché ei non si metta a fare il maestro e a piantare altri bravi come lui; se se
n'accorgono, sia invidia come di' tu, o che so io, se ne pigliano.
EUTIFRONE Io, caro Socrate, la voglia di far prova come si comporterebbero con me in cotesto
caso, io non l'ho davvero.
6
SOCRATE Forse perché ti fai vedere poco e non ti degni d'insegnare quello che tu sai. Quanto a
me, sto in pensiero non si siano avveduti ch'io, per amore degli uomini, con ogni persona butto
quel che so, non pure senza paga, ma offerendomi da me a chi mi voglia stare a sentire. Dunque
torno a dirti che se, come conti di te, avessero anche di
me a far le risate, poco male sarebbe a
passarcela in tribunale ridendo e burlando; ma se fan per davvero, niuno, salvo che voialtri indovini,
sa dove la anderà a finire.
EUTIFRONE Non ne sarà nulla, via; sta' allegro: e poi tu nella tua lite certo ci metterai tutta
l'anima, come io farò nella mia.
IV.
SOCRATE Oh, ve', hai lite anche tu? ti difendi o accusi? fuggi o insegui?
EUTIFRONE Inseguo.
SOCRATE Chi?
EUTIFRONE Uno che a inseguirlo io ci fo figura di matto.
SOCRATE O che tu insegui un che vola?
EUTIFRONE Ce ne vuole a volare! è tanto vecchio!
SOCRATE Chi è?
EUTIFRONE Mio padre.
SOCRATE Tuo padre! o uomo dabbene!
EUTIFRONE Per l'appunto.
SOCRATE Qual è il delitto, quale l'accusa?
EUTIFRONE Omicidio.
SOCRATE Per Ercole, gli è un affar grave: i piú sarebbero impicciati a condurlo a bene, ché
l'è cosa, non del primo che ti s'abbatta, ma di chi è molto addentro in sapienza.
EUTIFRONE Sí, di chi ci è molto addentro, per Giove.
SOCRATE Il morto era un di casa? certo, per un estranio tu non avventeresti contro a tuo
padre.
EUTIFRONE Mi fai ridere tu se credi ci corra nulla da un morto estranio a un morto di casa.
Non s'ha ad abbadar solo se chi uccise, uccise a ragione, o no? Se sí, lascialo; se no, dàgli, sia pur
che l'uccisore segga allo stesso focolare e alla stessa tavola con te: perché si riman macchiati Io
stesso, se a tua saputa te ne stai con lui, e non mondi te e lui accusandolo. Del resto, lo vuoi sapere?
il morto era un che ci veniva per casa. Dacché si faceva de' lavori nei nostri poderi a Nasso, ivi si fu
allogato ad opra con noi. Un bel giorno s'ubbriaca, s'abbaruffa con un de' nostri servi, e lo
ammazza. Mio padre che fa? gli lega mani e piedi, lo butta giú in una fossa, e manda qua per saper
dall'Esegeta che aveva a fare. E il bello è che frattanto a quel povero orno, perché micidiale, non ci
pensa piú, come nulla fosse caso avesse a morire. E cosí fu. Morí dalla fame, dal freddo, dalle
catene; e non era ancor tornato il messo. Or mio padre e gli altri di casa sono in su le furie con me,
perch'io per vendicare un micidiale accuso lui, ch'è mio padre, di omicidio. - E poi non l'uccise, -
soggiungono: - l'avesse fatto, non era un micidiale quell'altro? che c'è dunque da pigliarsene? non è
empietà un figliuolo perseguitare il padre? - non conoscendo li sciocchi che cosa è secondo
religione il santo, che cosa è l'empio.
SOCRATE Per Giove, credi tu, Eutifrone, saperne tanto di religione e di ciò ch'è santo ed
empio, che, se la è come tu di', non ti batte il core al dubbio aver a fare un'empietà accusando tuo
padre?
EUTIFRONE Ma no! altrimenti in che m'avvantaggerei io? in che Eutifrone si segnalerebbe
fra gli altri, se non le avessi io cosí in su le punte delle dita codeste bagattelluzze?
7
V.
SOCRATE Uh! fortunato me dunque se m'accetti per scolaro, o uomo meraviglioso: mi
abboccherei con Melito, avanti ch'ei si faccia palesemente a sostenere la sua accusa, e gli direi ch'io
per lo passato ho studiato in religione quanto poteva, e che ora, avendomi egli rimproverato che io
fabbrico Iddii di mia testa, mi son fatto tuo scolaro. - Eh! delle due cose è l'una, o Melito; non si
scappa, - gli direi io: - o mi concedi che Eutifrone in queste faccende è bravo di molto e pensa
diritto, e allora fa la medesima reputazione di me, e lasciami; o no, e allora pela la faccia al maestro
prima che allo scolaro, a lui che ti guasta i vecchi, me e suo padre: me con insegnamenti storti, suo
padre con correzioni e con castighi a sproposito -. E se mi fa il sordo e non ismette, o se in cambio
di me non accusa te, io queste medesime ragioni dette a lui, gliele canterei in tribunale.
EUTIFRONE Se gli venisse in capo di pigliarsela con me, eh lo toccherei ben io nel vivo; e
prima di me i conti li avrebbe a saldar lui in tribunale, lui.
SOCRATE E io desidero esser tuo scolaro per questo, caro amico, conoscendo che, non che
altri, lo stesso Melito non t'ha pesato; me poi m'ha pesato, e come! per con una sbirciata
d'occhio; e però egli, facendo con me a fidanza, m'accusa come empio. Ma ora insegnami, per amor
di Giove, quel che tu dicevi dianzi, conoscere cosí a fondo, cioè, che cosa è il santo e che cosa è
l'empio, in rispetto all'omicidio o ad altro che sia: perché il santo non è sempre il medesimo in ogni
cosa? e l'empio non è tutto il contrario del santo? e non è anch'esso il medesimo ogni volta? e non
ha una cotale idea medesima, quella d'empietà, tutto ciò ch'è empio?
EUTIFRONE Bene!
VI.
SOCRATE Adunque mi di': che cosa è, secondo te, il santo, che cosa è l'empio?
EUTIFRONE Ecco, io ti dico che il santo è ciò che io fo ora: chi commette male (ammazzi,
rubi sacri arredi, o faccia altre birbonerie) accusarlo, sia padre, madre, chiunque sia: il non far ciò è
empio. E che la legge è veramente codesta, non perdonarla a niuno che pecchi, sia chi si sia, guarda,
Socrate, la gran prova che ti arreco io e che ho detto già ad altri. Tutte le persone convengono che
Giove è il piú buono, il piú giusto degl'Iddii; convengono, da altra parte, che egli messe in catene
suo padre Saturno, perché senza alcuna ragione divorava i figliuoli, e che anche Saturno a sua volta
per altre cattiverie capponò il padre suo, Urano. Se adunque si stizziscono con me perché io accuso
mio padre, che anche lui ne ha fatta una delle grosse, e' si contraddicono sul conto degl'Iddii e sul
mio.
SOCRATE Ora intendo perché m'accusa Melito; che quando mi si contano sugl'Iddii di
codeste novelle, io a stento le mando giú: ed ecco perché qualcuno va buccinando che io sono un
empio. Ma ora muta specie: se ci credi tu, che in queste cose sei maestro, volere o non volere ci ho
a credere anch'io. E vuoi ch'io rifiati se di mia bocca confesso che non me ne intendo nulla? Ma per
Giove, Dio dell'amicizia, credi tu siano avvenute davvero codeste cose?
EUTIFRONE Coteste ed altre ben piú maravigliose, che la gente non conosce.
SOCRATE E tu credi davvero ci sia guerra fra gl'Iddii e inimicizie spaventose e zuffe, e cose
simili che ci contano i poeti, e i bravi pittori ci raffigurano ne' templi, e delle quali è tutto istoriato il
peplo che si porta su nell'Acropoli nelle grandi feste Panatenee? E che? s'ha a dire siano proprio
tutte vere codeste cose, o Eutifrone?
EUTIFRONE Non solo queste, ma, se n'hai voglia, te ne conterò molte altre, delle belle, che a
sentirle tu rimarrai a bocca aperta.
8
VII.
SOCRATE Eh, non ne farei caso; me le conterai a comodo, un'altra volta. Ma ti prego di
chiarirmi meglio ciò ch'io t'ho dimandato dianzi. T'ho dimandato che cosa è il santo; e tu non m'hai
insegnato abbastanza infino a ora, ma m'hai detto che santo è quello che tu stai facendo, accusare
d'omicidio tuo padre.
EUTIFRONE E ho detto vero.
SOCRATE Può essere. Ma credi, Eutifrone, che di cose sante ce ne sia molte altre?
EUTIFRONE Ce n'è.
SOCRATE Ricordati ch'io non t'ho pregato d'insegnarmi una o due delle molte cose sante; ma
quell'istessa idea per la quale tutte le cose sante son sante: che tu mi hai detto che per una certa
idea le cose empie son empie, e le sante sante; o non te ne ricordi?
EUTIFRONE Sí, me ne ricordo.
SOCRATE E insegnami dunque codesta idea, che cosa ella è mai; acciocché, contemplando
quella e giovandomene come di esempio, io dica santa ogni azione che le si assomigli, la faccia tu o
chiunque altro; e quella che no, no.
EUTIFRONE La vuoi? te la dico.
SOCRATE La voglio.
EUTIFRONE Ecco: ciò ch'è caro agl'Iddii è santo; ciò che no, empio.
SOCRATE Bene assai: m'hai proprio risposto come volevo io. Se è il vero, non so ancora; ma
tu mostrerai bene che è vero ciò che tu di', non ne dubito.
EUTIFRONE Ma Sí.
VII.
SOCRATE Badiamo, via, a quello che si dice noi ora: dunque la cosa cara agl'Iddii e l'uomo
caro agl'Iddii, è santo; la cosa o l'uomo in odio agl'Iddii, è empio. Or il santo non è la medesima
cosa che l'empio, ma tutto il contrario: è vero?
EUTIFRONE Vero.
SOCRATE E pare ben detto!
EUTIFRONE Pare! non dicon cosí?
SOCRATE E non dicono anche cosí, che gl'Iddii han fra loro discordie ed inimicizie?
EUTIFRONE Dicono.
SOCRATE Ora, o valent'uomo, la discordia quando ci fa inimici e ci fa stizzire? Guardiamoci
un poco. Se tu ed io fossimo discordi quanto a un numero se egli è piú o meno, c'inimicheremmo
perciò e anderemmo in collera? o, facendo i conti, ci metteremmo subito d'accordo?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE E se fossimo discordi del piú lungo e piú corto, misurando, ci concorderemmo
anche subito?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE E togliendo in mano la bilancia, penso io che d'amore e d'accordo potremmo
giudicare del piú grave e leggero?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE Che è dunque dove non trovandoci d'accordo e non potendo intenderci, ci
faremmo nemici e ci accapiglieremmo l'uno coll'altro? O non ti vien su la lingua? Te lo dico io,
guarda se egli è vero: è il giusto e l'ingiusto, il bello e il brutto, il buono e il cattivo. Oh le cose nelle
quali discordandoci e non potendo comporre insieme nostre opinioni ci faremmo nemici, se fosse il
caso, io e tu e tutti, non son codeste?
EUTIFRONE Hai ragione.
9
SOCRATE Per tanto, se mai gl'Iddii han discordia fra loro, l'avrebbero per codesto?
EUTIFRONE Non può esser per altro.
SOCRATE Dunque, secondo te, o generoso Eutifrone, chi degl'Iddii una cosa la crede giusta,
chi iniqua, chi brutta, chi bella, chi buona, chi cattiva? che baruffe non ne farebbero s'ei
s'accordassero in queste cose; non è vero?
EUTIFRONE Le tue son parole d'oro.
SOCRATE E che? ciascuno degl'Iddii non ama ciò ch'è bello e buono e giusto? e ciò che no,
non l'odia?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE E le medesime cose non di' tu che alcuni Iddii le reputano giuste, altri inique;
onde, disputandoci sopra, si guastan fra loro e si fanno guerra? non è cosí?
EUTIFRONE Cosí.
SOCRATE Dunque, come pare, le medesime cose sono odiate dagl'Iddii e sono amate
dagl'Iddii; e le medesime cose sono odiose ai loro occhi ed amabili? E cosí sarebber le medesime
cose sante ed empie, secondo che tu di'?
EUTIFRONE Pare.
IX.
SOCRATE Dunque, maraviglioso uomo, non m'hai risposto a quel che volevo io; ch'io non
t'avevo dimandato che è quello che possa essere a un medesimo tempo santo ed empio. Ciò ch'è
caro agl'Iddii, si vede, è altresí odioso agl'Iddii. Onde, Eutifrone, quello che tu ora fai dando
addosso a tuo padre, non fa specie se a Giove sia caro, e a Crono e Urano sia odioso; caro a
Vulcano, e odioso a Giunone; e similmente se gli altri Iddii chi ci veda bianco e chi nero.
EUTIFRONE Ma in questa faccenda, cioè se convenga punire un che ammazza un altro a
torto, son sicuro, Socrate, che nessun degli Iddii dissente dall'altro.
SOCRATE O bella! che hai tu sentito alcun degli uomini far questione se si abbia o no a
punire un che ammazzi a torto o commetta altra birbonata?
EUTIFRONE Altro! dovunque, ancora qui in tribunale: anzi sono i piú birbanti quelli che ne
dicono e fanno d'ogni colore tanto per iscansare la pena.
SOCRATE Ma ne convengon essi delle birbonate?, e, convenendone, han la faccia di dire che
non le han da scontare?
EUTIFRONE No, no!
SOCRATE Per tanto non è vero che ne dicano e ne faccian d'ogni colore, perché non
ardiscono far quistione, che, se han commesso male, non l'hanno a scontare, ma dicono solo che
male non ne han commesso. È vero?
EUTIFRONE Vero.
SOCRATE Dunque, quanto al doversi punire chi commette male non ci disputano su, ma solo
disputano di chi commette il male, come e quando.
EUTIFRONE Dici vero.
SOCRATE Or il caso degl'Iddii è proprio questo, se, come di' tu, s'azzuffano e si rampognano
l'un l'altro d'aver fatto ingiustizie; perché, quanto all'altra cosa, non c'è Dio uomo che ardisca
dire che non si dee castigare un che commette male.
EUTIFRONE Qui hai ragione, Socrate, e il nodo sta proprio qui.
SOCRATE Ma se disputano, disputano dei fatti e Dii e uomini (se pur disputano gl'Iddii), in
quanto che gli uni li giudicano giusti, gli altri iniqui. Non è cosí?
EUTIFRONE Cosí.
10
X.
SOCRATE Caro Eutifrone, insegnami, via, acciocché io impari, che prova hai tu che tutti
gl'Iddii giudichino iniqua la morte di quel tale, che, mentre stava a opra, uccide un servo, e,
incatenato dal padrone dell'ucciso, muore dalle catene prima che il padrone ricevesse l'imbasciata
degli Esegeti su quel che s'avea a fare; e che per un tale uomo sta bene che il figliolo accusi
d'omicidio il padre suo e lo perseguiti. Via, la prima cosa, mostrami chiaro che tutti gl'Iddii codesta
azione tua la giudicano pietosa; se me lo mostrerai, non rifinirò mai di lodare la tua sapienza.
EUTIFRONE Eh, non è faccenda di poco; perché a te, Socrate mio, avrei a parlare con parole
chiare molto.
SOCRATE Intendo: a te pare ch'io abbia testa piú dura che non i giudici; perché a loro, non vi
ha dubbio, tu mostrerai che ciò che ha fatto tuo padre è ingiusto e che gl'Iddii l'hanno in odio.
EUTIFRONE Chiaro come questa luce di sole, se mi stanno a udire.
XI.
SOCRATE Eh! Ti staranno a udire, se parrà loro che tu dica bene. Ma guarda, mentre che
parlavi mi venne un pensiero; ho detto fra me: «Se pure Eutifrone m'insegnasse chiaro chiaro che
tutti gl'Iddii la giudicano iniqua cotesta morte, io che cosa avrei imparato piú da Eutifrone quanto
alla natura del santo e dell'empio? Eh avrei imparato che questa azione odiosa è agl'Iddii: ma con
ciò non si sarebbe definito che cosa è il santo e l'empio, perché s'è veduto che ciò ch'è odioso
agl'Iddii, è anche caro agl'Iddii». Dunque, passiamo oltre; e se vuoi, caro Eutifrone, che quell'azione
gl'Iddii la giudichino iniqua, la guardino a occhi torti, vada; ma se la è cosí, bisogna raddirizzar le
gambe al ragionamento e dire che il santo è ciò che tutti, badaci ve', tutti gl'Iddii amano; empio, ciò
che tutti gl'Iddii odiano; e ciò che amano odiano, non è l'uno né l'altro, o tutt'e due. Vuoi
che noi definiamo cosí?
EUTIFRONE Che c'impedisce, o Socrate?
SOCRATE A me? nulla; ma bada a te, se, cosí definendo, ti riescirà poi tanto facile
insegnarmi quel che tu hai promesso.
EUTIFRONE Io? io direi cosí, che il santo è c che gl'Iddii amano, tutti; e ciò che tutti
gl'Iddii odiano, è l'empio.
SOCRATE Vogliamo vedere se è detto bene? o lasciamo andare, e basta che alcuno spacci, la
è cosí, e noi: la è cosí; mandando giú a chius'occhi; ovvero bisogna alluciar ben bene quel ch'egli
dice.
EUTIFRONE Certo; ma io credo aver detto bene.
XII.
SOCRATE Ora lo sapremo meglio, ora, o bravo uomo. Perché, pensaci anche tu un poco: il
santo s'ama dagl'Iddii perché è santo? o è santo perché s'ama?
EUTIFRONE Non ci si capisce.
SOCRATE Farò di parlar piú chiaro. Noi, per esempio, diciamo: portato e portante, condotto
e conducente; ora queste e tutte l'altre locuzioni simili intendi che son diverse, e perché son diverse?
EUTIFRONE A me par d'intendere.
SOCRATE Or l'amato è qualcosa diversa dall'amante?
EUTIFRONE Come no?
SOCRATE E dimmi: il portato è portato perché si porta, o per altra ragione?
EUTIFRONE No, per codesto.
11
SOCRATE E il condotto è condotto perché si conduce? e il veduto è veduto perché si vede?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE Non adunque il veduto perché è veduto si vede, ma, al rovescio, perché si vede è
veduto; non il condotto perché condotto si conduce, ma perché si conduce per cotesto è condotto. In
somma intendi quel che io vo' dire? vo' dire che se cosa si genera, o patisce accidente alcuno, non
perché generata si genera, non perché paziente patisce; ma perché si genera è generata, e perché
patisce è paziente: convieni tu?
EUTIFRONE Io sí.
SOCRATE E bene, l'amato è qualcosa generata o qualcosa paziente in rispetto a un'altra?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE E siamo daccapo. L'amato non perché amato si ama, ma, perché si ama, è
amato?
EUTIFRONE Necessariamente.
SOCRATE Dunque che s'ha a dire del santo, o Eutifrone? se non che il santo s'ama da tutti
gl'Iddii, come dici tu.
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE E s'ama perché è santo, o perché altro?
EUTIFRONE No, ma per cotesto.
SOCRATE Dunque perché è santo si ama, ma non già perché si ama è santo?
EUTIFRONE Pare.
SOCRATE Ma quel ch'è amato dagl'Iddii, quel che a essi è caro, perciò che si ama, perciò è
amato ed è caro?
EUTIFRONE Come no?
SOCRATE Non adunque, come di' tu, ciò ch'è caro agl'Iddii è santo, è santo ciò ch'è caro
agl'Iddii; ma le sono cose diverse proprio.
EUTIFRONE Come, Socrate?
SOCRATE Perché s'è convenuto che il santo si ama per questo, perché è santo; e non già ch
santo perché si ama. È vero?
EUTIFRONE Sí.
XIII.
SOCRATE Quello poi ch'è amato dagl'Iddii, per questo che si ama è amato, e non perché
amato si ama.
EUTIFRONE Dici vero.
SOCRATE Ora, mio caro Eutifrone, se fossero tutt'uno l'amato dagl'Iddii e il santo, ne
seguirebbe che se il santo si ama perché santo, anche l'amato dagl'Iddii si amerebbe perché amato;
ne seguiterebbe che se l'amato dagl'Iddii è amato perche s'ama, anche il santo, perché s'ama sarebbe
santo. Ma tu vedi che si comportano essi da contrarii, perché diversi in tutto. E davvero, l'uno
perché s'ama, per questo è amabile; l'altro perché è amabile, per questo si ama. E mi pare, o
Eutifrone, che avendoti io dimandato che è il santo, tu non mi voglia manifestare la essenza sua, ma
dirmene solo qualche accidente, come, per esempio, quello d'essere amato da tutti gl'Iddii; ma quel
che sia il santo in sé, non me l'hai detto fino a ora. Di grazia, non me lo nascondere, e dimmi
daccapo che cosa è il santo, o che sia amato dagl'Iddii, o che patisca alcun altro accidente; che su
questo non vogliam disputare. Via, lesto, il santo che è, e che è l'empio?
EUTIFRONE Ma, Socrate, non ti so dir neppur io quel che penso. Ogni proposizione ci fa la
giravolta e non vuol stare dove la si mette.
SOCRATE Codesto, o Eutifrone, va per quella buon'anima del mio antenato, Dedalo. E se le
proposizioni uscissero di bocca a me, tu mi potresti dar la baia, dicendomi che per esser io e lui d'un
sangue, le mie statue di parole scappan via, e dove son messe non ci voglion stare. Per fortuna
12
escon di bocca a te; ci vuole dunque un altro scherzo, ci vuole.
EUTIFRONE No, questo ci sta, Socrate; perché codesta smania di far la giravolta e non voler
posare, tu ce l'hai messa, tu, non io, e Dedalo sei tu; che per me elle starebber ritte e ferme.
SOCRATE Ma allora, amico mio, io son piú bravo tanto di Dedalo, in quanto che egli faceva
frullare le cose sue; io poi, oltre alle mie, anche quelle degli altri, come pare. E la bellezza dell'arte
mia si è che io son bravo senza volere: perché io vorrei piuttosto che stessero immobili i miei
discorsi, che aver la bravura di Dedalo e per giunta le ricchezze di Tantalo. Basta! Dacché mi pari
un po' delicato, via, ti vo' dare io una mano, suggerendoti come mi hai a insegnare in cotesta cosa
del santo, perché io non vo' che ti stracchi. Guarda, ti par necessario sia giusto tutto ciò ch'è santo?
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE E forse tutto quel ch'è giusto è anche santo? o tutto quel ch'è santo è giusto, e quel
ch'è giusto non è tutto santo, ma parte sí, parte no?
EUTIFRONE Ma io non ti tengo dietro, Socrate.
SOCRATE E pur tu se' giovane tanto piú di me, quanto piú savio. Ma ho ragione io! quel che
ti stanca è il gran carico di scienza che tu hai addosso. E sforzati un poco, via, beato omo, che alla
fine non ci vuol poi molto a intendere quel che dico io. Io dico l'opposto di quel che disse il poeta:
Di Giove fattore e vivificatore dell'universo non vuoi tu cantare; perché dov'è paura, là è vergogna.
Ma, dove mi scosto dal poeta, te l'ho a dire?
EUTIFRONE Perché no?
SOCRATE Non pare a me che dov'è paura si trovi vergogna: e davvero molti han paura delle
malattie e della povertà e di altre simili disgrazie, ne han paura, ma vergogna no. Non pare a te?
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE Ma dove è vergogna, è paura; chi si vergogna e arrossisce di qualche cosa,
non teme d'averci a fare una figuraccia? Dunque non sta bene dire, dove è paura, è vergogna; ma
dove è vergogna, è paura. E davvero non dovunque è paura è vergogna, ché l'una piú si stende
largamente che l'altra, e la paura è parte della vergogna, come il pari è del numero: ché dovunque è
il pari csempre il numero, e dovunque è il numero non ci è sempre il pari. E or mi tieni dietro,
ora?
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE E la medesima cosa ti domandavo dianzi, cioè il santo si ritrova ogni volta dove è
il giusto? ovvero dove è il santo si ritrova il giusto, ma, per contrario, dov'è il giusto non ci si
ritrova ogni volta il santo, per essere il santo parte del giusto? S'ha a dir cosí, o altrimenti?
EUTIFRONE No, cosí; che mi pare tu dica bene.
XIV.
SOCRATE Or bada a quest'altra cosa. Se il santo è parte del giusto, non ti par ch'e'
converrebbe vedere qual parte egli sia? Per esempio, se tu domandassi me di cose dette, quale parte
del numero è il pari, e qual numero è propriamente; ti risponderei ch'e' non è scaleno, ma isoscele: o
non par a te?
EUTIFRONE A me sí.
SOCRATE E procura anche tu, via, d'insegnarmi quale parte del giusto sia il santo, acciocché
possa dire a Melito che non mi faccia torto, non mi abbia piú come a empio, perché ho imparato da
te bene assai quel ch'è pio e santo, e quello che no.
EUTIFRONE Per ora, Socrate, mi par che il pio e il santo sia la parte del giusto che guarda il
culto degl'Iddii; e quella che guarda il culto degli uomini, sia l'altra parte.
13
XV.
SOCRATE E dici bene, mi pare; ma io ho bisogno ancora di una piccola cosa. Io non intendo
quel che tu intenda per culto. Certo non dirai che è simile al culto dell'altre cose quello degl'Iddii.
Noi si dice, per esempio: non tutti san coltivare i cavalli, ma solo il cavallaio. È vero?
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE Perché? perché culto de' cavalli è l'arte del cavallaio.
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE Né tutti san coltivare i cani, ma solamente il canaio.
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE Perché l'arte del canaio è culto de' cani.
EUTIFRONE Si.
SOCRATE E l'arte del bovaio è culto de' bovi?
EUTIFRONE Sí.
SOCRATE E la santità e la pietà è culto degl'Iddii? Cosí di' tu, Eutifrone?
EUTIFRONE Io sí.
SOCRATE Ora ogni culto non s'indirizza su per giú ad alcun bene e giovamento di quello
ch'è coltivato? E davvero, i cavalli, tu lo vedi, coltivati per lo allevator di cavalli migliorano: non
pare a te?
EUTIFRONE A me sí.
SOCRATE E similmente i cani migliorano per l'arte del canaio, e i bovi per l'arte del bovaio,
e via dicendo: o credi tu il culto torni a danno di quello ch'è coltivato?
EUTIFRONE Io no, per Giove.
SOCRATE Ma a vantaggio?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE Adunque, essendo la santità culto degl'Iddii, ella giova agl'Iddii e li fa migliori.
Ma se la è cosí, tu dèi concedere che dacché sei lí per fare un'azione santa, tu fai migliori alcuno
degl'Iddii?
EUTIFRONE Ah! no.
SOCRATE E anche io credo che tu ciò voglia dire, Dio me ne scampi; ma perciò ti
domandavo che intendi tu per culto degl'Iddii, non potendo pensare che tu intenda proprio cotesto.
EUTIFRONE Bravo, Socrate: non intendo cotesto io.
SOCRATE Ma allora qual è cotesto culto degl'Iddii che tu di' essere la santità? di qual specie
sarebbe?
EUTIFRONE Quale è quel de' servi ai padroni.
SOCRATE Ho inteso: la santità sarebbe nel prestar ministerio e servigio agl'Iddii.
EUTIFRONE Proprio.
XVI.
SOCRATE Mi puoi dire tu qual effetto operi il ministerio de' medici?
EUTIFRONE La sanità.
SOCRATE E quello de' navai?
EUTIFRONE La nave.
SOCRATE E quello degli architettori?
EUTIFRONE La casa.
SOCRATE E dimmi, o bravo, il nostro ministerio agl'Iddii per qual effetto sarebbe
ministerio? Lo sai senza dubbio, dacché tu fai certanza esser nelle cose della religione il piú dotto
uomo che sia al mondo.
14
EUTIFRONE Ed è vero.
SOCRATE Dunque mi di' qual è la bellissima opera che fanno gl'Iddii, usando essi di noi
quali ministri?
EUTIFRONE Molte e belle, o Socrate.
SOCRATE Anco i capitani, o caro: nondimeno l'opera principale tu diresti facilmente ch'ella
è procurare vittoria.
EUTIFRONE Come no?
SOCRATE E molte e belle i lavoratori, ma la principale è cavare il nostro campamento dalla
terra.
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE Su via, delle molte e belle che fanno gl'Iddii per il nostro ministerio, la principale
qual è?
EUTIFRONE Te l'avevo detto io dianzi, che non è un affar di poco dire a te per filo e per
segno come vanno siffatte cose. Ti dico solamente che se alcuno sa dire e fare cose gioconde
agl'Iddii, pregando e sacrificando, egli fa di quelle opere sante che salvano le case e le città; chi fa il
contrario, fa opere empie che sconvolgono e mandano a rovina ogni cosa.
XVII.
SOCRATE Ti potevi spicciar prima, Eutifrone, se tu mi volevi rispondere a tono. Ma si vede
che voglia d'insegnarmi non ne hai: che già eri lí lí per farlo, e ti sei tirato indietro. Oh! se mi avessi
data questa risposta benedetta, io la santità a quest'ora l'avrei bella imparata. Pazienza! e dacché
l'amante, volere o non volere, ha a tener dietro all'amato dove ch'egli lo tiri, mi di' di nuovo che
cosa è il santo e la santità. È, credi tu, una cotale scienza di pregare e far sacrifizii?
EUTIFRONE Sí, via.
SOCRATE E il far sacrifizii non è un donare agl'Iddii, e il pregare non è un chiedere a loro?
EUTIFRONE Certo.
SOCRATE Dunque la santità sarebbe ella scienza di dare e chiedere agl'Iddii, stando a questo
ragionamento?
EUTIFRONE M'hai proprio capito.
SOCRATE Perché, mio caro, io ho sete della tua sapienza, e sto con tanto d'occhi perché non
cada in terra né anche un briciolo di quel che t'esce di bocca. Ma di grazia, cotesto nostro ministerio
verso agl'Iddii qual tu dici essere la santità, a che mai si riduce? a un dare e chiedere?
EUTIFRONE Sí.
XVIII.
SOCRATE Il chieder bene non è un chiedere a loro quello di che abbisogniamo noi?
EUTIFRONE E che altro?
SOCRATE E il dare bene non è un dar loro quello di che essi abbisognano? ché a dare ciò che
non bisogna, la sarebbe sciocchezza.
EUTIFRONE Vero.
SOCRATE Dunque, Eutifrone, la santità sarebbe un'arte di mercanteggiare fra uomini e Dii?
EUTIFRONE Arte di mercanteggiare, se cosí ti piace chiamarla.
SOCRATE A me non piace nulla, se non è vero. E mi di', che utilità cavano gl'Iddii dai doni
che piglian da noi? Quel che danno essi, gli è chiaro a tutti, che non c'è bene che non ci venga da
loro; ma quel che piglian da noi, a loro che giova? O che noi mercanteggiando ci avvantaggiamo di
tanto, che noi pigliamo tutto da loro, ed essi da noi nulla?
15
EUTIFRONE E che ti gira per il capo, Socrate, che gl'Iddii coi nostri doni ci guadagnino?
SOCRATE E che cosa diamo noi dunque agl'Iddii allora che doniamo?
EUTIFRONE Che altro credi, se non venerazione, onore, e come dicevo dianzi, giocondità e
diletto?
SOCRATE Dunque ciò che diletta è il santo; ma non è né ciò ch'è utile, ciò ch caro
agl'Iddii.
EUTIFROME Anzi io credo, che sia la cosa a loro piú cara.
XIX.
SOCRATE E ti maravigli, dicendo cosí, che i ragionamenti non ti stian fermi, ma si muovano;
e n'accagioni me e chiami me Dedalo? ma sei tu, che, piú ingegnoso di Dedalo, gli fai fare le
giravolte. Oh! non ti se tu accorto che il nostro discorso a furia di girare è tornato di dove si fu
mosso? Ti ricordi che a principio il santo e ciò ch'è caro agl'Iddii non ci parvero medesimi, ma
diversi? O non te ne ricordi?
EUTIFRONE Sí!
SOCRATE E or vedi; non ti contraddici a dir: santo è ciò ch'è caro agl'Iddii ossia ciò che
amato è dagl'Iddii, ch'è il medesimo: o no?
EUTIFRONE Vero.
SOCRATE Dunque delle due cose è l'una, non se n'esce: o si sbagliava allora, o si sbaglia ora.
EUTIFRONE Pare cosí.
XX.
SOCRATE Dunque s'ha a veder da capo che è il santo, che insino a tanto che non l'avrò
imparato, io ti starò ai panni. Ma non mi sprezzare: mettici stavolta tutta l'attenzione e mi di' proprio
il vero; che se è al mondo uomo dotto, sei tu; e come Proteo non convien ti lasci scappare, insino a
che tu non parli. Se tu non conoscessi chiaro che è il santo e l'empio, per un oprante non piglieresti
ad accusar reo di morte quel vecchio di tuo padre: ma avresti paura dello scoppio dell'ira degl'Iddii,
al dubbio non fosse la tua una cosa scellerata, e saresti arrossito in faccia agli uomini. Ecco perc
io son sicuro che tu sei sicuro del fatto tuo. Deh, parla, bravo Eutifrone, e non mi tener piú nascosto
ciò che ne pensi.
EUTIFRONE A un'altra volta, Socrate: ho furia; l'è ora ch'io vada.
SOCRATE Che fai, amico? tu vai via e mi togli la speranza ch'io aveva, dopo imparate da te
le cose sante e le empie, di potermi distrigare dell'accusa di Melito; mostrando a lui che Eutifrone
m'ha fatto dotto in religione, che io non sono uno sciocco che parlo di mia testa, ch'io non fabbrico
nuovi Iddii, che io da oggi in poi avrei menato vita un po' meglio.
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