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V.
SOCRATE Uh! fortunato me dunque se m'accetti per scolaro, o uomo meraviglioso: mi
abboccherei con Melito, avanti ch'ei si faccia palesemente a sostenere la sua accusa, e gli direi ch'io
per lo passato ho studiato in religione quanto poteva, e che ora, avendomi egli rimproverato che io
fabbrico Iddii di mia testa, mi son fatto tuo scolaro. - Eh! delle due cose è l'una, o Melito; non si
scappa, - gli direi io: - o mi concedi che Eutifrone in queste faccende è bravo di molto e pensa
diritto, e allora fa la medesima reputazione di me, e lasciami; o no, e allora pela la faccia al maestro
prima che allo scolaro, a lui che ti guasta i vecchi, me e suo padre: me con insegnamenti storti, suo
padre con correzioni e con castighi a sproposito -. E se mi fa il sordo e non ismette, o se in cambio
di me non accusa te, io queste medesime ragioni dette a lui, gliele canterei in tribunale.
EUTIFRONE Se gli venisse in capo di pigliarsela con me, eh lo toccherei ben io nel vivo; e
prima di me i conti li avrebbe a saldar lui in tribunale, lui.
SOCRATE E io desidero esser tuo scolaro per questo, caro amico, conoscendo che, non che
altri, lo stesso Melito non t'ha pesato; me poi m'ha pesato, e come! lí per lí con una sbirciata
d'occhio; e però egli, facendo con me a fidanza, m'accusa come empio. Ma ora insegnami, per amor
di Giove, quel che tu dicevi dianzi, conoscere cosí a fondo, cioè, che cosa è il santo e che cosa è
l'empio, in rispetto all'omicidio o ad altro che sia: perché il santo non è sempre il medesimo in ogni
cosa? e l'empio non è tutto il contrario del santo? e non è anch'esso il medesimo ogni volta? e non
ha una cotale idea medesima, quella d'empietà, tutto ciò ch'è empio?
EUTIFRONE Bene!
VI.
SOCRATE Adunque mi di': che cosa è, secondo te, il santo, che cosa è l'empio?
EUTIFRONE Ecco, io ti dico che il santo è ciò che io fo ora: chi commette male (ammazzi,
rubi sacri arredi, o faccia altre birbonerie) accusarlo, sia padre, madre, chiunque sia: il non far ciò è
empio. E che la legge è veramente codesta, non perdonarla a niuno che pecchi, sia chi si sia, guarda,
Socrate, la gran prova che ti arreco io e che ho detto già ad altri. Tutte le persone convengono che
Giove è il piú buono, il piú giusto degl'Iddii; convengono, da altra parte, che egli messe in catene
suo padre Saturno, perché senza alcuna ragione divorava i figliuoli, e che anche Saturno a sua volta
per altre cattiverie capponò il padre suo, Urano. Se adunque si stizziscono con me perché io accuso
mio padre, che anche lui ne ha fatta una delle grosse, e' si contraddicono sul conto degl'Iddii e sul
mio.
SOCRATE Ora intendo perché m'accusa Melito; che quando mi si contano sugl'Iddii di
codeste novelle, io a stento le mando giú: ed ecco perché qualcuno va buccinando che io sono un
empio. Ma ora muta specie: se ci credi tu, che in queste cose sei maestro, volere o non volere ci ho
a credere anch'io. E vuoi ch'io rifiati se di mia bocca confesso che non me ne intendo nulla? Ma per
Giove, Dio dell'amicizia, credi tu siano avvenute davvero codeste cose?
EUTIFRONE Coteste ed altre ben piú maravigliose, che la gente non conosce.
SOCRATE E tu credi davvero ci sia guerra fra gl'Iddii e inimicizie spaventose e zuffe, e cose
simili che ci contano i poeti, e i bravi pittori ci raffigurano ne' templi, e delle quali è tutto istoriato il
peplo che si porta su nell'Acropoli nelle grandi feste Panatenee? E che? s'ha a dire siano proprio
tutte vere codeste cose, o Eutifrone?
EUTIFRONE Non solo queste, ma, se n'hai voglia, te ne conterò molte altre, delle belle, che a
sentirle tu rimarrai a bocca aperta.