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Vincenzo Tommaso Pani
Della punizione degli Eretici e del Tribunale
della S. Inquisizione Lettere apologetiche
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Della punizione degli Eretici e del Tribunale della S. Inquisizione
Lettere apologetiche
AUTORE: Pani, Tommaso Vincenzo
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE: Si ringrazia la Biblioteca Comunale Sormani di Milano che ha gentilmente
fornito copia in formato immagine dell'opera
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: “Della punizione degli Eretici e del Tribunale della S. Inquisizione
Lettere apologetiche”,
di P. Pani Tommaso Vincenzo O.P.;
MDCCXCV
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 24 gennaio 2007
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Derossi Roberto, [email protected]
REVISIONE:
Claudio Paganelli, [email protected]
PUBBLICATO DA:
Claudio Paganelli, [email protected]
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E DEL TRIBUNALE
DELLA S. INQUISIZIONE
LETTERE APOLOGÉTICHE
In questa seconda Edizione aumentate notabilmente e corrette
dall'Autore a maggiore schiarimento di alcune verità
spettanti ai diritti della Chiesa e del Principato
DCCXCV
CON PUBBLICA APPROVAZIONE
4
NOTA INTRODUTTIVA
(A cura del Redattore del Progetto Manuzio)
L'Opera, uscita anonima, ha come sicuro autore Padre Tommaso Vincenzo Pani O.
P.
Poco o nulla si sa di questo Religioso domenicano. Negli anni 80 del Settecento è
Inquisitore per la Diocesi e Città di Faenza ed è qui che, nel 1789, pubblica la prima
edizione del suo lavoro:
"Della punizione degli Eretici e del Tribunale della S.
Inquisizione, Lettere apologetiche"
.
L'Opera, che rientra nella vivace polemica anti-inquisitoriale del secolo
(1)
, è accolta
con ironia e distacco dalla cultura emergente.
Sul
Nuovo Giornale letterario d'Italia,
pubblicato a Venezia da P. Andrea Rubbi (già
gesuita prima della soppressione dell'Ordine), appare, nel vol. II del 1789, la seguente
recensione:
.."
Ecco un reverendissimo Inquisitore che riproduce dottrine, falsi argomenti e cento
volte ribattuti sofismi, per provare che senza un frate inquisitore, la fede vacilla,
cadono le città, cadono i regni.
Si dice nella prefazione, che
il P. Inquisitore combatte quei soli novatori, ridicoli
filosofi senza senno, eruditi alla moda ed ignoranti politici, i quali con vane ciance e
menzogne e senza autorità e ragione, fanno ogni sforzo per iscreditare il tribunale
della Fede.
Non crediamo perciò di fare l'analisi di queste lettere, in cui si trovano cose
ripetute mille volte e mille volte confutate. Non vi è di nuovo che lo stile asiatico e
fastidioso e degno della materia."
(2)
Tra le alte Gerarchie vaticane, invece, la realizzazione e la pubblicazione del libro
devono essere state particolarmente apprezzate perchè l'anno dopo ritroviamo il nostro
autore a Roma coinvolto nel celebre e drammatico processo contro il
disgraziato
(3)
Cagliostro. Papa Pio VI, nell'ambito della procedura inquisitoriale, affida infatti al
Domenicano, promosso alla carica di Commissario Generale dell'Inquisizione, ed al
Consultore P. Francesco Contarini, la disamina e la valutazione del manoscritto di
Cagliostro contenente le teorie, le tesi e i rituali della sua massoneria egiziana.
Le infinite citazioni patristiche, conciliari e pontificie, l'utilizzo scrupoloso dei
manuali ufficiali, dall'Eymerich al Pegna, dal Simanca al Masini, l'esaltazione
assoluta del ruolo Papale come unica, assoluta e indiscutibile fonte di Verità, lasciano
adito alla presunzione che l'Opera del Pani sia stata commissionata, visionata e
autorizzata, nell'ambito più elevato della Curia o della stessa Congregazione della S.
Inquisizione.
(1)
Sull'argomento: Michaela Valente, La polemica anti-inquisitoriale tra Sei e Settecento in I tribunali della fede:
continuità e discontinuità dal medioevo all'età contemporanea, Atti del XLV Convegno di studi sulla Riforma e sui
movimenti religiosi in Italia, Torre Pellice, 2005. (In corso di stampa)
(2)
Cfr. Giornali veneziani del settecento a cura di Marino Berengo, Milano, Feltrinelli, 1962. (Ringrazio la Prof.
Michaela Valente dell'Università del Molise per la cortese segnalazione.)
(3)
Così lo definisce il Pani, citandolo nella Lettera Nona.
5
Gratificato dall'apprezzamento ottenuto, il Pani si sente stimolato a pubblicare nel
1795 una nuova edizione del libro, ampliandolo e portando le sue Lettere apologetiche
da 28 a 41.
Nell'
Avviso dell'Editore
, che scrive egli stesso, il Pani informa i lettori
sull'ampliamento apportato all'opera:
"... accennerò soltanto alcuni argomenti più
importanti delle lettere che sono state aggiunte
:
e sono una giustificazione sodissima
delle condanne, che si fanno degli Eretici formali anche dopo morte; una più diffusa
risposta data alle testimonianze de' Padri, che si sogliono portare per distruggere la
pratica di castigare gli Eretici
:
nuove prove e conferme del dritto che ha la Chiesa
d'infliger pene anche temporali, senza che punto ne soffra o la spirituale sua
condizione o la dignità de' Vescovi e de' sovrani; una più accurata dilucidazione
sull'origine, propagazione e dicadimento del tribunale del S. Officio; ed una sufficiente
difesa di que' Patentati e di que' Regolari, che hanno nel medesimo qualch'ingerenza, e
che il commentatore della Bolla di Paolo III. che comincia
Licet ab initio
ha presi a
maltrattare con tropp'indecenza ed ardire."
L'Opera del Pani, tuttavia, nasce ormai inutile e stantia, rivelandosi una patetica
battaglia di retroguardia. Non solo i suoi Tribunali, ma l'Inquisizione stessa è ormai
da circa un secolo in una crisi profonda ed irreversibile
(4)
. Contestata da ogni parte,
essa viene progressivamente abolita nei principali Stati della penisola. Ancora
formalmente presente nel Regno di Sardegna e nelle Repubbliche di Genova e Venezia,
oltre che a Parma, come è anche precisato nella Lettera Ventisettesima, essa è in
realtà inattiva e agonizzante. Solo nello Stato della Chiesa è ancora pienamente attiva
con il suo Tribunale, tortura compresa, ma è ormai prossimo l'arrivo dei francesi che
ne decreteranno, almeno provvisoriamente, la fine.
Il taglio eccessivamente polemico, la chiusura ad ogni dialogo con le culture
emergenti, gli insulti gratuiti riservati ad ogni avversario e alle rispettive tesi, il
rifiuto di tentare di comprendere qualsiasi opinione non allineata, rende talvolta la
lettura del libro particolarmente fastidiosa.
Si cita massoneria, giansenismo, giurisdizionalismo, opere storiche critiche nei
confronti dell'Inquisizione, di autori cattolici e acattolici, teorie e istanze dei nuovi
tempi, ma non si cerca, realmente, nè di approfondire nè di capire le loro motivazioni e
ciò che le ha originate.
Per il Pani, qualsiasi tesi sostenuta dagli avversari, non è
"... una nuova scoperta del
secolo illuminato, ma un antica invenzione, colla quale sin dal nascere della Chiesa
presente procurarono gli Eretici
di scansare il meritato castigo"
(5)
e quindi,
inevitabilmente, è un dottrina già nota e già condannata e confutata vittoriosamente
dai Ss. Padri, dai Concili o dal Papa.
In un cieco conservatorismo si condanna tutto senza appello. È il frutto della
mentalità inquisitoriale che non permette all'autore di dialogare: gli avversari sono
solo dei nemici... da combattere ed annientare.
Pani, nella Lettera Terza, puntigliosamente evidenzia:
"È l'eresia un'errore
contrario alle verità rivelate da Dio e proposte da credersi dalla Chiesa...".
È la norma
(4)
Cfr. Giovanni Romeo, L'Inquisizione nell'Italia moderna, Laterza, 2002
(5)
Cfr. Lettera Settima.
6
fondamentale degli Inquisitori, da quando è stato fondato il loro tribunale: non è
permesso cercare di comprendere i motivi del dissenso o le sue cause, il compito degli
Inquisitori consiste
esclusivamente
nell'accertare se e quando il
reo
è caduto
nell'errore, intendendosi per
Verità,
l'obbedienza al Vertice della Chiesa
(6)
, poichè esso
detiene il monopolio della verità e la chiave della salvezza.
Il tribunale dell'Inquisizione ha la sua ragion d'essere, come fa notare Lorenzo
Paolini
(7)
, «
dalla sua doppia finalità e funzionalità, cioè la conversione degli eretici o la
loro condanna al rogo, come ci ricorda con fredda lucidità l'autore del De auctoritate
(8)
:
"Il fine dell'ufficio dell'inquisizione è la distruzione dell'eresia, che non può
distruggersi se non si annientano gli eretici... Ma gli eretici si distruggono o con la loro
conversione... o con il rogo"
(
vel cum convertuntur... vel cum corporaliter
concremantur
)
».
Da convinto ed inflessibile inquisitore il Pani, nelle sue Lettere, si erge a strenuo
difensore dei metodi e degli strumenti usati da sempre dal Tribunale Ma i nuovi tempi
lo costringono, quanto meno, all'aggettivazione e pertanto: l'intolleranza è
discreta
, la
tortura è
discreta,
la carcerazione perpetua o immurata è
discreta
, la condanna al rogo
è
discreta
...
Ignora ogni tensione per i Diritti fondamentali dell'uomo, che tanta parte hanno
nella cultura del suo tempo e negli avvenimenti che stanno drammaticamente
accadendo sotto i suoi occhi, perchè nella battaglia per la difesa di una ideologia, come
quella inquisitoriale, non vi è spazio per l'uomo.
Cerca di dipingere un'immagine del mondo e della Chiesa Cattolica fuori da ogni
realtà e presente solo nei suoi sogni, sospirando poi, con profondo dolore per non poter
più disporre del fedele braccio secolare, "...
come la Chiesa sia sfornita, al presente di
varj e molto opportuni temporali sussidj, de' quali con tanto vantaggio fu adorna in
tempi meno infelici di questi, e resi gl'increduli dal loro stesso numero più ostinati e
fermi nella loro empietà, non ci resta altro mezzo, onde cooperare al loro disinganno,
che quello di raccomandarli al Signore, perchè li illumini, e colla forza della sua
Grazia... li affezioni a quelle verità, che ricusano con pertinacia di venerare
(9)
".
Alla fine, consapevole sulla reale situazione della battaglia ingaggiata, non può che
sperare a che giunga "...
un tempo, e non è forse lontano, che moltiplicati i disordini e
scosso il mondo da una più lunga sperienza di tanti guai, conoscerà finalmente che si
sono questi accresciuti a misura che si è scostato dagli utili insegnamenti e pratiche
de' suoi primi istitutori e maestri, e volendo somministrare qualche riparo ai suoi mali,
non troverà altro miglior mezzo che quello di richiamare l'antico abbandonato sistema
:
e sarà bene allora che si vegga raccolto in queste lettere ciò, che i nostri Maggiori
hanno praticato e prescritto in difesa della cattolica Religione".
Ed è questo il pregio che possiamo riconoscere all'opera: la fedele, completa e ben
riuscita esposizione, che piaccia o no, della Dottrina ufficiale della Chiesa Cattolica
(6)
Cfr. Grado Giovanni Merlo, Il senso delle opere dei frati Predicatori in quanto inquisitores haeretichae pravitatis, in
Le scritture e le opere degli inquisitori, CIERRE, Sommacampagna, 2002.
(7)
Lorenzo Paolini, Il Modello italiano della manualistica inquisitoriale, pag. 111, in L'Inquisizione, Atti del Simposio
internazionale, 29-31 ottobre 1998, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, 2003
(8)
De auctoritate et forma inquisitionis. Scritto da un anonimo neoinquisitore intorno al 1298, BAV, Vat. Lat. 2648, cc.
55rb-59.
(9)
Nell'Avviso della Prima Edizione. Cfr. pag. XIII della Seconda Edizione.
7
sull'Inquisizione e sugli "eretici", nel suo drammatico excursus storico.
Roberto Derossi
8
Avviso redazionale
:
I numeri in grassetto blu tra parentesi quadre, presenti nel testo, rappresentano le pagine originali e sono
state inseriti per poter utilizzare l'Indice alfabetico delle cose più notabili predisposto dall'autore.
Gli errori ortografici rilevati sono stati evidenziati in nota.
In alcuni casi le citazioni di S. Agostino o di altri autori sono state verificate con l'edizione critica o con
l'originale e ne sono state segnalate le eventuali difformità.
Le note aggiunte dal redattore sono indicate con
(N. d. R.).
9
* * *
Si recte persequor occulte proximo detrahentem, non rectius
persequar
(10)
Dei Ecclesiam publice blasphemantem, quando dicit non
est ipsa; quando dicit, nostra est quæ in parte est; quando dicit, illa
meretrix est? Ergo blasphemantem Ecclesiam non persequar?
Persequar plane, quia membrum sum Ecclesiæ. Persequar plane, quia
filius sum Ecclesiæ. Ipsius voce Ecclesiæ utor. Ipsa Ecclesia per me
dicit in Psalmo XVII: Persequar inimicos meos, & comprehendam
illos: & non convertar donec deficiant: deficiant in malo, proficiant in
bonum.
S. Augustinus serm. ad Caesareens. Eccles.
Plebem, Emerit. praesente num. 8.
Aliter nobis commissos regere non possumus, nisi hos (i
Manichei), qui sunt perditores & perditi zelo Fidei dominicæ
persequamur, & a sanis mentibus, ne pestis hæc latius divulgetur,
severitate, qua possumus, abscindamus.
S. Leo M. Epist. 7. ad Episcopos per Italiam
tom. 1. pag. 624. edit. Venet. Ann. 1753.
(10)
Ma nel testo agostiniano: "persequor". (N. d. R.)
10
₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪
AVVISO DELL'EDITORE.
essere stato assicurato da varie parti che l'Opera presente è riuscita tanto grata e vantaggiosa
ai buoni quanto infesta e disgustosa ai malvagi, ha fatto nascere in me il pensiero di farne una
seconda edizione, il quale poi in progresso di tempo si è reso tanto più risoluto quanto è stato più
conforme al sentimento di varj protettori ed amici, ai quali l'ho comunicato prima d'intraprenderla.
Uno di questi però di non poca autorità mi ha avvertito che l'apologia riuscirebbe assai più utile e
gradevole, se ricomparisse alla luce fregiata di qualche nuovo abbigliamento ed aggiunta. Io l'ho
secondato anche in questo suo onestissimo desiderio, e per meglio riuscirvi mi sono rivolto
all'autore, che più d'ogni altro informato dell'Opera ed in questo genere di cognizioni versatissimo
poteva meglio d'ogni altro appagare l'amico. Gradì egli, tuttocchè mal contento della prima
sorpresa, la mia proposta, per avere così il mezzo di ridurre l'Opera sua a quel grado di perfezione,
che egli desiderava, e che non potè avere nella furtiva prima edizione. Intraprese adunque la
ricercata riforma con quella gentilezza e fervore, che è tutto proprio della sua buon'indole, e nel
breve giro di pochi mesi la ridusse al suo compimento: e l'apologia così perfezionata ed abbellita
dal proprio autore è questa appunto, cortese Lettore, che ora ti presento, e che [VI] per le varie
aggiunte e mutazioni fatte spero che sia per riuscire assai più interessante e vantaggiosa della prima.
Invece di 28. lettere, che nella prima edizione furono divise in due volumi in ottavo, ne troverai in
questa seconda 41., le quali ho creduto cosa conveniente di unire in questo solo volume: che tante
appunto sono state necessarie per supplire al bisogno. E senza ch'io stia qui ad indicare a minuto
tutto ciò che è stato sparso in quasi tutte le lettere per renderle più convincenti e metodiche,
accennerò soltanto alcuni argomenti più importanti delle lettere che sono state aggiunte: e sono una
giustificazione sodissima delle condanne, che si fanno degli Eretici formali anche dopo morte; una
più diffusa risposta data alle testimonianze de' Padri, che si sogliono portare per distruggere la
pratica di castigare gli Eretici: nuove prove e conferme del dritto che ha la Chiesa d'infliger pene
anche temporali, senza che punto ne soffra o la spirituale sua condizione o la dignità de' Vescovi e
de' sovrani; una più accurata dilucidazione sull'origine, propagazione e dicadimento del tribunale
del S. Officio; ed una sufficiente difesa di que' Patentati e di que' Regolari, che hanno nel medesimo
qualch'ingerenza, e che il commentatore della Bolla di Paolo III. che comincia Licet ab initio ha
presi a maltrattare con tropp'indecenza ed ardire. Oltre la cura dell'edizione io dopo le nuove fatiche
dell'autore non ho saputo far'altro che ritoccare l'Avviso al Lettore, ed aggiungere un'indice
copiosissimo delle materie, il quale facilitando il riscontro delle più interessanti notizie, che sono
comprese nell'Opera, la renderà sempre più vantaggiosa. [VII]
Spero d'aver per tal modo rimediato quanto basta a qualche mancanza e difetto, che potesse essere
scorso nella prima edizione, senza che alcuno possa più rinfacciare nè a me l'inesattezza della
medesima, nè all'autore l'essersi ritrovato nel caso di fare una qualche mutazione e riforma.
L'aver'io creduto necessario allora un riparo più sollecito che esatto, mi scusa abbastanza: e l'avere
l'autore scritto da prima confidentemente ad un'amico nè lo rendeva allora risponsabile di maggiore
accuratezza, nè lo rende ora riprensibile per le poche e non molto rimarchevoli correzioni che ha
fatte: e quand'anche state fossero di qualche rilievo, chi non sa che non è mai riuscito ad un'ingenuo
scrittore di disdoro e demerito l'essersi trovato in dovere di meglio spiegarsi e correggersi? S.
Agostino loda ugualmente chi scrive senza bisogno di correzione, e chi avendo errato corregge con
L'
11
docilità e modestia i suoi errori. Illius quippe scripta, dic'egli
(11)
, summa sunt auctoritate
dignissima, qui nullum verbum, non quod revocare vellet, sed quod revocare deberet, emisit. Hoc
quisquis nondum est assequtus
(12)
secundas habeat partes modestiae, quia primas non potuit habere
sapientiae: quia non valuit omnia non poenitenda diligenter dixisse, poeniteat quae cognovit
(13)
dicenda non fuisse. Poeniteat, dice S. Agostino, di ciò che non ha saputo dire colla dovuta
esattezza, e dice che il suo pentimento non dev'essere defraudato della meritata lode di docilità e
modestia. Alla quale per altro non sarà difficile di [VIII] accoppiare nel caso nostro anche l'altra
della sapienza, se si vorrà riflettere al poco, che è occorso di dovere emendare, e al molto di più, che
è stato aggiunto di erudito e pregevole. Nè sono per verità le correzioni, che hanno accresciuta la
mole di quest'apologia, ma una più abbondante copia di argomenti e ricerche, colla quale l'autore ha
procurato di rendere più vantaggiose le sue fatiche. Io te le presento, Lettore cortese, colla stessa
buona intenzione, che egli ha avuta nell'intraprenderle, e ti auguro ogni bene.
(11)
Epist. 143. al. 7. ad Marcellinum. [Ovvero: Epist. 143. al. 7. n. 1 ad Marcellinum. (N. d. R.)]
(12)
Nel testo: "assequutus". ( N. d. R.)
(13)
Ma nel testo agostiniano: "cognoverit". (N. d. R.)
12
₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪₪
AVVISO
DELLA PRIMA EDIZIONE.
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a tolleranza è quella voce soave, che con maggior frequenza risuona a' dì nostri sulle labbra
degli Amatori del Secolo: e se ne vuole tanto dilatata la pratica, che non v'è costume sì strano,
non sì viziosa operazione, non sistema di vivere così sregolato ed improprio, che venga escluso
dalle cortesi accoglienze di così amorevole protettrice. Deve per lei un buon Capo di casa
permettere che usanze vane e dispendiosissime mode sconcertino l'economia della famiglia. Ha il
padre a soffrire, che l'indocile gioventù, invece di occuparsi utilmente in lodevoli studj, si perda in
viziosi amoreggiamenti e bagordi. E v'è fin'anche chi pensa, che debbano i Superiori spogliarsi per
lei di quel giusto zelo, che è inseparabile dal loro carattere, e che provvede sì bene alla pubblica ed
alla privata tranquillità: e chi ozioso trascura d'impiegare i talenti, che ha ricevuti da Dio, a
vantaggio della famiglia e della patria; e chi si perde in giuochi viziosi; e chi sfrenato trascorre in
mille eccessi, e porta per ogni dove la dissolutezza e lo scandolo, deve essere tollerato.
Quello però, in che si vuole occupata con premura maggiore questa tolleranza indiscreta, è la
miscredenza: nè, a mio credere, senza grande accorgimento [X] e malizia. Permessa l'infedeltà, ch'è
la più copiosa sorgente d'ogni disordine, vedono costoro qual'ampia strada si apra al loro
libertinaggio, e sanno altresì che, resa questa impunibile, non vi può essere più alcun'altro eccesso,
che si esponga con coerenza e ragione al rigore di quelle spade, che Dio ha posto in mano di chi
presiede per atterrirli. Quindi è che a promovere la tolleranza degl'Infedeli hanno rivolte le premure
maggiori; nè li vogliono risparmiati, come fanno i prudenti Vescovi e sovrani, allora solo che una
vera necessità o convincente motivo lo esiga, ma li dichiarano per loro stessi in ogni maniera
impunibili, e a loro difesa propongono i sofismi più insidiosi, usano le arti più raffinate, ed alzano i
più strepitosi clamori. Ed ha un bell'insegnare S. Gioanni
(14)
alla virtuosa sua Eletta, che chi
disprezza la dottrina di Gesù Cristo non merita amichevoli trattamenti: Si quis venit ad vos
et hanc
doctrinam non affert, nolite recipere eum in domum, nec ave ei dixeritis; ch'essi anche in affari di
Religione li riconoscono tutti per confidenti e fratelli, ed ammettono all'amichevole loro
corrispondenza e Luterani, e Calvinisti, e Sociniani, e Giansenisti, e quant'altri settarj ed increduli
hanno saputo produrre i secoli detti da loro illuminati: e quella discreta intolleranza, che è stata in
ogni tempo la fida custode ed il sostegno maggiore della Religione e del buon costume, è
condannata dagli umanissimi novatori ad una perniciosa inazione, e a volgere tutta la sua attività a
distruzione e ruina de' più lodevoli stabilimenti del cristianesimo. [XI]
Una perversione e disordine tanto incredibile, che a troppo vivi colori rappresenta à dì nostri
quell'abbominevole desolazione, che ridusse un tempo il buon profeta Ezechiele
(15)
a sciogliersi in
calde amarissime lagrime, è disapprovato anche adesso da que' veri dotti, che affezionati alle sode
massime de' nostri antichi maestri compiangono la cecità de' moderni sedicenti illuminati e filosofi,
e da que' buoni Fedeli, che non si sono lasciati sedurre dalle costumanze profane e dagli allettativi
ingannevoli della dominante empietà. Ma tacciono i primi, e credono inutil cosa e pericolosa il
cimentarsi con una immensa turba d'ignoranti e prezzolati scrittori, che a scredito del secol nostro si
(14)
Epist. 2. v. 10.
(15)
Ezech. Cap. 8.
L
13
moltiplicano senza fine, e scrivono senza alcun ritegno d'onestà e di ragionevolezza: ed i secondi
non credono di poter giovare in altra guisa alla buona causa, che coll'esternare il loro rammarico coi
sospiri e col pianto. Ma s'ingannano entrambi; ed i primi non riflettono, che le calunnie e beffe
degl'insipienti meritano tutto il disprezzo, e che un libro ben fatto può screditare le sciocchezze e le
ciance di mille libri perversi: gli altri non conoscono la forza e della cristiana virtù, della quale non
può un'empio sostenere con intrepidezza l'aspetto, e della divina clemenza, la quale seconda talvolta
il coraggio e le preghiere di pochi per condurre a' cristiani doveri le menti più cieche e le volontà
più ostinate e ribelli. Io non la penso così: e sfornito come sono di quella dottrina e pietà, che
ammiro in essi, non ho voluto lasciare di [XII] oppormi in qualche modo a questo torrente
devastatore; e non potendo colle mie ho procurato di somministrar qualche rimedio al comune
contagio colle forze altrui.
Non è molto che mi sono capitate alle mani alcune lettere scritte ad un'amico vacillante e
dubbioso da uno di quelli, che la Dio mercè non sono restati attaccati dai pregiudizj dell'universale
infezione, le quali sostengono con gran vigore e la podestà della Chiesa di castigare gli Eretici e la
giustizia e decoro del tribunal della Fede: ed avendole credute opportune all'intento, con gran
premura ne ho sollecitata l'edizione; e tanto più volentieri ho risoluto di pubblicarle, quanto le ho
trovate più ben ragionate e discrete, come quelle che alle più sode dismostrazioni uniscono nella
scelta delle sentenze tale moderazione e cautela, che, senz'accostarsi ad estremi viziosi, ne aprono
con una connivenza colpevole troppo facile la strada all'empietà, nè la chiudono affatto con quel
soverchio rigore, che può render talvolta la stessa virtù men rispettata e men bella. E gridino pure
quanto vogliono e sanno i furibondi increduli, ed usino pure gl'impauriti Cattolici quella riserva e
circospezione che credono; che io fra tanto strepito di malvagie opinioni e sistemi crederò sempre
cosa mal sicura e nocevole il tacere, e dirò sempre con S. Agostino
(16)
che la costanza e il coraggio
di chi combatte per la verità maggiore esser deve dell'ardire e dell'ostinazione [XIII] degli Eretici,
ed usando le stesse sue parole ripeterò sempre ad alta voce, che se pertinacia insuperabiles vires
habere conatur, quantas debet
(17)
habere constantia, quae in eo bono, quod perseveranter atque
infatigabiliter agit, et Deo placere se novit, et procul dubio non potest hominibus prudentibus
displicere?
Non è già ch'io creda di poter vincere colla presente apologia un solo di coloro, che se la
prendono furiosamente contra chiunque si mova alla difesa del santuario e del trono, e più non
sentono alcun freno di Religione e di onestà. Impresa ell'è questa troppo superiore alle forze
dell'umano magistero; e sfornita, com'è la Chiesa al presente di varj e molto opportuni temporali
sussidj, de' quali con tanto vantaggio fu adorna in tempi meno infelici di questi, e resi gl'increduli
dal loro stesso numero più ostinati e fermi nella loro empietà, non ci resta altro mezzo, onde
cooperare al loro disinganno, che quello di raccomandarli al Signore, perchè li illumini, e colla
forza della sua Grazia, la quale, come in tanti libri insegna S. Agostino, sa vincere e piegare al bene
le volontà più ripugnanti e ribelli, li affezioni a quelle verità, che ricusano con pertinacia di
venerare. Non succederà lo stesso con molti altri meno pregiudicati e cattivi; i quali, non essendo
debitori dell'avversione che hanno a quell'intolleranza discreta e a quel santissimo tribunale, che
l'autore ha avuto in animo di sostenere, alla propria malvagità, ma piuttosto all'altrui maldicenza e
calunnie, è da sperarsi che meglio informati siano per ricredersi, e scoperta che abbiano al lume di
una apologia ben fatta l'ingiustizia della loro alienazione, siano per [XIV] abbracciare coll'ajuto di
Dio quelle verità, che non hanno abbandonate che per ignoranza e sorpresa. Che se in tempi tanto
infelici, ne' quali poco resta a sperare a chi parla in difesa delle antiche massime, rimarranno anche
in questo deluse le mie speranze, io non mi pentirò mai d'aver procurata la pubblicazione di
quest'Opera, sicuro che non riuscirà sempre inutile egualmente. Verrà un tempo, e non è forse
lontano, che moltiplicati i disordini e scosso il mondo da una più lunga sperienza di tanti guai,
conoscerà finalmente che si sono questi accresciuti a misura che si è scostato dagli utili
insegnamenti e pratiche de' suoi primi istitutori e maestri, e volendo somministrare qualche riparo ai
(16)
Epist. 89. al. 176. n. 1.
(17)
Ma nel testo agostiniano: "decet". (N. d. R.)
14
suoi mali, non troverà altro miglior mezzo che quello di richiamare l'antico abbandonato sistema: e
sarà bene allora che si vegga raccolto in queste lettere ciò, che i nostri Maggiori hanno praticato e
prescritto in difesa della cattolica Religione. Parmi che colla stessa fiducia S. Agostino
(18)
scrivendo
a Vincenzo Rogatista abbia preso a mostrare, ch'era giusta la coazione e punizione degli Eretici: ed
io a chiunque avrà in mano la presente apologia ripeto con lui; Habes Epistolam prolixiorem
fortasse quam velis
(19)
. Esset autem multo brevior, si te tantum in respondendo cogitarem. Nunc
vero, etiam si tibi non prosit, non puto nihil eis profuturum
(20)
, qui eam legere cum Dei timore et
sine personarum acceptione voluerint
(21)
.
Le prime 23. lettere di questa apologia prendono di mira que' Tollerantisti indiscreti, che senza
[XV] ragionevol motivo vogliono spogliata d'ogni difesa la cattolica Religione, e non mai soggetta
ai castighi la più enorme empietà. Le altre 18. combattono alcuni altri, che, incapaci di opporsi con
forza e di agire direttamente contra i diritti incontrastabili, che ha la Chiesa, di punire gli Eretici, si
volgono furibondi contra quel metodo, che usa da tanti secoli, nel tribunale del S. Officio per
castigarli, e, come i cani arrabbiati quel sasso che li percuote, così mordono costoro quel tribunale,
che con gran senno ha innalzato la S. Sede per frenare la loro irreligione e baldanza, senza riflettere
da qual'altro principio derivi la sua attività e vigore. Dispiacerà forse a qualcuno l'uso frequente che
si fa in queste lettere di libri e proibiti e contrarj, dalla lettura de' quali vorrebbe pure l'autore
distorre il suo amico; nè mancherà chi desideri in esse uno stile più elegante e bizzarro. Ma gli uni e
gli altri cambieranno sentimento tosto, che quelli si faranno a riflettere con S. Ireneo
(22)
, che vera est
sine contradictione probatio, quae etiam ab adversariis ipsis signa testificationis profert; e questi
considereranno, che non disdice assolutamente uno stile facile e piano ad un famigliare amichevole
carteggio, e che giova anche talvolta, come riflette Minuzio Felice
(23)
, alla più spedita e sicura
cognizione e scorgimento del vero; Et quo imperitior sermo, hoc illustrior est; quoniam non fucatur
pompa facundiae et gratiae, sed, ut et justi regula, sustinetur: [XVI] e l'autore, che non ha avuto
altro in mente che la difesa delle cattoliche verità, potrà rispondere a quanti pedanti vorranno
prendersi l'incomodo di criticarlo in questo ciò che disse S. Agostino a Cresconio grammatico
(24)
,
che minus nos laborare debemus de regulis derivandorum nominum, quando, sive hoc sive illud
dicamus, intelligitur sine ambiguitate quod dicimus, quorum non in expolitione sermonis, sed in
demonstratione veritatis est major intentio. Chiara in vero risplende la verità in queste lettere,
qualunque sia lo stile che la presenta: e spero che tu, cortese Lettore, sii per ricavarne quel frutto,
che ne ha riportato l'amico corrispondente, se le leggerai e senza prevenzione e acceso di quel buon
desiderio d'essere illuminato, che in un'affare interessante non meno la Religione che lo Stato deve
animare ogni buon cittadino e fervoroso Cristiano. Nè ti rincresca l'incontrarti talvolta in qualche
espressione alquanto aspra e pungente: chè l'autore è stato incoraggito ad usarle dallo stesso S.
Agostino, fida sua scorta in quest'apologia, il quale assicura
(25)
, che si contagio invaserit, divinae
disciplinae severa misericordia necessaria est. Qual sia il presente contagio, e quanto radicato in
tant'Infedeli già tel dissi poc'anzi; ed ora ti fo sapere con Claudiano, che
Ulcera possessis alte suffusa medullis
Non leviore manu, ferro curantur et igne.
(18)
Epist. 93. al. 48. n. 53. tom. 2. pag. 191.
(19)
Ma nel testo agostiniano: "velles" (N. d. R.)
(20)
Ma nel testo agostiniano: "profuturam". (N. d. R.)
(21)
Ma nel testo agostiniano: "curaverint". (N. d. R.)
(22)
Lib 4. contr. Haeres. Cap. 14.
(23)
Octavius tom. 3. Bibliot. Patrum pag. 245
(24)
Contr. Creseonium.
(25)
Retract. Lib. 2. cap. 3.
15
INDICE
DELLE LETTERE.
LETTERA I.
Importanza dell'argomento, e breve critica di alcuni libri, che disapprovano la punizione degli
Eretici ed il tribunale del S. Officio.
LETTERA II.
Non è cosa inconveniente, che alcuni dei libri, che impugnano il S. Officio, siano stati condannati
dal supremo tribunale del S. Officio medesimo.
LETTERA III.
Chi abbandona la Religione cattolica dopo d'averla abbracciata commette un vero delitto.
LETTERA IV.
L'Eretico riesce assai pernicioso alla religiosa società de' Fedeli.
LETTERA V.
L'Eretico disturba assaissimo anche la civile società.
LETTERA VI.
II delitto d'eresia merita severo castigo.
LETTERA VII.
Sono insussistenti e debolissimi i motivi che si adducono dai novatori per preservare gli Eretici
da ogni reato e gastigo.
LETTERA VIII.
Continuazione dello stesso argomento, e vanità d'altre scuse e pretesti che vengono addotti per
sostenere l'impunità degli Eretici.
LETTERA IX.
Anche i Sospetti di eresia possono essere chiamati in giudizio, e puniti.
LETTERA X.
Sì danno alcuni casi, nei quali gli Eretici possono essere tollerati ragionevolmente.
LETTERA XI.
Non le sole spirituali, ma anche le pene temporali sono proporzionate ed opportune nella
punizione degli Eretici.
LETTERA XII.
Niuno de' Padri e degli antichi dottori ecclesiastici si è mai opposto a quella discreta coazione
temporale che difendiamo.
16
LETTERA XIII.
Anche la pena di morte è opportuna e giusta allorchè trattasi di Eretici impenitenti.
LETTERA XIV.
Anche dopo morte gli Eretici formali possono essere condannati senz'ingiustizia.
LETTERA XV.
Appartiene alla Chiesa il castigare gli Eretici.
LETTERA XVI.
Continua lo stesso argomento, e con nuove prove si mostra che conviene alla Chiesa la podestà
d'infliger pene anche temporali ne' delitti di Fede.
LETTERA XVII.
II diritto che ha la Chiesa di castigare gli Eretici con pene anche temporali non fa cambiare
stato al suo spirituale governo.
LETTERA XVIII.
Il castigare gli Eretici non pregiudica alla mansuetudine, che conviene alla Chiesa.
LETTERA XIX.
Quale e quanto decorosa incombenza attribuisca la Chiesa alle podestà secolari nelle cause di
Fede.
LETTERA XX.
L'esecuzione delle pene maggiori riservata ai sovrani nelle cause di Fede non li disonora, ma
serve loro di ornamento e decoro.
LETTERA XXI.
Qual parte abbia nelle cause di Fede la suprema podestà del Romano Pontefice.
LETTERA XXII.
La suprema podestà del Papa non esclude l'ordinaria podestà ch'hanno i Vescovi di castigare gli
Eretici.
LETTERA XXIII.
Si conferma quanto è stato detto colla costante pratica della Chiesa per tutto il tempo che ha
preceduto l'istituzione del tribunale del S. Officio.
LETTERA XXIV.
Origine del tribunale dell'Inquisizione delegata.
LETTERA XXV.
Propagazione e favore ch'ebbe il tribunale del S. Officio nel suo incominciamento e progresso.
LETTERA XXVI.
Riforma e più commendevole sistema, che il tribunale del S. Officio acquistò verso la metà del
secolo XVI.
LETTERA XXVII.
Epoca e motivi della decadenza del tribunale del S. Officio.
LETTERA XXVIII..
17
Confini e regole da prescriversi ai dubbj concernenti le pretese imperfezioni e difetti del Santo
tribunale.
LETTERA XXIX.
Il tribunale del S. Officio non istà male in mano de' Regolari.
LETTERA XXX.
Il tribunale del S. Officio dev'essere assistito dai suoi Patentati.
LETTERA XXXI.
Il tribunale del S. Officio non è riuscito d'alcun pregiudizio ai sovrani.
LETTERA XXXII.
Neppure i Vescovi hanno sofferto alcun danno dall'istituzione del S. Officio.
LETTERA XXXIII.
A torto si dà al S. Officio la taccia di rigoroso e crudele.
LETTERA XXXIV.
Neppur nelle cause di streghe e maliardi il S. Officio è stato ingiusto e troppo severo.
LETTERA XXXV.
L'Editto del S. Officio è ragionevole e giusto.
LETTERA XXXVI.
Il metodo che usa il S. Officio non è contrario ma favorevole ai rei.
LETTERA XXXVII.
Il giuramento, che il S. Officio dà ai rei, e qualunque altra maniera che usa, scostandosi dalla
pratica degli altri tribunali, non riesce loro d'aggravio.
LETTERA XXXVIII.
La religiosa segretezza dei ministri del tribunale del S. Officio, e l'occultazione delle persone e
nomi de' testimonj non sono nè irragionevoli nè ingiuste.
LETTERA XXXIX.
Il tribunale del Sant'Officio non è mai stato nè avaro nè ingordo.
LETTERA XL.
Confutazione di un libro stampato in Pavia in difesa della tolleranza indiscreta.
LETTERA XLI.
Nuovi errori del Libro Pavese, e mente di S. Agostino sul soggetto del presente carteggio.
18
LETTERA PRIMA.
Importanza dell'argomento, e breve critica di alcuni
libri, che disapprovano la punizione degli
Eretici ed il tribunale del S. Officio.
alle bizzarre espressioni, motti pungenti ed ironiche maniere, che voi parlando del
tribunale del S. Officio avete usate nell'ultime vostre lettere, parmi di dovere arguire
che sia in voi scemata di molto quella venerazione, che l'educazione, le leggi e la
vostr'indole istessa portata alla giustizia e pietà avevano profondamente impressa nel
vostro cuore verso quel sagro tribunale, che ne' paesi d'Italia ed anche altrove veglia
con tanto zelo e prudenza alla difesa e custodia della cattolica Religione. Nè mi reca grande
meraviglia la mutazione. Così suol'avvenire a chi sfornito delle necessarie cognizioni si azzarda alla
lettura di libri, che ad altro non mirano che a sedurre gl'incauti, ed usano ogni arte per conseguire il
mal'augurato loro funestissimo intento. Voi siete debitore delle vostre perdite a quelle Novelle
Letterarie, Annali, Giornali, Gazzette, Storie ed altri libercoli velenosissimi, ch'escono da gran
tempo alla luce, e si spacciano con tant'impegno e premura che non possono restar nascosti neppure
ai meno curiosi e meno colti: ed il piacere che dite di aver provato nel leggerli, non vi è [2] costato
meno della perdita dell'ingenua vostra antica semplicità nel pensare e di quella invidiabile fermezza,
colla quale siete stato in addietro veneratore ossequioso di ogni passata nostra costumanza e
sistema. Allettato dalla novità di quelle notizie, che andavate acquistando nel leggerli, vi siete
incautamente affezionato a queste guide infedeli, le quali ben consapevoli delle favorevoli
prevenzioni, che dovevano risvegliare nell'animo vostro, hanno colla maldicenza, invettive e
calunnie fatto in voi, senza che neppur vene siate avveduto, quel colpo che meditavano: e Dio non
voglia che insieme col tribunale, che è destinato a difenderla, la Fede istessa, la Fede di Gesù Cristo
non sia restata in qualche maniera pregiudicata ed offesa. Le molte riprove, che avete date in ogni
tempo, del sommo vostro attaccamento alla cattolica Religione mi persuadono, che in questa parte
vi siate conservato quello che siete stato in addietro: ma i pessimi libri, che avete letti, non lasciano
di destare in me qualche timore, che non cesserà giammai, finchè non vi veda distolto affatto da
così gagliarda tentazione e pericolo. Non è poco discapito a mio parere l'aver già a quest'ora
sminuita la stima e venerazione verso quel tribunale, che difende la Fede, il quale siccome
coll'esterior forza ed autorità, che esercita, frenar suole i trasporti dei miscredenti; così col timor
salutare e colla dovuta venerazione, che ispira verso la spirituale podestà della Chiesa, riesce ai
buoni di grande ajuto e riparo contro la seduzione degli empj. Comunque si sia, l'antica nostra
amicizia non mi permette che io vi abbandoni a quella incertezza, nella quale confessate di essere
restato involto sopra punti così rilevanti. È troppo vicino all'incertezza, il pericolo di declinar
nell'errore: e la cosa di cui si tratta non è tale, che si possa sbagliare senza danno. Voi me ne date un
sufficiente stimolo, cercando da me istruzione e schiarimenti in questa, come voi dite, troppo
spinosa ed intralciata materia: ed io accetto volentieri l'impegno di somministrarveli, purchè mi
permettiate di farlo con quell'interruzione e pausa, che esigeranno le mie gravissime occupazioni, e
che vi contentiate che vi comunichi i miei sentimenti a riprese per mezzo di un'interrotto
amichevole carteggio. Voi proporrete i vostri dubbj, ed io gli scioglierò colla maggiore possibile
celerità e chiarezza: e riusciranno a me tanto più facili le risposte ed [3] a voi tanto più vantaggiose,
quanto nel proporli vi mostrerete più preciso e metodico. Nè crediate già, che il nostro carteggio
debba riuscire a me di grande applicazione e fatica. Trattandosi di difficoltà mosse contro di un
tribunale tanto applaudito e rispettato dai buoni per tanti secoli, non possono essere che insussistenti
e di pochissimo peso: e trovandosi ripetute sì spesso in molti libri e foglietti, niuna me ne potrete
proporre, che mi riesca improvvisa e difficile. Intanto in questa prima lettera, che non ha avuto da
D
19
voi altro che un eccitamento generale a scrivere su di questo argomento, non avendo alcun dubbio
particolare in che occuparmi, a scanso di quella prevenzione che potreste aver concepita a favore di
quelli che ve ne hanno parlato sin'ora a sproposito, vi darò un breve dettaglio di alquanti libri ed
autori, che hanno scritto contro del tribunale del S. Officio, e si vanno ricopiando con frequenza
maggiore: dal quale vi sarà poi facile l'argomentare a quali guide vi siate affidato sin'ora, e quanto
sia lodevole cosa e necessaria il chiamare a rigoroso esame quanto avete appreso da loro di
stravagante e difforme dall'antica vostra maniera di ragionare. Dissi d'alquanti; perchè a tutti volerli
descrivere con esattezza tutti dovrei accennare gli antichi Eretici ed i moderni irreligionarj ed
increduli, i quali quantunque abbiano talvolta incominciata la guerra contro qualche domma o
massima di morale evangelica, non l'hanno però terminata giammai senza volger l'armi contro
quell'autorità, che forma la base del nostro tribunale, e le ha sempre sostenute con gran forza e
valore: e quest'istessa lunghissima serie di miscredenti non sarebbe bastante a tutto adeguare il
numero di quelli, che l'hanno preso a combattere ostilmente. Anche non pochi Cattolici si sono
voluti distinguere in quest'obbrobriosa carriera: e a dispetto delle solenni condanne che riportarono
alle prime mosse che fecero contro l'ecclesiastica podestà e Arnaldo da Brescia e Marsilio di
Padova e Gianduno e Wicleffo ed Hus e Pietro di Clognieres e tant'altri pel disprezzo in cui ebbero
l'autorità della Chiesa e de' tribunali ecclesiastici; pure non manca tra Cattolici chi o non ne ha
scoperta abbastanza la forza, o ha procurato di declinare con raggiri e pretesti il fatal colpo per
isfogare impunemente la loro bile contro quel tribunale, che non può avere altra colpa presso di
loro, se pure vogliono confessare il vero, che quella d'aver difesa con efficacia la Religione
santissima che [4] dicono di professare. Il solo volere scrivere con qualche precisione di tutti quelli,
che nomina in un'annesso discorso il compilatore dei varj opuscoli, che sotto nome di Storia
uscirono alla luce in Colonia nel 1759., vi stancherebbe fuori di proposito, e riuscirebbe a me
molestissimo. Di tutti posso dirvi in generale, che in questa materia mostrano più odio e mal'animo
che erudizione e perizia, ed hanno più arte e malizia per ingannare che autorità e ragioni per
convincere: in particolare poi io non parlerò che di quelli che reputo i più perniciosi, sebbene alcuni
di questi siano forse meno colpevoli e maliziosi degli altri.
In due classi divido tutti quest'infelici detrattori del tribunale. In una ripongo coloro, che ne
hanno parlato per incidenza, oppure traviando dal loro scopo hanno cercato fuor di proposito motivi
e pretesti per oltraggiarlo. Nell'altra, metto tutti quelli, ch'hanno trattato di proposito di questo
argomento o preso in tutta la maggiore sua estensione, o considerato in qualche determinata sua
parte. Della prima classe io non parlo, e perchè sono così moltiplicati e frequenti, che non è
possibile di tutti accennarli, e perchè meritano quel disprezzo, ch'hanno preteso di poter fare di un
tribunale così rispettabile. L'istessa affettazione, colla quale vanno mendicando pretesti per
moltiplicar le ingiurie, li manifesta per appassionati e maligni. Nè credo voi sì debole, che possiate
esser rimosso dall'antiche vostre massime da importune declamazioni, invenzioni maligne e
racconti ridicoli, che ad ogni passo troverete in costoro. L'arte di screditar tutte le cose più serie e
più rispettabili per via di derisioni ed insulti è divenuta ormai troppo nota, e non ha più forza di
sedurre se non quelli, che hanno colla corruzione del loro cuore e perversità di costumi aperta
un'ampia strada alla seduzione ed all'inganno. Haud obscurum est, direbbe di questo stile S.
Cirillo
(26)
, sermones illos delirantis & ab omni veritate destituti esse.
Meritano qualche maggior considerazione gli autori dell'altra classe, i quali sebbene non
dissimili dai primi nell'invenzioni e menzogne, pretendono nondimeno di appoggiare gli erronei
loro sentimenti a sodi principj e concludenti dimostrazioni. Non sono le loro pretensioni meno
insussistenti di quelle [5] dei primi: non possono però essere disprezzate del pari per la cattiva
impressione, che sogliono fare in animi meno esercitati e meno pratici anche le cavillazioni e
sofismi. Darò adunque di costoro in questa istessa lettera un breve saggio; e son sicuro che dalla
stessa loro condizione e carattere resteranno, per la maggior parte almeno, screditati in modo presso
di voi, che vi vorrà poco più perchè vi risolviate ben presto d'allontanarvi affatto dai loro sentimenti
(26)
Lib. 2. contra Julianum.
20
e delirj.
Sono questi per lo più Protestanti, i quali condotti da quello spirito privato, indivisibile
compagno della tolleranza indiscreta che si disapprova dal tribunale, ed irritati altresì dall'argine
sodissimo ch'hanno in esso trovato insuperabile ne' tanti luoghi dove hanno procurato di dilatare i
loro errori, tutto hanno rivolto contro di lui il veleno di quelle sacrileghe penne, che s'erano già
stancate invano contro i più sacrosanti dommi della cattolica Religione; e con una incoerenza
propria solo di chi ad occhi aperti si mette a combattere la verità conosciuta hanno preteso di
giustificare la tolleranza più scandalosa, nel tempo stesso che accendevano roghi per abbruciare i
Serveti ed i Monceri, alzavano patiboli per decapitare i Barnevalli, bandivano i Carlostadj,
imprigionavano i Grozj, e nella Germania, nella Francia, nell'Inghilterra, nell'Olanda e altrove
menavano quelle orribili stragi che narrano le storie. Successori ben degni anche in queste
incoerenze ed eccessi degli antichi Eresiarchi, e specialmente de' perfidi Donatisti, ai quali
rimprovera S. Agostino
(27)
le sevizie usate contro Marco, Restituto, Marciano, Massimino e
tant'altri, ch'erano dichiarati pel buon partito, nel tempo istesso che non cessavano di lamentarsi di
quella coazione discretissima che usavano con esso loro i Cattolici o per difendersi o per convertirli.
Dopo le rivoluzioni dell'empio
(28)
Lutero e di que' novatori indegni, che mossi dallo strepito di sì
fanatico impostore lo hanno seguitato ed hanno diviso in tanto dissimili sette l'infelice Settentrione,
tra quelli che con impegno maggiore e colle perverse loro produzioni hanno procurato di accreditare
quelle massime che combattono il sagro tribunale dell'Inquisizione, io non trovo chi a ragione si
possa [6] anteporre a Girolamo Mario autore del sedizioso ed empio libro intitolato Tractatus de
arte & modo inquirendi Haereticos. Venne alla luce al primo urto che soffrì la nuova setta
dagl'Inquisitori Tetzelio e Prierate, e fù stampato colla falsa data di Roma nel 1553. e colla mentita
approvazione dello stesso Prierate e de' Cardinali della S. Inquisizione, i quali mossi da tanto ardire
ne promulgarono la meritata condanna insieme coll'altr'opera intitolata Eusebius captivus
(29)
, che
espone già messe in pratica le false e calunniose regole fissate in quello, ed i principali dommi della
cattolica Religione urta e calpesta. Ma non lasciò per questo di rinnovarne la stampa in Londra
Ricardo Chiswel nel 1690. con altri opuscoli di non dissimile calibro, proibiti anch'essi dalla
Congregazione suddetta con ugual forza e giustizia.
Dopo costui non vedo chi più dell'apostata Marc'Antonio de Dominis
(30)
abbia adottati in
questa parte i pessimi sentimenti de' Protestanti, il quale ne' libri VI. e VII. della proscritta sua
Repubblica Ecclesiastica non solo tenta di rovesciare i principj fondamentali, sopra de' quali si
regge un così utile edificio
(31)
, ma prende ad ingiuriarlo e combatterlo direttamente, con quell'armi
medesime ch'erano state usate prima di lui, e ch'hanno maneggiato sì spesso quanti altri sono insorti
ad oppugnarlo dappoi. Fra Paolo non ha in tutto seguito l'orme indegne di questo dichiarato nemico
della cattolica Religione; non lo ha però disapprovato in tutto: e nell'infelice storia, che fa
dell'Inquisizione di Venezia
(32)
, toglie anch'egli alla Chiesa un tribunale sì sagrosanto per tutto
ridurlo alla sola giurisdizione dei sovrani, e procura di restringerlo e debilitarlo per modo che meno
conferir possa all'intento di difendere da ostili invasioni la cattolica Fede. Egli nutre così la malnata
propensione che ha sempre avuto pe' sentimenti de' novatori: ed io non dubito punto che
Marc'Antonio de Dominis, come della favolosa storia del Concilio di Trento
(33)
, così si sarebbe fatto
(27)
Epist. 105. al. 166. ad Donatist. n. 34. tom. 2 pag. 225.
(28)
È norma del linguaggio inquisitoriale aggiungere sempre un aggettivo infamante al presunto nemico per
demonizzarlo, sia esso un dissenziente ("eretico" per la Chiesa) oppure un sospettato ("reo" per l'Inquisizione). (N. d.
R.)
(29)
Hieronymus Marius (o Massarius), Eusebius Captiuus, siue Modus procedendi in curia Romana contra Luteranos…
per Hieronymum Marium…, Basileae, [1553]. L'opera fu condannata nell'Indice del 15 Febbraio 1559. (N. d. R.)
(30)
Cfr. Eleonora Belligni, Auctoritas et potestas. Marcantonio De Dominis fra l'Inquisizione e Giacomo I. Franco
Angeli, 2003. (N. d. R.)
(31)
Lib. 6. cap. 5. num. 168 e 172.
(32)
Paolo Sarpi, Discorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Ufficio dell'Inquisitione nella Città, e Dominio di
Venetia. - - Testo disponibile su [www. liberliber. it] .
(N. d. R.)
(33)
Paolo Sarpi, "Istoria del Concilio Tridentino". - Testo disponibile su [www. liberliber. it] (N. d. R.)
21
ben volentieri editore della storia dell'Inquisizione del suddetto Sarpi, se non fosse stata nascosta,
per qualche tempo fra le mani di pochi. Non vide la luce che nel 1630. colle stampe di Ginevra, varj
anni dopo la morte d'entrambi.
[7] Non meno irreligiosa ed erronea di queste, ma assai dissimile nella struttura e nello stile si
è l'altra produzione, che fu pubblicata sullo stesso argomento colle stampe di Colonia nel 1681. col
titolo d'Inquisizione processata
(34)
, e fu condannata dal S. Officio di Roma i 14. aprile 1682. In
quelle l'apostasia e l'irreligione degli autori unita alle aperte falsità, che spacciano arditamente,
scemano di molto quel credito, ch'essi hanno procurato di conciliar loro coll'erudizione, e collo stile
assai colto. In questa tutto collima a renderla deforme e dispregevole. Delle prime vi posso dire con
verità, che nulla contengono che non sia favoloso e sofistico: di questa non so che vi dire, perchè
nulla contiene che sia decente e soffribile. Il ridicolo autore si vanta d'avere scritto un'opera storica;
e nulla dice di vero che possa appartenere alla storia dell'argomento che ha per le mani. Si vanta di
voler dir cose delle quali non si potrà mai giustificare il tribunale del S. Officio; e nulla dice che in
qualche modo al S. Officio appartenga, ed abbia bisogno delle nostre giustificazioni. Pretende di
disingannare i lettori; e si contenta che questo capo d'opera, confessato da lui capace d'attediare
chiunque colle lunghe sue dicerie e collo stile abbietto, sia confuso cogli altri, e prima di esser letto
sia condannato a quella obblivione e disprezzo, che merita per mille titoli. Ecco come parla al
lettore nel presentare a' suoi sguardi questo nobil parto del suo raro talento, ed io l'espongo colle
stesse sue parole, perchè bastano queste sole a scoprirne il carattere: Che se tu stimi che l'abbassar
gli occhj su questo libro sia un'avvilire il tuo merito ti prego di accumularlo
(35)
almeno con gli altri
cittadini del tuo museo, affinchè col zero del suo valore, accresca il numero
(36)
alla plebe più
minuta degli altri tuoi libri: così egli. Non si può dare sciocchezza maggiore di questa meschina
operetta; nè può sedurre che un'insensato.
Anche il Trattato delle leggi contro gli Eretici, che uscì alla luce in idioma inglese nel 1682. e
fu poi riprodotto in lingua francese colle stampe di Ginevra nel 1725.
(37)
, le favolose memorie della
corte di Spagna e d'Inghilterra della contessa d'Aunoy, la Relazione dell'Inquisizione di Goa
(38)
attribuita al Delon e proscritta dal S. Officio di Roma i 29. maggio 1690., e varj altri opuscoli
stampati sul declinar del secolo XVII. parlano della punizione degli Eretici con molta [8]
irreligione, falsità e disprezzo: e mi duole assai di dovere annoverare tra questi l'abbate Fleury, che
in varie sue opere, e specialmente nei Discorsi sopra la storia, e nelle Institutions au Droit
Ecclèsiastique
(39)
condannate i 21. aprile 1693., non si è scostato abbastanza dalle perverse massime
di sì deformi esemplari.
Quello però che con un libro di più vasta mole e con più raffinata malizia ha procurato di
screditarlo è stato Filippo Limborch, il quale memore dell'ingiuste violenze che il suo partito de'
Rimostranti aveva sofferto nel Conciliabolo di Dordrekt, e non ancor sazio d'averne e coll'edizione
della lettera di Gaspare Barleo pubblicata da lui colle stampe d'Amsterdam nel 1684.
(40)
, ed in altre
maniere mostrata la sua disapprovazione, volle rinnovare i rimproveri di quella intolleranza
indiscreta scrivendo contro il tribunale dell'Inquisizione, che fuor d'ogni ragione immaginò non
dissimile dall'irregolari conventicole de' Gommaristi, e nella voluminosa sua storia che diede alla
(34)
L'Inquisizione processata opera storica, e curiosa. Divisa in due Tomi. In Colonia, Appresso Paolo della Tenaglia,
1681. Uscita anonima, è stata attribuita a Gregorio Leti ma, probabilmente, si deve alla penna di Giovanni Girolamo
Arconati Lamberti. All'Indice con decr. del 14 aprile 1682. (N. d. R.)
(35)
Nel testo originale: "d'accommunarlo". (N. d. R.)
(36)
Nel testo originale: "novero". (N. d. R.)
(37)
"Traitè des loix civiles et ecclèsiastiques faites contre les hèrètics par les papes, les empereurs, les rois, et les
conciles gènèraux et provinciaux approuvez par l'èglise de Rome; avec un discours contre la persècution; traduit de
l'anglois." Fu messo all'Indice nel 1729. (N. d. R.)
(38)
Delon Charles, Relation de l'Inquisition de Goa, chez Daniel Horthemels, Paris, MDCLXXXIII. (N. d. R.)
(39)
Claude Fleury, Institution au droit Ecclèsiastique, chez H. Baritel, Lyon, M. DC. XCII. (N. d. R.)
(40)
Praestant. virorum Epist. Ecclesiasticae & Theologicae &c. Fides imbellis sive Epist. Paraenetic. ad illustrissimos
& potentissimos confoederatarum Provinciarum Ordines pag. 582.
22
luce colle medesime stampe nel 1694.
(41)
, scrisse contro di esso con quella prevenzione e mal'animo
che è proprio di chi grondante di sangue ha a fronte il nemico dal quale viene con gran forza e
vigore incalzato, con quei pregiudizj che sono proprj di un Eretico Rimostrante, e con
quell'impostura in fine e malafede che esigeva la qualità della causa che aveva a trattare. Egli
mostra nella sua storia così poco d'esattezza e criterio, che anche l'autore dell'altra storia del
tribunale dell'Inquisizione, che uscì alla luce colle stampe di Colonia nel 1693., quantunque assai
pregiudicato anch'esso e tutto intento a premer l'orme infelici di così tenebroso esemplare, non ha
potuto a meno di non disapprovarlo in più luoghi: e Moshemio istesso
(42)
confessa, che non si è
servito che di scrittori di second'ordine e di poca accuratezza. Si vanta, è vero, Limborch nella
prefazione d'aver consultato l'Eimerico, il Pegna, il Simanca, il Paramo, il Zanchini e varj altri
scrittori ottimi in questo genere; non lascia però d'unire a questi anche Fra Paolo, Gonsalvo
Montano autore dell'opera intitolata Inquisitionis Hispanicae Artes &c. [9] proscritta nell'Appendice
dell'Indice del Concilio di Trento, il Protestante Usserio, il Tuano ai Protestanti sì favorevole e così
facile a ricopiarli, l'opera intitolata Relazione dell'Inquisizione di Goa, le Memorie della corte di
Spagna ed altri libri o proscritti o di niun credito; e quel ch'è peggio adotta i principj e le massime
di questi, e non per altro consulta i primi che per iscreditarli e combatterli.
Da queste fecciose sorgenti hanno attinto le loro acque tutti coloro che hanno scritto dappoi: e
come il Limborch colle sue opere non ha fatto altro che riprodurre
(43)
le antiche querele degli
Apelliani, dei Donatisti, dei Priscillianisti, dei Valdesi ed Hussiti, dei principali capi dell'infame
riforma e di quanti altri Eretici si sono rivoltati a mordere pazzamente quel freno che li rendea meno
liberi a delirare; così egli è stato seguitato o in tutto o in parte almeno da Gioanni Locke in varie
lettere sulla tolleranza e nel suo Cristianesimo Ragionevole proscritto in Roma nel 1737
(44)
., da
Gioanni Clerch nell'infami note all'opere di S. Agostino condannate dal S. Officio di Roma nel
1734., da Gerardo Noodt nella condannata dissertazione de Religione ab imperio jure gentium
libera
(45)
, dal Marsollier nella Storia dell'Inquisizione riprovata dalla congregazione del S. Officio
di Roma i 29. maggio 1693., dall'autore delle Considerazioni sopra le lettere di Carlo III. registrate
fra i libri proibiti dal S. Officio di Roma a 7. luglio 1711.
(46)
, da Pietro Bayle nel commentario
(47)
proibito dalla congregazione del S. Officio i 12. settembre 1794., da Pietro Giannone nella Storia
civile di Napoli in modo speciale vietata il 1. luglio 1723., dall'autore delle Memorie per servire alla
storia dell'Inquisizione condannate anch'esse dal S. Officio nel 1739., da Giovanni Barbeyrac nel
Trattato della Morale de' Padri, dall'autore anonimo
(48)
, che nel 1752. produsse i suoi commentarj
sopra la Bolla di Paolo III. Licet ab initio, che riportarono da Roma la meritata esecrazione, e dal
compilatore di varj opuscoli che sotto nome di Storia dell'Inquisizione furono pubblicati colle
stampe di Colonia nel 1759., e da varj altri: e si è in tal modo continuata la serie degli impugnatori e
[10] nemici della ragionevole intolleranza dai primi secoli della Chiesa, nei quali gli Eretici non
hanno lasciato di alzar la voce contro le forti maniere che sin d'allora s'usavano da lei per metter
freno al loro furore, sino al disgraziato Apostolo della tolleranza Voltaire, che si è voluto da tutti gli
altri distinguere colla vivace e spiritosa maniera di screditare e deridere il tribunale
dell'Inquisizione. Dopo le infami produzioni di costui, non più i soli tenebrosi scritti dei principali
(41)
Philippus Limborch, Historia Inquisitionis, H. Wetstenium, Amstelodami, 1692 (!). (N. d. R.)
(42)
Istituz. Istor. Sæc. 13.
(43)
Per l'ideologia inquisitoriale, ogni dissenziente sostiene sempre e comunque errori riconducibili a "eresie" del
passato. (N. d. R.)
(44)
Locke J., An essay concerning humane understanding (all'Indice nel 1634) e The reasonableness of Christianity as
delivered in the Scriptures (all'Indice nel 1637). (N. d. R.)
(45)
Oper. omn. tom. I.
(46)
"Considerazioni, per le quali si dimostra la giustizia delle lettere della maestà del re cattolico Carlo III, che
stabiliscono doversi nelle cause appartenenti alla religione procedere nella città e regno di Napoli dagli Ordinari e per
la via ordinaria usata in tutti gli altri delitti e cause criminali ecclesiastiche." (N. d. R.)
(47)
Commentaire philosophique sur ces paroles de l'Evangile Contraint les entrer.
(48)
Si tratta di Ioannes Baptista Faure (1702-1779), professore al Collegio Romano. Il libro fu messo all'Indice nel 1757.
(N. d. R.)
23
capi e promotori della riforma, o la sola storia di Limborch ed il commentario del Bayle, ma anche
questo ateista sfacciato somministra gradito pascolo a chi desidera di segnalarsi nell'accennata
obbrobriosa carriera: ed altri prendono dai primi le storte massime, i favolosi racconti ed i fallaci
sofismi, coi quali procurano di spalleggiare la cattiva loro causa, come il compilatore degli
accennati opuscoli, il Raynal nella sua Storia Filosofica, il Bartolotti, che colle stampe di Vienna
promulgò la sua Esercitazione sulla tolleranza
(49)
l'anno 1782. e fu proibita dal S. Officio di Roma
nel 1785., e l'autore del libro stampato nello stesso tempo in Firenze, che con un mal concertato
accozzamento di fatti per lo più favolosi e sempre alterati ha preteso di dare una storia generale e
particolare dell'Inquisizione di Toscana col titolo Fatti attinenti all'Inquisizione, e sua storia
generale, e particolare di Toscana
(50)
; e sarebbe stata con più di verità intitolata Serie di calunnie e
persecuzioni inventate, e promosse contro l'Inquisizione di Toscana: altri poi copiano da Voltaire le
buffonerie, i motti pungenti e le più screditate menzogne, colle quali piace loro di adornare le
proprie indegne operette, e sono quelle Gazzette, Annali, Giornali, Novelle e Foglietti periodici, che
tanto disonorano ai tempi nostri le stampe d'Italia e Francia, e che sono riuscite a tanti incauti di
gran pregiudizio e ruina.
Per convincervi dell'infedeltà di codeste guide malnate bastar potrebbe la disapprovazione che
quasi tutte hanno meritato dai tribunali di Roma; ma le scredita anche più quella impudenza
incredibile, colla quale osano spacciar con franchezza o le più detestabili eresie, o le più sospette e
pericolose opinioni, o le calunnie almeno le più maliziose e notorie. È vero che non tutti quelli che
si sono preso finora la libertà di scrivere contro del S. Officio sono Eretici ed increduli: ma oh
quanti ai tempi nostri infelici si chiamano Cattolici e non lo sono! oh quanti ingannati da insidiosi
libri dei veri [11] Eretici hanno senz'avvedersene trascritto per ignoranza le loro massime già
condannate! oh quanto v'è da riprendere ne' libri di questi sedicenti Cattolici! Io posso assicurarvi
che non ne ho trovato sinora un solo (e ne ho letti moltissimi), il quale se non è infetto di
qualch'errore contrario espressamente alle cattoliche verità, non si mostri almeno troppo affezionato
a certe opinioni, che proibite da Roma per la loro novità ed opposizione che hanno con le più sode e
comuni massime di tutti i Fedeli, appena possono pretendere d'essere tollerate in paesi cattolici. Gli
Eretici hanno fatto nascere la disapprovazione del S. Officio da aperte eresie, negando ogni
giurisdizione, podestà e visibilità alla Chiesa. I Cattolici la derivano da opinioni non sane che
restringono la podestà suddetta, e non si scostano abbastanza dall'indicate eresie, o
spiritualizzandola in maniera, che poco vi resti di esteriore e visibile, o caricandola d'ingiuste
dipendenze e legami. E qual conto crederete voi di poter fare di simili autori che adottano sentenze
non giuste, bevono ad infette sorgenti, e si vantano insomma di esser Fedeli, ma disapprovano
furiosamente il tribunale della Fede? Quanto a me io li avrò sempre per autori assai pregiudicati e
pericolosi: e stimerò il pericolo tanto maggiore quanto men chiaro si manifesta in essi quello spirito
di novità e superbia e quel fermento d'errore, che ha sempre prodotto i maggiori disordini nel
cristianesimo. Fuggiteli anche voi: e perchè una vana lusinga di trovare in loro qualche verità
sconosciuta non vi seduca, a quanto ho detto sinora a loro disapprovazione e censura aggiungo
adesso che parlando del tribunale del S. Officio nulla contengono che non ispiri grossolana
ignoranza e falsità apertissima resa evidente e palpabile dalle stesse loro contraddizioni. Tutti
convengono nell'obbrobrioso disegno di screditarlo; ma nella scelta de' mezzi si smentiscono a
vicenda, e pochi incontransi uniti ne' sentimenti medesimi. E così appunto doveva accadere; chè
non può la menzogna essere coerente, come scrisse. Lattanzio
(51)
; haec mendaciorum natura est, ut
cohaerere non possint. Allorchè parlano dell'origine del tribunale, chi a Nestorio, chi ad un sinodo
di Verona, chi alla politica de' romani Pontefici, chi alle crociate, chi l'attribuisce ad altre occasioni
e principj, [12] come si può vedere scorrendo l'opere di Fr. Paolo, Noodt, Fleury, Mausolier e d'altri
autori consimili. Quando della sua decadenza, altri ne incolpa la gelosia de' Vescovi e de' sovrani,
(49)
Joannes Nepomucenus Bartholotti, Exercitatio politico-theologica in qua de libertate conscientia…. (N. d. R.)
(50)
Francesco Becattini (alias Modesto Rastrelli), Fatti attenenti all'Inquisizione e sua Istoria Generale e Particolare di
Toscana – I Ediz. Firenze, 1782. Testo disponibile su [www. liberliber. it]
(N. d. R.)
(51)
Divinar. Inst. cap. 9. num. 6.
24
come Fr. Paolo, altri l'essere in mano de' Regolari, come il commentatore della Bolla di Paolo III.,
altri la prepotenza e crudeltà de' suoi amministratori, come il Giannone, altri la sua istessa
costruzione e sistema, come l'autore della Storia del dritto politico ecclesiastico francese. V'è chi lo
chiama ingiusto perchè la Fede è libera: ma il Noodt ne rileva anzi l'ingiustizia dalla necessità in cui
suppone che si trovino gli uomini di creder ciò che sembra loro credibile. Se ascoltate l'autore de'
Fatti attinenti, non è mai stato il S. Officio in Germania e ne' Paesi bassi: e Fr. Paolo dice che
faceva strage d'eretici in Lamagna anche prima che fosse introdotto in Venezia. Presso il
menzionato Limborch S. Domenico è stato un missionario crudelissimo; e Voltaire lo ripete più
volte nell'esecrande sue opere. Se leggete il libro de' Fatti &c, è stato un missionario dolcissimo. Il
primo dice che non si devono usar cogli Eretici che l'armi della pazienza e dottrina. Il compilatore
delle varie storie col suo fido Acate Fr. Paolo prova che devono essere perseguitati colla forza de'
sovrani, e che è stata questa la pratica di tutti i tempi. Pietro Giannone vede la Chiesa che inflige
pene temporali anche nel nono secolo
(52)
; ma il Van-Espen lo nega espressamente, e vuole che solo
nel duodecimo sia incominciata urta tal pratica
(53)
. Guai a voi se a provare la giustizia della
punizione degl'increduli portate gli esempj de' religiosissimi Re d'Isdraello; gran parte de' nemici
del S. Officio vi spaccia per ignorante e strambo. Pietro Bayle però accorda che l'argomento ha una
gran forza
(54)
. Fossero almeno a se stessi conformi dopo che sono stati in questi e cent'altri punti
così discordi tra loro! Ma a renderli più screditati e spregevoli si aggiunge l'essere anche ripugnanti
a se stessi. Loda il Fleury nel discorso 6. §. 12. con S. Tommaso le guerre intraprese dai Cattolici
contro i Pagani della Prussia e Livonia in difesa della propria Religione: le disapprova nel §. 14.,
dove insegna che in affari di Religione tutta la violenza dev'essere dalla parte de' suoi [13] nemici, e
che i Fedeli non hanno da fare maggior resistenza di quella che fanno le pecore assalite dal lupo.
Sentite Gerardo Noodt come s'avvolge bene anch'egli nel laberinto delle sue contraddizioni. Fonda
egli il suo sistema di tolleranza indiscreta
(55)
sulla sfrenata libertà che ha l'uomo di regolarsi a suo
modo in affari di Religione; e poco dopo, come v'ho accennato testè, spaccia l'infedeltà per un vizio
inevitabile della natura, e dice che il prendersela contro gli Eretici è lo stesso che cæco irasci, quod
non videat, claudo, quod non incedat rectus, aut manco,
quod non sit integer
(56)
. Anche il Bartolotti
si è segnalato in questa carriera, e ammette al cap. 4. pag. 172. che i primi che inventano gli errori
possano essere castigati; ma nella pagina seguente nega a chicchessia la podestà di sforzar le
coscienze. La facilità poi colla quale si contraddice il Voltaire, non ha bisogno d'essere rilevata da
me; che già l'hanno fatto il Nonnotte ed il Genne per modo, che non so come si trovi ancora chi
abbia il coraggio di nominare su questo argomento un'autore così impudente e falsario. Ma io
v'annojo di troppo seguitando la serie di sì copiose contraddizioni. Bastano le addotte sin qui, e
sono più che sufficienti a farvi comprendere il pericolo, al quale vi esponete leggendoli, e il poco
frutto che potete sperare da sì pericolosa lettura: e siate pur cauto in questa parte, che non lo sarete
mai troppo. Aveva già predetto S. Paolo
(57)
, che sarebbero venuti tempi pericolosi, nei quali erano
per insorgere uomini scipsos amantes, elati, superbi, blasphemi, proditores, voluptatum amatores
magis quam Dei, semper discentes & nunquam ad scientiam veritatis pervenientes, habentes
quidem speciem pietatis, virtutem autem ejus abnegantes, corrupti mente, reprobi circa fidem. Ci
avvisa l'immortal PIO SESTO
(58)
, che i tempi son questi, e con sommo zelo esorta tutti i Patriarchi e
Vescovi ad opporsi a tanta infezione, levando dalle mani de' Fedeli que' libri perniciosi, per mezzo
de' quali procurano gli empj di sovvertirli: A finibus vestris improbam contagionem depellite,
venenatos libros ab oculis Gregis magna vi et sedulitate extorquete. Io non sono [14] fregiato
(52)
Stor. del regno di Napoli lib. 3. e 6. cap. Ult.
(53)
Jur. Eccl. part. 3. tit. II. cap. I.
(54)
Riccinius in not. ad cap. 13 lib. s. V. P. Monetae p. 3. v. 2.
(55)
L'abbondante utilizzo di aggettivi mistificanti, come pure la demonizzazione e l'utilizzo abituale di titoli ingiuriosi (e
alla lunga ripugnanti) imposti a chi non condivide la "verità" enunciata, rientra nello stile e metodo di un certo tipo di
apologetica, quale quella intollerante. (N. d. R.)
(56)
Diss. de Relig. ab Imp. J. G. lib.
(57)
Epist. 2. ad Timoth. cap. 3. v. 2.
(58)
Epist. Encycl. sub die 25. decem. 1775.
25
dell'augusto carattere di sagro Pastore; ma pure per quello zelo e spirito di cristiana carità, che deve
animare tutti i Cattolici, mi credo autorizzato abbastanza per esercitare con voi lo stesso caritatevole
officio: e guardatevi vi dico ad alta voce, guardatevi dalle insidie di queste ingannatrici sirene!
troncate ogni commercio con loro, e fuggitene anche l'aspetto! e giacchè avete sofferto a quest'ora
qualche pregiudizio in questa parte, non vi esponete al cimento di far perdite più luttuose, e
risparmiate a me il sommo dispiacere che proverei, se dileguate quelle svantaggiose apprensioni che
hanno destato in voi contro il tribunale della Fede, mi trovassi in necessità d'istruirvi in cose ancora
più rilevanti e più serie. Io non pretendo che appoggiate la vostra risoluzione alle cose che ho
accennato fin qui assai leggermente ed in generale. Solo desidero che vi fidiate per ora del sincero
amor mio, che parla per vostro bene, e vi avvisa del grave rischio in cui siete, ma non può
convincervi con una sola lettera. Non andrà molto che nello scoprimento delle nere calunnie e nella
soluzione dell'artificiose fallacie, che i vostri dubbj e quesiti mi daranno campo di manifestare e di
sciogliere con maggior precisione, conoscerete assai meglio quanto ragionevole sia l'impegno che
ho d'allontanarvi da pascoli così contaggiosi ed infetti: ed in attenzione dei pregiatissimi vostri
comandi colla maggiore effusione di cuore mi dichiaro intanto
26
LETTERA SECONDA.
Non è cosa inconveniente, che alcuni dei libri, che
impugnano il S. Officio, siano stati condannati dal
supremo tribunale del S. Officio medesimo.
i ha recato gran meraviglia l'aver letto nell'altra mia, che la maggior parte dei libri che
disapprovano il S. Officio siano stati proibiti per decreto del S. Officio medesimo: e pare a voi,
che non dovendo alcuno esser giudice nella propria causa, toccava a tutt'altri il condannarli. Così la
discorrevano a un dipresso i Luterani e Calvinisti, come osserva il Natale
(59)
, contro le
determinazioni della S. Sede e del Concilio di Trento; e non cercavano altro con tal ripiego,
com'egli soggiunge, che di sottrarsi alle meritate condanne; nè ad altro tendevano i loro lamenti, che
a distruggere ogni giudice delle controversie nella Chiesa di Dio, ed a confondere il Pastore colle
Pecore, ed i Superiori coi loro sudditi e dipendenti. Mi guardi il cielo dal sospettare in voi idee sì
stravolte e maligne. Ho però voluto di ciò avvertirvi, perchè conosciate, quanto sia facile a chi
sprovveduto delle necessarie istruzioni si mette a discorrere di punti così rilevanti e difficili
l'inciampare in errori già riprovati, o pensare almeno e parlare in maniera di far sospettare, che non
si disapprovano quanto basta.
Per verità il vostro scrupolo non interessa molto la nostra causa, nella quale della condanna
parliamo delle persone, non de' libri, tra le quali passa un gran divario. Quella non si matura che per
via di giuridiche testimonianze di chi sa quello che è accaduto: questa non adopra che un'accurato
diligentissimo esame del senso che o hanno per se stesse, o ricevono paragonate colle antecedenti e
conseguenti e collo scopo dell'autore le parole del libro. Quella va a terminare in castigar le persone,
che restano convinte d'aver esternato in qualche modo o con parole o con azioni indegne la loro
incredulità: questa non ha per lo più altro [16] scopo che quello di levare dalle mani de' Fedeli un
pascolo micidiale ed infetto senz'inoltrarsi a castigarne gli autori. Giacchè però avete toccato questo
punto ai dì nostri interessantissimo, non voglio lasciare d'istruirvi alcun poco anche su di questa
materia, e vi ripeto in primo luogo, che voi non dovete stendere il vostro dubbio in guisa che
abbracci ogni giudizio in materia di Fede, e giunga a negare alla Chiesa ogni podestà di condannare
gli errori, che le si oppongono, e di proscrivere i libri che li difendono. Troppo vi accostereste in tal
guisa alle massime testè accennate dei Protestanti: e non so qual mai lasciar potreste alla Chiesa
legittima podestà, se le negaste quella di pascere il divin Gregge col pascolo salutare delle divine
istruzioni, e di allontanarlo dal nocivo e venefico, che somministrano i libri cattivi, che, a parlar
colla frase di S. Agostino
(60)
, minutis et subtilibus verborum stimulis animas terebrant, et tanta
calliditate circumveniunt, ut deceptus quisque nec videat nec intelligat unde decipitur. Quantunque
mancasse alla Chiesa la podestà di castigare gli Eretici, non potreste mai negare ad essa quella di
pascere i Fedeli. Il più impegnato regalista non ha ardire sì grande, se non è anche scopertamente
Eretico; e l'autore delle Osservazioni Filosofiche stampate per la seconda volta in Londra nel 1785.,
quantunque dichiarato nemico d'ogni podestà ed impugnatore acerrimo anche della discreta e
legittima intolleranza, pure confessa che non si può negare ai Pastori del cristianesimo questo diritto
ch'è loro essenziale: le christianisme ètant un fois admis, on ne peut mèconnaître
(61)
ce droit
d'enseigner et de corriger ce qui lui est essentiel et qui en fait une institution utile, raisonnable
(62)
et
nècessaire
(63)
. Ma per pascerli utilmente non è solo necessario d'istruirli in quelle verità che sono
(59)
Hist. Eccl. saecul. XVI. Dissert. 12. art. 16.
(60)
Ser. 87. de Tempore.
(61)
Nel testo: "mèconnoître"!. (N. d. R.)
(62)
Nel testo: "raisonable"!. (N. d. R.)
(63)
Sect. 13. pag. 59.
V
27
state rivelate, ma conviene allontanarli altresì da que' pascoli infetti, che somministrano gli Eretici e
novatori coi libri loro: e sarebbe una ripugnanza insoffribile il pretendere che la Chiesa potesse
separare dal ceto de' Fedeli quelli che abbandonano la Fede, e non potesse poi levare dalle loro mani
quei libri e quelle massime che si spargono per pervertirli. Che direste voi di un principe, che
intento a punire tutti i rei d'omicidio, non si prendesse poi alcuna premura d'impedir lo spaccio di
quel veleno, e la delazione di quell'armi, ch'esser sogliono i mezzi più efficaci e comuni [17] per
eseguire un così orribile eccesso? Provvederebbe egli abbastanza al buon regolamento e alla
sicurezza e tranquillità dello Stato? o, consistendo il buon'ordine d'ogni ben sistemato governo nel
prevenire ed impedire i delitti piuttosto che nel punirli, non lo giudichereste voi un principe affatto
sconsigliato ed improvvido? Ora sappiate che questo disordine appunto succederebbe nella Chiesa
di Dio, se tutta occupata a distruggere quei nemici insidiosi, i quali colle cattive massime ed azioni
procurano di danneggiarla, punto non si curasse di svellere e distruggere quell'immonde zizzanie,
che spargono coi loro libri per soffogare l'eletto frumento, e sollecita a castigar quelli, che con
passeggiere parole divulgano massime contrarie alla cattolica Religione, non potesse poi a chi le
stampa arrecare neppur la discreta molestia di veder proscritti i proprj libri, che, a giudizio dello
stesso Teofilo Raynaud, esigono più sollecito ed efficace riparo: si parvum collocutorem, dic'egli,
qui perpaucos una opera potest inficere, devitandum studiose esse in confesso est, quia corrumpunt
bonos mores colloquia mala, quanto certius est, devitandum esse authorem mali operis, qui simul
infinitos potest corrumpere
(64)
?
Una tolleranza così indiscreta è sempre stata alienissima dallo spirito del cristianesimo: e non
sì tosto intraprese S. Paolo l'apostolico suo ministero in Efeso, che riportò il bel frutto di
veder'abbruciati i libri di coloro, qui fuerant curiosa sectati
(65)
, e furono nel Sinodo Niceno
abbruciati i libri d'Ario; quelli di magia nel sesto e ottavo Sinodo, e S. Cipriano e Gelasio e Simaco
e Ormisda fecero lo stesso con quelli de' Marcioniti e di quanti altri Eretici capitavano loro alle
mani. Nè mai si mostrarono difficili nel secondare le giuste insinuazioni di tanti Padri e dottori que'
prudenti sovrani, che ne appresero l'importanza e bisogno. E sebbene non possa convenir' ai
medesimi, che l'esame de' libri satirici sediziosi ed osceni, non di quelli che trattano di dommi e
massime appartenenti alla cattolica Religione
(66)
, delle quali non può esser giudice che la Chiesa;
pure non che permesso, ma anche plausibile e voluto dalla Chiesa istessa è il costume, che han
sempre seguito i migliori sovrani di ajutare anche in questo i giudizj [18] ecclesiastici. Furono
promulgati appena dai sagri Pastori i solenni anatemi e contro i rispettivi errori e contro gli autori,
che il gran Costantino consegnò alle fiamme i libri di Ario, Teodosio e Valentiniano quelli di
Nestorio, Valentiniano e Marciano i libri d'Eutiche e d'Apollinare; i libri superstiziosi Onorio, e
Teodosio; e di tutti gli Eretici finalmente già condannati i libri tutti che riusciva loro di ritrovare
Arcadio, Onorio e Giustiniano; e perchè niuno sfuggire potesse le diligenti ricerche de' loro
ministri, e Costantino e varj altri imposero la pena di morte a chi avesse avuto ardimento di
occultarli: e queste leggi ebbero poi tal forza presso tutti i Fedeli e furono così religiosamente
osservate, che la totale mancanza, in cui siamo, di tutti i libri dei primi Eresiarchi non può attribuirsi
ad altra più efficace cagione, che al timore salutare ch'esse infusero nell'animo de' Fedeli non meno
che degli Eretici.
Nè mi dite che i libri, de' quali si parla, non sono tutti di Eretici, nè sono mai così perniciosi e
cattivi, che non abbiano qualche cosa, che può servire ad utile e conveniente istruzione; poichè io
accordandovi tutto, sebbene molti di loro nulla abbiano che non sia cattivo e dispregevole, tanto
sono lungi dal concedervi che debbano essere risparmiati per questo; che anzi sono d'opinione che
meritino appunto per tal cagione più sollecita riprovazione e condanna. Un leggitor' inesperto si
abbandona più facilmente ad un libro cattivo di un insidioso Cattolico, che a quello di un'Eretico, e
ne sugge con più avidità a pieni sorsi il veleno: e quel poco di buono, che un libro cattivo ha misto a
tanto di guasto e pestifero, non è una luce che istruisce, ma un lampo che abbaglia e copre la
(64)
De malis & bon. libris partit. I. erot. I. num. 6.
(65)
Act. 19. num. 19.
(66)
Albici de Inconst. p. p. cap. 30. num. 129. e 164.
28
deformità del restante per renderla meno sensibile. Con quest'arte appunto, dice S. Gregorio
(67)
, gli
Eretici ingannano i meno cauti, e nascondono fra le cose buone le malvaggie per far loro in tazze
dorate inghiottire il veleno; Habent hoc Haeretici proprium, ut malis bona permisceant, quatenus
facile sensui audientis illudant. Si enim semper prava dicerent, citius in sua perversitate cogniti,
quod vellent, minime persuaderent. Rursus si semper recta sentirent, profecto Haeretici non
fuissent; sed dum fallendi arte ad utraque deserviunt, & ex malis [19] bona inficiunt, & ex bonis
mala, ut recipiantur, abscondunt. E se qualche malvagio scrittore non è eretico manifesto, non
lascia per questo d'essere anch'esso perniciosissimo; e se non sono tutti del numero di que' nemici
sfacciati, che colle aperte loro empietà dichiarano guerra implacabile alla Chiesa, sono almeno nel
numero di que' cacciatori malvagi, che vide Geremia
(68)
, e de' quali si lagnava l'Altissimo, dicendo
inventi sunt in populo meo insidiantes, quasi laqueos ponentes, & pedicas ad capiendos viros. La
forza di questi argomenti si è fatta sentire anche alle torbide menti de' Giansenisti; e non meno
disposti e pronti degli altri Eretici nel combattere la podestà della Chiesa, ma di tutti i più insidiosi
ed astuti, senz'opporsi di fronte a quell'autorità che disapprova i libri cattivi e li condanna, hanno
inventato un malizioso ripiego che la combatte di fianco, e ne rende inefficace la pratica.
Distinguono costoro il senso del libro da quello della condanna; e supponendo che sia cattivo
quel senso che ha avuto in vista la Chiesa nel condannarlo, e buono quello che è contenuto nel libro,
decidono francamente, che per aver dessa
(69)
traveduto toglie talvolta ai Fedeli un pascolo salutare,
che apprende per nocivo e venefico, e non li allontana da tant'altri che in realtà sono tali, e meritano
la comune esecrazione. Eludono per tal modo le più severe condanne, e divulgano a man salva colle
perniciose loro produzioni anche gli errori nel libro già condannati. Se si trattasse di libri puramente
istorici e filosofici, ne' quali non suole ingerirsi il tribunale della Fede, non lascierebbe di comparir
temerario il ripiego a chi sa la qualità de' personaggi che si adoperano per esaminare i libri, e le
diligenze che s'usano per non prendere abbaglio; ma trattandosi di quelli che interessano la
Religione e la salute dell'anime, il ripiego merita censura assai maggiore, e quelle segnatamente che
ha riportate non ha molto dalla Bolla dommatica dell'immortal PIO VI. che comincia Auctorem
Fidei
(70)
. Questa maliziosa invenzione và a rovesciare da fondamenti quel divin magistero che Gesù
Cristo ha lasciato ai Pastori della sua Chiesa, il quale non sarà mai norma sicura del nostro credere,
se non è interprete infallibile di quelle frasi e parole che usa e nel proporre i suoi formolarj e
nell'interpretare la mente di que' dottori e Padri, che hanno [20] tramandato a noi i divini
ammaestramenti, e nel rilevare il senso di que' libri che spargono con astuzia le proscritte eresie. Il
dovere che hanno i Pastori di pascere il divin Gregge porta seco il carico di condurlo ai pascoli
salutari e distorlo dagl'infetti e micidiali; e ciò non si può ottenere senza poter' iscoprirne con
sicurezza la qualità, e senza potere con autorità somministrar quelli e vietar questi. Non alit
haeresim sola cogitandi vis, disse pur bene a questo proposito l'Arcivescovo di Cambray, sed
venenum spargit haeresis, & incautos seducit verbis, quae sensu percipiuntur, & verbis Ecclesia
damnatis sparsi veneni contagionem sistit. Guardatevi da queste nuove insidie se mai v'incontraste
in costoro; e riputateli ne' loro maliziosi ripieghi non meno contrarii all'autorità della Chiesa di
quelli che la spogliano senza alcuna riserva d'ogni podestà e diritto.
Ma tardi m'avvedo d'essermi troppo diffuso sul vasto argomento della proibizione de' libri, che
è già stato trattato con molta esattezza da varj autori e antichi e moderni, i quali hanno dimostrato
ad evidenza la necessità e giustizia delle medesime; e su di un'argomento inoltre, in cui abbiamo
consenzienti, come accenna il Simanca
(71)
, tutte le colte nazioni, e che però si può dire appoggiato al
buon senso ed al diritto comune delle genti più che al religioso e politico; e intorno al quale voi non
avete promosso altra difficoltà che quella dell'incompetenza del giudice nel sentire condannate dal
S. Officio tant'opere non d'altro forse colpevoli che del delitto d'avere maltrattato il S. Officio. A
(67)
Lib. 5. Moralium num. 28.
(68)
Cap. 9. vers. 16.
(69)
Così nel testo! (N. d. R.)
(70)
Propos. XIV. C 2.
(71)
De Catholicis Institut. Tit. 38.
29
questo adunque richiamo, il mio ragionare, e prendo a mostrarvi, quanto s'allontanino dal vero i
vostri divisamenti, e quanto mal' a proposito li abbiate appoggiati alle provvide disposizioni del can.
Nullius, che leggesi nel Decreto di Graziano
(72)
. Rileggetelo di grazia; e sono certo che nulla
troverete di ripugnante, e d'incongruo nella condanna di cui parliamo. Quattro persone esige il citato
canone oltre il reo, perchè sia bene istituito un giudizio, il giudice, l'accusatore, i testimoni ed il
difensore: e queste sono appunto quelle che intervengono nella condanna de' libri [21] suddetti.
Esso viene accusato al tribunale supremo o dallo zelo di qualche divoto fedele o dall'attenzione del
fiscale, che come in tant'altre cause, così anche in questa a pro del comun bene fa le veci di delatore.
Il reo è l'autore o piuttosto il suo libro: e tanti sono i testimoni, che si chiamano per rilevarne il
carattere, quanti sono que' valenti teologi e canonisti, che si adoperano perchè sia esaminato con
ogni attenzione e premura. Havvi anche chi ne prende con grande zelo la protezione e difesa; e se
non sono più che evidenti, e più che dimostrate le accuse, e se gli autori sono cattolici, e se per altri
libri hanno recato qualche vantaggio alla Religione ed alle scienze, si chiamano allora gli autori
istessi a discolparsi. Il giudice è il Romano Pontefice incombenzato da Gesù Cristo di confermare
tutti nella vera credenza, il quale dopo d'aver sentito il parere di saviissimi consultori, ed il voto de'
Cardinali più colti e più dotti, o lo assolve come immune da ogni errore, se tale lo mostrano o la
qualità delle usate espressioni ovvero il contesto, o lo sospende finchè sia corretto, se pochi sono e
di non molta conseguenza gli errori, o lo condanna in fine, se non merita alcuna moderazione e
riguardo. Leggete la Bolla di Benedetto XIV., che comincia Sollicita
(73)
, e il modo descrive e la
forma della condanna de' libri, e tutto troverete conforme a quanto vi ho esposto finora: e lasciate
poi di ricredervi, se vi dà l'animo, del mal concepito sospetto, che vi fa dubitare che in questi giudizj
qualche cosa siavi d'incoerente e vizioso. Tutto è fatto a norma delle prescritte leggi, e nulla manca
di ciò che esige il rigore di un giudizio il più regolare ed esatto.
Sono è vero ne' libri che si condannano presi di mira talvolta i consultori, i Cardinali ed il
Sommo Pontefice, che hanno parte e nell'esame e nel giudizio di queste cause; ma oltre che non
sono per lo più codeste ingiurie il primo scopo cui son dirette le pessime loro produzioni, perchè
abbonda spesso d'aperte eresie chi ha il coraggio d'oltraggiare quel tribunale che difende la Fede;
fatene di meno se vi dà l'animo, e trovatemi, se vi riesce, un'altro giudice competente da sostituire in
loro luogo: e se trattandosi di un tribunale supremo, non è possibile che vi riesca in tanta necessità
d'agire, e dove è sì grande il pericolo della seduzione, chi può concepire in questo giudizio alcun
disordine? e come avrete voi il coraggio di rinfacciarlo al tribunale della Fede? voi, che non
osereste per certo di disapprovare un sovrano, che con giusta guerra prende a vendicare i suoi torti;
un giudice che offeso [22] dal reo nel suo tribunale, ne ripete le dovute soddisfazioni, a tenor delle
leggi
(74)
; e voi stesso che assalito per istrada da ingiusto aggressore, al partito v'appigliaste di
difendervi anche a costo della sua vita? o come non avranno motivo d'acquietarsi quegli stessi, che
soffrono il danno di una tale condanna, al sentire dal loro prediletto Rousseau nel discorso sopra le
scienze, che la situazione più vantaggiosa al buon dritto è di aver' a difendersi contro una parte
integra ed illuminata che sia giudice nella sua causa? Se non che io credo d'accordarvi troppo
ammettendo che il supremo sagro tribunale sia giudice e parte in queste cause. A parlare con più
esattezza non si può attribuire ad esso in alcun modo codesta taccia, quantunque non riprensibile,
quando è inevitabile. L'autorità che esercita il tribunale è un bene non de' soggetti che lo
compongono, ma della Chiesa, che con quella si difende e conserva, e non l'interessa meno d'ogni
altra sua prerogativa. Non la propria dunque, ma la causa della Chiesa fa il tribunale del S. Officio
allorchè procede contro coloro, che colle stampe procurano di rovesciarlo. La Chiesa è la parte che
resta oltraggiata: pochi prezzolati scrittori sono quelli che con libri infami la offendono: il tribunale
della Fede è il giudice che li proscrive e condanna. E dov'è in questo giudizio il sognato difetto? Se
(72)
Can. I. caus. 4. quaest. 4.
(73)
Si tratta del Methodus praescribitur in examine ac proscriptione librorum a Congregationibus Romanae Universalis
Inquisitionis, et Indicis servanda, certaeque Relatoribus ac Consultoribus proponuntur Regulae, quas in examine,
judicioque ferendo sequantur. La Costituzione è del 9 luglio 1753. (N. d. R.)
(74)
L. addictos c. I. de Epicopali audientia.
30
voi non adottate o le chimere del pessimo commentatore della Bolla di Paolo III., che a screditare
siffatti giudizj, che tante volte hanno meritato le sue opere, si è figurato che tutto succeda per
capricciosa disposizione di due o di tre Frati; o l'impudenza del Tosini
(75)
, che finge di non sapere,
che niuna di queste condanne si pubblichi senza l'approvazione del Papa, nulla ritroverete in loro di
disordinato ed improprio: ed ogni retto estimator delle cose resterà sempre in forse se nelle
provvidenze che in quest'incontri si prendono dal tribunale della Fede, più debba ammirarsi la
diligenza che usa per non errare, o la moderazione che pratica coi delinquenti, il quale, potendo pel
gran divario che passa tra l'offensore e l'offeso esigere da loro con tutta ragione per ogni minimo
oltraggio la più rigorosa soddisfazione, autorizzato anche dall'esempio dell'evangelista S. Giovanni,
che al dire del Fleury
(76)
depose quel prete, che [23] aveva fatta la scritta Storia de' viaggi di S.
Paolo, e di S. Tecla, pago egli di preservare dalla seduzione i Fedeli altro non fa che levare dalle
loro mani i libri cattivi, e perdona per lo più ogni altra pena agli autori. Leggete l'indicata Bolla di
Benedetto XIV., e sono certo che svanirà tosto ogni sinistra apprensione.
Prima però di chiudere questa lettera voglio trattenermi alcun poco sopra i lamenti che movono
contro del tribunale, cui è commessa la revisione de' libri prima che si stampino, alcuni scrittori
indiscreti, i quali o avidi di una libertà senza freno e troppo pieni di se stessi vorrebbono potere
stampare senza alcuna dipendenza e riserva, o amatori soffistici più delle antiche cose che della
Religione all'incontrare in qualche libro d'antica edizione qualche cassatura, che suppongono fatta
dagl'Inquisitori, o un libro ristampato colla mancanza di qualche sproposito, che era scorso nelle
prime edizioni, empiono il mondo di doglianze e clamori, e non v'è improperio che non iscaglino
contro del tribunale. Quanto ai primi vi dico che o questi pretendono l'assoluta libertà delle stampe;
e vengono disapprovati non che dalle salutari disposizioni del sacrosanto Concilio di Trento, che ha
severamente proibite le stampe furtive, ma da molti eruditi scrittori, che anche ai dì nostri l'hanno
impugnata con gran valore, e da' pessimi effetti che ha prodotto dovunque è stata adottata, e
dall'ottima situazione di que' luoghi, ne' quali non ha potuto essere introdotta. Quelli ce li mostra
con troppo funesta rimembranza la Francia; viene questa descritta da Tommaso Barol, il quale
parlando de' libri di Spagna e d'Italia scrive
(77)
così: Rari quidem libri in Hispania, Italia, Sicilia
cuduntur, sed quia sub censura prodeunt plerumque veri & docti. Alibi scribunt indocti doctique
poemata, ubicumque libera sunt praela. Nè occorre di trattenersi molto nel disapprovare una tal
libertà, detestata in fine da' varj Protestanti, e da alcuni de' Giacobini medesimi. O altro non
pretendono che di criticare la scelta de' revisori; e restano smentiti e dalla qualità delle persone di
probità e dottrina, che vengono destinate ad un tale impiego, e dalle saviissime regole che sono loro
prescritte, perchè non riescano ad alcuno d'ingiusto aggravio e molestia, e dal ricorso per ultimo,
che ha sempre aperto ogni autore al [24] supremo incriticabile tribunale di Roma. Se l'essere stata
accordata in qualche luogo la libertà delle stampe ha empito il mondo di produzioni infami e libri
nefandi, che passati il mare e i monti, al dir del Valsecchi
(78)
, hanno recato una luttuosissima peste
alla nostra Italia; che non sarebbe avvenuto di più luttuoso e fatale, se la medesima libertà e licenza
avesse potuto diffondersi per ogni dove? Per liberar poi da ogni rimprovero gl'Inquisitori, i quali o
cassarono ne' tempi andati le cattive massime che trovarono ne' libri stampati, o correggono adesso i
libri cattivi che si vogliono ristampare, può servire ciò che scrisse S Girolamo
(79)
ai fratelli
Pammacchio, ed Oceano; cum haec rejiceritis, et quasi censoria virga separaveritis a fide
Ecclesiae, tuto legam caetera, nec venena jam timebo, cum antidotum praebibero. Fecero lo stesso
nel quarto secolo S. Eusebio di Vercelli e S. Girolamo
(80)
, e Cassiodoro
(81)
nel sesto; nè deve
rincrescere ai nostri antiquarj, che siano stati imitati talvolta esempj sì grandi e con non piccol
(75)
Storia, e sentimenti sopra il Giansenismo Tom. 2. §. 16.
(76)
Discors. 7. §. I.
(77)
Berol. Dissert. de libr. lect.
(78)
De' Fondam. Lib. 3. cap. 3. §. I.
(79)
Epist. 84. tom. I.
(80)
Epist. 61. tom. I. & contr. Ruffin. Lib. 2. num. 12.
(81)
De Instit. Divin. cap. I.
31
vantaggio della Religione e pietà. Credo d'aver per tal modo dileguato ogni vostro dubbio sulla
proibizione, e correzione de' libri: e pronto a far lo stesso in ogni altra occorrenza di cuore mi dico
32
LETTERA TERZA.
Chi abbandona la Religione cattolica dopo d'averla
abbracciata commette un vero delitto.
h questo sì che è un quesito degno di voi, e che merita tutta la nostra considerazione. Voi
volete sapere da me se sia o no delitto l'abbandonar la Fede dopo d'averla abbracciata
(82)
, e
questa è appunto quella ricerca, che più d'ogni altra interessa il presente carteggio. Di qui prende le
mosse la maggior parte degli astuti nostri contraddittori; e mettendo in dubbio la reità dell'Eretico,
cerca di screditare quel tribunale, ch'è destinato a punirlo giuridicamente. Io potrei escludere
l'irragionevole pretensione di costoro, e soddisfare insieme alle vostre premure col solo accennare la
lunga serie dell'infinite leggi e civili e canoniche, che sono state promulgate in ogni tempo per
fissare a questo abbandono il competente castigo: poichè se giusta il sentimento dei più accreditati
giureconsulti e dottori quello è delitto che è soggetto a pene esteriori stabilite da legittimo podestà;
chi può negare che lo sia in un Fedele l'abbandonar la Fede cattolica, se questo è di cui parlano, e
contro del quale come contro a delitto di lesa divina maestà stabiliscono i più severi castighi i codici
più applauditi dell'una e dell'altra legislazione? Quelle che alla civile appartengono sono state
raccolte con diligenza, e vendicate con molto valore dal Tommassino
(83)
; ed il Giannone istesso
(84)
indica sessantasei leggi penali promulgate da nove Imperatori per frenare l'ereticale perfidia, tra le
quali non hanno l'ultimo luogo quelle d'Arcadio, Onorio e Teodosio, che la dichiarano delitto
pubblico, perchè commesso a danno ed ingiuria di tutti; ac primum quidem volumus [26] esse
publicum crimen, quia quod in Religionem divinam committitur, in omnium fertur injuriam
(85)
; e
l'altra di Federico II., che nel suo editto, che comincia Inconsutilem
(86)
comanda, che crimen
haereseos & damnatae sectae cujuslibet, quocumque nomine censeantur sectatores, inter publica
crimina, numeretur; e dopo d'averlo dichiarato delitto maggiore di quello di lesa maestà umana,
vuole, che tutti gli Eretici impenitenti siano assoggettati alla pena di morte. Non è minore il numero
delle leggi canoniche, che versano sul medesimo oggetto; e sono state con molt'accuratezza
registrate dal Cardinal Brancati
(87)
. Tante e sì ripetute giuridiche dichiarazioni e pene sì varie e
severe stabilite ed eseguite in ogni tempo e dovunque ha riscosso la dovuta venerazione ed i
maggiori riguardi l'onor di Dio, la tranquillità dello Stato e della Chiesa e la salute dell'anime bastar
potrebbono, torno a ripeterlo, ad escludere il dubbio de' nostri contraddittori. Siccome però l'audacia
loro li trasporta ad opporsi a tutto l'intero sistema della più venerabile antichità, ed a spacciare tutti i
passati nostri legislatori per menti stupide e preoccupate da pregiudizi della più vergognosa
ignoranza; così è necessario ch'io prenda a battere una strada più lunga e disastrosa, e mi prenda il
grave carico di munire con nuovi ripari quelle leggi medesime, che per la loro antichità e non mai
interrotta osservanza altro non si doveano aspettare da noi che venerazione e rispetto
(88)
. Lo farò ben
volentieri a vostro riguardo; e m'aprirà la strada a farlo la stessa definizione dell'eresia e
(82)
"dopo d'averla abbracciata", la frase lascia intendere, con abile mistificazione, una scelta volontaria e responsabile
di adesione alla Chiesa Cattolica. In verità avrebbe dovuto scrivere "dopo aver passivamente ricevuto da infante il
battesimo..." (N. d. R.)
(83)
Traitè dogmatique & historique des edits, e des autre moyens spirituels & temporels, dont on s'est servi dans tous
les temps pour ètablir & pour maintenir l'unitè de l'Eglise catholique. Part. I. chap. 30. & 31.
(84)
Stor. Di Napoli lib. 15. cap. 4.
(85)
L. 4. §. I. Cod. de Haeret. & Manich., & L. 4. C. Theod. de Haer.
(86)
Presso l'Eimerico.
(87)
Disputa 15. de Fide art. 2.
(88)
Il diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa, come ben espone il nostro autore, è negato dalla legislazione
imperiale a far data dalla dichiarazione del cristianesimo come religione dell'Impero, avvenuta alla fine del IV sec.:
parimenti lo è stato per la Chiesa Cattolica, sino al Concilio Vaticano II. (N. d. R.)
O
33
dell'Eretico, di cui non si può ben conoscere l'indole perversa e la maliziosa natura senza rilevarne
la deformità e la colpa.
È l'eresia un'errore contrario alle verità rivelate da Dio e proposte da credersi dalla Chiesa
(89)
: e
quello a sentimento di tutti è vero Eretico, che dopo d'essere stato battezzato
(90)
abbandona la Fede
che nel santo battesimo ha promesso
(91)
di sempre conservar fedelmente anche a costo della vita e
del sangue, e più non crede nè a Dio che parla, nè alla Chiesa che spiega e propone la divina
rivelazione, ed a questi oracoli di verità infallibile preferisce pertinacemente o le proprie o le altrui
capricciose invenzioni. Questa è l'azion'indegna, e questo è l'orribile [27] disordine, del quale voi
desiderate sapere se abbia ragione di delitto: ed io domando a voi se ve ne sapete ideare alcun'altro,
cui si possa con più ragione attribuire un tal nome. S. Agostino non soffriva che i Donatisti
riputassero un piccol delitto l'idolatria; e questa loro asserzione ha sempre stimata un parto informe
della viziosa loro indisposizione: An forte, dic'egli
(92)
, parva sunt crimina & parvi aestimanda?
solent enim isti etiam hoc dicere pensantes ea non in statera aequa divinarum Scripturarum, sed in
statera dolosa consuetudinum suarum. E che dovremo dir noi di quello d'eresia sostituito, com'egli
soggiunge
(93)
, dal demonio in suo luogo, e giudicato da S. Tommaso di tutti i delitti d'infedeltà il
peggiore
(94)
, e da S. Girolamo il maggior che commetter si possa da un'empio, giacchè nullus est
impius, com'egli crede, quem Haereticus impietate non vincat?
Ma veniamo all'intrinseche prove, e dall'addotta definizione argomentiamo più di proposito la
deformità dell'eresia e la gravità del reato che l'accompagna. La gravezza del male dev'essere
scandagliata non v'ha dubbio dalla quantità e qualità di quel bene al quale si oppone; che niuna cosa
ha ragione di male che per questa sola opposizione: e quell'azione è di maggior reità infetta, che
nata liberamente da ragionevole creatura riesce dannosa a beni maggiori. In quest'aspetto dovete voi
rappresentarvi un'Eretico; e dai molti beni, ai quali dichiara guerra implacabile, dovete argomentare
la gravità del suo reato; e son sicuro che non penerete molto a giudicarlo di tutti il peggiore. Poco
sarebbe se egli non offendesse che se stesso, scostandosi dalla retta strada, che sola può condurlo a
salvamento: chè questo è ad ogni altra colpa comune, e solo si può credere in questo d'ogni altra
colpa maggiore per quel primo alimento di vita spirituale, cui abbandona, che solo può ricondurlo
vegeto e sano sullo smarrito sentiero. S'avanza egli di più colla temeraria sua arditezza, e prende di
mira la divina rivelazione e l'autorità della Chiesa; e tanto invanisce e delira ne' suoi pensamenti,
che neppure la perdona a Dio, e lo prende a combattere direttamente sul trono istesso della più
sfolgorante sua gloria. Io non farò che scandagliar leggermente la profondità [28] ed ampiezza di sì
vaste sorgenti: e voi sulle giuste bilance del santuario ponderate a qual segno di. malvagità e reato
s'inoltra chi tanto ardisce e presume.
(89)
Questa classica definizione di "eretico" presuppone che la Chiesa sia fondata sulla Verità, intesa come un insieme
di proposizioni dottrinali che si manifestano in codici di credenze e di comportamenti. È un concetto che si fonda su una
visione formale e giuridica piuttosto che salvifica, e che inevitabilmente richiede o comporta la più cieca obbedienza al
vertice della Chiesa, ovvero al Papa in quanto garante dell'ortodossia, secondo l'enunciazione di Gregorio VII.
"catholicus non habeatur qui Romanae ecclesiae non concordat ".
Nel Nuovo Testamento le fondamenta della Chiesa sono poste sull'Amore, "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente; amerai il prossimo tuo come te stesso". È l'Amore impersonificato
dal Cristo: " Io sono la Verità" (Gv. 8,31 e 14,6) e si è nella verità quando, aderendo fedelmente (adhaerère - stare
unito, e non quindi concordare!) al Cristo, lo si accetta come modello assoluto per la propria vita.
Sull'argomento trattato in questa Lettera, è utile: Grado Giovanni Merlo, Le origini dell'Inquisizione medievale, in
L'Inquisizione. Atti del Simposio internazionale, Città del Vaticano 29-31 ottobre 1998, Edizioni Biblioteca Apostolica
Vaticana, 2003. (N. d. R.)
(90)
Per la legge canonica e civile, il battesimo era obbligatorio per chi nasceva da genitori battezzati. L'inosservanza
comportava la scomunica e pene severissime per i genitori. Il battesimo, infatti, era considerato sacramento di stato che,
nel riconoscere alla persona alcuni diritti, la rendeva soggetta oltre che alle leggi civili dei Tribunali ordinari, anche a
quelle coercitive canoniche dei Tribunali Vescovili o dell'Inquisizione. È su questa realtà che il nostro autore costruisce
il tutto il suo discorso apologetico. Cfr.: Elena Brambilla, Alle origini del Sant'Uffizio, Il Mulino, 2000. (N. d. R.)
(91)
In realtà la promessa è manifestata dai "padrini"! (N. d. R.)
(92)
Lib. 3. contr. Parmen cap. 2. num. 9.
(93)
De Civ. Dei lib. 18. cap. 51.
(94)
2. 2. q. 10. a 4.
34
È la rivelazione, di cui parliamo, al dire di S. Paolo, un raggio benefico di quell'increata
Sapienza, che insinuatasi prima per bocca de' profeti, poi per quella della Sapienza istessa incarnata
tra le caligini dell'intelletto dell'uomo debole per se stesso e reso anche più debole per le ferite
riportate dal primo peccato, dissipò le sue tenebre, ne rassodò le incertezze, e come insegna
l'Angelico
(95)
, fece sì, che presto e senza mischianza d'errori, arrivasse a scoprire con certezza quel
vero, che o non mai, perchè superiore in gran parte alla naturale attività d'un'intelletto creato, o
sempre assai lentamente per la nostra infermità e fiacchezza giunto sarebbe a scoprire. Anche gli
antichi filosofi hanno conosciuto la necessità ch'avevamo di un'ajuto superiore per investigar con
profitto le più utili verità, e per essere sicuri che i timidi nostri pensieri punto non si allontanassero
dal vero; ond'ebbe a dire Platone nell'Epinomide; Neminem pietatem docere posse, nisi Deus quasi
dux & magister praeiverit; e riporta nell'Alcibiade 2. il detto di Socrate, che vuole nihil tutius atque
inconsultius esse quam quiescere & expectare, donec aliquis didicerit quo animo & erga Deos &
erga proximos esse oporteat. E tra i moderni filosofi Montesquieu
(96)
confessa essere la luce della
rivelazione il maggior dono che l'uomo abbia ricevuto dal Cielo.
I molti errori che s'incontrano in tutti i sistemi di que' filosofi, ch'hanno vissuto fra le tenebre
del gentilesimo, confermano a meraviglia questa medesima verità: e n'avrebbono ammesso dei più
grossolani ancora e più perniciosi, se quella divina rivelazione, che fatta ai primi nostri progenitori,
e rinnovata poi nel lungo volger d'anni per bocca di santi legislatori e profeti, benchè nascosta per
qualche tempo tra gli angusti confini di una sola nazione, non fosse trapelata qualche poco al di
fuori, e non si fosse mostrata in qualche maniera ai più lontani e stranieri per impedire quegli sbagli
maggiori, nei quali sarebbono di leggieri trascorse le menti degli uomini abbandonati a se stessi.
Eusebio tra gli antichi nella Preparazione e Dimostrazione [29] Evangelica e Vincenzo Lirinense
nel Commonitorio, e tra moderni Uezio nella Concordia della Ragione colla Fede e l'Ansaldi nel
libro de Traditione principiorum legis naturae hanno dimostrato assai bene quant'abbiano tutti i
filosofi, e sapienti del mondo profittato in ogni tempo di questa luce divina, e quanta parte abbia
avuto in ciò che trovasi di ragionevole e giusto nei loro sistemi di mitologia e morale. Ma lampi
erano questi di luce imperfetta, che interrompevano, non dissipavano le loro caligini. A noi soli era
riserbata quella copiosa luce divina, che illumina perfettamente, e senz'abbaglio o incertezza scopre
ogni più utile verità; e compagna fedele di quelle grazie e forze superiori, colle quali non lascia la
provvidenza divina di porger riparo alle deboli forze di una natura già spossata ed inferma, fa sì che
l'uomo divenga di se stesso maggiore, e facile e pronto non solo a scoprire le più sublimi ed utili
verità, ma anche ad eseguire le più grandi e difficili imprese: e quel perfetto sapiente, che non seppe
mai produrre nè il Pecile nè il Peripato, nacque al primo spuntar di questa luce divina, e crebbe e si
moltiplicò in maniera, ch'ebbe luogo non solo nelle reggie più nobili, ma anche fra le più
sconosciute capanne. Ora il credereste! questa appunto è la luce, che l'Eretico non cura e disprezza;
quest'è quel lume divino ch'egli pospone al lume tenuissimo della ragione; e questi sono gli ajuti ai
quali si oppone con pertinacia e resiste: e potrà farlo senza colpa? e non sarà questa opposizione, in
un battezzato specialmente, uno de'delitti maggiori?
Un filosofo gentile, che non conosce la divina rivelazione,
se avviene che s'appigli ad un culto
superstizioso, e ch'ammetta un qualch'errore contrario alla stessa naturale onestà, non si oppone che
agli scarsi lumi della ragion naturale, che non è capace di preservarlo da ogni errore, ed a que'
sussidj comuni, de' quali nel presente ordine di provvidenza niuno vien defraudato. Non è così
dell'Eretico, che ha già gustato le dolcezze de' sovrannaturali favori, ed ha scoperto quel lume
superiore della divina rivelazione, che al dire di S. Paolo Apostolo
(97)
utilis est ad docendum, ad
arguendum, ad corripiendum, ad erudiendum in justitia, ut perfectus sit homo Dei ad omne [30]
opus bonun instructus. Egli si oppone non alla sola ragione, ma anche a questa luce divina, che
scopre a lui i più reconditi arcani della Sapienza eterna; vi si oppone a ragion veduta dopo d'averne
sperimentati i benefici influssi; vi si oppone con espressa malizia chiudendo gli occhj per non
(95)
Part. I. quaest. I. art. I.
(96)
Esprit des loix liv. 24. chap. I.
(97)
2. ad Timoth 3.
35
vederla; vi si oppone finalmente con incredibile malignità procurando d'avvilirla nella mente di
quelli che di buon grado l'accolgono. Quanti mancamenti in un solo! e quante ragioni per crederli
peggiori di tutti! Imperciocchè se commette un delitto chi disprezzando la luce della ragione e degli
occhj studiosamente s'ubbriaca e s'accieca, come sarà innocente chi odia questa divina luce, la quale
è tanto più pregevole di quella degli occhj e della ragione quant'è più pregevole la Sapienza increata
degli incerti e timidi nostri vaneggiamenti e pensieri? Come non crescerà in infinito il suo reato ai
dì nostri, ne' quali sì chiara risplende per ogni dove questa divina luce, e sono sì evidenti,
moltiplicati e sicuri i motivi d'incontrastabile credibilità, che l'accompagnano?
Ma niun'Eretico, direte voi, disprezza con avvertenza la divina rivelazione, e si scosta a ragion
veduta da' suoi divini ammaestramenti: chè pazzo e non Eretico dovrebbe chiamarsi chi non volesse
ascoltare un Dio che parla, e lo riputasse capace di spargere errori e menzogne. Chi non ammette le
verità rivelate, non è perchè creda Iddio bugiardo, o non voglia ascoltarlo, ma perchè non sa bene se
abbia parlato, o in qual senso si debbano intendere le sue parole; ond'è che sembra doversi
paragonar piuttosto a chi facendo l'uso possibile della ragione ha la disgrazia di non discernere il
vero, e di giudicare per fatale necessità d'inevitabile ignoranza conforme alla rivelazione ciò che vi
contraddice e ripugna, di quello che debbasi assomigliare a colui che a bella posta s'impazzisce o
s'accieca. Ma voi avete ben diverso concetto da quel che meritano e la rivelazione e gli Eretici, se
credete che o quella nata ad illuminare ogni uomo del mondo possa restar nascosta a chi la cerca
con sincerità e premura, o questi siano incapaci di creder Dio bugiardo nelle sue istruzioni e di
rispondere a lui cogli empj di Giobbe; recede a nobis; scientiam viarum tuarum nolumus
(98)
, quanto
alla forza della rivelazione ve l'ho accennata [31] testè con S. Paolo: quanto alla malvagità degli
Eretici oltre agli empj, de' quali parla il sagro libro di Giobbe, non hanno avuto scrupolo di ripeterlo
i Priscilianisti, i Davidiani e gli Armeni discepoli d'Eutiche e di Dioscoro, e tant'altri settarj, che
potrete incontrare nelle più accreditate storie dei loro errori. Ma quand'anche niuno d'essi o pochi
avessero voluto così delirar con costoro, credete voi per questo d'avere avvantaggiato molto a
favore degli altri increduli, e di poterli far comparire per ciò meno colpevoli? V'ingannate di molto
se così la pensate; e la vostra risposta altro non fa che scoprire in costoro una nuova sorgente di
reità e malizia. Se non ricusano questi di ammettere la divina rivelazione, si mostrano almeno
rivoltuosi e ribelli a quell'immancabile autorità, che Dio ha stabilita qui in terra a nostra sicura
scorta e governo: e mentre cercate di liberarli dal delitto d'aver credute bugiarde le divine parole,
non lasciate di condannarli come colpevoli d'aver riputate infedeli le sue promesse; col solo divario
che se quello è delitto di alcuni, quest'è comune a tutti i settarj, e si può dir di tutti ciò che scrive S.
Agostino a Dioscoro
(99)
, conatur ergo auctoritatem stabilissimam fundatissimae Ecclesiae quasi
rationis nomine & pollicitatione superare. Omnium Haereticorum regularis est ista temeritas.
Non ha Iddio soltanto parlato all'uomo, nè si è degnato solo di scoprire al medesimo le più utili
verità e la maniera di quel culto, col quale vuol'essere onorato; ma ha anche stabilito nella Chiesa il
custode ed interprete delle sue rivelazioni: e siccome a rendere nelle civili repubbliche più
vantaggioso il lume della ragione ha voluto, che fosse affidato alla pubblica più illuminata podestà
il diritto d'interpretarne i dettami, e di prescriverne alle soggette persone i più precisi doveri; così a
rendere più vantaggiosi ai Fedeli i lumi della rivelazione ha stabilito la sacra sacerdotale podestà,
cui ha commesse le parti di conservarne con gelosia il deposito, e d'interpretarne occorrendo i sensi
oscuri, e di proporli e diffonderli per ogni parte dell'Universo; e quest'autorità è di quelle tanto più
rispettabile e pregevole, quanto maggiori sono i privilegi, dei quali l'ha voluta arricchire. Ella nasce
da Dio immediatamente, che vestito di mortale spoglia l'ha comunicata colla stessa sua voce agli
[32] Apostoli, e quel rito ha istituito, pel quale doveva essere trasferita nei successori; nè è ristretta
a sole cerimonie esteriori, o a certi luoghi e nazioni, nè soggetta ad umane mutazioni e vicende; ma
si stende sino a cancellare i peccati, abbraccia nel vasto suo seno tutta la terra, e niuna forza o
potere può prevalere contro di lei, che spalleggiata dalle divine promesse non sarà mai per cessare
sino alla consumazione de' secoli. Doti tutte o quasi tutte, che mancavano al sacerdozio levitico, e
(98)
Cap. 21. vers. 14.
(99)
Epist. 118. al 56. cap. 5. n. 32.
36
mancano molto più a qualunque podestà temporale, che per quanto suppor si voglia elevata e
sublime non eccederà mai l'ordine della natura, sarà sempre ristretta tra brevi confini di poche genti
e nazion, e soggetta alle umane vicende. Posto ciò, che non può essere chiamato in dubbio da chi ha
letto il vangelo e scorsi i primi elementi dell'una e dell'altra storia, io non cerco che la buona fede in
chi m'interroga se commette un delitto colui che si vanta d'intendere meglio della Chiesa la divina
rivelazione, o di spiegarla con eguale autorità e sicurezza. Divien reo di delitto gravissimo quel
suddito, che al sentir pubblicare la legge del suo sovrano ne mormora e la taccia d'irragionevole ed
ingiusta; e resterà innocente un'Eretico, il quale non solo non s'acquieta alla voce della Chiesa che
istruisce o spiega la divina parola ma con insoffribile temerità asserisce che più vagliono i suoi lumi
di quelli ch'essa dice d'avere da Dio, e ch'egli solo non s'inganna, e travede la Chiesa? Era
meritevole di riprensione e condanna quell'Ebreo, che al sorgere qualche dubbio sull'interpretazione
dell'antica legge si regolava a capriccio; e molto più se dopo avere interpellato il parere del
Sacerdote, come aveva prescritto Mosè, ricusava di consentirvi; e sarà innocente un Cattolico, che
ne' suoi dubbj o non consulta l'oracolo infallibile della Chiesa, o lo disprezza? La cosa è così
manifesta, che non merita maggiore schiarimento.
Non è però in questi incontri vilipeso il solo magistero, del quale Gesù Cristo ha voluto
arricchire la sua Chiesa; ne soffre ancora quella podestà di regime e governo, della quale l'ha fornita
egualmente. Ella non solo insegna le verità rivelate, ma unisce l'autorevole sua voce a quella del
Redentore, e comanda ai suoi figli di crederle con ogni docilità e prontezza: ed il trasgredire questa
legge con pertinacia è un non far conto della sovrana sua autorità, e tutto restringere il suo potere ad
uno sterile e debolissimo magistero, So [33] che la maggior parte dei Protestanti ch'hanno scritto sul
diritto e civile e canonico ricusano d'accordare il nome e valore di pubblica legge all'ecclesiastiche
disposizioni, se pure non vengano confermate dall'autorità del sovrano, cui solo accordano il potere
di promulgarle: ma io credo la loro opinione un'error manifesto contrario a quella suprema podestà,
che Gesù Cristo medesimo ha stabilito nella sua Chiesa, allor che disse a S. Pietro di pascere il suo
Gregge, e consegnò a lui le chiavi del regno de' Cieli; e credo quest'opinione non meno di tant'altre
loro bestemmie parto infelice di quella miscredenza, che li accieca. Non è la Chiesa una società
meno perfetta dell'altre; non è dell'altre meno ordinata, e visibile; non meno autorevoli adunque
esser debbono que' superiori che la governano, pubblici e palesi que' vincoli, che la stringono
esteriormente, inviolabili i doveri che l'accompagnano: ed è da credersi assai più sprezzatore di Dio
e de' divini comandamenti chi disprezza i sagri Pastori ed i loro comandi, che chi disprezza il
sovrano e le civili sue leggi. Si chiami pure come più loro aggrada un tale comando: chè non è
questo il luogo di disputare sulla legislativa podestà della Chiesa; niuno potrà negarmi che
incontrino i Fedeli un preciso dovere di obbedire alla Chiesa allorchè definisce e propone le
cattoliche verità, senz'aspettare altre approvazioni e conferme. La sua voce non è che la voce di
Gesù Cristo: Qui vos audit, me audit. Ed anche prima che i sovrani fossero in disposizione di
approvare le celesti sue leggi, Dio ha intimato a tutto l'uman genere di credere sotto pena di morte
eterna: e la Chiesa interprete fedele della divina volontà sotto gravi pene anche temporali ha
rinnovato così utili prescrizioni a tutti i Fedeli. Qui non crediderit, condemnabitur; così Gesù Cristo
in S. Marco
(100)
: e si hanno poi su questo proposito tante regole conciliari, e tanti canoni apostolici,
quante sono le dommatiche definizioni, che proscrivono gli errori e sotto gravissime pene
proibiscono di adottarli; ed a queste proibizioni hanno sempre prestata la dovuta obbedienza tutti i
buoni Fedeli, nè v'è che il solo Eretico che abbia la temerità di contraddire. Chi può dunque recare
in dubbio, che costui oltre il divin magistero non ponga in non cale l'autorità della [34] Chiesa, e
colla divina rivelazione anche i comandamenti di lei non vilipenda e calpesti? Ma v'è anche di più; e
dopo d'avere conculcato con piè villano sì ricchi doni del cielo s'inoltra, come v'ho detto, con
gigantesca temerità, per servirmi dell'espressione di S. Atanasio
(101)
, ad insultare Iddio stesso sul
trono della maggiore sua gloria, e lo insulta non solo col disprezzare i suoi doni e precetti ma, collo
sfigurarne la perfezione e grandezza, e di sommo bene qual'è ne fa un difforme impasto
(100)
Cap. 61. vers. 16.
(101)
Orat. 2. contr. Arianos n. 32.
37
d'imperfezioni e difetti, qual sa figurarlo l'alterata sua immaginazione e capriccio. Peccano contro
Dio tutti i malvagi, come si nota ne' Maccabei
(102)
; ma l'incredulo se la prende contro di lui con
petulanza maggiore, e lo investe e combatte direttamente nel maggior pieno di sua maestà e
splendore, e, come si esprime S. Gioanni
(103)
, omnis, qui recedit & non permanet in doctrina
Christi, Deum non habet. Scorrete le storie di tutti i tempi, e vedrete la Divinità resa bersaglio del
furore e deliri di tutti gl'increduli. Avevano i Gentili confuso Iddio colle mondane cose; e
sembrando loro d'averlo ovunque sottocchio, lo andavano moltiplicando in tanti Dei, quanti aridi
tronchi e pietre insensate capitavano loro tra le mani: ma dissipò un'errore così grossolano
l'evangelica predicazione, e mostrando l'insussistenza e ripugnanza di quest'immaginazione, restituì
la Divinità all'essenziale sua unità; ed ora o più non vive un vero e puro Idolatra dovunque penetrò
questo raggio di celeste sapienza, o vive sepolto nel meritato disprezzo. Ma che fece egli mai a
questa scossa l'irreconciliabile emulo insidioso della Divinità, che più non potè nascosto tra i sassi e
delubri usurparne gli onori? Invece degl'idoli già troppo screditati e derisi moltiplicò, dice S.
Agostino
(104)
, le sette o settarj; e colle obbrobriose invenzioni di costoro recò ad essa un'ingiuria
maggiore di quella, che le avesse fatto in addietro colla superstizione di tanti idolatri: videns
Diabolus templa Daemonum deseri, & in manum liberantis Mediatoris currere genus humanum,
Haereticos movit, qui sub vocabulo christiano doctrinae resisterent christianae. Negarono la
Trinità delle divine Persone i Patripassiani, l'unità dell'essenza i [35] Triteiti, e le sua spiritualità gli
Antropomorfiti; ed ora l'uno ora l'altro prendendo a combattere de' suoi divini attributi, chi ne
impugnò la giustizia come i Marcioniti, chi la perfezione infinita come i Sociniani, chi l'immensità
come i Manichei, chi l'onnipotenza come i Seleuciani, chi per ultimo la provvidenza come i
Marcioniti e Priscillianisti. E se gli Ariani, i Nestoriani, gli Apollinaristi ed Eutichiani non presero
di mira che il mistero dell'incarnazione, negando i primi la divinità del Verbo divino per negar
quella di Gesù Cristo, impugnando i secondi la sua umanità sagrosanta, gli altri l'ammirabile unione
delle due nature; e se infiniti altri Eretici e settarj hanno combattuto ostilmente la grazia, la libertà, i
sagramenti e la Chiesa, non furono costoro alla Divinità meno ingiuriosi ed infesti. Sono stati
anch'essi furiosi giganti, ch'hanno alzato l'ardito capo contro l'Altissimo, non solo perchè hanno
diffidato della veracità e della fedeltà delle sue parole e promesse, ma anche perchè questi medesimi
errori o sono nati o sono andati a parare per ultimo in molti altri, che lo ingiuriano e difformano
ugualmente. Anche di questi si può dire con verità ciò che S. Agostino
(105)
dice di tutti gli Eretici in
generale, che de Deo falsa sentiendo ipsam Fidem violant. Non possono essere nè corrotti nè posti
in dubbio i misteri della Trinità, dell'Incarnazione e della Grazia, non può essere impugnata la
necessità de' divini ajuti, l'umana libertà, le ricompense future e qualunque altra verità, che crede e
professa la Fede cattolica, senza che Dio divenga crudele ed improvvido, senza che ne soffra la sua
superiorità ed eminenza sopra tutto l'ordine intero delle create cose, e senza che vengano preferite
alle sapientissime sue disposizioni le incerte provvidenze dell'uomo. Ed in vano distinguono alcuni
gli articoli fondamentali, per dividerli dalla condizione degli altri che chiamano non fondamentali:
che oltre all'ingiurie certissime che recano alla rivelazione ed alla Chiesa coll'abbandono che fanno
di qualunque verità che la Chiesa proponga come rivelata da Dio, strapazzano anch'essi in qualche
modo la Divinità; non essendo possibile che cada una sola delle divine parole senza che ne soffra la
maestà di quel Dio, che l'ha proferita coerentemente alla sua perfezione e grandezza: ed a ben
riflettere, tutto ridonda [36] in fine a suo avvilimento e disdoro; ed è verissimo ciò che insegna S.
Tommaso
(106)
, che quicumque non est firmus in fide Dei, quantum in se est derogat gloriae Dei, vel
quantum ad ejus veritatem, vel quantum ad ejus potentiam. Da queste premesse hanno sempre
dedotto i nostri Maggiori la sorprendente reità dell'Eretico, la quale, come in ogni altro misfatto,
così in questo non può non essere proporzionata agli oggetti che va a ferire. Non mancano molte
(102)
Maccab. Cap. 7.
(103)
11. Joan. v. 9. 10.
(104)
De Civit. Dei lib. 18. cap. 51.
(105)
De Fide & Symbolo cap. 10. num. 21.
(106)
ad Rom. cap. 4. lect. 3.
38
altre sorgenti di reità capaci di renderla sempre più grave e detestabile: siccome però niuna ve n'ha
che superi l'energia e la forza dell'oltraggio fatto alla divina maestà, e in lei va a finire per ultimo
ogni altr'ingiuria e strapazzo; così non mi credo in dovere di diffondermi di più su questo
argomento, ben persuaso che il solo detto sin qui possa bastare a rendervi convinto che l'eresia è un
delitto gravissimo, e che somma esser deve in tutti la premura di tenersi ben lontani da un mostro sì
orribile. Continuatemi il piacere, de' vostri comandi, ch'io sono
39
LETTERA QUARTA.
L'Eretico riesce assai pernicioso alla religiosa
società de' Fedeli.
empre più chiaro si mostra, amico carissimo, il grave pregiudizio che vi ha recato la lettura de'
libri cattivi. Prima di questa a farvi confessare che l'Eresia è un gran delitto sarebbe bastata la
sola serie di quelle leggi civili, che vi ho accennata nell'altra mia, le quali l'hanno per tale
riconosciuta. Ora più non basta; e niente commosso neppur da quelle molte e gravissime reità, che
alla suddetta serie ho aggiunte nella stessa lettera, prima di confessarla tale desiderate sapere se reca
o no alcun danno alla società. Avete letto su varj libri che questo solo diffonde a larga mano la
ragione di reità nelle azioni umane; e pare a voi di non potervi scostare da questi principj senza far
torto a gravissimi autori che li hanno adottati, e tutti non sono protestanti ed increduli. Io però credo
che questi autori medesimi non si sarebbono mostrati giammai, almeno tutti, così facili nell'adottare
siffatti principj, e molto meno sarebbono stati da voi approvati, se aveste riflettuto un pò meglio
quanto poco si scostino dalle massime de' perfidi Donatisti. Anch'essi hanno mostrato talvolta
d'avere il vostro scrupolo; e per puro amore della pubblica tranquillità e salute accordavano a S.
Agostino che fosse lodevole cosa che gli adulteri, i forti e gli omicidj non andassero impuniti tra
noi, ma non volevano che si occupasse l'umana giustizia in castigare gli Eretici; si sacrilegus sum, a
te occidi non debeo, quest'era il loro generale principio; e distinguendo per tal modo dai delitti i
peccati, a quelli soli estendevano l'umane coazioni, perchè infesti alla società, non a questi che
riuscivano solo ingiuriosi all'Altissimo. Volete voi delirar con costoro. E perchè qualch'altro meno
cauto scrittore non è stato sì facile a scoprire, o si è mostrato meno pronto a scansare insidie tanto
pericolose e sospette, volete ammettere anche voi una tale distinzione, e volete di più abusarne a
segno da non riconoscere alcuna colpevole reità in quelle azioni che non offendono che l'infinita
maestà del Nume supremo. [38] So che anche i dottori cattolici hanno distinto talvolta dai delitti i
peccati, ed hanno assoggettati i soli delitti al foro umano esteriore riservando i peccati alla sola
severità del foro ulteriore e divino: ma sono assai diversi i principj, dai quali derivano essi le loro
giuste massime, da quelli dai quali partono gli ereticali deliramenti. Distinguono gli Eretici dai
delitti i peccati, perchè nulla valutano l'offesa di Dio e della Chiesa, ed hanno per nullo ogni
disordine quando non va a ferir la civil società. Li distinguono i SS. Padri, perchè sanno che non
tutti i peccati sono della medesima gravità e capaci d'essere scoperti da occhio umano: e senza
lasciare impuniti i minori, che non cancellati in vita incontrano dopo la morte il proporzionato
castigo, e senza trascurare i puri interni ed occulti, che soffrono anche tra noi i rigori di quel sagro
tribunale interiore che è destinato a punirli, riservano il nome di delitto e l'azione, de' tribunali
esteriori per que' soli più gravi e sensibili, che meritano e le divine e le umane animavversioni e
vendette. In questo senso ha detto S. Agostino nel definire il delitto, crimen est peccatum grave
accusatione & damnatione dignissimum,
(107)
e S. Tommaso ha soggiunto, che aliud est crimen,
aliud est peccatum. Peccatum dicitur quodcumque sive magnum sive parvum sive occultum. Crimen
autem magnum est & infame
(108)
. Niuno però di loro ha preteso di spogliare qualunque peccato della
competente reità punibile, almeno dalla divina vendetta quando o è nascosta o mal corrisponde alle
forze ed abilità dell'umana legislazione, e tutti li hanno creduti punibili da questa istessa, anche
senza riguardo ai danni della società, quando o per la natia loro gravità o per la loro notorietà o per
altre visibili circostanze che li accompagnano esser possono di sua ispezione e diritto. Ogni altro
motivo di distinzione tra delitto e peccato è vizioso: e niuno vi ha tra i SS. PP. e dottori cattolici, il
quale, prescindendo ancora dai danni della società, non abbia annoverato tra le colpe meritevoli de'
(107)
In Joann. Evang. tract. 41.
(108)
Lect. 2. comm. in epist. ad Tit.
S
40
più gravi castighi quelle che portano seco grave scompiglio e disordine, e quelle in modo speciale
che la maestà offendono del sommo Bene. Ed il volere che il diritto di quelle [39] autorità, che Dio
ha disposte a reggere l'uman genere, e come si esprime S. Paolo, a punire ogni disubbidienza e ad
intimorire i malvaggi dipenda dal solo danno che ne risente qualunque siasi società è lo stesso che
voler loro accorciar quella spada, che non portano senza ragione, e volere spezzar quella verga che
ha posto in mano de' Pastori per condurre per via di un timor salutare le Pecorelle di Gesù Cristo a
salvamento, è un pensare in somma, ed un discorrere al rovescio di quello che hanno fatto tutti i
nostri Maggiori. Non erano ancora nati costoro, dice S. Agostino
(109)
dei Donatisti infetti di
quest'errore, quando Mosè sopportò pazientemente le ingiurie fatte a se stesso, ma vendicò con gran
severità e riputò delitto gravissimo l'oltraggio fatto alla Divinità; fraudata sunt tali magisterio
tempora antiqua. Nondun eras natus, quando S. Moyses injurias suas lenissime pertulit, Dei vero
severissime vindicavit. E si ha da varj testi di leggi e civili e cononiche riportati da Lodovico
Montalto
(110)
, che si ea, de quibus Deus vehementer offenditur, insequi vel ulcisci differimus, ad
iracundiam utique Divinitatis patientiam provocamus. Le quali parole non solo abbracciano la reità
della quale parliamo, ma accennano anche il motivo di offesa divina maestà, che abbiamo indicato
per sostenerla, ed escludono la ridicola distinzione, che sulle traccie di varj Protestanti ed anche di
varj Cattolici impugnatori del tribunale del S. Officio fa il Bartolotti
(111)
, de' tempi di Mosè dai
tempi nostri. Di questi parlano i canoni e S. Agostino: e se si ammette che Dio sia adesso, come lo
fu ai tempi dell'antica alleanza, un sommo Bene che merita ogni culto e rispetto, fuor d'ogni ragione
pretende costui, che allora solo fosse un delitto l'oltraggiarlo, e non lo sia al presente. Sogni son
questi di chi ha una cattiva causa per le mani, e cerca pretesti e cavilli per sostenerla. Le addotte
autorità non fanno distinzione alcuna tra questi tempi; ed io non dubito di ripeter con esse, che basta
la sola gravissima ingiuria che fa l'Eretico alla divina maestà per annoverare la sua colpa tra i delitti
maggiori.
Siccome però servir possono a confermare questa reità i loro [40] stessi principj; tanto sono e
vani nelle loro immaginazioni ed incoerenti nelle loro deduzioni; così io non ricuso di secondarli
colla fondata speranza di farli cadere da quelle stesse balze e dirupi ai quali s'arrampicano per
sostenersi. Si ricerchi pure, com'essi vogliono e pare che voi pretendiate, alla ragion di delitto il
danno della società; ma se questo è inevitabile, non mi si neghi poi che sia delitto l'eresia, che in
tante guise lo procura e cagiona. Non mi servirò per dimostrarlo del solo pericolo, cui resta esposta
una società, nella quale si soffre un sì grande eccesso, e d'essere privata di que' beneficj maggiori,
che la divina bontà tien riservati pe' suoi più cari, e d'essere colpita da que' castighi esemplari che
incontra spesso anche tra noi chi colle colpe si scosta dalla sorgente d'ogni bene, da cui solo si
possono aspettare se amica, favori e vantaggi, e si devono temere le più severe punizioni se
oltraggiata: chè ben m'avvedo quanto poco vagliono nel cuore de' miei contradditori le tremende
bensì ma segrete ed invisibili disposizioni della divina provvidenza: ma que' soli danni accennerò in
breve, che offendono la società direttamente.
Voi non potete negare alla Chiesa il carattere della migliore tra tutte le società. Le poche cose,
le quali vi ho accennale finora, ed il solo riflettere ch'ella è stata in ispecial modo istituita da Dio, e
che i fortunati suoi membri per le vie da lui segnate e disposte aspirano non ad una temporale e
terrena ma ad un immortale felicità, bastano a farne concepire l'idea più vantaggiosa. Dio è capo di
questo popolo in una maniera assai più perfetta e magnifica di quello lo fosse ai tempi di Mosè del
popolo eletto: più sagri e preziosi sono quei nodi che uniscono le membra a questo capo, e più
copiosi e sublimi i benefici influssi che in loro derivano: e tant'egli si compiace di questo nuovo suo
popolo, che ne fa la sua delizia, e si è protestato di voler restare con esso in eterno. Merita dunque
quest'ammirabile società il riguardo almeno, che dai contradditori s'accorda ad ogni altra che non
aspira che alla mondana felicità, non è istituita e regolata che da umane disposizioni, e non ha che la
(109)
cont. Gaudentium lib. 1. cap. 19.
(110)
tom. 14. Tract.Illlust. JCtor. art. 4. num. 29. & 30.
(111)
Esercit. sop. la toller. cap. 2.
41
general provvidenza che la spalleggi ed assista. Nolle, diceva S. Agostino
(112)
, Ecclesiae primas
dare, vel summae impietates [41] est, vel praecipitis arrogantiae. Ma qual riguardo ha mai l'Eretico
per questa nobile società, se non pago d'ingiuriarla con disprezzare, come v'ho detto nell'altra mia,
le celesti sue istruzioni e comandi, in mille altre guise l'oltraggia, e ne' suoi figli ancora e nella sua
giurisdizione, e nella mirabile sua economia e struttura l'insulta e danneggia assaissimo? La fatale
ruina che reca a se stesso riesce a lei di non piccolo pregiudizio; che basta in una società, al dire di
Seneca, il danno di un solo, perchè resti offesa: Nefas est, dic'egli
(113)
, nocere patriae; ergo civi
quoque; nam hic pars patriae est. Sanctae partes sunt, si universum venerabile est. Ma che sarà poi,
se tant'oltre s'avanza il suo ardire, che dopo d'averle in tal guisa trafitto il seno furibondo s'avventa
contro gli altri suoi figli, e con nuovi danni irreparabili ne fa rio scempio e governo, e la Chiesa
tutta, dice S. Girolamo
(114)
, quasi orribil tempesta devasta e saccheggia: Quis enim Haereticorum,
quorum princeps Diabolus est, non quasi tempestas venit contra Ecclesiam, & nube verborum
suorum simplices quosque credentium opprimere, & operire non festinat?
Ossia che gli Eretici cerchino nella molteplicità dei sedotti compagni qualche alleviamento a
quei contrasti, che soffrono nella coscienza pel già fatto abbandono, o che la loro superbia, la quale,
al dire anche di S. Pietro
(115)
, è la compagna indivisibile dell'empietà e dell'errore, non sia mai sazia,
se non si vede intorno una folta schiera d'adulatori e seguaci; certa cosa è, che tutti gli Eretici in eo
se lucrum, sono parole di S. Girolamo
(116)
, putant consequuti, si alios decipiant, & ipsi perditi
coeteros perdant. Qualunque errore in materia di Religione misto alla pura farina delle cattoliche
verità, che sta rinchiusa come in una fedelissima arca nel cuore dei veri credenti, è un fermento, che
tutta l'altera e corrompe, come scrisse S. Paolo ai Galati
(117)
, è una schifosa cancrena, come
soggiunge lo stesso a Timoteo
(118)
, che tutte guasta e corrode le vive carni che le stanno d'intorno, e
scorre e serpeggia insidiosa, e porta ad ogni parte del corpo l'infezione; è una peste in somma, un
contagioso malore, un fuoco desolatore, che involge nelle voraci sue [42] fiamme quanto gli si para
dinanzi, e tutto incenerisce e consuma. Potrei mostrarvelo con esempj presi dalle storie degli antichi
Eresiarchi, di Ario specialmente e di Nestorio, gli errori dei quali tanto si dilatarono nei primi secoli
del cristianesimo, e colle a noi più vicine de' Protestanti in Germania; ma lo credo inutile e perchè
sono troppo noti i funesti avvenimenti, e perchè abbiamo tuttora sotto degli occhi la dolorosa
tragedia.
Nè mi dite, che consimili funeste tragedie sono da temersi se si tratta di Eretici illuminati e
colti, che sanno col loro sublime talento vestire delle divise di verità le più screditate menzogne, e
possono insinuarle con efficacia negli animi almeno inconsiderati e men colti; ma che non ha da
temer la Chiesa alcun danno da semplici donnicciuole e gente plebea, qualora venisse loro in capo
di spargere qualch'errore contrario alle cattoliche verità, e che le massime di queste restano
screditate dalla loro stessa viltà, e l'ignoranza in cui vivono fa sì che non possano inventare che
sistemi incoerenti, nè addur prove che affatto insussistenti e ridicole. Non lo dite di grazia, che
troppo digiuno vi mostrereste di tutta la storia. Ella è cosa per verità assai umiliante per l'umana
superbia, e sarebbe forse anche incredibile, se non provassimo in mill'altre guise i tristi effetti di
quelle perdite, che ci sono derivate pur troppo dal fallo del primo padre; ma pure è verissima, e ce
ne assicurano le più veridiche storie, che non bastano i difetti e la viltà delle persone, che hanno o
inventato o adottato gli errori, per renderli meno plausibili; e la sciocchezza istessa dell'Eresie più
ripugnanti e spregevoli non è stata bastevole ad impedirne lo spaccio. Simon mago padre di tutti gli
Eretici non fu al dire di S. Luca
(119)
che un vilissimo prestigiatore; eppure unito ad un'infame
prostituta potè sovvertire gran parte della Samaria, della Fenicia e del Lazio, e stendere la seduzione
(112)
de Util. Cred. Lib. 17.
(113)
De Ira lib. 2. cap. 31.
(114)
in Ezechielem cap. 38.
(115)
Epist. 2. cap. 2. vers. 18.
(116)
In Isa. cap. 19
(117)
cap. 5. vers. 9.
(118)
2. ad Timoth. Vers. 17.
(119)
act. 8. ver. 9.
42
sino al quarto secolo, Fu incostante Cerdone, e lo attesta S. Ireneo
(120)
, il quale ciò non ostante seppe
sì bene ravvivare le già più volte abbiurate eresie, che non vi volle di meno della vittoriosa penna
del Vescovo S. Apollonio per atterrarle. Barbaro di Ponte Eusino fu Marcione, immo et bestiis illius
barbariae importunior, come lo chiama Tertulliano
(121)
; ma che non fece di [43] sorprendente,
esiziale e durevole a danno della cattolica Religione, se rivive anche ai dì nostri il suo primario
errore in molti filosofi increduli? Montano o le lascive sue profetesse, a detta di Eusebio
(122)
, non
ispiravano che mollezza, lusso e vanità; eppure fra quest'apparato d'inezie nemiche implacabili della
fortuna e del buon concetto alzò ardita la fronte il loro errore e si dilatò ampiamente. Teodoto non
fu che un vile cuojajo ed un'ingordo cambiator di moneta il suo compagno, come leggesi presso S.
Epifanio
(123)
; ma non fu per questo meno felice l'incontro ch'ebbero i loro errori nell'Egitto, nella
Palestina e nella Siria. E Filumena, Margherita e Figebrida non furono vilissime prostitute? eppure a
queste non meno che agli autori è da attribuirsi la propagazione delle infami sette degli Apelliani in
Roma, de' Beguini in Lombardia, de' Luterani in Danimarca. Fu vile d'estrazione Giovanni Hus, e
più vile di lui il mendico Roquesan suo fido discepolo, che sparsero tanta seduzione, e fecero sì
grandi rumori in Boemia. E quel Besoldo, ch'ebbe l'abilità di farsi riputare uno de' capi principali
degli Anabattisti corrompitori indegni di sì gran parte dell'Alemagna, che altro fu egli che un
rattoppatore olandese? E quello, che il primo portò la calvinistica cena in Ginevra, non fu Guerino,
uomo anch'egli vilissimo, come uno scardasciere di lana l'aveva già introdotta in Francia? Si veda
Tertulliano
(124)
, Selvaggio Canturano
(125)
, Battaglini
(126)
, il Varillas
(127)
e Renato Rapini
(128)
, che ne
riportano le obbrobriose memorie; e non si tema, se è possibile, la seduzione di costoro da
qualunque fecciosa sorgente derivi ed in qualunque infame tugurio si asconda.
Succede lo stesso per rapporto alla qualità degli errori, che anche nauseanti e ridicoli non
cessano d'ottenere talvolta favorevole incontro. Non si poteva ideare cosa più laida ed
abbominevole dell'Eresia dei Gnostici e Nicolaiti; eppure questo pessimo fermento guastò gran
parte del Mondo, e non mai estinto del tutto sotto mill'altre forme e divise di Manichei, di [44]
Valdesi, d'Adamiti, di Turlepini e Fossarj comparve in varj tempi, e regna pur troppo anche ai dì
nostri in tanti libertini ed increduli, che offuscano il bel candore del cristianesimo. Erano ridicoli e
fantastici gli spropositi di Valentino; eppure trovarono tanti seguaci, che divisi in varie sette
riempirono il mondo di platonici vaneggiamenti. Crediate pure, amico carissimo, che è una vana
lusinga di pretendere che gli Eretici, per quanto vili e screditati essi siano, e per quanto
abbominevoli siano i loro errori, restino pacifici nel loro nido senza che cerchino di dilatarsi.
L'eresia di qualunque condizione ella sia, è una scintilla, che presto divampa e produce vastissimi
incendj, e riesce a' buoni Fedeli e a tutta la Chiesa di gran danno e rovina; ed all'abilità di cui sono
privi i vili ed ignoranti suoi inventori e seguaci, e alla verisimiglianza e decenza, che manca ai loro
errori, supplisce pur troppo il Demonio, che, com'assicura S. Agostino
(129)
, ha nel loro cuore la sua
sede, e al dire di S. Paolo
(130)
, operatur in filios diffidentiae, e sa dare anche alle tenebre sembianza
di luce a danno gravissimo e delle Fede e della società de' Fedeli: ond'è che S. Tommaso non senza
ragione paragona gli Eretici ai monetarj falsi, i quali con mentite sembianze di veri impronti e
metalli viziano la moneta, che è uno de' principali sussidj ed il mezzo più utile al sostentamento
della vita temporale. Turbano anch'essi, dice l'Angelico
(131)
, per ugual modo la cattolica società de'
(120)
lib. 3. cont. Haeres. Cap. 4. n. 2
(121)
lib. 1. cont. Marc. Cap. 1.
(122)
lib. 5. Hist. cap. 17.
(123)
Haer. 5A. & 55.
(124)
Praescript. cap. 36.
(125)
Storia de' primi tre secoli §. 4.
(126)
Storia univ. de' Conc. di Vienna numero 5.
(127)
Hist. des Revolutions pag. 88.
(128)
Artifizj degli eretici edit. Paris. 1681.
(129)
Enar. in Psal. 103.
(130)
Ad. Ephes. Cap. 2. ver. 2.
(131)
2. 2. quaest. 11. artic. 3.
43
Fedeli con guastare la Fede che è il primo alimento dell'anima, e dopo aver fatto quasi astuti falsarj
circolare di nascosto il metallo fregiato della falsa impronta del loro capriccio, cresciuti di numero
lo spacciano alla scoperta, anzi divenuti, come si spiega Gregorio IX. di volpi insidiose quasi cavalli
indomiti tutta devastano la vigna evangelica: hactenus... velut vulpes latenter nitebantur vineam
domini demoliri... e poco dopo... in aperto quasi equi parati ad praelium praesumunt manifeste
insurgere contra eam
(132)
; e tali saranno sempre, finchè il padre della bugia li accieca, e infonde in
essi uno spirito di superbia e partito; e la Chiesa, e la nobilissima società de' Fedeli avrà da loro
tante scosse e ferite, quanti sono i colpi che o di nascosto [45] o scopertamente avventeranno
costoro per rovinarla, non meno pregiudicevoli allorchè furibondi l'assalgono alla scoperta di
quando insidiosi procurano di nascosto la sua rovina: che non si dilati meno, al dire di S.
Girolamo
(133)
, l'eresia de' sfrontati Ariani, Eunomiani e Macedoniani di quella de' Pelagiani
insidiosi; Eunomiani, dice egli, Ariani, Macedoniani nominibus separati impietate concordes
nullum vobis laborem faciunt, loquuntur enim quod sentiunt. Sola haec haeresis est, quae publice
erubescit loqui, quod secreto docere non metuit... Ideo
crescit vestra haeresis, et decipitis plurimos.
Non è però la sola perdita de' figli diletti che la riempie d'amarezza: soffre moltissimo anche
nel pieno della stessa sua maestà degradata dalla loro perfidia dal rango della più nobile e perfetta
società, che sussista fra noi, alla condizione della più abbietta adunanza. Vibrano costoro i loro
colpi spietati contro quel celeste diadema, che la rende regnante in cielo, venerabile in terra e
formidabile fin negli abissi. S'avventano alla sua destra, e le strappano di mano quello scettro, che
l'ha resa in ogni tempo sì venerata e temuta: assalgono il trono, e procurano di privarlo di tutti que'
beni e presidj, che sono necessari allo spirituale e temporale suo sostentamento e decoro; e poco
manca che di ammirabile fattura qual'è di una Sapienza infinita, non la traducano qual parto
illegittimo dell'umana avarizia e politica; e di amica e direttrice d'ogni altra legittima società, non la
rendano schiava e vassalla di tutte. Non hanno, è vero, il loro intento così enormi attentati: chè non
possono le porte d'Averno prevalere contro di lei; ma qual non soffre danno e discapito dalle
continue opposizioni che si fanno a tanti suoi pregi incontrastabili? qual non soffrono
adombramento le risplendenti sue glorie fra tante calunnie, che vanno spargendo contro i suoi
regolamenti e ministri? fra quali angusti confini non viene ristretta quella luce divina, che è stata
accesa dalla sovrannaturale provvidenza perchè risplenda, si diffonda e produca frutti d'eterna vita
in ogni parte del mondo? e tanti danni gravissimi non vinceranno al paragone ogni più enorme
attentato, che mover possa l'umana malizia contro la sicurezza e tranquillità d'uno stato? e tante
ingiurie, e tante perdite e sì grande avvilimento [46] cagionato da figli disleali dopo le più solenni
promesse di una inalterabile fedeltà non saranno bastevoli a diffondere in loro la deformità del più
atroce delitto? Nè mi si dica, che l'esser questa una società religiosa fa sì che non siano i suoi danni
da ascriversi a delitto, nè da paragonarsi con quelli, che si recano alle società civili: chè è troppo
ridicola l'eccezione, e non l'ammette S. Agostino
(134)
, il quale scrivendo a Donato Proconsole
d'Affrica, dice che quidquid mali contra christianam societatem ab hominibus impiis ingratisque
committitur, profecto gravius est et atrocius, quam si in alios talia committantur. E chi può
ammettere di fatti questo divario a fronte delle incessanti premure, che ha sempre mostrate la
provvidenza divina, perchè nulla mancasse alla sua conservazione e decoro e delle energiche
espressioni, che si leggono nella scrittura, le quali tanto esaltano la sua autorità e potere? Non per
altro adunque la Sposa di Gesù Cristo è stata sopra immobil pietra situata, come accenna egli stesso
in S. Matteo; non per altro si rassomiglia da Salomone ad una formidabile schiera di ben' agguerrita
milizia, e si descrivono i mille scudi disposti a suo riparo, ed i mille armati che vegliano
incessantemente per presidiarla, se non perchè non ne risultasse che la meschina immagine di una
schiava infelice esposta inerme all'urto d'ogni ostile insulto, e soggetta a tutte le calamità senza
riparo e difesa? Abbia chi vuole della Sposa di Gesù Cristo sì tristo concetto: io avvalorato dalle
forti espressioni, che leggo nelle Scritture, la crederò sempre tanto più rispettabile d'ogni civil
(132)
Eymeric. Direc. Ing. In Bull. Fol. 4.
(133)
Epist. Ad Ctesiphont.; & in Praef. Ad Lib. 4. in Hier.
(134)
Epist. 100. al 127. num. 1.
44
società, quant'è più sublime la sua origine, più vasta la sua estensione, e più nobile e divino il suo
stabilimento e carattere; e chi la oltraggia lo crederò sempre reo di tanto maggior colpa, quanto sono
più elevati i doni che prende a combattere, più gravi i danni che reca, e maggiore la sua ostinazione
e perfidia.
Io non so se tutte le ragioni e prove addotte fin qui per dimostrare e i danni gravissimi, che
l'Eretico apporta alla religiosa società de' Fedeli, ed il reato che deve risultare in lui per questo capo,
siano a portata dei vostri lumi: quand'anche però nol fossero, non voglio perder tempo o
nell'aumentarle, o nello schiarirle maggiormente; sì perchè è difficile di ritrovarne delle più
convincenti di queste, e mi lusingherei in vano di poterle [47] esporre con maggior precisione e
chiarezza, come ancora perchè cosa sarebbe inutile affatto e superflua. Ostinatevi pure, se così vi
piace, a credere, che i soli danni della civil società sono la sorgente e misura d'ogni reato; ch'io, mal
volentieri bensì, ma pure con gran coraggio vi seguirò fra questi dirupi, senza temere che la troppa
mia liberalità nell'accordarvi un solenne sproposito mi possa privare del contento che mi riprometto
dalla sicura persuasione in cui sono di poter dimostrare a tutta evidenza che l'Eretico commette un
grave delitto. Anche di questi danni egli è colpevole: e in vista delle funeste tragedie e ruine
innegabili, ch'egli arreca alle civili società, non potrete a meno di non deporre i vostri dubbj, ed il
reato di eresia comparirà ai vostri sguardi coperto di tanto maggiore deformità, quanto più
numerose ed abbondanti sono quelle sorgenti, che la diffondono, e le prove tanto più efficaci,
quanto più adattate all'intelligenza di tutti, ed alle massime e principj de' medesimi nostri
contraddittori. Non mi contento del cenno che ho già dato di questo disordine; voglio schiarirlo di
più a vostro total disinganno e lume maggiore: e perchè non posso farlo in questa colla dovuta
esattezza, lo farò in un'altra lettera, che spero di potervi spedire nel venturo ordinario; e senza
frapporre inutili scuse e complimenti mi dico intanto
45
LETTERA QUINTA.
L'Eretico disturba assaissimo anche la civile società.
on è certamente la civile società di tutte quelle perfezioni e rare prerogative adorna, che vanta
la religiosa società de' Fedeli: che manca in lei e l'ordine sovrannaturale, al quale è stata
sollevata la Chiesa dalla provvidenza divina, e il fine altissimo, al quale è stata diretta, e
quell'illimitata ampiezza, che tutta abbraccia l'estensione della terra. Non è però co sfornita d'ogni
nobile prerogativa e carattere, che chi l'offende andar possa immune da ogni colpa e reato. Se non è
Iddio l'unico suo architetto ed autore, non nasce però dagl'uomini senza divina approvazione e
volere. Se non gareggiano i suoi confini coi confini del mondo, sono però sì estesi, che non ha
bisogno che di se stessa per procurare la temporale sicurezza e salute; e se non all'eterna, ha però
volti i suoi sguardi alla temporale felicità di tutti i suoi membri. Pregj sono questi sì rispettabili e
sublimi, che non possono essere disprezzati che da un selvaggio e misantropo, nè offesi senza
delitto. Non li disprezzano per verità i nemici dell'intolleranza e del S. Officio, i quali li esaltano
anzi per modo, che quelli soli dichiarano colpevoli di vero reato, che ardiscono di danneggiarli. Or
bene, secondiamoli anche in questo stranissimo divisamento, ed approfittiamo a vantaggio della
buona causa de' loro stessi principj; e dopo d'aver dimostrato che l'Eretico offende assaissimo la
Chiesa, passiamo a scoprire di quanti beni spoglia la civile società, in cui vive, e quanti danni le
reca. Li combatteremo così colle loro stesse massime, e li sforzeremo a confessare che l'eresia è uno
de' maggiori delitti che si possano commettere fra di noi. Tant'ho promesso di fare nell'altra mia, e
tant'eseguisco con questa.
Che la Religione sia ad ogni civile società necessaria è cosa così chiara, che trovo ben pochi tra
gli stessi nostri contraddittori, che non disapprovino al sommo Bayle, Tollando, Collins, de la
Metrie ed altri non molti autori, che hanno preteso che possa sussistere un corpo politico fondato in
un perfetto ateismo. Sono anzi per la maggior parte cotanto persuasi di [49] questa massima, che
non manca tra loro chi creda colla solita empietà essere per questo appunto la Religione un puro
parto dell'umana politica, la quale non potendo colle deboli provvidenze dell'uomo contenere le
soggette persone nei respettivi doveri, ha chiamato in ajuto la Divinità, ai di cui sguardi nè può
essere alcun mancamento nascosto, nè v'ha chi possa sottrarsi dal suo potere infinito. Nè la
necessità della Religione in ogni civile adunanza è sentimento de' soli moderni scrittori e filosofi.
Pensarono così anche gli antichi; e Platone chiamò la Religione sostegno della podestà e delle leggi,
ed il vincolo dell'onesta disciplina; e Plutarco asserì essere meno difficile, che si trovi città senza
suolo che la sostenti, che senza Religione che ne conservi l'unione ed il buon'ordine
(135)
. Cessa, dice
Cicerone
(136)
, la fede nella società umana ed ogni giustizia, se si toglie Iddio dal mondo; e ripetono
lo stesso Ugo Grozio
(137)
, il commentatore del Pufendorfio
(138)
, e quanti altri non hanno professato
un pretto ateismo. L'autore delle novelle ecclesiastiche di Parigi non contento d'aver' adottato questa
massima, l'ha anche munita di quest'efficacissima dimostrazione. La politica costituzione e il
governo d'ogni Stato restano dalla Religione consagrati per modo, che mostrando per lei come un
sigillo ed impronto della Divinità divengono più graditi ai popoli, e meno esposti alla violazione e
disprezzo; e i doveri del cittadino divenuti anche doveri di chi professa la Religione acquistano
nuova forza e diritto ond'essere adempiuti esattamente; ed appoggiato alla divinità perde gran parte
(135)
adversus Colotem. tom. 2. Oper.
(136)
lib. 1. cap. 2. de natur. Deor.
(137)
lib. 2. cap. 20. §. 44. & 45. de J. B. & P.
(138)
lib. 7. c. 4. 5. & 8. t. 2.
N
46
della natia debolezza anche ciò che è parto dell'umana istituzione
(139)
. Volete un saggio
dell'infelicità, che per mancanza di questo sussidio incontra un'uomo mancante di un così salutare
presidio? ve lo somministrano tanti viaggiatori che talvolta si sono incontrati in que' selvaggi che
vivono nascosti fra le selve della nuova Zembla e della nuova Guinea. Volete un'idea di ciò che può
divenire una società colta ancora e civile, che perde la Religione? Ah che pur troppo ve la
somministra la Francia! nè poss'io additarvela senza raccapriccio ed orrore. Ma che altro si poteva
[50] aspettare da quel libertinaggio e da quell'irreligione, che da qualche tempo avevano alzate colla
maggior'impudenza le abbominevoli insegne in quelle amene contrade? Aveva il Clerch predetto in
Olanda in un congresso, ch'ebbe coll'empio Collins ed altri liberi pensatori Francesi, le conseguenze
funeste de' strani loro pensamenti, allorchè disse loro, che i Deisti rompono i legami più certi
dell'umanità, insegnano a scuotere il giogo delle leggi, distruggono i motivi più inducenti alla virtù,
e privano gli uomini di tutte le loro consolazioni
(140)
. E noi le vediamo tutte, ahi con quanto
rammarico! avverate in questo regno infelice, che per mancanza di Religione avendo spezzato il
freno di que' sovrani e Pastori che lo reggevano con tanta prudenza e dolcezza, è caduto in mano di
que' perversi amministratori che per questo difetto medesimo chiamerebbonsi anche da Platone
(141)
seditiosi viri, larvarumque ingentium praesides, imo larvae ipsae simiae maximae maximeque
praestigiatores sophistarumque sophistae.
Convengono anche moltissimi nel sostenere, che giova assai più al bene della civile
repubblica, che vi sia una sola Religione, di quello che siano i suoi membri divisi nei discordi pareri
di contrarj riti, cerimonie superstiziose e falsi dommi. E sebbene il Bartolotti in vece di riconoscere
nei varj errori, che in se raccoglie una repubblica, in cui abbiano asilo diverse sette ripugnanti e
contrarie, quelle nocive zizzanie, spine pungenti ed amare lambrusche che hanno accennate con
disapprovazione i santi vangeli ed i primi nostri istitutori, altro non veda con Solimano signor de'
Turchi, che una moltitudine di vaghissimi fiori che per la loro varietà adornano con molta legiadria
ed eleganza un'ameno giardino; pure mosso forse dall'assurdità di così strana immaginazione, pare
che si ricreda altrove
(142)
; ed in fine confessa, che nella diversità di sentimenti in materia di
Religione evvi nascosto un certo seme di disunioni e disturbi, che può cagionare danni gravissimi
nella società, se mancano gli opportuni provvedimenti per preservarnela. E questo suo ultimo
sentimento non è soltanto coerente alla bella massima [51] di Giusto Lipsio
(143)
, uno dei maggiori
politici ch'abbia vantato il secolo XVI., il quale con Mecenate presso Dione
(144)
proibisce a chi
veglia alla pubblica tranquillità ogni tolleranza in questo genere, e dice con gran senno, eos, qui in
divinis aliquid innovant, odio habe, & coerce; ed alle ben fondate riflessioni del Varillas
(145)
, il
quale nell'impegno, che hanno sempre con non minor' astuzia che vanità mostrato gli Eretici d'unire
per questo mezzo i discordi pareri, altro non vede, che un malizioso pretesto inventato da loro per
dilatare e moltiplicar maggiormente le dissensioni e gli errori; ma corrisponde anche ai più noti
dettami della ragione, la quale scopre ad un semplice colpo d'occhio, che la Religione riuscir deve
per necessità tanto più forte a contenere i seguaci nei rispettivi doveri, quanto maggiore è il numero
e la forza di quelli, che colla voce, coi fatti s'uniscono a mantenerla in vigore ed in credito, e tanto
più feconda di dissensioni e contrasti, quanto più crescono i contraddittori e violatori delle sue
massime. Non v'è cosa più utile all'esterior pace e tranquillità dello Stato che l'unione degli animi
ne' medesimi sentimenti. Cosa non v'è, che più la turbi de' discordi pareri in materia di Religione.
Dall'essere i primi Fedeli un'anima sola e un cuor solo in Gesù Cristo risultò nella Chiesa di
Gerosolima quell'armonia ammirabile, che descrive S. Luca
(146)
. Da discordi pareri in questo genere
nati sono contrasti orribili non solo nell'intere città e nazioni, come tra i Giudei e gl'Israeliti un
(139)
Nouvel. Ecclesiast. du 10. Juill. 1790.
(140)
Difesa de' Lib. Santi part. 2. lett. 8. §. 3.
(141)
Dial. Civil. sive de Regno.
(142)
Esercir. Sop. la tolleranza cap. 3. n. 9.
(143)
Politicor. lib. 4. cap. 2., & advers. Dialogista de una Religione.
(144)
Lib. 52. num. 36.
(145)
Hist. des revolut. arriveès dans l'Europe en matiere de Relig.
(146)
Act. cap. 4. vers. 33.
47
tempo fra loro amicissimi, e divenuti irreconciliabili allora solo che alzarono altare contro altare, ma
nelle istesse private famiglie, senza ch'abbia potuto servire d'alcun lenitivo o l'autorità del capo che
le governava, o la congiunzione del sangue, o la comune abitazione. Da qui ebbero origine le
discordie tra Isacco ed Ismaele nella famiglia d'Abramo; da qui nacquero i dispareri tra Giacobbe e
Labano nella Mesopotamia; e per questo ebbe Mosè a contendere con Safora nel viaggio d'Egitto.
[52] Ma non più, che la cosa è troppo evidente; ed il ridicolo pensamento del Bartolotti, che non ha
avuto ribrezzo di dare un Turco per malevadore de' perniciosi suoi deliri, neppur tra i Turchi può
ritrovare quella sussistenza ed asilo, che si va ideando: e voi lo potrete rilevare assai bene leggendo
il bel ragguaglio 64., che dà del suo Parnaso Trajano Boccalini nella prima centuria. È da cercarsi
piuttosto, se come la Religione è necessaria alla sussistenza d'ogni civile repubblica, e nuoce alla
sua tranquillità e sicurezza se viene divisa, da nojosi contrasti di opposti riti e pareri, così tra tutte
sia la sola cristiana Religione la più plausibile; ed avutosi il necessario riguardo alle varie
comunioni, nelle quali questa è stata divisa dai male augurati settarj, se tra queste quella sola
Religione, che ammette e professa la comunion de' Cattolici, sia alle civili società la più
vantaggiosa: e qui ancora non trovo quanto alla prima parte gran difficoltà e contrasto. Vedo in
primo luogo che è cosa assai chiara ed ammessa di comune consenso e dagli antichi suoi apologisti
e dai moderni più esperti giureconsulti e politici, che fra tutte le Religioni non v'è la più conveniente
alla umana ragionevolezza ed alla civile repubblica della cristiana presa nella maggiore sua
estensione ed ampiezza. Lo ha dimostrato ampiamente Eusebio
(147)
e Teofane Arcivescovo di
Nicea
(148)
tra gli antichi, e tra i moderni Bossuet nella sua Politica cristiana, Armando di Conty nel
Disinganno de' Grandi, e il Pufendorfio
(149)
e il Budeo
(150)
ed il Presidente di Montesquieu
(151)
e varj
altri, i quali godono presso i nostri avversarj non piccol nome. Nè merita risposta lo sciocco delirare
di Pietro Bayle
(152)
, il quale nega essere la cristiana Religione utile allo Stato, perchè finge di non
saper combinare colla sua tranquillità l'obbligo che hanno i Cristiani di render bene per male, di
amare i nemici e far del bene [53] a chi li odia. Non sarebbe egli restato in così vergognosa
ignoranza, se avesse letto la lettera di S. Agostino a Marcellino
(153)
, dove mostra la convenienza di
un tal precetto, e non dalla sola natura e sistema delle civili società, ma dal consenso ancora de' più
illustri Gentili, e dai successi delle città idolatre ne scopre l'utilità ed il merito; e confuta altresì con
gran forza la sciocca opinione di coloro, che attribuiscono, come fa ai dì nostri Eduardo Gibbon, la
decadenza dell'Impero Romano alla professione della Religione Cristiana.
L'utile che alle civili società da essa deriva, se sia da tutti i suoi membri nelle principali sue
massime almeno custodita fedelmente, è così manifesto, che lo stesso Voltaire, quel gran maestro e
capo de' moderni libertini ed increduli, non ha potuto a meno di non confessarlo in qualche maniera,
e scrivendo ad Urania dice, che se il Vangelo è un'errore, è tale errore, che felici rende gli uomini.
Nicolò Macchiavelli
(154)
, Vinnio
(155)
; Rousseau
(156)
ed altri si sono anche inoltrati di più, e
specificando minutamente i vantaggi che ne ha riportati il genere umano, ad essa attribuiscono la
moderazione che usano adesso i vincitori coi vinti e conquistati paesi; ad essa la schiavitù ormai del
tutto abolita, e la povertà tolta a quel disprezzo in cui gemeva presso i Gentili e geme tuttora presso
i Cinesi non cristiani
(157)
, e sollevata all'onore della comune fratellanza in Gesù Cristo; ad essa i
costumi più umani e civili introdotti nel mondo; la notabile diminuzione di que' suicidj e di
(147)
Lib. 1. de Praeparat. Evang. Cap.
(148)
apud Possevin. tom. 2. Apparat. Sacr.
(149)
Conc. della Pol. colla Crist. Relig.
(150)
Conc. della Relig. Crist. collo stato civile.
(151)
Esprit des loix liv. 24. chap. 3.
(152)
Divers. Cogit. art. 141.
(153)
Ep. 138. al. 5. ad Marcellin. Num. 15.
(154)
Dell'arte della guerra lib. 2.
(155)
Comm. In Inst. Imp. lib. 1. tit. 2. & tit. 5.
(156)
Emil. ou de l'Education tom. 3.
(157)
Opusc. Critici del March. Eugenio Guasco opusc. VI.
48
quell'abbominevoli laidezze, che con tanto eccesso regnavano ai tempi del gentilesimo
(158)
; e ad
essa in fine la più soda autorità ch'hanno i governi presenti, e la loro maggior sicurezza e perizia: e
riducendo il Montesquieu
(159)
dopo Polidoro Virgilio
(160)
a sommi capi tutti i vantaggi, che la società
ha riportati dalla Religione [54] cristiana, le prince, dice, compte sur ses sujets, e le sujets sur le
prince. Chose admirable. La Religion Chrètienne, qui ne semble avoir d'objet que la fèlicitè de
l'autre vie, fait encore notre bonheur dans celle-ci. Meglio di tutti però li ha epilogati S. Agostino,
che nella testè citata lettera così scrive: Qui doctrinam Christi adversam dicunt esse reipublicae,
dent exercitum talem quales doctrina Christi esse milites jussit, dent tales provinciales, tales
maritos, tales conjuges, tales parentes, tales filios, tales dominos, tales servos, tales reges, tales
judices, tales denique debitorum ipsius fisci redditores & exactores quales esse praecipit doctrina
Christi, & audeant eam dicere adversam esse reipublicae, imo vero non dubitent eam confiteri
magnam, si obtemperetur, salutem esse reipublicae. Il Sig. Burigni nella sua Teologia Pagana ha
fatto ogni sforzo per raccogliere ed esaltare quanto scrissero di buono i Gentili e sopra i costumi e
sopra il domma: pure non ha potuto in fine negare, che niuna setta e religione ci fu mai tra loro, la
quale non proponesse errori notabili e vizj essenziali.
Vengo ora all'altra parte, e sostengo che fra tutte le comunioni de' Cristiani, la Cattolica è la
più profittevole. Di questa cred'io che parli il Muratori allorchè scrive
(161)
, essere ben conosciuto,
che la santa Religion nostra è venuta ad accrescere anche la felicità temporale de' popoli. E perchè
non poss'io raccogliere quel molto, che su questo argomento hanno scritto il Valsecchi, il Noghera,
lo Spedalieri e vari altri apologisti moderni, accennerò soltanto alcuni di quei punti principali, nei
quali la cattolica Religione si distingue da qualunque setta, e riuscir sogliono anche alla civile
società utilissimi. Essa è tra tutte le Religioni la sola vera: ella sola è fiancheggiata da quei
contrassegni e prodigj, che la rendono evidentemente credibile, e sono atti a persuadere anche i più
incolti e meno docili: essa sola in fine ha l'onnipotenza divina impegnata a recar giovamento ai suoi
veneratori e seguaci. E non è ciò più che bastevole a farla riconoscere per la più efficace ed
opportuna a procurare i privati vantaggi di ogni Fedele, e la pubblica tranquillità degli Stati? Se la
forza ed energia della Religione nel moderare le azioni dell'uomo esser deve corrispondente ed
all'intrinseca [55] sua virtù e valore, ed all'esteriore persuasione ed attaccamento di chi la professa,
qual'altra Religione può mai paragonarsi con questa, che sola è sovrannaturale e divina, e sola è
spalleggiata da tanti e sì efficaci motivi valevoli a conciliarle l'affetto de' cuori anche più ostinati,
quante sono le meraviglie, ch'hanno preceduto, accompagnato, e sono venute in seguito del
prodigioso suo ingrandimento, e seguitano tuttora a rendere lei sola oggetto d'ammirazione e
d'invidia anche a quelli che pur la vorrebbono vedere avvilita ed oppressa.
Ma più assai di queste ragioni che la persuadono, contribuiscono al ben pubblico i suoi riti,
documenti e misteri, i quali riescono tanto più vantaggiosi, quanto più si scostano dalle false
massime e riti profani delle altre sette bugiarde. Di qual conforto non è egli mai alla nostra
speranza, e quale stimolo non aggiunge alle virtuose nostre intraprese il credersi da noi, che il
nostro Dio non è quel tiranno crudele, che si sono ideato i Luterani e Calvinisti, il quale senza colpa
ci condanni ad eterni non meritati castighi, e ci spinga egli stesso inevitabilmente al supplizio; ma
un Dio invece d'una infinita misericordia e pietà, che vuole la salvezza di tutti, è morto per tutti, ed
offre almeno a tutti quanto basta per potersi salvare, e quei soli condanna, che sordi alle chiamate ed
ingrati a tanti suoi benefizi se ne rendono immeritevoli? quanto bene contribuiscono gli altissimi ed
imperscrutabili suoi arcani della Trinità, dell'Incarnazione, dell'Eucaristia a domare l'alterigia
dell'umano intelletto, che si scopre così lontano dall'investigare la grandezza di sì alti misteri? e
qual non concepisce di questi idea più vantaggiosa, appunto perchè superiori di tanto agli scarsi suoi
lumi? Di qual freno non serve alle indocili nostre passioni il rossore, cui è soggetto il colpevole
nella sagramental Confessione? E di qual consolazione non riesce allo stesso il vedersi prosciolto
(158)
Pallavicin. Difesa del Pont. tom. 3. l. 3. cap. 5.
(159)
lib. 24. cap. 3. Esprit des loix.
(160)
Lib. 8. de Ar. Inventorib. cap. 7.
(161)
Della regolata divozione cap. 21.
49
dalle sue colpe, e sì bene istruito nell'individue sue circostanze e bisogni? Anche il Rousseau
nell'Emilio valuta assai le restituzioni e le paci, che si fanno tra noi per questo divin sagramento: e
molti de' Protestanti se ne sono dimostrati così persuasi, che o non l'hanno abbandonata giammai,
come quelli della Svezia
(162)
e alcuni della Prussia
(163)
, o hanno procurato di riaverla, come gli
abitatori di [56] Norimberga
(164)
e di Strasburgo
(165)
. La moltiplicità dei ministri cattolici giova
assaissimo alla comune istruzione, moltiplicando l'applicazione alle scienze ed i maestri secondo il
maggior numero degl'impieghi ai quali sanno di potere aspirare. Le ricchezze delle Chiese e dei
Beneficj ecclesiastici distribuiscono meglio alle più degne persone i beni della società, e servono a
sovvenimento de' bisognosi. La spirituale podestà della Chiesa riesce di gran rinforzo ed ajuto
anche alla podestà temporale, colla quale se si è mostrata talvolta sdegnata, come in Milano
coll'Imperator Teodosio, e coll'Imperatore Leone e con qualch'altro in Roma ed altrove, serve bensì
il salutare suo sdegno a smentire le Calunnie, che varj increduli vanno spargendo contro di lei, come
se nata fosse e solo intenta a favorire e proteggere le sognate prepotenze ed il chimerico dispotismo
de' sovrani, e non mai a mostrare che sia loro svantaggiosa ed infesta. È chiaro che non può essere
per sua natura che utile e decorosa. Le stesse immunità, esenzioni e privilegj delle persone e beni
ecclesiastici conferiscono assai bene non solo al decoro dei sagri ministri e luoghi consagrati al
divin culto, ma alla difesa ancora ed all'onorificenza delle private persone e famiglie. Se pendono
dai nostri altari le sagre immagini, se da noi s'invocano i Santi, mostrano quelle alle persone più
rozze bellissimi esempj di cristiane virtù allo stato utilissìmo, ed impetrano questi da Dio gli ajuti
necessarj per imitarli. Se i nostri tempj sono magnifici, ricche le suppellettili e maestosa la pompa
del nostro culto esteriore, tutto cospira non solo a risvegliare in noi un'idea più vantaggiosa della
divina perfezione e bellezza, ed a fomentare l'interior divozione e pietà, ma anche a preparare e
conservare allo stato un opportuno sussidio nelle maggiori calamità a promovere l'industria de'
virtuosi artefici e ad accrescere il commercio e le arti. Il primato stesso del Papa, e tutto l'ordine
nobilissimo della gerarchia ecclesiastica, che l'irreligioso Freret
(166)
spaccia per una massima della
nostra Religione che è contraria alla tranquillità delle civili repubbliche, non è egli, anche a parere
di Montesquieu
(167)
, utilissimo e necessario [57] ovunque non regna un'intollerabile dispotismo?
Ripete lo stesso l'autore dell'osservazioni filosofiche in altr'occasioni citato, e lo Spedalieri nella
accennata confutazione: anzi a dir tutto con esattezza non è solo utile ai popoli, ma anche ai sovrani,
come dimostrano assai bene il Cardinal Pallavicini
(168)
ed il P. Bianchi
(169)
. Anche i sagri recinti de'
professori de' consigli evangelici sono non che alle famiglie, ma anche allo stato ed alle scienze
utilissimi: e checchè ne dicano in contrario i miserabili libertini e certi eruditi affamati che
desiderano di vederli abbandonati per saccheggiarli, i cittadini però più assennati e più colti li
proteggono con molta premura dove sussistono, ed i meno irragionevoli anche tra i Protestanti
d'Inghilterra se li augurano spesso dovunque o l'avarizia o un cieco furore, ereticale li ha voluti
sopprimere. Si vegga su di questo particolare l'opera tradotta dall'inglese dal P. Niceron intitolata
Conversion de l'Angleterre
(170)
au Christianisme comparèe avec sa prètendu
(171)
reformation
(172)
;
anzi si legga, per servirmi anche degli autori più conosciuti e recenti, il Mirabeau
(173)
, e si troverà,
che la disciplina ed economia de' Regolari conferisce ad accrescere indirettamente anche il numero
della popolazione vantaggiosa per la più comoda sussistenza che lascia alle rispettive famiglie e per
(162)
Bossuet Hist. des variations l. 3. n. 46.
(163)
Mosheim Hist. eccles. 17. siecl. Sect 2. p. 2. chap. 1. 5. 35.
(164)
Soto in 4. disp. 18. q. 1. ar. 1.
(165)
Lettres du P. Schefmacer let. 4. §. 3.
(166)
Esam. crit. sulle prove del cristianesimo cap. 10.
(167)
Esprit des loix liv. 24. cap. 3.
(168)
Stor. del Conc. di Trento lib. 1. cap. 8. e lib. 3. cap. 2.
(169)
Lib. della potestà Eccl. tom. 3. cap. 1. §. 6.
(170)
Nel testo: "Anghleterre". (N. d. R.)
(171)
Nel testo. "pretendu". (N. d. R.)
(172)
chap. 5.
(173)
Trattato della popolazione cap. 2.
50
la maggiore morigeratezza, che colla voce e cogli esempj diffonde per tutto lo Stato: chè essere il
libertinaggio più pregiudicevole alla popolazione della peste è stato già dimostrato dal ginevrino
Bellexord
(174)
.
Sono questi i singolari vantaggi che la cattolica Religione reca alle civili repubbliche per quei
soli punti particolari, ne' quali discorda dall'altre sette: che non farà poi presa in tutto il pieno del
suo ammirabile sistema, che è l'opera più bella che abbia saputo ideare una Sapienza infinita per la
nostra felicità e salvezza? che non potrà avvalorata da quella forza superiore, che la sostiene ne'
maggiori cimenti? Misero chi incauto da essa si scosta, e ribelle ai suoi lumi la abbandona! più non
trova chi le imperfezioni corregga della sua corrotta natura; e [58] la società istessa, in cui vive, e
che recar suole qualche alleviamento alle umane sciagure, non può con ugual forza ajutarlo e
proteggerlo. L'ignoranza lo accieca, e non ha un'infallibile autorità che a lui proponga la divina
rivelazione, e lo illumini. Le forze sono deboli ed inferme, e da que' copiosi canali, che derivano
l'acque salubri dalle fonti del Salvatore, non sono rinvigorite e sanate. Ricalcitra l'umano orgoglio, e
ricusa di soggiacere all'altrui direzione e comando, e non ha chi lo freni coll'autorevole intimazione
di quel divino precetto, che la soggezione prescrive e la dipendenza. Eccede chi regge talvolta, e
con giogo troppo pesante aggrava le soggette persone; e non v'è chi pietoso frapponga la voce
autorevole, e procuri di sollevarle. E privo quindi di tutti que' possenti ajuti di divina rivelazione, di
doni e grazie speciali e di spirituale podestà, che l'onnipotenza divina ha somministrato all'uomo
colpevole e preso individualmente e raccolto in società per rialzarlo da ognuna di quelle debolezze,
imperfezioni e miserie, nelle quali l'aveva ridotto il peccato, forz'è che vegga i giorni meno lieti fra
noi, e si disponga ad altra peggiore irreparabile ruina.
Esagero io forse, o non vi espongo piuttosto una verità nota per se medesima, e riconosciuta da
quanti migliori sovrani ha vantato il mondo cattolico, i quali anche per questo hanno procurato con
gran premura d'introdurre e proteggere la cattolica Religione ne' loro Stati, come Clodoveo nelle
Gallie, Carlo magno in Germania, Ermenegildo nelle Spagne, Vincislao in Polonia, Basilio in
Russia, Edelberto in Brettagna e molti altri in diverse nazioni. Stupiva Biorno II. Re di Svezia nel
considerare la pace e tranquillità che Carlo magno godeva ne' vasti suoi regni e ch'egli cercava in
vano ne' suoi benchè più limitati; e stanco ed annojato de' molti disturbi e pericoli, ai quali egli
stesso restava soggetto non che i fedeli suoi sudditi, deliberò di mandare inviati a Carlo per
apprendere da lui per qual mirabile maniera otteneva una sì felice e costante tranquillità; ed altro
non ebbe in risposta se non che era la cattolica Religione la sua politica, ed il professarla con fedeltà
e il proteggerla con vigore era la sola sorgente inesausta della sicurezza del suo trono, della quiete
de' suoi sudditi e della tranquillità de' suoi Stati
(175)
. Approfittò Biorno dell'utile suggerimento; e
[59] colla fortuna, che la cattolica Religione ebbe varia ed incostante in quel disagiato paese,
gareggiò di poi la felicità della Svezia, come si può rilevare dalle sue più veridiche storie.
So che a fronte di tanti beni perduti non mancano le accattoliche società di vantare la loro
felicità: ma io crederò sempre le ciancie de' loro difensori mere imposture e chimere, se non
dimostrano per qual'altra strada diversa da quella che ho accennato sinora siano giunte a sì alto
grado: e quand'anche giunte vi fossero colla saviezza e rigore dell'umana loro legislazione, nè le
crederò mai così sciolte da ogni influsso della cattolica Religione che non ne abbiano profittato
moltissimo nel sistemarsi, ed in vista della Divinità che oltraggiano coi loro errori e colle perverse
loro massime antivangeliche, colle quali vanno sempre più debilitando i suoi benefici influssi, io
riputerò sempre quel bene che vantano un bene assai passeggiero ed incerto, anzi uno de' mali
maggiori che possa loro avvenire, se ricevono con questa quella qualunque siasi mercede, che
meritar possono quaggiù le oneste azioni degli empj, per pagar poi la pena della loro infedeltà a
tempo opportuno o con eterni castighi dopo morte o col totale rovescio d'ogni temporale fortuna
anche in vita. Nihil est, diceva S. Agostino
(176)
, infelicius felicitate peccantium, qua poenalis punitur
impunitas et mala voluntas, velut hostis interior, roboratur. E si sa che sostenne il grand'Iddio
(174)
Sur l'education phisic. des Enfans.
(175)
Comazzi Polit. e Relig. tom. 1. cap. 7. §. 2. n. 10.
(176)
Epist. 138. al. 5. num. 14.
51
d'Isdraello con gran pazienza anche per molto tempo l'idolatria dello sleale suo popolo, nec statim
reddidit, come osserva a questo proposito Lucifero Calaritano
(177)
, sed iterum temporum quo ei
placuit tamen reddidit non eis impune idolatriae reatus cedere potuit.
Lascio a voi adesso il carico d'epilogare i danni gravissimi, che l'Eretico cagiona alle cattoliche
società, col sostituire alla feconda sorgente d'ogni maggiore felicità un parto informe di sua
invenzione e capriccio, che tutta la sconvolge e dissesta: e son sicuro, che riandando ad uno ad uno
que' sommi vantaggi, di cui tenta spogliarla privandola della cattolica Fede, non tarderete punto a
conchiudere, ch'egli riesce alla civil società tanto più pernicioso, quanto più sode e massiccie sono
le massime che [60] va a distruggere, e quant'è più fina l'arte che usa per ottenerne l'intento. E se
l'Ateo e il Deista furono riputati mai sempre nemici della repubblica, perchè tendono a rimovere la
base fondamentale che la sostiene; perchè non lo sarà un'Eretico che colla cattolica Religione invola
a quella l'ornamento maggiore, e distrugge insieme la più copiosa sorgente d'ogni suo spirituale e
temporale vantaggio? E non lo sarà specialmente in una società tutta cattolica, che più d'ogni altra
interessa il presente carteggio, nella quale ogni individuo all'ombra benefica di così utile Religione
tranquillo riposa, e beve a pieni sorsi da sì feconda sorgente i maggiori e spirituali e temporali
vantaggi? Avete voi che replicare contro di una così evidente dimostrazione?
Ma v'è anche di più. Voi non avete sentito finora in questi danni indiretti che il fetido olezzare
di que' fiori, che a parere del Bartolotti Solimano ammirava negl'inumani suoi Stati: vi resta ancora
a gustare i velenosi frutti, che produr sogliono dovunque non sono recisi colla maggiore celerità e
premura. L'ambiziosa eresia o prevale senza contrasto, e va a distruggere quella Fede che forma
delle cristiane repubbliche il principale ornamento e sostegno; o incontra ostacoli, come deve senza
meno incontrarli trattandosi di cattoliche società, e tutta sconvolge la buona economia e
disposizione dell'uno e dell'altro governo. Questo è il primo scompiglio che reca direttamente. Così
è avvenuto per opera degli Ariani in Oriente; così nella Grecia per parte dei Macedoniani; tanto
ardirono i Donatisti nell'Africa, i Priscillianisti in Ispagna, gl'Iconoclasti in Oriente, gli Albigesi in
Francia, gli Hussiti in Boemia: e tanto sono lontani dal discolparsene Lutero e Calvino, che anzi
approvano e lodano così funeste tragedie; e Lutero ripete sovente nei tenebrosi suoi scritti esser
natura del suo vangelo mover sedizione
(178)
; e Calvino volle fregiar la fronte delle sacrileghe sue
Istituzioni con quell'emblema: Non veni pacem mittere, sed gladium. E più d'ogni altro se ne mostrò
persuaso il feroce Zuinglio, il quale non ripetè solamente più volte, che il vangelo vuol sangue, ma
col suo sangue stesso sparso in [61] un fatto d'armi confermò la sincerità della perversa sua
asserzione.
Nè crediate con Pietro Bayle e con qualch'altro indiscreto patrocinatore dell'irragionevole
tolleranza, che le ribellioni e le stragi fatte dagli Eretici a danno non meno della Religione che delle
civili repubbliche siano da attribuirsi piuttosto all'impazienza dei Cattolici, che non seppero
tollerare i loro errori ed invece della via della persuasione vollero usare quella della forza per
isradicarli, che alla perversità degli Eretici, che colla violenza si opposero alle caritatevoli loro
istruzioni. È questa una delle più maligne invenzioni de' miscredenti smentita da tutte le storie alle
quali può sola resistere la più sfrontata empietà ed impudente baldanza. Avevano già deluso ogni
speranza, del loro ravvedimento, e resi inutili molti congressi e molte caritatevoli ammonizioni de'
Pastori cattolici i Donatisti, come scrive S. Agostino a Gennaro
(179)
; anzi, come rinfaccia egli stesso
a Bonifacio
(180)
, essi erano prima ricorsi alla forza del braccio secolare, & post Episcoporum
judicia, ubi eum (Ceciliano) opprimere non potuerunt, ad Imperatoris examen pertinacissimis
persecutionibus perduxerunt, quando passò la Chiesa a quei rigori, che ne procurarono l'emenda.
Priscilliano coi suoi seguaci, ammonito in vano nei Sinodi di Saragozza e di Bordeaux
(181)
a
ricredersi: del suo errore, aveva già ottenuto per sorpresa la forza contro i Cattolici, quando alcuni
(177)
de Reg. apostat. Pag. 1032. tom. 9. Bib. PP. Edit. Paris 1644.
(178)
Cochleus de actis & scripturis Lutheri.
(179)
Epist. 88. al. 68. ad Januar. n. 5.
(180)
Epist. 185. al. 50. cap. 2. num. 6.
(181)
Sulpitius Severus Histor. Ecclesiast. Lib. 2. cap. 47. & 49.
52
di questi presero a combatterlo con quel braccio medesimo, ch'egli adoprava per sostenerlo. E dice
assai bene a nostro proposito S. Agostino
(182)
, che avvenne ai Donatisti ciò ch'era accaduto agli
accusatori di Daniele, i quali furono sbranati da quei leoni medesimi, ch'avevano attizzati contro di
lui: Hoc..... contigit Donatistis quod accusatoribus Sancti Danielis: sicut enim in illos leones, sic in
istos conversae sunt leges, quibus innocentem opprimere voluerunt. E Vescovi e Abbati e
predicatori, e scrittori e preghiere e minacce adoprò la Chiesa per richiamare gli Albigesi dai loro
errori prima di combatterli in aperte campagne; nè [62] usò mai la forza prima ch'essi movessero le
armi del Conte di Tolosa per dilatarli. Che non fece il Sinodo di Costanza per ricuperare Giovanni
Hus prima di abbandonarlo al meritato supplicio? Che con Lutero e Calvino Leone X. ed il Concilio
di Trento prima di fulminare contro di loro le pene canoniche e dichiararli divisi dalla comunion de'
Fedeli? L'Arcivescovo di Praga, Alessandro V. e Gioanni XXII. usarono ogni più mite maniera per
vincere la durezza del primo; e lo chiamò il Cardinal Colonna per udire le sue discolpe, ed esortarlo
a ravvedersi. A Lutero fu spedito il Cardinal Gaetano per ricondurlo ai doveri di Religioso e
Cristiano: per Calvino si mosse il Cardinal Sadoleto: e non contento il Romano Pontefice di tanta
condiscendenza e dolcezza interpose per quello gli officj autorevoli di Carlo V., e con questo le
rispettabili esortazioni della Sorbona. Ma se ingrati costoro a tanta moderazione e bontà
imperversano vie peggio, e gli Hussiti corrono all'armi, disprezzano i Concilj e si ribellano
apertamente al Romano Pontefice; se Lutero ricusa d'abbiurare alla presenza del Cardinale i
conosciuti e confessati errori, ed invece di gettarsi in seno della Chiesa che pronta si dichiarava ad
accoglierlo amorevolmente, e non poteva, checchè ne dica in contrario l'appassionato autore del
Commentario sopra la Bolla di Paolo III., invitarlo a' suoi casti amplessi con maggiore dolcezza di
quella che usò con lui il Card. Gaetano, ricorre al braccio di potenti sovrani, e move contro i
Cattolici ribellioni e tumulti; se Calvino aggiugne nuovi errori al suo Catechismo, confuta le lettere
del Sadoleto, ed ha l'ardire di chiamare la venerabile assemblea della Sorbona una greggia di
porci
(183)
; lascio a voi il decidere chi sia l'aggressore, chi l'assalito, chi abbia incominciata la funesta
tragedia, chi è stato costretto a soffrirla, e chi in somma sia da riputarsi colpevole di quelle stragi,
che sono venute in appresso. Io non rinfaccierò mai alla Chiesa l'abbondante sua moderazione e
clemenza. Non manca chi ha avuto l'ardire di farlo: ed il Cardinal di Richelieu giustifica la
carcerazione del Patriarca de' Giansenisti con dire
(184)
,
che se Lutero e Calvino fossero stati subito
anch'essi rinchiusi,
la Francia e Germania si sarebbero preservate da un diluvio di [63] mali, che
dipoi la innondarono. Ma la Chiesa è degna di venerazione e rispetto e quando soffre con molta
longanimità i colpevoli e quando li castiga. Dico solo che grande è l'imprudenza de' nostri
contraddittori, se osano di criticarla per qualche rigore ch'ha usato con gli Eretici dopo sì lunga
pazienza: An dignum fuisse censes, ripeterò io pure con Lucifero Calaritano che parlava all'Ariano
Imperatore Costanzo
(185)
, obviam Pastores tibi iremus siccis parato faucibus ad nobismet nobiscum
commissos transvorandos. La difesa è di comune diritto; e nel rigore, che la Chiesa ha usato talvolta
coi settarj, altro io non ravviso in essa che una madre amorosa, la quale invece di fare uso di quella
podestà che ha ricevuta da Dio di castigare ogni disubbidiente, altro non adopra anche coi ribelli
suoi figli, che la facoltà propria d'ognuno di conservarsi e difendersi; ed altro non s'incontra nei
novatori e settarj, che arrabbiato furore, malignità incredibile, e nell'assalirla ed offenderla
un'intollerabile ostinazione e barbarie. E come la riforma di Lutero e Calvino non è stata che
indiscreta ed imprudente, nè è nata d'altronde, e lo confessa lo stesso Marc'Antonio de Dominis
(186)
,
che ab hominibus tumultuantibus, & odio, pessimisque animi motibus, & affectibus invidiae,
elationis, iracundiae (taceo pejora) turgentibus; così tutti i disordini che sono seguiti in appresso
non si possono attribuire che alla sola loro malvagità e passione.
Nè vi deste mai a creder che non tutti gli Eretici siano di questo carattere; nè mai vi cadesse in
(182)
Epist. 185. al. 50. ad Bonifacium num. 7.
(183)
Antidot. ad artic. sacr. Theolog. Parisien.
(184)
Lafiteau. hist. Lib. 1. p. 4.
(185)
De non parcendo delinquentibus in Deum.
(186)
Epist. de pace religiosa ad Joseph. Hallum Archipresbyterum Wigorniensem.
53
pensiero di distinguere i turbolenti e seduttori dai mansueti e pacifici. Questa distinzione altro non è
che una chimera inventata dai miscredenti per nascondere gran parte della loro reità, e divenir meno
odiosi e punibili. In questa maniera procuravano una volta i Donatisti di eludere le diligenze e
distrugger le leggi dei loro sovrani e della Chiesa. Ma non menò loro buona la scusa S. Agostino, il
quale nega
(187)
senza punto esitare quella piacevolezza ch'essi vantavano, e dice, che sono tutte
bugiarde apparenze per ingannare i semplici e divenir quindi col crescere di numero peggiori [64]
degli altri: mitiores quidem esse videmini
s
quia cum Circumcellionum immanissimis gregibus non
saevitis: sed nulla bestia, si neminem vulneret, propterea mansueta dicitur, quia dentes et ungues
non habet. Saevire vos nolle dicitis; ego non posse arbitror: ita estis numero esigui, ut movere vos
contra adversarias vobis multitudines non audeatis, etsi cupiatis.
Per altro quantunque mancassero talvolta le ribellioni ed i tumulti, non mancarono però
giammai molti altri gravissimi danni, che devono temere le civili società dalle perverse loro
dottrine, e sono questi almeno in gran parte a tutti comuni; poichè non per altro si scostano dai
sentimenti cattolici, se non perchè vogliono sostenere massime contrarie e distruggere quelle
utilissime che professa la cattolica Religione. Ond'è che da essa si devono aspettare tutte le
disgrazie e disturbi, che nascer possono da un'uomo di natura corrotta, che non solo non ha alcun
freno che lo ritenga ne' ragionevoli e civili doveri, ma trova in vece chi risveglia le addormentate
passioni, e le eccita con ogni arte ed impegno. Fate che si sparga fra i popoli la strana idea, che dà
Calvino
(188)
di quelle somme podestà, sopra le quali la pubblica felicità, come sopra immobil base,
sicuramente riposa chiamandola sanguinaria insolentium Regum sceptra; e che siano riputati
coloro, che la sostengono, malvagi, frenetici e furiosi, come si chiamano nel Sistema della Natura, è
che cominci a credersi un delitto di lesa umanità l'ubbidirli, come leggesi nel libro intitolato
l'Asiatico Tollerante; fate che non abbiano i popoli altra idea de' loro superiori, che d'uomini
scellerati meritevoli d'ogni supplizio, come li dichiara Voltaire nel suo Filosofo Militare, e che
s'imbevano del sentimento di Rousseau nel Contratto Sociale, che si disubbidiscano lecitamente
tosto che far si possa senza pericolo; permettete che si pubblichi in una città il celebre Manifesto di
Tommaso Moncero
(189)
, che potè in pochissimo tempo sconvolgere le idee e guastare la mente di
tante migliaja di villani in Germania, o che si senta da un Presidente di un'adunanza ciò che il
fanatico popolo di Parigi ascoltò da una delle sue tribune: que l'insurrection est le plus saint des
devoirs; ed oltre a ciò suggerite loro, che è lecita la fornicazione, il ripudio, l'usura, come
sostengono [65] non pochi settari; sostituite alla carità cristiana l'umanità bestiale dei moderni
filosofi, la superbia degli Eretici alla cristiana umiltà, le loro crapole ai nostri digiuni; poi ditemi
qual'argine sarà capace a trattenere, sicchè non inondino per ogni dove, le ribellioni, le prepotenze,
le dissolutezze, le frodi ed ogni sorta di malvagità e disordine. Hanno un bel vantare i paesi
accattolici l'onestà del lor tratto e la morigeratezza de' loro costumi; che io parlando in generale li
crederò sempre tanto inferiori, anche in questa parte ai cattolici, quanto più si scostano dalle loro
massime: e se in ogni luogo la moltitudine è viziosa, più assai lo dev'essere dove crede male, e dove
i popoli sono scorretti non per la fragilità umana, come ne' paesi cattolici, ma anche per sistema. Se
una buona pianta radicata nelle sante massime della cattolica Religione viziata appena da straniere
cagioni produce tal volta frutti non buoni, quai frutti potrà mai produrre una pianta, che esposta
senz'alcun riparo ai medesimi urti ha infette le radici stesse, e non attrae dallo sterile avvelenato
terreno che pestifero nudrimento d'irreligione? Ah! non può un'albero così mal situato produrre altri
frutti che quei disgustosi e nocivi, che fin dal suo nascere produsse nella Germania la malaugurata
riforma, e che sono stati ad uno ad uno rinfacciati da Giorgio di Sassonia
(190)
a Lutero nella seguente
maniera: Ex tua tuorumque discipulorum doctrina omnes antiquae et reprobatae haereses
innovantur, omnis Dei honestus cultus aboletur, quod sane a temporibus Sergii tam late nunquam
(187)
Epist. 93. al. 48. ad Vincent. Rogatistam cap. 3. num. 11.
(188)
Lib. 4. Instit. cap. 20. n. 31.
(189)
Ap. Raynaldum in Annal. Ad ann. 1525. num. 7. 8. 9. 10.
(190)
Epist. dat. ann. 1526. apud Gretserum in praefat. ad antidotum pro Strena Hussero Helemaugiana pag. 627. tom.
6. Oper.
54
factum. Quando plura sacrilegia, quam post productum Evangelium tuum? Quando plures
ribelliones contra Superiores? Quando plures rapinae et furta? Quando maritis ademptae sunt
uxores, aliisque traditae, quod nunc in tuo reponitur Evangelio? Quando plura facta sunt adulteria,
quam postquam tu scripsisti? Ripete lo stesso in altri termini il P. Graveson dove accenna
l'infelicità dell'Inghilterra nata dal fatale abbandono della cattolica Religione
(191)
. Nè il solo Giorgio
cugino dell'Elettore ed attaccatissimo all'antico sistema ha conosciuto e rinfacciato ai Luterani tanti
disordini, nè tant'infelicità il solo piissimo Graveson agl'Inglesi. Li ha veduti e [66] rinfacciati ai
primi anche Erasmo, nome non odioso al loro partito, il quale nella lettera a Volturio Neocomo
(192)
dopo aver detto, che non ha conosciuto un Luterano che sia divenuto migliore, soggiunge poi, che
invece ne conosce moltissimi che hanno peggiorato: ego tibi multos ostendam qui facti sunt se ipsis
deteriores. E sì gran disordine non ha potuto essere dissimulato neppure dal Luterano Giacomo
Andrea Smidelino così accreditato tra loro che era chiamato da molti Papa de' Luterani. Ecco ciò
che egli dice de' suoi compagni
(193)
: Ut totus mundus agnoscat non esse Papistas, nec bonis
operibus quidquam fidere, illorum operum nullum exercent penitus; jejunii loco comessationibus et
perpotationibus nocte dieque vacant; ubi pauperibus benigne facere oportebat, eos deglubunt et
excoriant; precationes vertunt in juramenta, blasphemias, et divini nominis execrationes, idque tam
perdite, ut Christus ne ab ipsis quidem Turcis hodie tantopere blasphemetur; demum pro humilitate
regnat passim superbia, fastus, elatio, atque hoc universum vitae genus ab illis Evangelicum dicitur
Institutum. E crediate pure che non è questa una verità amplificata oratoriamente, ma è la pura storia
esposta con eleganza da uno di costoro, che senz'avvedersene ha somministrato a noi uno dei più
forti argomenti per ismentire le loro imposture, e far conoscere a tutt'evidenza il gran danno che ha
recato all'uno e all'altro Stato la loro apostasia. Molti altri ne porge il P. Ignazio Fiumi nella sua
Scuola di verità
(194)
, che io tralascio per non diffondermi oltre il dovere. Solo a provare che questo
succede non nella sola Germania, ma dovunque pone piede l'ereticale perfidia, ai sentimenti del P.
Graveson aggiungo quelli, di Marc'Antonio de Dominis, che prima di partire dall'Inghilterra,
parlando della maggior parte de' Prelati e ministri anglicani ebbe a dire nell'indicata lettera, che
adsunt profecto inter vestros Praelatos (salva bonorum existimatione) graviores adhuc abusus,
quam sint inter pontificiorum nonnullos, non minor luxus, non minores pompae, non minor avaritia,
major vero ecclesiarum et animarum neglectus. Dominatus Episcoporum mundanus in ipsorum
clerum efficit, ut passim Parochi britannici et ministri (excipio nonnullos bonos [67] et pios unionis
peramantes) sint acerrimi Puritani, quia dominatum illum oderunt. De moribus nihil dico, nihil de
simoniis; mirum enim non est, quod minora beneficia vendant illi, qui sua majora emerunt. Ora che
volete di più? Abbiamo rei che confessano il danno che hanno arrecato coi loro errori anche al buon
costume, che esser suole al dir di M. Martineault,
(195)
le premier lien des sociétés, le plus ferme
appui de la tranquillitè publique, le plus sur garant de la prospérité des empires. E non vi basta
questo per confessarvi convinto di questa incontrastabile verità, che l'Eretico reca danni gravissimi,
anche alle civili repubbliche, e che l'eresia anche per questo capo merita d'essere annoverata tra i
delitti maggiori? E notate, che accennando io i loro danni nulla vi ho detto de' castighi che nascer
sogliono dalla irritata divina giustizia; e nulla dironne, perchè ho a fare con avversarj che reputano
forse i castighi di Dio puerili invenzioni e favole di vecchiarelle; ma non li crederà tali chi imparò
dal profeta Aggeo
(196)
, che il solo trascurarsi da un popolo l'onore dovuto a Dio ridonda in grave
danno di tutti: Propter hoc super vos prohibiti sunt coeli, ne darent rorem, et terra prohibita est, ne
daret germen suum: et vocavit siccitatem super terram, et super montes, et super triticum, et super
vinum et super oleum, et quaecunque profert humus, et super homines, et super aumenta, et super
omnem laborem manuum: che sarà poi dove non solo si trascura l'onore di Dio, ma si oltraggia? e
(191)
Hist. tom. 7. Colloq. 3. pag. 93.
(192)
Lib. 31. epist. 47. pag. 2054. edit. Londin. ann. 1642.
(193)
Concion. 4. in cap. 21. S. Luc.
(194)
Schol. Verit. Narrat. 12. c. 2.
(195)
Rapport fait à l'Assemblée Nationale par M. Martineault.
(196)
cap. 1. ver. 7.
55
dove non solo si ricusa di ascoltare i suoi divini ammaestramenti e la voce che è stata destinata da
lui per dichiararli, ma si sprezza e calpesta? Io li credo inevitabili; ma quand'anche mancassero, ben
lungi dal rallegrarmene, seguirò il consiglio del grande Agostino che mel divieta, e nemo, dirò
anch'io con lui, gratuletur homini, qui prosperatur in vita sua, cujus peccatis deest ultor, et adest
laudator. Major hic ira Domini est: irritavit enim Dominum peccator, ut ista patiatur, idest ut
correctionis flagella non patiatur
(197)
. Iddio ci guardi da sì gran flagello: ed augurando ai nostri
nemici colla ristorazione della cattolica Religione la ricuperazione di giorni meno funesti ed il
ristabilimento di una società più felice e tranquilla, mi dico di cuore
(197)
in Psal. 7.
56
LETTERA SESTA.
II delitto d'eresia merita severo castigo.
o scioglimento del dubbio, che m'avete proposto nell'ultima vostra, altro non può costare a me,
preso in generale, che la tenue fatica di dedurre una semplice conseguenza, che nasce da quelle
verità che v'ho scritte sin'ora. Voi cercate se il delitto d'eresia debba essere punito; ed io vi rispondo
con tutti i migliori giuristi e filosofi, che come la ripercussione dell'eco succede naturalmente alla
voce, e come nasce dalla radice la pianta, così il castigo corrisponde e nasce spontaneo da quella
colpa, che lo ha preceduto: e se l'eresia è un delitto, ragion vuole che porti seco quel reato di pena
che l'accompagna. L'ordine della giustizia, che viene per la colpa turbato, come insegna
l'Angelico
(198)
, dev'essere colla dovuta soddisfazione restituito al perduto equilibrio: Actus enim
peccati facit hominem reum poenae in quantum transgreditur ordinem divinae justitiae, ad quem
non redit, nisi per quamdam recompensationem poenae, quae ad aequalitatem justitiae reducit: e
nulla v'ha nel delitto d'eresia, fecondo già come v'ho detto de' maggiori sconcerti, che possa
renderlo immune dalla condizione degli altri. Ma è egli poi soggetto alle umane del pari che alle
divine disposizioni, e può egli essere punito anche da noi? o non è piuttosto per la stessa sua gravità
da riservarsi al solo giudizio di Dio? Preso in questo aspetto non va esente da ogni difficoltà il
vostro dubbio, ch'io reputo per ciò ragionevolissimo, e prendo a sciogliere colla maggiore possibile
brevità in questa lettera.
Che il delitto d'eresia sia punibile dalla giustizia umana per quella parte che va a sconvolgere
la civile repubblica, non ammette alcun dubbio, e lo confessa chiunque non ha il coraggio di bandire
ogni giustizia dal mondo. È questa una delle principali ragioni, per le quali restano esposti alla
pubblica vendetta i delitti comuni; e se ogni malfattore deve temere quella spada, [69] che non
senza cagione ha posto Iddio in mano di chi presiede alle civili società, l'ha da temere
maggiormente l'incredulo, che, come vi dissi, tutta disturba la pubblica pace e tranquillità, qualora i
fondamenti abbandona d'ogni Religione, o ne rovescia almeno il più sodo riparo e cagiona sconcerti
gravissimi, se in qualche maniera si scosta dalle cattoliche verità. Quindi è, che S. Agostino non
sapeva perdonare ai Donatisti l'incoerenza del loro procedere, i quali facili ad accordare ogni
autorità ai sovrani trattandosi di omicidi, di adulteri e di altri facinorosi nemici aperti della pubblica
sicurezza e tranquillità, che per altro non disturbano per lo più che coll'usurpare ed offendere beni
privati, movevano poi tante querele e lamenti ove sentivano pubblicate savie leggi utilissime contro
i sagrileghi, che colla Fede offendono un bene pubblico: Clamate, egli diceva
(199)
contro le lettere di
Gaudenzio, clamate, si audetis, puniuntur homicidae, puniuntur adulteri, puniuntur caetera
quantalibet sceleris, sive libidinis facinora, seu flagitia; sola sacrilegia volumus a Regnantium
legibus impunita. In questo aspetto la giustizia del loro castigo è così evidente, che la maggior parte
de' medesimi nostri contraddittori non ricusa di riconoscerla; ed anche la Storia dell'Inquisizione,
che contro la mente espressa di S. Agostino suppone negli Eretici possibile la moderazione e
dolcezza, non ricusa di abbandonarli al rigor delle leggi allorchè divenissero per disgrazia facinorosi
e superbi disturbatori della pubblica tranquillità.
Non è però, come vi ho già detto, il disturbo della civil società la sola sorgente della reità
dell'Eretico; ond'è che esser non può il solo motivo del suo castigo. Egli è punibile anche perchè
disturba la religiosa società de' Fedeli, la quale ne è, come già udiste dalla V. mia lettera, di minor
pregio della civile; anzi è tanto più valutabile, quant'è più nobile la sua origine, più sublime il fine
cui è diretta, più pregevole il vincolo che la unisce, più grande la sua estensione ed ampiezza; e
(198)
1. 2. quaest. 87. art. 1. &. 6.
(199)
lib. 1. contr. Gaudent. Donatist. cap. 19.
L
57
sarebbe una vera pazzia l'immaginarsi che ogni sovrano ed ogni Ordine della politica società vegliar
dovessero instancabili per la custodia e difesa de' loro Stati, e tutto il mondo poi starsene indolente
ed ozioso al sorgere delle più fiere persecuzioni contro il vasto [70] regno sublime di Gesù Cristo.
Anche da questo mistico corpo, diceva S. Girolamo
(200)
che è d'ogni altro il più perfetto e pregevole,
anche da questo ovile, che è d'ogni altro il più geloso e più sacro, secandae putridae carnes, &
scabiosum animal a caulis ovium repellendum, ne tota domus, massa, corpus, & pecora ardeat,
corrumpatur, putrescat, intereat. E Pelagio Papa
(201)
animando la timidità di Narsete a castigare gli
Scismatici non tocca altro che questo motivo: ecce domine quod animus vester forte timidus, ne
persequi videaris, de Patrum vobis auctoritate haec breviter dirigenda curavi, cum mille alia
exempla & constitutiones sint, quibus evidenter agnoscitur, ut facientes scissuras in S. Ecclesia non
solum exiliis, sed etiam proscriptione rerum & dura custodia per publicas potestates debeant
coerceri…Hoc enim divinae & humanae leges statuerunt, ut ab Ecclesiae unitate divisi & ejus
pacem iniquissime perturbantes saecularibus etiam Potestatibus comprimantur. Nec quidquam
majus est, unde Deo sacrificium possitis offerre, quam si id ordinetis, ut hi, qui in suam & aliorum
perniciem debacchantur, competenti debeant rigore compisci.
Quello però che sopra d'ogni altra cosa deve animare il comune zelo alle più severe vendette
contro gli Eretici e miscredenti, è l'oltraggiata Divinità, la quale siccome è la più copiosa sorgente
della gravità del delitto, di cui parliamo, così è la più forte ragione che approva le nostre coazioni e
vendette. Per questo motivo il peccato divien sì grande, che il Card. Albici
(202)
ha preteso che
abbracci anche il delitto di lesa umana maestà, la quale della divina è una participazione ed
immagine, e lo crede anche per questo meritevole della comune esecrazione. Ma io penso, che la
divina grandezza non abbia bisogno di mendicare dalle create cose le ragioni ond'essere rispettata e
venerata da tutti come conviene. Basta per se sola a far crescere in infinito la reità di chi osa
oltraggiarla ed offenderla, opponendosi alla stessa sua verità e grandezza; e deve bastar per se sola
ad impegnare tutto il nostro zelo per vendicarla: ed io [71] son tanto lontano dal ricercare dalle
ingiurie di minor conto, che alle creature si fanno, i motivi, pei quali debba essere vendicata la
maestà di quel Dio, che l'Eretico oltraggia, che anzi credo con S. Tommaso che non d'altronde
risulti meglio la giustizia di quelle vendette, che si praticano a riparo dell'ingiurie degli uomini, che
da Dio medesimo, di cui l'uomo è immagine, ed in disdoro del quale vanno poi sempre a terminare
le nostre colpe, sebbene non con uguale temerità e malizia: Deum decet se vindicare; quia ex hoc
est aliquid malum
t
quod est contra Deum, sed homo non debet punire quasi se vindicans, sed Deum,
si habet hoc ex officio
(203)
. Così la pensa anche S. Agostino
(204)
; e dalla pena, che merita chi
oltraggia la maestà del sovrano, argomenta la maggior pena, che merita chi offende l'infinita divina
maestà; Cum probrum jacitur in principem patriae bonum atque utilem, nonne tanto est indignius
quanto a veritate remotius? Quae igitur supplicia sufficiunt, cum Deo fit ista tam nefaria tam
horrenda injuria?
S. Tommaso cerca se la vendetta sia lecita
(205)
, e dopo aver commendata la moderazione di
quelli che rimettono le proprie ingiurie per ispirito di cristiana dolcezza e pazienza, non vuole che si
soffrano con ugual' indolenza le ingiurie, nelle quali la Divinità ritrae offesa speciale; ed il suo
parere è appoggiato all'insegnamento di S. Gioanni Grisostomo
(206)
, il quale stabilisce, che in
propriis injuriis esse quemquam patientem, laudabile est; injurias autem Dei dissimulare nimis est
impium. Ne aveva anche con maggior precisione indicato il motivo S. Leone
(207)
, dicendo che
quando in nos peccant homines, si poenitentibus veniam non indulgemus, peccatum incurrimus.
Quando aliquis in Deum peccaverit, si sine grandi distrinctione indulgere voluerimus, participes
(200)
Lib. 3. Commentar. in cap. 5. Epist. ad Galat. num. 4.
(201)
Epist. 3. Narse. tom. 6. Conc. Labbae pag. 457.
(202)
De Inconstantia in fide part. 2. cop. 2. n. 77.
(203)
3. d. 1. q. 1. a. 2. ad. 4.
(204)
de Civ. Dei lib. 2. cap. 9.
(205)
2. 2. quaest. 108. art. 1.
(206)
In cap. 3. Isa. N. 7. tom. 3. Oper.
(207)
Serm. de Martyribus.
58
peccatis eorum efficimur. E questo è anche il sentimento di S. Cirillo
(208)
e di S. Girolamo
(209)
, anzi
di Giosuè stesso, che per alto divin consilio sterminò l'intera città di Gerico infetta d'idolatria, e
preservò la sola casa di Raab, [72] la quale tra i disordini, dell'umana fragilità non aveva
abbandonato il culto del vero Dio
(210)
. Leggete il libro di Lucifero Calaritano de non parcendo
delinquentibus in Deum; e vedrete se l'eresia per questo conto ha ragione di delitto, e se merita
d'essere trattata con moderazione e dolcezza.
So che avrete incontrate nel Montesquieu massime assai diverse, ed avrete letto
(211)
che la
Divinità dev'essere da noi onorata, non vendicata; il qual sentimento fu poi adottato da tutti coloro, i
quali hanno preteso, che allora solo possano gli Eretici essere da noi castigati, quando non contenti
d'oltraggiare la divina maestà riescono coi loro errori di grave danno anche agli altri. Ma non
meritano costoro di essere ascoltati; sì perchè non è la loro massima coerente a se stessa, come
ancora perchè si oppongono per tal modo ai più giusti sentimenti dei nostri antichi e più accreditati
maestri. Non è la massima coerente a se stessa; poichè appunto per questo devono essere castigati
gli Eretici, perchè Iddio merita il nostro culto ed onore; e risparmiati, ne soffre l'onor di Dio, e
castigati, diviene la stessa vendetta un giusto tributo di culto, che alto ascende al divin trono, e
ritorna a noi ripieno di celesti benedizioni. Così fu onorato Iddio da Mosè nell'antica alleanza,
quando scannò ai piedi di quel sacrilego altare, che avevano eretto per oltraggiare il grande Iddio
d'Abramo, più di ventimila Ebrei idolatri. Così prestò al medesimo il dovuto servizio Ezechia
incendiando i boschi superstiziosi, e Giosia similmente abbruciando e boschi ed altari, e Finees che
fu lodato e rimunerato
(212)
, perchè zelatus est pro Deo suo, & expiavit scelus filiorum Israel. Non è
poi la massima coerente ai sentimenti dei più accreditati maestri, i quali insieme alla reità che
accompagna l'ereticale perfidia accennano chiaramente le pene, gravissime colle quali dev'essere
castigata anche tra noi. Non istarò io qui a ripetere quelle testimonianze che avete già lette in
un'altra mia lettera; chè voglio risparmiare al possibile il tempo per impiegarlo più utilmente:
aggiugnerò piuttosto qualch'altra loro sentenza a maggior rinforzo della verità ed a meglio dileguar
quel sospetto, che i nemici del S. Officio tentano di spargere negli animi de' meno esercitati e
circospetti, spacciando a [73] piena bocca che i SS. PP. hanno per la maggior parte creduto essere
coll'antica alleanza cessato in noi l'obbligo d'onorare la Divinità con castigare i bestemmiatori ed
increduli, e che altro non ispirano i loro scritti che tolleranza e dolcezza. È questa una delle solite
imposture, per ismentire la quale vengo ora a mostrarvi ch'essi hanno sempre creduto ed insegnato
il contrario, e che del molto zelo, che nudrivano in seno e li animava a combattere per la gloria
dell'Altissimo e cancellare col castigo degli empj i suoi oltraggi, hanno dato in ogni tempo le più
chiare ed autentiche testimonianze. Anche adesso, dice per tutti S. Agostino
(213)
, è lodevole una tale
pratica, nè hanno i Re di questa più acconcia maniera di prestare ossequio e di servire al Signore:
Quomodo Reges Domino serviunt in timore, nisi ea, quae contra jura Domini fiunt, religiosa
severitate prohibendo, atque plectendo, sicut servivit Ezechias, lucos et templa Idolorum, & illa
excelsa, quae contra praecepta Domini fuerunt constituta, destruendo
(214)
? sicut servivit Josias,
talia et ipse faciendo
(215)
? E S. Girolamo
(216)
nella lettera a Ripario epilogando i maggiori castighi
dati da uomini piissimi ai bestemmiatori ed increduli nell'una e nell'altra alleanza, tutti li approva, e
li dichiara coerenti alle prescrizioni divine: Legi seiromasten Phinees, austeritatem Eliae, zelum
Simonis Cananaei, Petri severitatem Ananiam & Saphiram trucidantis, Paulique constantiam, qui
Elymmam magum viis Domini resistentem aeterna caecitate damnavit. Non est crudelitas, pro Deo
pietas; unde & in lege dicitur: Si frater tuus & amicus & uxor, quae est in sinu tuo, depravare te
(208)
lib. 6. in Evang. Joann. cap. 9.
(209)
Ep. 36. al. 75. Vigil.
(210)
Ep. Canon. Jacobi cap. 2.
(211)
Lib. 12. cap. 4.
(212)
Numeror. cap. 25. vers. 13.
(213)
Ep. 185. ad Bonifac. cap. 5. n. 19.
(214)
4. Reg. 81.
(215)
4. Reg. 23.
(216)
tom. 1. pag. 719. edit. Vallars.
59
voluerit a veritate, sit manus tua super eos, & effundes sanguinem eorum, & auferes malum de
medio Israel. Così S. Girolamo: lo stesso scrive Ottato Millevitano
(217)
, e ripetono gli altri tutti. Ma
a che andar mendicando dalle opere degli antichi dottori la verità, quando chiara ci vien proposta
dalla Chiesa, che ne è il fondamento e sostegno? Parlò ella ad alta voce dalle sue cattedre infallibili,
e col fulminare gli errori e col decretare contro gli Eretici ogni sorte di correzione anche più
rigorosa dimostrò chiaramente non che lo zelo invincibile che [74] nutre nel custodire il deposito
della sagra dottrina, ma le pene altresì che corrispondono al delitto di chi l'abbandona. Scorrete gli
Atti di tutti i Concilj ne' quali sia stata condannata una qualche eresia; scorrete tutte le Bolle
dommatiche de' Romani Pontefici che abbiano preso a sostenere qualche verità dagli Eretici
contrastata; e tutte ci diranno e colle più solenni dichiarazioni e colla pratica più costante che
l'eresia è un delitto gravissimo, e che merita anche fra noi il più severo castigo. Le scorra e mediti
anche il Montesquieu, il Rousseau, il Bartolotti, il Voltaire e quant'altri hanno l'ardire di negare o in
tutto o in parte una verità così evidente e sicura, e si vergognino una volta d'essersi scostati sì
malamente dalle saggie istruzioni di sì eccellenti maestri e della Chiesa medesima. Ma che dissi mai
di sì eccellenti maestri e della Chiesa? dal sentimento dir dovea piuttosto di tutto il genere umano;
giacchè è così certa la verità che vi scrivo, che è andato sempre unito del pari in ogni colta gente e
nazione alla venerazione della Divinità l'impegno di vendicarne gli oltraggi; e se, dice Seneca
(218)
,
non è stata la medesima in ogni luogo la maniera di castigarli, in niun luogo però sono andati
impuniti: Violatorum Religionis alicubi atque alicubi diversa poena est, sed ubique aliqua.
Vegliavano a questo solo intenti alcuni tribunali in Atene ed in Roma; e le persecuzioni d'Aristotele,
la morte di Socrate e di Anassagora, le sanguinose guerre insorte per questo motivo tra gli Ateniesi
e Spartani, tra gli Anfitioni e Cirrei, tra Filippo il Macedone ed i Fociensi, il sagrilegio de' quali,
come scrive Giustino
(219)
, orbis viribus expiari debuit, non accennano soltanto fatti incontrastabili,
ma confermano altresì che il vendicare i torti della Divinità non è un vizioso trasporto di male intesa
passione, non una pura prescrizione di umana legge, ma una inclinazione naturale ed ingenita a tutte
le ragionevoli creature, la quale sebbene possa esser viziata dall'ignoranza e da privati affetti piegata
ad oggetti non giusti, non lascia però di mostrare colla sua estensione, che occupa il cuore d'ogni
gente e nazione, che nasce da Dio, e che è voce della natura non solo quella che suggerisce a tutti di
prestare alla Divinità il giusto ossequio, ma quella ancora che induce tutti a ripararne con ogni
rigore gli oltraggi: e questa voce è sì chiara [75] e sonora, che si fa intendere da quelli stessi, i quali
sono i meno disposti ad udirla, perchè dichiarati nemici implacabili della Chiesa e di quel tribunale,
al quale è stata affidata una tal cura. Questi ancora l'hanno ascoltata talvolta, e ne hanno date le più
solenni testimonianze in più luoghi di que' libri medesimi, che scrivevano a favore della tolleranza e
dell'erronea loro libertà di coscienza. Lascio i sentimenti di Calvino, che incostante ne' detti suoi si
protestò più volte alieno da quelle pratiche, che aveva procurato di stabilire coi fatti più sanguinosi
e con la sua penna e con quella di alcuni suoi aderenti; e lascio ancora quelli di Pufendorfio, che
non delle pene, ma trattando delle sorgenti donde i delitti traggono la loro deformità, dice
espressamente, che inter illa objecta uti nobilitate immensum excedit Deus Optimus Maximus, ita
merito prae caeteris maxime detestanda habetur actio, quae directe in ipsius contumeliam
tendit
(220)
. Porterò solo le sentenze di alcuni di quegli scrittori dell'una e dell'altra comunione, che
hanno parlato delle pene con precisione, e le hanno riconosciute giustissime anche a solo compenso
della gravissima ingiuria che si reca all'Altissimo. Il Carpzovio da questo capo più che d'altronde
rileva l'enormità d'un tale delitto; e dopo d'averlo chiamato per questo motivo nefandum,
gravissimum, & atrocissimum crimen, nec non detestabilem & execrandam perfidiam in Auctorem
Deum, communemque hominum Parentem, ac Dominum, conchiude in fine, che dev'essere più
d'ogni altro punito: Quanto magis ergo Haeretici in gremio Ecclesiae constituti a vera Fide
aberrando delinquunt, quantoque magis scandalum praebent errori circa Fidei articulos
(217)
lib. 3. cont. Parmenianum. tom. 4. Bibl. PP. Edit. Lungdun. P. 355.
(218)
Epist. 6. 3.
(219)
lib. 8. cap. 2. Histor.
(220)
De Jur. N. & G. lib. 8. cap. 3. num. 18.
60
pertinaciter inhaerendo, eosque malitiose oppugnando, tanto gravius in ipsos animadvertere debet
Magistratus. Dice lo stesso Ugo Grozio
(221)
; anzi assicura che non può nascer dubbio, che siano
giuste quelle pene temporali, che si danno a coloro, i quali negano o l'esistenza di Dio, o la
provvidenza, giustizia e bontà, o la divinità e redenzione di Cristo: Si quis Deum esse, aut curare
humana, aut judicium post hanc vitam exercendum neget: si quis Deum omnium peccatorum vere
auctorem statuat, si quis Christi deitatem, aut peracta per [76] Christum ά̉πολυτρωσν neget, quis
dubitet, quin homo tam profanus imperio summae potestatis aut e publico munere, aut republica
ejici possit, etiam non multis in consilium adhibitis? Più precisa di queste è la testimonianza di F.
Paolo, il quale dopo aver distinti i peccati contro la prima Tavola, che vanno a ferire la divina
maestà da quelli contro la seconda, che offendono gli uomini, confessa
(222)
a chiare note, che i primi
sono peggiori degli altri, e ne inferisce da ciò che i principi sono più obbligati a punire le
bestemmie, l'eresie, gli spergiuri, che gli omicidj ed i furti: sentimenti e verità incontrastabili che
egli ha dedotto dal gius canonico, ove dicesi che è longe gravius aeternam, quam temporalem
laedere majestatem
(223)
.
Su queste traccie ha scritto ancora il raccoglitore delle varie storie stampate in Colonia, che ho
citato in altre mie; ed ai tanti spropositi, che ha incontrati e ricopiati con molt' esattezza dal discorso
di F. Paolo, non ha avuta l'imprudenza del Bartolotti e di alcuni altri d'aggiugnere anche questo, che
gli Eretici debbano andare impuniti, dal quale l'istesso F. Paolo s'era per fortuna astenuto. Sì,
anch'esso il raccoglitore ha riconosciuto ed approvato la giustizia di questa punizione; e voglio qui
riferire l'istesse sue parole, perchè scorgiate con quant'enfasi parli, e quanto creda irragionevole il
contrario parere. L'on ne voit pas, così si esprime
(224)
, pourquoi l'on doit punir les calomnies, les
faux tèmoignages et les discours sèditieux, et pourquoi il sera libre de parler contre Dieu, Jèsus-
Christ et l'Eglise. L'on convient que l'on est obligè de dèfendre l'innocence, l'honneur, les biens et
la vie du prochain, et d'employer pour cela les peines & les supplices. N'y aurait-il
(225)
que la vèritè,
qu'il sera permis d'abandonner
(226)
an proie
(227)
à l'ignorance, à l'inquiètude, à l'orgueil et à la
tèmèritè des hommes? Tanta è la forza della verità, che sa ricavare le più autentiche approvazioni da
quelli stessi, che fanno ogni sforzo per occultarla.
Non è però la sola giustizia che deve impegnare il nostro zelo a dare all'oltraggiata Divinità ed
alle società danneggiate la conveniente soddisfazione: se ne interessa anche la carità, che non
permette che abbandoniamo quest'infelici senz'adoprare i rimedj [77] più efficaci per convertirli.
Senza il castigo quasi poledri indomiti vanno a precipitarsi nella voragine del fuoco eterno, ed
offuscata la mente da dense tenebre di malnate passioni, ed ingombro il cuore da affetti disordinati,
più non vedono la strada che può condurli a salvamento, e più non sentono alcuno stimolo di
virtuosa inclinazione che possa indurli a seguitarla. Il solo freno dell'autorità può arrestarli nel
mal'intrapreso cammino: ed il loro timor del castigo, che rende meno seducente l'ideato piacere, e lo
amareggia anche presente, può dissipare quelle nebbie, che ingombrano la mente ed il cuore di
quest'infelici. E saremo noi così inumani e crudeli di non volere stendere una mano per arrestarli, nè
alzar' un flagello per utilmente atterrirli? Nol soffre l'umanità, che si fa carico, d'ogni disastro che
sovrasti ai suoi simili: nè lo vuole la cristiana carità, che dimentica talvolta se stessa per porger
riparo al bene spirituale degli altri. Salubriter, diceva S. Agostino de' Donatisti
(228)
, regula
temporali molestiarum excutiendi erant, ut tanquam de somno letargico emergerent, et in salutem
unitatis evigilarent. E non furono trascurati giammai dalle menti più elevate e sublimi così utili
provvedimenti. A questo riparo ebbe ricorso Isaia per correggere i colpevoli: cum feceris judicia tua
(221)
De Imp. Sum. Potest. cap. 7. num. 6.
(222)
Stor. dell'Inquisiz. tom. 1. Oper. pag. 340.
(223)
Cap. Vergentis de Haeret.
(224)
Histoire lib. 1. pag. 41.
(225)
Nel testo "aurat-il"! (N. d. R.)
(226)
Nel testo "d'abbandoner"! (N. d. R.)
(227)
Nel testo "proye"! (N. d. R.)
(228)
Ep. 93. al. 48. ad Vìnc. Rogat. cap. 1.
61
in terra, justitiam, discent habitatores terrae
(229)
: questo è il rimedio che oppose S. Paolo al
libidinoso trasporto dell'incestuoso di Corinto
(230)
: e quest'è finalmente il sussidio, di cui volle Gesù
Cristo che fossero provveduti gli Apostoli per richiamare gli Eretici al sagro ovile. Venerunt, dice S.
Agostino
(231)
, de plateis et vicis gentes, veniunt de sepibus Haeretici, nam sepes, qui extruunt
divisiones,
quaerunt: abstrahantur a sepibus; sed cogi nolunt, voluntate, inquiunt, nostra
intremus.... Non hoc Dominus imperavit, coge, inquit, intrare, foris inveniatur necessitas, nascatur
inde voluntas. Nè andarono mai disgiunti da così utili provvidenze i felici successi. A questi
attribuisce Geremia il ravvedimento dello sconoscente Israello. Castigasti me Domine, et redditus
sum quasi juvenculus indomitus
(232)
: e di varj altri del vecchio Testamento ce ne assicura l'istesso
apostata Girolamo Mario, che nel pessimo opuscolo, che scrisse nel 1553, per [78] vilipendere in
uno col tribunale del S. Officio i dommi più sagrosanti della cattolica Religione si esprime nella
seguente maniera; Quandoque vero calamitates et tribulationes adhibens idem agit, unde legitur in
Esaia, futurum esse in summa calamitate ut homo idola sua aurea et argentea et in eis talpas et
vespertiliones projiciat. Quid et Manasses tunc tantum idololatriam quid vanum ac impium esse
cogitavit, cum captivus in carcerem conjectus est. Quid de Nabucodonosore dicam? et ipse nonnisi
flagello Dei percussus veritatem Domini ac Deum Caeli agnovit et illum adoravit
(233)
. Tanti poi
sono i ravveduti dopo S. Paolo per questa strada delle tribolazioni e castighi, che sembra superfluo
il rammentarli: e S. Agostino addita le intere città che hanno per tal mezzo ricuperata la Fede. Or se
la colpa è si grave e deforme, che o si consideri in se stessa o ne' rapporti, che ha e coll'oltraggiata
divina bontà e colle pregiudicate cattoliche società, merita i più severi castighi; se tale è la
condizione d'un'infelice colpevole che può appena sperare per altra strada la sua risorsa; e se l'uso
de' castighi è sempre stato di grande utilità ne è mai andato disgiunto dalle più copiose benedizioni
del Cielo; chi può più mettere in dubbio se convenga o no che l'ereticale perfidia sia frenata coi più
severi castighi, e che l'Eretico non è reo solamente ma anche punibile non dalla Divina soltanto, ma
anche dalla giustizia umana? Se voi trovate tra le molte che si agitano dai libertini moderni una
sentenza più dimostrata di questa, io v'accordo che restiate sospeso nel vostro giudizio: ma se non vi
riesce di trovarla, dite pur francamente, che non mai si piega con più ragione l'umana giustizia a
punire i colpevoli come quando volge il suo zelo contro gli Eretici, e gradite poi la premura che mi
sono dato di farmi conoscere con questi nuovi lumi e schiarimenti qual sono
(229)
cap. 26. vers. 9.
(230)
1. ad Cor. c. 5. vers. 6.
(231)
Serm. 33. de Verb. Dom.
(232)
cap. 31. vers. 18.
(233)
Euseb. captiv. Act. prim. diei pag. 83.
62
LETTERA SETTIMA.
Sono insussistenti e debolissimi i motivi che si adducono
dai novatori per preservare gli Eretici
da ogni reato e castigo.
nche dopo le molte e sode ragioni da me addotte per dimostrare la reità dell'Eretico è
giustissima l'istanza che mi fate per sapere a quali fondamenti appoggiano i Tollerantisti il
sentimento contrario: chè non è stato da molti applaudito il costume de' Socratici, i quali dalla sola
evidenza di una parte prendavano motivo di giudicare senza curarsi di ascoltare le Ragioni dell'altra.
Queste, benchè deboli e contrarie alla verità già dimostrata, devono essere sentite e per togliere ogni
motivo di lagnanza all'avversario e per rendere se non più evidente almeno più copioso e più
circostanziato il giudizio. E questo è appunto il bene che aspetto dalla breve esposizione e
confutazione che, sono per fare di quelle ragioni, che porgano i nostri contraddittori, per preservare
da ogni castigo l'ereticale perfidia. Udiste già dalle passate mie lettere, gl'inutili sforzi che fanno per
cassare dal ruolo dei più enormi attentati l'eresia: udite ora per quante e quanto lubriche e
malagevoli strade cercano di sottrarre gli Eretici dal meritato castigo o in tutto anche da quelli
dell'altra vita, o in parte da quelli almeno che aspettar si possono in questa dall'umana legislazione.
Procurano di conseguire il primo intento con immaginare in Dio e nelle ragionevoli creature, cose
insussistenti e ridicole: procurano l'altro col fingere in noi una libertà di pensare e parlare
ripugnante ugualmente. Di questa parlerò a parte in un'altra lettera, che spero di potervi spedire nel
venturo ordinario: vi dirò nella presente qualche cosa sull'indifferenza che suppongono in Dio
relativamente a qualunque sorta di culto, e sull'ignoranza che suppongono in noi invincibile per
trovare anche in noi qualche difetto che nelle nostre infedeltà ci favorisca e discolpi.
Non è il primo sistema una nuova scoperta del secolo illuminato, ma un antica invenzione,
colla quale sin dal nascere della Chiesa presente procurarono gli Eretici di scansare il meritato
castigo. Apelle famoso eresiarca l'inventò nel secondo [80] secolo dell'era volgare; ma non ebbe
allora il felice incontro che ottenne dappoi. Ebbe qualche vantaggio e progresso tra i Manichei; ma
poi da tutti abbominato cessò di sussistere ben presto, ed appena restò la memoria
dell'Indifferentismo in poche storie, che tramandarono ai posteri la notizia della storta e ripugnante
maniera di pensare de' suoi autori, che quanto più crebbe la luce del santo vangelo, tanto meno fu
trovata degna non che d'approvazione, ma di confutazione e risposta. Comparve così assurda ed
inverisimile agli occhi di S. Agostino, che dopo d'aver riportato sulla fede di Filastro ch'era stata
insegnata da certo Retorio
(234)
, quod ita, soggiunge egli, est absurdum, quod mihi incredibile
videatur
(235)
. Non è meraviglia dunque, che un'opinione sì strana cadesse in tale dimenticanza, che
dopo i primi suoi inventori e propagatori si trovi appena per molti secoli chi ne abbia fatta
menzione. Era riserbato ai tempi a noi più vicini, fecondi di vizj non meno che di errori incredibili,
il riprodurla alla luce qual prezioso parto della moderna libertà di pensare e dopo gli accennati
Manichei Quintino Sartore Piccardo fu il primo che la rinnovasse fra i suoi nel secolo precedente
allo scorso, ed insegnasse loro che Dio si compiace per ugual modo di tutte le Religioni: e sebbene
non avesse egli molt'approvazione e fortuna, fu però ciò non ostante il suo errore per opera di David
Giorgio Fabro così propagato in appresso, che Floremondo Remondo ci assicura
(236)
aver avuto ai
suoi tempi molti seguaci in Olanda ed in Frisia, e che se non era adottato da molti in Inghilterra,
(234)
De Haeresib. n. 72.
(235)
De Haeresib. n. 90.
(236)
Lib. 2. c. 16.
A
63
serviva però bene spesso di qualche lenitivo e conforto alle coscienze di quelli, che tuttora sentivano
i rimproveri dell'abbandono già fatto della cattolica Religione. Con questo mezzo strambissimo
Quintino s'aprì la strada a maggiori progressi, ed al crescere della irreligione e del mal costume
l'Indifferentismo e la tolleranza si dilatò per ogni dove in tante guise, e tal riportò dall'empie penne
di Spinoza; Tollando, Collins, Belio, Voltaire e di varj altri Protestanti ed increduli vantaggio e
favore, che trova ormai incauti seguaci per ogni dove; e pare che lo zelo istesso de' più fervorosi
Fedeli abbia nel combatterli perduto anch'esso alcun poco dell'antico suo coraggio e vigore
(237)
.
Non si scosta abbastanza da quest'errore il Signor Giovanni Bartolotti, che nella sua
Esercitazione sopra la tolleranza, dopo d'averlo disapprovato espressamente, col pretesto di non
volere invadere i diritti della Divinità lascia indubbio nel capitolo terzo, se debbano o no essere
condannati nel dì del giudizio quegli Eretici che non si ravvedono. Da questo dubbio non v'è chi
non s'accorga, che nasce in seguito anche l'altro favorevole agl'indicati settarj, se sia o no cosa
indifferente per salvarsi il credere da Cattolico; e che il Bartolotti per un'affettato rispetto, che dice
di professare alla Divinità, contraddice alla stessa Divinità, che si dichiara disposta a condannare
chiunque non crede
(238)
, e contraddice ad una delle fondamentali verità della cattolica Religione.
Non esprimono, è vero, le sue parole quel positivo Indifferentismo dommatico, di cui ho parlato
finora; ma ne ammettono uno scettico non meno falso e ripugnante del primo, e che può riuscire
tanto più pernicioso quanto più uniforme alla dominante maniera, che usano i libertini, di screditare
con vani dubbj e timori le più incontrastabili verità. In una parola il Rousseau dice: J'entends dire
sans cesse, qu'il faut admettre la tollerance civile, non la thèologique. Je pense tout le contraire. Je
crois qu'un homme de bien dans quelque Religion qu'il vive de bonne foi peut être suave
(239)
. Il
Bartolotti lo lascia in dubbio col vano pretesto di non saperlo decidere, e toglie al sistema colle sue
sospensioni quella deformità che a lui procaccia la troppo ardita ed assoluta asserzione del
disgraziato Rousseau. Preso però o nell'uno o nell'altro aspetto io non vedo come il sistema
degl'Indifferentisti possa piacere ad altri fuori che a quegl'increduli, che intenti a rendere inutile il
freno della Religione, o bramosi di sceglier fra tante quella che più si confà colle malnate loro
passioni, o non disapprovano alcun'errore per oscurare quel vero che potrebbe riuscir loro di
disturbo e molestia, o approvano tutte le Religioni per non ammetterne alcuna. Ve la sentite voi di
delirar con costoro? e per non soffrire il tribunale del S. Officio, che castiga quelli che colle loro
bestemmie offendono Iddio, siete disposto a credere plausibili e veri, o almeno innocenti e scusabili
tutti gli spropositi, che hanno saputo inventate [82] e Maometto e Confucio, i Gnostici ed i
Manichei? Neppur Cicerone tuttocchè involto fra le tenebre del gentilesimo, ha saputo digerire
paradosso sì strano
(240)
; ed accennando le varie opinioni riferibili al divin culto prodotte da varj
filosofi e tra loro ripugnanti e contrarie, è di parere che possano bensì esser tutte false, siccome
parto dell'umana invenzione, ma non mai che possa esserne vera più d'una: quorum opiniones cum
tam variae, tamque inter se dissidentes, alterum fieri profecto potest, ut earum nulla, alterum certe
non potest, ut plus una vera sit. Che se poi, false come sono, vi azzardate di sospettare, che si
compiaccia Iddio della loro medesima falsità, come si compiace delle giuste e magnifiche idee che
della Divinità risveglia la vera cattolica Religione, e andar debba per questo l'incredulo immune da
ogni colpa e castigo; riflettete un poco quale strana opinione e concetto formate di lui, che è la
stessa verità, sapienza e bontà, e quanto poco convenga ch'un'essere così perfetto approvi il falso, e
lo prenda per vero, e reputi oneste quelle operazioni che sono per se stesse cattive, e si compiaccia
egualmente de' laidi riti di Maometto e dei puri e castissimi de' veri Cristiani, dei crudeli sagrificj
del Messico e dell'incruento de' nostri altari, delle oneste azioni per ultimo e virtuose che si
conformano all'eterna sua legge e delle viziose e deformi che la offendono.
Bast'avere le prime idee dell'onestà e del vero, e non ignorare affatto ciò che porta seco il
concetto di una perfezione infinita per comprendere la mostruosità dell'indicato sistema considerato
(237)
Gazzaniga Prael. Theol. tom. 1. p. 2. dis. 2. c. 6.
(238)
Marci c. 16. v. 16.
(239)
Lettr. de la Montagn. a Mons. L'Archeveque de Paris.
(240)
lib. 1. cap. 2. de Natura Deorum.
64
in se stesso, il quale comparve così deforme agli occhi stessi de' Protestanti, che molti di loro non
ebbero difficoltà di contare tra gli Atei Cristiano Tommasio, che negava essere peccato l'eresia
formale. Egli diviene poi così deforme se venga adottato da coloro che sanno e confessano che Dio
ha parlato all'uomo ed ha prescritto al medesimo la maniera colla quale vuol'essere onorato, de'
quali noi intendiamo di parlare specialmente, che dar non si possono mostri più orribili di questi,
non istravaganza di opinare più ripugnante in se stessa ed alla Divinità più ingiuriosa. Imperciocchè
qual può esservi mai empio di quello maggiore, che ammette la divina rivelazione, e non si conosce
[83] in dovere di seguitarla? e chi può essere nelle espressioni più incoerente e più ingiurioso
all'Altissimo di chi ha l'ardire di spacciare come inutili i più segnalati favori di un provvisore
sapientissimo, e lui stesso per menzognero e fallace, come quello che si è protestato in mille
incontri d'odiare con infinita avversione quell'azioni, che non lascia poi di lodare e di gradire
assaissimo? Accetta è vero un principe con sovrana clemenza le varie maniere che vogliono usare le
diverse nazioni per onorarlo; ma non quelle che abbia egli stesso vietate; non quelle che invece di
onorarlo, l'oltraggiano: e quest'esempio quant'è valevole a difender dagli sciocchi motteggi de' suoi
calunniatori il saggio consiglio della Chiesa Romana, che con cerimonie e riti accidentalmente
dissimili offre nelle diverse lingue e nazioni un giusto e doveroso culto all'Altissimo, tant'è lontano
dal confermar quell'ampiezza e contrarietà di culto, che approvano gl'Indifferentisti: i quali non
parlano di soli riti e cerimonie diverse ma tutte savie e divote, che a detta del Muratori
(241)
tanto
sono lontane dall'oscurar la gloria della cattolica Religione, che anzi contribuiscono assai bene a far
risaltare la sua estensione e bellezza: Tantum abest, ut deformitatem in Religione pariat, ut potius
ejus pulchritudinem spectabiliorem efficiat; ma parlano di dommi e massime essenziali, che
sfigurano con tanti, e sì manifesti errori da non poter essere che detestati da una sapienza e bontà
infinità. Parlano di Dio, e stabiliscono che non ha provvidenza; parlano di Grazia, e conchiudono
che non è necessaria; parlano di sacramenti, e dicono che sono inutili; parlano della Chiesa, e la
riducono alla condizione di un meschino colleggio d'ogni giurisdizione sfornito e d'ogni legittima
esteriore podestà; parlano in fine del promiscuo commercio dei sessi, delle simonie, delle usure, ed
in vece di rigettarle come turpissime cose e cattive, le lodano ed approvano, e vanno per tal modo di
mano in mano rovesciando ogni pietra e sostegno del celeste edifizio. Non è questo un discordare
nei riti, ma nella sostanza: ed il cercare se possa Iddio compiacersi di questi errori non è un cercare
se egli possa aver gusto di essere onorato in diverse maniere, ma se possa gradire d'esser con false
immaginazioni ed azioni turpissime oltraggiato all'estremo. E sarà questa [84] una ricerca non dirò
religiosa, ma ragionevole? Qual principe terreno ha mai accettato da qualunque suo suddito le
ingiurie per complimenti, le disobbedienze per attestati di filiale venerazione e rispetto, ed in luogo
di sommissione ed ossequio le ribellioni ed insulti? Penseremo noi di un Dio perfettissimo ciò, che
sarebbe un'ingiuria apertissima il solo sospettarlo d'un principe il più inetto e vizioso che viva sopra
la terra?
Ma tardi m'avvedo d'essermi riscaldato fuor di proposito e diffuso di troppo nel confutare un
sistema così difettoso e bestiale, che non è facile il decidere da qual lato zoppichi maggiormente. Di
questo non più: passo ora a cercare se aver possano dalla loro ignoranza quell'ajuto, che non hanno
potuto trovare all'ombre di una sapienza e bontà infinita. E qui devo in primo luogo con ingenuità
confessarvi, che si può dare ignoranza invincibile delle verità della cattolica Religione. Lo snaturato
Ottentotto, che nulla ha mai udito della cattolica Religione, un'incolto villano, che nulla ha mai
inteso dire delle definizioni del Concilio di Trento sulla giustificazione degli empj e sul merito del
Giusto, non pecca se le ignora: e per quanto chiari siano i motivi di credibilità, che accompagnano
quelle sicure ed infallibili verità, che la Chiesa ha proposte da credere a tutti i Fedeli, non essendo
però queste per se stesse evidenti, nè dovendo ognuna essere conosciuta e creduta da tutti
esplicitamente, ne viene in seguito che nè quegli pecca nulla cercando delle cattoliche verità, nè
pecca il villano se non sa, e talvolta ancora contraddice materialmente a qualche verità rivelata, che
non è mai giunta a sua notizia, purchè sia disposto a tutte crederle con fede esplicita qualora le
(241)
Lib. 1. de ingenior. Moderat. in Religionis negocio cap. 15.
65
scopra, e tutte di fatti le creda implicitamente. Non crediamo, dice S. Paolo, se non siamo istruiti;
nelle cose di Fede; ed alla grazia interiore, che illumina e move, è necessario che s'accoppj la grazia
esteriore, che persuade ed insegna; e può bensì mancar talvolta, dice S. Tommaso
(242)
, o l'una o
l'altra in pena de' precedenti peccati, ma non può mai esser punibile per la sua infedeltà chi non
crede ciò che ignora invincibilmente. Accordo anche di più, e vi confesso ben volentieri con S.
Agostino
(243)
, che la maggior [85] parte degli Eretici, anzi che tutti sono ignoranti nelle cose di
Fede: ed è non picciol segno della loro ignoranza la loro infedeltà, Omnes Haeretici, qui Scripturas
sanctas in auctoritate recipiunt, ipsas sibi videntur sectari, cum suos potius sectentur errores; ac
per hoc non quod eas contemnunt, sed quod eas non intelligunt, Haeretici sunt. Non saresti mai
divenuto Ariano, o caduto, saresti di leggieri risorto se non fossi stato imprudente, scriveva Lucifero
Calaritano a Costanzo: Si fuisses prudens, numquam sacrilegus fuisses repertus; deinde correptus
sacrarum Literarum auctoritate temetipsum hominem praebuisses. E vi dico in generale con
Tertulliano
(244)
, che nemo sapiens est, nisi Fidelis. Ma che perciò? Qual vantaggio credono quindi di
poter ricavare dalla loro o dall'altrui ignoranza i Tollerantisti indiscreti per isminuire la colpa della
loro eresia, se non è meno colpevole la loro ignoranza dell'errore istesso, che ammettono con
pertinacia? Sono essi forse come i selvaggi e gl'idioti testè accennati che nulla hanno udito della
cattolica Religione, e nulla hanno mai inteso narrare delle più minute definizioni della Chiesa,
sicchè abbiano qualche scusa se nulla credono, o se tutti non sanno gli arcani di questa Religione? E
non sono anzi quelli, che troppo curiosi d'investigare le cose superiori all'umano intendimento
ricusano di prestar fede alla Chiesa che parla, e vogliono col solo loro scarsissimo intendimento
essere interpreti ed arbitri della rivelazione non meno che dei divini misteri? Una così temeraria
ignoranza sarà senza colpa? E mentre basta qualunque dubbio o sentore del proprio sbaglio perchè
l'errore non resti invincibile, potendo di leggieri o con moltiplicate ricerche o coll'altrui assistenza
deporlo chi non lo ama, resterà poi invincibile in costoro, ai quali l'errare in cose sì gravi e così
rilevanti non costa meno di uno sforzo continuo, col quale resistono alle divine ispirazioni e grazie
interiori che procurano di conservarli fedeli, alla voce autorevole della Chiesa, la quale e parla e
grida senza cessare giammai contro chi l'abbandona, ed ai rimorsi stessi della loro coscienza, che
non lasciano d'ammonirli e rimproverarli in mille guise? Quale sarà mai, se non è questa, ignoranza
crassa, affettata e colpevole? quella ignoranza cioè di cui Innocenzo XI. ha definita la colpa,
condannando [86] col suo decreto dei 2. marzo 1679. la proposizione: ab infidelitate excusabitur
Infidelis non credens ductus opinione minus probabili: proposizione giudicata anche dalla Chiesa di
Francia falsa, assurda, perniciosa, erronea e indegno parto della troppa libertà del capriccioso
opinare. Che se non è senza colpa un tal'incredulo, come potrà andarne immune l'Eretico, che
mosso non da apparenti congetture e probabili fondamenti contraddice alle verità che non giunge, è
vero, a scoprire con chiarezza, ma che ha approvate una volta ed ha scoperte credibili ad evidenza?
Chi senza cagione non si soggetta alla legge del suo sovrano pecca, come decise Alessandro VII
(245)
ed il Clero di Francia, che chiamò l'opposto errore sedizioso e contrario alla dottrina degli Apostoli
e di Gesù Cristo. E dopo che l'uomo ha riconosciuto nel sovrano il diritto di disporre di tutto ciò che
è conducente al ben pubblico, non potrà alcun privato, a giudizio del Bartolotti medesimo
(246)
,
riassumere senza colpa la natìa sua libertà e trasgredir le sue leggi; e sarà innocente chi non ascolta
la voce di Dìo? ed anche dopo che Dio ha conferito ai sagri Pastori il diritto d'interpetrare e proporre
ai Fedeli le verità rivelate, ed egli ha promesso di ascoltarli, potrà egli pretendere d'interpetrarle ed
esporle a suo modo? e lo farà con buona fede senza colpa anche quando sa che la Chiesa insegna
diversamente? Se si trattasse di verità suscettibile di quell'evidenza e chiarezza, che sforza
l'intelletto all'assenso, mendicar potrebbono costoro dall'oscurità de' misteri qualche apparente
pretesto del loro procedere, sebbene riuscirebbe loro assai difficile il persuadere ai savj, ch'essi solo
(242)
3. contra Gentes c. 161., & in Esa. c. 5.
(243)
de Genesi ad Lit. lib. 7. cap. 9. n. 13; & epist. 120. al. 122. ad Consentium cap. 3. n. 13.
(244)
Praescrip. cap. 3.
(245)
die 24. septembr. 1665.
(246)
cap. 2. Esercit. sopra la tolleranza.
66
sono i veggenti, e che tutti gli altri che credono sono in errore e palpano fra le tenebre: ma
trattandosi di verità ch'essere non possono tra noi evidenti, perchè al dir di S. Paolo
(247)
, fides est
sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium, sono del tutto inescusabili; e
l'abbandono, che fanno delle verità che professa la Chiesa cattolica non può nascere che da vizio
della loro volontà, che sorda alle divine chiamate, e indocile a quell'autorevole istruzione, che la
illumina, piega l'indifferenza in cui si trova l'intelletto umano in questi incontri alla parte peggiore, e
lo determina [87] a dissentire non da altro mossa che dal vile e basso amor proprio, che la distoglie
dal vero superiore, e reale per affezionarla all'apparente e sensibile: e quella funesta sorgente, che
diffonde a larga mano fra noi le più enormi scelleratezze, sparge anche la dominante infedeltà, che è
d'ogni altra la più esecranda ed orribile.
Ammetta pure chi vuole in coloro, che non credono, qualch'inavvertenza e sorpresa, che ne
diminuisca la colpa; ch'io in chiunque ha creduto una volta o è informato abbastanza di ciò che
crede la Chiesa cattolica riconoscerò sempre nella loro infedeltà quel vizio di volontà, che basta a
render l'uomo colpevole di qualunque delitto; e li crederò tanto più viziosi e riprensibili, quanto sarà
maggiore l'impegno che mostreranno i loro aderenti per discolparli, E se voi avrete la flemma di
riandar col pensiero la nascita e progressi di tutti gli errori, se la storia vi rammenterete di tutti gli
Eretici, conoscerete assai bene che questa è la maniera, colla quale l'uomo volontariamente s'accieca
nell'abbandonamento delle cattoliche verità, e che sono questi i passi che dà per divenire Eretico.
Non crede perchè non vuole; e nasce la prava sua volontà da positiva alienazione dalle celesti e
soverchio attaccamento alle cose fallaci e terrene; e lo confesserebbono gli Eretici stessi, e
ripeterebbono anch'essi coi Donatisti, dei quali parla S. Agostino
(248)
, hoc esse verum sciebamus,
sed nescio qua consuetudine tenebamur, oppure, nesciebamus hic esse veritatem, nec eam discere
volebamus; e ridurrebbono per tal modo tutti i loro errori piuttosto a vizio di volontà che alla
innocente persuasione, se meno bugiardi nelle loro proteste volessero scoprire con sincerità quelle
segrete mire, che chiudono nel profondo del seno. Ma non è da sperarsi una sola verità da chi si
ostina nell'errore; e quella superbia, che, al dir di S. Paolo
(249)
, lo fa deviare dal retto sentiero, lo
distoglie dal confessare altresì la malizia del suo sbaglio, che non potrebbe divisa da un vero e
sincero pentimento non ridondare che in propria confusione ed obbrobrio. Voi, che la Dio mercè
non siete nello stato di costoro, a questi nuovi lumi che avete ricevuti ricredetevi da que' pregiudizj,
di cui vi possono aver caricata [88] la mente guide infide ed ingannati maestri; ed invece di
riconoscere nell'Eretico o un'uomo religioso e divoto, che colle sue empietà onora il Signore, come
pretendono i Latitudinarj e gl'Indifferentisti, o uno di quegl'infelici selvaggi, che meritano
compassione per la pena che soffrono, ma non rimproveri per quell'infedeltà che non istruiti
professano, e di quei poveri ignoranti che sbagliano materialmente, riconoscete in lui que' perfidi e
sconsigliati libertini di Giobbe
(250)
, che chiudono avvedutamente gli occhj per non vedere la luce, o
quello sciagurato del Salmo
(251)
, che noluit intelligere ut bene ageret, oppure qualch'uno di que'
furiosi giganti, de' quali parla S. Ireneo, e dice che gonfi di una vana ed instabile gloria si ergono
contro Dio ed il vanto si arrogano di saper più di lui
(252)
, e scoperta ancora la verità con espressa
malizia la disapprovano: e dite pur con franchezza che il loro delitto è tanto maggiore, quanto più
ampie e copiose sono le sorgenti, dalle quali deriva la mostruosità del loro abbandono, e merita
tanto maggior castigo, quanto sono più frivole ed insussistenti quelle ragioni e quei pretesti che
adducono i loro protettori per esentarneli. Ho soddisfatto adesso quanto basta al primo quesito.
Scioglierò l'altro nell'ordinario venturo, come ho promesso; e sarà così continuato in me il piacere
di sempre più dimostrarmi qual sono
(247)
Ad Hebr. C. 11. v. 1.
(248)
Ep. 93. al. 48. ad Vincent. cap. 5. num. 18.
(249)
2. Timoth. 3. ver. 8.
(250)
cap. 5. vers. 14.
(251)
Psal. 35. vers. 4.
(252)
Lib. 2. adv. Haeres. Cap. 53.
67
LETTERA OTTAVA.
Continuazione dello stessa argomento, e vanità d'altre
scuse e pretesti che vengono addotti per sostenere
l'impunità degli Eretici.
facile il trionfo quando il nemico combatte contro la verità manifesta; ma non può essere breve
il combattimento se all'ingiustizia della causa si unisce l'indocilità del partito, che tenta ogni
strada e s'appiglia ad ogni benchè screditato e ruinoso ripiego per sostenersi. Quest'è la viziosa
disposizione de' nostri contraddittori, e questa è la misera condizione, alla quale siamo condannati
dalla loro ostinazione e protervia. Rovesciati i deboli ripari che si erano procacciati tra le sognate
chimere del loro indifferentismo e della loro affettata ignoranza, alzano indefessi i nuovi fortini, che
vi ho indicati nell'altra mia, e dalla sfrenata libertà che fingono in noi di pensare e parlare a
capriccio in materia di Religione, dall'impossibilità che trovano nell'umana legislazione di
compensare a dovere le ingiurie dell'Ente supremo, e dal pericolo, in cui vedono i giudici di nuocere
piuttosto coll'asprezza che di giovare al ben pubblico, si procurano un'ostinata difesa. Ma tutto in
vano; chè non sono questi ripieghi meno vacillanti e ruinosi degli altri. Il primo che abusa della
libertà che ha l'uomo nel credere è d'ogni altro il più debole, come quello che va a distruggere quella
tolleranza medesima che cerca di sostenere. Imperciocchè egli è bensì ragionevole che non sia
punito chi non crede ciò che ignora invincibilmente, supposizione peraltro da me esclusa
nell'Eretico nell'altra lettera; ma il dire che quello non può essere castigato, perchè la Fede è libera,
che altro è egli mai che un dire, che non dev'essere castigato perchè merita i più severi castighi? La
libertà è la vera sorgente d'ogni nostro merito e demerito; ed ha Iddio, come insegna S.
Agostino
(253)
, accordata all'uomo la libera volontà appunto per questo, perchè nec bonam
infructuosam, nec malam esse voluit impunitam. Piantano dunque costoro per base della loro
impunità ciò che li rende principalmente punibili. [90]
Ma io voglio analizzare di più questa chimera; e cerco al Bartolotti, che è uno di quelli che
appoggiano la tolleranza indiscreta a questa fantastica incoerente invenzione, di qual libertà intende
egli di ragionare? della fisica, che porta seco la semplice facoltà di credere o non credere e di
ritenere in qualunque determinazione la facoltà di operare il contrario, o della morale, che esclude
non solo la facoltà ristretta ad una sola parte, ma anche ogni legge e dovere che determini la volontà
ad una piuttosto che all'altra delle possibili risoluzioni? Se parla della libertà fisica, conveniamo nel
principio, e ripeto anch'io con lui che la volontà dell'uomo è sempre liberà a piegar l'intelletto a
credere o ripudiare le verità rivelate, sinchè queste non divengono ai nostri sguardi evidenti, perchè
la sola evidenza necessita il nostro assenso: ma nella deduzione siamo noi così discordi, che in vece
d'inferire l'impunità dell'Eretico devo anzi dedurre con S. Agostino, che la sua infedeltà, perchè
appunto cattiva e libera, non deve andare impunita; nec malam esse voluit impunitam. In questo
modo qualunque empietà è soggetta all'umana libertà: ma di lei non si serve l'uomo ragionevole che
per evitarla; e commettendola non ha mai preteso d'andare impunito. Avrà nell'altra vita il meritato
castigo da quel giudice integerrimo, di cui ha sprezzato le istruzioni e comandi: aver deve in questa
tutte quelle pene che prescrivono le leggi: e supposta la malvagità dell'eresia già dimostrata, non
trovo in questa parte e rapporto a questo genere di libertà alcun divario tra i delitti d'infedeltà, e i
delitti comuni, nè può il Bartolotti, parlando con coerenza, assolvere per questo capo l'Eretico da
ogni pena senz'osare una tale indulgenza con tutti i ladri e ribelli. Se poi parla della morale libertà,
(253)
lib. 3. cont. Cresc. cap. 51. num. 57.
68
oh qui è dove la sua tolleranza vacilla assai di più. Imperciocchè o egli esclude dal Fedele che
abbandona la Fede ogni obbligazione, anche quella che s'incontra colla divina giustizia; e precipita
in quell'orribile indifferentismo teologico, che egli stesso non ha avuto il coraggio di sostenere a
visiera calata: o quella sola obbligazione intende di escludere, che nasce dalle umane leggi e porta
seco l'ecclesiastica e civile libertà; ed è troppo chiaro nel suo discorso il vizio che i logici chiamano
petizion di principio. Il cercare se l'Infedeltà sia libera per tal modo è lo stesso che chiedere se sia o
no soggetta all'umane leggi e castighi: e dopo tante prove e ragioni, che si sogliono [91] addurre per
dimostrare che vi deve restar di fatti soggetta, pare che chi pretende il contrario debba servirsi
d'ogni altro principio per provarlo che della libertà della Fede, che altro non è che un'inutile
ripetizione di ciò ch'è in questione. L'accordare al Fedele l'arbitrio di rigettare la Fede così
ragionevole e salutare non è libertà, ma libertinaggio, che tanto si oppone alla vera libertà ragionata
come l'operare ragionevole e giusto al licenzioso e brutale. Si veda il P. Domenico Crocenti che lo
dimostra ad evidenza, in una delle filosofiche sue meditazioni
(254)
.
È meno ridicolo chi dall'impossibilità, nella quale si trova l'umana legislazione, di dare
condegna soddisfazione all'oltraggiata divina maestà prende motivo di argomentare che è dunque
inopportuno qualunque castigo: che riesce talvolta plausibile l'abbandonare un'impresa che non può
essere condotta a dovere al suo termine: ma non lascia per questo d'essere nel caso nostro
irragionevole ed ingiusto il suo divisamento. Imperciocchè se non dà il castigo nel nostro caso
condegna soddisfazione all'oltraggiata maestà dell'Altissimo, serve però a riparare le ingiurie delle
cattoliche società ed a ritenere gli altri dall'imitar gli Eretici: e se non può in tutto, soddisfa almeno
in parte a quella giustizia, che incapace com'è di ricevere, oltraggiata, condegna soddisfazione da
semplici creature, non ha però mai voluto perdonare senza soddisfazione le colpe, ed esige da noi
per ogni mancamento il conveniente compenso, nè permette che tutto sia trascurato da noi perchè
non possiamo far tutto a dovere. Neppur nel foro interiore soffre la divina giustizia negligenza sì
grande; ed anche dopo di avere perdonata la colpa e la pena eterna, vuole che i colpevoli soddisfino
per quanto possono a quel reato di pena temporale che in loro rimane per ordinario dopo un sì
generoso perdono; e li castiga nell'altra vita se mojono impenitenti e non sciolti affatto da ogni
reato. Or ciò ch'esige da ognuno la divina giustizia lo vuole altresì da quelle pubbliche podestà che
sono state da lei ordinate a sostenere il buon'ordine, a zelare il suo onore, e a tutto restituire al
perduto equilibrio; e que' colpevoli, che ricusano di soddisfare per se stessi, forz'è che trovino un
qualche compenso e nelle spade, che ha poste Iddio in mano de' sovrani per vendicare i suoi torti, e
nella [92] verga, che usano i sagri Pastori per correggere ogni disubbidienza. Se avviene che
vengano trascurate codeste parti, si moltiplicano le colpe e di quelli che non credono e di quelli che
li soffrono, e tutti dovranno poi dare nell'altra vita una più rigorosa soddisfazione per non aver fatto
in questa quel poco ch'era permesso alle deboli limitate loro forze; se pure non avviene talvolta che
vengano sorpresi da quell'improvvise e straordinarie calamità, colle quali castiga Iddio anche in
questo mondo que' delitti, che sono stati risparmiati dalla troppo debole o troppo indolente umana
legislazione, senza che vaglia a scusarli o il pericolo che si può incontrare di moltiplicare oltre ogni
misura i cattivi e finti credenti, o di sradicare in uno colle zizzanie l'eletto frumento, che sono i due
altri pretesti, che i Tollerantisti moderni mettono in campo per sostenersi.
Furono sorpresi da questo vano timore e il Bartolotti e quant'altri si sono dichiarati sinora
protettori di questo partito, e più degli altri fors'anche l'Ab. Fleury, il quale per timore di
moltiplicare gl'ipocriti e falsi credenti non solo ha negata alla Chiesa la forza coattiva, ma si è
avanzato ancora a negarle se non il diritto la convenienza almeno del possesso d'ogni altro bene
temporale, e scrisse nel suo primo Discorso ossia nella prefazione alla Storia, che non avrebbe
stimato cosa inconveniente se i Pastori fossero restati privi di que' molti beni temporali che ora
posseggono, perchè avrebbono per tal modo potuto assicurarsi assai meglio della sincerità di que'
Fedeli, che seguono i loro ammaestramenti, la virtù de' quali nell'abbondanza de' beni ch'ora
posseggono i loro maestri, si può credere piuttosto parto di terrena ingordigia che di vera Religione
(254)
Medit. 12. lib. 1. - [ Crocenti Domenico, Meditazioni filosofico-politiche sopra l'anarchico sistema giacobino della
libertà, ed eguaglianza, F. lli Notolo, Messina, 1794. (N. d. R.) ]
69
e pietà. Partono questi sentimenti da uno stesso principio d'alienazione e contrarietà alla Chiesa, e
vanno a ferire con ugual forza oggetti che interessano egualmente la sicurezza e tranquillità de'
Fedeli. Cerca il primo di esentarli da quel timor salutare di temporali castighi che li distoglie dal
male: procura l'altro di privarli di que' beni e sussidj, che al dir dell'Angelico, prosunt ad
virtutem
(255)
, e spogliati così d'ogni terreno soccorso rendono più vacillante ed incerta la loro salute.
Tutt'altro che il seme venefico dell'ipocrisia scoprì S. Agostino ne' beni e ne' mali di questo mondo.
Vide in quelli che [93] distribuiti da mano saggia e benefica, aluntur famelici, nudi vestiuntur,
inopes adjuvantur, captivi redimuntur, construuntur Ecclesiae, reficiuntur lassi, pacantur litigiosi,
reparantur naufragi, curantur aegroti, corporales opes dispertiuntur in terra, spirituales
reconduntur in Coelis
(256)
. Da questi usati colla dovuta equità e moderazione scaturir vide una
continuata serie di sincere conversioni succedute anche ai suoi tempi, ne' quali le intere città
(257)
,
scosse da ragionevol timore si erano convertite senza finzione: e ne' finti istessi, che vi hanno luogo
talvolta, trova il S. Dottore qualche vantaggio a fronte de' scoperti malfattori ed Eretici, i quali non
pregiudicano solo a se stessi, come gl'ipocriti, ma anche agli altri, lo che non succede in chi si
dichiara, benchè fintamente, pentito.
Conversioni consimili e molte e sincere riportate per la strada della coazione sono quelle che
esperimentò anche S. Leone
(258)
coi Manichei di Roma, e il dolcissimo S. Francesco di Sales coi
Calvinisti in Savoja, il quale, approvando nella lettera a Clemente VIII.
(259)
le coazioni minacciate
agli Eretici dal suo sovrano, racconta le conversioni che sono venute in seguito, e dice che dum
configitur, spina et afflictio dat intellectum: e se crediamo ad Eusebio
(260)
, è accaduto lo stesso ne
primi secoli anche a Natalio, che chiamato da Dio ad abbandonar l'eresia non si convertì se non
dopo che pel suo ingrato rifiuto fu flagellato da un'Angelo, e l'eruditissimo Proposito Muratori ci
assicura che anche gli Ugonotti di Francia in tempi a noi più vicini rinnovarono gli stessi
consolantissimi esempj
(261)
. E dopo un'esperienza così bene appoggiata e costante, che vagliono i
timori e le ciancie de' nostri contradditori, o le congetture e discorsi che si potessero addurre in
contrario? Maxima fide digna probatio, dice Clemente Alessandrino
(262)
, quae est cum experientia,
quia nihil fere distat a demonstratione. E se il Bartolotti avrà la degnazione di permettere che quelle
podestà, che Dio ha ordinate alla protezione e difesa della sua Chiesa e del [94] suo culto, operino
come hanno sempre fatto con quella libertà e cautela, che prescrivono le leggi, avrà sempre minor
motivo di temere sì gran disordine, e potrà, se non altro, sperare che Iddio stesso, il quale non
concupiscit multitudinem filiorum infidelium et inutilium
(263)
, ma si è procurato colla sua Chiesa un
popolo sectatorem bonorum operum, non sia per permettere giammai che la sua Chiesa riempiasi di
finti credenti e d'ipocriti. Egli soccorrerà i colpevoli colla preziosa sua Grazia; e mentre l'esteriore
magistero li istruisce ed illumina, ed il castigo li scuote ed agita, resteranno illustrate le loro menti
dalla celeste sua luce, e nuove fiamme ed impulsi riceveranno dalla soave sua Grazia i loro cuori,
onde meglio scoprire e riabbracciare con premura maggiore quelle verità che avevano abbandonate
vilmente. Così furono arrestati, dice S. Agostino
(264)
, nelle perverse loro strade gl'Isdraeliti, e
stimolati a volgere il passo verso la terra promessa. Nacque così, com'egli soggiunge nello stesso
luogo, la fede in S. Paolo; così si convertirono i Donatisti e gli Eretici poc'anzi indicati nell'Africa,
nella Savoja ed in Francia, e tant'altri e antichi e moderni settarj ed increduli, che per brevità
tralascio di nominare: ed hanno la Chiesa ed i sovrani provveduto così con molta saviezza e
coraggio all'onore di Dio, al bene proprio, alla pubblica e privata felicità d'ogni civile repubblica, ed
(255)
2. 2. q. 126. art. 1.
(256)
Ser. 50. de verb. Agganci.
(257)
Ep. 93. al. 48. ad Vincent. Rogat. cap. 5. num. 16. 17. & 18.
(258)
Epist. 8. ad Episcop. Per Ital. tom. 3 p. 34.
(259)
lib. 1. litt. 1.
(260)
Hist. lib. 5. c. 28.
(261)
de Ingenior. Moderat, lib. 2. cap. 9.
(262)
lib. 1. Stromat.
(263)
Ecclesiast. c. 7. v. 22.
(264)
Ep. 174. al. 204. ad Donat. Haer.
70
hanno somministrato alla misera umanità ed alle deboli forze dell'umano arbitrio un nuovo e
potente sussidio onde scuotersi dal suo letargo mortale e rimettersi sulla smarrita strada della salute,
Questo però sia detto considerato il delitto d'eresia in generale; perchè se considerar si voglia
ne' casi particolari, io non penerò molto a concedervi che si debba usare qualche moderazione e
riserva, perchè appunto non si ha da estirpar la zizzania quando il frumento è in pericolo, e come ci
avvisa S. Agostino
(265)
, praecipit Dominus ne frumenta laedantur, e come soggiunge il Vescovo
Idelberto
(266)
, debet cessare censura, cum solvitur unitas, charitas laeditur, pax vacillat. Tolti però
questi ostacoli il lasciare impunito un delitto sì grave è una [95] colpevole ommissione, ubi fieri
permittit ratio pacis, et non fit, ipsa negligentia culpam trahit, et in periculo consentiendi est per
defectum corrigendi. Vide in questo pericolo S. Gregorio Nazianzeno il Patriarca di Costantinopoli,
perchè col solito zelo non si era opposto alla soverchia condiscendenza che usava cogli Eretici
l'Imperator Teodosio; e a scuoterlo dalla sua inazione così prese con rispetto non meno che con
forza a riprenderlo: Si illis, parla degli Eretici, & ut pie sentientibus ea, quae sentiunt, docere
libereque promulgare permittitur, quis non videt Ecclesiae doctrinam condemnari, perinde ac
veritate ab eorum partibus stante? neque enim rerum natura fert duas de eadem re contrarias
doctrinas veras esse. Quomodo igitur excelsus & praestans animus tuus ad tanti mali correptionem
consueta libertate non uti sustinuit? Verum etiamsi nondum hoc factum est, nunc saltem inimitabilis
numerisque omnibus absoluta virtus excitetur, ac scientissimum Imperatorem doceat, nihil ex
reliquo ipsius erga Ecclesiam studium redditurum esse utilitatis si tale malum ad fidei sanae
eversionem per eorum libertatem licentiamque praevaleat
(267)
. Fonda egli, com'io ho fatto poc'anzi,
le giuste sue rimostranze sul grave pregiudizio che può recare alla Fede una tolleranza indiscreta:
ma prima di lui ed in una maniera anche più energica l'avevano accennato assai bene e S. Massimo
e S. Girolamo, de' quali il primo assicura, che gli Eretici ubi quietem senserint, ibi rabiem suae
levitatis exercent
(268)
, l'altro riprende in Teofilo l'eccessiva parzialità che usava con costoro sulla
vana lusinga che fossero per ravvedersi; super nefaria haeresi quod multam patientiam geris &
putes Ecclesiae visceribus incubantes posse corrigi lenitate, multis Sanctis displicet, nedum
paucorum poenitentiam praestolaris, nutrias audaciam perditorum, & factio robustior fiat
(269)
. Oh
quanto diversi da quelli del Nazianzeno sono i sentimenti del Bartolotti, che spaccia con tutta
franchezza, che major sanae conversionis spes affulget, si Etherodoxi in catholicam admittantur
rempublicam, quam si a [96] catholico arcentur consortio
(270)
. Voi però non sarete sì buono di
preferire quest'impostore ai testè citati gran Santi e maestri, e convinto dai sodissimi loro
fondamenti sarete fermissimo nel credere che l'introdurre gli Eretici dove non sono è lo stesso che
spargere perniciose zizzanie ove cresce vigoroso l'eletto frumento, il permetter loro il pubblico culto
dove non l'hanno è lo stesso che alzare altare contr'altare, ed in faccia dell'Arca del Signore ergere il
profano simulacro di Dagon, ed il graziarli anche nel civile commercio, dove non sono in possesso
di goderne, di tutte quelle prerogative e favori che accorda ai Fedeli la dominante cattolica
Religione de' sovrani è lo stesso che frapporre scandali ed ostacoli alla virtù de' Fedeli, la seduzione
alle giuste massime che spargono i ministri evangelici, e rendere i buoni sentimenti ed esempj de'
pii Cattolici tanto meno efficaci nell'edificazione degli altri Fedeli, quanto saranno più ripetute e
frequenti le pessime dottrine e i viziosi costumi de' favoriti settarj. Abbiamo sicuri esempj di
conversioni ammirabili nate dall'intolleranza e dai rigori. Sole cadute deplorabilissime ed universali
prevaricazioni ci somministra in Germania ed in Francia la soverchia condiscendenza usata coi
miscredenti. Qual nuova improvvisa luce è discesa a rischiarare le confusissime idee della mente
del Bartolotti, e lo ha persuaso che dalle stesse cagioni siano per seguire in appresso effetti contrarj?
Ah la luce non è questa che spargono chiarissima le Scritture ed i Padri! ed evvi ben giusto motivo
(265)
lib. 3. contr. Parmen. cap. 1.
(266)
lib. 2. epist. 22., & tom. 3. spicil. Dacherii. pag. 451.
(267)
Orat. 46. ad Nectar. Episc. Constantinop.
(268)
Homil. 87. ad Rom.
(269)
Epist. 63. al. 68. num. 3.
(270)
Esercit. pag. 119.
71
di sospettare che quella sia, in cui, al dire di S. Paolo, si trasforma l'Angelo delle tenebre per
ingannare i presuntuosi e meno cauti. Io per me, che sono disposto a non discostarmi da quelle,
sebbene venisse un'Angelo ad istruirmi diversamente, disapproverò sempre gl'improvvidi
sentimenti del Bartolotti, e dirò coi più assennati scrittori che la tolleranza indiscreta ch'egli sostiene
non può convenire nè può essere approvata che dai Protestanti e da qualunque altro Eretico, che
appoggiato ai lumi bugiardi del suo spirito privato non è mai sicuro di pensar bene, e non può
rimproverar con franchezza al discorde compagno la falsità de' suoi detti, nè minacciarlo con
sicurezza degli eterni castighi. Tutto è conforme ai loro storti principi, ai quali hanno contraddetto
[97] con troppa incoerenza e ingiustizia i Gommaristi persecutori. Se l'ammette senz'urgenti motivi
un Cattolico, la Fede del quale è appoggiata alla divina veracità e promessa ed è resa oltre ogni
misura credibile; un Cattolico, che sa da Dio medesimo che la sua Fede è un seme, da cui solo
possono spuntare frutti di eterna vita; un Cattolico infine, cui viene prescritto di pensare non che
alla propria ma anche all'altrui salute, non manca solamente ai doveri di quella Religione che
professa, ma anche al buon senso, che non è mai pigro nel porgere gli opportuni ripari non che ai
proprj ma anche ai mali altrui, e là somministra più pronto il soccorso ove il pericolo è maggiore.
Non lo dispensa da questo dovere la libertà ch'hanno i colpevoli di rovinarsi; che anzi lo stimola a
maggiormente soccorrerli: non lo distoglie il timore di non poter soddisfare a dovere; chè la
provvidenza divina non esige da lui se non ciò che è in suo potere: e non lo spaventa infine il
pericolo di sbagliare; chè non isbaglia mai colpevolmente chi opera colla dovuta moderazione e
cautela. Ed ecco dissipate le nubi, che la malvagità de' novatori ed increduli aveva inalzate per
oscurare quella verità che sorge maestosa e sussiste sopra l'immobil base delle più sode
dimostrazioni: ed ecco somministrato anche a voi un nuovo attestato di quel sincero affetto che mi
fa essere
72
LETTERA NONA.
Anche i Sospetti di eresia possono esser chiamati
in giudizio, e puniti.
uello che ho scritto finora di tutti coloro, i quali abbandonano la Fede che hanno professata
esteriormente, inteso colla dovuta proporzione regge ottimamente o si parli di Eretici manifesti,
o di quelli che con parole e fatti irreligiosi risvegliano qualche sospetto d'infedeltà: e come vane
sono state dimostrate tutte le scuse e pretesti che adducono i Tollerantisti per discolpare i primi e
sottrarli dal meritato castigo, così sono vane e ridicole se vengono applicate a scusa e difesa degli
altri. Sarebbe un precludere ogni strada allo scoprimento di queste volpi insidiose, se, come pensano
il Boemero
(271)
ed il Fleury
(272)
, non fossero i tribunali in libertà di andarne in traccia, tosto che ne
abbiano qualche indizio o sentore: e si ha nel Codice di Giustiniano
(273)
, che Haereticorum vocabulo
continentur, et latis adversus eos sanctionibus succumbere debent, qui vel levi argumento a judicio
catholicae Religionis et tramite detecti fuerint deviare. Voi però non ne siete convinto abbastanza: e
sebbene siate con me convenuto, che il delitto d'eresia non debba in molti casi andare impunito,
sembra per altro che, per non esporre i tribunali ad un'aperto rischio di confondere gl'innocenti coi
colpevoli, e di estirpare insieme colle zizzanie anche il frumento, vogliate involgere i puri Sospetti
di un sì enorme delitto in quella universale tolleranza, che ho disapprovata nell'altre mie, e
restringere l'autorità di chi veglia alla difesa e custodia del santuario a combattere quei soli nemici,
che a faccia scoperta l'assalgono, e si dichiarano Eretici manifesti. Così l'ha pensata, non ha molto,
anche l'autore della storia del dritto pubblico ecclesiastico francese
(274)
: ma non la pensa così chi ha
a cuore l'onor di Dio, la salvezza dell'anime ed il bene delle cattoliche società. Ponderate di grazia
con maggiore attenzione gli stabiliti principi; e non vi dimenticate di [99] quell'ingenuità di
procedere e del sodo attaccamento alle verità, che è così proprio del vostro onesto carattere; e sono
certo che altro non mi costerà il vostro disinganno, che un maggiore schiarimento delle cose già
dette.
Tanto è lungi dal vero, che i Sospetti d'eresia debbano andare esenti da ogni molestia di
criminale giudizio, che anzi non essendo l'esteriore manifestazione di qualunque errore
necessariamente connessa col pertinace interiore dissenso dell'animo che alla formale eresia
conviene, non altri, a parlare colla dovuta esattezza e rigore, esser possono dedotti al foro
contenzioso, che quelli i quali danno qualche indizio e sospetto d'infedeltà; e converrà o tutto
abbandonare questo genere di colpevoli in balia dei capricciosi loro vaneggiamenti con quel
discapito della cristiana e civile repubblica, che vi ho dimostrato nella quarta e quinta delle mie
lettere, o dovrà stendersi il rigore anche ai meno gravati ed ai solo Sospetti. Quello è riconosciuto
da voi per irragionevole ed ingiusto: non potete dunque, parlando con connessione, pretendere tanta
indulgenza con questi. So che vi è gran divario tra Sospetto e Sospetto; e che non si chiamano
Eretici manifesti se non quelli, che spargono in pubblico aperte eresie, o sono giudicati tali in forma
giuridica dopo di essere restati da efficaci prove convinti di aver fatte e dette cose tanto e con tale
evidenza contrarie alla cattolica Religione, ed in circostanze così lontane dall'ammettere qualche
benigna interpretazione, che non lasciano luogo a dubitar con prudenza, che l'esteriore infedeltà sia
disgiunta dall'infedeltà interiore. Ma è forse impedito ai tribunali di avanzare le loro investigazioni,
quando le prove non sono ancora evidenti e sicure, o sono i soli spropositi manifesti, che scoprono i
(271)
Ved. le note all'Istit. di Fleury.
(272)
Stor. discors. 7.
(273)
L. 2. C. de Haeret. & Manich.
(274)
tom. 2. lib. 1. diss. 7.
Q
73
miscredenti? E non cominciano anzi i giudizj da congetture ed indizj per giunger poi a
quell'evidenza, la quale non può conseguirsi che per via di ricerche e di esami? E non sono per lo
più incerti ed equivoci i primi germogli della più abbominevole empietà? Quale speranza avremo
noi di scoprire gli Eretici manifesti, se siamo costretti ad arrestarci ai primi lampi che vedonsi de'
loro errori? come non diverrà colpevole la nostra inazione, se trattandosi di delitto sì grave, si
trascurano quei mezzi per iscoprirlo, che lo stesso Montesquieu vuole che non si debbano
negligentare anche nei delitti comuni quando son gravi? Ma voi non parlate forse di quelli, che
restano sospetti di [100] eresia solo perchè mancano prove evidenti del fatto ereticale, che viene
loro imputato, ma piuttosto di tant'altri, che aver potrebbero nel fatto istesso come scolparsi e
difendersi, o perchè non è ereticale per se stesso, o perchè merita nelle circostanze qualche benigna
interpretazione. Il ritenere e leggere i libri proibiti, il trasgredire anche con disprezzo il precetto
ecclesiastico della quadragesimale astinenza, l'abusarsi di cose sagre o per isfogare la libidine, o per
conseguire altri fini perversi, l'accoppiarsi nello stesso tempo a più mogli, e l'unire allo stato
sacerdotale quello del matrimonio, il proferire proposizioni non dichiarate eretiche espressamente,
ma suscettibili di qualch'altra censura teologica, il credere, difendere e prestar favore agli Eretici, e
le bestemmie stesse proferite in un trasporto di collera, non sono, voi dite, indizj sì certi e indubitati
dell'interior miscredenza, che provenir non possano da tutt'altro principio: e pare a voi, che
commettasi una grande ingiustizia interpretandoli nel senso più contrario ai colpevoli, quando ne
possono avere un'altro meno svantaggioso. Molto meno poi, voi soggiungete, (e questo è che reca
maggior meraviglia) può meritare simili trattamenti e chi si arrola alla società de' Liberi Muratori, e
chi senza difendere veruna delle cinque dannate proposizioni si dichiara nel resto del partito dei
Giansenisti. Non si possono aver'i primi per gente perfida e sospetta d'infedeltà a fronte di mille
proteste che fanno di rispettare la Religione, il principe e l'onestà. Non si possono trattare gli altri
per refrattarj è scismatici per certe ripugnanze e scrupolose riserve dopo le più solenni professioni
di Fede, e l'ingenua protesta che fanno di non opporsi, che all'insidie che si tendono alla S. Sede per
trarla in errore, ed alle profane novità che si vogliono introdurre nella Chiesa di Dio. Ma voi fingete,
amico carissimo, in tutti costoro quell'innocenza e sincerità, che non hanno mai avuta; e la Chiesa
ed i Romani Pontefici, i quali hanno dichiarate le loro intraprese per contrassegni non equivoci di
miscredenza, siccome debbono assicurar voi della malnata loro indole e carattere, così servir
possono a render sempre più sospetti coloro, che anche a fronte di sì ripetute dichiarazioni non si
astengono dalle irreligiose pratiche di mancamenti consimili. Il solo far' uso di libri cattivi bastava a
S. Leone
(275)
[101] perchè il colpevole non fosse annoverato più tra i Cattolici: Nemo hoc impune
praesumat, nec inter Catholicos censeatur quisquis utitur, scriptis non ab Ecclesia solum catholica,
sed etiam a suo auctore damnatis. Nè per altra strada scoprì egli quei Manichei, che dall'Africa
erano passati ad infettare le romane contrade, che per quella delle prostrazioni verso l'Oriente e dei
digiuni della domenica e del lunedì, che non essendo comuni agli altri Fedeli, ed usati solo da chi
era mal noto e discendeva da paesi infetti non potevano destare, che grave sospetto d'infedeltà, ed
aprire la strada a scoprire, come fecero di poi, la formale loro eresia
(276)
. Che se alla natura delle
parole ed azioni, che spirano in qualche modo irreligione e disprezzo delle cose sagre, voi
aggiunger vorrete le circostanze di tanti Eretici impegnatissimi nella mal' augurata impresa di
scuotere il giogo di tutte le leggi ecclesiastiche, di abolire i consigli evangelici e distruggere
quell'unità e perpetuità, che Gesù Cristo istesso ha prescritto al nodo conjugale; se vorrete meglio
riflettere all'empietà e scandalo di chi bestemmia, o abusa di cose sagre per isfogare le libidini o per
ottenere altri fini perversi, e alla funesta alleanza e strettissima connessione che hanno le
proposizioni censurabili colle aperte eresie; non vi sarà difficile il comprendere altro non essere
l'insufficienza, che voi immaginate in questi atti esteriori per iscoprire i difetti dell'animo, che un
sogno di chi vuol pensare meno male di tutti per non moltiplicare i colpevoli: il qual costume
quanto è lodevole in private persone, allorchè nasce da spirito di carità ben'ordinata, e non è in
pericolo il ben pubblico, tanto è biasimevole in un giudice, che deve procurate di rendere sterili
(275)
Epist 15. ad Turibium c. 16. t. 3. edit. Roman. 1753. pag. 70.
(276)
Fer. 41. de Quadrag. 4. cap. 5. tom. 2. pag. 110. edit. rom.
74
anche i semi più minuti dell'infedeltà, dai quali spuntar possono germi venefici della più
abbominevole irreligione, e deve vegliar sempre alla difesa e custodia del santuario: e siccome
quando trattasi di contagio corporale non deve chi governa credere inutile qualunque diligenza per
impedirne i progressi, e dai più piccioli indizj deve lasciarsi movere alle risoluzioni più forti; così
non deve restarsi ozioso e trascurare ogni minimo sospetto in questo, che è contagio spirituale
dell'anime tanto più pernicioso, quanto che va a ferire una parte più nobile, e tanto più facile a
dilatarsi, [102] quanto è maggiore l'impegno di tanti nemici di diffonderlo insidiosamente. Non è
innocente un Cristiano, dice S. Paolo
(277)
, il quale non si conforma nel parlare cogli altri Fedeli, e
non si astiene da ogni apparenza di male; e riputeremo noi immune da ogni colpa chi non in
apparenza soltanto, ma con trasgredire realmente le più sagre leggi di Dio e della Chiesa si
allontana di molto dal lodevol costume di tutti i Cattolici, e le espressioni imita e le azioni degli
Eretici manifesti? Giuste sono nell'Apocalisse
(278)
le gravi riprensioni fatte ai Vescovi di Pergamo e
di Tiatira, perchè non perseguitavano abbastanza i Nicolaiti e permettevano che una falsa profetessa
ingannasse i Fedeli; e non saranno degni di correzione quelli, che danno sospetto di avere adottate
le erronee loro massime i e principi? Tutti sono sempre stati riconosciuti tinti della stessa pece, e
contro di tutti sono stati rivolti in ognitempo i rigori di quelle podestà, che la provvidenza divina ha
destinate alla custodia e difesa del divin Gregge, come voi rilevar potrete con ogni facilità
riandando le cose già dette; ond'è che sono da riputarsi giustissime le investigazioni e i giudizj non
che degli Eretici manifesti, ma di quelli ancora che con fatti e parole danno qualche sospetto
d'infedeltà.
Mi sorprende poi assaissimo la compassione che mostrate pei Liberi Muratori. Può darsi razza
di gente, che più di questa dia ragionevol sospetto di non credere, e contro la quale si proceda con
maggiore giustificazione? Raccoglie la loro società uomini d'ogni setta senza aver gran riguardo alla
loro morigeratezza e costume. Copre i suoi disegni con certo velo di misteriosi enigmi e di affettato
segreto, che tra le nubi del suo silenzio non nasconde abbastanza quanto siano perniciosi e malvagi.
Nega alle pubbliche podestà il dritto di saperli, e ne' suoi membri l'obbligo di scoprirli anche
interrogati in giudizio. Abusa del giuramento, de' libri santi e del nome di Dio per autorizzar vie
meglio i ridicoli e proscritti suoi riti: e tutto opera senza alcuna approvazione, anzi a dispetto di
molti sovrani divieti, e di due costituzioni apostoliche
(279)
, che l'hanno condannata con ogni
solennità. E di costoro voi prendete le parti? e pretendete che la vana protesta che fanno d'essere
uomini onesti e cattolici [103] prevaler debba ai giudizj gravissimi di Clemente XII. e Benedetto
XIV. e del gran PIO VI., anzi di tutti i savj e buoni Fedeli, agli occhi dei quali sono sempre
comparsi come infetti della più enorme empietà? V'ingannate a partito: e v'ingannate egualmente
allorchè la parte prendete degli ostinatissimi Giansenisti, se non più perversi, più sfacciati almeno
de' Liberi Muratori, perchè non si vergognano di spargere e professare pubblicamente quegli errori
che gli altri nascondono fra le tenebre del loro segreto. Formano essi una setta ostinata ne' suoi
errori, ardita ne' suoi disegni, sediziosa nelle sue macchinazioni, e che non vuole nè Papa nè Re, ed
è così disposta a portare lo scisma nella Chiesa come la ribellione nello Stato: così vengano
descritti da un dotto autore
(280)
. Ma non è questo solo il complesso della loro malvagità. I perversi
loro sentimenti e le insidiose e indegne maniere, colle quali hanno procurato di sostenerli e
diffonderli, formano il pieno del deforme loro aspetto, che a vostro total disinganno prendo ora a
delinear brevemente.
Un Dio crudele, che esige dall'uomo ciò che eccede le sue forze, e lo condanna senza colpa ad
eterni castighi, ed un uomo soggetto alla più dura e fatale necessità, erano errori dopo le solenni
condanne di Lutero e Calvino così screditati presso tutti i Fedeli, che non potevano affacciarsi tra
noi senza incontrare la comune esecrazione. Che fecero alcuni di coloro, ai quali non erano
(277)
Ad Tessalon. cap. 1. vers. 22
(278)
Cap. 2. ver. 18. & 18.
(279)
In eminenti Clem. XII., Providas Bened. XIV.
(280)
Vero spirito de' veri discepoli di S. Agostino pag. 745.[Vero spirito dei nuovi discepoli di Sant'Agostino, lettere d'un
abbate licenziato della Sorbona ad un vicario generale d'una diocesi dei Paesi Bassi. Traduzione dal francese. (N. d. R.)]
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dispiacciuti abbastanza? li travestirono alla moda, e con mentiti colori di espressioni scolastiche e
col lenocinio del nome di qualche accreditato scrittore procurarono che venissero accolti con minor
ribrezzo. Michele Bajo fu il primo che li sparse così mascherati nell'Università di Lovanio; ma la
mente perspicacissima di S. Pio V. scoprì la frode, e con una pronta condanna troncò il corso a
quella seduzione che si andava spargendo: non giunse però ad estinguere per questo nè in lui nè in
varj altri suoi aderenti il desiderio di dilatarli; e più d'ogni altro ne prese la protezione e difesa
Giansenio, e col luminoso manto del gran nome di S. Agostino seppe coprirne per modo la
diformità e sconcezza, che comparvero a non pochi incauti incostrastabili verità, e li adottarono
senz'avvedersene. De radici colubri egressus est regulus; e tal destò quest'aspide [104] insidioso
nella Chiesa di Dio infezione e ruina, che bastarono appena a porgere un qualche riparo la
sollecitudine d'Innocenzo X., di Alessandro VII e di varj altri Pontefici, lo studio di molti Sinodi, e
la premura e lo zelo di molti Pastori e teologi. Più erano coraggiosi e forti i colpi che questi
vibravano per estinguere un tanto male, più maliziosi e solleciti erano i ripieghi, che inventavano i
Giansenisti per evitarli; ed ora la difesa prendendo delle proposizioni proscritte, ora la condanna
approvando con mille restrizioni e riserve, ora limitandosi alla sola difesa del libro ora cavillando
sulle parole istesse della proscrizione, e a sempre nuovi ripieghi e pretesti appigliandosi facevano
ogni sforzo per sostenere e spargere l'erroneo loro sistema; e ciò, che non avevano potuto ottenere le
equivoche sentenze del Bajo e le mendicate, stiracchiate e sfigurate sentenze di S. Agostino,
Pascasio Quesnello tentò di conseguire per la via della divozione e pietà, procurando d'insinuare il
veleno nascosto tra le salutari istruzioni del nuovo testamento che aveva preso a spiegare. Ma si
cerca in vano d'ingannare chi assistito da spirito superiore veglia instancabile alla difesa del divin
Gregge, e non può essere soverchiato non che da umana ma neppure da malizia infernale e
diabolica. S'avvide Clemente XI. di questa frode; e dopo d'avere snidate queste volpi insidiose colla
sua Bolla Vineam Domini da quei nascondigli, che ricercavano fra le oscure carte del loro
Giansenio, colla condanna di 101. proposizioni estratte dalle riflessioni di Quesnello li atterrò
affatto, e colla sua Bolla Unigenitus &c. doctrinam novatorum, come a lui scrisse l'assemblea di 40.
Vescovi congregati in Parigi
(281)
, hujus temporis apertissime robustissimeque profligavit.
Voi vi darete a credere che spogliati con sì aperta condanna d'ogni maniera di poter palliare in
appresso i loro errori si siano dati una volta per vinti, ed abbiano finalmente abbandonato un partito,
che chiara troppo scopriva per ogni lato la sua difformità. Eh pensate! Come i ladroni colti da forte
mano ne' loro aguati non avendo dove più rintanarsi; escono alla scoperta e prendono a combattere
da disperati quelle forze superiori, dalle quali si vedono circondati; così i Giansenisti impossibilitati
da questa Bolla a sostenere nascostamente il loro [105] ereticale sistema presero a combattere alla
scoperta quell'autorità, che li aveva percossi; e non solo cercarono con mille opuscoli, catechismi,
apologie e rapsodie di screditarla in questi giudizj, ma per renderla impotente a nuovi colpi presero
a combattere la S. Sede in tutta la pienezza della sua maggior' estensione; ed aggiungendo errori ad
errori, eresie ad eresie, ora la spiritualizzano per modo, che nulla più le resta d'esteriore e sensibile,
ora la assoggettano all'inferiore politica podestà; quando sollevarono a turbarla nella sua
giurisdizione i soggetti Pastori, quando la fecero dipendente dal consenso de' popoli non che del
clero inferiore; e o pensasse a provvedere le cattedre d'opportuni Prelati, o prendesse a condannare
le massime che alla Fede ed al buon costume si oppongono, o procurasse di difendere i canoni e la
disciplina vigente per tutto il mondo cattolico, era sempre per loro soggetta ai capricci de' Fedeli
suoi sudditi, sempre vincibile dalla resistenza di pochi, sempre esposta ad opposizioni ed esami
indegnissimi. Cominciò col nascere di questa Bolla il profluvio inondante della giansenistica
empietà; e misto alle impure feccie, che da gran tempo sgorgavano dalle più fetide sorgenti de'
Protestanti, crebbe talmente e si dilatò, che giunse in fine a formar quella vasta laguna d'ogni genere
di contraddizione, di seduzione e d'errori, che compiangono da qualche tempo tutti i buoni nel
disgraziato Sinodo di Pistoja, ed il solo zelo invincibile di PIO SESTO
(282)
ha saputo distruggere.
(281)
Procès-verbal. De l'Assembl. de 1714.
(282)
Si noti il curialismo dell'autore che ogni volta che cita il nome del Papa regnante, lo scrive sempre, contrariamente a
quelli dei suoi predecessori, tutto in maiuscolo, unendovi un'opportuna aggettivazione. (N. d. R.)
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Sono questi i raggiri, queste sono le prepotenze e le mire de' Giansenisti. E dovrem noi a fronte di
insidie così replicate e di così aperte violenze restarcene spensierati? e finchè non iscoppia in nuovi
fulmini manifesti potremo noi fermarci spettatori indolenti di un turbine così orribile? e le calunnie
che per iscreditarli spargono contro i ministri più coraggiosi del Santuario, e le insidie che tendono
ai semplici non ancora del tutto sedotti proseliti, e le più scandalose sentenze che vanno
disotterrando d'autori sospetti, ne' scritti dei quali giacevano da sì gran tempo dimenticate e sepolte,
e le aperte eresie che pur troppo professano, ed i maliziosi e vanissimi appelli, che per eludere le
inevitabili fulminate condanne sull'abbominevoli traccie de' Pelagiani e de' Luterani e contro il
solenne divieto del gran Pontefice Clemente XI. e di tanti gloriosi suoi successor
(283)
interpongono,
non [106] dovranno eccitare il nostro zelo, perchè il turbine non ingrossi, e non vada in fine a
scoppiare in una ruina totale? Ah! non ha mai la S. Sede scagliati più ragionevolmente i suoi
fulmini: nè con maggior' avvedutezza ha il trono rivolto contro alcun'altro il rigore della sua spada,
come nel percuotere questi moltiformi nemici insidiosissimi, che risparmiati giunger potrebbono in
fine senza riparo al loro intento di minare e trono ed altare: e quanto sono lontano dal moltiplicare
senza necessità i Sospetti di eresia tanto sono alieno dal risparmiare i Liberi Muratori ed i
Giansenisti; che sono Eretici manifesti se esternano gli errori che professano già condannati, o
danno violenti indizj di esserlo se li nascondono in parte, e sotto le finte divise di mansueti
agnelletti coprono per lo più l'ingordigia e la rabbia di Lupi affamati. Tutti li credo meritevoli delle
più severe animadversioni; e cosa non v'è ai dì nostri che possa ritardare la pietà de' Fedeli
dall'inseguirli. Il gran PIO SESTO e coi decreti già pubblicati nella causa del disgraziato Cagliostro
e colla preziosa sua Bolla dommatica contro il libro, che contiene gli Atti del miserabile Sinodo di
Pistoja, non ha solamente scoperta l'incredibile malvagità degli uni e degli altri, ma ci ha incoraggiti
altresì a procedere contro di loro senz'alcun riguardo o timore: e non potiamo noi sbagliare
seguendo le traccie di un condottiero così giusto e così autorevole. Nè ci deve ritardare dal
molestare i Giansenisti anche tra gl'insidiosi loro aguati qualche meno rea espressione che copra ed
involga in un coll'errore il loro delitto; ch'egli stesso il gran Pontefice nella medesima Bolla ci
avvisa a diprezzarla, perchè è troppo nota la malizia, colla quale captionum suarum laqueos
persaepe student subdolis verborum involucris obtegere ut inter discrimina sensuum latens error
lenius influat in animos, fiatque ut corrupta per brevissimam adjectionem,
aut commutationem
veritate sententiae, Confessio, quae salutem operabatur, subtili quodam transitu vergat in mortem.
Ho detto che sono alieno dal moltiplicare i sospetti senza ragione e riserva; e questa cautela è
necessaria a scanso della perturbazione che succederebbe ne' varj tribunali esteriori, se ad ogni
delitto si volesse affiggere la taccia di una tale suspicione. Dà, non v'ha dubbio, ogni colpevole
qualche sentore d'infedeltà, che non si può trasgredire alcuna legge senza far cenno di negare
l'autorità del legislatore, la quale non può esser negata senz'errore. Sottentrano però le circostanze a
purgarne moltissimi da [107] questa taccia: e parlando d'azioni cattive, che non sono ereticali a
primo aspetto, non permette Alfonso da Castro
(284)
, che si dia ad alcuna questa qualifica, se non
viene sostenuta come lecita dai più ostinati Eresiarchi, e presa qual distintivo della loro setta. Temo
però che questa regola troppo generale ed incerta non rischiari il punto abbastanza; e più che alle
opinioni e riflessi di privati scrittori io presto fede ai sacri canoni ed alle costituzioni apostoliche, le
quali nell'accennare le sospette, e distinguerle da quelle azioni e parole malvaggie, che sono immuni
da ogni ragionevole sospetto d'errore hanno prescritto a quelli di Fede ed ai delitti comuni i
convenienti confini. Modellate anche voi su queste norme infallibili i vostri giudizj; e non lasciando
immune dalla meritata accusa e castigo non che gli Eretici ma anche quelli, che sono dai sagri
canoni dichiarati sospetti d'infedeltà, e assoggettati al tribunale della Fede, avrà l'irreligione quel
freno, ch'esigono i primi e più insidiosi suoi attentati, e senza mancare alla Fede la necessaria e più
conveniente difesa, avranno i legittimi tribunali in che occuparsi con sicurezza e con lode.
Ma non sono, voi dite, Eretici manifesti quelli, che non destano che puri sospetti d'eresia: e si
corre gran rischio perseguitandoli di prender di mira un qualche Fedele, e di sradicare insieme colla
(283)
Bull. Rom. tom. 10. p. p. Const. Pastoralis Romani Pontificis.
(284)
De just. Haeret. punit. lib. 1. cap. 1.
77
zizzania anche il frumento. Ma ditemi, è poi del tutto innocente, chi dà colle parole, e coi fatti
sospetto di essere Eretico, quantunque creda da buon Cattolico? ed il molestarlo con quella
moderazione che prescrisse Innocenzo III., ed è poi divenuta la norma di tutti i tribunali
ecclesiastici, non esclude forse ogni pericolo d'ingiusto gravame? Ea est, dic'egli
(285)
, in fovendis
virtutibus et vitiis extirpandis a Praelatis Ecclesiarum servanda discretio et circumspectio
adhibenda, ne vel inter nascentium densitate spinarum enormiter frumenta laedantur, vel insuper
seminatarum zizaniarum evulsione triticum evellatur. In abscindendis etiam et curandis corporibus
infirmorum sic oculi diligentia praecedere debet manus officium, et ferrum digitus praevenire, ne, si
cauterium adhibeatur incaute, non tam partes infirmas non sanet, quam sanas infirmet, quod tanto
diligentius in mentis languoribus est servandum, quanto animam novimus corpore digniorem, &
spiritualia carnalibus praeponenda. Dopo sì grandi cautele e riserve niun luogo rimane al pericolo
che insieme colla zizzania resti sradicato anche il frumento, e voi vi potete acquietare.
Quanto alla reità di chi dà sospetto d'essere Eretico quantunque creda cattolicamente, io la
giudico così manifesta, che non abbisogni di lungo discorso per essere rilevata. Siccome al dire di
S. Bernardo
(286)
, Longe plus nocet falsus Catholicus, quam si verus appareret Haereticus; così più
d'un vero Eretico nuoce talvolta chi affetta esteriormente o dà qualche segno d'infedeltà. E a parlar
giusto, dopo il solenne abbandono della Fede Cattolica, e la manifesta esteriore protesta d'averla
abbandonata, colpa non v'è più grave di quella che commette un Fedele, che opera e parla in
maniera da farsi credere Eretico, il quale ha il comando da S. Paolo di astenersi non che dal male,
ma anche da ogni sembianza di male; ab omni specie mali abstinete vos. O egli manca per pura
inavvertenza e inesattezza nell'eseguire i cristiani doveri; ed è colpevole di una notabile negligenza:
o manca per raffreddamento e indebolimento di quella forte adesione, che aver deve un Cattolico
alla sua Religione; ed è ancora maggiore la sua colpa: o manca in fine perchè ha perduto la Fede; e
l'eccesso è tale, che voi stesso non ardite di sottrarlo dal meritato castigo. Nel primo caso merita una
correzione, che lo renda più diligente e più cauto nell'avvenire; nel secondo duopo è che venga
istruito e soccorso con salutari rimedj, e rimosso dal pericolo, in cui si trova di perder la Fede; nel
terzo poi dev'essere o ricondotto pentito sullo smarrito sentiero, o abbandonato pertinace al meritato
castigo. Il solo pericolo di sradicare in un colpo colle immonde zizzanie l'eletto frumento ha fatto
insinuare da Gesù Cristo agli Apostoli
(287)
di permettere che crescano insieme sino alla messe; ed io
v'accordo ben volontieri che qualora sussista, convien tollerare non che i Sospetti ma anche gli
Eretici manifesti. Ma se cessa questo pericolo, come avviene per lo più trattandosi di cattoliche
società, il pericolo che resta col lasciarlo crescere, di vedere soffocato dall'immondo gioglio il
frumento, in vece di risparmiarlo per vani timori ci deve rendere anzi più pronti e solleciti nello
sradicarlo. Non è esprimibile il danno, che sovrasta ai buoni dal [109] disordinato parlare ed
irreligioso operar di costoro; e la Religione e pietà resta talvolta più debilitata ed offesa da quelli,
che col loro cattivo procedere fanno credere di poco apprezzarla, che dagli Eretici manifesti; nè
dobbiamo noi dimenticarci del salutare avviso di S. Tommaso, che a renderci assai cauti nei nostri
discorsi ci assicura che da sole parole improprie e disordinate nascono le eresie: ex verbis
inordinate prolatis oriuntur haereses
(288)
. La qual massima non ha solo nell'autorità di sì gran
dottore il suo fondamento, ma è anche appoggiata ad una lunga serie di fatti incontrastabili. A far
nascere l'infame setta de' Nicolaiti contribuì moltissimo, giusta il parere di accreditati scrittori, il
fatto imprudente di Nicolò, uno dei sette primi Diaconi, il quale, come attesta con Clemente
Alessandrino anch'Eusebio
(289)
, per rimovere da se la taccia di geloso espose la moglie agli sguardi
di tutti; e bastò la sola negligenza dei Vescovi di Pergamo e di Tiatira, perchè si dilatasse
moltissimo nell'Asia minore. E s'egli è vero ciò che racconta l'autore, dell'opuscolo intitolato il velo
alzato, del che per altro io non mi faccio malevadore, anche la formidabile setta de' Liberi Muratori
(285)
Eymeric. Direct. int. litt. apost. pag. 2
(286)
Ser. 65. in Cant.
(287)
Matthaei 29. ver. 30.
(288)
2. 2. quaest. 11. art. 2.
(289)
Hist. Lib. 3. cap. 23.
78
non d'altronde avrebbe avuta l'origine, che da un'imprudente ragionamento fatto inter pocula da
alcuni festevoli commensali di Londra. Aveva forse in tutti costoro l'imprudente parlare e procedere
tutt'altro principio d'infedeltà; ma i fatti e le ommissioni colpevoli non ebbero bisogno della cattiva
loro intenzione per
produrre i pessimi effetti, che v'ho accennati poc'anzi. Che se tanto ha potuto il
solo silenzio di chi per altro e temeva Iddio e non negava la Fede, anzi è dichiarato nell'Apocalisse:
pieno di Fede e di carità
(290)
; se riuscì di tanta ruina un fatto inconsiderato di chi è chiamato nella
sagra Scrittura
(291)
uomo di credito e pieno di sapienza e di Spirito Santo; se tanto possono le sole
buffonerie, che non faranno le parole censurabili, e lo scandaloso procedere anticristiano di tanti
Sospetti d'infedeltà, nei quali niente si scopre che riuscir possa di edificazione, e nelle pessime
parole ed azioni dei quali quello che manca di chiarezza e forza per esprimere una manifesta
empietà, si può con ragione attribuire a più raffinata malizia, che per tal mezzo insidioso e coperto
cerca di meglio dilatare gl'interni errori, e di sedurre a man salva? [110]
Questo è il fare degli Eretici più maliziosi, dice S. Atanasio
(292)
: Occultant animum... ut deinde
latenter in suam malitiam pertrahant ignaros; ed imitando il Diavolo loro padre, che sotto mentite
spoglie ingannò Eva, essi sotto parole e fatti equivoci vanno tessendo inganni per insinuare
nell'altrui cuore l'errore: Omnia secundum patrem suum Diabolum cum fraude instituunt; ut enim
ille sub alienis vestibus fraudem molitur, ita isti vocabulum Ingeniti excogitarunt, ut sub pecie
benedicendi Dei dissimulanter adversus Dominum blasphemias suas tegant, easque sub hoc
involucro aliis insinuent
(293)
. Le maligne loro arti le troverete esposte con maggior diffusione presso
Luca Tudense
(294)
, ed in qualunque altro libro che ne descriva la storia. Vi basti per ora il sapere da
me, che S. Girolamo sì bene informato delle pessime loro arti e finzioni diffidando di potere colla
sua eloquenza esporre abbastanza quelle di coloro, che negavano la Resurrezione, scrivendo a
Pammachio
(295)
con tale enfasi si esprime; non mihi dives Ciceronis lingua sufficiat, non fervens
Demosthenis oratio animi mei possit implere fervorem, si velim Haereticorum fraudolentias
prodere, qui verbo tenus Resurrectionem fatentes animo negant. Il brevissimo saggio, che vi ho
dato delle vicende e progressi dell'eresia gianseniana, basta a convincervi che non sono dissimili in
questo conto i tempi nostri da quelli di S. Girolamo, e che ea nunc tempora sunt, come scrisse già
l'ottimo Pontefice PIO VI. al piissimo Arcivescovo di Cagliari
(296)
, ut non solum repellere apertas
formidandasque hostium vires, sed et dolos insidiasque cavere quibus non minus illi valent,
debeamus. Tendono insidie ed aguati gl'increduli, che non hanno ancora l'ardire almeno per la
maggior parte di far comparire alla scoperta quell'ateismo o naturalismo, che nascondono nel cuore;
e basta riflettere all'equivoche proposizioni, profani racconti, ironie e disprezzo che mostrano per le
più lodevoli pratiche de' buoni Fedeli, per restarne convinto. Combattono poi alla scoperta tutti
coloro, che scosso [111] ogni freno si sono armati contro di noi, e colla voce e colla penna e colla
forza istessa combattono i nostri dommi e quelli che li sostengono, e dicono senz'alcun riguardo che
più non è da soffrirsi il giogo insopportabile della cattolica Religione. Contro tutti costoro duopo è
che si difenda la Chiesa; et omnis, come aggiunge il testè lodato Pontefice, intercludendus est aditus
impiis eorum doctrinis, omnes repellendae perfidarum scientiarum fallaciae, ac interponendum est
accurateque tuendum quoddam, veluti vallum insitae in animis Religionis, et Dei timoris
propugnaculum. Ma qual sarebbe la nostra resistenza e difesa, se paghi di abbatterli quando è giunta
al sommo la loro impudenza soffrissimo in pace i meno solenni e perciò più pericolosi e dannevoli
loro attentati?
Nè mi replicate, che anche il procedere contro di loro può riuscir male, perchè non si fa senza
qualche pericolo d'ingiusta oppressione. La necessità di agire voi l'avete veduta abbastanza; e
(290)
Apocalip. Cap. 2. ver. 13. Act. Cap. 6. vers. 3.
(291)
Act. Cap. 6. vers. 3.
(292)
Epist. ad Episc. AEgipti & Lybiae n. 9.
(293)
Lib. de Syn. Nic. Dec. num. 29.
(294)
Lib. 3. pag. 156. edit. Inglostad. Ann. 1612.
(295)
Ep. 84. al 65. ad Pammac.
(296)
Breve spedito li 31. Ag. 1793. che comincia In perlegendis.
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questo pericolo d'ingiusta oppressione resta escluso da quelle cautele e riserve, che prescrivono le
leggi, le quali non permettono che i Sospetti di qualche errore siano trattati come eretici, se non
quando confessano d'averlo abbracciato e in esso s'ostinano, e da prove evidenti e da legali
disposizioni risulta contro di loro quella presunzione, che così persuada un giudice prudente della
loro formale eresia e della loro ostinazione, che non ne possa dubitare per verun conto. Per quelli,
che dopo le più diligenti ricerche non lasciano se non che lievi e mal sicuri sospetti d'infedeltà, non
altre pene hanno riservate, che la purgazione canonica ed altre penitenze medicinali e discrete ad
arbitrio. Ristretta fra questi confini la podestà di chi è destinato a castigare gli Eretici, è vano,
credetemi, il concepito timore: e se non prestate fede alle mie parole, credetelo a S. Agostino, il
quale ragiona spesso colle indicate cautele in questa materia, e non altrimenti da quello che io ho
fatto nell'altra lettera spiega anche altrove
(297)
la parabola della Zizzania, della quale tanto abusano i
nostri avversarj: Ipse Dominus, dic'egli, cum servis volentibus zizania colligere dixit: Sinite utraque
crescere usque ad messem, praemisit causam dicens: Ne forte cum vultis colligere zizania,
eradicetis simul et triticum: ubi satis ostendit, [112] cum metus iste non subest, sed omnino de
frumentorum certa stabilitate certa securitas manet, idest, quando ita cujusque crimen notum est
omnibus, ut omnibus execrabile appareat, ut vel nullos prorsus, vel non tales habeat defensores, per
quos possit schisma contingere, non dormiat severitas disciplinae, in qua tanto est efficacior
emendatio pravitatis, quanto diligentior conservatio charitatis. In queste poche parole non solo tutti
ha raccolti il santo Dottore i motivi, che possono rendere talvolta ragionevole la tolleranza tra noi,
ma ha scoperto altresì quanto esser debba la severità dell'ecclesiastica disciplina, ove cessi ogni
rischio e pericolo; ed il pretendere, che a qualunque possibile e non verisimile aggravio
dell'innocente debba restarsene neghittosa e sospesa è lo stesso che contraddire all'indicata parabola,
opporsi alle spiegazioni di tutti i più accreditati dottori, e render presso che tutti i delitti impunibili.
Voi non siete disposto ad inghiottire paradossi sì strani; ed io pago d'avervi, come spero,
disingannato anche su questo punto ripiglierò l'antico mio stile, facendo sempre uso del nome di
Eretico, del quale si servono anche i nostri contradditori, e con pronte e sode risposte, che spero di
poter dare alle metodiche e giudiziose vostre interrogazioni, mi compiacerò sempre d'essere in caso
di rinnovare quegli attestati di sincera stima ed affetto, per cui sono, e mi dico
(297)
Lib. 3. cont. epist. Parmen. c. 2. n. 13.
80
LETTERA DECIMA.
Si danno alcuni casi, nei quali gli Eretici possono essere
tollerati ragionevolmente.
al colpo hanno fatto in voi gli argomenti che persuadono la punizione degli Eretici, e vi sono
sembrate così insussistenti tutte le ragioni che si adducono a loro discolpa e difesa, che pare
quasi che abbiate preso a sdegno quelle riserve che v'accennai in fine dell'ultima mia, e pare che vi
dispiaccia, che non tutti gli Eretici nè sempre debbano essere trattati egualmente. Ma calmate di
grazia le collere, e richiamate fra giusti confini il vostro zelo; che non è sempre la vendetta
lodevole, neppur quando va a combattere il solo delitto, e non per altro motivo perseguita il
delinquente, che per odio della sua colpa e per desiderio di riuscire a lui stesso o alla società
vantaggiosa. Vi sono delle piaghe al dir d'Ovidio che non devono essere curate, perchè
(298)
Curando fieri quaedam majora videmus
Vulnera, quae melius non tetigisse fuit:
e Seneca, parlando con maggior precisione de' criminali giudizj, non permette che il giudice
proceda e corregga, se non quando spera o l'emenda del reo, o il miglioramento o la sicurezza degli
altri: Hanc legem in judicando sive corrigendo sequi debet,
ut aut eum, quem punit, emendet, aut
poena ejus coeteros meliores reddat, aut sublatis malis securiores coeteri vivant
(299)
. In caso
diverso il soffrire i maggiori delitti con quel genere di tolleranza, che non li favorisce ed approva,
ma dissimula e tace, e li lascia impuniti solo perchè non possono essere castigati senza grave danno
e pericolo, non solo non è cosa degna di riprensione, ma è ripiego assai prudente e lodevole,
checchè ne abbiano scritto in contrario nell'empio loro Formolario del 1421. gl'implacabili
Hussiti
(300)
. Tollera così la podestà ecclesiastica i riprovati riti degli Ebrei, che ridondano in prova e
conferma delle [114] cattoliche verità, così si soffrono da alcuni governi le immondezze delle
pubbliche meretrici per preservare dall'insidie e pericoli le donne oneste; e così finalmente in tutti
gli Ordini e Stati si dissimulano con grande avvedutezza i delitti più gravi, quando per la loro
qualità o per altre incongrue circostanze non possono essere castigati senza pericolo. In queste
contingenze ha prescritto il Redentore, come v'ho detto più volte, di non estirpare con importuna
sollecitudine il gioglio per non danneggiar le ariste; e ad impedire i mali maggiori chiama S.
Agostino in soccorso della impraticabile severità la indulgente carità, ut majoribus malis sanandis
charitas sincera subveniat
(301)
. Anche il delitto d'Infedeltà è soggetto alle comuni vicende; e per
quanto le molte sua reità lo rendano meritevole della più pronta e severa vendetta, può e deve ciò
non ostante andar talvolta impunito. I suoi meriti li avete scoperti nell'altra mia: sentite ora in quanti
casi possa andar esente nei tribunali esteriori dal meritato castigo: e a scanso di quella troppo
gagliarda apprensione che ha cagionato in voi e la gravità del delitto, di cui si tratta, e la moltiplicità
de' danni immensi, che nascono da lui e che io vi ho esposti nelle precedenti mie lettere,
permettetemi che dopo d'avervi stimolato sull'esempio di S. Paolo, che animò la bontà di Tito ad un
discreto rigore contro gl'indegni abitatori di Creta, increpa eos dure, permettete, dissi, che procuri
ora di frenare in voi l'eccessivo trasporto del vostro zelo, esortandovi a soffrirne qualch'un'altro in
multa patientia, come appunto, al dire di S. Tommaso
(302)
, praticò S. Paolo istesso parlando de'
meno indocili abitatori d'Efeso collo zelante e fervoroso Timoteo.
(298)
de Ponto lib. 3. ep. 7.
(299)
Lib. de clementia.
(300)
apud Cochlaeum lib. 5. Histor. Hussitar. Pag. 189.
(301)
Epist. 185. ad Bonifacium n. 45.
(302)
Ad Tit. cap. 1. lect. 3.
T
81
Non una, voi ben lo sapete, è la condizione degl'Infedeli. Nascondono alcuni nei cupi seni del
cuore i loro errori senza manifestarli al di fuori: spiegano altri con fatti e parole quell'Infedeltà che
chiudono nell'animo; e questi possono esser divisi in due classi, una delle quali comprende tutti
quelli, che non sono mai stati battezzati, come i Maomettani ed Ebrei, l'altra i battezzati, o nati siano
questi ed allevati da parenti Eretici, o educati cattolicamente; dei quali i primi furono bensì ammessi
nel grembo della Santa Madre Chiesa, ma non ne hanno mai professati [115] i dommi e misteri, gli
altri li hanno già appresi e professati prima di abbandonarli o in parte, se sono Eretici soltanto, o del
tutto, se si dichiarano apostati. Come in ognuno di costoro è diversa la condizione e malizia, e non
tutti sono soggetti del pari alla podestà della Chiesa; così non tutti devono esser trattati in egual
modo, e secondo la diversità della colpa e la varietà delle circostanze d'ognuno è da usarsi diversa
dose di tolleranza e castigo. Usurperebbe i diritti della Divinità, che ha riserbata a se stessa la
penetrazione de' cuori, chi chiamar volesse al tribunal contenzioso coloro, che senza darne alcun
segno al di fuori hanno nell'interno dell'animo abbandonata la Fede: e siccome non avrebbero alcun
fondamento le ardite ricerche, così non potrebbero che riuscire di grave danno e disturbo. Jamais la
loi civile, et ecclèsiastique
(303)
n'a autoritè de recherches dans l'intèrieur de conscience, come notò
assai bene l'Ab. de Bonnevalle deputato del Clero di Parigi nella sua protesta
(304)
. Devono dunque
per necessità andare impuniti in qualunque foro esteriore quegl'Infedeli, dei quali abbiamo parlato
in primo luogo; e la loro colpa, che è gravissima, non può ricevere il meritato castigo che da quel
giudice sapientissimo, il quale penetra i segreti del cuore umano, e con più pesante sanzione
compensa i disordini, i quali non giunge a scoprire, perchè imperfetta e debole, l'umana
legislazione. Altra cura non è riservata alla pubblica podestà sopra costoro, che quella di procurare
la loro conversione per mezzo di opportune istruzioni e fervorose preghiere, le quali squarcino quel
velo che li accieca, e chiamino sopra di loro quelle più forti grazie, che sono necessarie per
ammollire il loro cuore ed affezionarlo di nuovo alle verità rivelate.altra cura si prende di loro il
tribunale del S. Officio, checchè n'abbia detto in contrario calunniando al solito il disgraziato
Voltaire
(305)
.
Questa medesima incombenza è quella che Gesù Cristo ha lasciato agli Apostoli e loro
successori per rapporto agl'Infedeli, che non hanno mai ricevuto il Battesimo. Sono anch'essi
benchè mostrino al di fuori la loro Infedeltà riservati al giudizio di Dio; e se ha la Chiesa il dritto di
predicar loro il Vangelo, se ha la pubblica podestà forza e dritto di raffrenarli come nemici, quando
arditi congiurano a danno della cattolica [116] Religione, e può anche vessarli come colpevoli
quando troppo indiscreti rovesciano le primarie verità dell'esistenza e provvidenza di Dio, la libertà
dell'uomo e la moralità dell'azioni umane, che formano la base fondamentale d'ogni Religione non
meno che d'ogni società, nel qual caso accordano anche Ugo Grozio
(306)
e Pufendorfio
(307)
, che chi
ha diritto di esigere da loro che vivano ragionevolmente, può anche e deve pretendere, che
abbandonino il loro troppo irragionevole e pernicioso ateismo: non può però la Chiesa sforzarli ad
abbracciare quelle cattoliche verità, che non si conoscono che per via della rivelazione; e si
esporrebbe alla giusta disapprovazione, che incontrò nel Sinodo Toletario IV. il pio Re Sisibuto, che
con buono zelo ma non convenevole violenza ne procurasse per questa strada la conversione. Gesù
Cristo nello spedire gli Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le genti e nazioni non altro impose
loro, che di annunciarlo, nè di altra forza li corredò che di quella di segnalati prodigj, che ne
persuadono la verità; ed a chi avesse ricusato malamente di ascoltarli, ed a chi avesse consentito con
docilità ai loro ammaestramenti, non altra pena o ricompensa fece intimare, che quella che sarebbe
stata loro destinata dal Cielo: Euntes in mundum universum praedicate Evangelium omni creaturae:
qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit; qui vero non crediderit, condemnabitur. Così leggesi
(303)
Nel testo "ecclesistique" (!). (N. d. R.)
(304)
Ecole de Politique par M. Dugour tom. 8. pag. 166.
(305)
Enciclop. art. Inquisition.
(306)
de Imper. Summ. Potest. Cap. 7. num. 6.
(307)
de Jur. Nat. Tom. 2. lib. 7. cap. 4. §. 8.
82
in S. Marco
(308)
. Non anderà la loro alienazione ed infedeltà impunita, ma non dobbiamo noi farne
adesso l'inopportuna vendetta. E sebbene non mi siano ignote le violenze usate contro i persecutori
della Chiesa e della cattolica Religione e da S. Epimaco e da S. Teodora e da S. Ignazio e da varj
altri illustri personaggi, delle quali parlano il Surio
(309)
e i Bollandisti
(310)
; e sappia che non fu per
questo chi ne
fece uso riputato indegno del pubblico culto dalla pietà de' Fedeli; e mi ritornino
spesso alla memoria e le gloriose imprese de' Leviti emulatori dello zelo del buon Giosafatte e le
coraggiose geste di Marco Aretusio, del Diacono Cirillo, di Marcello d'Apamea, di Teofilo
Alessandrino e di Giorgio Vescovo d'Alessandria, delle [117] quali parlano e la Sagra Scrittura e le
ecclesiastiche storie di Rufino, di Socrate, di Teodoreto e Sozomeno, e d'alcune delle quali è stata
dimostrata la convenienza e giustizia da Giulio Firmico Matercolo a Costanzo e Costante, e da
Temistio a Valente, pure non è questa la norma, che è stata proposta dalla provvidenza divina da
seguirsi cogl'Infedeli comunemente. Con questi esempj ella ha inteso di accennare con
istraordinarie ispirazioni ed imprese il diritto assoluto che aveva accordato alla Chiesa di difendersi
da ingiuste aggressioni, e l'assoluto potere che ha riservato a se stessa di servirsi d'ogni mezzo e
stromento per abbattere l'empietà e vendicare i suoi torti: ma non ha mai inteso di segnare la via
ordinaria che batter dovevano i Fedeli per dilatar la sua gloria. Fu questa suggerita da lei colle sue
istruzioni nelle accennate parole, e coll'esempio di Gesù Cristo che chiamò con un semplice sequere
me i primi discepoli, e disapprovò lo zelo indiscreto di chi con poco plausibile trasporto, impetrar
voleva il fuoco dal Cielo per punir coloro, che ricusavano di accettarlo. Ne è in nostra libertà il
batterne un'altra: e se vi sembra talvolta che uomini savj e fomiti d'ogni cristiana pietà abbiano
deviato da questo diritto sentiero, dite pure francamente che o non meritano approvazione se l'hanno
fatto a capriccio, o non sono nè imitabili nè criticabili, se sono stati mossi da straordinarj impulsi
del Cielo. A scanso poi d'ogni sbaglio e sorpresa è sempre da riflettersi che altro è l'obbligare gli
Infedeli ad abbandonare le prave loro superstizioni e brutali costumi, altro il costringerli ad
abbracciare quelle verità, che eccedono le forze dell'umano intendimento; altro è il combatterli
allorchè si oppongono alla libera predicazione del Vangelo, altro il punirli quando ricusano
d'abbracciarne i dettami; altro l'obbligarli a desistere dall'ingiuriar la natura ed il Creatore, altro il
costringerli a professare la Fede cattolica. Si può nel primo caso usare della forza, se
qualch'incongrua circostanza non lo dissuade; chè non a piantar solamente e ad edificare è disceso il
divin Verbo tra noi, ma anche a sradicare e svellere, giusta la frase del profeta Geremia
(311)
, quanto
v'era di depravato e venefico. Non si può nell'altro caso; che tutto esser deve parto di quell'aura lene
e soave, che tocca e diletta dolcemente, e per [118] le vie ammirabili delle interiori illustrazioni e
movimenti segreti della mente e del cuore tutto vivifica e perfeziona. E se caddero infranti al solo
comparir del Redentore i simulacri d'Egitto, e furono costretti ad un'involontario silenzio quant'altri
erano più loquaci e seducenti nell'Europa e nell'Asia, non si cominciò però il nuovo edificio del
divin culto che colle amorose istruzioni del Redentore, nè si chiamarono gli Apostoli alla sua
sequela che con un semplice invito, nè si procurò il pianto delle Maddalene che per interni impulsi
di compunzione e d'amore, nè si intraprese la conversione del mondo che per via della predicazione
e della Grazia. Non si volle insomma parto di umana forza e dominio, ma della libera volontà di
ciascuno quel primo sagrificio solenne col quale umilia l'incredulo e mente e cuore al giogo soave
de' divini ammaestramenti e precetti.
Su queste giustissime tracce, segnate già dal celeste suo Sposo, e seguite fedelmente dai primi
promulgatori del santo Vangelo, ha sempre la Chiesa regolati i suoi passi; e lasciate le sanguinose
vie della violenza e dell'armi all'infame setta di Maometto, che non trova se non nella forza, la
speranza del suo ingrandimento, e più sollecita nel suo nascere di coltivare que' primi germogli di
cristiana pietà, che dovevano poi crescere e dilatarsi per tutta la terra, che di svellere quell'inutili
piante che l'ingombravano e che sarebbero poi state sradicate più utilmente in appresso, riservò lo
(308)
Cap 16. v. 15. & 16.
(309)
I 31. ottobre nella sua vita.
(310)
I 29. Maggio e 17. Giugno negli atti rispettivi.
(311)
Cap. 1. vers. 10.
83
sviluppamento di sua giurisdizione nella maggiore ampiezza a que' soli tempi ed a quelle sole
circostanze, nelle quali previde che riuscir doveva vantaggioso al suo intento: nè prima nè poi cercò
mai la dilatazione del regno di Dio per altra strada che per quella della predicazione apostolica, che
battuta con ogni lena e fervore dai primi suoi propagatori non cessa tuttora d'essere la più
frequentata e gradita ai suoi più zelanti e fedeli ministri, e la sola raccomandata dalla S. Sede
allorchè trattasi di convertire gl'Infedeli. Ne sono un'autentica prova e quei dotti predicatori, che di
solo apostolico zelo armati destinarono Nicolò III.
(312)
e Gregorio XIII.
(313)
a raccogliere e riunire
all'ovile di Cristo i miseri avanzi della riprovata Sinagoga; e que' zelanti missionarj, che la
grand'opera [119] di Propaganda spedisce inermi tra le più barbare genti ad inalberar la Croce e
spargere l'eletto seme della divina parola; e sopra tutto il sangue sparso da tanti martiri, che non
cessano neppure ai giorni nostri di accrescere coll'eroica loro sofferenza le glorie del nome
cristiano; ed è una solenne illusione del Bartolotti il sospettare che fa
(314)
, che non siano oggi così
felici i progressi dell'evangelica predicazione, perchè è dissimile la maniera di praticarla.
Trattandosi d'Infedeli è affatto la stessa; e quello solo può ostinarsi a negarlo, e può non sapere i
progressi che fa la cattolica Religione anche ai dì nostri nelle parti degl'Infedeli, il quale o ignora
tutto, o è pronto a mentire sfacciatamente per sostenersi. E allorchè ad oscurare una verità sì palese i
nostri impugnatori ricorrono alle conquiste del nuovo mondo, alle spedizioni di gente armata fatta
più volte a danno de' Mosulmani e degli Eretici; altro non fanno che mostrar vie meglio il loro
mal'animo e la cattiva causa che hanno per le mani: chè troppo grande è il divario sopraccennato, ed
è troppo evidente che le mire ch'ebbero i sovrani e i Pontefici in queste spedizioni, erano rivolte a
tutt'altro che a sforzarli a credere anche renitenti. Non l'involontaria loro conversione, ma
procuravano per questi mezzi la difesa de proprj diritti e la libertà dell'evangelica predicazione, che
veniva da' Barbari impedita con ingiustizia. Che se nel bollor della mischia, e nella direzione e
governo d'imprese così ragionevoli è accaduto talvolta qualche disordine (che non tanti certamente
ne sono accaduti, quanti ne vantano gl'invidi calunniatori della Chiesa e de' sovrani cattolici, come
dimostra assai
(315)
bene Gio: Battista Mugnoz nella famosa sua storia del nuovo mondo) mal si
confondono le mire de' sovrani, con l'esecuzion de' soldati, i disegni della Chiesa colle dissensioni
de' Crocesegnati, e l'esito infine degli affari co' saggi consigli ed ottime provvidenze che li hanno
preceduti. Regge la giustizia e l'equità dell'una e dell'altra intrapresa anche a fronte di qualche
disordine che sia accaduto nell'eseguirle; e le violenze del Messico, le sconfitte de' Crocesegnati, le
prepotenze di qualche esercito cattolico e qualunque altro particolare accidente non può recare
maggior pregiudizio a sì lodevoli azioni di quello recar soglia alla riputazione delle guerre con
giustizia intraprese l'avarizia, crudeltà e disordine de' licenziosi soldati: e non meritano d'esser
ascoltati i nostri [120] nemici, che non hanno difficoltà di tutto scusare e difendere quando trattasi
d'affari puramente mondani, e riservano poi mal a proposito per le sole guerre di Religione
gl'implacabili loro sdegni e clamori. Voi lasciateli scapricciare a talento; ed assai più delle loro
disapprovazioni valutate a gloria delle descritte intraprese e di così utili provvedimenti il merito di
que' personaggi insigni, che li hanno procurati e protetti, le Indie in gran parte convertite alla Fede,
la libera predicazione aperta ormai in tutte le parti del mondo, gli avanzamenti impediti a
Mosulmani, il regno di Gerusalemme ricuperato una volta e conservato per molti anni in mano de'
Fedeli, i già estinti Albigesi in Francia, gli Hussiti abbattuti in Boemia, la lega Smalcaldica distrutta
in Germania, le Spagne o ricuperate o difese in gran parte, la pace e sicurezza ricondotta in Italia,
l'autorità de' sovrani vie meglio ristabilita, il commercio ampliato, e la strada agevolata alla scoperta
del nuovo mondo e varj altri beni, che non senza intervento di segnalati prodigi ne sono venuti in
seguito, e li potrete incontrare registrati a minuto presso il Gretsero
(316)
e l'ab. Nonnotte
(317)
: e a ciò
(312)
Const. Vineam in fin. direct. Eymeric. p. 53. edit. Roman. 1587.
(313)
Const. Sancta Mater p. 74. tom. 4. part. 4. Bull. Rom.
(314)
Esercit. cap. 3.
(315)
Nel testo: "assi" (!). (N. d. R.)
(316)
Tom. 3. lib. de Cruce cap. 6. pag. 187. & seq.
(317)
Errori di Voltaire tom. 1. cap. 18.
84
che dir vorranno di qualche fallo particolare o non plausibil violenza fatta in qualche occorrenza
rispondete pur francamente ciò che rispose S. Agostino ai Donatisti, che obiettavano ai Cattolici
cose consimili: Haec sunt illa crimina, vel non vera; vel non mea
(318)
, perchè sono di fatti per lo più
insussistenti, o se nel promovere la conversione degl'Infedeli è stata usata talvolta qualche violenza,
questa è tutta da attribuirsi allo zelo indiscreto di qualche non lodevole Cristiano, non alla
disposizion della Chiesa, che non ha mai permesso che per altre strade si propagasse il Vangelo tra
gl'Infedeli, che per le regie vie della persuasione e della pazienza, segnate già gloriosamente dal suo
divino Istitutore e da quanti altri suoi fedeli seguaci l'hanno imitato in appresso. Io non mi diffondo
di più in un'argomento che interessa sì poco la nostra causa; e posto in sicuro che niuna giuridica
podestà può ingerirsi nella conversione degl'Infedeli per altri mezzi che per quelli che ha prescritti il
Redentore, passo ora a cercare, se sono della [121] condizione degl'Infedeli non battezzati coloro
che hanno ricevuto. il battesimo, e sono stati allevati cattolicamente.
Il delitto di costoro, voi ben lo vedete, è assai più grave; e vi scioglie da ogni dubbio S.
Agostino assicurandovi che pejor est utique desertor Fidei, et ex desertore oppugnator ejus
effectus, quam ille, qui non deseruit quod nanquam tenuit
(319)
. La promessa solenne che hanno fatta
in faccia agli altari di calcar l'orme, e di aderire con ogni fermezza agli insegnamenti di Gesù Cristo,
e la nuova dipendenza, che hanno incontrato, dalla giurisdizione della Chiesa, cui sono divenuti
soggetti pel carattere che hanno ricevuto nel santo Battesimo, toglie loro, per rapporto all'umana
legislazione, quella libertà, che Gesù Cristo ha lasciata agli altri che non sono battezzati; e sarebbe
un rinnovare gli errori dei Valdesi
(320)
, di Marsilio di Padova
(321)
, di Lutero
(322)
, di Melantone
(323)
, di
Calvino
(324)
, e di varj altri condannati anche dal Concilio di Trento
(325)
, il pretendere, che i
Battezzati non hanno altra obbligazione in affari di Religione, che quella che vogliono ritenere di
loro capriccio. S. Agostino nella lettera a Bonifacio
(326)
distingue gl'Infedeli battezzati dai non
battezzati, e questi paragona a coloro, che in altra guisa non furono invitati alla cena del padrone
evangelico, che con indicar loro la volontà del padrone e la squisitezza delle vivande imbandite; gli
altri li paragona ai raccolti in secondo luogo a capo delle strade, dei quali è scritto, che per ordine
dell'adirato padrone dovevano essere sforzati ad entrare nel divin cenacolo: Quoscunque inveneritis
cogite intrare: e come con maggior vaghezza s'esprime altrove
(327)
, gl'Infedeli si pescano dal
profondo del mare dell'idolatria colle reti, nelle quali i pesci si radunano spontaneamente; ma gli
Eretici, che vanno vagando superbi per gli erti monti e le disagiate colline delle false dottrine chi di
Donato, chi d'Ario, chi di Fotino, si sforzano collo strepito dell'armi e degli armati ad abbandonare
le [122] perverse loro strade, ed a rientrare nelle reti del cacciatore: chè non pescatori soltanto,
come da S. Matteo, ma cacciatori ancora sono stati da Geremia chiamati i Ministri evangelici:
Apostoli, così egli commentando il passo di Geremia
(328)
, juxta ea verba Christi Matthaei 9. vers.
19. faciam vos fieri Piscatores hominum, erant Piscatores, qui ex profundo mari idololatriae
credentes rete Fidei piscari debebant; quando vero hi per montes et colles, hoc est per tumentes
Haereticorum doctrinas unus Donati, alius Arii, tertius Photini circumerrare caeperunt, tunc
venatoribus opus habebant, qui eos in rete compellere debebant, et ideo dici non debet, quod
Apostoli neminem coegerint. Piscator enim tantum trahit, quod ipsi in rete venit. Venator autem et
circumretit sylvas, et terrendo etiam cogit ubique intrare in rete. Non è dunque eguale la
condizione di entrambi; ed i Battezzati, che colla loro eresia si ribellano a quella società, cui si
(318)
Lib. 2. cont. Litt. Petilian. cap. 16. n. 37.
(319)
Lib. 21. de Civ. Dei cap. 25.
(320)
Presso S. Antonino.
(321)
Nel libro intitolato Defensor Pacis.
(322)
Lib. de Captivitate Babilonica.
(323)
Nella Confessione Augustana.
(324)
Lib. 4. Instit. cap. 10.
(325)
Sess. 7. c. 8.
(326)
Epist. 185. al. 50. cap. 6. num. 24.
(327)
Tractat. de utilitate jejunii cap. 9.
(328)
cap. 16. vers. 16.
85
erano uniti immobilmente, e mancano. alle giurate promesse, non possono pretendere a
quell'indipendenza in affari di Religione rivelata, che hanno coloro i quali non l'hanno mai
abbracciata: ed è giustissimo il canone del Concilio Toletano IV., che prescrisse
(329)
ne Judaei
cogantur credere; qui vero dudum Christiani facti sunt, ut Fidem, quam susceperunt, teneant
cogantur.
Una sola opposizione di qualche apparenza potrebbe esser fatta a questo proposito, ed è la
libertà, che accordò Gesù Cristo agli Apostoli di abbandonarlo sull'esempio di alcuni altri discepoli,
che lo avevano già fatto senza rimprovero, Numquid vos abire vultis?
(330)
così diss'egli a coloro
ch'erano restati, mostrando per tal modo e la sua non curanza de' primi e la libertà in cui erano gli
altri di appigliarsi a qualunque partito. Ma mal si confondono que' tempi di umiliazione e di
sofferenza, coi tempi nostri; e quello che conveniva allora mal si pretende che convenga anche
adesso. Se ne abusavano i Donatisti di questo argomento; ma S. Agostino così li rimprovera da suo
pari: Attendis enim, et saepe repetis, sicut audio, quod in Evangelio, scriptum est, recessisse a
Domino septuaginta discipulos, et arbitrio suae malae atque impiae disertionis fuisse permissos,
caeterisque duodecim, qui remanserunt, fuisse [123] responsum: Nunquid & vos vultis abire? et
non attendis, quia tunc primum Ecclesia novello germine pullulabat, nondumque in ea fuerat
completa illa prophetia: Et adorabunt te omnes Reges terrae; omnes gentes servient illi; quod utique
quanto magis impletur, tanto majore utitur Ecclesia potestate, ut non solum invitet, sed etiam cogat
ad bonum. Basta questa sola risposta a distruggere non solo l'indicato argomento, ma quanti altri
presi dai fatti del nuovo Testamento vanno cumulando i nostri contradditori per difendere la loro
tolleranza indiscreta. Tutti appartengono a quei tempi, se pure sono portati a proposito; giacchè
alcuni addotti del Bartolotti non hanno che fare colla presente questione, e a tutti si può rispondere,
che così conveniva allora che la Chiesa novello germine pullulabat, ma che adesso con quelli, che
abbandonano la Fede che hanno abbracciata col santo Battesimo, vi vuol coazione e rigore.
Dimostrata per tal modo la maggior reità degli Infedeli che sono battezzati in paragone di quelli che
non lo sono, è facile l'immaginarsi che diversa debba essere la loro condizione, e che il delitto de'
primi non deve andar neppur fra noi affatto impunito. Guardatevi però dal credere, che tutti i
Battezzati si debbano confondere insieme, e che debbano tutti essere trattati con egual rigore; chè
prendereste un grosso abbaglio.
Tra gl'Infedeli battezzati altri sono nati da parenti cattolici ed allevati cattolicamente, altri nati
da Eretici ed hanno succhiato l'errore col latte, e sono stati in quello educati. Il Padre S. Agostino
crede che debba essere valutata in molti di questi l'ignoranza e rozzezza, in altri il ragionevol timore
che aver possono de' compagni infedeli, ed in tutti finalmente il maggiore attaccamento, che
coll'educazione hanno acquistato alle loro massime; e sulla scorta del Redentore, che differì
l'istruzione perchè S. Pietro non era disposto a riceverla, vuole che si pazientino per non condurli
col rigore al peggior partito: Talium infirmitas, dic'egli
(331)
, donec firmi efficiantur, sustinenda est,
non desperanda. Nec obliviscendum, quod ipse Dominus adhuc infirmo Petro ait: non potes modo
sequi: sequeris autem postea. È vero che in tanta luce, che sfavilla ai dì nostri a rendere credibili le
cattoliche verità, è difficile trovare alcuno, il quale [124] benchè nato ed educato nell'eresia seguiti a
professarla, senza che sappia che la Chiesa cattolica insegna diversamente: contuttociò l'infelice sua
condizione, e la mancanza di que' lumi maggiori, che può avere chi è stato istruito tra i Cattolici, lo
rende meritevole di qualche compatimento; e fu per questo, al dire di S. Agostino, che risparmiò S.
Epifanio gli Antropomorfiti d'Egitto, parcens eis ne dicantur Haeretici
(332)
, e dice poi in generale di
tutti quelli, che per la loro rozzezza ed imperizia non sapevano concepir Dio che vestito di umane
sembianze, che isti carnales, qui humana Deum forma cogitant, Ecclesiae catholicae gremio
contenti cum lacte nutriendi sunt: non se in temerarias opiniones praecipitent, sed ibi studium pium
quaerendi nutriant, ibi petant ut accipiant, ibi pulsent ut eis aperiatur: incipiant spiritualiter
(329)
can. 57. & 58.
(330)
Joan. 6. ver. 68.
(331)
Epist. ad Vinc. Rogatist. 93. al. 48. n. 3.
(332)
Haeres. 50.
86
allegorias parabolasque Scripturarum intelligere...... qua intelligentia quanto magis proficiunt
tanto magis Catholici esse firmantur
(333)
. A non lasciare affatto impunita o la pertinacia, colla quale
alcuni nati ed educati nell'eresia resistono alle cattoliche verità che conoscono abbastanza, o la
negligenza, che usano nel ricercarla, può bastare e la scomunica, che incorrono da quel punto in cui
cominciano ad essere increduli colpevolmente, e la privazione di quei gratuiti e più distinti favori,
che sugli esempi d'Etelredo Re d'Inghilterra suole accordare la liberalità de' religiosi sovrani ai soli
Fedeli, e qualche meno facile condiscendenza che trovano gli Eretici nei paesi cattolici. La
tolleranza maggiore, che si può permettere talvolta in qualche caso particolare ed in quei paesi
infelici, nei quali il numero e la potenza degli Eretici è tale che non si può senza rischio passare a
più severe risoluzioni, non è mia ispezione il fissarla adesso. Sarebbe da desiderarsi, che nel
ricercare ch'hanno fatto non che l'impunità ma il libero esercizio della loro superstizione avessero
sempre gli Eretici incontrata quella fermezza d'animo, docilità e giusta maniera di pensare, che
ebbero Ferdinando II. e S. Ambrogio, allorchè pregato l'uno di questo favore, e consultato l'altro da
Valentiniano Imperatore se poteva accordarlo ai Romani che lo ricercavano, rispose il primo che
non era quest'affare di sua ispezione: liberalitatem hanc non esse sui juris et fori, illamque non a
Caesare [125] sed a Pontifice postulandam
(334)
: lo dimostrò l'altro affatto pericoloso e malvagio, e
prese a sostenere con gran forza e calore, che alieni erroris societatem suscipere non possumus
(335)
.
Se tutti avessero pensato e risposto così, o non sarebbe stato introdotto giammai sì grande abuso, o
sarebbono state prescritte tali precauzioni e riserve da non poter nuocere alla pietà de' Fedeli, e da
render sempre più difficile l'accrescimento de' refrattarj ed increduli. Ma questa mente, docilità e
coraggio non si sono trovati in tutti; e si è veduto pur troppo in qualche luogo adottato il pestifero
suggerimento, che ad escluderlo poteva bastare il sapersi da Marcellino che prima d'ogni altro
l'aveva pubblicato Giuliano l'apostata, il quale col disegno di distruggere la cattolica Religione
dissidentes christianos Antistites monebat, ut civilibus discordiis compositis, quisque, nullo vetante,
Religioni suae serviret intrepidus
(336)
. Non hanno avuto per verità disegno così perverso que'
sovrani cattolici, che dopo tante resistenze e contrasti hanno aderito finalmente alle pacificazioni e
connivenze che sono state accordate ai Protestanti ne' congressi di Augusta, di Osnabruk, di
Monaco, di Passavia, di Vienna e in altri: ma il discapito che ne hanno quindi sofferto i Cattolici ha
dimostrato che non è stata irragionevole la disapprovazione, che ha più volte mostrata di un tal
permesso la S. Sede, e che non era che una vana lusinga quella che avevano concepita alcuni
gabinetti cattolici di potere con tal mezzo facilitare la loro conversione e diminuirne anche il
numero. Si è accresciuto pur troppo, come doveva succedere; e resi tranquilli e sicuri nella loro
eresia, il loro numero si è ampliato in maniera da spaventare i sovrani più formidabili. Ma ora il
passo è fatto; e diverrebbe ai dì nostri imprudente quella resistenza che sarebbe giovata una volta;
nè è lodevole al dire di S. Simaco
(337)
, insistere legi cum observatio est praejudicialis Ecclesiae,
quoniam leges ea intentione latae sunt, ut proficiant, non ut noceant. Non tutti i mali si possono
sempre evitare: e dobbiamo soffrirne un minore, quando questo solo ci libera da varj altri maggiori.
[126]
Oltre all'indicate cautele vuole S. Agostino, che prima di castrare i delinquenti si abbia in
considerazione il loro numero, il quale se sia accresciuto di molto, può essere talvolta più utile della
correzione un'umile preghiera fatta a Dio a preservazione de' buoni ed a conversion de' cattivi.
Neque enim, così egli contro Parmeniano
(338)
, potest esse salubris a multis correptio,
nisi cum ille
corripitur, qui non habet sociam multitudinem. Cum vero idem morbus plurimos occupaverit, nihil
aliud bonis restat, quam dolor et gemitus, ut per illud signum, quod Ezechieli S. revelatur illaesi
evadere ab illorum vastitate mereantur. Tutto il rigore, che si può usare colla moltitudine, lo
(333)
Contr. Epist. Fundam. Cap. 23.
(334)
Alap. in Pra. 14. ver. 34.
(335)
Epist. 17. & 18. tom. 3. edit. venetae 1751. (e) //&. 22. num. 7.
(336)
lib. 22. num. 7.
(337)
Epist. 2. ad Avitum tom. 5. Concil. Labb. Pag. 441.
(338)
Lib. 3. cap. 2. n. 14.
87
ristringe altrove alla sola minaccia ed intimazione degli eterni castighi. Non aspere, dic'egli
(339)
,
quantum aestimo, non duriter, non imperiose peccata multitudinis aut pravae consuetudinis
corripienda sunt. Ista tolluntur magis docendo quam jubendo, magis monendo quam minando; sic
enim agendum est cum multitudine peccantium: et si quid minatur, cum dolore fiat, de Scripturis
comminando vindictam futuram, ne nos in nostra potestate, sed Dominus in nostro sermone
timeatur. Ed a quest'intimazione e minaccia io credo che abbiano voluto restringere il loro rigore e
quei sovrani cattolici, che non potendo distruggerli senza pericolo sono convenuti nel 1555. nella
pace religiosa d'Augusta e nella pacificazione di Ratisbona, ed i Romani Pontefici, che da gran
tempo non li molestano altrimenti neppur capitando ne' felici suoi Stati, ed il tribunale istesso del S.
Officio, che non si dimenticherà mai della massima d'Urbano II., che legge registrata nel Decreto di
Graziano, e dice che ubi multorum strages, ibi subtrahendum est aliquid severitati, ut addatur
amplius charitati
(340)
, e farà sempre grande stima degli ammaestramenti del dottissimo Francesco
Pegna, il quale nell'istruzione che dà agli Inquisitori
(341)
di ciò che far devono quando la moltitudine
degli Eretici è cresciuta per modo che senza rischio non si possono chiamare in giudizio, dice, che
lasciate a parte le processure giudiziali al [127] partito s'appiglino di predicare nelle chiese e nelle
piazze le cattoliche verità, e sprezzatori d'ogni pericolo, giacchè non possono colla forza, procurino
di richiamare colla voce i traviati, e di ritenere e conservare i Fedeli nella vera credenza. So che
sembra troppo ai moderni libertini e filosofi anche la minaccia degli eterni castighi: ma l'escluderla,
non è solo un risparmiare loro ogni sorta di molestia e soccorso, ma un trascurare affatto la loro
eterna salute, è un togliere alla Chiesa il dritto, che ha avuto da Gesù Cristo e di predicare ovunque
le cattoliche verità, ai principi il grand'onore di ajutarla e proteggerla, ed è in fine un'esporsi a tutte
quelle gravissime calamità, cui restò soggetto l'incauto Gioas Re di Giuda, che dopo le più gloriose
intraprese si lasciò piegare vilmente dalle istanze de' Grandi ad accordar loro in affari di Religione
una troppa estesa ed indiscreta condiscendenza.
Esclusi per tal modo gli accennati rigori e dagli Eretici infedeli non battezzati e da quelli, che
nati in paesi accattolici, tuttocchè battezzati, hanno succhiato gli errori col latte e sono cresciuti in
gran numero, resta a vedersi se si debba usare un eguale connivenza con quelli, che educati
cattolicamente e si pentono poi delle promesse fatte nel santo Battesimo e non contenti
d'aver'abbandonate col cuore le cattoliche verità manifestano anche all'esterno i loro errori. Ma che
resta a vedersi, se tutto quello che ho detto e in questa e nelle passate mie lettere collima a
dimostrarli meritevoli d'ogni detestazione? Le leggi del governo, la Religion de' sovrani,
l'intollerabile perfidia de' delinquenti, il maggiori pericolo, che a tutti sovrasta, cercano contro di
loro dalla terra e dal cielo le più grandi vendette; e niuna milita a favor loro di quelle circostanze,
che tolgono o mitigano il rigore cogli altri. Questi non sono solamente in errore, ma come osserva
con gran saviezza l'Ab. Gauchat
(342)
, sono ancor'empj, e non v'è castigo che non meriti una
conosciuta empietà. E voi volgete pure contro di loro liberamente il vostro zelo, che ve
l'acconsento; e giacchè privato come siete manca in voi l'autorità di chiamarli in giudizio, non
lasciate almeno di denunciarli a legittimi superiori, che ne avete un preciso dovere. Ogni minimo
sospetto deve accendere il vostro zelo; e qualunque indizio deve movervi a que' [128] passi, che
trascurati riuscir potrebbono di gran ruina alla cattolica Religione e di gran pregiudizio alla Chiesa.
Ancorchè vivano costoro in paesi, dove gli Eretici per le accennate ragioni possono essere tollerati,
se sono stati allevati cattolicamente ed esternano contro i divieti i loro errori non devono esser
risparmiati, se pure si può procedere senza pericolo; e sarebbe una tolleranza troppo indiscreta il
permetterlo. Che sarà poi se vivono in società interamente cattoliche, nelle quali tanto interessa
l'allontanamento d'ogni errore, e dove nulla vi ha che sottrar li possa dal meritato castigo? non la
mancanza di chi li possa o voglia correggere: che le legittime podestà tutte sono autorizzate a
reprimerli; non il sistema della società, che ha per base fondamentale la Religione, che disprezzano,
(339)
Ad Aurel. Epist. 22. al. 64.
(340)
Can. Ordinationes 9. quaest. 31. comment. 80.
(341)
Direct. Part. 3. quaest. 31. comment. 80.
(342)
Lettere critiche tradotte dal Francese Lett XVIII.
88
e non può reggere tranquilla senza di lei; non la cattiva educazione, che non si permette discorde da
quella Religione che si professa da tutti; non la moltiplicità in fine de' delinquenti, che non può aver
luogo in queste società, se non precede e ne' Fedeli e nelle legittime podestà quella viziosa
connivenza, che ho disapprovata finora. Meritano costoro ogni castigo; e volgendo contro di loro il
vostro zelo non temete nò di Coeli arcem invadere, come finge di temere col Noodt
(343)
lo
sciocchissimo Bartolotti
(344)
; ch'egli è anzi, come assicura lo stesso compilatore della storia
francese
(345)
, un rèprimer les desordres, & la licence, ed un regolarsi sur les loix de Dieu, & sur son
exemple: e come scrisse acconciamente il gran Pontefice Innocenzo I. al Concilio di Cartagine, è un
sanare questa peste perchè non si dilati, ed un'usare delle provvide cure di medico diligente, che
dopo d'avere usato inutilmente i fomenti adopra il ferro, perchè la parte venefica non corrompa le
parti sane. Sanandum, così egli di questo veleno
(346)
, celerius, ne longius execrandus animis morbus
inserpat, ut medicus... cum putre vulnus adspexerit, adhibet fomenta vel coetera, quibus illud possit
quod natum fuerat vulnus obduci, & si id manens sanari non [129] poterit, ne corpus reliquum sua
labe corrumpat, ferro amputat quod nocebat, quo reliquum integrum servat & intactum.
Eppure, ch'il crederebbe? dopo tante prove e conferme mentre non mancano Accattolici, i quali
se non colla penna, coi fatti almeno perseguitano chiunque da loro dissente in affari di Religione,
pochi non sono i Cattolici, che vorrebbero accogliere gli Eretici tutti fra i più cordiali amplessi della
più tenera corrispondenza, e risparmiare a tutti gl'increduli il meritato castigo. Così restano ai dì
nostri sconvolte tutte le cose, e tale crisi soffrono fra tanta luce funesta le idee più coerenti e più
giuste. Voi guardatevi dagli influssi di sì maligni: splendori; ed a scanso d'infinite contraddizioni
procurate di tenervi lontano da quegli estremi viziosi, che o con soverchio rigore tutti comprendono
ne' medesimi trattamenti i colpevoli, o tutti li involgono nella medesima tolleranza. In medio stat
virtus: e questo è ciò che io ho procurato di indicarvi colla presente, mostrandovi quando ha luogo il
castigo, e quando è conveniente usare la moderazione e dolcezza; e persuaso che voi non sarete per
allontanarvi punto da sì giusti e ben fondati ammaestramenti, mi dico al solito
(343)
Diss. deRelig. ab Imp. Jur. Gen. Libera.
(344)
Exercit. pag. 119.
(345)
Histoire pag. 44.
(346)
Acta Conc. P. Harduin. tom. 1. pag. 1025.
89
LETTERA UNDECIMA.
Non le sole spirituali, ma anche le pene temporali
sono proporzionate ed opportune nella
punizione degli eretici.
e il delitto di chi abbandona la Fede è dell'enormità, pericolo e danno, che vi ho dimostrato; e
se in molti casi niuna concorre di quelle circostanze, che rendono nelle civili e religiose società
in qualche modo tollerabili i più gravi misfatti; ne viene per legittima conseguenza, che chi si
mostra disprezzatore della Fede deve essere per lo più punito, come si è dimostrato: e sarebbe un
non curarsi e del loro ravvedimento e della pubblica, sagra e civile tranquillità e salvezza il
trascurarlo. Ma quali pene, dite voi, saranno proporzionate a così grave scelleratezza, che tutta va a
scompaginare la vasta mole dell'uno e dell'altro edificio, e fa crollare con un sol colpo il trono non
meno che l'altare? Quest'è la nuova ricerca che mi fate; per soddisfare alla quale colla dovuta
precisione e chiarezza devo avvertirvi in primo luogo, che non è mia intenzione di fissare in questa
lettera l'individua qualità e quantità della pena dovuta ad ognuno di quei delitti, ch'hanno
connessione coll'abbandono della Fede. Deve questa esser commensurata non alla sola deformità
della colpa, ma anche alla condizione e disposizioni del delinquente, alle prove ed indizj, che la
precedono, alle circostanze che la accompagnano; ed il determinarla con esattezza ne' casi
particolari è piuttosto incombenza del giudice, il quale condanna, che di uno scrittore, che
intraprende a difendere in generale l'equità e la condotta de' suoi giudizj. I prudenziali riflessi, che si
possono avere in ogni condanna particolare, quanto ai delitti comuni li troverete raccolti
nell'istituzioni criminali dell'Ursaja
(347)
; e quanto a quelli di Fede ne parlano con molta proprietà
l'Eimerico, il Farinaccio, il Dal Bene e molti altri. Io non m'incarico di sì pesante incombenza. [131]
V'avverto in secondo luogo che neppur è mia intenzione di giustificare ogni specie di pena
temporale dalle leggi prescritta ai delitti di Fede. Lo hanno fatto con molta esattezza ne' loro trattati
ed opuscoli tra i Domenicani l'Eimerico, Adriano Valentico ed Ambrogio Catterino; e sarebbe cosa
da non finirla mai più, se tutto volessi qui addurre ciò, che in loro approvazione e conferma hanno
aggiunto Alfonso di Castro, il Pegna, il Simanca, l'Albizi, il Pignatelli e cent'altri eccellenti giuristi
e teologi: e le carceri, gli ergastoli, gli esilj, le flagellazioni, le multe, le confische, l'infamia e simili
altre pene temporali, e la morte istessa se non disdicono all'apostasia, alle bestemmie, ai sortilegj,
all'eresia formale e all'altre specie di delitti spettanti al S. Officio per la loro qualità temporale, non
v'è ragione di crederle improprie per altro motivo! A me basta solo di dimostrare, che al bisogno
della cristiana società ed all'onor della Fede non provvede abbastanza lo spirituale castigo delle
censure, ma convien dar di piglio talvolta anche al materiale e sensibile. Per farlo poi con
quell'efficacia, che conviene ad un argomento di tanta importanza, presuppongo con S.
Tommaso
(348)
, che la pena allora soltanto è capace d'impedire i disordini e distorre gli uomini dalle
perverse loro intraprese, quando priva il colpevole di que' beni che ha molto a cuore; e secondo che
riesce a lui più o meno molesta la privazioni di questi, riesce altresì più o meno vantaggioso il
castigo. Ed avvertite, che la molestia non è da rilevarsi dalla sola qualità del bene considerato in se
stesso, ma dalla stima che ne fa chi ha motivo di temerne lo spoglio: potendo accader di leggieri che
per privata indisposizione non risenta taluno noja e rammarico dalla perdita d'un bene grandissimo,
solo perchè o non lo conosce o non la apprezza abastanza. Nulla poena, dice Quintiliano
(349)
, est nisi
invitis; e non può dispiacere la perdita di un bene, che non si stima; anzi a far sì che tutta eserciti la
(347)
Lib, 4. tit. 7.
(348)
2. 2. quaest. 108. art. 5.
(349)
Declam. 11.
S
90
pena quell'attività, che si ricerca all'intento, non solo è necessario che la privazione riesca molesta,
ma, al dire del Pufendorfio
(350)
, la perdita ed il dolore deve preponderare al lucro e piacere per
modo, che vi sia sempre più da temere di male incontrando il castigo, di quello che [132] vi sia da
sperare di bene operando malamente: si scopum suum, dic'egli, debent obtinere poenae, adparet,
eas eousque esse intendendas, ut acerbitas earundem praeponderet lucro et delactationi, quae ex
facto legibus vetito redundare potest. Anche per quella parte che la vendetta risguarda i torti altrui
la pena esser deve dello stesso carattere, e questo non s'ottiene per altra strada che per privationem
eorum, quae peccans diligit, come insegna S. Tommaso
(351)
.
Posto ciò io m'accingo a scoprirvi in ogni sua parte la verità della mia asserzione, e vi confesso
in primo luogo, che non vi può esser pena, che considerata in se stessa sia più proporzionata al
delitto di eresia della spirituale, o sia della scomunica, la quale priva il colpevole della
participazione ed amministrazione dei sagramenti, dell'ecclesiastica sepoltura e di varj altri beni
spirituali comuni a tutti i Fedeli. Siccome il delitto di eresia è diretto per se stesso contro i beni
dell'anima, e combatte l'unità della Fede e l'unione dei Fedeli; così è troppo dicevol cosa e
giustissima, che venga privato di quella medesima comunione e società ch'egli perseguita ed
offende. Ma questa pena medesima, quantunque giusta per se stessa, e riuscir possa di qualche
compenso al commesso delitto, e di sodo riparo per preservare dalla seduzion quei Fedeli, che
hanno in pregio l'essere stati ammessi ed il conservarsi nel grembo di Santa Chiesa, e sia inevitabile
per chiunque si scosta dal seno di questa madre amorosa, fugge i suoi ammaestramenti e rompe i
legami della sua ammirabile unità, è però assai debole ove trattasi di arrestare il corso a' disordini,
che fa temere un'Eretico pertinace, e di umiliarlo sotto il peso del meritato castigo. Egli ha già fatto
getto della Fede, che è la prima base dello spirituale edificio; e tanto è lungi dall'apprezzare. la
comunion dei Fedeli, che anzi la detesta e l'abbomina, e dopo essersi appartato di buona voglia da
chi la stima e coltiva, fa ogni sforzo per isminuirne i seguaci. Non soffre dunque costui la
scomunica contro sua voglia; nè ha per conseguenza ragione di pena per lui, nè può arrestarlo dal
mal'intrapreso cammino. Essa è pena, giusta il detto dell'Ab. Fleury
(352)
per chi la teme, e per chi
non la teme è un giuoco. Giuoco adunque e non pena è [133] da credersi per un'Eretico, che non
solo non la teme, ma la deride e disprezza. O dovrà dunque il suo delitto andare impunito, ciò che si
è dimostrato contrario al buon'ordine e alla pubblica e sagra e temporale tranquillità, o converrà dar
di mano a quei castighi, che riescono più pesanti ai colpevoli; e sono appunto le pene corporali,
delle quali parliamo. E rechino pure codeste pene, qualora si usano in difesa della Religione, quel
terrore, che esagera il Montesquieu
(353)
, per provare che sono da evitarsi; ch'io ben lungi dal dedurne
una conseguenza sì irragionevole e strana, lo riputerò sempre un terror salutare e necessario per
impedire il corso a quella miscredenza, che non cede alla persuasione e preghiera. Con questo
ripiego i più saggi legislatori hanno procurato di ridurre alla sequela della virtù coloro, che non
erano allettati abbastanza dalle soavi attrattive delle divine sue bellezze; ed io lo giudico d'egual
forza per ricondurre alla cognizione della verità tutti coloro, che l'hanno abbandonata vilmente dopo
d'averla scoperta. Il timore di perdere i beni di natura e di fortuna compenserà l'indolenza, che
mostrano nella perdita di quelli di Grazia, e sarà in loro tanto più efficace il castigo, quanto è
maggiore l'adesione, che acquistano ai beni di quaggiù scostandosi dai superiori e divini. Divenga
l'infamia ricompensa di quella diabolica superbia, che per oblique strade li guida in cerca della
riputazione e gloria mondana. Sia lo spoglio della robba loro in vece di quelle rapine, che vanno
ideando e sperano di fare a danno della Chiesa e de' santuarj. Trovino il carcere per quella strada
medesima per la quale vanno in traccia di una libertà senza limiti: e l'insaziabile desiderio, che
mostrano de' sensuali piaceri e comodi di questa vita, abbia nei digiuni, negli esilj e nelle
flagellazioni il meritato ristoro, e divengano per tal modo le stesse loro passioni pena della loro
(350)
De Jur. Nat. & Gent. Lib. 7. cap. 9. §. 7.
(351)
2. 2. quaest. 108. a. 3.
(352)
Discours 3. n. 17.
(353)
Espr. des loix lib. 25. cap. 12.
91
empietà: poena noxiae par esto, dice al nostro proposito Cicerone
(354)
, ut suo vitio quisque
plectatur, vis capite, avaritia mulcta, honoris cupiditas ignominia sarciatur. Da così utili
provvidenze uno de' seguenti vantaggi forz'è che risulti; o dalle pene medicinali e discrete scossi e
compressi confesseranno e detesteranno in fine il loro errore, e godremo nel ricondurli pentiti al
sagro ovile; o s'indureranno [134] ostinati a questi colpi, e facendo loro con più pesanti flagelli
pagare il fio di così enorme empietà, non solo cesseranno di divenire altrui d'inciampo e ruina, ma
riusciranno di gran terrore a chi volesse imitarli; e per servirmi delle parole di Galeno
(355)
, qui
noluerunt reipublicae prodesse vivendo, prosint moriendo.
Dimostrazioni sono queste bastevoli a convincere ogni ragionevole pensatore. Perchè però la
verità di cui parlo ha sostegni anche più forti ai quali appoggiarsi, così non mi contento d'averla
dimostrata colla sola ragione, ma voglio che l'autorità la confermi e sostenga. Leggete di grazia il
vecchio Testamento, e vedrete tante volte praticate e prescritte le pene suddette, quante volte
insorsero a turbare il divin culto idolatri, bestemmiatori e sortilegi. Leggete il nuovo, e tra i pacifici
olivi della legge di Grazia vedrete sempre intrecciate le dure verghe de' più pesanti flagelli. Volgete
in fine lo sguardo al contegno usato in tutti i tempi dall'una e dall'altra legislazione, e tutte vedrete
raccolte ne' loro codici le pene poc'anzi indicate. Lo so, che a tutte queste invincibili autorità
procurano di dare qualch'eccezione i Tollerantisti indiscreti: sono però così insussistenti e ridicole,
che ne accrescono invece di sminuirne la forza. Escludono le leggi penali dell'uno e dell'altro diritto
col dirle parto di quell'obbrobriosa ignoranza, in cui suppongono involti tutti gli antichi legislatori:
ma io ricerco invano ne' secoli che chiamano illuminati i Costantini, i Teodosj, i Giustiniani, i
Leoni, i Gregorj, gl'Innocenzi e tant'altri uomini sommi, che ne' tempi andati promulgarono e
mantennero in vigore codeste pene: e pare a me che quella meschina risposta più che dalla propria
debolezza resti screditata dalla temerità e sciocchezza di chi ardisce di pronunciarla. Scansano con
ugual sorte i rigori della nuova alleanza tutti coloro che restringono la podestà della Chiesa alle sole
pene spirituali. Neppure la scomunica fulminata da S. Paolo contro l'incestuoso di Corinto
accompagnata da quelle orribili vessazioni corporee, che vengono paragonate dall'Apostolo alla
pena di morte, è suscettibile di una tale eccezione; e reca stupore che il dottissimo [135] Estio
nell'interpretazione di questo testo, nel quale Tertulliano non è alieno dal travedere la morte istessa
temporale
(356)
, si sia scostato alquanto dal sentimento più comune degli espositori e teologi
(357)
.
Sono, poi da questa pena così dissimili la cecità, cui fu condannato il mago Elima, e la morte, cui
per comando del principe degli Apostoli soggiacquero e Anania e Zafira e Simon mago, che il
volerle confondere è lo stesso che farsi ridicolo. S. Agostino più che di risposta reputò meritevole di
disprezzo una tale eccezione in bocca de' Donatisti, e disse che viene smentita dall'istesso contesto
di S. Paolo, il quale parlando
(358)
insieme e di delitti comuni e di quelli di Fede, e dicendo
meritevole di castigo e chi defrauda le gabelle e i dazj e chi offende la Religione, mostra abbastanza
quanto poco li separi nella qualità della pena: Nonnulli eorum, ei dice, sane imperitissimi hoc
intelligere solent, de honoribus ecclesiasticis dictum est, ut gladius intelligatur vindicta spiritalis,
quae excommunicationem operatur, cum providentissimus Apostolus consequenti contextione
Lectionis satis aperiat quid loquatur
(359)
.
Quello però che mostra vie meglio l'ostinazione de' nostri avversarj, e che per la troppo aperta
malignità e violenza più che a riso move a sdegno, si è lo sforzo che fanno per evitare il colpo, che
loro sovrasta dalle troppo chiare espressioni del vecchio Testamento. Tutti ne sentono il peso: e
Baile meno bugiardo in questo e versipelle degli altri lo confessa pur'anche, dicendo: J'avoue de
bonne foi que cette objection est forte, et qu'elle semble être une marque que Dieu veut que nous ne
sachons presque rien certainement par les exceptions qu'il a mis dans sa parole, a presque toutes
(354)
de leg. 2. 20.
(355)
nel libro che ha per titolo Mores animi corporis temperamentum sequuntur.
(356)
de Pudicitia cap. 14.
(357)
lib. 4. part. 1. dist. 18. §. 9.
(358)
ad Rom. cap. 13. ver. 4.
(359)
Lib. 1. cont. Parmen. c. 10. n. 16.
92
les notions communes de la raison
(360)
: ma non tutti battono la stessa strada per evitarlo. Bestemmia
il Baile, come già udiste, e non potendo distinguere la condizione dell'uno e dell'altro Stato in
questa parte scopre una sognata contraddizione, un'inganno doloso che non può aver luogo In alcun
modo nella parola di Dio. Ma non parlano così il Noodt, il Fleury, il Bartolotti e varj altri, i quali
ben [136] lontani dall'ammettere in Dio quell'imperfezione che sogna Baile, ma premurosi
egualmente di rimovere dagli increduli ogni corporale castigo, dicono che v'è gran divario tra il
governo degli Ebrei e quello de' Cristiani, e che l'Infedeltà fu bensì delitto di lesa divina maestà
nell'antica alleanza, in cui l'eletto popolo era regolato da provvidenza divina, ed il suo governo era
teocratico: ma non lo è adesso che hanno i Fedeli i loro sovrani dai quali sono governati
temporalmente, e la loro Infedeltà non reca più alcun danno o ingiuria a chi li governa. Niun diritto
hanno essi ora di castigarli: niuno ne ha la Chiesa, la quale più che i rigori di Mosè e d'Elia deve
imitare la tolleranza di quegli Ebrei, che non si accomunavano solamente cogli Eretici degli ultimi
tempi della legge antica, coi Farisei, coi Sadducei, cogli Esseni ed altri settarj, ma li sollevavano
anche ai primi onori. Così la discorrono costoro meno empiamente del Baile, non però meno
irragionevoli e strambi: non così S. Paolo, che dopo d'aver'accennati agli Ebrei i rigori del vecchio
Testamento dice senz'eccezione che gl'increduli meritano adesso trattamenti peggiori: quanto magis
putatis deteriora mereri supplicia qui filium Dei conculcaverit, et sanguinem testamenti pollutum
duxerit in quo sanctificatus est, et spiritui Gratiae contumeliam fecit
(361)
? E furono dai loro assai
diversi i ragionamenti e di S. Cipriano, che avendo sott'occhio con quanta fedeltà ed esattezza fu
eseguito ai tempi dell'antica alleanza il divin precetto di castigare con ogni severità gli oltraggiatori
del divin culto, quod si, soggiunge, ante adventum Christi circa Deum colendum, idola spernenda
haec praecepta servata sunt, quanto magis post adventum Christi
(362)
? e dello stesso Enrico
Coccejo, benchè Protestante, il quale nella diversità dello stato presente in vece di trovare come
sottrarre i malvagi dal meritato castigo doppio anzi ravvisa il motivo di castigarli, tum quia in legem
Moysis peccant, tum quia praecepta Salvatoris floci habent
(363)
. Con chi ve la terrete voi, coi
Tollerantisti impostori e appassionati, che tutto sconvolgono a capriccio perchè riesca utile o non
contrario almeno al loro partito, o con S. Paolo [137] ed i SS. PP., che tutto hanno ponderato
senz'interesse e passione sulle bilance del santuario? Coi primi che colpevoli cercano di sfuggire il
meritato castigo, o cogli altri che innocenti tentano ogni strada per preservare se stessi e gli altri da
mortali cadute? Cogl'increduli, che a bene intendere i divini ammaestramenti e a meglio interpretare
il senso dell'antiche leggi ricorrono ai costumi già depravati di quei temp'infelici, ne' quali
accostandosi al suo termine l'antica alleanza tutto era nella repubblica degli Ebrei in dimenticanza e
languore, e quelle sette si tolleravano e quei settarj, che ne' più felici suoi giorni caduti sarebbono
vittima dello sdegno di tutti, o coi SS. Padri, che considerano l'antica alleanza nel suo più florido
stato, e da questo ricavano le più luminose immagini e le figure più espressive del nuovo sistema, e
gli esempj ritraggono e propongono a noi più meritevoli d'imitazione? Temo d'offendervi col solo
ricercarvelo. Ma se non è da stimarsi dissimile il contegno prescritto da Gesù Cristo contro gli
Eretici nella legge di Grazia da quello che aveva Dio ordinato a Mosè nell'antica alleanza, si cerca
in vano di scuotere il peso di sì robusta dimostrazione, e niuno che ha senno in capo ammetterà in
ordine a Dio un sostanziale divario tra l'una e l'altra alleanza. Se fu Dio in quella arbitro e sostegno
dell'umane vicende, non lo è meno in questa, che stringe con più forti nodi di celesti doni e favori,
che regge con più nobil freno di provvidenza immancabile, e di cui si è fatto egli stesso invincibile
difensore sino alla consumazione de' secoli. Se le divine istruzioni furono in quella scorta ed
appoggio della civil società, lo sono egualmente le nuove istruzioni nelle cattoliche società de'
Fedeli. E se a conforto e difesa di quella fe pompa Iddio di molti prodigj nell'Eritreo, nel Giordano,
sul Sinai, a perenne conservazione e difesa di queste non cessano mai di mostrarsi tra noi i più
segnalati portenti. Ond'è che si deve creder delitto civile anche nelle cattoliche società l'oltraggio
(360)
Comment. Philosoph. sur ces paroles de l'Evangile Contraint les entrer.
(361)
ad Hebraeos cap. 10. ver. 27.
(362)
Epist. ad Fortunat. de exhort. matyr. cap. 5.
(363)
Comment. in Grotium lib. 2. cap. 20. §. 11.
93
fatto alla divina maestà; ma quand'anche non fosse che religioso, anche in quest'aspetto, come ho
avuto il piacere di dimostrarvi, non può esser sottratto ai rigori dell'umana giustizia.
Regge adunque invincibile la fatta dimostrazione, anche a fronte di tutti gli sforzi che fanno i
nostri nemici per rovesciarla: ed io mi potrei dispensare dal diffondermi maggiormente, se minore
scoprissi l'impegno de' nostri nemici per atterrare questa pietra che forma il più interessante
argomento [138] del nostro carteggio. Contro la coazione temporale hanno essi rivolte le loro mire:
e questa è che a difesa del tribunal della Fede debbo io sostenere principalmente; e dopo d'avervela
mostrata coerente alla ragione, alla Scrittura ed alla pratica universale e costante dell'una e dell'altra
legislazione passo a mostrarvela conforme ai sentimenti di tutti gli antichi Padri e dottori.
Guida e sostegno di questo nobil drappello sarà Sant'Ignazio, il primo tra i Padri apostolici, che
nelle preziose sue lettere ha tramandato a noi dopo le sagre Scritture la più veridica storia degli
apostolici ammaestramenti e costumi. Aveva egli in tale abbominio i violatori delle cattoliche
verità, che non disdegnava d'infamarli pubblicamente e di dar loro l'obbrobriosa taccia di fiere e
cani rabbiosi. Fuggite, egli scrive a quelli di Efeso, ben lungi da costoro: quos oportet vos ut feras
evitare; sunt enim canes rabidi clam mordentes. Fuggite, ripete ai Tragliani, malas propagines, que
gignunt mortiferum fructum, quem si quis gustaverit, continuo morietur. Fuggite da questi lupi,
esclama ai Cristiani di Filadelfia; nè ricevete, ripete a quelli di Smirne, tra voi queste fiere vestite di
forma umana, e se è possibile, procurate di scansarne anche l'incontro, com'io neppure ardisco di
nominarli. Così li voleva egli non che privi d'onore, ma anche di civile commercio. E qual sarà mai
se non è questa una delle più aspre maniere da usarsi cogli Eretici per procurarne quindi per via di
sensibili riprensioni e disturbi la correzione e l'emenda? Più chiaro ancora di S. Ignazio parlano i tre
migliori apologisti de' primi Cristiani, Tertulliano, S. Giustino e Atenagora, e non che degni
d'infamia e di penoso abbandono e sequestro, ma li dichiarano meritevoli di tutte quelle pene e
tormenti, che impiegati contro i Cristiani non per altro motivo li hanno riputati ingiusti e crudeli, se
non perchè andavano a ferire non gl'impugnatori della verità, ma i saggi adoratori del vero Dio. Se è
provato quell'ateismo, che imputate a Cristiani, siano pur castigati, diceva il primo nella sua
apologia, ed anche più severamente di quel che fate, che ne sono ben meritevoli: Oramus ut quae
Christianis objiciuntur inquirantur, atque si ita se habere probaverint, pro eo, atque ut par est,
puniantur: anzi il sangue istesso spargete di quel Cristiano, che in faccia ad un'ossesso non potrà
dimostrare l'empietà de' Demonj che voi adorate; nisi se Daemones confessi [139] fuerint,
Christiano mentiri non audentes, ibidem illius Christiani procacissimi sanguinem fundite... chè è
ben giusto, come soggiunge altrove, che sia preceduta da autentiche prove la nostra Fede; auctoritas
divina praecedat... ut qui negant bonum non suadeantur nisi cum subacti fuerint: e dichiarando
anche meglio in progresso della sua apologia i suoi sentimenti, e distinguendo le giuste dall'ingiuste
persecuzioni, quelle sole chiama ingiuste che vanno a ferire i cultori della verità, non le altre che
combattono la menzogna, e quelle e non queste disapprova e condanna dicendo, tunc Christianos
puniendos, si quos non colerent, quia putarent non esse Deos, constaret illos Deos esse. Ma costa
essere indubitabili verità quelle che gli Eretici ricusano di venerare; meritano adunque secondo la
mente di Tertulliano que' castighi, che avrebbono meritati i Cristiani ricusando di adorare il vero
Dio. Ripete lo stesso S. Giustino nella sua apologia; et sic, dice, teneamus nihil nos mali a quodam
perpeti posse, nisi malefici convincamur, aut improbi deprehendamur. Non la perdonate nè a sesso
nè ad età, soggiungeva nella sua legazione Atenagora, se sono veri i tre delitti, che vengono a noi
attribuiti, l'empietà, le cene tiestee, gl'incesti. Trium flagitiorum infamem rumorem de nobis
spargunt, impietatem, epulas thiesteas, concubitus incestus, quae si vera sunt, nulli, vel sexui vel
aetati parcite... merito in atheismi crimen, et in capitis judicium vocaremur. Dubiteremo noi
dell'empietà dell'Eretico dopo di aver dimostrato che se la prende con Dio direttamente, e tenta di
tutta sconvolgere la vasta mole del celeste edificio della sua Chiesa, e la stessa civile società urta e
sconvolge?
Ma chi può tener dietro a tutte le dottrine ed espressioni degli antichi Cristiani favorevoli a
quella temporale coazione, che abbiamo intrapreso a sostenere, senza far crescere oltre i soliti
confini codesta lettera? Io per solo amore di brevità mi restringerò a pochi, ed oltre le addotte non
94
aggiungerò che quelle di S. Atanasio, di S. Gregorio Nazianzeno, di S. Gregorio Magno, di S.
Girolamo, di S. Leone, di S. Agostino e di S. Bernardo, e scorrendo per tal modo da' primi
all'ultimo Padre sarà poi facile a voi il conchiudere, che tutti sono stati del medesimo sentimento. S,
Atanasio nel libro del Sinodo di Rimino dice espressamente di Ario e degli Ariani, che per le tante
cose che a danno di tutti i Fedeli avevano sparse contro il figliuolo di Dio non che il divino sdegno
ma si erano meritato anche [140] tra noi quel castigo, che Gesù Cristo dichiara convenire agli
scandolosi; quantum sibi ire thesaurum recondunt... expedit ei ut suspendatur mola asinaria in
collo ejus, et demergatur in profundum maris
(364)
. S. Gregorio Nazianzeno parla in più luoghi di
temporali coazioni, e scrivendo all'Imperatore Costanzo non solo le approva, ma stimola ogni
ordine di persone a dar mano a sì utili imprese, assicurando esser meglio por freno a questi, che a
delitti comuni. Haec et Laicis praescribo, dic'egli, haec et presbyteris mando, haec et iis, quibus
imperium creditum est, omnes rectae doctrinae opem ferte, qui Dei beneficio opem ferre potestis.
Magnum est caedem comprimere, adulterium coercere, furtum castigare, multo majus pietatem
sancire, ac sanam doctrinam largiri. Non tantas vires sermo meus habiturus est pro sancta
Trinitate bellum gerens, quantas edictum tuum, si perversis dogmatibus imbutos compresseris. S.
Gregorio Magno ne parla anch'egli in tanti luoghi, che lunga cosa sarebbe il ripeterli tutti al
presente. Vi basti il sapere, che scrivendo a Gennadio lo loda moltissimo pel rigore che usava
contro gli Eretici, e dice che non meritavano meno e la loro empietà e i danni gravissimi che recano
alla Chiesa ed allo stato; ed epilogando in fine quel molto che aveva detto, e la necessità
accennando della temporal coazione conchiude, che oportet inimicis Ecclesiae omni vivacitate
mentis et corporis obviare. S. Agostino non ne ha parlato solo approvandole, ma ne ha sostenuta
con forza l'equità e giustizia; e se si mostrò alquanto dubbioso un tempo e discorde dagli altri
Vescovi nel decidere, se fosse o no espediente l'usare allora di quelle più gravi pene, che s'andavano
introducendo anche ne' tribunali ecclesiastici, non dubitò mai della giustizia della temporal
coazione, come osserva Cristiano Lupo, e diede poi in appresso prove sì grandi della sua assoluta
approvazione, che non lascia alcun'appiglio a chi volesse porla in questione. Si può dire lo stesso di
S. Girolamo e di S. Leone. Sono essi in questa parte così uniformi di massima agli altri PP., e così
impegnati nel sostenere, che in affari di Religione non è da risparmiarsi la temporal coazione, che il
primo a nome anche di molti altri nella lettera 63., già altrove citata, ammonisce [141] Teofilo
Vescovo di Alessandria per la troppa pazienza, che usava cogli Origenisti, che ingombravano i
monasteri della Nitria, e lo loda poi pel rigore, cui aveva dato di piglio in appresso; e S. Leone tali e
tante conferme addusse di questa verità, che non le pene sole approvò che si adoperavano utilmente
per frenar l'eresia, ma il metodo medesimo seguì e prevenne col suo esempio, che si usa anche
adesso.
Vi stanco io forse soverchiamente: eppure non posso a meno di aggiungerne qualch'altro a
quelli che ho addotti sin qui di non dissimile forza e calibro; chè troppo interessa la causa che
abbiamo per le mani, e troppo mi preme di rendervi persuaso in punto di tant'importanza. Si sono
mostrati di sentimento uniforme ai già detti e S. Innocenzo I., che esortò Lorenzo Vescovo di
scacciare i seguaci di Fotino già bandito da Roma, e S. Ambrogio, che approvò la legge di Teodosio
che sbandiva dalla città Gioviniano ed i suoi seguaci. Taccio di Origene, di S. Ottato, di S. Epifanio
e di cent'altri, che sarebbe cosa troppo lunga il volere qui parlar di tutti, e può supplire abbastanza
all'omissione degli altri il solo S. Bernardo, il quale come la serie de' Padri, così egregiamente la
catena compie della più chiara ed invincibile tradizione su questo punto, e merita non meno degli
altri somma venerazione e rispetto pel raro merito della sua dottrina e pietà, e pel maggiore
schiarimento che può recare a questa verità colla maggiore precisione e chiarezza con cui ne parla.
Egli ha scritto con tanta esattezza, che non solo esorta i principi ad intraprendere contro gli Eretici
quelle vendette, che con privato non plausibile tumulto usurpavano talvolta gli zelanti Fedeli, ma
promove e raccomanda quelle crociate, che Eugenio III. aveva intimate contro di loro, ed esorta il
Vescovo di Costanza a procurare la troppo necessaria carcerazione di Arnaldo da Brescia; e
(364)
Epist. de Synod. Arimin. num. 2.
95
facendosi carico di quelle cavillazioni, che ricavano i settarj dal non vedersi praticati ne' primi
tempi con tanta frequenza e metodo rigori consimili, ne' commentarj sopra la Cantica distingue il
tempo dell'orrido verno, in cui doveva la Chiesa gemere sotto il peso delle più fine persecuzioni, da
quello della primavera, in cui divenuta adulta e protetta dai fedeli sovrani sarebbe stata in libertà di
recidere gl'inutili tralci, ed esercitare le giuste vendette contro i suoi medesimi persecutori. Chiama
il primo tempo opportuno non al taglio e rigore, ma alla piantagione ed alla semina; l'altro lo dice
atto non ad plantandum solamente, ma ad potandum quod jam plantatum [142] erat, e ad usare que'
rigori e quelle spade che tutte avrebbe voluto vedere rivolte ne' suoi giorni a danno de' miscredenti.
Che possano rispondere adesso l'increduli per sostenere il ruinoso edificio della loro mal
concertata cabala io non lo so ideare; solo a vostro totale disinganno voglio avvertirvi in fine che è
così certa ed evidente la ragionevolezza di quelle coazioni che ho preso a difendere, che neppure i
Protestanti, i meno appassionati almeno ed indocili, hanno ricusato di confessarla. Già udiste come
ne parla il Coccejo. Ugo Grozio ne trova i contrassegni e la pratica anche ne' primi tempi del
cristianesimo, e sebbene nega che fin d'allora si procedesse alla pena di morte, accorda però che la
Chiesa non ha mai disapprovate quelle pene anche temporali e gravissime, che ai delinquenti
inesorabili lasciavano spazio da potersi pentire: Illa poenarum genera, quae circa sacra
inexcusabiliter delinquentibus poenitentiae tempus reliquerunt, vetus Ecclesia non improbavit. Non
fa tante restrizioni il Boemero, ma riportate le varie pene, che gli oltraggiatori della divina maestà
hanno sempre incontrate presso gli Ebrei, i Romani, i Germani, Sassoni, Cinesi, Turchi, e si
potevano aggiungere anche gli Egiziani e gli Ateniesi, dice che un così grave delitto, che tanto
interessa la comune salvezza, si frena con gran ragione anche coll'umane leggi e castighi: Ipsumque
facinus poenis humanis recte coercetur
(365)
. Al Grozio succede il Barbeirac, che non sempre
coerente a se stesso dopo i maggiori encomj fatti alla tolleranza ha dovuto con troppo ardite
espressioni approvare non che l'uso de' castighi semplicemente, ma della forza e resistenza ancora
contro chiunque volesse impedirci di far professione della Religione, che noi crediamo la migliore:
car du reste il est clair, que l'on peut se dèfendre soi-même contre ceux, qui voudroient nous
empêcher de faire profession de la Religion que nous croyons la meilleur
(366)
. Avrebbe parlato
meno male, se meno acciecato dal suo spirito privato avesse scritto della Religione che è la
migliore, invece di dire di quella che noi crediamo migliore. È chiaro che si può difendere la sola
vera cattolica Religione coll'armi; e che la falsa non può pretendere che qualche tolleranza, allorchè
il volerla [143] distruggere, come esigerebbe il dovere, non altro ci ripromette che maggiori
sciagure e pericoli. Ma non sono da aspettarsi da costoro che verità dimezzate e mancanti: voi
attenetevi alle poc'anzi addotte de SS. PP., che non dalle impure fonti delle passioni e partiti, come
gli Eretici e miscredenti, ma hanno derivate le celesti loro istruzioni dalle limpidissime fonti della
divina rivelazione: ed io non per altro motivo vi ho addotte le testimonianze degli eterodossi se non
perchè restiate convinto che mentita est iniquitas sibi, e che è così lampante la verità che vi scrivo,
che sa farsi approvare anche da quelli che l'odiano e l'impugnano ostilmente. Saremo così quanto
più uniformi di sentimenti tanto più impegnati in quella sincera amicizia che mi fa essere
(365)
Jus eccles. Protest. lib. 5. tit. 7, de Haeret. sub num. 8.
(366)
in not. ad Pufendorf. lib. 8. cap. 6. §. 3.
96
LETTERA DUODECIMA.
Niuno de' Padri e degli antichi dottori ecclesiastici
si è mai opposto a quella discreta coazione
temporale che difendiamo.
on era credibile che trasportati come sono i nostri Tollerantisti indiscreti a favore degli Eretici
volessero poi lasciare d'imitarli nel costume che hanno di confermare gli errori con ogni
maniera di cavillazioni e sofismi. Lo fanno pur troppo, e con tanta insistenza e premura che in
questo solo rassembrano superiori ai loro clienti: ed io non posso che approvare moltissimo il
desiderio vostro, che non pago d'aver apprese da me le più efficaci prove che mostrano la
convenienza della coazion temporale allorchè viene impiegata a punizione degli Eretici, mi
stimolate adesso a farmi carico di quelle difficoltà che adducono per escluderla. Senza di questo
resterebbe troppo imperfetto il nostro carteggio: ed io tanto più volentieri secondo il vostro genio,
quanto più credo d'aver già colle passate lettere abbreviato di molto il cammino. Imperciocchè
avendo io esclusa la sognata indifferenza dell'ereticale perfidia, e quell'indole innocente e pacifica,
che piace di accordarle ai moderni settarj, ed avendo dimostrato ad evidenza che a frenare i suoi
trasporti non bastano i castighi spirituali, nè vagliono ad escludere il rigor temporale le
disapprovazioni che fece Gesù Cristo dei rigori de' quali volevano far' uso gli Apostoli in mal punto,
altro più non mi rimane che di spiegare alcune oscure ed inesatte espressioni d'alcuni Padri ed
antichi scrittori, delle quali non meno che della filosofia e Scrittura abusano costoro per sostenere il
loro sistema: chè questo è appunto, al dire del Lirinense
(367)
, il far degli Eretici. S'appigliano
perlopiù ai detti di qualche antico scrittore, che per la sua oscurità adombra in qualche modo i loro
errori, per non comparire nè i primi nè i soli imbevuti [145] di simili sentimenti. Ma tutto indarno,
come vedrete fra poco. Perchè però la soverchia abbondanza di cert'espressioni che trascrivono a
nostro aggravio non rechi confusione e molestia, ridurrò a tre classi tutti que' Padri ed antichi
scrittori che i nemici del tribunale del S. Officio chiamano favorevoli al loro partito. Comprende la
prima varj apologisti della cattolica Religione, che rimproverando agli idolatri la crudeltà che
usavano coi martiri cristiani ripetono sovente con S. Giustino, Tertulliano e Lattanzio, che la
Religione è libera, e si deve insinuare colla persuasione e non colla forza. Abbraccia l'altra la
disapprovazione di quelle violenze, che soffrivano i Cattolici dagli Ariani, ed i Priscilianisti
dall'imprudente procedere del Vescovo Idacio, de' quali i primi furono ripresi aspramente da S.
Atanasio, da S. Ilario e da S. Gregorio, e l'ultimo non che ripreso ma abbominato pur'anche da S.
Martino, da Teognosto e da tutti i Vescovi di quel tempo. Ed è composta finalmente la terza
dell'espressioni di moltissimi SS. PP. e dottori, che non mai si stancano di raccomandare a tutti la
cristiana moderazione e dolcezza, tra i quali S. Ireneo, Origene e S. Ambrogio non hanno l'ultimo
luogo. Delle testimonianze di quest'ultima classe non mi darò carico, perchè è troppo chiara
l'ingiustizia che si usa opponendole, ed è un'evidente abuso che si fa delle giustissime espressioni,
colle quali raccomandano i Padri la cristiana moderazione e dolcezza, volgendole a danno di quella
discreta e caritatevole coazione, che noi colle stesse loro parole abbiamo sostenuta sinora: e come
non posso io essere tradotto per favorevole a quella tolleranza indiscreta, ch'essi desiderano, dopo di
averla disapprovata moltissimo, solo perchè ho scritto, che è conveniente talvolta, che siano
risparmiati i colpevoli, e che si deve usar sempre moderazione e dolcezza; così non si possono
tradurre i SS. PP. per tollerantisti indiscreti per avere raccomandata anch'essi la cristiana
moderazione e clemenza dopo che hanno approvata la coazione in tante guise. Quindi è che lasciate
(367)
Commonit. 1. cap. 11.
N
97
a parte tutte le testimonianze di questa classe, mi occuperò piuttosto nell'esame di quelle che alle
prime due appartengono, le quali ed hanno recato a voi a prima vista un qualche arresto e sono più
famigliari e gradite ai nostri avversarj. Si desumono queste per lo più dai Padri nell'ultima mia
citati, ai quali si possono aggiungere Origene, S. Atanasio e S. Gio. Grisostomo: ma tutto succede
con aperta impostura e violenza. Ecco ciò che dice Tertulliano [146] contro i persecutori
idolatri
(368)
: Sed nec Religionis est cogere Religionem, quae sponte suscipi debet, non vi, cum et
hostiae ab animo libenti expostulentur. Non sono molto dissimili a queste le espressioni, che usano
i due altri apologisti, Lattanzio ed Atenagora; se non che il primo esorta inoltre i Gentili a lasciare la
cura agl'Idoli di vendicarsi dell'ingiurie, che ricevono dai Cristiani, e cur illis, soggiunge (cioè
agl'Idoli), non relinquunt ulciscendi sui locum, si eos posse aliquid arbitrantur? L'altro
domanda
(369)
; Cur istis (agli idolatri) impune de Deo dicere quod libuerit, & scribere liceat, nobis
autem posita sit lex, qui quod et intelligimus & credimus, unum Deum esse, id veritatis signis &
rationibus demonstrare possumus? Taccio quelle degli altri per non ripetere lo stesso: e solo
rifletto, che ad eludere queste ed altre consimili espressioni bastar potrebbe quella generale
eccezione, che si suol dare ad alcuni Padri, che trasportati dallo zelo contro l'errore che
combattevano hanno talvolta con non troppo misurate espressioni fatto sospettare d'essere caduti
nell'errore contrario; e si potrebbe rispondere che sono comparsi disapprovatori della discreta,
quando non hanno avuto in mente che di combattere la coazione ingiuriosa ed ingiusta: e si
potrebbe ancora aggiugnere la riflessione, della quale si serve il Muzzarelli per iscansare le
espressioni alquanto dure di S. Ilario, e dire, che nati alcuni degli antichi Padri e scrittori in tempo
in cui infieriva tuttora o la crudele persecuzion de' Gentili o la non meno barbara ed ingiusta degli
Ariani, che a quella è succeduta, e non consapevoli per anche de' sommi vantaggi, che recar poteva
alla Chiesa la temporal coazione, esperimentati poi poco dopo da S. Agostino, si deve supporre che
non altro abbiano voluto impugnare che l'opportunità e convenienza d'usarne allora, non la loro
equità e giustizia. Nè pare che S. Tommaso sia stato alieno dall'adottare l'una e l'altra risposta dove
tratta di questa questione espressamente, e si dichiara del nostro medesimo sentimento
(370)
. Io però
non mi contento di generali eccezioni, e voglio rilevare in ognuno degli accennati scrittori il preciso
sentimento, come voi pure desiderate ch'io faccia. Per questo neppure dirò ciò che con Vincenzo
Lirinense
(371)
dicono [147] moltissimi, che nelle cose di Religione quelli soli meritino d'essere
ascoltati, qui in Fide & communione catholica sancte, sapienter,
constanter viventes, docentes et
permanentes vel mori in Christo fideliter, vel occidi pro Christo feliciter meruerunt. Nè darò a
Tertulliano la taccia di non esser'uomo della cattolica comunione, nè dirò ciò che dice di Origene
Cassiodoro
(372)
, che niuno ha scritto meglio di lui dove ha scritto bene, e niuno peggio dove ha
scritto male; e che Lattanzio in fine è stato più felice nel distruggere la superstizione che nello
stabilire le cattoliche verità, come dice S. Girolamo
(373)
. Niente dirò di questo, sì perchè la risposta
sarebbe troppo generale, come ancora perchè avendo anche da questi scrittori antichissimi un
qualche appoggio le cattoliche verità, e volendomi io servire anche di questi nelle mie lettere, non
voglio debilitare le loro testimonianze in alcun modo. Li ammetto adunque e accetto tutti per
legittimi testimonj anche nella causa di cui trattiamo, e pretendo che punto non giovino al contrario
partito. Per verità Tertulliano nel luogo citato non ha avuto altro in mira che di escludere e la
coazione che piega al male e quella stessa che al bene dirigge, quando non è preceduta da necessaria
istruzione e da prove evidenti. A questo mirano le sue apologie, anzi quelle di tutti gli altri che
hanno scritto contro le idolatriche persecuzioni. Chi ne può dubitare dopo che ha sentito da
Tertulliano che i Cristiani sarebbero stati castigati giustamente se gl'Idoli che disprezzavano fossero
stati veri Dei, e fosse stata dimostrabile la loro divinità, e dopo che ha richiesta l'istruzione qui sopra
(368)
Divinar. Instit. lib. 2. c. 4.
(369)
Legat. pro Christ. n. 7.
(370)
2. 2. quaest. 10. art. 8. ad 1.
(371)
Cont. Haeres. cap. 39.
(372)
Divin. Instit. Lect.
(373)
Catalog. Script. Ecclesiast. c. 80.
98
indicata? Atenagora, e Lattanzio non altro rinfacciano ai barbari persecutori che l'innocenza de'
poveri Cristiani e la crudeltà de' loro tormenti. Bastar dovrebbe questo scopo per limitare le loro
espressioni alle sole persecuzioni ingiuste, quand'anche mancassero espressioni chiarissime: chè lo
scopo appunto, giusta la regola prescritta da S. Ilario
(374)
, è quello che sopra d'ogni altra cosa la
mente degli autori ci addita: inteligentia dictorum ex causis est assumenda dicendi, quia non
sermoni res, sed rei debet esse sermo subjectus. Ma per fortuna le più chiare espressioni non
mancano; ed altra non essere la mente di Tertulliano [148] che di escludere l'intolleranza indiscreta,
si scopre ad evidenza non solo nell'Apologetico citato altrove da me, ma anche nello Scorpiade,
dove dopo le parole testè citate soggiunge; ad officium Haereticos compelli non allici dignum est:
duritia vincenda est, non suadenda haeresis: e perchè non restasse alcun dubbio sul genere di
coazione, del quale intendeva egli di ragionare, indica ed approva poco dopo le pene capitali, che
furono fissate da Dio contro gl'Idolatri ed increduli nel Deuteronomio, nel Levitico ed in tant'altri
luoghi della sagra Scrittura.
Ad espressioni consimili a quelle di Tertulliano, e però suscettibili di egual'interpretazione
aggiunge Lattanzio, come sì è detto, l'esortazione ai Gentili di abbandonar la vendetta ai loro Idoli:
e move Atenagora alcune querele pel diverso trattamento, che usavano i Gentili con quelli, che tante
e sì obbrobriose cose spargevano de' loro Dei, riservando poi pe' soli Cristiani il castigo. Ma sono
queste ingegnose frasi e maniere atte ad indurli a meglio considerare la vanità de' loro Idoli e
l'irregolarità della loro condotta, non sentimenti diversi da quelli del testè accennato
dottor'Africano. Una più seria riflessione sull'irregolare maniera del loro procedere poteva bastare a
farli pentire delle crudeltà già intraprese, ed a restituire ai Cristiani quella libertà che cercava
Atenagora. Un sol pensiere gettato sopra la vanità di quegl'Idoli, che adoravano, era più che
bastevole non che a far cessare quelle persecuzioni, che impugnava, ma a ridurre gli stessi Idolatri a
miglior senno, come bramava Lattanzio. Impedì con quest'arte il padre di Gedeone quelle vendette,
che macchinavano gli Effraiti contro il figlio, che aveva distrutto il bosco e l'altare di Baal, e li
richiamò in gran parte a quel culto del vero Dio, ch'egli stesso colla sua famiglia prese poi a venerar
fedelmente. Si Deus est, vindicet se de eo, qui suffodit aram ejus: così Gioas
(375)
. E non ebbe forse
altro in mente Gamaliele allorchè procurò di distorre gli Ebrei dal macchinare la ruina del nome
cristiano, esortandoli a lasciare al tempo la decisione della sua qualità ed origine. Checchè ne sia
però di questi esempj, niuno potrà mai dubitare della mente di Lattanzio e di Atenagora, il primo de'
quali coll'esempio del servo che nel maggior rischio abbandona il padrone, e del figlio [149] che si
dimentica del padre, dimostra giustissima qualunque punizione usar si voglia con chi colla Fede
abbandona Iddio miglior padrone e miglior padre di tutti: Si servorum nequissimus habetur, ecco le
sue parole, qui Dominum suum fuga deserit, isque verberibus, vinculis, ergastulo, et cruce, et omni
malo dignissimus judicatur, et si filius eodem modo perditus atque impius existimatur, qui patrem
suum dereliquerit, ne illi obsequatur, ob eamque causam dignus putatur, quod sit exhaeres, et cujus
nomen de familia penitus deleatur, quanto magis qui Deum deserit, in quem duo vocabula domini et
patris aeque veneranda conveniunt
(376)
? L'altro, poi nel luogo citato nell'altra lettera dice
espressamente a nome di tutti i Cristiani, che si idem ac Diagoras sentiremus, cum tot ac tanta
habeamus Dei colendi pignora, ratum ordinem, perpetuum concentum, magnitudinem, colorem,
figuram, descriptione mundi, merito in atheismi crimen et in capitis judicium vocaremur.
Crediatemi amico che non altronde nasce il loro sdegno che dallo scorgere impiegata la forza a
danni di quella giustizia, che tutta vorrebbero vedere occupata a distruzione dell'empietà. E quest'è
che indusse anche Lucifero Calaritano a disapprovare altamente le ingiuste persecuzioni
dell'Imperator Costanzo, e ad esortarlo a tutte rivolgerle contro gli Eretici: Debes enim (così egli col
solito acceso suo zelo) pro Christo, non Christianos se clamantes interficere. E non propose già un
tal partito quasi uno sforzo di singolar perfezione, ma lo insinuò come preciso dovere che nasce da
precetto divino, soggiungendo che haec nobis dedit mandata Dominus: si custodita fuerint, tunc
(374)
De Trinit. lib. 4.
(375)
Jud. cap. 6. v. 32.
(376)
De Juistitia lib. 5. cap. 19.
99
Christiani esse perseverabimus; contra cum gladio digneris ejus persequi servos, non te utique jam
Christianum potueris nuncupare, sed plane latronem vel gladiatorem. E si meraviglia poco sopra,
che Costanzo divenuto lupo rapace e satellite del Demonio si vada ideando che i Pastori del sagro
ovile dovessero dire ai soldati: Nolite arma sumere contra Constantium Diaboli satellitem; nolite
resistere templo omnium Demoniorum; magis autem facite quaecumque fieri praeceperit.
Resta ch'io parli di S. Atanasio, di S. Ilario, di S. Gregorio Nazianzeno e di S. Martino che alla
seconda classe appartengono, [150] e sogliono anch'essi annoverarsi tra i patrocinatori di quella
tolleranza indiscreta, che esclude ogni pena almeno temporale dai violatori della cattolica Religione.
Siccome però questi non si sono opposti per altro motivo alla condotta brutale degli Ariani e di altri
fanatici persecutori, se non per quelli istessi che indussero i primi apologisti a scrivere contro i
Gentili; così anche per questi quadrano assai bene le risposte già date: e deve credersi che dove
esclama S. Atanasio che piae Religionis est non cogere sed suadere, e dove S. Ilario soggiunge che
Dio obsequio non eget necessario: non requirit coactam confessionem; e quando fra le atroci
persecuzioni degli Ariani esclama S. Gregorio, nova & inaudita praedicatio, quae verberibus exigit
fidem; quando, dissi, e questi e varj altri Padri si esprimono in queste ed altre maniere consimili, è
da credersi che le loro espressioni non vadino a combattere che l'irregolarità ed ingiustizia delle
persecuzioni che sono dirette ad un fine perverso, e regolate da una peggiore condotta; non le
nostre, che hanno in mira la difesa e conservazione della Fede di Gesù Cristo, e sono regolate dalle
più giuste massime della cristiana moderazione e dolcezza. E chi può credere che abbiano parlato
altrimenti e S. Atanasio, che nel Concilio Niceno non lodò solamente, ma unito agli altri Vescovi
procurò dall'Imperatore quell'esilio, cui soggiacque Ario coi suoi più ostinati seguaci, e S. Ilario, di
cui scrisse Venanzio Fortunato, che contra haereticas acies sicut olim in corpore, non cessavit in
spiritu dimicare, giunto sino ad incoraggire con prodigiosa apparizione il Re Clodoveo a quella
strage di Eretici, che non senza la sua assistenza, come giova credere, con somma facilità eseg
poco dopo; e si mostrò poi così contrario agli Eretici e loro fautori, che non la perdonò neppure a
Costanzo Imperatore, che chiamò per ben tre volte coll'obbrobrioso nome di Anticristo e di lupo
rapace pel favore che prestava agli Ariani? Spiega egli stesso il perchè ha disapprovato gli Ariani
persecutori scrivendo a Costanzo, e dice che li detesta, perchè cogunt non ut Christiani omnes sint,
sed ut Ariani, & confessam in Deo Fidem ad consortium piaculi sui sceleris compellant. Non sono
da questi diversi i sentimenti di S. Gregorio, sebbene in qualch'espressione si mostri. alquanto più
alterato degli altri: e fuori di quelle ingiustizie, che troppo lo alienavano dalle violenze de' barbari
persecutori, esprimon ben'altro che disapprovazione della coazione discreta le sue parole dove dice
colla sua solita [151] eloquenza
(377)
exscinde arianam impietatem, exscinde perniciosum Sabellii
errorem. Haec & laicis praescribo; haec & presbyteris; haec & iis, quibus imperium creditum est;
non tantas vires sermo meus habiturus est pro S. Trinitate bellum gerens, quanta edictum tuum, si
perversis dogmatibus imbutos compresseris. È vero che S. Martino Turonense con alcuni altri
Vescovi della Francia si risentì contro lo zelo imprudente di quei Vescovi che procurarono presso di
Massimo la morte di Prisciliano e compagni; ma chi dirà per questo che egli disapprovasse ogni
sorta di temporale castigo, egli che fu discepolo di S. Ilario acerrimo persecutor degli Ariani, che
tanti tempj ed altari abbruciò degl'idolatri, e che non potendo talvolta colle proprie forze chiamò ed
ottenne ajuti superiori dal Cielo per eseguirlo, e colle sue mani stesse rovesciò quell'altare sopra del
quale si riscuoteva da un ladro ipocrita un culto indegno? S. Martino altro non disapprovò nel fatto
del Vescovo Itacio, che lo zelo imprudente che l'indusse a porgere replicate istanze pel supplicio di
quegl'infelici con grave discapito dell'ecclesiastica lenità, e contro lo stile della Chiesa, e ad
incrudelire contro chiunque non poteva aver compagno nelle sue violenze. Ce ne assicura Sulpicio
Severo, il quale e dice di se stesso, che non avrebbe disapprovato lo zelo d'Idacio o Itacio, se non
avesse combattuto più del dovere per pura ambizione di vincere, e di S. Martino dice che apud
Treveros constitutus non desinebat increpare Ithacium, ut ab accusatione desisteret; Maximum
Imperatorem orare, ut sanguine infelicium Priscilliani & sociorum ejus abstineret: satis superque
(377)
Homil. In dictis Evangeliorum.
100
sufficere, ut Episcopi sententia Haeretici indicati Ecclesiis pellerentur. Novum esse & inauditum
nefas, ut causam Ecclesiae judex saeculi judicaret. In altro aspetto non fu mai disapprovato il
rigore: e non senza ragione l'Eminentissimo Orsi con molti altri attribuisce quella qualunque felicità
temporale, ch'ebbe per qualche tempo fra le sue tirannie Massimo l'usurpatore, e le molte temporali
disgrazie che incontrò nel suo governo l'Imperator Graziano, che alla disposizione divina, che per
accreditare in questa parte i sentimenti di tutti i buoni Fedeli preparava con quella il meritato castigo
all'ereticale perfidia, e puniva con queste quell'inazione colla quale l'Imperator Graziano [152] si era
reso spettatore troppo indolente delle calamità della Chiesa
(378)
. Non la pena. adunque di Prisciliano
ma la maniera colla quale venne promossa divenne oggetto di disapprovazione pel S. Vescovo: ed
in questo aspetto il fatto d'Idacio fu disapprovato anche da S. Leone, il quale per altro parlando nella
lettera a Turibio delle pene temporali date ai Priscillianisti tant'è lontano dal riputarle ingiuste, che
anzi le dichiara utili e meritevoli d'approvazione, perchè per tal mezzo la moderazion della Chiesa
severis christianorum principum constitutionibus adjuvatur, dum ad spirituale nonnunquam
recurrunt remedium, qui timent temporale supplicium.
Varie altre espressioni d'antichi Padri procurano di piegare al loro partito i nostri avversarj: nè
si vergognano d'abusare anche di quelle di S. Gioan Grisostomo, sebbene sappiano dallo Spondano,
ch'egli il primo tra tutti i Vescovi procurò che fosse stabilita la pena di morte contro chiunque
avesse dato ricovero agli Eunomiani e Montanisti, e leggano nelle sue Omilie con qual forza stimoli
non che i magistrati, ma anche le persone private a percuotere anche con ischiaffi i pubblici
bestemmiatori. Ma non ho io nè tempo nè pazienza d'andar dietro a tutte l'inezie di costoro, che per
sostenersi interpretano la moderazione per una sciocca inazione, la dolcezza per una connivenza
vilissima, e la cristiana lenità e clemenza, per una total privazione d'ogni autorità e potere. Vi basti
il detto fin qui; e paragonando le sentenze che portano i nostri nemici a favore della loro tolleranza
con quelle che ho addotte nell'altra mia a favore della punizione, le loro colle mie risposte, vivo
sicurissimo che scoprirete in quelle sola debolezza e capriccio, in queste tutta la ragionevolezza e
vigore: e vinto dall'evidenza della cosa non esiterete un momento ad accordarmi, che niun presidio
trovar può negli antichi scrittori e maestri il loro ruinoso sistema, e resterete sempre persuaso che
sono costretti a cozzare non che colle più evidenti dimostrazioni ma coll'autorità di tutt'i secoli
coloro, che s'impegnano a sostenere che il delitto d'eresia non deve essere castigato con pene
temporali; ed io sempre più soddisfatto della vostra docilità avrò sempre nuovi argomenti onde
pregiarmi di essere
(378)
ad ann. 384. pag. 218.
101
LETTERA DECIMATERZA
Anche la pena di morte è opportuna e giusta allorchè
trattasi di Eretici impenitenti.
e voi aveste della morte quell'opinione che ne aveva il filosofo o per meglio dire l'impostore
Apollonio Tianeo, il quale, al riferir di Filostrato
(379)
, la riputava la più mite tra tutte le pene,
non avreste mai dubitato se sia o no eccedente nè giudizj di Fede. Non ha luogo l'eccesso ove il
castigo è mitissimo. Ma voi siete più giusto estimator delle cose, e considerate la morte pel maggior
castigo temporale che possa soffrire fra noi un colpevole; e col dottissimo Pegna confessate che
quaelibet poenitentia, in quam mortis supplicium commutatur, mortis comparatione levis
censetur
(380)
. Così la pensa anche il tribunale del S. Officio, il quale non abbandona all'estremo
supplicio che gente di perduta coscienza e rea delle più orribili empietà. È dunque ragionevole il
vostro dubbio; e allora solo diverrebbe imprudente e strambo, quando richiamata la cosa a maturo
esame voleste restare nelle vostre incertezze, ed anche a fronte dell'autorevole principio da cui
discende e delle molte invincibili prove che ne persuadono l'equità voleste credere la pena di morte
irregolare ed ingiusta. Di niuna pena per verità aveva io disegnato di sostenere in ispecie la
convenienza e giustizia, e per amore di brevità e per non ripetere inutilmente ciò che hanno detto di
loro Alfonso di Castro, il Pegna e tanti altri: siccome però voi avete mostrato desiderio ch'io
m'occupi di questa con maggior precisione; e pare altresì che questa pena porti seco maggior
contraddizione, ed abbia più bisogno e diritto d'ogni altra d'essere sostenuta; così mi presto
volontieri al vostro genio: e credo che resterà soddisfatto abbastanza solo che lo inviti a riflettere al
principio integerrimo da cui deriva, ed ai personaggi più illustri che l'hanno sostenuta e difesa
contro le più impegnate contraddizioni. [153]
La pena di morte contro gl'increduli e profanatori del vero culto la fissò Dio stesso in più
occasioni nell'antica alleanza: l'abbiamo espressa nel Levitico
(381)
, nei Numeri
(382)
, nel 4. de' Re
(383)
ed altrove in più luoghi; ed è poi così interessante il testo del Deuteronomio
(384)
, che voglio tutto
trascriverlo benchè alquanto diffuso: Si tibi voluerit persuadere frater tuus filius matris tuae, aut
filius tuus, vel filia, sive uxor, quae est in sinu tuo, aut amicus, quem diligis ut animam tuam, clam
dicens: Eamus, & serviamus Diis alienis; quos ignoras tu, & patres tui cunctarum in circuitu
gentium, quae juxta, vel procul sunt ab initio usque ad finem terrae, non acquiescas ei, nec audias,
neque parcat ei oculus tuus, ut miserearis, & occultes eum; sed statim interficies. Sit primum manus
tua super eum, & postea omnis Populus mittat manum: lapidibus obrutus necabitur, quia voluit te
abstrahere a Domino Deo tuo, qui eduxit te de terra Aegypti, de domo servitutis; ut omnis Israel
audiens timeat, & nequaquam ultra faciat quidpiam hujus rei simile
(385)
. Poteva prefiggersi con
(379)
De vita Apollon. Tyan. lib. 7. cap. 13. & 14.
(380)
Apud Eymeric. part. 2. Direct. comment. 25.
(381)
cap. 20. & 24.
(382)
cap. 25.
(383)
cap. 10.
(384)
cap. 13.
(385)
Traduzione, secondo la Vulgata, di Deuteronomio 13, 6-11:
"Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto
o l'amico che è come te stesso, ti istighi in segreto, dicendo: Andiamo, serviamo altri dèi, dèi che nè tu nè i tuoi padri
avete conosciuti, divinità dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani da una estremità all'altra della terra, tu
non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga, non risparmiarlo, non coprire la sua colpa.
Anzi devi ucciderlo: la tua mano sia la prima contro di lui per metterlo a morte; poi la mano di tutto il popolo; lapidalo e
muoia, perchè ha cercato di trascinarti lontano dal Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla
condizione servile.
Tutto Israele lo verrà a sapere, ne avrà timore e non commetterà in mezzo a te una tale azione malvagia." (N. d. R.)
S
102
maggior distinzione e premura la pena di morte al delitto d'Infedeltà, o meglio esprimersi ogni parte
di que' giudizj, coi quali si vendicano anche adesso gli oltraggi della Divinità? Non si approva in
questo luogo, come osserva il Cardinal Gaetano, la privata vendetta, ma si prescrive la pubblica, che
l'ordine osserva della giudicatura legale. Si vuole che si pratichi non per sola correzione de'
delinquenti, ma ancora per esempio agli altri. Si ammette l'obbligo delle delazioni anche nei più
stretti parenti ed amici; nulla si dice di preventiva ammonizione fraterna; e tutto va a terminare nella
morte dell'Infedele: e tutto è da credersi ragionevole e giusto, perchè proveniente da Dio che è
d'ogni vera giustizia la sorgente inesauribile, ed è stato da lui stesso encomiato altamente in que'
prodi campioni, che se ne resero fedeli esecutori.
Le risposte che dar si sogliono a questa invincibile dimostrazione presa dal vecchio
Testamento sono quelle stesse che io ho recate nella 10. mia lettera, ed ho dileguate in più maniere e
coi più sodi riflessi e colle più autorevoli interpretazioni di S. Paolo e di S. Cipriano, e colla non
autorevole ma però assai efficace confessione di un Protestante: nè io starò qui a ripeterle
inutilmente. [155] E che bisogno abbiamo noi di stancarci in dimostrare che non è dissimile il
nostro dal sistema dell'antica alleanza, e che i rigori d'allora sono praticabili anche ai giorni nostri,
quando ne abbiamo anche nel nuovo Testamento prove manifeste e palmari? Non ha minacciato S.
Paolo solamente a quei di Corinto e di Tessalonica il rigor della verga e le asprezze del pastorale
suo sdegno, nè solo ha spogliato Gesù Cristo de' suoi talenti chi fu trascurato nel trafficarli
(386)
, ma
il primo ha esternato ai Galati il desiderio ardentissimo che nudriva di vedere da più pesante mano
percossi tutti coloro che cercavano di pervertirli; utinam exscindantur qui vos perturbant
(387)
; e
l'altro ha ordinato agli Apostoli di provvedersi di spada materiale anche a costo di doverla cambiare
colla tonaca; vendat tunicam suam, & emat gladium
(388)
. E gli sterili tralci della vite meritevoli
d'essere recisi e gettati nel fuoco, e gli scandalosi degni d'essere precipitati nel mare, ed i perfidi
vignajuoli destinati a peggiore scempio, de' quali parlano S. Luca
(389)
, S. Gioanni
(390)
, S. Matteo
(391)
,
S. Marco
(392)
, non provano ad evidenza che non sono inconvenienti per noi le vendette di Mosè,
d'Elia, di Finees e di tant'altri che nel vecchio Testamento zelarono l'onore di Dio, e scaricarono i
più severi castighi contro coloro che l'oltraggiavano? Misteriosi velami di figure e parabole
coprono, è vero, adesso quei rigori che erano allora espressi con più chiarezza e fulminati con più
frequenza e terrore; ma esigeva un tal contegno la maggiore soavità e clemenza della legge di
Grazia, non l'incompetenza della pena: e non sono sì densi codesti velami che nulla lascino
trapelare al di fuori di quella verità che annunciano e le figure istesse e le parabole aggiunte alle
letterali espressioni di S. Paolo e di S. Luca, che parlano di mutilazione, di morte e di spada
materiale; ed unite molto più all'uso, che ne hanno fatto a detta delle Scritture istesse e S. Pietro e S.
Paolo col bugiardo Anania, colla finta Zafira, col seduttore Elima e col padre di tutti gli Eretici
Simon mago, tale acquistano robustezza e vigore, che nulla si può esiger di più per restare convinto;
e sarà sempre presso un giusto estimator delle cose un meschino rifugio quello, al quale [156] si è
appigliato il Fleury per eludere la forza di esempj così convincenti, il crederli di niun valore perchè
procurati per mezzo d'ajuti superiori. Se i miracoli non sono sempre indizj sicuri di quella podestà
ordinaria che Gesù Cristo ha conferita ai Pastori del divin Gregge, lo sono però talvolta, come
riflette assai bene il P. Bianchi
(393)
, e se non questa, provano però sempre la giustizia di ciò che per
loro mezzo si è ottenuto; e delle pene parlando imposte prodigiosamente ai colpevoli poc'anzi
accennati, io credo tanto meglio indicata la loro ragionevolezza e giustizia, quanto è più sublime e
perfetta la mano da cui sono discese, e maggiore la santità di quelli che le hanno impetrate.
A convincere però anche i più ostinati ai detti e fatti delle Scritture le testimonianze si
(386)
Matth. 25. vers. 18.
(387)
ad Galat. Cap. 5. vers. 12.
(388)
Luc. 22. vers. 36.
(389)
Luc. 3. ver. 9.
(390)
Joann. 15.
(391)
Matth. 18. ver. 6.
(392)
Marc. 12. ver. 8. & 9.
(393)
della Podestà della Chiesa tom. 4. lib. 2. cap. 4. § 9.
103
uniscono e le interpretazioni degli antichi Padri e scrittori, che hanno tramandata a noi non che la
loro ma l'antica credenza di tutti i Fedeli. Parla Lucifero Calaritano dell'esterminio di Gerico, e
volgendo il discorso a Costanzo protettore degli Ariani dice questi degnissimi di trattamenti
peggiori; plus tuos dignos esse anathema quam illi fuerint animadverteremus; e niente atterrito
dall'imperiale sua maestà lui stesso dichiara meritevole di maggiore scempio di quello che incontrò
la perfidia di Giuda; tu pro magnitudine maleficii tui majori mereris plecti supplicio
(394)
. Confessò
nel Sinodo Calcedonese il Vescovo d'Alessandria senz'incontrare opposizione e rimprovero che
Eutiche meritava d'essere abbruciato se si scostava dai sentimenti della Chiesa; si Euthyches praeter
dogmata Ecclesiae sapit, non solum poena dignus est, sed & igne
(395)
. E nel riferire le violenze e
minaccie che in un Conciliabolo antecedente erano state praticate con loro dagli Eutichiani, che
esclamavano furibondi in duos facite eos, qui dicunt duas naturas, qui dicunt duas dividite,
interficite, ejicite
(396)
, non della qualità della pena si lagnarono i Vescovi Orientali nel Sinodo di
Calcedonia, ma solo dell'essere stati così violentati ingiustamente e minacciati di quel castigo ch'era
dovuto agli Eretici.; ut Haeretici damnaremur. Che se codeste testimonianze sembrassero a [157]
voi di poco peso per l'eccessivo trasporto che il primo mostrò contro gli Ariani e per l'incostanza e
pregiudizj degli altri, udite chi non ammette alcun'eccezione e riserva. Già vi dissi nell'altra mia di
qual pena furono giudicati meritevoli da S. Atanasio ed Ario e gli Ariani, che sempre costante ne'
medesimi sentimenti nel libro del Sinodo di Rimino dice di loro espressamente, che per le tante e
così indegne cose che avevano scritte contro il figlio di Dio non che il suo sdegno, ma avevano
meritato quel castigo medesimo, col quale Gesù Cristo minaccia gli scandalosi. Vide S. Agostino in
quelle fiamme, tra le quali arder dovevano i libri infami di un mago penitente, quelle stesse fiamme
dalle quali egli stesso aveva meritato d'esser consunto; portat secum codices incendendos, per quos
ipse fuerat incendendus
(397)
. Ed abbiamo già altrove notato con S. Cipriario quanto dicevole cosa sia
e profittevole che anche nel tempo di Grazia sussista in questa parte il rigor della legge. Non furono
da questi discordi i sentimenti del Patriarca Niceforo e di varj altri zelanti e savj Fedeli, che sul
principiare del nono secolo stimolarono il buon'Imperatore Michele Curopalata a fulminare pena di
morte contro i perfidi Manichei; e sebbene fossero contraddetti, e non mancasse neppur'allora chi
spacciasse contraria allo spirito del cristianesimo una tale pratica, non isfuggì però i rimproveri del
dotto Teofane e di varj altri illuminati Fedeli, che dissero contrarie alle sagre Scritture le importune
querele, e come riporta il Natale
(398)
, presero a sostenere, che si Petrus Apostolorum princeps
Ananiam & Zaphiram unius mendacii reos morti addixit,
& Paulus praedicat dignos esse morte qui
talia perpetrant, Apostolis repugnare convincuntur, qui impurissimos & obstinatissimos Haereticos
gladio principum ad vindictam malefactorum divina auctoritate districto eripiendos censent.
Era così costante nel principiare del secolo decimosesto una tal massima, che non paga la
venerabile Facoltà di Parigi d'averla adottata, si mostrò sdegnata contro l'errore contrario, e non
permise che restasse inemendato nell'opere d'Erasmo a danno della Fede e de' buoni Credenti.
Aveva egli chiamato in dubbio se dovessero o no i principi ammazzare gli Eretici, e si era ristretto
[158] a decidere che non doveva eccitarli alle stragi la pietà della Chiesa; principes ad trucidandos
Haereticos nec hortor hec dehortor, quid sacerdotalis sit officii demonstro. Neppure con questa
restrizione volle soffrire l'accennata Facoltà gli scandalosi suoi detti, e nel 1527. li fulminò colla
seguente censura; propositio quatenus praetendit nunquam sacerdotalis aut episcopalis esse officii
principes inducere ad extirpationem Haereticorum, impie nec utititer profectui consulit
Christianorum, vere fortitudinis robur in adversarios Fidei enervat
(399)
. E ben si risente a ragione;
chè non è questa un'opinione abbandonata all'arbitrio de' privati scrittori, ma un domma prescritto e
dalla pia saggia legislazione, che, come v'ho detto più volte, non ha mai creduto mal'impiegato il
(394)
De non convemendo & c. t. 9. Bib. PP. p. 1045. edit. Paris. 1644.
(395)
Sanctarellus de Haeretic. cap. 27. num. 4.
(396)
Coll. Concil. Harduin. tom. 2. pag. 82.
(397)
Enarrat. in Psal. 61. num. 23.
(398)
Hist. Eccles. Saec. IX. & X. cap. 6. art. 1.
(399)
Inter Erasmi Operat. 9. edit. Laid. 1706. p. 815.
104
suo sdegno sterminatore contro simili delinquenti, e stabilito dalla Chiesa istessa, che non la sola
giustizia delle pene temporali in genere, ma quella approvò altresì della morte e colla voce e coi
fatti ora radunata in Concilio ora assisa sul sovrano suo trono, e quando condannò l'errore contrario
de' Valdesi, degli Ussiti, di Lutero e Quesnello, e quando approvò le vendette di sangue stabilite in
ogni tempo dai pietosi sovrani, e quando in più incontri abbandonò i colpevoli al loro foro perchè
fossero eseguite. Delle quali cose abbiamo e ne' Concilj e nelle Bolle pontificie e nell'una e
nell'altra storia autentici monumenti; e basta scorrere l'articolo 14. condannato in Gioanni Hus dal
Sinodo di Costanza e la proposizione 33. condannata in Lutero da Leone X. per restarne convinto.
Non è però la sola autorità e sagra e profana, che unita alla pratica ci obbliga a pensar così. La
ragione istessa ed un più serio riflesso alla qualità e gravità del delitto ce lo persuadono. Qual cosa
evvi mai ne' delitti comuni che li renda meritevoli dell'estremo supplicio, la quale non s'incontri
moltiplicata a più doppj ne' delitti di Fede? È la natia orribilità della colpa che guida tra le fiamme
un'infame operatore di azioni nefande? e qual deformità si trova in costui, che non abbondi
nell'Eretico, il quale, giusta la frase delle Scritture, abbandona i casti amplessi della Sposa di Gesù
Cristo per darsi in braccio alla vile e laida prostituta di Babilonia? Insegna S. Massimo
(400)
, che
gravius est Religionis adulterum esse, quam [159] corporis; et plus est integritatem Divinitatis
laedere, quam integritatem hominis violare. È il danno che reca ai suoi simili un ladro ed un sicario,
che li strascina al patibolo? ma qual danno è da paragonarsi con quello, che dagli Eretici soffrono i
Cattolici, se vengono privati della Fede istessa di Gesù Cristo, che è il primo principio ed il più
sostanzioso alimento della vita dell'anima? È il disturbo che recano alla pubblica tranquillità i
ribelli, che li condanna a morire? ma qual disturbo non soffre e qual danno non ha da temere da
un'Eretico pertinace la civile e religiosa società dei Cattolici? Comincia di qui per ordinario la
ribellione per farsi strada al rovesciamento dei troni e degli altari? È finalmente lo scandalo che
danno a tutti i buoni i malfattori, ed il bisogno che hanno i cittadini d'essere allontanati dall'imitarli,
che ne procura il fatale scempio? e qual bisogno non hanno di questo freno i Fedeli stimolati ad
abbandonare la Fede da tanti nemici insidiosi; quante sono le passioni, dalle quali vengono
predominati, le suggestioni, che soffrono dal Demonio, i seduttori in fine, i quali ai dì nostri più che
mai e con discorsi scorretti e con libri infami cercano di pervertirli? Sono dunque gli Eretici non
meno dei lascivi, de' ladri e ribelli, rei di pena capitale; e sono chiamati forse con questi nomi dalle
Scritture
(401)
e dai Padri
(402)
per farci comprendere e l'enormità del loro delitto e la gravità del
castigo che hanno meritato.
Comparirà però anche più giusta codesta pena, se la pessima qualità considerar si voglia di
quegli Eretici, pei quali soli nella mirabile piacevolezza della legge evangelica è riservato l'estremo
supplicio. Non sempre si abbandonano gli Eretici, nè tutti senza distinzione vengono condannati
alla morte dall'umana legislazione; ma quelli soli, al dire di S. Tommaso
(403)
, che non lasciano
alcuna speranza del loro ravvedimento: quando
nimirum spes non superest resipiscentiae illorum: e
sono quelli che o con invincibile ostinazione, o con replicate cadute
(404)
, o con negative affettate
fatte in giudizio si dichiarano impenitenti: e quantunque s'incontri in varie pontificie disposizioni di
[160] Paolo IV. di Gregorio XIII. e di altri Pontefici, che basta aver negato una volta il mistero della
Trinità, la verginità della Beata Vergine e la reale presenza nel sacramento eucaristico per essere
abbandonato al braccio secolare, sono però queste saviissime disposizioni ordinate piuttosto a
meglio esprimere la gravità dell'eccesso ed a spaventare gl'increduli, che ad essere eseguite.
(400)
Homil. 47. edit. Rom. 1784.
(401)
2. Cor. 17. ver. 2. Joann. 10. Job. 24. ver. 17.
(402)
S. Greg. Moral. lib. 16. in cap. 24. B. Job. cap. 6. & cap. 57. num. 70., S. August. tractat. 45. in cap. 11. Joan.
(403)
2. 2. quaest. 11. art. 4.
(404)
Sono questi i "relapsi", tutti coloro cioè che, già in precedenza condannati dall'Inquisizione, subiscono una seconda
condanna per "eresia". Nonostante l'eventuale pentimento, erano inevitabilmente condannati a morte.
Per replicate non si deve quindi intendere più ricadute ma una sola ricaduta: è il solito linguaggio mistificante,
generalmente usato dall'autore, per addolcire i bocconi più amari della realtà inquisitoriale...
Su vari aspetti del funzionamento inquisitoriale, cfr. L. Desanctis, Roma Papale, Claudiana, Roma, 1882. (L'autore fu
Religioso, professore di teologia, parroco, e Qualificatore (teologo), per dieci anni, del S. Ufficio) (N. d. R.).
105
Assicura l'Albici
(405)
che niuno a suo ricordo, anche in vista del decreto di Paolo IV. dei 17. giugno
1559., ha incontrata pentito una tal sorte, quantunque giunto fosse all'eccesso di calpestare il corpo
e sangue di Gesù Cristo. E si ha infatti una sentenza de' 17. febbraio 1596., nella quale uno che
aveva negata la verginità della B. Vergine, ed aveva creduta la contraria eresia, non incontrò altra
pena che l'abbiura de formali e sette anni di Galera. Ci vogliono assolutamente rei de jure presunti o
formalmente impenitenti, perchè siano condannati con questo rigore
(406)
; e non ci vuol meno
dell'ereticale perfidia perchè uno di simil fatta sia riputato meritevole di trattamento più mite. Non
v'è ladro, che innanzi al giudice non detesti i suoi furti, sebbene sappia che punto non giova il
pentimento a salvarlo. Il solo Eretico impenitente sostiene e difende il suo fallo, e lo sostiene in
faccia del Superiore che lo minaccia, e a dispetto della copiosa misericordia che può sperare dal suo
ravvedimento. E potrà il ladro uccidersi al primo furto qualificato senz'ingiustizia; e non dovrà
essere ucciso l'incredulo dopo reiterate cadute e dopo l'insolente protesta, che fa in giudizio di non
volersi pentire? Non avrebbe alcun confine l'irragionevolezza di chi pensasse così; e non solo non
arriverebbe a conoscere la gravità del delitto, ma neppure giungerebbe a scoprire la serie di quelle
funestissime conseguenze, che possono venire in seguito di una sì vile indolenza. Un ladro, cui si
perdoni ogni castigo, è difficile che cessi dal rubare: chè troppo gagliarde sono le interne ed esterne
disposizioni che ha già contratte per usurpare la robba altrui: ma se viene a lui perdonata la morte, e
si chiude in vece in un'ergastolo, perde colla libertà anche il potere di danneggiare notabilmente i
suoi simili. Non così l'Eretico impenitente, che mostra maggior propensione all'errore, che il ladro
alla roba; ed anche fra i ceppi [161] ha l'animo pronto e la lingua sciolta alle bestemmie, ed è
preparato a sedurre quanti compagni può avere in quel luogo, o almeno quanti sono destinati ad
usare verso di lui i caritatevoli officj di cristiana pietà. Era Lutero chiuso nel suo nascondiglio di
Abstad, quando scrisse nuovi libri per confermare l'empie sue massime, e quando incoraggì
Carlostadio, Giusto Giona, Melantone ed altri ad imitarlo. Perde il ladro chiuso in un carcere colla
capacità di eseguirlo anche il disegno d'involare l'altrui: ritiene l'Eretico impenitente un'abituale
avversione alle verità della Fede, precipita spesso in atti d'infedeltà, e passando colla cieca sua
mente di uno in altro errore, va replicando sempre ed accrescendo il delitto. E chi potrà mai servir
d'esempio agli altri Fedeli, perchè non abbandonino la Fede, o si convertano pentiti dell'abbandono
già fatto, se il castigo non serve di un'Eretico ostinato? o che altro potrà por termine ai delitti di
costui, se la morte non tronca col corso de' giorni suoi quello altresì de' suoi traviamenti? Ecco ciò
ch'ebbero in mira que' saggi Pastori, che fin dal quarto secolo in varj Sinodi dell'Asia e dell'Africa
prescrissero canoni salutari onde invocare utilmente nelle urgenze maggiori il braccio secolare: ecco
dove sono dirette le pie intenzioni di quei sovrani cattolici e fedelissimi, che reputano ora non meno
di prima il tribunale del S. Officio armato del loro braccio invincibile dopo la Fede cattolica, che
con tanta edificazione professano, una delle gemme più splendide del reale loro diadema, nè mai si
stancano di arricchirlo di beni e privilegi, e di prestare a lui la più pronta e poderosa assistenza.
So che adesso si ascrive loro a mancamento tanta Religione e pietà. Ma i buoni Fedeli non
cesseranno mai di lodarli; e quei sovrani soli riputeranno men cauti e felici, che senza ragionevol
motivo hanno esposto i loro Stati alle invasioni di tanti Eresiarchi per salvar la vita a pochi
impenitenti ostinati, e non quelli, che con la perdita di pochi perniciosissimi sudditi hanno
conservato in una beata invidiabile tranquillità la Religione e lo Stato; e tanto più si compiaceranno
di questo loro sentimento, quanto lo troveranno più coerente alle massime del grande Agostino, il
quale non solo si è mostrato sempre di questo sentimento, ma si è fatto carico di quelle difficoltà
che promovono certuni, i quali pensano che si debba dar bando ai più gravi castighi per aver
Cristiani più sicuri e sinceri, e non ingombrare lo [162 ] Stato di menzogneri e d'ipocriti. Egli non
(405)
de Inconst. in Fide cap. 34. num. 135.
(406)
Il nostro Commissario Generale, pur di difendere e minimizzare le realtà della sua Istituzione, si spinge sino alla
menzogna. Infatti ben sapeva, come Qualificatore nel relativo processo, che Cagliostro, da Papa Pio VI (a capo della
Congregazione dell'Inquisizione si riservava le sentenze più importanti...!), venne formalmente condannato a morte
nonostante avesse abiurato e non fosse mai stato precedentemente inquisito. (N. d. R.)
106
l'intende così; e di giusto zelo acceso, se a queste minaccie, esclama
(407)
, si convertiranno molti,
perchè dovrà trascurarsi un mezzo così efficace per la loro conversione? Se quest'esemplare castigo
ritiene molti dall'imitarli, perchè dovrà omettersi questo salutare preservativo? Voglio accordare che
non tutti quelli, i quali per timore o restano o ritornano alla cattolica Religione, saranno sinceri
Cattolici; ma se sono di gran lunga maggiori quelli, che si convertono con sincerità, perchè dovrà
trascurarsi la loro conversione per la finzione d'alcuni? Numquid, così egli si spiega, numquid ideo
negligenda est medicina, quia nonnullorum insanabilis est pestilentia? Tu non attendis nisi eos, qui
ita duri sunt, ut nec istam recipiant disciplinam; sed debes etiam tam multos attendere, de quorum
salute gaudemus. Anzi egli è così persuaso che giovi un tal contegno, che pensa non debba esser
trascurato neppur nel caso che molti fossero quelli che fingono, e molti quelli che sforzati in questa
maniera fossero per affettare una bugiarda pietà. Anche in questi considera il gran bene di non
averli più scandalosi, se non ravveduti: e vede in quelli stessi che impenitenti soffrono l'estremo
supplicio il medesimo vantaggio che trova negl'ipocriti e quel di più che procurano presso gli altri
men robusti e costanti col loro esemplare castigo. La loro ruina rincresce, lo so, alla Chiesa che ama
teneramente tutti i suoi Figli, e non meno del celeste suo Sposo vuole la salute di tutti; ma trova
anch'essa nella preservazione di tanti altri un qualche compenso, ed asciuga il pianto di qualche
perdita colla consolazione di potere stringere al seno non pochi rapiti all'ingorde fauci dei seduttori.
Imperciocchè ama ella è vero, soggiunge il Santo, tutt'i suoi Figli teneramente anche ostinati e
ribelli, come amava Davidde Assalonne, e per tutti adopra le maggiori premure per salvarli; ma se
non può la casa di Davidde, non può il regno di Dio aver pace altrimenti che colla morte di alcuni di
loro, che altro resta a lei, se avviene che la giustizia abbia il suo corso, che piangere i perduti, e
rallegrarsi insieme per la pace acquistata, e compensar con questa il sofferto dolore? Quid ei restat,
nisi perditum flere, & sui regni pace suam maestitiam consolari
(408)
? [163]
Fossero pure meno acciecati dai loro errori gl'istessi Eretici impenitenti come son certo che in
tal caso confesserebbero anch'essi profittevole non che alla Religione ed alla Chiesa ma anche a se
stessi un simile castigo. Voi stupite ad una tale proposta: eppure non dico cosa, che non sia vera, e
che non abbiano detta prima di me accreditati scrittori; e può servire per molti Alfonso di Castro,
uno de' migliori teologi del Concilio di Trento, che lo ha espresso in più luoghi della sua bell'opera
De justa Haereticorum punitione. Se si danno facinorosi di animo così depravato, ai quali, come
assicura Galeno
(409)
, expedit mori ita corruptis animo, ut ad sanitatem perduci non possint; chi può
negare che non occupino tra questi il primo luogo gli Eretici impenitenti, i quali non vivono che alla
propria ed altrui rovina? Giunti costoro al colmo dell'iniquità, disprezzano ogni salutare rimedio;
dunque più di una vita protratta fra le sregolatezze e misfatti, loro è vantaggiosa la morte: e non lo è
solo per gli eterni mali dell'altra vita, che col crescere delle colpe incontrerebbero sempre peggiori,
ma anche per quelle disgrazie e castighi gravissimi, coi quali la divina giustizia stanca di più
sopportarli suol punirli sì spesso anche tra noi. Leggete la Scuola di Verità del P. Ignazio Fiumi
(410)
;
e dalle disgrazie acerbissime e dalle orribili morti incontrate dalla maggior parte degli Eresiarchi e
settarj in braccio della divina giustizia, quando è riuscito loro di scansare i rigori della giustizia
umana, argomentate se riesce loro d'aggravio il ricevere dai nostri tribunali il meritato castigo, e la
morte istessa, che non è mai disgiunta da quei pietosi officj di carità cristiana, che contribuir
possono assai bene alla loro conversione e salvezza. E se una funesta sperienza di tutti i tempi ci
persuade che quasi d'ogni settario ed Eretico si verifica ciò, che appoggiato ai sentimenti d'Evagrio
il Baronio racconta del disgraziato Nestorio, quod justas hominum poenas non luerit, ultio divina
eum ex improviso oppressit, & quasi captivum ducens in acerbissimam omnium conjecit
captivitatem
(411)
, chi [164] avrà il coraggio di porre in dubbio che la pena di morte non sia per
riuscire agli Eretici istessi di qualche vantaggio?
(407)
in Philip. 8. & in Vatin.
(408)
Ep. 185. al. 50. cap. 8. n. 32.
(409)
Opusc. Quod animi mores corporis temperamentum obsequantur. tom. 5. Oper. Hip. & Gal.
(410)
Narratione 16. De pessima Haereticor. morte cap. 1. 2.
(411)
Baron. ann. 436. n. 5.
107
Ma non resta escluso in tal guisa, direte voi, ogni spazio al pentimento? quello spazio appunto,
che S. Agostino raccomandò a Donato e ad Apringio, perchè non si troncasse ai Donatisti i più
sanguinarj e ribaldi; inimicis Ecclesiae viventibus relaxa spatium penitentiae
(412)
? No, vi rispondo
colla maggiore asseveranza, non resta escluso il modo di pentirsi, se la giustizia venga eseguita
colla dovuta moderazione e riserva: si tronca piuttosto la strada a sciagure peggiori; e chi
abbandonato nelle solite forme passa impenitente dal patibolo alle fiamme infernali, quantunque il
potesse, non si sarebbe convertito giammai, e solo avrebbe differita l'eterna sua dannazione per
renderla con nuove colpe più tormentosa e molesta. S'ammonisca pure ogni giudice, perchè con
indiscreto zelo non affretti il colpo fatale: si lodi la preghiera di S. Agostino che procurò di sottrarre
all'estremo castigo non che gli Eretici impenitenti, ma ogni altro facinoroso e colpevole: e si
conservi in fine, checchè ne dicano i nemici del nostro tribunale, la lodevole pratica della Chiesa,
che prega per la vita di quelli stessi che abbandona; che cosa non v'ha più coerente a quella soavità
e dolcezza, che Gesù Cristo ha istillato nel seno di Madre così amorosa: avrebbe torto però chi
volesse inferire da ciò, che S. Agostino e la Chiesa abbiano disapprovato il rigore di quelle leggi
che prescrivono un tale abbandono. Non tamen legum severitatem, qua tales morte plectuntur, non
observandam docuit: così si legge nel Decreto di Graziano
(413)
; e quicumque te occiderit secundum
potestatem legitime a Domino datam, juste fecerit, così risponde a Petiliano S. Agostino
(414)
: ed io
soggiungo che più che alla penitenza si chiude in tal modo il varco alla colpa, e si tolgono tanti altri
a quella irreparabile rovina, alla quale l'Eretico si è già incamminato a gran passi: e si possono bensì
addurre alcuni casi di Eretici ravveduti all'aspetto del loro supplicio, come dell'Anabattista Giovanni
Laydè
(415)
e dello Spadaro convocatore di Luterani in Parigi [165] racconta il Varillas
(416)
, ma non è
possibile ritrovarne un solo, in cui le umane disposizioni abbiano impedite quelle del Cielo.
Nulla v'è dunque, che renda inconveniente ed ingiusta la morte, che hanno stabilita le leggi
contro gli Eretici; anzi dalle cose dette fin qui si deve inferire, che come dell'altre, così si verifica
anche di questa ciò che scrisse S. Agostino
(417)
, che magis pro Haereticis leges sunt, quam illis
videantur adversae; quoniam multi per illos correcti sunt, & quotidie corriguntur, & se esse
correctos, & ab illa furiosa pernicie liberatos, gratias agunt: ed io conchiuderò con S. Bernardo,
che a punir l'eresia non solo non è eccedente la pena di morte, ma conveniente e proficua non che
all'una ed all'altra società, ma anche agli Eretici istessi, i quali melius gladio coercentur, illius
videlicet, qui non sine causa gladium portat, quam in suum errorem multos trajicere
permittantur
(418)
. Voi non vi scostate da sì giuste massime; e se trovate chi dal Limborch o dal
Voltaire ha ricavato sentimenti contrarj, dite col solito vostro coraggio, che i Concilj, i SS. PP., le
Scritture e la S. Sede, e non costoro, sono stati dati a voi dalla provvidenza divina ad istitutori e
maestri; e che voi non sarete mai per preferire ad una celeste dottrina, che illumina, una filosofia,
che accieca. Altro non mi resta a dire su questo argomento; e pregandovi a conservarmi il vostro
amore, mi dichiaro al solito
(412)
Epist. 100. al. 127. ad Donatum num. 1. Epist. 134. al. 160. ad Apringium Procos. num. 4.
(413)
Quaest. 5. caus. 23. can. 47.
(414)
Lib. 2. cap. 23. n. 43.
(415)
Giovanni Bockelson da Leida insieme agli anabattisti Knipperdolling e Bernhard Krechting furono giustiziati sulla
piazza del mercato di Münster, alla presenza del vescovo Franz von Waldeck, il 22 gennaio 1536. I tre furono
consegnati uno dopo l'altro al carnefice, che strappò loro con tenaglie roventi pezzi di carne in varie parti del corpo,
finchè ormai agonizzanti non furono finiti a colpi di pugnale. Secondo varie testimonianze soltanto Giovanni Bockelson
sopportò quelle atroci sofferenze senza un lamento. I tre cadaveri furono poi appesi in gabbie di ferro sul campanile
della chiesa di S. Lamberto. Cfr. U. Gastaldi, Storia dell'anabattismo, Vol. I, Claudiana, Torino, 1972. (N. d. R.)
(416)
Storia delle rivoluzioni pag. 382. 435.
(417)
Epist. 85. al. 50. ad Bonif. cap. 2. n. 7.
(418)
Ser. 66. in Cantic. num. 12.
108
LETTERA DECIMAQUARTA.
Anche dopo morte gli Eretici formali possono essere
condannati senz'ingiustizia.
opo che m'è riuscito di farvi conoscere che a punire gli Eretici si adopera con giustizia in certi
casi anche la pena di morte, non trovo più alcuna difficoltà nel vedermi obbligato dal nuovo
vostro quesito a giustificar que' giudizj, che di loro si fanno talvolta anche dopo morte. Pochi lumi
aggiunti ai già dati, o piuttosto una semplice applicazione degli addotti principj a questo caso
individuo basta ad escludere l'irragionevolezza di quella disapprovazione, che ne fanno Gerardo
Noodt e varj altri settarj. Prima però d'inoltrarmi nell'argomento permettetemi che dissipi alcune
tenebre, che a tutto involgere nelle sognate loro oscurità hanno procurato d'aggiungervi i perfidi
Giansenisti, confondendo queste condanne colle saviissime provvidenze, che ha presa la sagra e
civile podestà nel rimovere dal sepolcro di Giansenio la lapide che lo encomiava, nel negare
l'ecclesiastica sepoltura ad alcuni suoi notorj aderenti e seguaci, e nell'occultare le ceneri e proibire
il culto del Diacono Paris e di qualch'altro refrattario insolente, che il fanatico loro partito avrebbe
voluto sollevare all'onor degli altari. Non sono queste le condanne, delle quali parliamo: ma fu il
primo una saviissima risoluzione del Vescovo d'Ipri per impedire che si vedesse in una pubblica
chiesa encomiata una dottrina, ch'era stata condannata dalla S. Sede. L'altro è stato non una pena
data dopo morte, ma una conseguenza di quella scomunica, che refrattarj ai comandi del Romano
Pontefice avevano incontrata in vita senza curarsi neppure in morte di ottenerne l'assoluzione. Il
terzo finalmente è stato e una legittima conseguenza dell'indicata censura, ed un'opportuno riparo
somministrato contro il culto superstizioso che loro si dava, e che ad altro non poteva servire, che a
fomentare la disubbidienza, accreditare gli errori ad a rendere il partito più sedizioso e fanatico. In
quest'incontri non può astenersi lo zelo de' fedeli Pastori dal dare simili provvedimenti; e tanto sono
lungi dal trar seco la condanna delle persone e della loro [167] memoria, che si usano talvolta per
impedire il culto irregolare dato ad uomini morti in qualche concetto di santità, ed alle immagini
stesse della Vergine e de' Santi, se avvien che si scopra che da tutt'altro principio il loro culto è
promosso, che da spirito di divozione, e che ad altro non mira che a fomentare l'avarizia e
l'orgoglio. So che avranno pregiudicato non poco al nome degli indicati novatori e settarj le
provvidenze suddette: ma questo qualunque siasi pregiudizio è da attribuirsi piuttosto al preventivo
discredito che si erano procacciato presso i buoni colle perverse loro dottrine e cattiva condotta, che
a quelle provvide disposizioni, che hanno impedita la violazione de' sagri Canoni, e posto freno ai
disordini.
Del resto, torno a ripeterlo, tutt'altro è l'indicata condanna, che si fa dopo morte di un'Eretico,
cui sia riuscito in vita di evitare il meritato castigo: ed è così antica la costumanza; d'usarne, che non
è difficile il dimostrarla, come è stato fatto di molt'altre, coerente ai costumi di tutti i tempi, e che
col crescer degli anni non ha fatto altro che prendere miglior consistenza e figura. Questa condanna
è preceduta adesso da una diligente inquisizione di quell'errore, nel quale il defonto è vissuto, senza
che abbia lasciata alcuna prova del suo ravvedimento: chè non i Sospetti di eresia, ma i soli formali
Eretici restano esposti a questi giudizj. Non si procede, se le prove non sono piucchè abbondanti,
per compensare in tal modo quelle difese, che i defonti non possono fare per se stessi. Non si
condannano finalmente se prima non sono stati chiamati a difenderli tutti quelli che aver possono un
qualche interesse nella loro riputazione; ed allora solo si dichiarano incorsi in tutte le pene
fulminate contro gli Eretici, quando nulla risulta in loro favore, ed è più che evidente il delitto. Per
questa dichiarazione e sentenza resta infamata la loro memoria, che più d'ogni altra cosa, è presa di
mira in queste condanne; e ne viene in seguito l'abbandonamento delle loro immagini e cadaveri al
braccio secolare, che li abbrugia; e si spargono talvolta le ceneri al vento, e si demoliscono le case e
D
109
si confiscano i beni, se hanno le case prestato asilo ad empie adunanze e conventicole, e non è
troppo antiquato il delitto di chi resta processato.
Le quali cose ben ponderate mostrano ad evidenza il gran divario che passa tra queste
condanne e le provvidenze già dette, e il gran torto che hanno coloro che osano criticarle. È vero
[168] che mors omnia solvit; e che cessa ogni azione dopo morte o già intrapresa o da
intraprendersi
(419)
: questi legali principj però, che si applicano così utilmente a norma e governo de'
giudizj, ne' quali si tratta di delitti privati, e se pur pubblici, non così importanti che giungano ad
interessare la stessa divina ed umana maestà, a nulla servono allorchè trattasi di delitti sì gravi. La
legge ha disposto invece che si proceda contro i rei di ribellione anche dopo morte
(420)
; e se è
ascoltata con giubilo e plauso universale allorchè resta offesa la sola maestà del sovrano, chi ardirà
criticarla allorchè trattasi di lesa divina maestà tanto maggiore d'ogni altra, quanto Dio è maggiore
d'ogni creata cosa? Platone nella decima sua legge vuole che si proceda dopo morte contro chiunque
ha ascoltato alcuno a sparlar degli Dei senza correggerlo, e dopo averlo separato in vita dal
commercio di tutti lo condanna dopo morte a restar'insepolto: nullus cum ipso civis colloquatur, et
extra regionis finem insepultum ejiciant. Così Platone contro i violatori, anzi i soli tolleranti
dell'offesa idolatrica superstizione; e saranno riprensibili i Cristiani se castigano dopo morte i
formali e diretti oltraggiatori dell'ineffabile divina maestà? È vero che è stata contrastata talvolta
una così lodevole costumanza; e trattandosi di condannare dopo morte la persona di Teodoro di
Mopsuestia, l'ostinazione de' suoi protettori e parziali ha dato motivo a varj disturbi e contese:
l'essersi però tra questi assai meglio schiarita la cosa ha tolto a noi ogni ragionevol motivo di
dubitarne; e non può ai dì nostri essere impugnata, se non da chi non pago d'avere in vita vestite le
bugiarde divise di mansueto agnelletto per divorare lupo rapace con maggior sicurezza le pecorelle
del sagro ovile, vorrebbe anche dopo morte nascondere sotto le sembianze medesime il suo furore
per seguitare ad ucciderle. Chi in vita ha edificato il suo prossimo coll'eroico esercizio d'ogni virtù,
è giusto che tramandi ai posteri la gloriosa memoria delle sue gesta per indurli ad imitarle; e perciò
con grande avvedimento solleva la Chiesa i suoi eroi all'onor degli altari. Chi con eccessiva
baldanza ha oltraggiata in vita la divina ed umana maestà, ed è morto impunito, è giusto che [169]
riceva dopo morte il meritato castigo; e giacchè nol può nella persona già trapassata, lo soffra
almeno nella proscritta memoria, ond'altri si guardino dall'imitarlo.
Convengono in ciò le più savie e moltiplicate disposizioni dell'uno e dell'altro governo; e tanti
sono gli esempi d'Eretici condannati dopo morte e prima e dopo l'istituzione del S. Officio, che per
recarne in dubbio l'equità non vi vuol meno del coraggio di chi è disposto a cozzare con tutti i secoli
delle due alleanze. Furono nell'antica abbruciate dal pietoso Giosia l'ossa de' defonti idolatri di
Betel: e nella nuova non contenti gli zelanti Pastori d'aver'usate le maggiori diligenze per escludere
dal diritto dell'ecclesiastica comunione quelli che si scoprivano morti in quel peccato, per cui
subivano attualmente la pubblica penitenza
(421)
; abbiamo fin dal quinto secolo gli atti del secondo
Sinodo Costantinopolitano, che condannano il testè mentovato Teodoro di Mopsuestia, e quelli del
quarto Lateranense nel duodecimo che fecero abbruciare Almerico in Francia. Fu eseguito lo stesso
in tempi a noi più vicini con Armanno in Ferrara, con Vicleffo in Inghilterra, ed ebbero lo stesso
trattamento Bucero in Argentina, e Marc'Antonio in Roma: e si sono resi malevadori di queste
pratiche non che gli antichi Cristiani così facili a cassare dai sagri dittici i nomi di que' Vescovi, che
dopo morte si scoprivano infetti di qualch'errore, ma i Romani ancora gentili che non la
perdonavano agli stessi Imperatori, da' quali era stata con inumani costumi avvilita la maestà della
loro repubblica, come di Domiziano ci assicura Lattanzio Firmiano, o com'altri vogliono, Lucio
Cecilio, di cui dice che non bastò loro d'averlo ucciso, ma domi etiam memoria nominis ejus erasa
est, nam cum multa mirabilia opera fabricasset, cum Capitolium aliaque nobilia monumenta
fecisset, Senatus ita nomen ejus persecutus est, ut neque immaginum neque titulorum ejus reliquerit
(419)
L. 1. & 3. C. Si reus vel accusator mortuus fuerit, Nov. 22. cap. 22. L. Defuncto 6. ff. De pub. judiciis.
(420)
L. Majestatis 6. Cod. ad L. Juliam Majestatis
(421)
Albaspin. De veter. Ecclesiae ritib. lib. 1. obs. 10.
110
ulla vestigia, gravissimis decretis etiam mortuo notam inurens ad ignominiam sempiternam
(422)
.
Anche prima di questo tempo Tarquinio Prisco aveva ordinato, che i cadaveri dei suicidi fossero
sollevati in croce e lasciati pascolo degli avoltoj a perpetua infamia de' loro nomi
(423)
; e se altrove
appesi alle forche non [170] restavano come quelli pascolo degli uccelli rapaci, erano però sotto di
quelle sepolti dai carnefici: e restò per tal modo giustificata la condanna de' trapassati dalle costanti
disposizioni dell'una e dell'altra legislazione, e non dai soli domestici, ma anche dai fatti stranieri.
Ho detto poc'anzi che quest'argomento fu nella condanna del Mopsuesteno cagione di molti
contrasti; non crediate però che questi avessero origine dall'incertezza, in cui restasse tuttora presso
que' Padri la giustizia di una tale condanna. Oibò non è così. Nacquero da quel principio medesimo,
dal quale si partono le presenti contraddizioni; e la troppa premura di difendere chi non n'era
meritevole li fomentò e sostenne per qualche tempo. Nella famosa questione dei tre capitoli si
disputò acremente e sopra i sentimenti che contenevano gli scritti di Teodoro di Mopsuestia a favor
di Nestorio, e quelli di Teodoreto contro Cirillo, e la lettera d'Iba d'Edessa a Mario Persa, non meno
che siasi disputato ai dì nostri de' sentimenti di Giansenio, di Quesnello e del Mesangui; e non meno
d'adesso era restato allora per lungo tempo diviso in due il parere de' partitanti, uno de' quali li
sosteneva come immuni da ogni censura, l'altro li condannava come infetti d'errore; e tante frodi si
usavano da quelli e si sostenevano con tant'arte e violenza gli errori e gli erranti, che l'istesso
Romano Pontefice non credette cosa ben fatta l'interloquire da principio colla suprema sua autorità,
ma appigliandosi a prudenziali ripieghi procurò d'acquietarli. Non ebbe il suo effetto una così
giudiziosa risoluzione; ond'è che fu duopo di procedere in fine al taglio, che si ottenne per mezzo
del Concilio ecumenico Costantinopolitano secondo, nel quale trattata la cosa colla dovuta maturità
venne decisa in fine, quanto alla dottrina, col riprovare come infette di eresie le opere e scritti
indicati, quanto alle persone, colla condanna di Teodoro anche dopo morte: e perchè quest'è che più
d'ogni altra cosa interessa l'argomento che abbiamo per le mani, così è bene che ve ne dia in questo
luogo un più distinto ragguaglio. Tre cose furono opposte nel Concilio per impedire la condanna di
Teodoro, l'illibatezza della sua dottrina, il credito di buon cattolico in cui era morto, e l'essere già
stato per la morte liberato da ogni vessazione di umano giudizio. Non pare a voi di vedere in questi
padrocinatori dell'empietà i fanatici Giansenisti, che dalla divota e religiosa vita che mostrò al
pubblico il loro [171] prediletto Giansenio, da qualche meno sconcia espressione che leggono nelle
sue opere, e dal motivo della sua morte van mendicando pretesti inutili per liberarlo non solo dal
sospetto di quelle eresie che chiare s'incontrano nelle perniciose sue opere, ma per farne pur'anche
l'apoteosi? Tutto fu esaminato, diligentemente; e tante furono l'eresie che si lessero negli scritti di
Teodoro, tanti i rimproveri che si scoprivano dati a lui da Vescovi sapientissimi, che non trovò ne'
primi due capi alcuno scampo o difesa. Restava il terzo; e quantunque questo fosse sembrato
escluso abbastanza da quelle stesse autorità e dottrine, ch'erano già state addotte, pure per non
mancar a quella diligenza che si deve usare ne' più gravi affari, si prese separatamente in soda
considerazione, e più Vescovi intrapresero ad escluderlo con molta erudizione e vigore. Sestiliano
coll'autorità di S. Agostino dimostrò esser giustissimo che gli Eretici vengano condannati anche
dopo morte, quando è riuscito loro di sfuggire in vita la meritata condanna; e le parole addusse,
colle quali scrivendo il Santo a Bonifacio si protesta prontissimo a condannare Ceciliano,
quantunque già morto, se fosse dimostrato reo di quel delitto che a lui imputavano i Donatisti;
ipsum etiam mortuum anathematizamus; e nelle Collazioni contro Petiliano e contro Cresconio
ripete sovente: in hac communione si fuerunt, quos nescio, traditores, cum eos demonstraveris et
carne et corde mortuos detestabor; e poco dopo, sed dicis licere mihi, etiam de mortuis judicare,
quia judicium non tantum de vivis, sed etiam de mortuis fieri potest. Ecce volo judicare; sed vos
causam ipsam non vultis agere. A questa prova per se stessa efficacissima aggiunse il Vescovo
d'Eraclea la pratica non mai interrotta della Chiesa; et quae, disse, modo recitata sunt Augustini
sanctae memoriae conveniunt statui tenenti ab initio in Ecclesia: impium enim dogma jam
inculpatum & condemnatum, & eos, qui tali dogmate obnoxii sunt, anathematizari vult Ecclesiae
(422)
De mortib. persec. cap. 3.
(423)
Plin. Hist. Nat. lib. 36. cap. 5.
111
traditio, licet mortui essent: e lo provò coll'esempio di Valentino, Marcione e Basilide, di Eunomio,
di Eusebio, di Teognio e Dioscoro condannati tutti dopo morte da varj Vescovi e Concili. Dopo le
quali prove punto non esitarono quei cinquanta veramente venerabili Padri a condannare il morto
Teodoro, e niuno senza divenire sospetto di mala credenza ha mai avuto la libertà di replicare, che
alle parole di Teodoro conveniva ben'altro senso da quello che veniva loro attribuito da quella [172]
sagra adunanza, nè è mai saltato in capo ad alcuno non prevenuto da qualche partito di giustificare i
suoi scritti o canonizzare e sollevare agli onor degli altari la sua memoria, come pretendono di fare
adesso di quella di Giansenio i Giansenisti. L'insistere con pertinacia insoffribile in questa spiritosa
invenzione era riservata a costoro non meno rei degli antichi Nestoriani, ma più versipelli
(424)
.
Quella provvidenza però, che somministrò allora agli zelanti Pastori lumi e forze bastevoli per
eludere gli sforzi de' primi, non ha mancato d'assistere i Romani Pontefici per deludere le insidie de'
secondi, i quali tal'urto e colpo mortale hanno ricevuto ultimamente dalla Bolla dommatica del
sommo Pontefice PIO SESTO, che comincia Auctorem Fidei, che non sarebbero riprensibili i
giudizj de' nostri tribunali, se meno misericordiosi per coloro, che hanno mostrata sì poca
compassione della ruina di tant'anime, procedessero anche dopo morte alla loro condanna allorchè
si ostinassero nel sostenere errori con tanta solennità condannati e proscritti. Nulla credo di
dover'aggiungere di più per maggiormente convincervi di una verità per se stessa abbastanza palese;
onde in attenzione di ulteriori comandi mi dico colla solita venerazione
(424)
Versipelli = coloro che simulano (cambiano pelle) facilmente. (N. d. R.)
112
LETTERA DECIMAQUINTA.
Appartiene alla Chiesa il castigare gli Eretici.
ra ormai tempo di mutare scena; e dopo di avermi trattenuto sì lungamente nel farmi esporre
l'enormità del delitto di chi abbandona laà Fede, e la qualità ed estensione della pena che
corrisponde al medesimo, era ben conveniente, che mi stimolaste a fissare il giudice competente di
queste cause; poichè la condanna non è mai giusta, se alla gravità del delitto e proporzionalità della
pena non si accoppia la legittima autorità di chi si accinge a punirlo. A dirvela però come la senta,
io m'andava lusingando che bastasse quello che ho detto, perchè da per voi stesso lo poteste
indovinare. Trattandosi di uno, che è colpevole perchè abbandona la Fede, per la quale s'era unito
ed assoggettato alla Chiesa non senza la più solenne promessa
(425)
fatta in faccia agli altari di starvi
immobilmente congiunto, a chi altro mai è da credersi che appartenga il castigarlo fuori che alla
Chiesa medesima, la quale soffre l'ingiuria dell'indegno abbandono, ne risente il grave danno, ed ha
la gelosa incombenza di provvedere alla sua salute e a quella di tutti i suoi Figli non meno, che alla
dilatazione del divin culto ed onore ed alla propria conservazione? Se io domandassi a voi a chi
tocca castigare i delitti comuni dei cittadini, non esitereste punto a rispondere, che tocca alla civile
società, la quale essendo perfetta basta a se stessa per procurarsi quella pubblica temporale felicità,
cui è diretta, e che non si può ottenere senza punire i colpevoli. Ma non è società della civile meno
perfetta la Chiesa; anzi è questa d'ogni altra, e nell'ampiezza e nella podestà e nella dignità
maggiore, come vi ho accennato in altra mia lettera, e come dimostra ampiamente S. Tommaso in
più luoghi; a lei dunque appartiene il castigare gli Eretici, come a quella nelle di cui mani non sono
meno per proprio istituto gli affari della religiosa società dei Cristiani, di quello siano in mano della
pubblica civile podestà gli affari di Stato; e non meno vieta anch'essa di abbandonar la Fede ai suoi
Fedeli, di quello proibisca la civile repubblica al cittadino il defraudare le gabelle e trasgredir le sue
leggi. Risulta in lei anche da [174] questa ingerenza quella conformità colle terrene cose e
mondane, che chiama S. Tommaso propria delle spirituali cose e celesti: spiritualia comformitatem
quamdam habent cum temporalibus
(426)
. Nè si può credere che o sia la Chiesa meno gelosa
dell'onore e gloria del celeste suo Sposo che il sovrano dell'onor del suo trono, o sia ella meno
premurosa della santificazione de' suoi Figli di quello sia il sovrano della pubblica tranquillità e
salvezza: e sarebbe una vera empietà il sospettare che fosse stata meno sollecita la sovrannatural
provvidenza di fornir lei di que' mezzi e sussidj che sono necessarj alla sua conservazione e difesa,
di quello si sia mostrata premurosa la provvidenza ordinaria nel disporre le cose per modo che nulla
mancasse al buon regolamento e governo delle civili repubbliche. Di tutte le podestà ha detto in
generale S. Paolo, che vi si deve restar soggetto non per timor soltanto ma anche per coscienza, e
che turba l'ordine da Dio voluto chi vi resiste
(427)
. Le quali cose dice S. Basilio
(428)
, se si verificano
delle podestà temporali, quanto più è da credersi che debbano verificarsi delle spirituali; qui defendi
potest eum non Dei ordinationi resistere, qui antistiti resistit suo? E se una delle principali
incombenze della temporale podestà è il far leggi e castigare con ogni maniera di severità i
trasgressori, chi potrà non riconoscere una consimile podestà nella Chiesa, cui ha dato Gesù Cristo
medesimo in persona degli Apostoli la podestà di sciogliere e legare, di pascere e governare il suo
(425)
Si riferisce al battesimo, "ignorando" che i neonati non possono nè intendere nè volere... (N. d. R.)
(426)
3. part. quaest. 5. art. 1.
(427)
ad Rom. cap. 1, ver. ad 8.
(428)
In Const. Monac. c. 23.
E
113
Gregge
(429)
? Consiste anche in questo la robustezza, invincibile di quella base sodissima, che fu
piantata a presidio e sostegno del celeste edificio, e la sovrana virtù di quelle chiavi celesti, che
furono poste in mano del suo Vicario per aprire e chiudere il regno de' Cieli
(430)
, e quel diritto in
fine di pascere e governare tutto il divin Gregge che Gesù Cristo ha accordato in special modo a S.
Pietro: nè da altre fonti e principj hanno derivata giammai i SS. Padri quella verità che ora ho presa
a dimostrare: ed il sagrosanto Concilio Lateranense IV. l'ha resa anche più solenne ed autentica,
allorchè vietò ai Laici, ne ipsi de hoc crimine (cum mere sit ecclesiasticum) quoquo modo
cognoscant; e accordò loro soltanto, anzi comandò espressamente, [175] ut de haeresi a diaecesano
Episcopo vel Inquisitore seu Inquisitoribus condemnatos sibi relictos statim recipiant indilate
animadversione debita puniendos
(431)
: e n'aveva già da gran tempo conosciuta la ragionevolezza
Giustiniano istesso, che dichiara, che se il delitto è ecclesiastico, debbano giudicarne i Vescovi
senza che se ne impaccino i giudici secolari. Non vi voleva meno per abbandonare un sentimento
così giusto e plausibile dell'apostasia di Giuliano, che prima d'ogni altro, al dir di Sozomeno
(432)
,
richiamò a se le cause di Religione; e dell'empietà di Lutero e di Brenzio, che rinnovarono lo stesso
errore, quello nella lettera ad christianam Nobilitatem Germaniae, questi ne' Prolegomeni; e della
libidine finalmente d'Enrico VIII. e mal talento di Marcantonio de Dominis, il primo de' quali nelle
sacrileghe sue ordinanze, ed il secondo nella sua opera de Republica ecclesiastica se ne fecero
accerrimi sostenitori. Per altro la verità cattolica è così manifesta, e nelle sagre Scritture e nella
costante tradizione di tutti i Padri così bene e sodamente appoggiata, che moltissimi degli stessi
nostri contraddittori non hanno avuto l'ardire di negarla in tutta la sua estensione, e solo si sono
appigliati, come portava il loro mal'animo, al cattivo partito di restringerla e debilitarla in modo, che
divenisse inutile affatto, o non restasse di lei che il solo nome ed un difforme fantasma. Pensa Fr.
Paolo con varj altri suoi copisti e discepoli, che all'ecclesiastica podestà appartenga solo il decidere
in che consista l'errore, vale a dire, quale sia la massima dalla quale scostandosi un Fedele divien
colpevole di questo delitto; ma vuole poi che il giudicare del fatto, vale a dire, come quando e da
chi sia stato commesso appartenga ai sovrani. Nella quale supposizione voi ben vedete, che alla
Chiesa viene accordato il solo diritto di dichiarare l'errore, e non quello di giudicar dell'Eretico; ed il
suo giudizio diviene piuttosto un magistero il quale istruisce, che un tribunale che condanna. Trovo
io in questa cabala non che il mal'animo, che ha sempre nudrito costui contro la podestà della
Chiesa, ma l'impura sorgente altresì di quel rifugio, al quale, come vi dissi nella seconda mia lettera,
si sono appigliati i Giansenisti per debilitare la condanna de' loro errori, distinguendo [176] nelle
condanne de' libri il diritto dal fatto. Anche Fr. Paolo ha fatto una consimile distinzione nella
condanna degli Eretici, ed aveva anch'esso avuto in mira il pregiudizio dell'ecclesiastica podestà
non meno di costoro, che l'hanno imitato dappoi. Evvi, non v'ha dubbio, qualche divario tra l'una e
l'altra distinzione; e vedo anch'io da che più alti principj deriva la sua certezza il giudizio del fatto
dommatico giansenistico, che chiamerò letterario, da quello del fatto dommatico personale di Fr.
Paolo: la distinzione però, che non cambia che la mente della persona in quella del libro, mostra
abbastanza d'onde possa essser nato l'error di coloro che con questa maligna invenzione hanno
recato sì gran disturbo alla Chiesa, e non cessano di compiacersi, e si gloriano con tant'ingiustizia di
sì meschina invenzione. Ma non è questo il luogo di trattare la gran questione del fatto dommatico,
di cui hanno trattato con molta precisione e chiarezza il Billuard
(433)
, il Bolgeni
(434)
e tant'altri: e non
v'è oggi più luogo di questionare dopo l'accennata Bolla del regnante Pontefice.
Più di questo c'interessa presentemente l'error di Fr. Paolo, il quale sembra a me che non
dovesse aver luogo ne' scritti di alcun teologo cattolico dopo che fu condannato dal Pontefice
Gioanni XXII. il libro di Marsiglio da Padova, che l'aveva preaccennato, e dopo che tra l'altre
(429)
Matth. 18. Joa. 21.
(430)
Matth. 16.
(431)
Labb. Act. Concil. tom. 7. pag. 19. edit. Paris. 1714., & cap. 18. de Haeret. in 6.
(432)
Novella 83.
(433)
Summ. S. Thom. Tract. de Fide & Reg. Fid. diss. 3. a. 7.
(434)
Fatti Dogmatici.
114
pessime proposizioni fu condannato in lui e nel Perugino Gianduno il dire, che Papa vel tota.
Ecclesia simul sumpta nullum hominem quantumcumque sceleratum potest punire punitione
coercitiva, nisi Imperator daret eis auctoritatem
(435)
. Fu l'opinione di Fr. Paolo riprovata nella
proibizione del suo discorso sopra l'Inquisizione: e chi sa quanto Marsiglio e Fr. Paolo fossero
versati nell'ecclesiastica storia, e quanto frequenti s'incontrino negli annali della Chiesa le condanne
fatte dalla podestà ecclesiastica non che degli errori ma anche de' libri e degli Eretici, di Cerdone
dal Papa Igino, di Montano e Noeto dai Vescovi dell'Asia, di Paolo Samosateno dal Concilio
d'Antiochia, d'Ario dal Concilio Niceno, e di infiniti altri da altri Papi e Concilj, non può [177]
attribuire un'errore così manifesto, che al mal'animo contro la podestà della Chiesa, che ha fatto loro
dissimulare le verità. più palmari per diminuirne l'estensione e la forza. Ogni fatto particolare,
qualora sia dedotto a qualche tribunale, porta seco per se stesso l'uno e l'altro giudizio: Quisquis
enim judicat, lo confessa anche Grozio
(436)
, debet de utroque judicare: e quest'indispensabile
necessità come prova ad evidenza, che nelle cause di Fede alla Chiesa, la quale sola a giudizio degli
stessi nostri contraddittori può giudicare del diritto, appartiene il giudicare anche del fatto, così
esclude del tutto la podestà secolare, che senza contrasto è inabile al primo, dall'ingerirsi nell'uno e
nell'altro giudizio. Nè io credo che si sia punto scostato da sentimenti sì giusti l'Ab. Gauchat, che
tanto ha scritto e così bene contro alcuni libri de' moderni increduli. Vorrei però che avesse usata
maggior esattezza in quell'espressioni, che leggo riportate dal valoroso confutatore degli errori e
calunnie più volte citato, dove dell'Inquisizione parlando e ricercando con quale autorità vengano
puniti gli Eretici, chiama i principi depositarj di quest'autorità; e dice che ad essi è stata
consegnata la spada, e che gl'Inquisitori se ne servono per ordine loro, e ben lontani dall'usurpare i
diritti del principe altro non fanno che esercitarli a suo nome, e i loro editti non sono pregiudicevoli
all'autorità reale niente più di quello lo siano i decreti del Parlamento, che decidono della vita e
della sorte de' sudditi
(437)
. Prese a rigore tutte quest'espressioni ci presentano il tribunal della Fede
più che della Chiesa tribunale de' sovrani, e gl'Inquisitori più che dell'ecclesiastica armati di podestà
temporale, e più che da quella mossi da questa allorchè assoggettano gli Eretici al meritato castigo;
lo che sarebbe per certo tanto alieno dai sentimenti poc'anzi accennati de' buoni Fedeli quanto più
conformi a quei di Fr. Paolo, se di un'autore trattandosi così benemerito della cattolica Religione
non si dovesse fare ogni sforzo per piegare le accennate troppo inesatte espressioni in buon senso.
Ma interniamoci anche più in quest'interessante ricerca; e dopo aver veduto con quanta ragione
si attribuisca alla podestà della Chiesa la cognizione anche del fatto, esaminiamo se oltre [178] agli
scritti ed alle persone meritevoli di condanna abbia ella diritto di stendere l'autorevole sua
giurisdizione anche a quelle pene, che sono state giudicate necessarie non che opportune al buon
regolamento e governo del divin Gregge. Scoprirete in quest'esame nuovi sforzi dei nostri nemici
per restringere la sagra podestà tra i più angusti confini; ma avrete altresì la consolazione di vedere
quanto siano stati dalla Chiesa stessa rintuzzati a tempo, e fin dove si stenda la vera e reale sua
autorità e potere.
Se della scomunica e di altre pene spirituali parliamo, è cosa per se stessa notissima, e dalla
Chiesa definita più volte, che alla sola ecclesiastica podestà appartiene il decretarle ed infligerle: e
non solo è stato condannato in Marsiglio da Padova il dire, che questa pena è d'originaria ispezione
de' Sovrani, ma dal Concilio di Trento
(438)
e da Clemente XI.
(439)
è stato condannato nei Protestanti
ed in Quesnello il credere, che nel fulminarla debba dipendere in qualche modo dai Sovrani o dal
ceto di tutti i Fedeli. Ma se si parla di pene temporali, qui è dove con premura maggiore si è
impegnata la più raffinata industria di chi troppo avaro colla podestà della Chiesa ha cercato di
spiritualizzarla per modo da non lasciarle alcun'ingerenza e diritto su quanto v'ha di temporale e
sensibile. I beni di quaggiù sono l'unico scopo de' moderni Tollerantisti, e posti questi in sicuro,
(435)
Argentrè tom. 1. pag. 364.
(436)
de Imper. Summ. Potest. circa sacra cap. 11. num. 15.
(437)
Confutazione degli errori e calunnie cap. 14. pag. 461.
(438)
Sess. 25. cap. 3. de Reformar.
(439)
Const. Unigenitus prop. 90. Bull. Rom. tom. 10. pag. 340.
115
poco è loro importato di restar privi de' soli spirituali e celesti. Quindi è che niente solleciti delle
spirituali, che ridotte specialmente come si fa al presente alla sola privazione d'ogni bene che giovi
all'anima non recano loro alcun fastidio; si sono contentati di togliere alla Chiesa il solo diritto
d'infliger pene temporali, che sole possono riuscir loro di grave noja e molestia. E questo appunto è
quel solenne sproposito che io non debbo lasciare senza la dovuta confutazione, come quello che
non meno degli altri va a ferire i diritti incontrastabili della celeste Sposa del divin Redentore, e
troppo si avvicina alle proscritte massime de' Protestanti, che nella loro Confessione augustana
all'articolo intitolato de Potestate Ecclesiae hanno dichiarato che secundum Evangelium, seu, ut
loquuntur, de [179] jure divino nulla jurisdictio competit Episcopis, hoc est, his,
quibus est
commissum ministerium verbi et sacramentorum, nisi remittere peccata, item cognoscere
doctrinam, et doctrinam ab Evangelio dissentiem rejicere, et impios, quorum nota est impietas,
excludere a communione Ecclesiae sine vi humana sed verbo
(440)
. Ben discordi da questi sono i
sentimenti de' veri Cattolici, i quali hanno sempre creduto, che non le sole spirituali ma anche le
pene temporali siano di diritto ecclesiastico allorchè influir possono alla difesa e custodia della
cattolica Religione, e non hanno mai guardati con ribrezzo i soldati draconarj e clavigeri che sin dai
tempi antichissimi vedevano ai fianchi e de' sagri Pastori e del Romano Pontefice
(441)
, e que' bravi
difensori, de' quali parla il Baronio all'anno 286., e più diffusamente S. Gregorio in varie sue lettere,
e ne descrive a minuto le incombenze il Tommasino
(442)
.
Tanto è vero che conviene ai Vescovi la podestà; di cui parliamo, che gli stessi nostri
contraddittori non l'hanno potuto dissimulare affatto, e molti di loro per trasportarla ne' principi
cattolici hanno creduto necessario di trasferire in loro anche il nome di Vescovo, chiamandoli, come
si disse una volta scherzando anche il gran Costantino, Vescovi al di fuori della Chiesa: ma tutto
inutilmente e senza ragione. Il diritto che avevano i Vescovi di castigare anche con pene temporali
prima della conversion de' sovrani lo ha confessato la venerabile Facoltà di Parigi, riprovando la
proposizione d'Erasmo, veteribus Episcopis ultima poena erat anathema, colla seguente
confutazione e censura
(443)
: Propter infestationem Tyrannorum in primitiva Ecclesia non poterant
Haeretici severiori poena mulctari, quam excommunicationis; postea tamen, cum principes, soeculi
Ecclesiae submisere colla, perspecta contumacia atque impietate Haereticorun, necessarium fuit,
ne dum conveniens, in illos gladio temporali animadverti. Praecedentes autem propositiones (che
erano molte) errori suffragantur Haereticorum negantium licere & expedire Haereticos contumaces
extremis [180] suppliciis coerceri, etiam quando nulla inde sequitur perturbatio reipublicae, & hoc
exposcat salus multorum. Quello che ai Vescovi compete dopo che i principi sono divenuti cattolici
lo attesta il gran Fenelon dicendo; il mondo sottomettendosi alla Chiesa non ha acquistato il diritto
di assoggettarla. I principi diventando figli della Chiesa non ne sono divenuti i padroni. Debbono
servirla, non dominarla, baciar la polve de' suoi piedi, e non metterle il gioco
(444)
. Come si debba
intendere il detto di Costantino si può vedere nella bella dissertazione, che si ha nel tomo XIII. della
raccolta di dissertazioni di storia ecclesiastica dell'abb. Zaccaria, dalla quale si scopre altresì il torto,
che hanno coloro, che abusano di quel detto per ispogliare la Chiesa d'ogni ingerenza in cose
temporali ed esterne. Io dirò solo in succinto che qualunque decorosa prerogativa sia stata conferita
da Gesù Cristo ai sovrani cattolici non può pregiudicare in alcun modo a quel diritto, che compete
alla Chiesa d'infliger pene anche temporali a propria conservazione e difesa. Egli non è venuto tra
(440)
Confessio Fidei &c. Vitemberg. 1540.
L'Art. XXVIII-20/21 recita:
"Quando dunque si discute sulla giurisdizione dei vescovi, si deve distinguere il potere civile dalla giurisdizione
ecclesiastica. Perciò, secondo l'Evangelo o, come si dice, secondo il diritto divino, questa giurisdizione compete ai
vescovi in quanto tali, cioè a coloro ai quali è affidato il ministero della Parola e dei sacramenti, di rimettere i peccati,
di respingere la dottrina contraria al Vangelo, di escludere dalla comunità della chiesa gli empi, la cui empietà sia nota,
senza ricorrere alla forza umana ma unicamente con la parola." (N. d. R.)
(441)
Glossar. D. Dufresne verbo Clavigeri & verb. Draco, & Dict. Macri verbo Draconarii & verb. Clavesignati.
(442)
De Beneficiis part. 1. lib. 2. cap. 97. & 98.
(443)
ap. Argentrè t. 2. collect. judicior. ecclesiasticor. de nov. Error.
(444)
Discours à S. A. S. E. de Cologne le jour de son sacre.
116
noi per distruggere ma per perfezionare l'ordine delle cose, nel quale, come insegna l'Angelico
(445)
,
omnis potentia, vel ars, vel virtus, ad quam pertinet finis, habet disponete de his, quae sunt ad
finem. Bella autem carnalia in populo fideli sunt referenda sicut ad finem ad bonum spirituale
divinum, cui Clerici deputantur, et ideo ad Clericos pertinet disponere & inducere alios ad
bellandum bella justa.
Perchè però i nemici dell'ecclesiastica podestà abusar potrebbero di questi sentimenti medesimi
del S. Dottore, e memori de' sommi vantaggi provenienti dalla cattolica Religione alla società civile,
riferiti da me nella lettera V., potrebbono pretendere per ciò che anche alla podestà temporale,
appartenessero le cause di Fede, dalle quali può risultare in lei pregiudizio o vantaggio; così a
scanso d'ogni equivoco vi spiegherò meglio codesti principj, e distinguendo il diritto
dall'esecuzione, le cruente dalle pene medicinali, e leggiere, la causa principale dall'accessoria e
subordinata, fisserò con maggior precisione ciò che in queste cause all'una ed all'altra podestà
propriamente appartenga. E quanto al diritto di esaminare la qualità della pena, e di approvarla
quando sia alla giustizia [181] ed equità coerente, dico che non vi può essere dubbio che convenga
alla Chiesa; e trattandosi di affari suoi proprj vi conviene per modo che non sono giuste se non
vengono da lei promosse o almeno approvate: ma quanto al diritto di decretarle, se si eccettui la
pena di mutilazione e di morte che disdice alla singolare dolcezza e mansuetudine che a lei
raccomanda sì spesso il celeste suo Sposo, è tutto suo proprio in questi affari, nè si può in alcun
modo trasferir ne' sovrani, ai quali nient'altro è riservato a tutto rigore che il fulminare ed eseguire
le vendette di sangue quando i rei vengono abbandonati al loro foro. Nè possono in alcun modo
ingerirsi nelle cause di Fede senza sua previa interpellazione e consenso: e questo non per le sole
canoniche disposizioni, ma per indole e natura della cosa stessa, che dalla sovrannaturale
provvidenza è stata affidata privativamente alla Chiesa. Nè punto ci turba l'accennato sofisma del
quale abusano i novatori per persuadere il contrario. Non è la sola utilità che abilita gli Ordini
diversi ad ingerirsi in affari che all'altrui dicasterio appartengono: chè non può uno stato meschiarsi
nelle faccende dell'altro, col quale confina, quantunque riuscir possano a lui di gran pregiudizio o
vantaggio; nè può alcuna umana podestà disporre della divina onnipotenza, quantunque idear non si
possa mezzo di questo più vantaggioso per tutto condurre ad un'imperturbabile tranquillità. I fini al
dir dell'Angelico, e non l'interesse e vantaggio decidono dell'estensione delle potenze; e quelle sono
subordinate e soggette che a fine più limitato ed inferiore conducono: e possono bensì le inferiori
essere in dolce alleanza congiunte colle superiori, ma non possono mai dominarle ed averle
dipendenti e soggette. Il perchè essendo la podestà della Chiesa d'ogni terrena podestà di gran lunga
maggiore, (e lo confessò lo stesso Mons. Bossuet) e tanto maggiore, che al dire di S. Girolamo
(446)
,
hoc imperium tanto civili excellentius est, quantum coelum terra, immo etiam multo praestantius; e
dovendo essere alla beata immortalità, che è il principale suo scopo, tutte rivolte le felicità
temporali, alle quali mirano le podestà civili, quella e non queste può arrogarsi il diritto di stendere
la falce autorevole in più ampia messe: e l'argomento preso dall'utile, che l'una e l'altre ne [182]
possono riportare dall'inoltrarsi nella sfera delle rispettive incombenze, quant'è valevole a provare, a
parer dell'Angelico, che può la Chiesa per suo originario diritto, infliger pene anche temporali, tant'è
inetto a sostenere quell'intemperante ingerenza, che accordano ai sovrani i Regalisti indiscreti.
Anche il senso riporta insigni vantaggi dalla Ragione,
il corpo dall'anima, il fabbro dal guerriero che
fa uso dell'armi: ma chi dirà per questo che debba il senso regolare i giudizj della Ragione, il corpo
le tendenze dell'anima, è debba prescrivere il fabbro al guerriero la forma dell'armi più atta a
combattere ed il metodo più utile e spedito di maneggiarle? Non è diversa da queste la condizione
delle due podestà: restano anch'esse subordinate come i loro fini, e senza l'approvazione e consenso
della superiore non può l'inferiore avere alcuna autorevole ingerenza ne' suoi affari, quantunque
riuscir potessero opportuni al proprio intento. E notate bene che non sono queste massime e questi
esempj capricciose invenzioni messe in campo per rendere plausibile una privata mia opinione.
Sono massime ed esempj proposte ed usati spessissimo dai più savj dottori a questo medesimo
(445)
2. 2. quaest. 40. artic. 2.
(446)
Homil. 15. in Epist. Ad Corinth.
117
intento: e si deriderebbero con tanto maggiore indecenza, quanto sono più autorevoli di quelle de'
Regalisti moderni le penne dei Gregorj, de' Nazianzieni, e dei Tommasi, dalle quali derivano.
Alle ragioni sodissime degli accennati Padri aggiungono gran peso anche le sagre Scritture e
non pochi avvenimenti che s'incontrano nella sagra storia, che tutti collimano a togliere alla podestà
temporale ogni ingerenza qualor si tratta di cose appartenenti all'Ordine superiore per tutte
addossarle alla Chiesa. Come le gabelle ai sovrani, così riconosce S. Paolo appartenere alla Chiesa
il diritto di riscuotere le decime
(447)
. Più chiare ancora sono le espressioni delle quali egli si serve
per attribuire a lei il diritto d'infliger pene temporali, e dove interroga i Corintj se debba visitarli con
piacevolezza o rigore
(448)
e dove prescrive al Vescovo Timoteo d'usare impero ed asprezza e dove fa
sentire il fischio della pastorale sua verga. L'averla poi usata anch'esso nella più strepitosa maniera e
coll'incestuoso di Corinto e col mago Elima non meno che S. Pietro con Anania e Simon mago, e
l'averne fatt'uso servendosi di quel nome medesimo [183] proscritto allora da tutte le podestà
temporali dimostra evidentemente e l'indipendenza che ha questo diritto da chi governa
temporalmente e che è sì proprio della spirituale potestà che non può essere nelle cose di sua
pertinenza trasferito altrove senza manifesta ingiustizia. Dico nelle cose di sua pertinenza per
includere tra i diritti ecclesiastici non che i beni temporali che sono necessarj al sostentamento del
divin culto e de' suoi ministri e le pene temporali che servono alla sua difesa, ma molt'altre cose che
in qualunque altra maniera siano necessarie al mantenimento e buon'essere di sì rispettabile società.
Ed il saper noi con quanto rigore fosse sin dai tempi dell'antica alleanza castigato Oza che stese la
mano profana all'arca cadente, e il Re Ozia per aver voluto spargere sull'altare de' Timiami incenso
profano, e di quale zelo s'accesero Giosuè e Finees per timore che sorgesse di là del Giordano
un'altare diverso da quello che gradiva il Dio d'Israello
(449)
, e l'incontrare sì spesso nelle nostre
storie e le sagre adunanze frequentate dai primi Cristiani a dispetto di tante leggi imperiali che le
vietavano, e le leggi pubblicate per loro direzione e governo, e i fori aperti da tutti i Vescovi, e le
penitenze imposte contro i divieti degl'Imperatori, che caesariano gladio infierivano, come dice
Tertulliano
(450)
, contro tutti quelli che si scoprivano seguaci di un tale sistema e costume, ci ripetono
a voce assai chiara che non i soli beni e le sole pene temporali ma che è di sua privativa ispezione
tutto ciò che alla esterior disciplina ed universale governo della Chiesa appartiene.
Quand'anche però mancassero sì grandi testimonianze ed esempj, le ordinazioni de' Papi e
Concilj bastano a renderci persuasi che sono state distinte da Dio le incombenze dell'uno e dell'altro
governo, e che il diritto di provvedere a tuttociò che ha relazione ed è necessario all'ordine superiore
non è meno proprio della Chiesa di quello sia proprio de' sovrani il provvedere a tutto ciò che
concerne l'Ordine inferiore. Ma ritornando alle pene che più d'ogni altra cosa interessano il nostro
argomento, siccome queste sono state le più usate e frequenti sin dai tempi Apostolici, così non
possono in alcun tempo essere disdette alla Chiesa per trasferirle nella libera e sola disposizione de'
sovrani. Col divenire questi suoi Figli di persecutori che erano non hanno acquistato [184] alcun
dominio sul regolamento delle cose ecclesiastiche ma il solo onore, come dice S. Agostino, di
giovarla e proteggerla anche come sovrani: e questo porta bensì che si debbano prestare di
buon'animo ai suoi suggerimenti ed alle sue premure, ma non li autorizza a spogliarla di quei diritti
che ha ricevuti dal Cielo. Eppure quest'è che pretendono i nemici del santuario; e non trovando
modo di abbattere le forti testimonianze e ragioni che accordano alla Chiesa il vero diritto d'imporre
pene anche temporali allorchè procede contro gl'increduli, ricorrono a fatti particolari, e dal vedere
nelle sagre Scritture che colla pazienza piuttosto e sommissione è stata fondata la Chiesa di Gesù
Cristo che coll'autorità e forza, e che in progresso di tempo i sovrani hanno operato per lo più in
queste cause di proprio arbitrio ed hanno talvolta impedito alla Chiesa di farne uso, essi si lusingano
di poter'inferire con sicurezza che ai sovrani adunque non alla Chiesa appartenga una
tal'incombenza, e che cada a fronte di una simile opposizione qualunque prova si possa addurre in
(447)
1. ad Corinth. cap. 5.
(448)
2. ad Corinth. cap. 10.
(449)
Jos. 22. ver. 13.
(450)
Apologet. cap. 5.
118
contrario. Questo ripiego però se è il più insidioso per liberarli da quella soggezione che hanno
tanto in odio, non è il più efficace per abbattere l'autorità della Chiesa. Io rispondo in primo luogo
che le coazioni anche temporali non mancarono affatto neppure ne' tempi apostolici, e lo
dimostrano chiaramente gli esempj addotti di S. Pietro e di S. Paolo; e quand'anche fossero mancati
del tutto, non si dovrebbe inferire che non mai potessero a lei convenire: e il dedurre dall'eroica
rassegnazione de' primi Fedeli, che non mai avrebbe potuto la Chiesa comandare e resistere, è lo
stesso che inferire che sarebbe stata sempre povera di beni temporali, perchè per alto divin consilio
lo fu nel suo nascere; che non altri confini avrebbe avuti che quelli della Palestina, perchè fuori di
quella non si stese per qualche tempo; e niun dotto o signore avrebbe abbracciata la Fede cattolica,
perchè furono incolti pescatori i primi seguaci di Gesù Cristo, e come dice S. Paolo
(451)
, per la
stoltezza della predicazione si procurò l'union de' Credenti, L'istesso Abate Tamburini, che accorda
non poter sussistere la stirpe umana senza civile società, suppone altresì che non ne fu adorna ne'
giorni felici del suo incominciamento e per lunga serie di distinte [185] generazioni e famiglie, e
vuole poi che col lungo volger d'anni abbia acquistata quella forma e sistema che non ebbe nel
nascere
(452)
.
Dico in secondo luogo con un'autore chiunque egli sia non mai sospetto di parzialità, perchè
non meno del Tamburini tacciato di giansenismo, che se la questione dev'essere decisa per questa
strada abbiamo vinta la causa: perchè sono assai più i fatti antichissimi, che parlano a favore della
podestà ecclesiastica e la stendono anche alle cose temporali, che quelli i quali sembrano
autorizzare i sovrani ad ingerirsi nelle cose spirituali e divine; e per servirmi delle parole di
costui
(453)
, qui certare exemplis vellet, eum inde multo grandius formaturum volumen pro
Sacerdotio quam pro Imperio.
Dico in terzo luogo che moltissimi dei fatti, che si possono portare in contrario, sono inutili,
perchè disapprovati dalla Chiesa in più incontri e sono notissime le formole di Fede prescritte
regolarmente dagl'Imperatori e le varie leggi incompetenti da loro pubblicate, che hanno incontrata
codesta sorte, ed i rimproveri fatti da S. Ilario a Massimo per l'importuna morte d'Idacio, e da varj
Papi e Vescovi per le inconsiderate stragi della Sicilia, del Messico e di S. Bartolomeo s'incontrano
in ogni storia. Altri poi sono contrarj al loro intento, perchè non avvenuti senz'intelligenza e
consenso dell'ecclesiastica podestà: e tali sono appunto le provvidenze prese dai Re di Francia e
registrate ne' loro Capitolari, che per l'influenza che avevano in quel governo i Vescovi anche negli
affari di stato si possono riputare piuttosto leggi della Chiesa che dello Stato. E siano pure nate
talvolta dai principi soli e non dal clero; che prova ciò? non altro, dice Mons. Bossuet
(454)
, che
quella buona armonia, che è passata più volte tra l'una e l'altra podestà, per la quale altera alterius
munia in speciem usurpavit eo jure, quo amici amicorum rebus utuntur; ma sono affatto inutili per
dimostrarne il rispettivo diritto. Amico non ne dubitate; le cause di Fede sono sempre [186] state
riconosciute di privativa ispezione della podestà della Chiesa: ed anche quando a sua protezione e
difesa hanno i sovrani stesa sopra i colpevoli la spada vendicatrice, non hanno preteso di far'altro
che aiutarla e soccorrerla, non mai di pregiudicare ai suoi diritti, o di usurparne il giudizio. Sono
questi di sua privativa ispezione anche quando si tratta di pene temporali e corporee, nè altro è
riserbato ai sovrani, che l'onore di prestare alla Chiesa; o per dir meglio, alle leggi il forte loro
braccio, quando il bisogno lo esiga ed essa lo implori. Il che succede sempre che trattasi di pene di
mutilazione e di morte, alle quali non giunge il tenerissimo cuore di questa dolcissima Madre; che
giusta la frase di S. Leone
(455)
, cruentas refugit ultiones; ma non ha poi bisogno di sempre
implorarlo quando trattasi di pene moderate e leggiere. In questo caso non solo ha diritto di
fulminarle, ma aver deve braccio e forza bastevole da infligerle; ond'è che Anselmo Vescovo di
Laon spiegando ciò, che aveva voluto esprimere S. Paolo col nome di verga, dice che non altro ha
(451)
1. ad Cor. 21.
(452)
Lettere Teologico-Politiche lett. 6. pag. 15.
(453)
de l'autoritè des Rois touchant l'administration de l'Eglise part. 1. diss. 5. pag. 127.
(454)
Defens. Declarat. Cleri Gallic. part. 2. lib. 8. cap. 5.
(455)
Epist. Ad Turrib. Asturicen. tom. 2. pag. 696. edit. Ballerin.
119
indicato che la coercitiva apostolica podestà, che si esercita alios excommunicando, alios jure
increpando, alios corporaliter (ut decet Pastorem) flagellando
(456)
. E S. Gregario III. indicando a
Leone Isaurico il divario che passa tra l'Imperatore ed il Pontefice, vides, disse
(457)
, Imperator
Pontificum et Imperatorum discrimen. Si quispiam te offenderit, domum ejus publicas et spolias...
tandemque illum et suspendio necas vel capite truncas, etc. Pontifices non ita, sed ubi peccarit quis
et confessus fuerit, suspendii et amputationis capitis loco Evangelium et Crucem ejus cervicibus
circumponunt, eumque tamquam in carcerem in secretaria sacrorumque vasorum aeraria
conjiciunt, in Ecclesiae diaconia et in cathecumena ablegant, ac visceribus eorum jejunium
oculisque vigilias, et laudationes ori ejus indicunt. Cumque probe castigaverint, probeque fame
afflixerint, tum pretiosum illi Domini corpus impartiunt, et sancto illo sanguine potant, et cum illum
vas electionis restituerint, ac immunem peccati, sic ad Dominum purum insontemque transmittunt.
Ed il grande impegno che mostrano ed il Lochstein per involare alla [187] Chiesa cattolica ogni
diritto d'infliger pene temporali e corporee, ed il Mosheim, il Boemero ed il Pfaff e varj altri
Protestanti per liberarsi dagli esempj, che le dimostrano, e sono citati fedelmente da Antonio
Schmidt nelle sue Istituzioni canoniche
(458)
, ad altro non serve che a far vie meglio comprendere
l'importanza e ragionevolezza delle medesime, sostenute già con pari zelo e valore e dal suddetto
Schmidt nel luogo citato e dal Tommasino
(459)
e da Natale Alessandro
(460)
. Che serve però che vi
trattenga più lungamente per dimostrarvi una cosa che è sì evidente e palmare, che ovunque volgiate
lo sguardo vi somministra nella costante pratica di tutti i Pastori sempre nuove prove e conferme?
Risparmiamo a miglior'uopo la penna; e crediatemi intanto
(456)
cap. 24.
(457)
Collect. Concil. Harduin. tom. 4. pag. 15.
(458)
tom. 2. part. 4. cap. 1 art. 1. § 2.
(459)
V. &. N. E. D. part. 2. lib. 3. cap. 79.
(460)
Hist. Ecclesiast. ad saeculum VI.
120
LETTERA DECIMASESTA.
Continua lo stessa argomento, e con nuove prove si mostra
che conviene alla Chiesa la podestà d'infliger pene
anche temporali nei delitti di Fede.
ra tante lettere che mi avete scritte per comunicarmi i vostri dubbj l'ultima nella quale vi siete
mostrato non ben soddisfatto dell'altra mia, è riuscita a me di maggior gradimento, perchè non
mi ha confermato soltanto nella buona opinione che aveva della sincerità del vostro procedere, ma
mi ha scoperto altresì il desiderio ardentissimo che avete di profittare; e quest'è che sopra d'ogni
altra cosa mi piace, e cui procurerò di secondare nella migliore possibile maniera. Per non ripetere
però inutilmente le cose già dette convien distinguere ciò, che ammettete senza difficoltà, da ciò che
vi lascia tuttora in qualche dubbio. Voi dite d'esser restato convinto del diritto che ha la Chiesa
d'agire nelle cause di Fede non solo quanto al domma ma ancora quanto al fatto, e di condannare
non che i libri ma anche le persone che meritano d'essere condannate: e di questo non farò più
parola. Dite poi di non essere restato persuaso egualmente quanto al diritto, che ho a lei attribuito, di
fulminare pene anche temporali, quando non sono di mutilazione o di morte. Ove trattasi di tali
pene pare a voi che sarebbe dicevol cosa che ne fosse lasciata tutta l'incombenza alla podestà
secolare; o se pure si vuol riservata alla Chiesa, credete almeno che sia necessario di mostrare con
più sodi argomenti e come sussista in lei un tale diritto, e come l'esercitarlo non rechi alcun
pregiudizio nè al suo stato tutto spirituale e celeste nè alla maestà de' sovrani, che diviene per tal
modo spettatrice inoperosa delle più miti e vile esecutrice delle coazioni maggiori, e come non resti
in tal modo pregiudicata l'unità della causa. Sono questi i dubbj che vi molestano tuttora, e sono di
tal rilevanza che non posso io e per le fatte promesse e per la molta premura che ho del vostro bene
lasciare senza una adeguata risposta. Siccome però non tutti possono essere sciolti a dovere in una
sola lettera, così prenderò a darvi la dovuta soddisfazione in più d'una. Altro non farò in questa che
addurre, [189] come bramate, nuove prove e ragioni per meglio presidiare l'autorità, che ho
accordata alla Chiesa, d'infliger pene temporali, non senza accennare in fine sode ragioni e
congetture che persuadono che non il solo diritto di decretarle, ma la stessa loro esecuzione può a
lei convenire, e non sarebbe affidata con egual frutto a ministri della podestà secolare. Vi mostrerò
in tre altre lettere successive quanto storte siano quelle deduzioni, che avete creduto di dover fare da
sì giuste premesse a danno della dignità della Chiesa e della maestà de' sovrani, e dell'unità della
causa.
E per farmi dal primo, io non vedo perchè tra tanti beni, de' quali ha voluto la provvidenza divina
arricchire la Sposa di Gesù Cristo, non possa aver luogo anche il diritto di contenere per via di forza
e pene temporali i Fedeli ne' cristiani doveri. Pare a me, che sicuti temporalitas addita est Ecclesiae
pro dote sua, videri potest alicui, quod ad ejus defensionem similiter addere sufficeret adversus
impeditores poenam vel censuram temporalem, ut est mulctatio pecuniarum, vel corporalis detentio
vel arrestatio bonorum. Parole son queste di Gersone
(461)
, tanto più efficaci al nostro intento, quanto
provenienti da una bocca meno sospetta di parzialità verso di noi, e più affezionata all'autorità de'
sovrani. Nè ragionevole soltanto rassembrami una tale supposizione, ma necessaria pur'anche: e
finchè non riesce a quelli che l'impugnano di dimostrare, che l'ordine inferiore e le pene temporali
in ispecial modo non hanno alcuna influenza nella conservazione e tranquillità della Chiesa, e di
degradare la cattolica società da quell'alto grado di dignità e potere, in cui l'ha posta la
(461)
Tract. de Potest. Eccles. Consid. 4. tom. 2. pag. 231. edit. Antuerp. 1706.
T
121
sovrannaturale provvidenza niente inferiore a quant'altre ha saputo raccogliere l'umana politica, sarà
sempre inutile ogni sforzo che usar si voglia per confinare la sua attività tra i segreti nascondigli del
cuore umano, e limitare la sua forza coattiva alle sole pene spirituali. Perchè però le più sottili
speculazioni e le deduzioni più rimote non sono a portata di tutti, e passò quel tempo in cui gli
uomini procedevano con raziocinio e con metodo nelle ricerche della verità, e tutto si vuol
conchiudere adesso per via di brevi riflessioni e di sconnesse erudizioni e principi; così io pure per
adattarmi al costume [190] moderno, quantunque non del tutto plausibile, lasciata la disastrosa via
delle speculazioni, che somministrar potrebbero o la struttura, che conviene alla Chiesa, di visibile
società che non può non esigere un governo esteriore e sensibile, o la condizion materiale di
quegl'individui che la compongono, che non può esser mossa senza segni esteriori e corporei, mi
appiglierò alla più ovvia e piana di poche osservazioni, che nascono spontanee dall'idea che
abbiamo di tutto il sistema e de' principi fondamentali di tutta la vita cristiana, che non possono non
riuscire efficacissime a tutti, se si eccettuano que' pochi che odiano la luce, e sono di pupille così
mal sane che allora è, al dire di S. Agostino
(462)
, che cercano di offuscarla quando risplende più
chiara: radiavit lux, & adhuc lippus dicit claude fenestram.
Volgete di grazia lo sguardo all'indole della cattolica Religione, poi ditemi se altro non vi
mostra a primo aspetto, che un sistema ammirabile di sovrannatural provvidenza, che sotto i velami
di misteri altissimi umilia l'orgoglio dell'intelletto umano, perchè più non si perda e s'insuperbisca
in mezzo alle ricerche vanissime della Stoa e del Peripato, e sotto il giogo di precetti, soavi bensì
ma tutti contrarj alle passioni ed al senso, tende a deprimere l'inferior parte perchè sfrenata non
sorga a turbare il dominio e la pace della superiore, e invece di distorla dal fine altissimo, cui è
diretta, le serva anzi d'ajuto per conseguirlo. Trova questa nella divina rivelazione e nella Grazia
quell'agili penne d'innocente colomba, che bramava Davidde per volare e riposar nel Signore:
incontra quella ne' digiuni, patimenti e disprezzi quel freno, che Davidde istesso incontrò con tanta
sua soddisfazione e vantaggio fra i suoi traviamenti; e uniti per tal modo in dolce armonia e
subordinazione gl'interiori e gli ajuti esteriori ambi cospirano al medesimo fine. Ma se le
umiliazioni, i patimenti e le mortificazioni sono una parte essenziale della vita cristiana, e la
penitenza non che interiore che detesta le colpe, ma anche esteriore che le emenda e castiga con
penitenze anche corporee, è un dovere d'ogni Cristiano, anzi una parte essenziale della vita
cristiana, come può essere inconveniente alla podestà di chi è destinato a reggere e governare la
società de' Fedeli il dar di piglio a questi mezzi medesimi, e il procurare di contenere i Fedeli ne'
loro [191] doveri per quei sussidj stessi che sono stati ad ognuno prescritti per eseguirli? Qual cosa
può giovare alla felicità dello Stato ed è in mano del suddito, che non sia anche in disposizion del
sovrano? E le sole pene corporali prescritte ad ognuno dalla cattolica Religione, perchè si mantenga
costante nell'intrapresa carriera della virtù e si distolga dal vizio, saranno così proprie d'ogni
cristiano individuo, che divenir non possano in mano de' Pastori utili stromenti di pubblica
edificazione e salute? Ah non è stata così incoerente la Sapienza divina nel concertare il mirabile
sistema della cattolica società: e la Chiesa fida interprete de' divini suoi ammaestramenti non li ha
mai interpretati così stortamente. Stese ella fin dal suo nascere il braccio autorevole a que' castighi
anche temporali e sensibili, che sono il soggetto della presente questione: e non mancano
nell'ecclesiastica storia esempi luminosissimi, onde renderli sempre più evidenti e sicuri. Lascio per
ora i tempi posteriori alla conversione di Costantino, i quali, sebbene venerabili per la loro antichità,
lasciano però ai nostri contraddittori il solito scampo di far passare quanto in essi fu fatto per una
liberal concessione de' Sovrani piuttosto, che un originario diritto dell'ecclesiastica podestà: li
richiamo ai tempi che l'hanno preceduta, ne' quali nè potevano i sovrani accordare ai Pastori, dei
quali erano dichiarati nemici, una tale podestà, nè potevano i Vescovi averla usurpata per vana
ostentazione ed orgoglio, che erano per la maggior parte uomini di gran santità e dottrina. Ora non
può negarsi che anche in questi tempi fossero in uso le pubbliche penitenze: e sebbene io non
pretenda che sin d'allora tutti i notorj colpevoli fossero sforzati con violenze esteriori a subire le
(462)
Serm. 357. de laude pacis.
122
penitenze suddette, come seguì poi dopo, e si rileva abbastanza dal canone 25. del Concilio di
Scialon, che prescrive il ricorso al braccio secolare a quest'effetto
(463)
; so però che lo erano almeno
coll'allontanamento e privazione de' sagri misterj, del che non mancano autentici ed antichissimi
monumenti. Parlano de' pubblici penitenti e della loro esclusione dai sagri misteri sinchè non
avevano soddisfatto ad un tal rito S. Ireneo, Tertulliano e S. Cipriano; e ne parlano come di cosa
così usitata ed antica nella Chiesa di Dio, e così contraddistinta dalle segrete incombenze [192] del
foro interiore, che sarebbe un fare aperta violenza alle loro espressioni e il non riconoscere un tal'
uso steso per tutte le Chiese e preveniente sin dai tempi apostolici e il non distinguerlo dai giudizj
ulteriori del foro sagramentale, che è sempre stato tutt'altro che quello di cui parliamo. Ma che altro
erano mai, ripiglia acconciamente al nostro proposito il Martene
(464)
, le pubbliche penitenze, che un
perenne esercizio di quell'autorità di cui si tratta? ed oltre la privazione di molti beni spirituali in
che altro si occupavano che in quelle pene e castighi temporali che sono in questione? Leggete
Gioanni Morino, il Tommasino, il lodato Martene e quant'altri hanno scritto sui riti è costumanze
antiche, e trovarete in tutti moltissime di quelle pene colle quali frenar suole la Chiesa anche ai dì
nostri i colpevoli. Logore e rozze vesti li ricoprivano; avevano i lombi cinti di aspri cilicj: lunghi
digiuni li estenuavano: di cenere portavano asperso il capo: e lunghe e disaggiate stazioni e dirotti
pianti, e laboriose prostrazioni, e nojose solitudini e ritiri, ed una totale privazione d'ogni esteriore
decorazione e sollievo li accompagnavano: e non sono queste pene tutte corporali e sensibili? e non
corrispondono ai digiuni, agli abiti di penitenza, agli esercizj di divozione, a certi sequestri e ritiri
ed alle pubbliche abjure che s'impongono anche adesso alla maggior parte di coloro, che sono dalla
loro Irreligione condotti al tribunal della Fede? Certo che tra
:
quelle non leggonsi le carceri, i
flagelli e gli esilj, che si praticano talvolta ai giorni nostri: ma non tutte pervennero a nostra notizia
le penitenze antiche, quantunque non lasci il Martene di mettere tra queste anche il carcere. Ma
quand'anche fossero allora mancate, ciò non vi deve fare nessuna specie, perchè bastano le già
accennate al nostro intento. E siccome la privazione d'ogni dignità e d'ogni comodo della vita e
decoro esteriore e il disagiato soggiorno e il digiuno e simili afflittive condanne non possono essere
escluse dal catalogo di vere pene temporali; così chi volesse cavillare sofisticando su questa
diversità non potrebbe più contendere con noi, se convenga alla Chiesa l'infliger pene temporali, ma
dovrebbe restringere i suoi dubbj a quali di queste pene si stenda il foro esteriore della Chiesa: e a
tutte escluderle non servirebbe più a [193] lui il pretesto della spiritualità del governo ecclesiastico,
ma dovrebbe ricorrere alla sola gravità delle pene individue, delle quali abbiamo già fissato di non
volerne formare una speciale discussione. Le quali pene però non essendo in sostanza diverse e dai
flagelli, che a detta di S. Agostino erano anche ai suoi tempi in uso in tutti i tribunali ecclesiastici,
ed a quei castighi che ai dì nostri suol praticare per se stessa la podestà della Chiesa, non vedo che
altre divise vestir potrebbe l'inutile opposizione, che quella di una semplice e pretta cavillazione.
Niuno giusto estimator delle cose troverà mai un divario notabile tra le carceri e gli ergastoli de'
giorni nostri e le segretarie, decaniche e monasterj che servirono a quest'uso ne' primi tempi; tra le
esclusioni dalle loro patrie e diocesi e le lunghe pellegrinazioni, alle quali si condannavano allora i
malfattori, e i nostri esilj; tra le privazioni, che s'intimavano allora de' pubblici ministeri ed officj, e
le nostre deposizioni; tra le abbondanti limosine, che s'imponevano allora a sollievo de' poveri, e le
nostre multe; tra la proibizione in fine di testare e succedere nell'eredità e le nostre confiscazioni, e
già vel dissi in altra mia, che non è da pretendersi un'esatta uguaglianza tra i primi ed i tempi nostri:
ed ora soggiungo, che la diversità de' castighi, che usa la Chiesa presentemente, tanto è lungi dal far
sospettare che non ne abbia innato il diritto, che anzi lo approva e conferma. Non si dilata altrimenti
eccelsa pianta, nè stende i vasti suoi rami che collo sviluppamento di quella forza e virtù, che da
principio inosservata stava nascosta nel seme. E voi cominciando da quei primi semi di coazione e
rigore, che vedete germogliare sin dal suo nascere, scorrete pure per ogni età del vasto regno di
Gesù Cristo, che sempre maggiore ne incontrerete l'estensione, e se la fatica vi pesa, ricorrete al
(463)
Collect. Concil. Harduin. Tom. 4. pag. 1035.
(464)
de Antiquis Ecclesiae Ritibus lib. X. cap. 6. art. 4. et 6.
123
Morino
(465)
ed al Martene
(466)
, che nell'immortali loro opere ne hanno dato un distinto ragguaglio.
Fornito poi di sì utili cognizioni ed autentiche prove, ridetevi e dell'ardire dell'Ab. Fleury, che
disapprova le risoluzioni e pratiche di varj Concilj, perchè presume d'aver dimostrato che non
conviene alla Chiesa il diritto d'infliger pene temporali
(467)
, e de' sforzi di varj Regalisti indiscreti,
che ripetono [194] l'origine di un tale diritto da liberale concession de' sovrani: e rispondete al
primo, che la sua presunzione è troppo palese, nè può smentire la solenne protesta del Concilio
romano, che sin dall'anno 803. senza far menzione de' sovrani favori ha dichiarato, che sulla scorta
de' SS. PP. e della non mai interrotta costumanza antichissima si appigliava a queste penali
risoluzioni: sicut a SS. PP. statutum est, et hodie synodali et apostolica auctoritate firmatur, penitus
abjiciantur (i Chierici delinquenti), et exilio suis omnibus sublatis perpetuo tradantur
(468)
. Dite agli
altri che non hanno diritto d'essere creduti senza prova dopo che tante ne esigono ove trattasi di
giovare alla Chiesa. Noi sì, che sulla scorta della famosa regola di S. Agostino
(469)
potiamo
decidere, che l'imposizione delle pene temporali è d'originario diritto apostolico dopo d'aver veduto
che in sostanza quest'è stata la pratica comune di tutti i tempi, anche di quelli ne' quali fremuerunt
gentes, et populi meditati sunt inania: astiterunt Reges terrae, et principes convenerunt in unum
adversus Dominum et adversus Christum ejus
(470)
, e che non si incontri ne' più reconditi arcani della
venerabile antichità un canone o un'editto sovrano, dal quale sia stata da principio introdotta: ed è la
nostra causa così trionfante e sicura, che quand'anche riuscir potesse ai nostri avversarj di ritrovare
un qualche editto o canone dal quale traesse l'origine, non lascierebbe per questo d'essere inviolabile
ed uno di que' diritti, de' quali scrisse già Zosimo Papa
(471)
che sine suo periculo temere nullus
incessat. Anche i privilegj divengono come diritti originarj, e sono irrevocabili, giusta il comune
sentimento, quando vengono accordati per ragionevoli motivi a persone non suddite, non affatto
gratuitamente, e la concessione è stata accettata ed autenticata da podestà superiore e confermata
dalla lunga pratica di molti secoli, come sarebbe avvenuto nel caso nostro. Ma già vel dissi, che la
supposizione non regge, ed il potere di castigare gli Eretici con pene anche temporali è di data più
sublime ed anteriore a qualunque liberale concessione de' sovrani, i quali lo hanno bensì potuto
approvare [195] coi loro editti, istruiti opportunamente dalla divina sorgente donde era nato, e
scoperta la necessità in cui era la Chiesa di farne uso, hanno potuto garantirlo e proteggerlo, ma non
mai supplire colla loro agl'impossibili mancamenti e difetti della sovrannatural provvidenza.
Questa non manca mai in ciò che è necessario: ed a farvi sempre più comprendere che non ha
mancato certamente nel conferire alla Chiesa quel diritto d'infliger pene temporali necessarie al più
spedito disimpegno delle sue grandi incombenze, a quanto vi ho detto aggiungo ora ciò che leggo
nel Vericelli
(472)
e nel Diana
(473)
, che se ne fa testimonio oculare, ed è che chiamata a diligente
esame dal tribunale del S. Officio sotto Innocenzo X. la seguente proposizione; Romani Pontificis
potestas, exigente fine spirituali, aut catholicae Fidei bono, indirecte ad quaecumque temporalia
non extenditur: non isfuggì la censura di ereticale, saltem reductive & secundario: e la loro
testimonianza fu riputata di tal peso dal piissimo Vescovo poi Cardinale Luigi Beluga, che meritò
d'essere inserita nella bellissima rimostranza che umiliò a Filippo V. Re delle Spagne
(474)
. Direte
forse che questa censura non è ancora promulgata legittimamente; ma se questa non basta, io
ripiglio che più di lei vi deve movere la S. Sede, che maestosa vi si presenta davanti armata de' più
solenni anatemi per abbattere il temerario ardire di tutti gl'impugnatori della sua esteriore
giurisdizione e diritto. Insegnava nel decimo quarto secolo Marsilio di Padova una dottrina
(465)
de Poenitentia.
(466)
de Antiq. Eccles. Rit. Lib. 1.
(467)
Discorso 7.
(468)
Collect. Concil. Harduin. tom. 5. pag. 504.
(469)
de Baptism. cont. Donatist. Lib. 4. cap. 24. n. 31.
(470)
Ps. 2.
(471)
Epist. 12. ad Afros int. Epist. Rom. PP. Coustant.
(472)
De Apost. Mission. tit. 13. q. 182. sect. 17. num. 51.
(473)
Tractat. 1. append. ad part. 10. resolut. 8.
(474)
Confutazione degli errori e calunnie contro la Chiesa tom. 1. num. 20.
124
chiamata da Ottone Vescovo di Frisinga
(475)
perniciosum dogma, & venenosam doctrinam, colla
quale pretendeva di sostenere, che omnes sacerdotes, sive sit Papa, sive Archiepiscopus, sive
Sacerdos simplex, quicumque sunt aequalis auctoritatis & jurisdictionis ex institutione Christi, sed
quod unus habet plus alio, hoc est secundum quod Imperator concessit, vel plus vel minus; & sicut
concessit revocare potest; ed insegnava inoltre che Papa vel tota Ecclesia simul sumpta nullum
hominem quantumcumque [196] sceleratam potest punire punitione coactiva, nisi Imperator daret
eis auctoritatem; e finalmente, ne Clericos proprietatem, nec Episcopos regalia, nec Monacos
possessionem habentes aliqua ratione sarvari posse, cunctaque haec principis esse, ab ejusque
beneficentia in usum tantum Laicorum cedere oportere. Si scosse allo strepito di tanti errori lo zelo
del buon Pontefice Gioanni XXII., e con una Bolla dommatica li fulminò, dichiarandoli sacrae
Scripturae contrarios, & Fidei catholicae inimicos, haereticos, seu haereticales & erroneos
(476)
. A
Marsilio, cui si unì Gianduno, sono succeduti in appresso Marc'Antonio de Dominis, Fr. Paolo,
Edmondo Richerio, Budeo e varj altri che hanno procurato di accreditare di nuovo i loro errori: ma
non fu meno pronta la S. Sede a conquiderli, e l'immortal Benedetto XIV rinnovò le condanne di
Gioanni XXII contro il pessimo libro del P. de la Borde, che posti li avea in migliore e più
seducente comparsa. E perchè il recentissimo Sinodo di Pistoja avea raccolti tra tanti altri errori
giansenistici e quesnelliani quanti mai se n'erano inventati a depressione della podestà della Chiesa
e ad avvilimento della suprema autorità della S. Sede, e questo stesso segnatamente che la spoglia
d'ogni esteriore podestà coattiva, così ben'a ragione lo zelo invincibile del gran PIO SESTO l'ha
preso poc'anzi nella dovuta considerazione, e contro di lui ha rinnovato le giuste condanne di
Benedetto e Gioanni, e ha dichiarati scomunicati tutti quelli che avessero ardire in appresso di
sostenerlo e difenderlo
(477)
. Che si ricerca di più per conchiudere che non è dunque questa
un'opinione in cui si possa arbitrare a capriccio, ma un sentimento autenticato da quell'oracolo
stesso, del quale Gesù Cristo ha provveduto la sua Chiesa a comune istruzione e governo? Si
desidera forse che parli la Chiesa se non con maggiore autorità e vigore con maggiore solennità
almeno adunata in un Concilio ecumenico? Questo istesso non manca: e ci somministra quanto
basta il Sinodo di Costanza, che avvalorato dalla presenza ed autorità del suo supremo Gerarca
fulminò tra le altre anche quella proposizione di Wicleffo, nella quale l'ostinato Eresiarca aveva
sostenuto che non era di diritto ecclesiastico l'abbandonare al braccio secolare chi [197] per le
censure non si era voluto emendare
(478)
. Aggiungete a tutto questo le varie altre condanne replicate
sì spesso contro simili impugnatori dell'esteriore e temporal coazione della Chiesa. Unite le salutari
istruzioni del Concilio di Trento che dà in più luoghi cenni chiarissimi di questa medesima
coazione
(479)
; e spero che non potrete negarmi che su questo punto la Chiesa ha parlato abbastanza,
nè avrete più motivo di ricercare da me schiarimenti ulteriori per esserne persuaso: ed io pago d'aver
corrisposto alle vostre brame con quello che ho detto sin qui, e d'avere con sodi ed autentici
documenti sostenuto il diritto che ha la Chiesa incontrastabile di decretare pene anche temporali,
lascierò a chi ha più pratica e cognizione di me il decidere se oltre il potere di decretarle a lei
convenga anche l'altro d'avere ministri suoi proprj che le mettano in esecuzione quando siano
medicinali e leggiere, o sia meglio che in questo implori sempre l'altrui braccio ed ajuto. Pare che
persuadano la prima parte i motivi seguenti; 1. il timor salutare che anche per questi mezzi i sagri
Pastori possono incutere nel cuore de' malvagi, utile anch'esso al miglior disimpegno del loro
impiego; 2. la più facile e pronta spedizione delle loro cause; 3. la più dolce maniera colla quale
sogliono essere eseguite le coazioni anche maggiori; 4. i pietosi officj e le caritatevoli istruzioni che
i buoni Pastori tengono riservate per quelli che mostrano di ricavar profitto dal sofferto castigo.
Cose tutte che o mancano affatto o divengono difficilissime, se non hanno i Vescovi carceri e corte
armata, e se data appena la sentenza resta il colpevole in mano d'altri, nè ha facile l'accesso a lui o ai
(475)
lib. 2. de Gest. Frider. Imp.
(476)
Raynald. ad ann. 1327. n. 35.
(477)
Bulla Auctorem Fidei num. 5.
(478)
Diritto libero della Chiesa Introd. al lib. 1., e cap. 4.
(479)
Sess. 13. cap. 1. de Reform., & sess. 14. de Poenit. c. 8.
125
suoi ministri per essere sollevato pentito, o istruito ignorante, o indocile con nuove premure
stimolato al pentimento. Ed oltre a ciò non è egli per se stesso un disordine il separare senz'urgente
motivo in un tribunale l'esecuzione dalla sentenza, colla quale esser deve per sua natura congiunta, e
il privare la Chiesa di una prerogativa, che il Sinodo di Magonza sin dall'anno 813, dichiarò d'antico
rito e costume ecclesiastico; nos autem, qui reliquimus saeculum, id modis omnibus observare
volumus, ut arma spiritualia habeamus, saecularia dimittamus, laicis vero, qui apud nos sunt, arma
portare [198] non praejudicemus, quia antiquus mos est, et ad nos usque pervenit
(480)
? Chi siano
questi laici, che armati stavano ai fianchi de' Vescovi, io non posso fissar con certezza: parmi però
che non andrei molto lungi dal vero se credessi che fossero di questa razza alcuni de' Copiati,
Decani, Parabolani, Fossarj ed altri tali operarj addetti ad impieghi laboriosi, pericolosi e servili, che
pendevano dalle disposizioni de' Vescovi; nè per altro motivo forse erano chiamati Chierici se non
perchè addetti al servizio de' Chierici e della Chiesa. Ne parlano dopo varj Padri e leggi imperiali
anche il Gotofredo
(481)
e il Bingamo
(482)
; e l'avere avuto bisogno delle provvidenze imperiali perchè
non riuscisse d'aggravio l'eccessivo loro numero alla pubblica quiete e sicurezza
(483)
può servire di
qualche appoggio al mio sospetto e di sodo argomento onde meglio avvalorare la congruenza di cui
vi parlo. Checchessia però di queste esecuzioni, siccome potrebbe taluno pretendere che anche
queste dovessero aver parte in quell'onorifica incombenza di proteggere e servire la Chiesa, che la
provvidenza divina ha riservata ai sovrani cattolici, così io non m'impegno, torno a ripeterlo, a
sostenere la loro necessità e convenienza per ogni luogo, nè mi lagno per ora nè di quelli che non le
hanno mai ammesse ne' proprj Stati nè degli altri che da qualche tempo per motivi a me ignoti ne
hanno privati i Vescovi ed Inquisitori; purchè però decretate che siano dal loro foro le temporali
coazioni, non rincresca alla podestà secolare di eseguirle, e dalla moltiplicità degli affari, dal vano
timore di qualche aggravio o da altre inutili gelosie non vada mendicando pretesti per impedirle. Il
diffidare della loro moderazione e giustizia è un far torto alla vescovile condizione e carattere.
Fanno torto i principi a se stessi, se cercano di restringere l'autorità e la libertà della Chiesa, della
quale per alto divin consiglio sono divenuti autorevoli protettori; ed il pretendere che fossero per
riuscire più giuste le pene temporali se fossero fulminate da un laico tribunale, o meglio eseguite se
affidate ai suoi ministri, è lo stesso che contraddire alle [199] divine disposizioni, ed è un pretendere
fuor d'ogni ragione che la pecora sia per provvedere ai bisogni dell'ovile meglio del suo pastore, e
che riesca per ordinario nell'esercizio delle cristiane virtù migliore e più esperto chi riceve le
istruzioni di quello che lo istruisce e perfeziona. Ma di questo abbastanza: mi volgo ora a maggiore
schiarimento del nostro argomento a dileguare i varj altri dubbj, che sono, non so come, derivati in
voi da principi sì giusti, e che sembravano più acconci a distruggerli che ad eccitarli. Non potendo
però in questa lettera, in cui mi sono diffuso anche di troppo, lo farò nel venturo ordinario, nel quale
vi mostrerò quanto poco soffra dalla fissata massima la spirituale podestà e condizione della Chiesa.
Accogliete intanto questa lettera come un nuovo attestato del sincero mio attaccamento alla vostra
degna persona, e credetemi sempre
(480)
Concil. Harduin. tom. 4. pag. 1013.
(481)
In Comment. ad L. 13. de Lustrali Conlat. et ad LL. 42. et 43. de Episc. et Clericis Cod. Theod.
(482)
Originum. lib. 3. cap. 8.
(483)
L. 4. de Episc. et Cler. Cod. Theod.
126
LETTERA DECIMASETTIMA.
Il diritto che ha la Chiesa di castigare gli Eretici con pene
anche temporali non fa cambiare stato al suo
spirituale governo.
anco male che non le spirituali delle censure ecclesiastiche, ma le sole pene temporali
lasciate in piena disposizione della Chiesa vi hanno recato una qualche apprensione. Questa
riserva mi persuade che i libri cattivi, che avete letti, non sono stati i peggiori. Questi s'inoltrano
assai di più; e dopo d'avere spogliato il tribunal della Chiesa de' temporali flagelli, furiosi
s'avventano alla sua destra, e tentano di privarla di que' fulmini istessi, che privano i colpevoli
d'ogni bene e vantaggio spirituale, e quella sublime podestà, che, al dire del Salmista, è nata a
renderla terribile ut castrorum acies ordinata, viene ristretta da loro o sulle cattedre annunciatrice
pacifica delle celesti istruzioni, o sugli altari benefica dispensatrice delle celesti benedizioni e
favori. Grazie al Cielo voi o non avete incontrati spropositi sì grossolani ed estesi, o non hanno
almeno fatto in voi alcun colpo: e voglio sperare, che molto meno vi riusciranno in appresso, e che
riconoscerete mai sempre nella Chiesa di Gesù Cristo quell'energia di esteriore coercizione, che
portan seco le censure ecclesiastiche, senza soffrir mai che alcuno o coi Wiclefisti ed Ussiti la neghi
affatto, o coi Giansenisti moderni la debiliti per modo, che nulla ritenga del suo antico vigore. A
compiere però del tutto l'integrazione e aggiustatezza delle vostre massime d'uopo è che vi
rassodiate meglio anche per quella parte, che l'uso riguarda delle pene temporali e sensibili; e che le
confessiate anch'esse di libera disposizione della Chiesa, allorchè sono medicinali e leggiere, senza
lasciarvi più sorprendere dallo scrupolo, che riuscir possano di qualche discapito alla sublime sua
condizione e carattere. Quell'alto grado di perfezione, che acquista il regno di Gesù Cristo e dalla
divina sua origine e dai vincoli superiori che legano tutte le membra tra loro e col loro capo, e dal
fine altissimo cui è diretto, tanto è lungi che [201] venga diminuito coll'ingerirsi talvolta in cose
materiali e sensibili, che anzi ne ritrae maggior' estensione e vaghezza. E come il celeste suo Sposo
disceso dal sen del Padre nulla ha perduto di quello ch'era per aver vestito le nostre fragili spoglie,
ed involto in rozzi panni e chiuso in vile capanna, acquistò nuovi pregj e splendori la divina sua
gloria; così nulla perde di sua celeste prerogativa la podestà della Chiesa, se a compiere il gran
disegno delle principali sue incombenze non delle sole superiori cose e divine ma si serve ancora
delle materiali e terrene; e queste sì che rivolte a più alte mete acquistano nelle sue mani nuova
forma e splendore, ma non perde quella l'eminente prerogativa di spirituale e celeste che ha
acquistata dagl'indicati principj. Chi la pensa diversamente forz'è che degradi dal sublime suo stato
non che la podestà della Chiesa ma la divina rivelazione ancora e tutto l'ordine superiore della
Grazia, che, al dir dell'Angelico
(484)
, alle naturali cose si appoggia, e sopra di loro s'inalza
mirabilmente: sic enim Fides praesupponit cognitionem naturalem, dic'egli, sicut Gratia Naturam,
et ut perfectio perfectibile. L'increata Sapienza formò la sua Chiesa non di puri spiriti ma di uomini
composti di carne ed ossa. Non si servì di sole interne ispirazioni ed ajuti per santificarli, ma
dell'acqua per rigenerarli, del pane e del vino per nudrirli spiritualmente, e della voce e delle
scritture per istruirli; nè di soli predestinati ma d'ogni sorta di visibili adoratori del divin nome volle
composto il celeste suo regno. Com'è possibile adunque che la temporalità e sensibilità delle cose
così disdica alla Chiesa che non ne possa far'uso liberamente? o com'è conciliabile, per dir meglio,
l'incoerenza de' nostri contradditori, i quali ben persuasi che nulla siavi da riprendere in lei allorchè
(484)
Part. 1. quaest. 2. art. 2. ad. 1.
M
127
per aggiungere nuove pecorelle al sagro ovile e per pascere e nudrire le già aggregate si serve e
dell'acqua e del pane e del vino e di tutto il sensibile apparato de' sagri riti e delle visibili cerimonie
colle quali e dalle materiali sue cattedre e dai marmorei altari dispensa le sue divine istruzioni e
misteri, movono poi sì gran rumore allorchè stende la mano ad un flagello per correggere un
difettoso suo Figlio e ricondurre all'ovile una pecorella smarrita?
Nè mi dite che v'è gran divario tra il promovere il bene [202] e l'impedire il male, e che
potendosi ottenere la salute dei buoni e la conversione degli empj per via di ammonizioni, istruzioni
e sussidj anche esteriori e sensibili, ma che nulla mostrino di cortigianesco e profano, non sono da
usarsi i flagelli, che collo strepito della loro forza e violenza l'avvicinano di troppo alle pompe e
clamori delle corti profane, e le dominazioni imitano ed i costumi dei regni di questo mondo. Nol
dite di grazia; chè non è combinabile il vostro scrupolo colle massime di S. Tommaso, dal quale
udiste poc'anzi che quanto v'ha nella Natura d'inferiore e perfettibile tutto serve di base all'Ordine
superiore, dal quale viene sollevato a maggior perfezione, e che lo strepito istesso e pompa esteriore
del principato non disdice del tutto all'Ordine spirituale che conserva qualch'uniformità coll'Ordine
temporale. Quello però che vi deve distorre maggiormente dall'ammettere una tale distinzione si è il
riflesso di non pregiudicare al vostro decoro, e di sfuggire il rimprovero d'esser ripugnante a voi
stesso, che tante volte ho dovuto fare in queste lettere ai nostri oppositori. Voi avete già accordata
alla Chiesa la libera facoltà di far'uso nelle sue condanne della scomunica: ma a questa vanno
annesse, all'insegnare di tutti i dottori, moltissime temporali penalità, e nella pompa e rito, col quale
suol'esser fulminata, imita talvolta lo strepito dell'altre comuni criminali condanne. Non può dunque
più comparire ai vostri sguardi sì grande il divano tra l'uso di queste pene e di altri castighi corporei
senza che grande si mostri l'incostanza de' vostri pensieri, tanto più che i castighi provenienti dalla
Chiesa non sono poi di tanto strepito quanto voi vi ideate. Arma ista, direbbe a questo proposito
Cassiodoro Cancelliere del Re Teodorico, juris sunt, non furoris. Haec ostentatio nimirum est
contra noxios instituta ut plus terror corrigat quam poena consumet.
Perchè però questi migliori sentimenti, che procuro d'inserire nell'animo vostro, non restino
appoggiati a sole prove indirette e semplici congetture, piacemi di premunirli di due esempj
luminosissimi, che soli bastano a mettere fuor d'ogni dubbio la controversia presente. Consiste il
primo in quei flagelli, dei quali più volte armò la destra il divin Redentore contro i profanatori del
Tempio. Risguarda l'altro la mirabile conversione di S. Paolo, che prostrato al suolo
dall'onnipossente voce del Redentore e percosso da penosissima cecità, [203] coll'ajuto della divina
grazia che operava inferiormente in tempo che l'afflizione lo molestava al di fuori, aprì gli occhj
della mente alla divina luce, e di vaso d'ira fu cambiato all'improvviso in vaso di elezione. Flagelli,
prostrazioni e corporali sciagure servirono allora a far risplendere vie meglio la divina podestà di
chi ne fece uso, ed hanno reso più luminoso e solenne il castigo degli empj e il ravvedimento del
peccatore; e le percosse e flagellazioni che usa la Chiesa per richiamare all'ovile le pecorelle
smarrite e tutto contenere il divin Gregge ne' cristiani doveri saranno adesso azioni indegne del
divin ministero e capaci di cambiare la medesima in tutt'altro regno da quello che uscì
dall'onnipotente destra del Redentore? Ah cessate una volta di temere senza motivo! e confessate
con S. Gregorio altrove citato, che non è solo conveniente, ma che oportet inimicis Ecclesiae omni
vivacitate mentis & corporis obviare. Quella discreta ingerenza, che si prende la Chiesa nelle cose
materiali e corporee, tanto è lungi dal deprimere dal sublime suo grado la spirituale podestà di lei,
che anzi la compie e perfeziona: e senza ragione hanno sempre in bocca i Regalisti moderni quelle
parole di Gesù Cristo, Reges gentium dominantur eorum, vos autem non sic, e quel regnum meum
non est de hoc mundo, che si leggono nelle Scritture, delle quali testimonianze nulla v'ha di meno
atto a confermare i loro spropositi. Tolga il Cielo ch'io voglia attribuire alla Chiesa la dominazione
de' Gentili, dalla quale non che l'umile Sposa del Redentore ma ogni sovrano cattolico esser deve
alienissimo; ma non dobbiamo per questo privarla di ciò che è indispensabile anche in ogni più mite
e religioso governo.
La gentilesca dominazione fu proibita anche ai Re d'Israello: Non elevetur cor ejus in
128
superbiam super fratres suos, così si legge nel Deuteronomio, con quello che segue
(485)
, e tutti
esclude gli eccessi di un sovrano gentile. Nè lo soffre adesso la divina clemenza ne' sovrani
cattolici, ai quali fa sapere S. Matteo
(486)
, che la vera e rigorosa dominazione è propria de' principi
infedeli; principes gentium dominantur eorum; ma non conviene alla sovranità dei Cristiani, ai quali
intima S. Paolo che non hanno diritto di negare neppure ai servi ciò che loro è dovuto; Domini quod
justum [204] est & aequum servis praestate
(487)
. Volgevano i Gentili al dire di S. Gregorio
(488)
, la
loro autorità a proprio particolare vantaggio, e trattavano i sudditi come schiavi; hoc inter Reges
gentium & Reipublicae Imperatores distat, quod Reges gentium domini servorum sunt, Imperatores
vero reipublicae domini liberorum. L'alterigia che nudrivano nel cuore era assai maggiore del fasto
e pompa, colla quale accompagnavano la loro dignità esteriore; ond'ebbe a dire Origene
(489)
,
principi Ecclesiae imitandum non esse principem gentium, nec eos aemulandos, qui imperium
potestatem suam impotenter exercent. Niente di ciò permette ai principi cattolici la Religion che
professano: vuole anzi che tutte rivolgano le loro premure a vantaggio de' sudditi, che non come
servi o schiavi, ma devono da loro considerarsi come figli amatissimi: non permette loro altra
pompa e fasto esteriore, che quello che non disdica alla cristiana moderazione, e vuole che questo
istesso venga accompagnato da quell'ulteriore umiltà e modestia, che è propria di tutti i Fedeli.
Anche a questi adunque ha interdetto Gesù Cristo di regnare alla foggia de' Gentili: ma se una tale
proibizione, non toglie loro il diritto d'infliger pene temporali, ma lo include, ed anche cattolici non
sine causa gladium portant, perchè vorrem noi, che sia per ciò disdetto ai sagri ministri il diritto
d'usarne, a quei ministri, io dico, ai quali non ha meno raccomandato Iddio e commesso di reggere
il divin Gregge visibilmente di quello raccomandi ai sovrani di governare i loro Stati, e nelle mani
de' quali ha posto non che le superiori e divine ma anche le cose materiali e corporee che sono
necessarie al suo regolamento? Potranno i sovrani cattolici anche fra lo strepito delle loro armi ed
armati, e fra lo splendore del maestoso loro trono esercitare le più terribili e solenni vendette senza
dominare alla foggia de' Gentili, e non potrà la Chiesa, che col diritto incontrastabile di farne uso tal
suole congiungere moderazione e dolcezza, che non ne usa mai quando trattasi di mutilazione e di
morte, soffre con gran longanimità e pazienza anche gli ostacoli che le si frappongono sì spesso
nell'esercizio delle coazioni più moderate e più miti, [205] e prima di dar mano ai supplicj fa
precedere le più amorevoli istruzioni, e vuole finalmente che i suoi ministri dopo d'avere esercitato
a dovere il loro ministero si dichiarino servi inutili ed il suo Capo servo de' servi di Dio? Non è
questo un grandeggiar da sovrano, ma un servir da ministro. Non è un'aspirare alle comparse più
luminose, come gl'imperfetti e non ancora abbastanza istruiti discepoli, ma un riputarsi anche
nell'azioni sue proprie come minor degli altri. Non è in somma un dominare alla foggia de Gentili,
ma un'eseguire in tutta la sua estensione l'incombenza che ha data Gesù Cristo ai Pastori, e
massimamente al Romano Pontefice Capo e maestro di tutti, di pascere e governare il suo Gregge,
la quale è più distante dal superbo dominar de' Gentili di quello sia il cielo dalla terra. Lo avvertì
Origene istesso nel luogo citato, il quale dopo d'avere inalzata alle stelle e raccomandata assaissimo
ai principi ecclesiastici la cristiana moderazione, perchè niuno argomentar potesse dalle sue parole
ch'egli disapprovava qualunque superiorità e rigore, soggiunge immediatamente, haec autem eo non
dicimus, quod nos ipsi inconsulto umiliemus sub potenti manu Dei, et juxta ipsius sermonem sub
ecclesiastico ministerio, quandoque vero juxta Apostoli effatum: peccantes coram omnibus
arguendi sunt, ut et caeteri timorem habeant: nonnunquam etiam potestate sua uti licet aliquos
tradendo Satanae in interitum carnis ut spiritus salvus sit in die Domini. Così egli combina a
meraviglia coll'umiltà e modestia de' principi della Chiesa l'esterior pompa e rigore del loro
ecclesiastico ministero.
Non è veramente la Chiesa tanto lontana dal rappresentare le sembianze di un regno di questo
(485)
Deuteron. cap. 17. v. 20.
(486)
cap. 20. v. 25.
(487)
ad Coloss. cap. 4. v. 1., & ad Ephes. cap. 6. v. 9.
(488)
Apud Baron. ad ann. 603. num. 6.
(489)
Comment. In Matth. cap. 16. num. 8.
129
mondo quanto è aliena dall'imitare la dominazion de' Gentili; chè, come abbiam veduto con S.
Tommaso, v'è tra loro qualche somiglianza e rapporto; ma non diviene per ciò regno di questo
mondo. Abusavano un tempo i Manichei, a detta dello stesso S. dottore, del testo di S. Luca, in cui
Gesù Cristo dichiara che il suo regno non est de hoc mundo
(490)
, per provare che i regni del mondo
erano informe parto del Dio cattivo; ma bastò a smentirli l'assurdità istessa del loro sistema. Ne
abusarono in appresso gli Anabattisti per distorre i Fedeli dal pensiero di obbedire ai sovrani; ma
furono convinti [206] di empietà dalle sentenze chiarissime di S. Pietro e S. Paolo. Ne abusarono Fr.
Paolo e Marcantonio de Dominis ed il Richerio per richiamare la Chiesa al solo diritto di spargere la
parola di Dio e di amministrare i sagramenti e rendere in istrane guise dipendenti dalla secolar
podestà i suoi Pastori; ma furono confutati dal Comitolo
(491)
dal Belarmino
(492)
dal Mamachio
(493)
e
cent'altri. Ne abusano adesso i moderni Giansenisti e Regalisti col fine medesimo, e segnatamente
per privare la Chiesa d'ogni diritto anche indiretto sulle cose temporali; ma restano confutati, a detta
di S. Tommaso istesso, dal testo medesimo, che nega bensì che sia la Chiesa regno di questo
mondo, ma non già che sia nel mondo. E vuol dire che non è del mondo, perchè non ha da lui
l'origine e le principali sue prerogative; ma è nel mondo, perchè è composto d'uomini che nel
mondo sussistono, e nulla a lui manca di tutto ciò che è necessario al suo buon regolamento e
governo. Ha beni sovrannaturali che lo sollevano ad un grado superiore a quant'altri nascono dal
mondo, ed ha beni e forze temporali che lo sostentano e difendono tra le miserie del mondo, e gli
uni e gli altri provengono da liberale disposizione del Cielo, il quale consapevole che i diletti suoi
figli e discepoli ne avrebbono avuto bisogno, non i primi soltanto a larga mano diffuse ma accordò
loro il diritto di provvedersi anche dei secondi, anzi promise loro ch'egli stesso ne sarebbe divenuto
generoso dispensatore, se più che ai temporali avessero rivolte le loro mire ai beni spirituali e
celesti. Pater vester scit, ecco come esprime la necessità che aveva il suo regno di unire alle celesti
e divine le cose di questo mondo, quia his omnibus indigetis, verumtamen quaerite primum regnum
Dei et justitiam ejus, et haec omnia adjicientur vobis. Non parla ivi del solo vitto e vestito, ma
anche di quella forza di cui trattiamo; e se quelli furono adombrati sotto l'immagine del palio, che
nella felice dilatazione del suo regno doveva essere aggiunto alla tonaca, fu questa delineata in
quella spada, di cui volle provveduto il Capo della Chiesa anche a costo di perdere la tonaca: vendat
tunicam et emat gladium. Il pretendere poi che basti questo a [207] farla cambiar d'aspetto è un
dimenticarsi che non sono i beni temporali nel regno di Gesù Cristo come ne' regni mondani beni
principali ma accessorj, che non dai principi ma da Dio solo ha il diritto di possederli, e che egli coi
suoi favori non mai distrugge e deteriora le opere mirabili delle sue mani. Nasce da questo quella tal
quale conformità colle cose mondane, che vi ho accennata con S. Tommaso, e niente di più: ed il
fine altissimo, al quale tende direttamente, ed i sublimi mezzi, che usa principalmente, soli bastano
non che a distinguerlo ma a convertire in cosa spirituale e celeste quanto v'ha in lui di temporale e
corporeo, ed anche quando usiamo di questi in carne ambulamus, sed non secundum carnem, come
dice S. Paolo: le quali parole commentando l'Angelico
(494)
soggiunge, che i regni del mondo quando
fanno uso della forza in difesa della temporal felicità pugnant in carne secundum carnem, ma
usandone la Chiesa pugnat in carne ma non secundum carnem, e gli stessi beni temporali in ordine
al fine divengono nelle sue mani spirituali e celesti. Leggete S. Tommaso nel luogo citato, e
resterete convinto che anche in questa supposizione il regno di Gesù Cristo non è del mondo ma è
nel mondo, e nulla discapita nel far uso de' suoi beni e della sua forza,
Sapete chi l'avvilisce e degrada? quelli che per timore di renderlo regno mondano lo cambiano
in un meschino collegio del mondo: quelli che lo espongono inerme a tutti gl'insulti perchè nulla
abbia di esteriore e violento: e quelli finalmente che per non farla a lui subordinata e soggetta
negano che la civile repubblica nel suo seno si perfezioni e sussista. Lo so, che anche S. Ottato si
(490)
Luc. cap. 12. vers. 31.
(491)
In lib. cont. 7. Theolog. Venet.
(492)
Apologia pro juramento fidelitatis.
(493)
Lib. 4. originum pag. 250.
(494)
2. ad Cor. c. 10. sect. 1.
130
servì un tempo di quest'espressione; ma oh quanto fa diverso il senso ch'ebbero sulle sue labbra
queste parole da quello che loro attribuiscono i novatori presenti! Molte sono le interpretazioni che
si danno a quel famoso suo detto, non respublica est in Ecclesia, sed Ecclesia in republica est
(495)
.
che voi potete vedere presso l'autore della confutazione degli errori e calunnie
(496)
altrove citato; ma
a parer mio non esige tanto studio, e mi sembra di vederlo così poco favorevole alle pretensioni de'
Regalisti, che lo credo anzi contrario e [208] opportunissimo a confermare la già data risposta. Nega
egli in quel luogo che la repubblica sia nella Chiesa e perchè una civile società può sussistere senza
di lei e perchè quantunque fedele e cattolica non altro può esigere dalla Chiesa che gratitudine,
assistenza e rispetto, e non può mai ingerirsi nè prevenire le ecclesiastiche risoluzioni in tutto ciò
che è di diritto suo proprio. Dice che la Chiesa è nella repubblica, perchè come le naturali
cognizioni alla rivelazione, la Natura alla Grazia, così serve il sistema delle civili società a più
facilmente raccogliere e meglio regolare le religiose società de' Fedeli, e trattandosi di affari che
interessano le sublimi sue mire può stendere la mano autorevole anche alle cose temporali e
corporee. Così l'anima è nel corpo, non il corpo nell'anima. Che poi S. Ottato abbia pensato in
questo modo non risulta soltanto dalle stesse sovraccennate parole, ma più ancora da quello che
aveva detto nel libro precedente, dove della podestà parlando di Gesù Cristo, e l'estensione
esprimendo de' molti beni che al suo regno appartengono, non est quidquam, premise, in aliqua
parte terrarum quod a possessione ejus videatur exceptum.... ei tota est donata terra cum gentibus...
totus orbis Christi una possessio est... hoc probat Deus, cum ait, dabo gentes haereditatem tuam, et
possessionem tuam terminos terrae: et in psalmo de ipso Salvatore sic scriptum est, dominabitur a
mari usque ad mare et a flumine usque ad terminos orbis terrarum
(497)
. Disse poi nel libro che
siegue, per escludere nelle cose di sua ispezione ogni altro dominio, che erano violenze
imperdonabili quelle che appoggiati al braccio secolare avevano usate i Donatisti per ispogliare de'
suoi beni la Chiesa, et illud praetermittere nequeo, quod nec Deo placitum est, nec a vestris
cultioribus excusari, nec ab aliquo homine defendi potest, per judicia saecularia et leges publicas
divinae legis instrumenta executione officiorum a plurimis extorquenda esse duxistis, volentes soli
habere, quod pax in commune possederat
(498)
. Sono questi i sentimenti dei novatori moderni, che
temono di avvilire il regno di Gesù Cristo solo che si renda in qualche cosa esteriore e visibile, e
trionfano poi se riesce loro di strascinarlo mendico ai piè d'ogni trono a ricercare non che il pane
che lo sostenti ma ogni ajuto e presidio [209] che lo conservi e difenda? È questa la mente dei
Regalisti, che persuasi che altro a lui non convenga che il benedire e predicare, quando pure gli sia
accordato dai principi, lo spogliano d'ogni forza e diritto, e delle prerogative lo privano non che di
celeste e divino ma di regno pur'anche e di vera società religiosa? Ah si vergognino una volta di
affettare zelo per la perfezione di un regno che tutto veder vorrebbono ruinato e disperso! e voi
persuaso che non muta stato e condizione perchè fa uso talvolta di cose temporali e corporee senza
mai perdere di vista le spirituali e celesti, prendete quindi motivo di ammirare sempre più questo
parto sublime dell'increata Sapienza, e di riconoscere in me che ho procurato di rappresentarvelo nel
suo vero aspetto quel buon servitore ed amico che mi pregio di essere; e pronto a darvene una
consimile riprova nel venturo ordinario, in cui vi spiegherò come bene si conciliano colla
mansuetudine che conviene alla Chiesa i suoi risentimenti e le sue collere, e come si danno nel
regno di Gesù Cristo con bell'intreccio la mano amichevole la giustizia e la pace, mi dico intanto
(495)
Lib. 3. de Schism. Donatist. c. 3.
(496)
cap. 2. §. 25. num. 4.
(497)
Lib. 2. cont. Donat. cap. 2.
(498)
Lib. 6. cont. Donat. C. 5.
131
LETTERA DECIMOTTAVA
Il castigare gli Eretici non pregiudica alla mansuetudine,
che conviene alla Chiesa.
uant'è inetta la discreta temporal coazione a trasformare la Chiesa in altro stato, tant'è impotente
a distruggere in lei quella moderazione e dolcezza che è tutta sua propria: e come la prima
metamorfosi non si può ideare senza estinguere il giusto concetto che aver si deve dell'una e
dell'altra podestà; così non si può stabilire la ruina della seconda senza sconvolgere la giusta idea,
che ha data Gesù Cristo delle virtù medesime. A rendervene persuaso io vi domando in primo
luogo, se parlando della moderazione e clemenza, intendete voi di discorrere di virtù così proprie
de' sagri ministri, che punto non appartengano agli altri Fedeli. A tutti, risponderete fuor di dubbio,
che appartengono, perchè a tutti Gesù Cristo le ha proposte come uno de' più nobili distintivi de'
suoi seguaci, e ha detto a tutti: Discite a me quia mitis sum et humilis corde
(499)
. Ma se sono virtù
morali, che a tutti convengono, dovranno adunque, ripiglio io, seguitarne i dettami non che i Pastori
del divin Gregge, ma tutti i magistrati cattolici: e se è così, rispondete un poco alla nuova inchiesta
ch'io vi faccio e ditemi, se la cristiana moderazione e clemenza sono o non sono compatibili ne'
tribunali laici colla giustizia vendicativa. Se non lo sono, di quale adunque vorrete voi spogliarli?
della lenità? ripugna il precetto di Cristo, che l'ha, come si è detto, ingiunta a tutti in comune, e
ripugna l'esperienza medesima, che ce li rappresenta assai più miti e moderati di quelli che vissero
ai tempi della barbara gentilità. Del diritto di pronunciare le giuste pene? oltre che con questo
ripiego non meno che col primo verreste a spogliarli di una di quelle prerogative, di cui fanno uso
senza contrasto, vi si oppone S. Paolo, che della podestà temporale dice assai chiaro, che non sine
causa gladium portat
(500)
. È dunque unibile ne' tribunali laici la giustizia punitiva colla cristiana
moderazione. Ma se lo è in questi, qual fatale necessità ci obbliga a crederla insociabile negli
ecclesiastici? [211]
So, e me l'insegna S. Agostino scrivendo ad Apringio
(501)
, che in questi clementer
commendanda est mansuetudo; e l'essere gli Ecclesiastici, come soggiunge l'Angelico
(502)
, non che
figli e seguaci, ma anche ministri del Redentore, e addetti in modo speciale al sagrificio pacifico dei
nostri altari esige, che una sì bella virtù sia da loro coltivata con maggiore esattezza, e sulla scorta
de' loro direttori e maestri anche i Fedeli devono coltivare in modo speciale una sì bella virtù; ond'è
che predisse il profeta che sul sagro monte di quest'amabile società sarebbesi con mirabile armonia
accosciato l'agnello col lupo, col capretto il pardo, col toro il leone, ed un solo primario pastore li
avrebbe governati tutti a dovere; e niuno sulle amene sue pendici sarebbe stato ucciso. Ma so altresì
che predicendo Davidde il governo de' seguaci di Gesù Cristo, disse che sarebbero stati diretti con
verga di ferro, reges eos in virga ferrea. Accenna il primo quell'abbondanza di carità che inondar
doveva il cuore de' buoni Fedeli; indica l'altro a detta di S. Basilio e di Genebrardo presso lo
Suarez
(503)
il rigore, di cui parliamo e più di lui lo spiega la frase di Geremia che del regno di Gesù
Cristo parlando disse che era destinato a dominare sopra ogni regno e nazione, ed a svellere e
distruggere quanto vi si trovava di depravato e cattivo anche colla verga e col fuoco
(504)
; e sia pure
(499)
Matth. 11. vers. 28.
(500)
ad Rom. 13. vers. 4.
(501)
Epist. 134. al. 160.
(502)
2. 2. quaest. 64. art. 4. in corp.
(503)
De Fide dist. 20. sect. 3. num. 21.
(504)
cap. 1. ver. 10. 11. & 13.
Q
132
codesto regno quanto esser si voglia mansueto e pacifico; questo non toglie la coazione di cui si
tratta, e c'insegna S. Basilio
(505)
che potest etiam mansuetus cum ratione excandescere, nec tamen
mansuetudinis dignitatem corrumpere; nam nullo modo commoveri, aut tempestive non indignari,
lenitudo fuit naturae, non mansuetudinis; e S. Gioanni Grisostomo
(506)
, che licet juste irasci: nam et
Paulus Elymae succensuit, Act. 13. ver. 8., et Petrus Saphirae, Act. 5. ver. 9.; sed id non iram
dixerim absolute, sed philosophiam, curam et oeconomiam. Irascitur enim pater filio, sed ejus
curam gerens. Ille est qui temere irascitur, qui se ipsum ulciscitur; qui autem aliena corrigit, is est
omnium mansuetissimus. Come la civile società più [212] che dal timore che hanno gli uomini
d'essere offesi, come con Obbes e Rousseau hanno pensato alcuni novatori moderni, nasce dalla
propensione ed amore che hanno dalla natura di giovarsi a vicenda; così nascono i castighi da
questa propensione medesima, e più che dalla collera che trasporti ad infligerli a vendetta sono
originati dal desiderio d'impedire che gli empj riescano altrui di nocumento e ruina; e dove
predomina la carità possono bensì le altre virtù acquistar nuovo lustro e splendore, ma non mai
ripugnare e distruggersi tra loro. Quindi è che la lenità e dolcezza strette con più sodi legami negli
Ecclesiastici a questa sublime virtù diverranno più luminose e perfette, ma non lascieranno per
questo d'essere congiunte come coll'altre tutte virtù morali così con quella della giustizia, che in
ispecial modo nella Chiesa di Dio alla pace s'unisce ed affeziona: e nascano pure da sdegno e
collera le sue risoluzioni; chè questo non offusca la sua dolcezza e splendore, ma l'ira stessa è
lodevole quando non è preceduta da impazienza ma dal solo zelo della giustizia: illa ex vitio, dice S.
Gregorio
(507)
, haec ex virtute generatur: e tanto è falso che si opponga alla bellezza delle morali
virtù, che anzi al dire d'Aristotele
(508)
e di Cicerone
(509)
l'ira è come la cote sopra la quale la fortezza
si raffina e perfeziona, ed è non che sociabile collo sdegno e coi castighi, ma vive sì strettamente
congiunta alla moderazione e clemenza, che neppure concepire si può senza di loro. Ponderate con
diligenza l'indole d'ognuna, e resterete convinto di quanto v'espongo.
Altro non è la mansuetudine, al dir dell'Angelico
(510)
, che una virtù la quale frena l'impeto
dell'ira, perchè non s'accenda indebitamente, e non passi ad atti viziosi: ed altro non fa la clemenza,
che mitigare le pene, perchè non si stendano oltre i confini di una discreta e ragionevole
moderazione. E qual campo resterà alla Chiesa di esercitarsi in quella, se non ha collere o zelo da
raffrenare, e nelle più gravi ingiurie non può concepire quel giusto sdegno, che sprona ad un
ragionevole risentimento? Come potrà ella essere clemente, se non ha pene da mitigare, ed è
sprovveduta di que' strumenti di risentimento e di collera, i quali sempre portano a lodevoli
operazioni, quando [213] restano dipendenti e soggetti a questa virtù, e nel calor dell'impresa non
vanno mai disgiunti dalla ragione, che li guida e dirige? Cum per zelum, così S. Gregorio
(511)
,
animus movetur, curandum semper est, ne haec eadem, quae instrumento virtutis assumitur, menti
ira dominetur, nec quasi domina praeeat, sed velut ancilla ad obsequium parata a rationis tergo
nunquam recedat.
Appoggiato a questi principj, che sono innegabili, ridetevi pure delle ciancie di costoro: e a chi
pretende di dimostrare, che la Chiesa non può castigare gli Eretici, perchè è mite e clemente,
rispondete pur con franchezza, che non sa ciò che si dica, e che la sua deduzione non solo non nasce
per legittima illazione dalle premesse, ma vi contraddice e ripugna espressamente, e con una
ridicola incoerenza viene a dire in sostanza che la Chiesa è e non è mansueta e clemente. È tale,
perchè, come vanno ripetendo con troppa frequenza, volle Gesù Cristo che queste virtù fossero uno
de' suoi ornamenti maggiori. Non è tale, perchè, come con troppa incoerenza soggiungono, non ha
zelo e collera da reprimere, nè pene da pronunciare. Noi soli siamo liberi da tante contraddizioni ed
(505)
Const. Monast. tom. 2. cap. 13.
(506)
in Psal. 4. ver. 5.
(507)
Job. 5. v. 2.
(508)
lib. 3. Ethic.
(509)
Acad. 4.
(510)
2. 2. quaest. 157. art. 1.
(511)
lib. 5. Moral. cap. 45.
133
abbagli, e provvediamo assai meglio al decoro della celeste Sposa del Redentore, che la discreta
coazione ammettiamo, di cui ho favellato sinora. E guardatevi, ripeterò a tutti i malvagi col profeta
Geremia
(512)
, dalle collere e dall'armi di quest'innocente colomba, a facie irae, a facie gladii
Columbae, che sebbene sia senza fiele e priva d'irregolari trasporti, ha però ale robuste ed agili da
percuotervi, e rostro pungente da spaventarvi. Nella nostra supposizione disapprova la Chiesa
nell'eresia un male gravissimo, che non può non essere oggetto delle comuni disapprovazioni. Ha
pene e giusti risentimenti, ne' quali occuparsi con lode. E se senza giusto motivo non si accendono
le sue collere; se le modera a tempo, perchè non eccedano; se perdona talvolta le pene, o le mitiga
con ragione; se paziente aspetta i colpevoli a penitenza; se li castiga per se stessa colle sole pene
medicinali e leggiere; se anche quando li abbandona non si dimentica di pregare ed insistere per la
loro conversione e salvezza; se paga in fine [214] d'averne decretata e stabilita la convenienza, non
mai si stende a fulminare ed eseguire le più forti e terribili; questa è lenità e clemenza, che può
convenire alla Chiesa, non quella che vorrebbero sostituirvi i nostri contraddittori, la quale
dissimula il male, è ad ogni danno insensibile, si perde in una vile inazione, e mostra d'approvar ciò,
che merita ogni risentimento e rimprovero. Dio stesso, che non alletta solo ed istruisce colle sue
grazie, ma mortifica e spaventa colle tribulazioni e castighi ha incoraggita la Chiesa a mischiare
colla dolcezza di madre anche il paterno rigore; e fra tanti esempj, che Gesù Cristo ha lasciati di
moderazione e clemenza, non ha mancato di darne alcuni di risentimento e rigore per premunirla
contro tutte le ciance e cavillazioni de' suoi impugnatori, V'ho accennati altrove la severità usata
cogli Scribi e Farisei, ed i flagelli impugnati contro i profanatori del tempio; aggiungo adesso, che
se nell'atto istesso che si accinge a prestare a tutto il genere umano i tratti maggiori di sua
amorevolezza e bontà, consegnando se stesso qual mansueto agnelletto al furore degli empj per la
salute di tutti, atterrò a scampo e difesa de' sbigottiti discepoli i furibondi sgherri preparati a
sorprenderlo; rimproverò i discepoli difettosi; ed abbandonò il perfido Giuda in braccio delle sue
furie, perchè e in vita, e dopo morte ne facessero strazio; non v'è chi possa a ragione pretendere, che
la mansuetudine, che aveva poco prima con tanto calore raccomandata ai discepoli stessi, sia così
schiva d'ogni temporal coazione, che non ne soffra alcuna connessione e consorzio.
In non dissimil guisa, come v'ho detto altrove
(513)
, tempera la Chiesa colla dolcezza il rigore;
ed ora mansueta e paziente spedisce inermi tra gl'Infedeli i suoi ministri, e colla predicazione li
invita alla Fede non d'altro premurosa che o d'acquistare nuove pecorelle al sagro ovile, o
d'accrescere i suoi trionfi col sangue de' suoi figliuoli; ora minacciosa e severa difende ne' paesi
cattolici le timide pecorelle, e spaventa colla pastorale sua verga i lupi rapaci, o troppo perniciosi e
protervi li abbandona ai più rigorosi castighi: non d'altro anche in quest'incontri sollecita, al dire di
S, Agostino
(514)
, che di procurare l'emenda delle pecorelle smarrite, o far sì che non sussistano ad
altrui danno e [215] ruina: ut quid enim, dic'egli, eos (gli Eretici) tanta cura vestigare atque
indagare conamur, nisi ut captos in apertumque productos, aut etiam ipsos veritate doceamus, aut
certe veritate convictos nocere aliis non sinamus? Risparmia anch'essa il castigo dove può vincere
colla persuasione e dolcezza, come Gesù Cristo allontanò le fiamme incenditrici da que' Samaritani,
che i discepoli volevano inopportunamente abbruciare. Ma se questo fatto mostra, che il
risentimento non è sempre lodevole, chi può credere per questo che l'abbia voluto escludere in ogni
incontro? Ciò che pensa S. Agostino di questo fatto l'avete inteso in un altra mia lettera. Sentite ora
come bene accordi S. Ambrogio
(515)
colla piacevolezza del Redentore l'imprudente allora, ma però
non ingiusto in se stesso nè sempre riprovabile rigor degli Apostoli: Quod discipulos increpavit,
quia ignem super eos descendere gestiebant, qui non receperant Christum, ostenditur nobis, non
semper in eos qui peccaverint, vindicandum, quia nonnunquam amplius prodest clementia tibi ad
patientiam, lapso ad correctionem;. passando poi a scusare ne' discepoli la stessa loro imprudenza:
Nec discipuli peccant, dic'egli, qui legem sequuntur: sciebant enim, et Phinees reputatum ad
(512)
cap. 25. ver. 38., & cap. 46. & 50. ver. 16.
(513)
Lett. 10.
(514)
lib. cont. mendac. ad Cresent. cap. 1. num. 1.
(515)
Exposit. Evang. sec. Lucam lib. 7. n. 27.
134
justitiam, quia sacrilegos interemerat, et ad preces Eliae ignem descendisse de Coelo, ut Prophetae
vindicaretur injuria. Fu di questa assai più imprudente ed impropria la condotta di S. Pietro nello
sguainare la spada contro i soldati, che assalirono il Redentore; e fu per ciò che a ragione venne da
lui ripreso anche più aspramente; ma il non averlo egli obbligato a deporre quella spada, che poco
innanzi aveva assunta di suo ordine, e l'avergli anzi comandato, che la conservasse presso di se nel
fodero come cosa di sua pertinenza e diritto, che altro significa, al dire, di Pietro Bertrando Seniore
Vescovo d'Ambrune e di Pietro Rugerio Vescovo di Sens, che furono poi il primo Cardinale, l'altro
Papa col nome di Clemente VI., e tanto scrissero nel secolo decimoquarto in difesa della
giurisdizione ecclesiastica, che altro significa, dissi, se non che conveniva anche a lui il dar di piglio
talvolta a temporali castighi, sebbene far lo dovesse non senza maggiore considerazione e riserva, e
non mai con vibrare [216] egli stesso un mortal colpo? Christus non dixit Petro, quod expelleret a
se talem gladium, sed reponert in vaginam penes se servandum in vagina, ut daret intelligi, quod
talis potestas si sit penes Ecclesiam, tamen ejus exercitum, quantum ad causam sanguinis, in nova
lege vult esse in manu judicis laicalis, secundum nutum vero & imperium penes sacerdotem
(516)
:
sentimento giustissimo, che avevano appreso da San Bernardo, le parole del quale io ho riportate
altrove. Il Dizionario storico degli autori ecclesiastici, stampato in Venezia nel 1768. da Gaspero
Storti, dice che, ben lungi dall'impugnarle, Pietro Rugerio sostenne le pretensioni di Pietro
Cugneres nemico implacabile ai tempi di Filippo VI. della giurisdizione ecclesiastica; ma questa è
una delle solite e frequenti imposture di questo libro; e quanto foss'egli fin d'allora impegnato a
sostenere i diritti della Chiesa lo dimostrano il Baluzio
(517)
, Ziegel-baver
(518)
, e la stessa risoluzione
del Re, che fu tutta favorevole agli Ecclesiastici.
A che stancarci però per ricercar prove e ragioni che dimostrino quanto sia conciliabile colla
coazione e rigore l'ecclesiastica moderazione e dolcezza, quando i nostri medesimi contraddittori
non ne possono dubitare, se pure vogliono in qualche cosa essere coerenti a se stessi? Negano essi
bensì alla Chiesa il diritto d'infliger pene temporali; chè quest'è che più d'ogni altra cosa interessa la
loro causa; ma non quello di punire gli Eretici colla scomunica, che non li turba gran fatto: e
sebbene anche di questa moltissimi ne parlino a capriccio, e chi la vuole privata solamente almeno
per cert'uni, chi l'ammette pubblica ristretta però alla sola privazione de' sagramenti e participazione
del culto pubblico, chi la vuole dipendente chi libera; tutti però convengono nel confessarla una
vera pena, e v'è tra loro chi tanto ne amplifica la gravità che la paragona ed antepone alle più gravi e
terribili. Ammettono adunque costoro anche ne' tribunali ecclesiastici la coazione, e sono costretti a
confessare per virtù de' loro stessi principj che è conciliabile coll'ecclesiastica lenità e dolcezza, se
pure non fanno professione d'essere [217] come negli errori così nelle incoerenze immutabili. Che
se a scanso di una così gagliarda opposizione volessero ricorrere all'ordine e specie diversa di
queste pene, non profittano di molto, nè migliora d'aspetto la loro incoerenza. La diversa indole e
natura delle pene spirituali e temporali lasciar possono bensì il campo d'esaminare se è possibile che
ambe provengano nella stessa maniera dalla spirituale podestà della Chiesa, com'ho fatto io nelle
precedenti mie lettere, ma non permetterà mai che si dubiti se una piuttosto che l'altra sia
conciliabile coll'ecclesiastica moderazione, alla quale se non si oppone l'asprezza di quelle pene che
spogliano l'uomo de' ricchi tesori del Cielo, molto meno si può opporre quella che toglie al corpo
quella naturale libertà, integrità e tranquillità che desidera. In somma convien che l'intendano
anch'essi i pietosi nostri avversarj, e confessino con S. Agostino, che aliud est charitas severitatis,
aliud charitas mansuetudinis: una quidem charitas est, sed diversa in diversis operatur
(519)
. Coi
caparbj e rivoltuosi Eretici essa è risoluta e severa, non per odio che porti alle persone, ma perchè
ama il loro ravvedimento e disapprova l'errore; cogl'ignoranti e pentiti è misericordiosa e paziente,
perchè più non teme il danno d'alcuno e si compiace del loro ravvedimento: e va così cangiando
stile e maniere, secondo ch'esige il bisogno, senza cangiar mai natura e sembianze. Non persequitur,
(516)
Bibloth. PP. tom. 4. pag. 877. edit. Paris. 1644.
(517)
Note alle vite de' Papi pag. 783.
(518)
Stor. letterar. de' Benedettini pag. 189.
(519)
Cont. Epist. Parmeniani lib. 3. cap. 1. n. 3.
135
scriveva Pelagio Papa a Narsete
(520)
, nisi qui ad malum cogit; qui vero malum vel factum jam punit,
vel prohibet ne fiat, non persequitur iste, sed diligit. Chi fu più mite di Mosè, che nelle proprie
ingiurie punto non si alterò e pose in dimenticanza se stesso per ottenere il perdono al diletto suo
popolo? questa sua dolcezza e carità ammirabile però non impedì che per salvare la maggior parte e
placar lo sdegno dell'oltraggiata Divinità, non eseguisse sopra molti Idolatri le più. severe vendette.
Chi di S. Paolo più benigno e pietoso, che si fece tutto a tutti per guadagnarli? eppure minacciò a
quelli di Corinto i più severi castighi, acciecò il mago Elima, e consegnò l'Incestuoso in mano dei
Demonj perchè ne soffrisse i trattamenti più dolorosi. Ma dopo gli esempj di Gesù Cristo, [218] che
ha unita in se stesso un'inalterabile moderazione e dolcezza coi più giusti risentimenti, non è da
addursi altr'esempio: e dobbiam confessare coll'istesso Coccejo nelle note a Grozio
(521)
, dove
scioglie appunto quest'istesso argomento, che come Iddio sa congiungere colla misericordia le più
severe vendette, così ha saputo unirle anche in noi senza che ne risulti alcuna inconvenienza e
disordine. Sane Deus misericors manet, etsi jastitiam exerceat, & nocentes puniat. Magistratus
igitur, qui vices Dei gerit, salva misericordia, & in veteri testamento punire crimina potuit, & in
novo foedere potest.
Nè vi faccia specie, torno a ripeterlo, quella maggiore piacevolezza, che, come si è detto,
conviene alle persone ecclesiastiche: chè rende la dolcezza e lenità maggiore, ma non dissimile a
quella degli altri Fedeli; e le conseguenze, che deve avere la sua maggior perfezione, voi le dovete
imparare non dagli eruditi moderni, che non sanno quel che si dicono, ma dalla Chiesa, che è
colonna, firmamento e maestra di verità. Questa ha giudicato, che niun genere di pena è
incompetente al delitto di eresia: e nei due Concilj Lateranensi III. e IV.
(522)
ha stabilito, che la sola
intimazione ed esecuzione delle cruente e capitali disdice all'ecclesiastica lenità. Queste sole azioni
adunque e queste pene dovete voi riputare improprie di quella maggior perfezione, che aver deve ne'
tribunali della Chiesa l'ecclesiastica moderazione; non quel discreto rigore che l'abilita non che alle
spirituali ma anche a determinate pene temporali. Che razza di bontà e misericordia sarebbe mai
questa, esclama qui acconciamente con Origene nel suo decreto Graziano
(523)
, che perdona ad uno
per metter tutti in pericolo? quae est ista bonitas, quae est ista misericordia, uni parcere, & omnes
in discrimen adducere?
Ridotte le cose a questi termini, tutto sarà coerente e ben'ordinato; e voi adottandole
rispetterete così nella Chiesa quella maestosa sovrana, che al dir de' Profeti, nelle giuste sue collere
divien terribile, come un'esercito preparato a combattere. Ammirerete nei sovrani que' valorosi
campioni, che sono destinati dalla provvidenza divina a prestare al regale suo trono l'opportuno
soccorso. E lasciando alla Chiesa quel privativo diritto, che ha ricevuto da Gesù Cristo, di giudicare
delle cause di Fede, e quella discreta coazione, che è inseparabile da ogni vera giurisdizione
esteriore, giacchè jurisdictio sine modica coercitione nulla est
(524)
, nè stenderete la mansuetudine
della Chiesa a quelle pene, che disdicono alla maggior perfezione dello Stato degli Ecclesiastici, nè
l'autorità de' sovrani a quei giudizj, che ripugnano alla loro condizione e carattere. Ma. questo è
appunto ciò, che vi ha recato molt'apprensione, e vi fa temere, che una tale distinzione di giudice e
di esecutore e non convenga per se stessa all'unità della causa, e provveda assai male al decoro del
principato, che di sovrano qual'è diviene nello stesso suo Stato ora spettatore ozioso delle
esecuzioni altrui, quando le pene sono miti, ora pedissequo e mero esecutore de' giudizj
ecclesiastici, quando portano seco la mutilazione o la morte. Ma non sono questi scrupoli che sogni
e chimere non meno vane e ridicole delle dileguate sinora; e svaniranno ben presto poichè vi avrò
dimostrato in altra mia, che il nostro sistema s'accorda bene egualmente colla mansuetudine che
conviene alla Chiesa e colla maestà de' sovrani e l'unità della causa. Vi costa poco l'aspettare
un'altro ordinario per ricevere una più chiara ed importante istruzione su questi punti rilevantissimi.
(520)
Epist. 3. tom. 6. Concil. Labbei.
(521)
Lib. 2. cap. 2. §. 11.
(522)
Conc. Lateran. III. cap. 26. de Haeret., Conc, Later. IV. cap. 3. de Haeret. tom. 13. Concil. Labb.
(523)
Dist. 45. can. 17. Sed illud.
(524)
L. 5. ff. de Officio ejus, cui mandata est jurisdictio
136
Conservatevi intanto in buona salute, e siate certo che non lascierò mai di essere quale mi protesto
137
LETTERA DECIMANONA.
Quale e quanto decorosa incombenza attribuisca la Chiesa
alle podestà secolari nelle cause di Fede.
on preme meno alla Chiesa la sussistenza della temporal podestà de' sovrani che la
conservazione della propria: e se questa è da lei procurata con ogni diligenza, perchè parto
illustre di quella Sapienza infinita, che l'ha stabilita nel mondo a ristoro della misera umanità quella
merita tutta la sua attenzione, perchè destinata da Dio a giovarla e proteggerla: quindi è che si è
mostrata mai sempre instancabile non solo nella propagazione e conservazione di se stessa, ma
anche nella difesa di quei diritti che al principato appartengono: e non è mai nata alcuna eresia a
danno della secolar podestà, che non si sia presa la cura di condannarla; e niun'Eretico ha mai
vibrato contro di lei alcun colpo, che non abbia cercato di ripararlo colla sovrana sua autorità e
potere: ed ha in ogn'incontro dimostrato assai chiaro con quanta sincerità abbia nel Concilio
Lateranense adottata la massima del Pontefice Pasquale II., il quale scrisse a Basilio Re di
Gerusalemme, che non voleva che la dignità della Chiesa fosse di alcun discapito all'autorità de'
sovrani: Nolumus pro ecclesiastica dignitate principum potentiam mutilari. Nacquero nel declinare
del 13. secolo i Beguardi, ed a debilitare l'autorità della Chiesa non meno che de' sovrani
insegnarono, che i Cristiani perfetti non erano più soggetti all'obbedienza di alcuna podestà umana:
e pronto accorse a condannare l'errore il Sinodo Viennense
(525)
e molti di loro furono assoggettati in
seguito al meritato castigo. S'avanzò più oltre Wicleffo nel 14. secolo, e disse, che nullus est
dominus civilis, nullus est Praelatus, nullus est Episcopus, dum est in peccato mortali; e che
populares possunt ad suum arbitrium dominos delinquentes corrigere; ma sono note le condanne,
che riportarono i suoi errori nel Concilio Costanziense e l'autore istesso, quantunque [221] già
trapassato: nè fu diverso il trattamento che ebbe ancor vivente Gioanni Hus, che tra gli altri avea
rinnovato il primo degli accennati spropositi. Fu dallo stesso Concilio condannato anche il
sentimento di quelli che insegnavano essere lecito ad un privato l'uccidere il Tiranno; e questa
condanna fu approvata e confermata da Paolo V.
(526)
. Non meno pronti di lui si mostrarono
Alessandro VII. ed Innocenzo XI. nel proscrivere molt'altre censurabili proposizioni di que' rilassati
Casisti e scandalosi Quietisti, i quali asserivano o che non peccava il popolo che senza ragione
ripudiava la legge del principe, o che non era obbligata ad altro una persona spirituale che a prestare
ai suoi Superiori un'obbedienza esteriore, e non potevano questi comandare la manifestazione del
loro interno nel foro esteriore. E non paga poi la Chiesa d'avere presidiata la maestà del trono col
celeste suo magistero, ha steso altresì in più incontri l'autorevole braccio a suo sostentamento e
presidio, e cogli usati suoi fulmini e castighi non solo negli accennati incontri ma in molti altri ha
spaventati tutti coloro che si sono sollevati per disturbarla. Parla di questi il Tommasino
(527)
; e sono
noti i solenni anatemi vibrati dal Sinodo Costantinopolitano contro i ribelli dell'Imperator
Costantino; l'impegno preso dal Concilio Turonense per consolidare i popoli nell'obbedienza di
Carlo Magno; e la scomunica fulminata dal Sinodo d'Acquisgrana contro chiunque avesse mancato
alla fedeltà che aveva giurata a Lodovico Pio; e l'assunto preso dal Concilio Tullense per richiamare
all'obbedienza di Carlo Calvo Salomone usurpatore dell'Aquitania; e quanto fece in fine e quanto
s'adoprò senza mai stancarsi la Santa Sede, perchè non ricevesse alcun discapito il giovine Re Carlo
il Semplice dal Re Eudone, che aveva intrapresa un'ingiusta invasione del regno di Francia, e con
tant'altri assistiti da lei mai sempre col senno e colla mano allorchè venivano minacciati
(525)
Clemente Ad nostrum 3. de Haereticis.
(526)
Constit. 241. Bullar. Rom. tom. 5. part. 4. pag. 170.
(527)
V. & N. E. D. par. 2. lib. 3. cap. 93.
N
138
ingiustamente. Lo vide Eleonora Regina d'Inghilterra, e fu così persuasa di quest'incontrastabile
verità, che fra le maggiori sue angustie non trovando altro rifugio che quello che le faceva sperare la
sagra autorità del supremo Gerarca del cristianesimo, animata dalla più soda speranza di
conseguirlo esclamò scrivendo a Calisto III., nonne Petro Apostolo, & in eo vobis omne regnum
omnisque potestas regenda committitur? Benedictus Deus, qui talem potestatem dedit hominibus!
Non Rex, non Imperator, aut Dux a jugo vestrae potestatis eximitur
(528)
.
Senza vagare però per le storie della più rimota antichità, quello che hanno fatto ai dì nostri
l'Arcivescovo di Cagliari, il Vescovo d'Alghier e varj altri Vescovi di diversi Stati e nazioni per
conservare ai rispettivi sovrani ubbidienti e soggette le loro diocesi, e quanto ha fatto e fa tuttora
coll'autorità, col consiglio e con ogni più efficace maniera di religiosi sussidj l'instancabile zelo di
PIO SESTO per richiamare alla smarrita tranquillità la misera Europa, sono prove incontrastabili
della molta propensione e rispetto che nutre la Chiesa per tutti i sovrani. So che le cure paterne dei
nostri Pastori non hanno oggi l'esito felice ch'ebbero un tempo quelle di Celestino III. a favore
dell'Imperatrice Costanza
(529)
, di Sisto V. a pro della nobiltà Genovese, di Gregorio XIII. a difesa
del gran Maestro di Malta
(530)
, e di molti altri Ecclesiastici a conforto e vantaggio di principi e
nazioni perseguitate: il divario però non è da attribuirsi nè a mancanza di zelo nei protettori, nè a
languore e debolezza di quegli officj che s'interpongono a comune vantaggio. Tutta la debolezza e
mancanza risulta dall'indisposizione e non curanza di chi deve ascoltarli: e questo è il guadagno che
hanno procurato colle loro maldicenze e schiamazzi alle cattoliche società i falsi politici, ed è
questo il frutto che ne hanno riportato i sovrani coll'ascoltarli. Debilitato ne' popoli il buon concetto
che professavano in addietro all'autorità della Chiesa, e con questo anche l'attaccamento alla
Religione, non può più fare i colpi suoi soliti l'ecclesiastico ministero, ed i sovrani e i popoli privi di
sì forte sussidio forz'è che cedano all'insidie e violenze de' scaltri loro persecutori; ed una fatale
sperienza ha fatto loro conoscere quanto sia vero ciò che sulla scorta del Pontefice Clemente VIII. e
del Cardinal Beluga disse il bravo confutatore degli errori e calunnie contro la Chiesa e la sovranità,
scrivendo che non può lungamente mantenersi [223] in vigore la podestà dei Re, la tranquillità dei
regni, l'obbedienza de' popoli e la purità della Religione ove s'intacchi la giurisdizione,
ecclesiastica, s'atterri l'autorità della S. Sede apostolica, non si presti ai ministri di Dio il dovuto
rispetto, e finalmente a Dio non si renda quello che a Dio appartiene
(531)
.
Ma tutto va bene, voi ripigliate non ben persuaso della costante volontà della Chiesa di
sostenere e difendere i sovrani diritti, tutto va bene, ed è certissimo che è stata loro talvolta
utilissima: chi può negare però che non se ne debba concepire gran gelosia e sospetto a fronte di
tanti aggravj che la pubblica podestà ha ricevuti in tant'altri incontri, e dell'abituale avvilimento che
fa della sovrana sua maestà, con pretendere d'averla sempre o spettatrice inoperosa delle più miti, o
vile e mera esecutrice delle maggiori vendette? Sono questi i dubbj che tra varj altri voi mi avete
proposti nell'ultima vostra, ed io mi sono riservato di sciogliere in questa; e debbo farlo con tanto
maggior diligenza quanto più mi stringe la fatta promessa, e quanto esser possono più seducenti e
vistosi i motivi dai quali vengono spalleggiati.
Non aspettate però da me, amico carissimo, che riandando le cose già dette voglia in questo
luogo ripetere e dimostrare di nuovo quanto fuor di proposito vengano esagerati dai falsi politici gli
aggravj fatti dall'ecclesiastica alla secolar podestà. Questi o non sono veri, e non possono recar
pregiudizio alla nostra causa; o sono veri, e tutt'altro dimostrano che la malvagità di un potere, che
inalzato da Dio nelle cattoliche società non può essere che ordinato al comun bene: e sarebbe cosa
veramente ridicola l'attribuire gli sbagli ed aggravj nati dall'ignoranza e malizia di qualche
amministratore a quella podestà, di cui egli ha abusato, quando non ha mancato giammai la Chiesa
di disapprovarli altamente, e di usare i mezzi più efficaci per evitarli. Ella fece sapere a tutti i
sovrani per bocca del Concilio Lateranense, come testè vi ho detto, che non voleva che la loro
(528)
Apud Baronium ad ann. 1195. num. 8.
(529)
Piatti Stor. de' Papi tom. 7. sez. 12. pag. 40.
(530)
Leti vita di Sisto V. lib. 4.
(531)
Avvertimento al lettore tom. X. pag. 15.
139
autorità riportasse alcun discapito dall'autorità della Chiesa. Si protestò colla voce di S. Gelasio
Papa
(532)
d'aver bisogno del loro soccorso, perchè Gesù Cristo aveva disposte le cose per modo, ut
& christiani Imperatores [224] pro aeterna vita Pontificibus indigerent, & Pontifices pro
temporalium cursu rerum imperialibus dispositionibus uterentur. E confermando coi fatti quanto
aveva insegnato, non mostrò ella la sua premura del bene di tutti, e l'impegno che aveva che fosse
dato a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio e quando si oppose alla usurpazione
che disegnava di fare a danno del Duca di Savoja il Vescovo di Basilea, e quando pacificò tanti
regni e provincie lacerate da guerre crudeli, e quando la voce adoprò e lo zelo de' suoi migliori
ministri per acquietare le più terribili sollevazioni di Napoli e di tant'altre città? E dopo tante e sì
replicate dimostrazioni di attaccamento e rispetto, che tutte sarebbe cosa impossibile di rammentare,
vi sarà poi chi possa recare in dubbio la costante premura e trasporto che ha sempre nudrito la
Chiesa di riuscire a tutti in qualunque maniera utilisima? E pochi aggravj nati talvolta da accidentali
combinazioni e spenti per lo più da lei medesima nel loro nascere dovranno preponderare ai perenni
ed innumerabili beneficj che non cessa mai di diffondere a larga mano anche ai dì nostri a vantaggio
di tutti? Pazzie sono queste da non cadere in mente che di frenetici deliranti, e che voi troverete già
dissipate nella quinta mia lettera, e meglio prima di me dal grande Agostino dove delle leggi
parlando e della società dei Fedeli, tu, dice
(533)
, cives civibus, gentes gentibus, et prorsus homines
primorum parentum recordatione, non societate tantum, sed quadam etiam fraternitate conjungis.
Doces Reges prospicere populis, mones populos se subdere Regibus.... ostendens quemadmodum &
non omnibus omnia, & omnibus charitas, & nulli debeatur injuria. Il perchè lasciata in disparte
questa prima vostra obbiezione, tutto mi volgo a sciogliere gli altri dubbj, i quali sebbene non siano
di grande impaccio, non possono però essere esclusi con una generale eccezione, e fondati sulla
pratica e sentimenti della Chiesa stessa meritano una più precisa risposta.
E per farmi dal primo io ripeto con ogni asseveranza che trattandosi di pene leggiere ha la
Chiesa per se medesima diritto di usarne senza altro esigere dal principato cattolico che la
protezione e difesa di quella libertà e diritto che ha ricevuto dal Cielo; e credo d'averlo mostrato
abbastanza nelle passate [225] mie lettere: quello che non so capire si è, come mai possa essere
caduto in mente di uomo che pensa e ragiona, che questo pregiudichi all'autorità dei sovrani. Non
ne fa uso liberamente anche il padre, coi difettosi suoi figli, il marito colla moglie indocile, il
maestro coi negligenti scolari senza che ne risenta alcun danno la pubblica autorità? Eppure difetti
correggono perlopiù che interessano la tranquillità dello Stato; e sono stati più volte oggetto della
pubblica vigilanza. E come poi dovrà dirsi che ne risenta aggravio allorchè ne fa uso la Chiesa per
que' soli delitti, che sono di sua privativa ispezione? Non perde il sovrano il diritto d'usarne perchè
se ne serve la Chiesa: nè l'uso delle cose comuni può riuscire altrui d'avvilimento e d'aggravio. Sto a
vedere che a tal segno giunga in fine la gelosia di Stato, che neghi alla Chiesa anche il diritto di
premere il suolo che abita, di respirare l'aria in cui vive e di vagheggiare il sole, perchè cose sono
queste al vescovato non meno che al principato comuni. Se si trattasse di sostenere l'immunità delle
persone e de' beni ecclesiastici, che mette qualche limite alle sovrane disposizioni, non sarebbe
neppure in questo caso conveniente il lagnarsi di una tale limitazione voluta da Dio, che è di tutto il
padrone; ora quanto più sarà inconveniente ed ingiusto il mover dispute nel caso nostro, nel quale
non resta diminuita in canto alcuno l'autorità del sovrano, e non per altro motivo si serve la Chiesa
della forza temporale se non perchè lo esige il vantaggio spirituale del divin Gregge, e ad essa sola
ha affidato Gesù Cristo il grande affare dell'eterna salute degli uomini, ed ai suoi Pastori il diritto di
pascerlo e di governarlo e di far tutto ciò che può convenire alla sua ampliazione e custodia? Eppure
questo e non quello del padre, del marito e del maestro, e più ancora delle accennate esenzioni è
stimato da' Regalisti indiscreti insociabile colla sovrana podestà, e nemico implacabile del reale
scettro. E notate cosa veramente incredibile. Sorge un fanatico delirante, e nemico del trono non
meno che dell'umanità non vede l'uomo felice che nella solitudine, e lo vuole destinato dalla Natura
ad errare mendico tra gli orrori d'un bosco ed i pericoli della foresta. Costretto poi dalla necessità a
(532)
Collect. Concil. Harduin. Tom. 2. pag. 934.
(533)
de Morib. Eccles. Cath. lib. I. cap. 30. num. 63,
140
vederlo unito in civile società non trova altra strada onde rendere meno pesanti i volontarj suoi
ceppi che quella di fissare nei popoli l'inalienabile sovranità, e non altro riconoscere ne' sovrani che
un puro ministro amovibile ad ogni [226] cenno del popolo dominatore. Sono queste le basi
fondamentali di quel patto sociale, che ha inventato l'atrabilare Rousseau, proscritto dalla sagra non
solo ma anche dalla civil podestà, e nemico egualmente e dell'altare e del trono. Il patto è questo
insussistente ed antivangelico, che ammesso anche in parte non lascia all'umane azioni altra ragion
di delitto che il danno della civil società, altra deformità non trova nelle più abbominevoli
operazioni che la semplice violazione di un patto umano, ed altro non fa scoprire ne' popoli che una
sognata libertà che è un vero libertinaggio ed un'impossibile uguaglianza che tutto turba e
sconvolge, senza che abbiano più alcuna forza a frenarlo o le pene e i tormenti più rigorosi creduti
impraticabili in questa supposizione, o la bellezza e decoro della virtù spacciata quale ingegnosa
invenzione della politica più insidiosa. Chi e però tra i letterati alla moda che si risenta al rimbombo
di sì enormi empietà? Chi è che le detesti come conviene, se neppure i più esposti a sperimentarne
le funestissime conseguenze tutti le disapprovano quanto basta? Non succede così, se avviene che in
vista del gran pericolo, cui vede esposta in questo sistema la Religione e lo Stato, un ministro
evangelico alza la voce, e rinnovando le salutari istruzioni de' nostri più accreditati dottori insegna,
che è naturale all'uomo la società, e che sono e voluti ed autorizzati da Dio medesimo tutti i diritti
de' sovrani, e che la loro autorità, comunque abbia la sua origine, è indipendente da tutti, e non ha
da venerare e temere qui in terra altr'autorità superiore, che sia in mano degli uomini, che la
spirituale conferita da Gesù Cristo medesimo ai Pastori della sua Chiesa, anche a vantaggio degli
stessi sovrani resi per lei meglio istruiti ne' loro doveri e più rispettati dai loro sudditi e più sicuri sul
trono, nè per altro sollecita dei beni e forze temporali che pel rapporto che aver possono colle cose
spirituali e celesti. Ora che si fa dai letterati suddetti e dai falsi politici al suono di sì salutari
istruzioni? Invece di plauso s'alzano clamori incredibili e da tutti i novatori si grida al fanatismo,
alla crudeltà, alla ruina totale del trono e dell'umanità. Si può dare perversità di giudizio e
incoerenza maggiore di questa? Non succede però a mio credere sì gran disordine senza consiglio
altissimo di superior provvidenza, che lo permette perchè tra tante incoerenze e sciocchezze meglio
risplenda in fine la cattolica verità, e prepara a lei per tal modo la [227] strada di trionfare col
tempo, dopo che dileguate le tenebre, tra le quali la tiene ora involta la malvagità degl'increduli,
arriveranno a comprendere i sovrani che non già l'ingerenza della loro fida alleata, ma devono
temere le violenze ed insidie de' loro esecrabili adulatori: e potremo allora ripetere con maggior
libertà ciò che disse ai suoi giorni l'incomparabile S. Agostino ai sovrani d'ogni gente e nazione
ingelositi per non dissimile maniera ed allarmati da pessimi ingannatori contro l'autorità della
Chiesa: audite ergo Judaei & gentes, audi circumcisio, audi praeputium, audite omnia regna
terrae; non impedio dominationem vestram in hoc mundo: regnum meum non est de hoc mundo.
Nolite metuere metu vanissimo, quo Haerodes ille major, cum Christuis natus nunciaretur, expavit,
& tot infantes, ut ad eum mors perveniret, occidit: timendo magis quam irascendo crudelior.
Regnum meum non est de hoc mundo
(534)
.
Ma sarà dunque, voi dite, ne' casi di coazioni più miti la podestà de' sovrani spettatrice
indolente dell'altrui esteriori disposizioni? e potrà vedere senza ribrezzo sorgere nel suo seno
un'autorità da lei indipendente, che per umani interessi potrà talvolta esserle di pregiudizio
gravissimo? In tant'altre azioni si esercita la Chiesa, delle quali convien pure che il principato si
mostri spettatore inoperoso, o piuttosto ammiratore e veneratore divoto delle sue disposizioni, senza
punto ingerirsi nelle medesime, se pure contro i divini divieti non vuole egli con aperta empietà
stender la mano all'incensiere e farsi Capo e padrone della Religione non meno che dello Stato,
ch'io non vedo alcun'inconveniente se fosse costretto a far lo stesso anche nella coazion degli
Eretici. Non gli uomini ma Dio ha data alla Chiesa, come si è dimostrato, una tale incombenza; e
nulla vi discapita l'uomo a farsi spettatore ossequioso delle disposizioni del Cielo. Nè mi dica Fr.
Paolo ch'è nuova affatto questa forma di governo, e che nella stessa repubblica non sono mai state
(534)
In Joann. Evang. tractat. 115. num. 2.
141
immaginate da alcuno degli antichi filosofi e legislatori due supreme potestà. Nol dica di grazia, che
riuscirebbe a me troppo facile lo smentirlo co' passi de' primi sapienti della Grecia e del Lazio, i
quali hanno fatto sempre gran conto negli Stati [228] della religiosa non meno che della civile
podestà
(535)
: e quand'anche riuscisse a lui di mostrare, che non è mai giunta a tanto l'umana politica
d'immaginare in uno stesso civile governo un'altro impero religioso da lui indipendente e distinto,
che il forte suo braccio stendesse anche a coazion temporale, non resta atterrito per questo il dotto
Card. Pallavicini, che dalle moltissime cose che ignorarono gli antichi sapienti sprovveduti di quegli
ajuti superiori che hanno rischiarate le tenebre de' tempi posteriori, e da quel molto di più che era da
aspettarsi da quella luce divina che è discesa dal Cielo a riparare i danni della misera umanità, che
non potevano essere ristorati abbastanza dal basso immaginar de' mortali troppo limitato e difettoso,
argomenta assai bene che non disdice questa doppia podestà che regna in un cattolico impero, ma
che è anzi da pregiarsi moltissimo e per la Sapienza infinita, che l'inventò e la introdusse fra noi, e
pei sommi vantaggi che ne risultano, e ch'egli descrive minutamente nel luogo medesimo
(536)
. Non
le timide provvidenze dell'uomo, ma i dettami infallibili dell'increata Sapienza hanno prescritti i
principi del loro regolamento alle cattoliche società; più che da quello, dei mondani governi hanno
preso i Fedeli il modello del loro da quel divino esemplare che le raccoglie e sostiene; & sicut in
uno mediatore Dei & hominum haec duo, regnum scilicet & sacerdotium, divino sunt conflata
mysterio, ita sublimes istae duae personae tanta invicem unanimitate junguntur, ut & Rex in
Romano Pontifice, & Romanus Pontifex inveniatur in Rege. Ille tamquam parens paterno semper
jure praeeminet: iste velut unus & singularis filius in amoris illius amplexus requiescat, & gemino
utriusque studio christianae Religionis refloreat disciplina: così la discorre il dotto egualmente che
pio S. Pier Damiano
(537)
.
Io per me tanto son lungi dall'immaginare qualche ripugnanza tra queste due podestà, che vedo
anzi nell'ecclesiastica un'ajuto straordinario somministrato al civile governo perchè sussista con
maggior sicurezza e tranquillità, meno esposto ai tumulti dei popoli mal soddisfatti e meno soggetto
alle oppressioni e violenze d'allora che sussiste sciolto affatto e disgiunto [229] da quella podestà
superiore, che s'interponga per impedire che le più gravi civili discordie non prorompano in aperte
sollevazioni a danno della pubblica podestà e dello Stato: e come nella rivelazione un lume acceso
dalla provvidenza divina per dissipar le tenebre dell'ignoranza che ingombra l'intelletto colpevole, e
nella Grazia una forza superiore che la debilitata Natura rinvigorisce, così vedo nella podestà della
Chiesa un nuovo presidio che le umane società, viziate anch'esse e difettose pel peccato d'Adamo
corregge e ristora.
È poi falsissimo ciò che voi sospettate, che divenga, cioè il principe spettatore indolente ed
ozioso contemplatore dell'ecclesiastiche coazioni, se qualche cosa si lascia in disposizion della
Chiesa, e che questa disponendo delle cose sue indipendentemente lo avvilisca e pregiudichi. Il
principe che ossequioso si presta alle ecclesiastiche disposizioni non è, come udiste da S. Pier
Damiano, che un figlio che grato si mostra e riposa sicuro nel seno della madre. Il Superiore
ecclesiastico, che usa dell'autorità che ha ricevuta da Dio, non è che un padre amoroso che
s'interessa nei vantaggi dei diletti figliuoli, ed intrecciando in tal modo tra loro in nobil gara i
vicendevoli officj di amichevole corrispondenza il trono e l'altare, la civile podestà serve di forte
braccio e sostegno alla podestà della Chiesa, e più che spettatrice indolente si mostra anzi protettrice
di quelle medesime coazioni che nel suo Stato si eseguiscono. E la Chiesa procura anche i vantaggi
di lei nel compiere col dovuto rispetto così gelosa incombenza; ed il rispetto è si grande che non
l'intraprende giammai se non è sicurissima della sovrana approvazione e piacere, ed umile s'arresta
e le tralascia al sorger di un sol sospetto che riuscir possano di rincrescimento e disturbo, assai
meno premurosa dell'attuale non sempre necessario esercizio di qualche suo secondario diritto, che
del favor de' sovrani.
Io non nego per questo che nascer possa e sia nato talvolta tra le due podestà qualche disparere
(535)
Si veda il Demstero nelle Antichità romane lib. 3. cap. 22.
(536)
Istor. lib. 12. cap. 3.
(537)
Opusc. 4. ad calcem.
142
e contrasto; chè nel burascoso mare di questo mondo non è sperabile una perfetta ed imperturbabile
calma. Dico solo che la tempesta non è mai nata dalla natura di un sistema così ben regolato e
divino, e che i danni accidentali, che possono provenire dalla imperizia e malvagità di chi o nell'una
o nell'altra maniera governa le cattoliche società, non sono mai da paragonarsi coi perenni ed
immancabili beni che risultano da quest'ammirabile unione. Si consideri lo stato infelice [230]
ch'ebbero le civili società pria che si vedesse inalberato nel loro seno il vessillo della cattolica
Religione; si rifletta alla meschina situazione della Chiesa sotto il dominio de' sovrani infedeli, poi
mi si dica se reca utile o danno alla temporal podestà quella limitata autorità che si accorda alla
Chiesa, e se può la Chiesa sussistere in quell'auge sublime, cui l'ha voluto condurre dopo tante
umiliazioni e contrasti l'amorosa cura del divin suo Sposo, senza quell'estensione di libertà e potere
esteriore, che esige il favore de' sovrani cattolici e l'uso di pene anche temporali. I soli
Pufendorfiani collo stravisarle hanno potuto vedere in loro quelle ostilità e continui contrasti, che
nascer devono da due autorità che comandano sovranamente nel medesimo Stato: non mai i
Cattolici, i quali distinguendo l'una dall'altra società, ed attribuendo ad ognuna diversi fini ed officj
primarj, nè ammettono Stato nello Stato disordinato e vizioso, e sono tanto lontani dal temere alcun
danno dalla loro diversità, che hanno anzi motivo di aspettare ogni bene: e come ambe si prestano
vicendevole soccorso nel facilitare le rispettive loro incombenze, così è da credersi che e per
interesse e per genio si rispetteranno a vicenda, e chi le regge, se è avveduto e prudente, concepirà
quegli utili sentimenti, che prescrisse a se stesso Carlo Magno il quale parlando dell'autorità del
Romano Pontefice protestò che servanda est cum mansuetudine umilitas, ut, licet vix ferendum ab
illa S. Sede imponatur jugum, feramus, & pia devotione toleremus
(538)
.
In ogni evento non è mai da perdersi di vista la provvidenza divina, che non la Religione
soltanto, che professiamo, ma la ragione stessa e la più sana e sola vera filosofia dichiara arbitra e
sovrana di tutte le umane vicende; ed è da credersi con fermezza che dopo d'avere introdotta tra noi
l'una e l'altra podestà a nostro regolamento e vantaggio ne moderi anch'essa il freno divinamente, e
faccia sì che alle più gravi tempeste succedano le maggiori tranquillità, e tutto vada a terminare in
un principio solo, quantunque per doppia strada sembrino le umane cose ordinate al loro fine. Quo
fit, lo disse prima di me Monsig. Bossuet
(539)
, ut sub binis licet potestatibus, res tamen humanae
minime dissolvantur, quod Deus habenas temperet, atque ita [231] non ad duo principia, sed ad
unum principium omnia referuntur. Poste così in salvo le convenienze della podestà secolare nel
farsi spettatrice ossequiosa e valida protettrice di quelle discrete coazioni, che la Chiesa esercita per
se stessa immediatamente, ed il sovrano protegge colla sua forza ed autorità; dovrei ora inoltrarmi a
sostenere la maestà e decoro del trono nel prestare che fa il suo braccio autorevole alle coazioni
maggiori, nella quale esecuzione voi sorpreso dai ciechi vostri condottieri dite di sospettare che non
abbia il suo luogo nè la maestà del sovrano nè l'unità della causa. Ma la distinzione medesima del
tribunale, al quale passiamo parlando di coazioni sanguinarie e terribili, m'invita a differire ad altro
ordinario la soluzione di questo dubbio; e voi abbiate la bontà d'aspettarla per pochi giorni, che
spero riuscir possa quanto più tarda tanto più convincente e gradita: e persuaso che voi non siate per
disapprovare una pausa che è prescritta non dalla sola gravità della cosa ma dall'ordine medesimo e
della distinzione de' tribunali, col solito immancabile affetto mi dichiaro
(538)
Capitul. Reg. Franc. Tom. I. pag. 357. edit. Baluz.
(539)
Defens. Declarat. Cler. Gall. part. 2. lib. 5. cap. 35.
143
LETTERA VENTESIMA.
L'esecuzione delle pene maggiori riservata ai sovrani
nelle cause di Fede non li disonora, ma serve
loro di ornamento e decoro.
norridisce la dolce Sposa di Gesù Cristo al tetro aspetto delle spade e patiboli; e sebbene giusta e
verace qual'è non possa non approvare le più severe sanzioni, colle quali hanno talvolta i sovrani
suoi figli procurato di rinforzare le troppo miti e qualche volta disprezzate sue disposizioni, come
però dal fulminarle così è stato sempre alienissimo l'amoroso suo cuore dall'eseguire sentenze di
mutilazione e di morte, ed anche i più infami colpevoli, che ha dovuto chiamare sì spesso al tribunal
della Fede, sono stati risparmiati da lei con somma clemenza: e se non ha potuto vincerli colle
paterne sue istruzioni e rimproveri, e se a ritirarli dai pessimi loro traviamenti sono riusciti inutili
anche i castighi mitissimi, dei quali ha fatto uso più spesso, non ha mai avuto cuore d'inoltrarsi di
più, ed il passo più avanzato al quale ha potuto arrivare il giusto suo zelo è stato quello di
discacciarli dal troppo clemente suo foro e di abbandonarli al braccio secolare, perchè potesse
senz'impedimento ed ostacolo sopra di loro eseguire ciò che prescrivono le più severe leggi del
trono. Sì, li ha scacciati talvolta, ma in questo istesso abbandono sempre uniforme a se stessa ha
mostrato sì gran rincrescimento e ribrezzo, e tante suppliche ha interposte per salvar loro la vita, che
ha fatto conoscere ad evidenza che più che il castigo de' malfattori ha avuto in mira la sicurezza di
quelli che pericolavano esposti alla loro insidia e furore. Tanta moderazione però e tanta riserva non
è bastata a sottrarla dalle maldicenze ed insulti de' suoi nemici. Vogliono criticarla in ogni maniera:
ed o faccia uso di quella pastoral verga, che le ha posto in mano la provvidenza divina, e di cui
abbiamo quel famoso verso che riporta il Macri nel suo dizionario, Curva trahit, quos virga regit,
pars ultima pungit, o si serva di quella spada, che non può maneggiare che per mano de' sovrani
suoi figli, opera sempre a danno o della propria o dell'altrui convenienza [233] e stende nel primo
caso la falce nell'altrui messe, e rende spettatori inerti dell'esterior coazione quegli stessi che sono
stati costituiti da Dio. arbitri di tutte le cose; trasforma nell'altro caso in una vile esecutrice
dell'altrui disposizioni quella podestà, che nasce da Dio, padrona assoluta di tutto ciò che è esteriore
e corporeo, nè ha il dovuto riguardo all'unità della causa, che resta per tal modo divisa tra due
tribunali, uno de' quali cerca e dichiara il delitto ed il delinquente, l'altro lo condanna e castiga.
Udiste dall'altra mia quanto sia irragionevole ed ingiusta la prima loro pretensione, e quanto poco
discapiti in quest'incontri il diritto della secolar podestà. Sentite ora quanto più sconcia sia e ridicola
la seconda imputazione, la quale se l'orribile bestemmia non adegua di Giovanni Hus condannata
già solennemente dal Sinodo di Costanza, vi si avvicina però di molto e merita anch'essa
disapprovazione e censura. Diceva costui che doctores ponentes quod aliquis per censuram
ecclesiasticam emendandus, si corrigi noluerit, saeculari judicio est tradendus, profecto sequuntur
in hoc Pontifices, Scribas et Phariseos, qui Christum non volentem eis obedire in omnibus, dicentes
nobis non licet interficere quemquam, ipsum saeculari judicio tradiderunt, et quod tales sint
homicidae pejores quam Pilatus. Non s'inoltra tanto l'ardire de' nostri detrattori, e prescindendo per
ora dall'equità del giudizio di chi abbandona, si ferma a criticare tutto il complesso di queste
condanne per l'indecente comparsa che vi fa la podestà secolare e pel discapito che soffre la causa
medesima. Due imposture sono queste non men ripugnanti d'ogni altra, le quali prendo ora a
dileguare di proposito.
Mi sbrigherei in vero con ogni facilità dalla prima, se lo sbaglio adottando di quei
giureconsulti, che per favorire oltre il dovere la podestà secolare hanno insegnato, che il giudice
laico prima di secondare le ecclesiastiche determinazioni ha il diritto di ricercare il processo della
I
144
curia ecclesiastica, di assoggettarlo a rigorosissimo esame, e cassare anche la fatta dichiarazione, se
non lo trova conforme allo stile della curia: nel qual caso voi ben vedete quanta superiorità ed
azione acquisterebbe nelle cause non sue la podestà secolare, e quanto poco influirebbe a scemarne
il decoro la podestà della Chiesa. Mi guardi il Cielo però dall'appoggiare a mal fondate
immaginazioni l'equità della mia causa e vi ripeto di nuovo, che l'indicata [234] opinione è tanto più
insussistente e meno ragionevole quanto la trovo più disapprovata dai bravi canonisti e dottori che
cita il Pegna
(540)
, e più discorde dalle costituzioni d'Alessandro IV., Clemente IV. ed Innocenzo
VIII., che nelle cause di Fede l'hanno rigettata espressamente. Io non l'ho indicata per altro motivo
che per farvi comprendere quanto fuor di proposito esagirino i nostri avversarj sì grande
avvilimento, che può avere dall'opinione d'accreditati autori un'aperta esclusiva. Io v'accordo e
concedo ben volontieri, che debba il giudice secolare dopo il seguito abbandono senz'alcuna
dilazione, indilate, come si spiega il Lateranense IV., eseguir quanto prescrivono le leggi, e che si
renda sospetto di favorire l'errore se ricusa di prestarsi ad un sì preciso e rilevante dovere. Dico ciò
non ostante che nulla vi scapita in questa supposizione l'autorità del sovrano, ma acquista anzi gran
lustro e decoro, perchè altro non fa in questi incontri che esercitare la sublime sua podestà, eseguire
le stesse sue leggi e compiere quel decoroso incarico, che ha ricevuto dal Cielo, di proteggere la
Religione e la Chiesa. Esercita la sua podestà; perchè nel prestare l'autorevole suo braccio in
sussidio dell'ecclesiastiche disposizioni altro non fa che usare di quel potere, che è tutto proprio del
sovrano cattolico, non della Chiesa che mai non istende la mano pietosa a sanguinose e terribili
esecuzioni, ed anche con questo mezzo ha l'onore di far sì che, Coelorum via largius pateat, et
terrestre regnum coelesti regno famuletur, come si spiega S. Gregorio
(541)
. Succede, al dir del
Cardinale Belarmino
(542)
, in questi avvenimenti alla podestà secolare relativamente a quella della
Chiesa ciò che avviene a qualunque arte, che sussista nelle civili repubbliche, per rapporto alla
podestà de' sovrani. Questa perchè diretta alla comune felicità, in cui vanno a collimare tutte le
facoltà anche più limitate e ristrette, dev'essere considerata com'un arte ch'ogni altra maggiore, e
può servirsi utilmente di tutte l'altre per quanto contribuir possono al suo fine ed intento. Copre così
di suo ordine il pittore di onesti veli quelle nudità, che pregiudicar potrebbero al buon costume: così
procura [235] il mercante il trasporto di quelle merci e derrate, delle quali scarseggia lo Stato e
cessa il fabbro e si astiene da quelle opere e manifatture che riuscir potrebbero di pregiudizio alla
repubblica. Ma chi dirà per questo, che nell'ubbidire ai suoi cenni non esercitino gl'indicati artefici il
loro mestiere, e che divengano per questo nelle loro opere puri stromenti di una podestà superiore?
Fa lo stesso il sovrano allorchè ricercato seconda la voce della podestà della Chiesa, e castiga chi la
disturba ed offende. A vantaggio di un'Ordine superiore fa uso della sua arte di governare, esercita
la nobile sua autorità; ed è in lui tanto più lodevole quest'azione quanto è da più sagro dovere
prescritta, a miglior fine diretta ed accompagnata da più decorose e favorevoli circostanze. E potrà
forse lagnarsi il pittore, perchè contro sua voglia si guida talvolta a mal partito l'arte sua dalla
podestà de' sovrani: e l'inferior parte potrà credersi talvolta oppressa dalle indiscrete pretensioni e
dai pesi enormi della parte superiore: ma non mai potrà lagnarsi il sovrano, che ha voluto egli stesso
ciò che vuole la Chiesa, ed ha dichiarato i di lei cenni di suo singolar lustro e splendore, ed altro non
fa in queste esecuzioni, come prendo a mostrare in secondo luogo, che osservare le stesse sue leggi.
Imperciocchè hanno bensì, come vi ho detto, i canoni de' Concilj e le decretali de' Romani Pontefici
approvate come giuste quelle leggi di tanti avveduti sovrani, che dopo i giudizj ecclesiastici
condannano gli Eretici a più severe punizioni, e le hanno talvolta anche promosse come utilissime
all'una e all'altra società, ma non sono in sostanza emanate che dalla sovrana loro podestà, e la
stessa maniera di eseguirle non è stata prescritta senza la loro approvazione e consenso. Per judicum
quoque officia, ne sit cassa episcopalis cognitio, definitioni executio tribuatur
(543)
, così stabilirono
gl'Imperatori Arcadio ed Onorio, e con ben lunga serie di prontissime esecuzioni ne hanno
(540)
Comment. 85. quaest. 36. part. 3. Director.
(541)
lib. 3. Epist. 65. al. lib. 2. Epist. 62. ad Mauritium Imp.
(542)
de Potest. Papae in reb. temp. cap. 2. num. 5.
(543)
L. 8. Cod. de Episcopali Audientia
145
rinnovata varj altri in ogni tempo l'approvazione e consenso, l'Imperator Sigismondo in Costanza,
Carlo V. in Germania, Ferdinando I. e II. in Boemia, Austria e Stiria, Leopoldo I. e Mattia in
Ungheria, Carlo VIII. e IX, Francesco I. e Lodovico XIV. in Francia, Sigismondo in Polonia, Maria
in Inghilterra e tant'altri principi in [236] tutte le parti del mondo cattolico. Il dir poi che principi di
sì gran senno o non abbiano conosciuto abbastanza il sublime carattere della loro dignità, o
l'abbiano voluto avvilire per modo di non aver ribrezzo d'assoggettarlo alle più vili operazioni,
sarebbe una vera pazzia. L'hanno anzi sollevato all'auge maggiore di sua grandezza, esercitandola
per queste azioni nella gloriosa incombenza che ha ricevuto dal Cielo di giovare colla sua forza ed
autorità alla cattolica Religione ed alla società de' Fedeli, della quale prerogativa, a detta dello
stesso Luigi VII. Re di Francia, cosa non v'è che più onori un sovrano, e che più degnamente risuoni
sulle sue labbra; digna vox est majestate regnantis, Dei servum et Ecclesiae defensorem se
principem profiteri
(544)
.
Siccome però non è la sola natura dell'azione, ma anche il modo, con cui viene procurata, che
apporta gran lustro al principato, così mi piace di accostarmi più da vicino a questa benchè per se
stessa troppo funesta e disgustosa tragedia per rilevar quindi e nella Chiesa, che abbandona, i più
decisi caratteri di ossequioso rispetto verso la podestà secolare, e nel sovrano che castiga, le più
luminose divise di un potere dominante e supremo. È presente il giudice secolare all'attuale
abbandono; e raccolti in ben dettagliato sommario sente tutti i meriti della causa, e tutta vede la tela
degli atti giuridici, che sono stati fatti non solo contro, ma anche a favore del reo; sente dichiarato il
delitto, le pene incorse, e l'abbandono che sì fa del reo al suo tribunale. Qui termina l'azione del
giudice ecclesiastico, e qui appunto è dove il giudice secolare comincia a spiegare le maestose
insegne della nobile sua giurisdizione. Egli riceve il reo fra le sue forze, non senza ritenere e la
podestà di sospendere l'esecuzione, se mai fosse notorio l'aggravio, per ricorrere a scanso di una
manifesta ingiustizia o allo stesso o ad altro giudice superiore, ma ecclesiastico, perchè l'aggravio
risulti in forma giuridica nel tribunal competente, e la libertà di differire l'esecuzione, se il
pentimento del reo o altra notabile circostanza esigessero nuove relazioni ed esami. Egli è, che lo
condanna al supplicio; egli, che comanda al solito ai suoi ministri di eseguirlo; egli, che per tal
modo ajuta e difende la Chiesa. Se questo sia un'avvilire l'autorità secolare, [237] e renderla vile
mercenaria della podestà ecclesiastica, decidetelo voi. Io in tanto esercizio di propria autorità e
comando, in tanti contrassegni d'ossequio e rispetto invece di ravvisare ne' sovrani quei vili
esecutori, che sognano i nemici della podestà ecclesiastica, altro non vedo che quegl'instancabili
edificatori stranieri predetti già da Isaia, allorchè disse, Aedificabunt filii peregrinorum muros tuos,
& Reges eorum ministrabunt tibi; quei forti scudi io vedo impenetrabili, che a suo riparo e difesa
pendevano dalla mistica torre di Davidde: e quei Re finalmente e quelle Regine, che lo stesso Isaia
chiamò suoi alimentatori e nutrici: Erunt Reges nutricii tui, & Reginae nutrices tuae: ed ai quali
intimò Davidde
(545)
: Et nunc Reges intelligite, erudimini qui judicatis terram: servite Domino in
timore. E nelle loro esecuzioni altro non vedo che una di quelle gloriose intraprese, alle quali
aspirava l'Imperatore Arnolfo allorchè disse ai Vescovi congregati in Triburia: habetis me omnibus
Ecclesiae Christi adversantibus, & vestro sacerdotali ministerio retinentibus opportunissimum
bellatorem
(546)
.
Lo vedo anch'io, che la podestà secolare, costretta da un sacro dovere a secondare
l'ecclesiastiche disposizioni, non ha in queste cause, come nelle sue proprie, l'azione principale ed il
primo luogo. Ma che? cesserà per questo d'essere meno rispettabile e gloriosa? o sarà necessario
perchè sussista nel naturale suo stato, che lo spirito si assoggetti alla carne, e le celesti cose cedano
il luogo alle terrene ed umane? Nisi vero aequum est spiritum carni fasces submittere, & coelestia
terrenis caedere
(547)
? Non l'intendeva così S. Gregorio Nazianzeno, e niuno l'intenderà che sia
giusto estimator delle cose. Io venero nel sovrano una viva immagine del supremo reggitor d'ogni
(544)
Epist. Pro Episc. Anicien. ap. Balutium in notis ad Petrum de Marca Concord. lib. 2. cap. 12.
(545)
Psalm. 2. vers. 10.
(546)
Conc. Harduin. tom. 6. part. I. pag. 438. edit. Paris 1614
(547)
Orat. 17. ad Civ. Nazianz. grav. tim. perculs. tom. I. pag. 271. Oper. edit. Paris. 1609
146
cosa, e nel procurare in ciò che non interessa la Religione la temporale felicità de' suoi sudditi lo
credo indipendente da tutti: ma non lo credo tale allorchè trattasi di ciò che può riuscire di utile o
danno alla cattolica Religione. In questi affari duopo è che dipenda dalla podestà della Chiesa: e
non che la persona, [238] ma la stessa sua autorità vi resti in qualche modo subordinata e soggetta: e
si guardi bene dal far cenno colla sua disobbedienza di soffrirne mal volontieri il peso; chè il cattivo
esempio ridonderebbe in grave pregiudizio della sua eterna salute non solo ma dello stesso suo
trono, giacchè, come riflette da suo pari il Card. Pallavicini, a proporzione che egli rispetterà la più
sublime podestà spirituale, che Gesù Cristo ha introdotta nel mondo, sarà anch'esso e per divina
disposizione e consiglio e per ordine e natura delle umane vicende rispettato e servito dai fedeli suoi
sudditi, ai quali hanno intimato S. Pietro
(548)
e S. Paolo
(549)
l'obbligo di obbedire non meno alla
Chiesa che a lui, come quella che è fornita di podestà della sua non meno sublime e perfetta. E
tengo per verità infallibile la massima di S. Gregorio M., che fece sapere a tutti i principi, che
quanto verius auctori omnium serviunt, tanto securius commisso sibi mundo dominabuntur
(550)
.
Mi sbrigherò più presto dall'altra difficoltà, che provate per non saper conciliare con queste
esecuzioni l'unità della causa, essendo questa così mal fondata, che incontra ovunque esempj e
pratiche che la distruggono. Assicura il Claro
(551)
ed il Farinaccio
(552)
, che può un giudice eseguire la
sentenza dell'altro, sia o no soggetto al medesimo, appartenga o no alla stessa provincia, ed abbia o
non abbia dall'altro una totale indipendenza; ed il Boemero confessa, che obtinuit alicubi ut alius
cognoscat de crimine, alius sententiam latam exequatur; e dice inoltre nel medesimo luogo, che un
semplice Feudatario, il quale non ha come eseguire la sua sentenza, può ricercare il Prefetto, ut in
subsidium juris executionis curam suscipiat. Se in questi giudizj non manca la necessaria unità,
perchè diremo noi che sia per mancar nelle cause di Fede, qualora la Chiesa, che cruentas refugit
ultiones, dichiara l'Eretico impenitente, e l'abbandona al braccio secolare, e la giustizia di questo,
che terribiliter exercenda est, lo assoggetta al meritato castigo? Non pregiudica al parer di Fr.
Paolo, in queste cause, se si divide il diritto dal fatto, e se la Chiesa giudica dell'errore, ed il
tribunale [239] laico dell'Eretico: e recherà poi una ruina irreparabile se la Chiesa dopo un'esame
accuratissimo abbandona l'Eretico impenitente, ed il principe lo soggetta al rigor delle leggi? Ma
non è questa la maggior incoerenza, alla quale dovreste aderire se v'abbandonaste al parer di
costoro. Molte ne ho accennate altrove, e tante poi se ne incontrano ove trattasi di morale unità
dello Stato e della Chiesa, che è impossibile che non vi sentiate gravemente commosso al solo
ascoltarle. Nulla v'è per costoro che guasti e scomponga la morale unità della Chiesa: manchi pure a
lei il suo Capo; discordino le sue membra anche ne' dommi di Fede almeno non fondamentali; siano
i Vescovi tutti Papi nelle loro diocesi; siano i sovrani padroni di tutto ciò, che è più religioso e più
sacro: non importa: la Chiesa nulla perde della sua unità. Ma se si tratta dell'unità nelle cause di
Fede, e più ancora se trattasi dell'unità delle civili repubbliche quella risente un grave danno se si
separa la cognizione dell'esecuzione questa ne soffre anche un maggiore, e tutto basta a
distruggerla. Un piccol diritto che si riservi a chi non ha parte nel principato, una cosa sola che non
dipenda in ogni possibil maniera dalla libera disposizione della podestà secolare, scompone la
necessaria unità, introduce uno Stato nello Stato, e tutto riempie di confusione e disordine. Chi
inventò idee sì strambe altro non ebbe in mente che la mira di distruggere affatto la giurisdizione
della Chiesa e de' sovrani, e confondendo insieme trono ed altare, diadema e tiara, Greggia e
Pastori, spacciare in tal guisa tutti i sovrani quai despoti usurpatori d'ogni facoltà e diritto, tutti i
cittadini qual turba di vilissimi schiavi, e di cambiare la regale società de' Fedeli in tanti meschini
collegj quanti sono i governi nei quali sussiste, e la sua gerarchia ammirabile in una accattolica
gerodolia. Non sono stati questi i pensieri di tant'altri meno pregiudicati politici, che qualche parte
soltanto hanno adottato del pernicioso sistema, e non hanno avuto altro in vista che di provvedere
(548)
Epst. I. cap. 2. vers. 13.
(549)
ad Rom. Cap. 13.. vers. 1.
(550)
lib. 5. epist. 25.
(551)
quaest. 96. fin. vers. Item quaero
(552)
quaest. 197. num. 10.
147
alla sicurezza e decoro del principato. Ma in una società così ben collegata com'è la cattolica non è
necessario che sia approvato tutto il sistema de' suoi nemici per isconcertarla; basta una sola parte; e
poste specialmente in gelosia e diffidenza le due gran podestà, sopra le quali tutta si regge, al dire di
S. Gelasio
(553)
, la vasta [240] mole, forz'è che cada e ruini; e l'accorderebbono anche i novatori de'
giorni nostri, se meno trasportati da spirito di novità prestassero orecchio ai disapprovatori
dell'antico sistema, non solo quando lo impugnano, ma anche quando ne parlano a favore e
scoprono i sommi vantaggi che la podestà, che abbiamo attribuita alla Chiesa, può recare ai sovrani
ed allo Stato: chè non sempre parlano in modo da pregiudicare all'intolleranza ragionevole e farla
comparire svantaggiosa ai sovrani, ma la lodano talvolta, ed anche nel sistema presente che
abbiamo preso a difendere, la credono utile e decorosa ai sovrani. L'Osservator filosofo
(554)
dopo
d'aver disapprovata l'intolleranza, di cui parliamo, non lascia di far riflettere che è stata
un'invenzione de' principi, i quali nel procurarla ils n'ont eu en vue, que leurs intèrêts particulières.
E molti de' Francesi negano bensì alla podestà della Chiesa ogn'ingerenza nelle cose temporali, ma
non lasciano di rappresentare al loro Re, che il voler' inalzare la reale autorità sulle ruine di quella
della Chiesa è un rovesciare l'ordine stabilito da Dio, il che tira seco la ruina della regia podestà e
distrugge i fondamenti dello Stato invece di rassodarli
(555)
. Ma non li hanno voluti ascoltare in
questa parte, ch'esser poteva favorevole alla Chiesa; e non avendo formato della sua podestà altro
concetto che di una potenza contraria usurpatrice de' diritti altrui ed ingiuriosa ai sovrani, hanno
dato mano senz'avvedersene colla sua depressione a quelle sciagure che si soffrono presentemente.
Spero che non vogliate voi accrescere il numero di pensatori così sconsigliati ed improvvidi, e
persuaso che il libero esercizio della podestà della Chiesa non nuoce mai nè è ingiurioso ai sovrani,
neppur quando corregge e castiga, deporrete l'antiche ombre e sospetti: e con questa fiducia in
cuore, che non è fondata soltanto sull'ottima indole del vostro carattere, ma sulla sodezza altresì e
gravità delle prove e ragioni che ho addotte per trarvi d'inganno, passo a dirmi col solito
attaccamento
(553)
Epist. 4. ap. Harduin. tom. 3. Concil. pag. 893.
(554)
Sect. 12. pag. 53.
(555)
Assemblea del Clero del 1660.
148
LETTERA VENTESIMAPRIMA
Qual parte abbia nelle cause di Fede la suprema podestà
del Romano Pontefice.
alle efficaci ragioni ed autorevoli testimonianze, che vi ho addotte finora, voi siete restato
convinto, che v'è nella Chiesa cattolica una vera giurisdizione coattiva, che può assoggettare
gli Eretici al meritato castigo, senza che ne risenta alcun danno o l'ecclesiastica moderazione o
l'autorità dei sovrani o la libertà della Fede: ma questo non basta ancora al nostro intento. Il
tribunale, di cui si tratta, procede per autorità delegata dal Romano Pontefice; e non è legittimo ed
autorevole, se manca in lui la pienezza di quella giurisdizione, che è necessaria alla Chiesa, o se non
può estenderla ampiamente per tutto il mondo cattolico. Quindi è che merita ogni lode il giudizioso
quesito, che mi fate nell'ultima vostra, cercando se il Papa può innalzar tribunale nelle altrui diocesi,
ed obbligare tutti i Fedeli a conservar quella Fede, che hanno professata una volta: ed io prendo
tanto più volentieri ad istruirvi su questo punto, quanto più interessa la nostra causa, e quanto
maggiori sono i nemici, che lo contrastano.
Fin dal quinto secolo vi fu in Dalmazia un certo Vescovo Onorio
(556)
, il quale mal soffrendo,
che Gelasio Papa si prendesse in affari di Fede qualche ingerenza nella sua diocesi, non ebbe
difficoltà di rispondergli, che ne restava sorpreso. Oggi poi tanti sono i contraddittori, quanti sono i
nemici della podestà ecclesiastica e gli adulatori della secolare, i quali o la negano espressamente a
tutti, e per conseguenza anche al Romano Pontefice, o cercano di dividerla per egual porzione tra
tutti i Pastori per renderla più soggetta e meno forte. Io però per convincervi, che non i soli Vescovi
nelle rispettive loro diocesi, ma anche il Romano Pontefice ha in tutto il mondo cattolico la verga
pastorale atta a correggere, come dice S. Paolo
(557)
, ogni disubbidienza [242] ed a contenere le
pecorelle del sagro ovile nei rispettivi cristiani doveri, altro non ricerco da voi, che la vostra Fede.
Chi sa dal vangelo, ch'egli è dopo Gesù Cristo la pietra fondamentale della Chiesa di Dio, contro la
quale prevaler non possono le furie infernali
(558)
, che a lui sono state conferite in guisa speciale le
Chiavi del Cielo, e l'incombenza di pascere tutto il divin Gregge
(559)
; e fatto maestro del mondo è
stato dalla preghiera di Gesù Cristo reso infallibile ne' suoi ammaestramenti
(560)
: e chi riflette di più
che non è il primato di giurisdizione, del Romano Pontefice affare di scuola, ma un domma di Fede
definito assai chiaramente in più incontri, ma con ogni precisione dal Concilio di Firenze in quelle
memorande parole; Definimus sanctam apostolicam Sedem & Romanum Pontificem successorem
esse B. Petri Principis Apostolorum, & verum Christi Vicarium, totiusque Ecclesiae caput, &
omnium Christianorum Patrem ac doctorem existere, & ipsi in B. Petro pascendi, regendi &
gubernandi universalem Ecclesiam a Domino nostro Jesu Christo plenam potestatem traditam esse,
quemadmodum etiam in gestis oecumenicorum Conciliorum & in sacris canonibus continetur; non
trova alcuna difficoltà nel riconoscere nel Romano Pontefice un tal diritto, e può ricevere soltanto
un qualche maggiore schiarimento da altre fonti e principj non sicurezza maggiore, Senz'ingolfarmi
però nel vasto mare de' diritti apostolici e delle singolari prerogative di quel primato, che per divina
istituzione gode il Romano Pontefice, sostenuti già e spiegati sì bene da quelle felici penne, delle
quali tesse un copioso catalogo l'autor delle note della più volte citata Confutazione &c. al cap. 4.
della medesima, non farò altro che secondare il vostro genio, e dirigendo il mio ragionare a quelle
(556)
Ep. 6. Gelas. tom. 6. Concil. Labbei p. 300.
(557)
1. ad Corint. 4.
(558)
Matt 16. vers. 15.
(559)
Joann. 21. vers. 15.
(560)
Luc. 22. v. 32.
D
149
sole coazioni e giudizj, che egli può esercitare in qualunque diocesi a difesa della cattolica
Religione, procurerò di rendervi più informato del soggetto che abbiamo per le mani. So da S.
Bernardo che bisogna uscir fuori del mondo per trovare un luogo in cui tutta spiegar non si possa
l'apostolica podestà del Romano Pontefice; orbe exeundum est ei, qui forte vellet explorare quae
non ad tuam pertineant curam
(561)
: e leggo nel discorso che fece [243] il celebre Bossuet nella
famosa assemblea del 1682, che questa è la cattedra tant célébré par les Pères, où ils ont exalté
comme à l'envie la principauté principale, la source de l'unité, et dans la place de Pierre l'eminent
dégré de la chaire sacerdotale, l'Eglise mère, qui tient en sa main la conduite de touts les autres
Eglises, le chef de l'episcopat, d'ou part la raison du gouvernement; la chaire principal, la chaire
unique, en laquelle seule tous gardent l'unité. Vous entendez dans ces mots S. Optat, S. Augustin, S.
Cyprien, S. Irenée, S. Prosper, S. Avit, S. Théodore, le Concile de Calcedoine e les autres, l'Afrique,
les Gaules, la Grece, l'Asie, l'Orient, l'Occident unis ensemble. Le quali espressioni bastar
potrebbono a far concepire della podestà del Romano Pontefice l'idea più estesa, più vantaggiosa e
sublime; siccome però il mio assunto non mi obbliga ad altro che a preparare per ora la strada
spedita alla giustificazione di quel tribunale, che egli ha inalzato da gran tempo nelle altrui diocesi
per condannare gli Eretici e difendere dalle loro insidie e dal loro furore la Fede di Gesù Cristo; così
non parlerò che di questo. E vi dico francamente che essendo questa una delle cure speciali, che
interessano l'ordinaria podestà d'ogni Padre e Pastore del sagro ovile, non può non appartenere a lui,
che è stato inalzato in ispecial guisa al governo di tutti, e che divide per modo, al dire di S. Leone,
cogli altri le sue sollecitudini, che risente il grave peso d'ogni diocesi, ed ha così comuni cogli altri
le sue premure, che il ministero loro non è che una porzione del suo, e non meno da lui che dai
rispettivi loro Vescovi ricercano ed aspettano i Fedeli protezione e difesa: nobis, così egli
(562)
, cum
omnibus cura communis est; neque cujuspiam administratio non nostri laboris est portio, ut, dum
ad B. Petri Sedem ex toto orbe concurritur, et illa universalis Ecclesiae a Domino eidem
commendatae dilectio etiam ex nostra dispensatione deposcitur, tanto amplius nobis instare oneris
sentiamus, quanto cunctis majora debemus. E perchè niuno potesse sospettare che queste sue
premure in tutt'altro si dovessero esercitare che nella punizion de' malvagi, quest'è, diceva egli
scrivendo ai Vescovi d'Italia, che più interessa l'apostolico [244] nostro ministero, non essendo
possibile che riesca bene il nostro governo se non perseguitiamo con santo zelo i seduttori, e non
procuriamo di allontanare questa peste dai Fedeli, e d'impedire che si dilati di più
(563)
.
Come, viventi ancora gli Apostoli, l'obbedienza dovuta ai rispettivi Pastori non sottraeva i
Fedeli, al dir dell'Angelico, dall'obbligo di obbedire anche a quelli; per hoc quod subjiciebantur
Episcopo civitatis non eximebantur a potestate Apostoli
(564)
; e come l'autorità che allora
esercitavano i Vescovi nelle diocesi loro assegnate, Tito in Candia, Timoteo in Efeso, Evodio ed
Ignazio in Antiochia e tant'altri in altre parti del mondo, non impediva che S. Paolo minacciasse
quelli di Tessalonica, condannasse l'Incestuoso di Corinto, e sgridasse e riprendesse tant'altri benchè
soggetti ad altre giurisdizioni, e che S. Pietro scrivesse alle floridissime Chiese dell'Asia, della
Bitinia, della Galazia e del Ponto
(565)
lettere, al dire d'Erasmo e di Estio, piene d'apostolica autorità,
e che S. Giovanni riprendesse i Vescovi stessi alquanto trascurati nel loro impiego, e che tutti gli
Apostoli in fine tornassero più volte a visitare quelle Chiese che avevano erette, benchè fornite di
rispettivi Pastori; così l'ordinaria podestà che usano adesso sopra i loro sudditi i Vescovi cattolici,
castigando ogni dissubbidienza, non può impedire che la più vasta e plenaria podestà, che per divina
disposizione godono i Romani Pontefici sopra tutti i Fedeli, si stenda sollecita a presidio e conforto
delle altrui diocesi, ed oltre i Vescovi e Pastori ordinarj, che non possono ricevere che da lui la
legittima missione, non ritenga egli presso di se l'amplissima podestà di provvedere per se stesso o
per altri delegati da se in ispecial modo alle loro indigenze, conservazione e difesa. È questa
(561)
Lib. 3. de Considerat. cap. 1. num. 1.
(562)
Ser. 5. al. 4. cap. 2.
(563)
Epist. 7. al. 2.
(564)
Opusc. cont. Impugnat. Relig. cap. 4.
(565)
Calmet Proleg. in epist. 1. B. Petri Apost.
150
Romanae Sedis praerogativa, come Socrate attesta
(566)
parlando del canone 7. Sardicense, che
accorda al Papa l'autorità di delegare altri giudici oltre i Vescovi: ed è stata a lui giustamente
accordata una tale incombenza, come soggiunge Sozomeno
(567)
, quoniam propter Sedis dignitatem
omnium cura ad ipsum spectat. Se i Vescovi succedono agli Apostoli nella podestà che godono
ristretta tra [245] i confini delle proprie diocesi, succede il Papa a S. Pietro in quella vastissima
podestà ch'ebbe sopra gli Apostoli stessi, e sola passar doveva illimitata e pienissima ne' successori:
e se dei Vescovi si serve egli a miglior disimpegno delle sue cure, e per divina disposizione
comunica loro gran parte delle sue incombenze, vices suas ita aliis impertivit Ecclesiis, ut in partem
sint vocatae sollicitudinis, non in plenitudinem potestatis. Così si spiega Gregorio IV. nella
bellissima lettera scritta a tutti i Vescovi d'Europa, della quale non si può desiderare monumento più
nobile a favore del primato del Papa e di quelle coazioni, delle quali discorriamo. Egli ripete, è
vero, e non senza ragione questa facoltà, come S. Leone poc'anzi citato, dal suo primato di
giurisdizione in generale, ma S. Bernardo la fa scaturire con maggior precisione dall'aver Gesù
Cristo pregato in modo speciale perchè non mancasse la Fede in S. Pietro, e da questa appendice
indivisibile dal suo primato, e dall'avere così comunicato a lui ed ai suoi successori il privilegio
dell'innerranza, onde confermar potesse i vacillanti Fratelli, inferisce che a lui dunque conviene in
modo particolare l'ingerirsi in questi affari, e che cosa non v'è che più di questa appartenga al
primato medesimo; oportet ad vestrum referre apostolatum pericula quaeque et scandala
emergentia in regnum Dei: dignum namque arbitror ibi potissimum resarciri damna Fidei, ubi non
possit Fides sentire defectum; haec quippe hujus praerogativa Sedis: così egli
(568)
.
E questa ampiezza di podestà e questa necessità di così universale ingerenza fu riconosciuta ed
approvata così comunemente, che riportò da Giustiniano stesso la più esatta ed autentica
confessione, e fu esercitata mai sempre senza notabile contrasto dai più saggi e religiosi Pontefici.
Giustiniano ne parla nella lettera che scrive ad Epifanio Arcivescovo e Patriarca di Costantinopoli, e
dice che questa è stata la costumanza di tutti i tempi, e ch'egli non sarà mai per permettere che si
rechi in questa parte alcun pregiudizio alla S. Sede; Neque enim, così egli
(569)
, patimur, ut quiquam
eorum, quae ad ecclesiasticum spectant statum, non etiam ad ejusdem referatur beatitudinem:
quum ea sit Caput omnium sanctissimorum Dei sacerdotum: vel eo maxime, quod, quoties in eis
locis Haeretici [246] pullularunt, et sententia et recto judicio illius venerabilis. Sedis coerciti sunt.
Non aspettate da me una lunga serie di fatti a rinforzo di sì autentica testimonianza; chè pochi
bastano a sua maggiore dilucidazione e conferma. Basta ciò che fece S. Clemente con quelli di
Corinto, il quale non contento d'avere scritta quella sua lettera
(570)
piena di zelo veramente
apostolico, ci assicura S. Ireneo che a miglior sostegno e difesa della Fede cattolica, che era in
pericolo, spedì colà Claudio, Efeso, Valente, Bittone e Fortunato, perchè coll'opera e colla voce
recar potessero quegli ulteriori vantaggi, che si sarebbero sperati in vano dalle sole scritte istruzioni
e minaccie. S. Pelagio fece lo stesso nel sesto secolo contro gli scismatici Tracio e Massimiliano,
mandando Pietro e Projetto l'uno Prete e l'altro Notaro, e raccomandandoli a Narsete perchè nulla
mancar potesse alla più facile spedizione della causa
(571)
. E furono nel secolo stesso deputati da S.
Gregorio alcuni de' suoi ministri a Costantinopoli con ordine di ultimare in sua vece le cause di
minor conto, e di spedire a Roma quelle che apparivano di maggior considerazione
(572)
. Il
rimprovero stesso fatto da Gelasio Papa al sopra citato Vescovo di Dalmazia per le sue meraviglie
non conformi all'idea, che aver doveva dell'autorità della S. Sede, ed alla pratica di tutti i tempi
dimostra ad evidenza quanto v'ho'insinuato sin qui. Miramur rescrisse egli ad Onorato, dilectionem
tuam fuisse miratam, curam Sedis Apostolicae, quae more Majorum cunctis per mundum debetur
(566)
Hist. lib. 2. cap. 11.
(567)
Hist. lib. 3. cap. 8.
(568)
Tract. 11. al. epist. 290.
(569)
L. Cognoscere 7. princ. C. De Summ. Trinit. G
(570)
To. 1. Concil. Labb. P. 123.
(571)
T. 6. Concil. Lab. Epist. 3. p. 467.
(572)
Lib. 6. al. 5. epist. 3. pag. 793.
151
Ecclesiis, pro vestrae quoque regionis Fide fuisse sollicitam; cumque ad eam perlatum esset, quod
quidam per Dalmatiam integritatem catholicam vitiare niterentur... non puteverimus ullatenus
differendum, quominus haec diligentius inquirentes, ut aut si fortasse irrepserant, de proximo
sanarentur, an anxietatem nostram, si falso probarentur jactata, relevarent. E questo sia detto in
verificazione di ciò che ha accennato Giustiniano nella sua lettera ed a sufficiente prova di quella
pratica che non è mai mancata nella Chiesa di Dio.
Altro io non aggiungerò a scanso delle imposture de' nostri contraddittori, che attribuir
sogliono ad usurpazione e violenza [247] de' Romani Pontefici tutto ciò che hanno intrapreso nelle
altrui diocesi, che la pietà somma e la modestia incomparabile di quei gran Pontefici, de' quali vi ho
accennate le gesta, ed il frutto ammirabile che riportarono le gloriose loro intraprese, che presso un
giusto estimator delle cose deve contribuir moltissimo a farle comparir tutte legittime e giuste, se
non andarono disgiunte dalle più copiose e parziali benedizioni del Cielo. Sono stati per la maggior
parte meritevoli dell'onor degli altari que' Sommi Pontefici che si affaticavano in altre diocesi nelle
accennate maniere; e furono tanto gradite le premure di S. Clemente, e riuscirono così vantaggiose
alla Chiesa di Corinto, che dal solo applauso ch'ebbe colà la sua lettera prese motivo il Fevardenzio
d'argomentare la sussistenza di quella giurisdizione, che sin d'allora competeva alla Chiesa Romana
negli affari della Chiesa Greca: Romanam Ecclesiam, dic'egli
(573)
, etiam ab initio auctoritatem suam
interposuisse in moderandis quoque Graecorum Ecclesiis: quod adeo gratum fuit eorum Episcopis,
ut hic commemoratam epistolam non tam Clementis quam Ecclesiae Romanae nomine publice
lectam scribat Eusebius. Nulla dirò del frutto, che riportò la spedizione di Pelagio; chè il poco
seguito ch'ebbero gl'indicati scismatici e l'oscurità in cui sono restati involti i loro nomi negli
:
annali
ecclesiastici bastano a far vedere che riuscì utilissima. Lo stesso dir si può di quella di S. Gregorio,
che ha potuto contener con tal mezzo la Chiesa orientale per lungo tempo nella professione della
vera Fede, e conservarla costante nell'unità della Chiesa. Ed è così manifesto e sensibile il gran
vantaggio che reca la provvida cura de' Romani Pontefici nelle altrui diocesi, dovunque può
stendersi liberamente, che Giannone medesimo non sa che attribuire a lei l'essere stato preservato il
regno di Napoli dall'eresia di Ario e Pelagio
(574)
. Ma a chi mai non è stata proficua una tal cura? o a
qual traversia e disordine non ha ella somministrato opportuno riparo? Non v'è una diocesi tuttora
cattolica che non sia debitrice della sua Fede alle premure di questo Padre amoroso. Non v'è
un'sovrano cattolico che non vegga attorniato il suo trono d'immensi doni e favori ricevuti dal
comun Padre. Non cattedra [248] vescovile finalmente che nella lunga serie de' suoi Pastori molti
non ne conti difesi, protetti ed assistiti nelle più difficili urgenze dalle amorose cure del supremo
Gerarca del cristianesimo: e quelle sole, al dire d'Onorio III.
(575)
, sono restate esposte al furore de'
barbari ed all'empietà degli Eretici, alle quali è mancata la libera immediata assistenza di lui, che
ebbe in cura da Gesù Cristo e gli Agnelli e le Pecore e le Greggie e i Pastori.
Le quali cose mentre io considero sciolto da ogni prevenzione e partito, quanto ammiro
ossequioso i tratti sublimi della provvidenza divina, che a governo e cura d'ogni Chiesa particolare
ha destinati i sagri Pastori che s'affaticano instancabili nella coltura del campo evangelico, tanto
umile adoro quella speciale premura, che a sostegno e rinforzo della necessaria unità ha voluto
aggiungere un soprintendente e Pastore universale, che veglia alla coltura, istruzione e difesa di
tutti. E non so comprendere come vi siano tra i Pastori particolari alcuni così sconoscenti ed
improvvidi, che dimentichi d'essere anch'essi pecore del divin Gregge in paragone del supremo
Pastore, e posto in non cale ogni vantaggio che dalle paterne sue cure hanno riportato, dichiarino
aspra guerra al divino suo trono, e facciano ogni sforzo per ruinarlo. Miseri, che non s'avvedono di
non poter'agire utilmente la propria causa senza sostenere quella del Romano Pontefice, e che prima
d'ogni altra vacilla la loro, se cade l'universale giurisdizione del Papa. Glielo ha detto assai chiaro
Benedetto XIV.
(576)
, allorchè scrisse che suam causam agunt, cum supremi Pastoris auctoritatem
(573)
ad cap. 3. lib. 3. S. Irenaei.
(574)
Tom. 1. lib. 2. cap. ult.
(575)
Lett. a Ruggiero Arcivesc. di Pisa presso l'Ughelli Ist. sacr. tom. 3. col. 382.
(576)
De Syn. Dioce. lib. 9. cap. 1. num. 4.
152
propugnant & sustinent; quoniam si hujus jura evertuntur, paullatim pariter inferiorum Praesulum
jurisdictio nutabit & corruet. E molto prima di lui lo aveva lasciato scritto S. Pier Damiano in
quelle memorande parole
(577)
degne d'essere scolpite a caratteri d'oro sopra ogni cattedra vescovile,
nelle quali assicura che, Hac stante, reliquae stant: sin autem haec, quae omnium fundamentum est
& basis, obruitur, caeterarum quoque status necesse est collabatur. Un'occhiata sola che gettassero
su que' paesi infelici, che si sono già da gran tempo scostati dagli amorosi amplessi del [249] comun
Padre, sull'Inghilterra in ispecie e sui miseri avanzi delle Chiese orientali, che dopo il fatale
abbandono sono, al dire del Cardinal Pallavicini
(578)
, divenuti una Babele di discordie ed una Tebe
di tragedie, giunti sino a strascinare sul patibolo i loro sovrani e a dimenticarsi affatto del loro
antico lustro e splendore, bastar potrebbe al totale loro disinganno. Ma sordi a tutte le ammonizioni
e ciechi ad esempj così luminosi e funesti, o non arrivano a scandagliarne la forza, o non giungono a
vederli nel loro orribile aspetto: e la provvidenza divina in pena dell'enorme ingratitudine, colla
quale hanno corrisposto ai segnalati favori che avevano ricevuti dalla S. Sede, permette che e non
vedano la sorgente delle calamità che soffrono adesso, e non prevedano quelle maggiori, alle quali
si vanno inoltrando a gran passi pel nuovo intrapreso cammino. Tutto precipita nelle cattoliche
società, se manca l'autorità del Romano Pontefice: e su questa sodissima base s'inalza e sta
immobile non meno l'autorità dei soggetti Pastori che la sicurezza del trono e la tranquillità degli
Stati: Hac stante, torno a ripeterlo, reliquae stant; sin autem haec, quae omnium fundamentum est
& basis, obruitur, caeterarum quoque status necesse est collabatur. Ed è vanissimo la lusinga di
tutti coloro che credono di poter migliorare di condizione sottraendosi dalla dipendenza del comun
Padre: e si può ripetere ad ognuno di loro ciò che scrisse Nicolò I. ad Incmaro Arcivescovo di Rems
grande impugnatore anch'esso de' privilegi apostolici: Quomodo privilegia tua stare poterunt, si illa
cassentur, per quae tua initium sumpsisse noscuntur? & cujus momenti erunt tua, si pro nihilo
nostra pendantur
(579)
?
Ma non è questo il luogo di trattare de' sommi vantaggi, che il primato del Papa ha recato in
ogni tempo a chi l'ha voluto riconoscere e venerare, e delle gravi sciagure alle quali sono restati
soggetti quelli che l'hanno impugnato. Sentano i buoni e colla dovuta gratitudine confessino il gran
bene che ne hanno riportato: e se gli altri vorranno confessare una volta con qualche ingenuità
l'interna loro persuasione, vi diranno piangendo che è stato un cattivo cambio per loro passare dalle
mani di chi esercita la giustizia con somma moderazione in [250] quelle che la esercitano
terribilmente, e che è succeduto loro scostandosi dalla legittima per assoggettarsi a podestà
incompetenti ciò che predisse Isaia all'ingrato Israello
(580)
: & pro eo quod abjecit populus iste aquas
Siloe, quae vadunt cum silentio, propter hoc ecce Dominus adducet super eos aquas fluminis fortes
& multas. Ma io dopo sì grandi ruine non posso che piangere con loro e compassionarli, e
ritornando al nostro argomento ripeto, che è incontrastabile il diritto che ha il Romano Pontefice di
contenere coi suoi giudizj dommatici ed autentiche decisioni tutti i Fedeli nell'unità della Fede, e di
castigar quelli che vi contraddicono.
Nasce il primo diritto da quell'autorevole magistero, che a lui ha Gesù Cristo conferito
immediatamente quando ha comandato a S. Pietro di pascere il suo Gregge e di confermarlo nella
vera credenza. E non può non essere che una vanissima presunzione profittevole alla sola eresia e
contraria alla pratica di tutti i tempi (come rimproverò ad alcuni Vescovi della Francia nelle lettere
che scrisse a Luigi XIV., al Nunzio ed ai Vescovi stessi Clemente XI.) quella di alcuni Pastori che
invece di ricevere le dommatiche definizioni della S. Sede colla dovuta venerazione per eseguirle,
pretendono di esaminarle, e di assoggettarle al proprio privato giudizio. Nasce l'altro diritto da
quella più ampia e distinta podestà di sciogliere e legare, che prima di nessun'altro ed in modo
speciale fu conferita da Gesù Cristo a S. Pietro come a Capo e Pastore di tutti; ed è anch'essa una
legittima conseguenza del suo primato, come dimostra assai bene il Mamachi nel libro intitolato
(577)
Opusc. 4. pag. 22. tom. 4. Oper. edit. Paris. ann. 1663.
(578)
Lib. 3. cap. 15. num. 5.
(579)
Epist. 28. ap. Christian. Lupum tom. 1. schol. in can. 6. Concil. Nicaeni.
(580)
cap. 8. vers. 6. & 7.
153
Pisti Aletini, che scrisse contro l'infame libello intitolato Quid est Papa
(581)
. Si serve anch'egli in
quest'opera per confermarlo, del lungo esercizio avuto in ogni tempo, di cui vi ho dato poc'anzi un
qualche saggio: e in vano si suol dare a lui la taccia di troppo parziale alla S. Sede, e gli si
ascriverebbe a delitto la professione di Regolare. Nè questa, alla quale noi siamo debitori di quanto
abbiamo conservato di utile e buono della venerabile antichità, nè quella nuoce, quando i fatti
incontrastabili non ammettono alcun'eccezione; e quegli autori, ch'egli porta in conferma
dell'accennata verità
(582)
, nè [251] sono involti nelle tenebre de' secoli barbari, nè sono tutti così
parziali al Papa, che rendano sospetta la loro attestazione. Una sola n'aggiungerò io a vostro
maggior disinganno, ed è di un'autore al quale niuno attribuirà certamente o che sia vissuto ne'
tempi, in cui regnavano in tutto il mondo l'ignoranza e le tenebre e la collezione isidoriana, o
l'ingordigia de' Frati tutto aveva assoggettato al romano arbitrio, o che con soverchio fanatismo sia
stato attaccato agl'interessi di Roma. Egli è vissuto nel quinto secolo, e fu gelosissimo de' primigenj
diritti della sua sede. Questi è S. Cirillo Alessandrino, che il Martirologio Romano chiama
catholicae Fidei praeclarissimum propugnatorem,
doctrina & sanctitate illustrem. Parlando egli ne'
libri intitolati Thesaurorum dell'autorità del Romano Pontefice e della dipendenza e soggezione che
gli si debbe da tutti i Fedeli, Ut membra, dice (presso S. Tommaso
(583)
), maneamus in Capite nostro
apostolico throno Romanorum Pontificum: restiamo come membri congiunti al nostro Capo, che è
il trono apostolico de' Romani Pontefici: da lui dobbiamo cercare ciò, che è da credersi e da tener
fermamente, e dobbiamo pregarlo in ogni occorrenza con tutto l'ossequio e rispetto; a quo nostrum
est quaerere, quid credere, & quid tenere debeamus, ipsum venerantes & rogantes pro omnibus: a
lui solo appartiene propriamente il riprendere, il castigare, lo stabilire, il disporre, lo sciogliere, il
legare in luogo di quello, che lo ha voluto sollevare a grado così eminente e sublime; quoniam
ipsius est reprehendere, corrigere, statuere, disponere, solvere & ligare loco illius, qui ipsum
aedificavit. Così parla egli dell'autorità che compete al supremo Gerarca del cristianesimo, e della
somma, precisa ed immediata soggezione di mente e di cuore che è dovuta da tutti i Fedeli alle sue
istruzioni e comandi, e così ha epilogato questo gran Vescovo in poche parole quant'io vi ho
spiegato con maggior estensione in questa mia. Nè vi deve recar meraviglia o l'impostura di
un'anonimo calvinista sostenitore impudente nel 1645. dell'eresiarca Nestorio, che nega essere
questi libri da attribuirsi a Cirillo, o il sapersi che le accennate parole non si leggono negli avanzi
preziosi che abbiamo delle sue opere. L'impostura [252] è smentita abbastanza da Natale
Alessandro
(584)
: e se mancano adesso le indicate parole ne' codici che ci restano, non è da credersi
che non fossero in quello di cui faceva uso il S. Dottore; tanto più che sappiamo dalla settima
sessione del Concilio di Firenze; che S. Cirillo aveva parlato assai bene del Papa, e Torriano ci
assicura d'aver letto un greco frammento in cui s'incontravano parole a queste molto conformi
(585)
.
Meditatele senza pregiudizio e colla dovuta attenzione, e son certo che non vi resterà più alcun
dubbio sull'immediata ingerenza che aver deve sopra i Fedeli delle altrui diocesi il Romano
Pontefice, e sul diritto ch'egli ha di tutti istruirli e correggerli opportunamente, e spero che in
tutt'altro oggetto mi occuperanno in appresso i vostri comandi, ambiti da me con ogni premura a
solo intento di riuscirvi di qualche vantaggio colle mie istruzioni, e di dimostrarmi qual sono
(581)
cap. 2. de appell. art. 2. & seq.
(582)
ibid. art. 1. a num. 1. ad 10.
(583)
suppl. 3. part. quaest. 4. a. 6., & opusc. contr. errores Graecor. cap. 68.
(584)
Hist. eccles. saec. V. cap. 4. art. 14.
(585)
lib. 2. de Pontif. potest.
154
LETTERA VENTESIMASECONDA.
La suprema podestà del Papa non esclude l'ordinaria
podestà che hanno i Vescovi di castigare
gli Eretici.
a replica che fate all'ultima mia lettera mi persuade dello sbaglio che ho preso inviandovela. Io
m'era ideato di dovervi riuscire di qualche noja e rincrescimento per essermi troppo diffuso nel
mostrare che ha il Romano Pontefice sopra gli Eretici di qualunque diocesi immediata podestà
coattiva non meno de' Vescovi che ne hanno cura speciale: ma voi mi dite anzi che vi ha recato
sommo piacere la stessa mia diffusione, e vi lagnate piuttosto perchè non abbia detto qualche cosa
di più, e non pago d'averla accennata non mi sia alcun poco fermato a provare anche quella de'
Vescovi rispettivi. E questa mancanza vi ha sorpreso per modo, che non dubitate d'aggiungere
scherzando, che l'ho fatta questa volta da buon Curialista romano, che tutto intento a sostenere il
Papato poco si cura di difendere la podestà vescovile. L'ultima imputazione non la passo neppure
detta per burla; e voglio che restiate persuaso che non uso con voi alcuno strattagemma e finzione,
nè per fini indiretti nascondo alcuna di quelle verità, che io credo opportune alla vostra istruzione.
Se poi mi permettete che io vi parli colla mia solita sincerità, neppure posso approvare il
desiderio che mostrate di nuove prove e conferme sul punto indicato. Dopo che io v'ho scritto con
S. Paolo
(586)
, che hanno i Vescovi la verga pastorale atta a correggere ogni disubbidienza, e che la
correzione de' colpevoli come in ogni altra ben sistemata società è da considerarsi nella Chiesa di
Dio come una delle principali incombenze dell'apostolico ministero, e dopo che tutti i testi e
ragioni, che v'ho addotte per dimostrare la podestà che hanno i Romani Pontefici di castigare
gl'increduli, ben lungi dall'escluderla ammettono anzi e vogliono anche quella de' Vescovi, che vi
restava a cercare di più per [254] essere pienamente convinto? Non è questo un'averla accennata
semplicemente, ma un'averla dimostrata a dovere: e quel di più che si poteva addurre preso o dal
comando che fa loro S. Paolo
(587)
di trattare i malvagi con asprezza ed impero, o dalle riprensioni
che fa S. Gioanni ai Vescovi di Pergamo e di Tiatira
(588)
, perchè trascurati nell'adempire un così
essenziale dovere, o dall'espressioni di Gesù Cristo medesimo, che reputa indegni del nome di
Pastore quelli che non l'adempiono
(589)
, o dalla pratica in fine d'ogni età e nazione, sarebbono state
prove più luminose bensì e più moltiplicate, ma non necessarie a rendervene meglio informato, e a
farvi comprendere quanto irragionevole sia e mal fondato l'erroneo sentimento di Febronio, che col
Fleury chiama nuova l'asserzione di S. Tommaso, il quale nel libro contro Guglielmo di S. Amore
insegnò, quod Papa habeat immediatam jurisdictionem in omnes Christianos
(590)
. Deh! non
m'obbligate di grazia a cose inutili in un'argomento sì vasto, nel quale appena avremo campo di
toccare a dovere le più necessarie, e permettetemi piuttosto che con un'utile digressione vi
somministri qualche lume, che può meglio scoprirvi l'indole e carattere dell'una e dell'altra podestà,
e dileguare dalla vostra mente quelle tenebre, che con maliziose invenzioni e storte massime gli
amatori del libertinaggio spargono per ogni dove per far sì che o si distruggano a vicenda o restino
entrambe inoperose ed inutili. È difficile tener dietro a tutte le invenzioni e ripieghi che usano per
ottener quanto bramano; basterà però addurre i principali per iscoprirli e scansarli a dovere.
Confondono costoro la podestà d'Ordine con quella di giurisdizione: e al sapere che la prima
(586)
2. ad Cor. 10. vers. 6.
(587)
ad Tit. cap. 1. vers. 15.
(588)
Apocalyp. cap. 2.
(589)
Joann. cap. 10. v. 11.
(590)
Just. Febr. abreviat. Cap. 3. § 8.
L
155
non può nascere che immediatamente da Dio, il quale si serve bensì de' suoi ministri come
stromenti delle sue grazie e favori, ma egli è poi che opera immediatamente e principalmente nel
compartirli, suppongono che succeda lo stesso anche nel conferimento dell'attuale giurisdizione, è
parlano dell'una e dell'altra egualmente, sebbene nè siano in tutto la stessa cosa nè si comunichino
per egual modo nè siano sempre indivisibilmente congiunte. Fatta questa confusione d'idee e cose,
non v'è sproposito che non autorizzino, non v'è delirio [255] che non ispaccino per incontrastabile
verità. Ed infamano primieramente tutti i migliori canonisti e teologi, che la sola prima podestà
d'Ordine riconoscono proveniente da Dio immediatamente, ma della giurisdizione parlando la
dicono proveniente bensì anch'essa da Dio ma per mano del Romano Pontefice, che solo ha da Dio
immediatamente anche la pienezza di quella giurisdizione che esercita per tutto il mondo cattolico.
Scrittori di niun conto e molto pregiudicati diventano per queste sentenze ai loro sguardi i Tommasi,
i Bonaventura, i Belarmini, i Verga, i Fagnani e cent'altri canonisti e teologi, che spacciano per ogni
dove qual gente insidiosa che colle perverse loro chimere non tendono a meno che a detronizzare i
Vescovi dal sublime grado loro, strappar loro l'augusta tiara dal capo e farli semplici ministri
sussidiarj e luogotenenti e vicarj del Papa. Posta poi come domma di Fede l'origine della
giurisdizione vescovile da Dio solo, non sono meno copiosi e facili nel dedurre da questo principio
conseguenze stranissime di quello siano stati nella prima supposizione nell'infamare i contrarj. Non
riconosce più in questo sistema alcun limite e dipendenza la podestà vescovile; e soggetta a Dio
solo potrà bensì essere adoperata colpevolmente, nel qual caso sarà Dio stesso giudice di un simil
reato, ma non mai inutilmente quanto al valore delle sue intraprese, e non tra i soli confini della sua
diocesi ma diviene indipendente ed attiva anche oltre i medesimi, e tanto si stende e dilata che non
meno di quella del Papa abbraccia tutto il mondo cattolico, e non già nelle sole cose che risguardano
la difesa della Religione, come al dire del Padre Mamachi
(591)
hanno creduto molti Presbiteriani e
settarj, ma anche in ciò che concerne l'esteriore politica amministrazione, dal che si sono astenuti
moltissimi de' Protestanti medesimi: e vogliono che anche presi individualmente i Vescovi siano
giudici della Fede ed arbitri di tutte quelle leggi universali, che o dai Romani Pontefici dalla
suprema loro sede o dal corpo episcopale adunato con lui anche ne' Concilj ecumenici sono state
stabilite pel buon regolamento e governo di tutta la Chiesa. E questa è la podestà delle Chiavi, che
dicono essere stata conferita non a S. Pietro soltanto ma a tutti gli Apostoli perchè passasse ne'
Vescovi successori: quest'è la vescovile podestà che i sagri Pastori, habent in solidum, [256] come
si spiega S. Cipriano. Che confusione d'idee! che scompaginamento di cose! che ruina universale di
tutto il mondo cattolico! Non è necessario che siano qui riferiti a minuta tutti i disordini che
derivano da sì storte massime, perchè sono così evidenti che sa rilevarli chiunque le ascolta. È però
necessario che in tanta confusione di cose io separi il vero dal falso, il domma dall'opinione, dalla
luce le tenebre, perchè possiate meglio schivare quell'insidie, che i novatori vanno coprendo con
tante invenzioni e raggiri.
E vi ripeto in primo luogo che non può esser confusa nè nei Vescovi nè negli altri ministri
ecclesiastici la podestà d'Ordine con quella di giurisdizione e regime: ed il Concilio di Trento che
ha fulminata la scomunica contro chiunque dicesse che un Prete non ha bisogno che della sua
consagrazione per assolvere validamente
(592)
, ed ha dichiarato che un Vescovo canonicamente
preconizzato dal Papa può esercitare la giurisdizione nella sua diocesi anche prima d'essere
consacrato
(593)
, ha tolto a tutti i Fedeli la libertà di confonderle. Ha poi l'Ab. Bolgeni nel suo bel
libro dell'Episcopato
(594)
portato tant'altre prove per confermare questa verità da non poterne più
dubitare in alcun modo. Nulla direi dell'origine di questa giurisdizione, come di cosa nella quale
trovo divisi i nostri canonisti e teologi in discordi pareri, se di questi stessi non abusassero i nostri
avversarj per dedurre al solito le strane loro conseguenze. Niuna delle accennate opinioni è di Fede:
(591)
Orig. Lib. 4. § 2.
(592)
Sess. 14. can. 11.
(593)
Sess. 23. can. 2. de Ref.
(594)
Cap. 7. num. 78. & 79.
156
e per quanto la prima sia sembrata all'immortal Lambertini
(595)
e sembri anche a me assai meglio
fondata e più coerente all'espressioni di S. Ottato Milevitano, che dice di S. Pietro, che bono unitatis
et praeferri Apostolis omnibus meruit, et claves regni Caelorum communicandas caeteris solus
accepit
(596)
, e di S. Leone il quale dello stesso S. Pietro assicura
(597)
, che si quid cum eo commune
caeteris voluit esse principibus, nunquam nisi per ipsum dedit quidquid aliis non negavit, e del
Sinodo d'Aquileja, al quale presiedette S. Ambrogio, che della Chiesa di Roma dice, che inde in
omnes venerandae communionis jura dimanant
(598)
; l'altra però, che ammette [257] non che il
carattere vescovile ma la giurisdizione ancora da Dio immediatamente, e dopo molte dispute e
contrasti è stata lasciata indecisa dal Concilio di Trento, può essere sostenuta tuttora senza notabile
censura. Io non m'oppongo che all'abuso che ne fanno i moderni Giansenisti ed increduli a scredito
di quelli che tengono l'opinione contraria strapazzati da loro senza pietà, come se spogliata avessero
la vescovile giurisdizione della più nobile prerogativa che la rende d'ordine divino, e a danno della
Religione e della Chiesa.
Niuno de' canonisti e teologi, che ammettono la vescovile giurisdizione proveniente
immediatamente dal Papa, la crede e chiama da gran tempo d'istituzione puramente umana, nè
riconosce ne' Vescovi una semplice luogotenenza e vicariato; e se tra gli antichissimi qualch'uno si
trova che siasi servito di così inesatte espressioni, è da attribuirsi piuttosto a quella sicurezza, colla
quale sciolti dalle insidie di tanti novatori che sono nati dappoi potevano parlare allora senza
pericolo d'essere intesi malamente, che ad errore che avessero nell'animo. Tutti i teologi e canonisti
di qualche nome dicono adesso che più assai di una semplice delegazione e vicariato esprimono le
parole di S. Paolo
(599)
, che raccomanda ai Vescovi la cura del Gregge che è stato da Dio alla loro
autorità affidato, e quelle di S. Pietro
(600)
, che chiama di loro pertinenza quella porzione del Gregge,
della quale devono aver cura, e quelle in fine di Gesù Cristo medesimo
(601)
, che distingue i veri
pastori, che guardano la propria greggia, dai semplici mercenarj e ministri che custodiscono l'altrui.
E tutti dicono che sebbene tale podestà di giurisdizione non nasca ne' Vescovi da Dio
immediatamente, come quella del Papa e la loro stessa podestà d'Ordine, non è però sussidiaria e di
pura delegazione, ma ordinaria e propria del loro carattere, e che dev'essere esercitata a nome
proprio non a nome del Papa, fuori dei casi ne' quali agiscono come suoi delegati speciali: e sono
così lontani dal riconoscere ne' Vescovi un'autorità o puramente umana o di semplice delegazione e
vicariato, quanto sono lontani dal confondere col mercenario il pastore, il ministro col Principale e
l'ordinaria podestà colla delegata e precaria: e direbbono anche di più, se non temessero le
conseguenze che dedur sogliono i nemici della S. Sede [258] da qualunque espressione, detta ad
esaltamento e gloria della podestà vescovile, per sollevarla contro quella stessa sorgente da cui
deriva. Il solo non essere stata disapprovata sinora autenticamente quell'opinione che la fa nascere
immediatamente da Dio udiste già quali funestissime conseguenze ha prodotto nella storta logica di
costoro a danno della purità della Fede e dell'unità ed armonia ammirabile del regno di Gesù Cristo.
Della purità della Fede, che non resta meno oltraggiata da chi impugna qualch'una delle sue
incontrastabili verità che da chi ha l'ardire di annoverare tra queste le opinioni che non le
appartengono. Dell'unità della Chiesa, che coll'accennata indipendenza ed estensione della
vescovile podestà di più perfetta e più ben sistemata società, qual'è veramente viene cambiata in un
caos della più disordinata anarchia. Neppur Gersone, quel grande encomiatore e sostenitore
intrepido della vescovile podestà, ha avuto l'ardire d'inoltrarsi cotanto, e descrivendone l'estensione
e natura, status, dice
(602)
, praelationis episcopalis habuit in Apostolis & successoribus usum &
exercitium suae potestatis sub Petro & successoribus ejus tanquam sub habente vel habentibus
(595)
De Syn. lib. 1. cap. 4. § 2.
(596)
De Schism. Donat. lib. 7. cap. 3.
(597)
Ser. 5. cap. 2. & 3.
(598)
Coustant Epist. Rom. Pontif. tom. 1. col. 554.
(599)
Act. 20. ver. 28.
(600)
I. Petr. 4. ver. 2.
(601)
Joann. c. 10. vers. 4.
(602)
de Stat. Eccles. consid. 3. de stat. Praelat.
157
plenitudinem fontalem episcopalis auctoritatis, unde & quoad talia minores Praelati subsunt
Episcopis, a quibus usus suae potestatis quandoque limitatur vel arcetur, & sic a Papa posse fieri
circa Praelatos majores ex certis & rationabilibus causis non est ambigendum. Esclude in questo
luogo Gersone quell'indipendenza che i novatori nemici implacabili dell'ecclesiastica unità
pretendono di dover'inferire dall'immediata divina origine, che attribuiscono alla giurisdizione de'
Vescovi. Ma che dovrà poi dirsi di quell'ampiezza ed estensione di podestà e di quella dispotica
autorità, che accordano loro sopra quanto v'ha di più utile, venerabile, universale e costante nel
cristianesimo?
So che o nasca dal Papa o da Dio immediatamente, la loro autorità è divina, e che competono a
lei diritti originarj e primigenj, senza dei quali non sarebbono i Vescovi che ministri sussidiarj e
Pastori di nome: e vedete quanto io voglia stendere questi primigenj ed originarj diritti. Quant'è
necessario ed opportuno al reggimento e governo della loro diocesi, quanto [259] può senz'opporsi
al buon regolamento della Chiesa universale contribuire alla loro convenienza e decoro, l'istruzione
della loro Greggia, la somministrazione del pascolo salutare de' divini misteri, la scelta de' ministri
inferiori, la distribuzion de' beni al divin culto consagrati, un'autorevole legislazione che ai rispettivi
sudditi prescriva i cristiani doveri, e per dir tutto in breve colle parole di Benedetto XIV.
(603)
, quae
ad vitia coercenda, virtutem promovendam, depravatos populi mores reformandos, &
ecclesiasticam disciplinam aut restituendam aut fovendam necessaria atque utilia esse judicaverit;
tutte queste ispezioni le credo di primigenio originario vescovile diritto. E voglio anche accordare di
più, e non mi metterò a contendere con chi volesse supporre che, previo il consenso e
l'approvazione o espressa o ragionevolmente presunta del Romano Pontefice in qualche caso
d'inevitabile necessità e quando fosse interdetto ogni ricorso alla S. Sede per implorare la sua
assistenza, voglio, dissi, accordare che per istraordinario diritto possa un Vescovo stendere il suo
zelo e la sua pietà fuori della sua diocesi ed esercitare qualch'atto di giurisdizione in quelle, che o
abbandonate dai loro Vescovi o cadute in mani di lupi rapaci fossero per incontrare senza il suo
soccorso un'inevitabile ruina. Anche i canoni hanno provveduto opportunamente per mezzo di
stranieri Pastori alle occorenze e bisogni delle vicine diocesi
(604)
: e non mancano esempj
antichissimi di alcuni Santi che si sono adattati in quest'incontri alle dure circostanze de' tempi, e si
sono piegati alle altrui spirituali indigenze. Questa e non altra autorità da tramandarsi ai Vescovi
successori è stata conferita da Gesù Cristo agli Apostoli, la quale se fu in loro più estesa, non fu per
altro mai indipendente dal loro Capo S. Pietro, e l'estensione amplissima ch'ebbe in loro per tutto il
mondo fu richiesta allora dai bisogni della Chiesa nascente, non comunicata perchè passasse nei
successori. A questi bastava che parte solo si diffondesse in appresso dell'ecclesiastico ministero, e
si comunicasse loro dal Romano Pontefice, in cui solo passa con ogni ampiezza dalla sua sorgente,
perchè successore del Capo degli Apostoli, come ho testè avvertito colle parole di S. Leone e di S.
Ottato Milevitano. Quello che non posso soffrire, [260] e che non soffrirà chiunque ha a cuore
l'unità della Chiesa e la tranquillità de' Fedeli, si è che questi originarj diritti siano indipendenti ne'
Vescovi e si stendano per modo che senza riconoscere sopra di se alcun Capo e superiore
oltrepassino i contini delle rispettive loro diocesi e si estendano anche su quelle cose, che nate da
superiore podestà non possono esser soggette ad una podestà inferiore, ed ordinate a promovere i
vantaggi di tutti i Fedeli non devono esser variate da chi non ha in cura per ordinario diritto che una
piccola porzione del divin Gregge. Non esige questo il bisogno della diocesi, non lo permette il
buon'ordine, ed è contraddetto da quella stessa Verità, da cui si suppone originata immediatamente
anche la podestà vescovile, alla quale non meno che ad ogni altra subordinata facoltà hanno
intimato S. Pietro e S. Paolo di star soggette e di rispettare le podestà superiori, anzi dal testo
medesimo di S. Cipriano
(605)
, del quale abusano sì spesso i nostri avversarj per sostenere i loro
spropositi. Non dice egli che tutti i sagri Pastori abbiano il vescovato in solidum, come pure avrebbe
dovuto dire se avesse riconosciuti tutti i Vescovi adorni di quella pienezza d'autorità che risiede nel
(603)
de Syn. dioec. Lib. 6. cap. 1. num. 1.
(604)
Concil. Milevit. ap. Harduin tom. 1. can. 24. & 25.
(605)
lib. de Unitate Ecclesiae.
158
solo Romano Pontefice, giacchè così porta la frase presso i giureconsulti, secondo i quali vogliono
interpretare S. Cipriano, cioè che sente l'intero peso del debito ciascuno di quelli che tenentur in
solidum: ma S. Cipriano dice che hanno in solidum non tutto ma parte del vescovato, che è appunto
ciò che io ho loro accordato colle accennate limitazioni e dipendenze; ond'è che, come riflette assai
bene il P. Bianchi
(606)
, quell'in solidum non si deve intendere secondo il pieno della cosa, di cui si
parla, ma per quella somiglianza e conformità che ha il tutto colla parte, e vuol dire, che Gesù
Cristo ha così disposte le cose, che come l'unità della Chiesa universale risultar doveva dall'unità
del suo Capo, così in ogni Chiesa particolare non vi doveva essere che un sol Vescovo Capo visibile
anch'esso, fondamento ed origine dell'unità della sua diocesi. L'illimitata estensione in somma e
l'indipendenza è ciò ch'io ricuso di conoscere ne' subalterni Pastori, non la sublime loro condizione
e [261] carattere: e tutti li riconosco per ministri di Gesù Cristo, successori in qualche modo degli
Apostoli, veri principi ecclesiastici, Padri de' Padri, Sacerdoti sommi, vicarj di Cristo ed Angeli
della Chiesa, coi quali nomi, al riferir di Mamachi
(607)
, sono stati distinti ed onorati sì spesso dagli
antichi Padri e Concilj, purchè non pretendano d'essere indipendenti e dispotici d'ogni ecclesiastico
stabilimento. Vedo anch'io che nella mia supposizione non tutti i casi saranno soggetti alle loro
Chiavi, non tutte le persone che abitano nella diocesi saranno pienamente soggette alla loro
giurisdizione, non tutte le cause saranno terminate nel loro tribunale, non tutti i Beneficj saranno da
loro distribuiti, nè saranno giudici della Fede se non quando chiamati dal loro Capo ed uniti con lui
al corpo del sagro episcopato agiranno di concerto nel decidere le controversie di Fede non ancor
definite: ma questo nè toglie che in tant'altre e sì numerose maniere esercitar non possano l'ordinaria
loro vescovile podestà, ed i vincoli che incontrano, e dai quali vengono stretti nel nostro piano più
che dall'altrui superiorità dal bisogno che ha la Chiesa di conservare l'unità e il buon'ordine, restano
compensati in maniera e dal maggior lustro che acquista la loro tiara tra gli splendori del sagro
triregno e da quelle opportune istruzioni che ricevono nelle più difficili e complicate faccende e
dalla solidità in fine che ottengono appoggiati ad una base sì ferma ed immobile, che si mostrano
improvvidi affatto que' Vescovi che li ricusano, e chi li disapprova e combatte non tende a meno
che alla depressione e ruina totale di se medesimo.
Ne volete una prova evidente? ve la somministra l'argomento stesso che abbiamo per le mani,
del quale ritorno ora a parlar di proposito. Finchè uniti alla Santa Sede hanno i Vescovi potuto
godere del libero influsso de' favori del Romano Pontefice non è stato loro difficile il combattere
qualunque errore e sradicare qualunque disordine o uniti in Concilio o sedenti sul loro trono; e
perseguitati sono stati da lui difesi, come gli Atanasj, i Crisostomi, i Nazianzeni, timidi sono stati
incoraggiti, come i Vescovi d'Inghilterra da Pasquale II. ed Alessandro III., deboli sono stati
rinforzati, come il Vescovo di Milano S. Ambrogio da Siricio, vacillanti sono stati rassodati, [262]
come quelli di Lamagna da Gregorio III., ed ignoranti sono stati istruiti, come il Patriarca e varj altri
Vescovi d'Armenia da Paolo III.; nè ha mai questo Padre pietoso sdegnato di stendere il suo braccio
autorevole a loro difesa e conforto quando o essi lo hanno implorato o lo ha ricercato il bisogno
delle loro diocesi. Tutto allora camminava a dovere: e S. Ireneo con ogni libertà impugnava i
Valentiniani in Francia, combatteva S. Gregorio Nisseno gli Eunomiani nella Capodocia, avviliva i
Pelagiani e i Donatisti S. Agostino nell'Africa, e S. Atanasio, S. Ilario e cent'altri Vescovi
perseguitavano allora gli Ariani in Egitto, in Francia, anzi per ogni dove, nè insorgeva mai in
veruna parte del mondo un'errore o un Eretico che non fosse dalla vescovile vigilanza assistita dalla
podestà pontificia e scoperto e atterrito e castigato per lo più severamente. Sono stati da qualche
tempo, ed anche a nostro ricordo, o dalla privata ambizione di qualche Vescovo o dalle insistenze e
premure de' falsi loro protettori spogliati i Vescovi di questa più intima comunicazione e spedito
sussidio, e col pretesto di non pregiudicare ai primigenj loro originarj diritti è stata in gran parte
impedita l'attuale influenza e direzione del loro Capo. Ora che n'è avvenuto? Ah! baldanzosi alzano
la fronte in più luoghi gli Eretici senza che vogliano più rispettare la sublime loro autorità! e
l'avrebbero forse anche avvilita affatto e confusa colle semplici prerogative dei ministri inferiori, se
(606)
della Podestà e della Polizia &c. tom. 3. lib. 1. cap. 3. § 13.
(607)
Orig. & Antiq. Christian. lib. 4. cap. 4. § 1.
159
pronta non accorreva a soccorrerla la S. Sede, che colla condanna della IX. e X. delle proposizioni
dannate dalla famosa e necessaria Bolla Auctorem Fidei dichiarò gli ulteriori loro attentati e dottrine
false, temerarie, per lo meno erronee, lesive dell'autorità episcopale, sovvertitrici del governo
gerarchico, favoreggianti l'eresia ariana rinnovata da Calvino, ed infirmanti la forza delle definizioni
e de' giudizj dommatici della Chiesa. Queste provvidenze però se hanno potuto smentire le loro
imposture e calunnie, e salvare il prezioso deposito della Fede dalle loro violenze ed insidie presso
coloro che forniti di buona volontà sentono tuttora e rispettano la voce del primo Pastore, non hanno
potuto ricondurre per anche nella moltitudine l'antica venerazione e rispetto che godeva una volta
per tutto il mondo cattolico, nè restituire il perduto esercizio della loro autorità a tutti i Pastori;
ond'è che soffre tuttora gran discapito nella pregiudicata altrui opinione la loro autorità, e questa
debilitazione e languore seco traendo anche quello, com'è naturale, delle secolari [263] podestà,
tutto resta involto in una miserabile perturbazione. Oh, quanto sarebbe stato miglior consiglio
soffrire la soggezione e governo della S. Sede Madre amorosa con tutti, che abbandonarsi alle
bugiarde lusinghe de' loro pessimi adulatori, i quali li hanno spogliati de' loro veri originarj diritti
per trasferirli in chi non conveniva in conto alcuno! Non si è mai portata così nè coi Vescovi nè coi
sovrani la S. Sede, de' quali ha rispettato l'attività e diritti per modo che non ha mai voluto agire a
contraggenio di questi e non solo ha con istraordinarie delegazioni aumentato la forza di quelli,
perchè nulla potesse riuscir loro d'impedimento
(608)
, ma per renderla più pronta e spedita li ha anche
minacciati di severi castighi, se avessero trascurato colpevolmente d'esercitarla. Leggete la
Decretale d'Innocenzo III., che comincia Excommunicamus, riferita dall'Eimerico
(609)
, che nel §.
Volumus dichiara meritevole della deposizione quel Vescovo, il quale super expurgando de sua
dioecesi haereticae pravitatis fermento negligens fuerit vel remissus: le quali minacce sono state
rinnovate poi e da Clemente V. e da Martino V.; e convien dire che tutto sia avvenuto con
approvazione e consenso de' Vescovi stessi, se alcune furono pubblicate ne' più solenni Concilj, ed
altre da Concilj adottate ed inserite negli Atti, come il rescritto di Martino V. nel Costanziense. Sarà
questa per voi una nuova conferma di quell'ordinaria autorità, che compete ai Vescovi di castigare
gli Eretici nelle loro diocesi, e una prova evidente che non pregiudica punto ai diritti originarj,
ch'essi hanno quel superiore e primario che vi esercita il Romano Pontefice, ma giova moltissimo,
ut Capite constituto, Schismatis tollatur occasio, come dice S. Girolamo
(610)
, o perchè una Christi
Ecclesia & cathedra una monstretur, come afferma S. Cipriano
(611)
, o finalmente perchè tamquam
saxum immobile totius operis christiani compagem molemque contineat, come scrisse S.
Massimo
(612)
. E questo sia detto se non a rinforzo di quell'autorità che non ne aveva bisogno, a
dissipamento almeno di quelle tenebre, che vi hanno sparse sopra i novatori per oscurarla: e pronto
a nuovi comandi mi dico
(608)
Conc. Trid. cap. 1. sess. 5. de Reform.
(609)
Director. part. 2. cap. 12.
(610)
lib. 1. adv. Jovinian. Cap. 14.
(611)
de Unit. Eccles. col. 14
(612)
Homil. 54. edit. rom. 1.
160
LETTERA VENTESIMATERZA.
Si conferma quanto è stato detto colla costante pratica
della Chiesa per tutto il tempo che ha preceduto
l'istituzione del tribunale del S. Officio.
on sarebbe men vero quanto vi ho esposto finora intorno al diritto che ha la Chiesa di castigare
gli Eretici con pene anche temporali, quantunque fosse stata impedita talvolta di eseguirlo.
Non si fa sempre ciò che si può: e non sono pochi i diritti, che gli stessi nostri avversarj accordano
alla Chiesa, i quali sono restati talvolta in una prudente inazione, o da crudeli persecuzioni impediti
empiamente. Siccome però la pratica, quand'è universale e costante, serve a meglio scoprire il
diritto; così non mi dispiace di vedermi stimolato da voi a diffondermi alquanto più su questo punto,
sul quale non ho tralasciato di darne nelle passate mie lettere un qualche cenno: ed a maggior vostra
istruzione vi dico senza punto esitare, che in questa parte la pratica ha sempre corrisposto a quella
teorica, che ho dimostrata nelle passate mie lettere, e non è mai andato disgiunto il diritto dal fatto.
Non è già ch'io pretenda di sostenere, che la Chiesa abbia nel castigare gli Eretici conservato
sempre lo stesso stile. Come da ogni altro tribunale ed in ogni altro affare di mutabile disciplina,
così nella difesa della Religione sarebbe ingiusta cosa il pretenderlo dal tribunale della Fede: e
sappiamo dai dottissimi Cardinali de Lugo
(613)
e Brancati
(614)
e da varj altri canonisti e teologi, che
la Chiesa colla sua solita commendevole prudenza e saviezza ha in questa parte variato assai bene
regolamento e sistema, passando da uno in altro genere di pene, da una in altra maniera più forte di
pronunciarle, secondo che esigeva il ben pubblico ed il buon'ordine del divin Gregge. Solo
nell'undecimo e duodecimo secolo s'incominciano ad incontrare conciliari e pontificie disposizioni,
che obbligano i tribunali laici ad eseguire contro quelli, che l'hanno meritata, e che vengono [265]
abbandonati al braccio secolare, quella pena di morte, la quale in addietro non aveva che permessa,
come utile e giusta, al loro zelo e potere: Damnati saecularibus potestatibus, aut earum Balivis
relinquantur, animadversione debita puniendi..... Et si quis eorum contra praedicta fecerit....
excommunicationem incurrat; quam si per annum sustinuerit, ex tunc velat Haereticus
condemnetur
(615)
. Così si legge nel terzo capo del Concilio Lateranense IV. sotto Innocenzo III.
(616)
.
Questa più forte e risoluta maniera però di opporsi al furore degli Eretici, alla quale dopo il lungo
giro di tanti secoli ha creduto bene di appigliarsi, non prova che non ne abbia avuto sempre il
diritto, e che anche prima non abbia o per se stessa immediatamente o per mezzo dei fedeli sovrani
cercato di opporsi alla loro perfidia con ogni maniera di spirituale e temporale coazione. Lo ha fatto
senza meno quante volte lo ha permesso la prudenza, e ricercato il buon'ordine: ed è giustissimo il
sentimento del Tommasino, il quale dopo d'avere riportato il testè citato decreto d'Innocenzo III.
che ha sparso qualche seme del tribunale presente, confessa
(617)
, che non ha fatt'altro che rinvigorire
la pratica di tutti i tempi, e quindi inferisce, che non meritava i rimproveri, che ne fanno i non meno
ignoranti che maliziosi suoi disapprovatori: Ce décret m'a paru contenir la meilleure partie tant des
anciennes loix des Empereurs chrétiens contre les Hérétiques,
que des Canons des Conciles
d'Afrique sur le même sujet; ainsi on n'a nul sujet de rendre ce Concile, ces Canons, ou ce Pape
(613)
Disput. 24. sec. 2.
(614)
Disp. 15. art. 2. §. 2.
(615)
Trad.: "Coloro che sono stati condannati (come eretici) siano consegnati alle autorità secolari, o ai loro Balivi, per
essere puniti con le pene dovute.... e se qualcuno di questi (l'autorità secolare o il Balivo) non ottemperasse a ciò.... sia
scomunicato; e se trascurasse per un anno di fare il proprio dovere, sia condannato come Eretico." Con riferimento al
testo conciliare, quello riportato, pur nella sua sostanziale fedeltà, risulta parafrasato. (N. d. R.)
(616)
Concil. Labbei. t. 13. p. 934.
(617)
Traitè des Edicts. p. 2. c. 13.
N
161
odieux, comme
(618)
s'ils avoient donné commencement à cette Inquisition, dont on a conçu tant
d'aversion avec plus de passion, que de sagesse & de discernement
(619)
. Basta riflettere alle leggi ed
al metodo, ch'hanno prescritto Gesù Cristo
(620)
e S. Paolo
(621)
a fine d'impedire la seduzione de'
Fedeli, che fin da que' tempi gli Eretici procuravano a tutto potere, per conchiudere, che non furono
in questo discordi dai posteriori i tempi apostolici, e che conviene o stenderne agli uni ed agli altri
la disapprovazione, o rispettare in tutti egualmente quegli stabilimenti, che provengono dall'istessa
provvida ed autorevol sorgente.
Per dare però documenti più luminosi e sensibili di quella [266] pratica, che in ogni tempo ha
osservata la Chiesa, non parlerò dei tempi posteriori al duodecimo secolo, nei quali l'istituzione del
tribunale del S. Officio ha reso il castigo degli Eretici più regolare, costante e metodico, parlerò solo
dei secoli, che l'hanno preceduto; e in tutti vedrete gli Eretici divenuti oggetto delle giuste collere
dei sagri Pastori, ed in guisa speciale di quelle del Romano Pontefice, che, come conveniva appunto
al suo primato, ha avuto in ogni incontro più di qualunque altro una cura particolare di svellere dal
campo del Signore le perniciose zizzanie, e di allontanare dal sagro ovile i lupi rapaci. A questo fine
erano diretti i molti libri, che al sorgere d'ogni eresia gli Apostoli, i SS. Padri e tant'altri scrittori
ecclesiastici composero, fin dai primi tempi del cristianesimo per iscreditarla co' suoi inventori e
seguaci: e ne resta ben presto persuaso chi scorre il vangelo di S. Gioanni contro Ebione e Cerinto;
le varie lettere canoniche di S. Pietro, di S. Paolo e de' SS. Giacomo, Gioanni e Giuda contro i
Simoniani, Nicolaiti, Ebioniti e Cerintiani; l'opere di San Giustino, di Musano, d'Apollinare, di
Teofilo e di S. Ireneo contro i Marcioniti, gli Encratiti, i Montanisti, gli Ermogeniani, i Valentiniani,
anzi contro tutte le eresie de' primi due secoli. Sono a queste succedute le opere di Clemente
Alessandrino, dei due Dionigi e di S. Atanasio contro i Valentiniani, i Carpocraziani, i Gnostici,
Basilidiani ed Ariani: e per dir breve, quelle di tutti i primi Padri e dottori contro tutti i primi
Eresiarchi ed increduli.
Nè gli errori soltanto, ma divennero scopo delle loro collere e risentimenti le persone stesse, che
li professavano, trattate sì spesso ne' suddetti libri colle obbrobriose taccie di lupi rapaci, di schifose
cancrene, di bestie crudeli, di assassini e demonj, e vilipese coi più solenni rimproveri. Furono
diretti al medesimo scopo i canoni e le costituzioni apostoliche e tant'altre ecclesiastiche
disposizioni, che stabilirono contro gli Eretici le penitenze più rigorose; nè ebbero certamente altra
mira i fulmini pesantissimi dei più solenni anatemi vibrati fin d'allora contro costoro dai Vescovi, o
dalle particolari loro sedi o uniti in Concilj, o dal supremo Gerarca del cristianesimo, de' quali piene
sono le storie. È vero, che prima che il gran Costantino inalberasse su i sette colli la Croce di Gesù
Cristo, e si dichiarasse veneratore e seguace de' divini suoi ammaestramenti, non troverete nella
Chiesa di Dio le spade alzate per castigarli con pene anche temporali più rigorose e terribili
(sebbene armata ben d'altro [267] che di pene spirituali e leggiere avrebbe veduta la destra
dell'Imperator'Aureliano Paolo Samosateno, se avesse ricusato di cedere a chi comunicava col Papa
quella casa vescovile della quale per la sua eresia era stato privato): non lascierete però d'incontrare
fin d'allora segni non dubbj di quell'esteriore giurisdizione contenziosa e coattiva che la Chiesa
doveva esercitare in appresso, ed il sibilo udirete di quella verga, e le minaccie di quelle asprezze e
rigori, che fece temere S. Paolo a quelli di Tessalonica e di Corinto
(622)
. Riandate le sagre carte ed i
libri preziosi de' Padri apostolici, ed incontrando in quelle un'Anania bugiardo ucciso dall'imperiosa
voce del principe degli Apostoli, una Zafira estinta, un Simone prostrato al suolo, rimproverato un
Pontefice da S. Paolo
(623)
, acciecato un'Elima, ed esposto un'Incestuoso alle più crudeli vessazioni
(618)
Nel testo: "come". (N. d. T.)
(619)
Trad. "Mi sembra che questo decreto contenga la parte migliore sia delle antiche leggi degli Imperatori cristiani
contro gli Eretici, sia dei Canoni dei Concili dell'Africa sullo stesso argomento; per cui non v'è motivo di rendere
questo Concilio, questi Canoni, o questo Papa odiosi, come se avessero dato inizio a questa Inquisizione per la quale si
è dimostrata tanta avversione più per passione che per saggezza e discernimento." (N. d. R.)
(620)
Matth. 18. vers. 17.
(621)
Tit. 3. 10. 1. ad Cor. 5. 11.
(622)
Epist. 2. ad Thess. 1. vers. 8., & 1. ad Cor. 4. ver. 21., & 2. ad Cor. 13. vers. 10.
(623)
Act. 23. v. 3.
162
del Demonio; e trovando in questi che San Gioanni per non restare dalle ruine oppresso si scostò da
quel bagno in cui si lavava Cerinto nemico della verità
(624)
, che S. Policarpo chiamò,
rimproverandolo pubblicamente, primogenito di Satanasso Marcione che cercava la sua
amicizia
(625)
, e che S. Ignazio commendò lo zelo di quei di Corinto che odiavano gli Eretici con
tanto ardore che negavano loro anche il passaggio per le loro contrade
(626)
; dite voi francamente che
voci son queste e segni dell'alto potere di quella Sposa celeste dell'Agnello divino, che squallida e
mesta gemeva allora sotto le forbici d'ingordo carnefice, come di Gesù Cristo predisse il Profeta, ma
sarebbe poi divenuta bella come il sole e terribile come un'esercito preparato a combattere. Dite che
se in varj di quest'incontri mancò l'apparecchio e la pompa solenne di giudizio esteriore, non toglie
questo qualunque esercizio di quella coazione di cui parliamo, e che non mancò sempre, e la
prescrisse lo stesso San Paolo
(627)
nelle accuse de' Vescovi, e furono effetti di un formale giudizio
ecclesiastico le abbjure di Cerdone sotto il pontificato d'Igino attestate da Eusebio
(628)
, e l'esclusione
che ebbe dal consorzio di tutti i Fedeli scoperto che fu impenitente e rilasso, come racconta [268] S.
Ireneo
(629)
. Il Valesio
(630)
ed il Massuet
(631)
ed il Cardinal Orsi
(632)
pretendono, che la parola greca
α̉φιςὰµενος, di cui si vale il Santo, significhi, che Cerdone si separò da se medesimo dalla Chiesa;
ma con più fondamento a parer mio il Tillemont
(633)
è di contrario parere, come lo è stato il Rufino
nella sua versione d'Eusebio
(634)
, dal quale sono così tradotte le parole di S. Ireneo, Convictus a
coetu fraternitatis arcetur.
Non dissimili a questi atti di foro contenzioso ed uniformi al costante esercizio, ch'ebbe la
Chiesa, di sua giurisdizione esteriore anche prima che vegliassero intorno al suo trono quei Forti
d'Israele, e circondassero la regale sua Sede que' sodi ripari, che ne' fedeli sovrani le andava
preparando la provvidenza divina, sono e la scomunica che incontrò Marcione, e lo attesta S.
Epifanio
(635)
, per mano del Vescovo suo padre, dalla quale ricercò invano d'essere assoluto dal
Romano Pontefice, e le condanne de' Montanisti fatte dai Vescovi dell'Asia, poi o dal Papa
Eleuterio, come crede probabile il Tillemont
(636)
, o, come appoggiato all'autorità di Tertulliano nel
libro contro Prassea crede assai più verisimile il Cardinal Orsi
(637)
, dal suo antecessore il Pontefice
S. Sotero. E quel giudizio, dal quale si sottrasse Novato, al dire di S. Cipriano
(638)
, quando
urgentibus fratribus imminebat cognitionis dies, quo apud nos causa ejus ageretu, & judicium
Sacerdotum voluntaria discessione praecessit, quasi evasisse sit poenam, praevenisse sententiam: e
le condanne in fine prima degli errori seguite in due Concilj d'Antiochia, poi della persona stessa di
Paolo Samosateno accaduta nel terzo, delle quali parlano diffusamente il Tillemont
(639)
e l'Orsi
(640)
,
non sono un argomento chiarissimo di quella verità che vi sto annunciando? [269]
Mancò è vero in questo tempo non che il braccio favorevole de' sovrani, che spalleggiasse
l'esemplari e giuridiche disposizioni della Chiesa, ma la libertà fors'anche d'esercitare sempre per se
stessa immediatamente quel discreto rigore di bandi, flagelli, carcerazioni e d'altre pene temporali,
delle quali con ogni libertà dispone adesso in più luoghi; se pure non sono da eccettuarsi i bandi, i
(624)
Irenaeus.. lib. 3. cap. 3.
(625)
Iren. lib. 3. cap. 3.
(626)
Epist. Ad Ephesios.
(627)
1. ad Timotht c. 5. ver. 19.
(628)
Hist. lib. 4. cap. 2.
(629)
lib. 3. adv. haeres. cap. 4. num 3
(630)
in not. ad lib. 4. Eusebii cap. 11.
(631)
In not. ad S. Irenaeum lib. 3. cap. 4.
(632)
Stor. eccles. tom. 2. lib. 3. num. 44.
(633)
tom. 2. art. 5. not. 2.
(634)
lib. 4. cap. 2.
(635)
Haeres. 42. cap. 1.
(636)
tom. 2. art. 5. not. 3.
(637)
Stor. eccles. tom. 2. lib. 4. n. 22. & lib. 5. n. 13.
(638)
Epist. 49. ad Cornelium.
(639)
tom. 4. art. 4.
(640)
tom. 3. lib. 8. num. 14.
163
sequestri, i flagelli, de' quali attesta S. Agostino che l'uso era antico ne' tribunali ecclesiastici.
Quand'anche però nulla fosse succeduto di questo, chi vorrà negare alla Chiesa già adulta e salita
all'auge maggiore della sua gloria ciò, che non fece bambina tra le umiliazioni de' più crudeli
carnefici ed il totale abbandono d'ogni terreno sussidio? Credereste voi giusto il sentimento di chi
negasse che l'uomo è fornito di ragione e consilio, perchè in fascie non lo esercita? E se a presagirne
il vicino sviluppamento bastano i segni, che dà ancor fanciullo; come a presagire la molta autorità,
che cresciuta in estensione e vigore e protetta dai sovrani suoi figli avrebbe dopo le persecuzioni
usata la Chiesa, bastar non devono i segni non equivoci, che ne ha dati nel tempo delle maggiori sue
umiliazioni? Avete già letto e in questa e nelle passate mie lettere, che fin d'allora restavano privi
gli Eretici d'ogni civile commercio, che fin d'allora erano soggetti a pubblica infamia, che si
rimproveravano con rigore ed asprezza, e che non si risparmiava il fuoco ai libri di coloro, qui
fuerunt curiosa sectati.
Volete anche segni maggiori, e cercate in que' rimotissimi tempi indizj sicuri di abituali
coazioni esteriori, che non men d'adesso frenassero allora i colpevoli coi più solenni corporali
castighi? Neppur questi mancarono del tutto in quei primi tempi. L'essere scomunicato allora era
per l'ordinario lo stesso ch'essere condannato alle più. terribili corporee vessazioni; non solo perchè
d'alcuni de' scomunicati si verificava ciò che del Prefetto della Libia condannato a questa pena
racconta S. Basilio
(641)
, che aversandum illum arbitrabuntur omnes ita, ut nec ignis, nec aquae, nec
tecti communionem cum illo sint habituri; ma anche perchè per divina straordinaria disposizione
imprendeva più volte il Demonio a vessarli nel corpo così orribilmente, che S. Girolamo
(642)
[270] e
S. Gioanni Grisostomo
(643)
lo chiamano per questo carnefice della cristiana repubblica; ed era lo
strazio sì penoso e severo, che S. Paolo parlando de' tormenti dell'Incestuoso di Corinto li paragona
alla morte
(644)
: traditus in interitum carnis.
Coazioni son queste, alle quali appena giunge la Chiesa ai dì nostri assistita dal braccio de'
principi secolari; praticate poi da personaggi sì grandi e da uomini adorni della più eroica santità, ed
alle loro suppliche accordate da una provvidenza superiore che non ammette macchia o sospetto,
non v'è chi possa disapprovarle e crederle irregolari ed ingiuste. Non ha tanto ardire neppure l'Ab.
Fleury, il quale per altro si sforza inutilmente di scansare il peso di sì robusta dimostrazione col
pretesto che essendosi ottenuta una tal coazione per mezzo d'ajuti straordinarj e superiori si portino
in vano per provare l'ordinaria podestà della Chiesa. Non vaneggiava così Ugo Grozio pensatore
assai più profondo e giudizioso di lui. Vide egli in questi straordinari castighi ciò, che dovea seguire
in appresso per ordinaria disposizione de' Pastori, e disse apertamente
(645)
, che omnino certissimum
est, tempore, quo terrenae potestates jus puniendi sibi concessum ad purgandam tuendamque
Ecclesiam non excercebant, Deum ipsum, quod terreni auxilii deerat coelesti auxilio supplevisse. E
supplì appunto, come spiega nello stesso luogo l'autore citato, con l'onnipossente suo braccio al
sussidio, che si sarebbe avuto in appresso, in quella maniera che si servì della manna nel deserto in
supplemento dell'abbondanza, che aveva fatto sperare all'eletto suo popolo nella terrà promessa, Ed
ebbe forse riguardo a queste medesime coazioni l'altro Protestante Hartmanno allorchè nel suo
trattato de Rebus gestis Christian. scrisse che nullum regale, uti nunc vocant, aut jus majestatis,
quod non Apostolos exercuisse liquido demonstravero.
Se scarsi vi sembrano gli ajuti straordinarj, de' quali fu graziata la Chiesa in un tempo in cui
tanti erano i nemici congiurati ai danni del nome cristiano, e pochi i fatti, che dei tempi apostolici ci
narrano le storie di coazione esteriore in paragone dei moltissimi persecutori ed Eretici, che
nacquero ne' primi tre [271] secoli a turbar la pace e tranquillità del mondo cattolico, sparsi quelli in
ogni angolo della terra, divisi questi sin dai tempi di S. Agostino in novanta fazioni, com'egli
attesta, voi dovete riflettere che non tutti sono stati trasmessi dalle storie alla nostra notizia, e che
(641)
Epist. 61. al. 47. ad Athanas.
(642)
In cap. 2. Joelis tom. 3. pag. 137. Oper. Edit. Mart.
(643)
Homil. 20. de Diabolo tentat. n. 4. tom. 2. Oper.
(644)
1. Corinth. cap. 5. ver. 5.
(645)
De Imp. Sum. Pot. cap. 9. n. 5.
164
non era conveniente, che la Chiesa facesse uso di sua giurisdizione e che la provvidenza
straordinaria la spalleggiasse con maggior frequenza in un tempo, in cui a rendersi vie meglio
credibile, più che coll'autorità e potere, doveva conservarsi e dilatarsi colla sofferenza e miracoli. Il
diritto che aveva di conservarsi e diffondersi anche colla forza; bastava allora che fosse indicato in
qualche modo a nostra istruzione e governo; e lo fu di fatto nell'indicate maniere, le quali se non
provvedevano abbastanza alla difesa e tranquillità de' Fedeli lasciavano però libero il corso a quei
segni invincibili d'evidente credibilità, che la dovevano rendere trionfante in appresso, ed erano più
che bastevoli a giustificare quella pratica che sarebbe stata adottata in tempi meno burascosi e
difficili.
Imitò la Chiesa nel suo incominciamento il contegno del diletto suo Sposo, il, quale vestito di
spoglia mortale e passibile non volle esercitare quel dominio sopra tutte le cose, che aveva come
figlio di Dio; e chiamato a decidere le liti civili si protestò, che non era questa la sua incombenza; e
fuggì quando volevano vestirlo di regie prerogative e divise, dichiarando d'essere venuto al mondo
non per esser servito ma per tutto consacrarsi all'altrui bene e vantaggio. Non lasciò però nello
stesso tempo di dare qualche indizio di quel sovrano diritto altissimo, che a lui essenzialmente
competeva come a figliuolo di Dio. Ne diede segni non ambigui e quando dichiarò, che non era
soggetto al tributo, e quando precipitò gl'immondi animali nel mare, e quando inarridì la sterile
ficaja, e quando contro la forma dalle leggi prescritta assolvette l'adultera, e finalmente quando
flagellò i profanatori del Tempio e rovesciò i soldati. Fece lo stesso la Chiesa ne' primi tre secoli; e
destinata nel suo nascere a stendere nell'umiliazione e sofferenza le profonde radici del suo
inalzamento e sprovveduta d'ogni temporale sussidio non fece allora mostra di quella maestà e
potere, ch'era dovuta al sublime suo grado, e vinse il furore e le insidie dei persecutori e degli
Eretici più colla pazienza e dolcezza che coll'autorità e rigore. Non omise però e per se stessa
autorevolmente ed avvalorata da forze superiori e straordinarie di dar segni [272] non dubbj di
quell'autorità, che aveva ricevuta da Dio, e che avrebbe poi esercitata con libertà quando divenuti
suoi Figli gli stessi persecutori posta avrebbono in perfetto esercizio la sua autorità, e con ogni
diritto avrebbe fatto uso a propria conservazione e difesa di quella spada ch'era allora rivolta a' suoi
danni; e li diede nelle maniere che vi ho indicato e in questa e in altre lettere.
A questi segni corrisposero in fatti a suo tempo quelle verità, che presagivano: e si dichiarò
appena il gran Costantino suo protettore e seguace, che più frequenti e solenni divennero gli esercizj
di sua giurisdizione, e secolo non v'è della Chiesa dopo quest'Imperatore, in cui non s'incontrino
errori proscritti giudizialmente, Eretici chiamati in giudizio, e colpevoli condannati al meritato
castigo, ed in cui non abbiano i sovrani e colle leggi e colla forza prestata alla Chiesa quella
protezione ed ajuto, che esigevano da loro e la Fede che professavano ed il carattere che
sostenevano. Ebbe la Chiesa nel suo incominciamento, disse poco dopo S. Agostino
(646)
, i
persecutori, adesso i difensori; e coloro, qui humiliabant Ecclesiam, humiles introeunt in Ecclesiam.
Ecclesia nunc habet defensores, quae antea habebat persecutores. Defensores dice egli non arbitri e
primarj governatori e sovrani di tutto ciò che all'esteriore regolamento e governo appartiene dei
Fedeli, come colla solita ereticale perfidia si va ideando il Boemero
(647)
, il quale non potendo negare
le giuridiche azioni ed esteriori giudizj praticati dagli Apostoli e Pastori, che hanno preceduta la
conversion de' sovrani, senz'alcuna dipendenza dalla laicale podestà, confessa la necessità che ha la
Chiesa di questi mezzi per conservarsi e sussistere, nega però, che l'usarne sia di suo diritto, e crede,
che passato quel tempo d'indispensabile necessità, a lei più non appartenga il farne uso, ma a que'
sovrani soltanto, che uniti al divin Gregge soli hanno il diritto di governarlo ed assisterlo con tutte
quelle esteriori maniere, che la sola necessità aveva prima di loro giustificato ne' primi Pastori. Lo
smentisce quanto v'ho scritto nella mia decimaquinta lettera e molto più quello che sono per dirvi in
appresso, dove trovando una tal pratica non che continuata ma ampliata ne' successori anche dopo la
[273] conversione di Costantino, ed incontrando i Sovrani ossequiosi e facili a secondarle, non
dispotici dell'ecclesiastiche risoluzioni, vi sarà molto agevole argomentare quanto incontrastabile
(646)
De 5. Haeres. Cap. 6. tom. 6.
(647)
Inst. Theol. lib. 5. cap. 4.
165
sia il diritto che ha la Chiesa anche adesso nell'esteriore governo, e quanto siano vane ed
insussistenti le chimere del Boemero.
Lunga cosa sarebbe il voler qui ad una ad una descrivere tutte le leggi pubblicate a favore della
Chiesa dopo la conversione di Costantino, tutte le regole prescritte per conservare e difendere la
cattolica Religione, tutti gli atti fatti nell'uno e nell'altro foro per preservarla dalle insidie e violenze
degl'Infedeli. La copiosa collezione del Labbè, il Cardinal Brancati
(648)
, il Tommasino
(649)
e
cent'altri ve ne somministreranno un numero presso che infinito: ed incontrerete in questi bene
spesso accennate con lode ed approvate come giuste non che l'ecclesiastiche ma anche le leggi più
rigorose e severe che in sussidio della podestà della Chiesa ha pubblicate in ogni tempo la podestà
secolare. Delle quali cose avendovene io somministrato altrove un qualche saggio, reputo ora inutile
affatto il darne in questo luogo un più distinto ragguaglio.
Il vostro quesito cerca piuttosto fatti pratici che legali disposizioni; e più che della provenienza
e giustizia, volete esser informato dell'osservanza e vigore delle leggi medesime: e a questo scopo
volgendo io il mio ragionare, vi protesto con tutta l'ingenuità, che in tanta copia di fatti, che mi
somministrano le storie, mi riuscirà più difficile di restringere in poco la troppo vasta materia, che
di ritrovare in ogni secolo autentiche prove di quella pratica, che voi ricercate. Abbiamo nel cadere
del quarto secolo il ricorso fatto dai Fedeli perseguitati nella Persia ai Fedeli di Roma per essere
liberati dalle ingiuste vessazioni, che soffrivano da quell'idolatrico governo: e sappiamo altresì la
prontezza colla quale l'Imperator Teodosio stimolato da Attico Vescovo di Costantinopoli accolse le
loro suppliche e le secondò, movendo per questo una giustissima guerra contro l'empio Re
Isdigerde. Spiacerà ai nostri contraddittori [274] di vedere in questi fatti approvate fin dal quarto
secolo non che le più violente coazioni in affari di Religione, ma le crociate istesse dell'undecimo
secolo e le guerre del Messico, per le quali si movono ai dì nostri tanti rumori: ma converrà che lo
soffrano in pace, non essendovi luogo a dubitarne dopo che da Teodoreto
(650)
e Niceforo
(651)
sono
stati sì bene autenticati e giudicati ancora ragionevoli e giusti, senza che alcuno abbia ardito di
criticarli per molti secoli; tanto più che non queste sole ma confermano mirabilmente il mio assunto
le maniere usate coi Donatisti nell'Africa, cogli Ariani in Oriente, coi Gioviniani in Italia e co'
Priscilianisti nelle Gallie, dove troviamo la Chiesa sempre eguale a se stessa occupata in questo
genere di coazione. Esortati più volte senza profitto a ravvedersi i Donatisti, furono poi chiamati in
giudizio, privati della comunione de' Fedeli, e da Costantino e da altri sovrani atterriti con multe e
confische
(652)
. Furono gli Ariani dal Concilio Niceno percossi coi più solenni anatemi; indi furono
abbruciati da Costantino i loro libri
(653)
, ed essi stessi banditi da Teodosio
(654)
; Gioviniano ed i suoi
seguaci dopo le condanne di alcuni Concilj e di Siricio Romano Pontefice
(655)
furono colle piombate
percossi per ordine di Onorio, e confinati in un'isola della Dalmazia ed in altri disagiati paesi
(656)
.
Condannati i Priscilianisti delle Gallie da varj Sinodi, furono in più guise dall'una e dall'altra
podestà riconvenuti giudizialmente; e per le importune istanze del Vescovo Idacio furono alla fine
da Massimo strascinati all'estremo supplicio
(657)
: e se riuscì ad Urbico di scansare il rigore del
Tiranno, non potè però evitare quello del popolo fedele, dal quale fu lapidato..
Anche nel quinto secolo s'incontrano giudizj a questi conformi: e tutti quei Papi, i quali con
varj castighi, che partecipano del temporale, si opposero con grande zelo e coraggio [275] ai
Manichei, Pelagiani, Nestoriani ed Eutichiani, e furono nelle loro risoluzioni assistiti dai fedeli
(648)
de Fide dissert. 15. art. 2.
(649)
Traitè dogmatique et historique des Edits, et des autres moyens spirituels et temporels pour établir et pour
maintenir l'unité de l'Eglise Catholique
(650)
Lib. 5. cap. 39.
(651)
lib. 14. cap. 19. et 20.
(652)
S. Optatus Milevit. Iib. 3.
(653)
Sozomenus lib. 1. cap. 20.
(654)
Baronius ad ann. 383. num. 34. et 35.
(655)
Epist. 2. Mediol. Ec. tom. 2. Conc. Labbei pag. 1218.
(656)
Baronius ad ann. 390. num. 47.
(657)
S. Prosper in Chronico part. 2. et Sulpitius Severus lib. 8.
166
sovrani, esercitavano l'autorità e diritti, di cui vi parlo, e la forma seguivano di quel formale
giudizio, che v'ho indicato finora: ed è assai verisimile, che abbian fatto anche di più quell'Attico
Vescovo di Costantinopoli, il quale, a detta di Socrate
(658)
, interdum terribilem se Haereticis
exhibebat, e quel Sinesio Vescovo di Tolemaide, che tanta parte attribuisce in affari politici alla
vescovile podestà, e tanti combattimenti descrive nelle sue lettere da se intrapresi in difesa della
Religione, delle sagre sue leggi e de' beni ecclesiastici
(659)
.
Troverete lo stesso nel sesto secolo; e fin dal suo nascere incontrerete l'esilio decretato da
Simaco e da Ormisda contro i Manichei, ed i flagelli che fu costretto soffrire il soddiacono
Ilario
(660)
. Troverete nel suo progresso oltre le molte leggi severissime, che per insinuazione di
Pelagio e di altri Pontefici e Vescovi furono promulgate da Giustiniano, Giustino ed altri sovrani
contro i Monoteliti condannati prima dal sesto Sinodo ecumenico poi percossi con più pesante mano
dall'Imperator Costantino Pagonato
(661)
, troverete, dissi, la morte data all'empio apostata Dunaan dal
fedele Re d'Etiopia Elesbaan
(662)
, la lingua tagliata da Giustino al bestemmiatore Severo
(663)
, e la
morte decretata in Oriente da quel Basilio Mago, di cui parlò S. Gregorio ne' suoi dialoghi
(664)
: e nel
suo cadere finalmente le pene severissime, riportate da Niceforo
(665)
contro Anatolio.
Comincia il settimo secolo colle commissioni date da S. Gregorio al Vescovo Colombo di
servirsi del braccio di Giannadio Patrizio per frenare l'ereticale perfidia; e colle riprensioni fatte da
lui ad Agnello Vescovo di Terracina per l'indolenza che usava cogl'Idolatri; e col comando fatto a
Genadio Vescovo di Cagliari di procedere contro gl'indocili con rigore, e, se fossero [276] servi, di
procurarne l'emenda colle battiture, se liberi, con una competente carcerazione
(666)
. Nè men severe
si possono credere in questo secolo le ordinazioni e pratiche d'altri Vescovi e Pontefici, se il Papa
Eugenio volle che tutti i Vescovi avessero le carceri
(667)
, e se furono costretti il Concilio Toletano
XI. ed il Bracarense III.
(668)
a fare alcune ordinazioni per frenare il trasporto del loro zelo nel punire
i colpevoli.
Così universale è stata ne' due secoli susseguenti e così applaudita la punizion degl'increduli,
che vennero da tutti i Fedeli riputate meritevoli degli onor degli altari quelle divote femine che
incontrarono in Costantinopoli il martirio per aver fatto in pezzi quell'indegno Giovino, che con
sagrilega mano ebbe l'ardimento di troncare il capo ad una venerata immagine del Crocefisso. Per
questo si mossero i Fedeli contro Paolo Esarca in Ravenna, contro Pietro Duca in Roma, contro il
Comandante Esilarato ed il figlio Adriano in Napoli, ed in ogni provincia d'Italia contro i Presidi e
popoli Iconoclasti. Per questo i Bulgari fecero strage de' Saraceni
(669)
; Bonifacio cercò la
carcerazione e condanna d'Adelberto e Clemente
(670)
; l'Imperator Filippo ordinò quella del Monaco
eretico, di cui parla Uspergio, e i due Sinodi di Aix e di Chiersy diedero di piglio a corporali
castighi per frenare la pertinacia di Felice Vescovo d'Urgel e del Monaco Godescalco. Era Felice
Urgelitano ricaduto negli errori, che sotto Adriano I. aveva abbjurati in Roma, dove era stato
mandato da Carlo Magno. Fu in seguito deposto dal Sinodo d'Aquisgrana dal Vescovato, e cacciato
in perpetuo esilio a Lione, del qual'esilio fa menzione Adone Viennense nella Cronica
(671)
. Anche
Godescalco fu per la sua ostinazione e temerità nel contraddire ai sentimenti cattolici deposto
(658)
lib. 7. cap. 41.
(659)
Epist. 108. 113. 125. 132.
(660)
Th. Richinius in V. Monetam diss. 1. cap. 1. et Baronius ad ann. 523. num. 6.
(661)
Edict. pro sext. gener. Synod. adv. Monothelitas tom. 6. Conc. Labb. pag. 1131.
(662)
Baronius ad an. 523. num. 26.
(663)
Niceph. lib. 17. cap. 2.
(664)
lib. 1. c. 4.
(665)
lib. 18. c. 3.
(666)
Iib. 8. epist. 18., lib. 9. epist. 56.
(667)
dist. 81. cap. Sacerdos
(668)
cap. 7., cap. 6.
(669)
Blondus dec. 1. lib. 10.
(670)
Concil. Labb. tom. 8. pag. 301.
(671)
Bibl. PP. edit. Lugd. Bat. 1644. tom. 16. pag. 806
167
dall'Ordine presbiterale, et virgis caesus, et in ergastolum destrusus
(672)
. Lascio i Manichei
abbruciati da Giustiniano giuniore, de' quali fa menzione Pietro di Sicilia nella sua storia de'
Manichei, che si ha nel tomo 277 decimosesto della biblioteca de' Padri; chè non la finirei mai se
tutti volessi addurre i fatti, che si raccontano di questi due secoli su questo proposito.
Se non che a nulla dissimulare con voi devo ora confessarvi ingenuamente, che per quanto
ripetuti e frequenti siano stati i castighi dati ne' precedenti secoli agli Eretici, non sono però da
paragonarsi con quelli, che s'incontrano ne' secoli undecimo e duodecimo più vicini all'istituzione di
quel tribunale, che ne fissò una più metodica correzione. In questi secoli abbiamo da Glauro
Ridolfo
(673)
, che in Orleans ed in alcuni paesi d'Italia furono condannati alle fiamme alquanti
Manichei convinti d'eresia. Così finirono i loro giorni i Bogomili in Costantinopoli sotto Alessio
Comneno
(674)
: e varj altri fatti consimili si leggono presso Pietro Cluniacense nella sua lettera o
trattato adversus Petrobusianos
(675)
, e nell'autore della storia Trevirense impressa nello Spicilegio
del Dacherio
(676)
. Nel Concilio Lateranense II.
(677)
e nella lettera scritta da Innocenzo II. ai Vescovi
di Francia
(678)
si hanno i giudizj pronunciati dalla Chiesa e contro Pietro de Bruys empio
dommatizzante, che arrestato al porto di S. Egidio fu abbruciato, et zelus Fidelium flammas
dominicae Crucis ab eo succensas eum concremando ultus est
(679)
, e contro l'altro Eretico ritrovato
nella diocesi di Treveri, che digna iniquitatis suae morte peremptus est
(680)
, e contro gli Arnaldisti
ed i Patareni, de' primi de' quali decise il Sinodo Lateranense II.; tamquam Haereticos ab Ecclesia
depellimus, et per potestates externas coerceri praecipimus: e degli altri si dice generalmente nella
Bolla di Lucio III., che ejecti fuerant dalla Città di Rimino; e si duole il S. Pontefice, e minaccia
severi castighi, perchè suppone che siano colà ritornati per improvvida connivenza del nuovo
Podestà e con disprezzo [278] di quel giuramento, che prescrivevano i pubblici editti, ed obbligava
anche i Prefetti a castigare l'ereticale baldanza
(681)
.
Non ho parlato finora del secolo decimo, perchè questo appunto è il secolo che qualche poco
scarseggia di questi fatti, o perchè non vi sia stato il bisogno di rinnovarli, o perchè manchi chi ne
abbia tramandata a noi la memoria. Non pochi però ne accenna il Padre Becchetti nella
continuazione della storia del Card. Orsi
(682)
: ed a provare che non fu in questo secolo diversa dagli
altri la pratica delle Chiesa servono mirabilmente e il fatto di Eduardo cattolico Re d'Inghilterra, che
ebbe in sì alto pregio le cose sagre che stimò ben'impiegate le sue armi a difesa di una sagra
Vergine rapita dal suo empio parente Atelvaldo
(683)
, e la morte data in Ravenna all'Eresiarca
Vilgardo e ad altri suoi scolari ed Eretici in Italia e nelle Spagne, de' quali parla il Baronio nell'anno
seguente, e la decisione in fine di Gioanni IX.
(684)
, il quale interrogato da Erveo Arcivescovo di
Rems come doveva spedire quei Normanni, che battezzati di fresco non si erano di molto scostati
dall'antico sistema di vita pagana, rispose, che essendo convertiti di nuovo, si potevano supporre
poco istruiti nella Religione; che però non si dovevano trattare secondo i rigori de' canoni.
Sussisteva adunque anche nel decimo secolo il rigore de' canoni, ed anche allora usava la Chiesa,
dove mancava la pertinacia, quella moderazione che usa ai dì nostri, prontissima a ricevere con
somma clemenza i colpevoli, che si mostravano pentiti, ed a trattare con ogni severità coloro, che
dopo il pentimento ricadevano ne' medesimi delitti.
(672)
Conc. Lab. tom. 9. pag. 1056.
(673)
Storia. Lib. 3. cap. 8. presso il Dacherio.
(674)
Anna Comnena Alexiados lib. 15. p. 491. et seq. edit. Paris.
(675)
Biblioth. Cluniac. Marier. pag. 1118. et seq.
(676)
tom. 12. p. 244. edit. veter., et tom. 2. p. 221. edit. nov.
(677)
tom. 12. Concil. pag. 1505.
(678)
tom. 12. Concil. pag. 1454.
(679)
Biblioth. Cluniac. pag. 1119.
(680)
Histor. Trevir. tom 12. Spic. Dacher. pag. 222.
(681)
Garampi Memorie della B. Chiara diss. 4. pag. 171.
(682)
Tom. 8. lib. 61.
(683)
Baronius ad an. 901. num. 11. et 1000. num. 4.
(684)
Epist. 1. ad Heriveum Archiep. Rhem. c. 11. Concil. p. 678.
168
Anche questo fu in uso ne' primi tempi; e ne dà una sicura testimonianza l'autore del
Commonitorio attribuito a S. Agostino dove dice, che un Manicheo pentito neque de superiore
tempore aliquam molestiam vel publicis legibus vel disciplina ecclesiastica patiatur: ma poi vuole,
che sentiat justitiae severitatem, si post ipsum diem aliquibus inditiis Manichaeus apparuerit
(685)
.
V'accordo che in questi ed anche ne' tempi [279] anteriori è riuscito talvolta agli Eretici d'evitare
dalla giustizia umana le meritate pene: ma come ne' primi difficilissimi tempi della Chiesa ha
supplito la provvidenza divina all'inazione de' Pastori e de' non Fedeli sovrani con assoggettare ella
stessa gl'increduli ai più severi castighi; così sempre eguale a se stessa lo ha fatto in appresso
quando ha trovato o la Chiesa impedita o i sovrani men pronti a punire i colpevoli: e se allora guidò
al laccio il perfido Giuda, fece sbranare dai cani l'empio Luciano, e rese carnefici di se stessi
Teodoro, Montano e le sue Profetesse; dopo ha fulminati i Giuliani, dementati i Nestorj, strozzati i
Luteri, i Carlostadj, gli Eccolampadj. Ed a chi vorrà riflettere alle molte stragi, che in Francia,
divenuta da gran tempo refrattaria delle leggi ecclesiastiche ed in gran parte anche della Religione
cattolica, succedono anche ai dì nostri, non solo dei buoni sacerdoti e Fedeli, ma anche degli empj
ed increduli, vedrà in questi avvenimenti un tratto ammirabile di quella straordinaria provvidenza,
che fin dalle fascie sperimentò la Chiesa a sua consolazione e ristoro. Coglie ne' primi nuove palme
gloriose, che accrescono i fasti de' suoi annali: ottiene ne' secondi quella riparazione e difesa che
non può procurarsi per se medesima: e si va disponendo in tal modo a quella calma e tranquillità,
che ha goduto ne' meno borrascosi suoi giorni, e che l'onnipotenza divina sa far nascere dalle più
furiose tempeste.
Neppure il nome d'Inquisizione in materia di Fede e d'eresia è di così recente invenzione nella
Chiesa di Dio, che non s'incontri usato anche a questo proposito fin dai tempi antichissimi: e senza
parlare degl'Inquisitori, che istituì Teodosio il grande contro de' Manichei
(686)
, e di quelli, che spedì
Carlo Magno in Sassonia, il quale, come attesta Tritemio nella sua Poligrafia
(687)
, veritus ne denuo,
sicut pluries fecerant, apostatarent a Fide, secretos quosdam instituit Exploratores, quibus
judiciariam contulit potestatem, qui totam Saxoniam peragrantes de Fide ac moribus secreto
inquirerent diligenter,& quoscumque reperissent apostataste a Fide..... blasphemos Ecclesiae ac
Sacerdotum ejus, & mandatorum ejus contemptores, seu notoriis criminibus christianam
rempublicam perturbantes, [280] aut populum ad Paganismum revocantes, vel sollicitantes, sine
dilatione imperiali & regali auctoritate impune laqueo suspenderent, vel alias, ut possent,
necarent: senza parlar, dico, di quest'Inquisizioni e di quest'Inquisitori, i quali aver non si possono
per autorizzati abbastanza, nè per legittimi esecutori, se pure non accorrevano e non prestavano il
loro braccio avvalorati e mossi dalla podestà ecclesiastica, non addurrò che quelle sole Inquisizioni,
che si dicono istituite da questa a danno dell'eresia e a difesa della cattolica Religione, e sono
anch'esse antichissime. Ne parla così chiaramente S. Leone, che non solo le nomina, ma le descrive
anche a colori assai vivi; e ne accenna con tal precisione le funzioni ed il metodo al nostro
consimile, che il Padre Cacciari editore delle sue opere ha creduto bene d'impiegare
nell'Esercitazioni, che vi ha premesse, due capitoli, il nono cioè e il decimo, per trattare de Romana
S. Leonis M. in Manichaeos Inquisitione. Sentite come ne parla S. Leone stesso dopo d'averla
descritta con molta accuratezza: Non sufficiat, egli dice
(688)
, quod actum est, sed eadem Inquisitio
perseveret, quae hoc, auxiliante Deo, consequetur, ut non solum qui recti sunt, incolumes
perseverent, sed etiam multi, qui diabolica seductione decepti sunt, ab errore revocentur: e come
scrive altrove
(689)
; de voragine impietatis suae confessos poenitentiam concedendo levavimus. Dalle
quali parole si rileva assai bene, che S. Leone prevenne colle sue pratiche non il solo rigore del
tribunale presente, ma anche la singolare clemenza, che usa con chiunque pentito confessa
spontaneamente i suoi falli.
(685)
Common. tom. 8. Antuerp. edit. pag. 33.
(686)
L. 9. Quamvis Manichæorum Cod. Theod. de Haereticis.
(687)
Lib. 6, ex Grammaticis Offridi Monachi Witemburg.
(688)
Serm. 15. et 5. de Jejunio cap. 6.
(689)
Epist. 7. ad Episc. Ital.
169
Prima di lui aveva accennata anche S. Agostino una forma consimile di Inquisizione praticata
in Cartagine contro i Manichei
(690)
, della quale dice di aver'avuti gli atti dal Diacono Quodvultdeo.
Anch'egli ha proceduto
(691)
contro l'Eretico Vittorino Suddiacono reo di manicheismo, e dopo un
formale giudizio lo ha deposto dall'Ordine chiericale, ed ha procurato che fosse cacciato da Ippona;
Eumque coercitum pellendum de civitate [281] curavi; avvertendo il Vescovo Dauterio sul finir
della lettera, che petenti poenitentiae locum tunc credatur, si & alios, quos illic novit esse,
manifestaverit vobis non solum in Malliana, sed in ipsa tota omnino provincia. Un'altra non molto.
diversa da queste Inquisizioni è riportata da Possidio nella vita dello stesso S. Agostino, il quale
narra
(692)
, che i Manichei presentati da Orso procurator regio ab Episcopis ad tabulas auditi sunt, e
che S. Agostino, usque ad confessionem earumdem blasphemiarum eos perduxit. È poi alle nostre
così conforme non che di nome e fatti, ma anche di metodo quella, che il Patriarca d'Alessandria
istituì poco prima contro Ario e suoi fautori e seguaci, che non posso dispensarmi dal riferire quel
tanto che ne dice S. Epifanio
(693)
, dove descrive gli atti, espone l'ordine giudiciale e ne accenna la
finale sentenza. Premesso il dettaglio della denuncia, che ne avea data Melezio, Alexander, dice il
Santo, Arium ad sese vocans, ecquid ita se se res haberet, interrogat. Tum ille nihil tergiversatus
aut cunctatus statim frontem perfricans pravam ominem suam opinionem evomuit, ut ex ipsius
epistolis & actis illius Inquisitionis constat. Ecco il Fedele che denuncia; ecco il giudice
ecclesiastico che chiama in giudizio e interroga; ecco l'Eretico che risponde temerariamente e
s'ostina. Quam ob rem (sentite ora il progresso e l'esito della causa) Alexander, habito
Presbyterorum ac quorumdam Episcoporum, qui aderant, conventu (neppur mancavano allora le
odierne consulte), de eo quaestionem habet, ac diligenter examinat. Tum veritati cedere
detrectantem ejicit ex Ecclesia, & tota civitate proscrirbit. Ecco la sua condanna a pene anche
temporali: e perchè nulla mancasse di ciò che si pratica anche presentemente, ecco condannati
anche i complici e suoi aderenti: cum quo & virgines illae & Clerici, quos antea commemoravi, cum
reliqua multitudine haud exigua ab Ecclesia distracti sunt. Così si formavano le Inquisizioni, e si
condannavano gli Eretici anche nel quarto secolo. Nè fa questa per verità una straordinaria maniera
usata da Alessandro: fu pratica ordinaria e costume di tutte le Chiese, raccontando di se stesso
anche S. Epifanio
(694)
, che [282] usò diligenza, perchè i Gnostici fossero scoperti dal Vescovo; quo
factum est, come soggiunge, ut 80. fere capita exulare jussa ab lolio spinisque suis repurgatam
urbem reliquerint. Esempj da questi non molti discordi ed una non dissimile pratica di giudicare gli
Eretici ed i Sospetti d'eresia troverete anche presso Reginone
(695)
, dove descrive i Rettori destinati a
ricercare ai Decani delle respettive parrocchie de omni opere pravo, per riferirne ai Sinodi
provinciali il risultato, ed ottenere dalla loro autorità e consiglio l'opportuno riparo: al quale intento
credo che fossero dirette altresì le provvide diligenze di que' fedeli Operaj, de' quali S. Gregorio
esalta in più luoghi l'attenzione e lo zelo nel perseguitare gli Eretici
(696)
.
Volete anche di più, e bramate d'incontrare ne' primi secoli del cristianesimo.'l'Inquisizione
stessa delegata interinalmente dai Romani Pontefici? Neppur di questa è mancante l'ecclesiastica
storia: ed oltre ai Legati e vicarj che spedivano essi per ogni parte del mondo con molta frequenza
per eseguire le incombenze del loro Primato, molti de' quali Febronio stesso trattando di
quest'argomento riconosce per altrettanti Inquisitori mandati dai Romani Pontefici in partes
remotas, qui in Fide inquirerent, & Primatis nomine ac mandato de unitate aut servanda aut
restituenda vigilarent
(697)
; ve ne somministra un'esempio assai chiaro ed identico la lettera del
Sinodo di Milano a Siricio, in cui lo avvisa delle condanne, che avevano colà riportate alcuni
Manichei dopo l'arrivo de' suoi delegati: Itaque Jovinianum, Auxentium, Germinatorem, Felicem,
(690)
Lib. de Haeres. ad Quodvultdeum cap. 46.
(691)
Epist. 236. al. 74. ad Deuterium Episc.
(692)
Inter Oper. S. Augustini tom. 10. part. 2. cap. 16.
(693)
Haeres. 69. num. 3.
(694)
Haeres. 26. num. 17.
(695)
Lib. 2. Collect. De Eccles. Discip. pag. 204.
(696)
Lib. 1. ep. 77., L. 4. ep. 34. & 35-, L. 5. ep. 5. &. 8. L. 9. ep. 93. & 95., L. 13. epist. 33.
(697)
Propos. 7. Commentarii.
170
Plotinum, Genialem, Martianum, Januarium & Ingeniosum, quos Sanctitas tua damnavit, scias
apud nos quoque secundum judicium esse damnatos
(698)
; e la spedizione fatta da Celestino di
Germano Vescovo Antisiodorense contro gli Eretici della Bretagna, della quale parla S. Prospero
Aquitano
(699)
; e quella fatta da S. Leone di un Vescovo a [283] Costantinopoli contro gli Eretici
Eutichiani; quem in speculis, com'egli si esprime
(700)
, propter Fidem illic esse constitui, e di
Anastasio di Tessalonica, al quale dice
(701)
d'aver commesse le sue veci, ut eo Inquisitore atque
custode, dum certus licentiae modus imponitur, ecclesiasticae disciplinae in omnibus ordo servetur.
E le già indicate commissioni date da S. Gregorio a Colombo e ad Agnello; e la grande autorità di
sciogliere e legare, che, come racconta il Platina nella sua vita, conferì Vitaliano all'Arcivescovo
Teodoro ed all'Abate Adriano, qua Britannos in Fide praedicationibus & exemplo continerent,
aver
non si possono in luogo di vere Inquisizioni delegate dai Romani Pontefici? Alle prime poco sopra
indicate Inquisizioni istituite dai Vescovi null'altro manca per adombrare le nostre che la facoltà
delegata agl'Inquisitori dal Romano Pontefice. Altro non manca in queste, che vi ho addotte in
secondo luogo, che quella perenne e costante delegazione a modo di tribunal permanente, che non
ebbero dal Papa che coll'inoltrarsi del secolo decimoterzo.
Nulla vi ho detto insomma finora, che non abbia nell'ecclesiastica storia esempj antichissimi.
Si è perdonato in ogni tempo ai pentiti: s'imponevano allora come adesso e le abbjure e le penitenze
salutari: sono stati sempre trattati con ogni severità gl'impenitenti anche dopo morte: sono sempre
stati pronti a punire anche i Sospetti di eresia i reclusorj, i flagelli, le multe, gli abiti di penitenza,
delle quali cose oltre gli esempi e testimonianze riportate in questa lettera aggiungo adesso quella di
Teodoreto
(702)
, che chiama uomini pieni di zelo e di pietà que' Vescovi, che, al dir del Baronio
(703)
,
sul cadere del quarto secolo andavano a caccia d'Eretici ed abbruciavano le loro case. La pratica
aggiungo de' Sinodi di Nicea, di Efeso, di Laodicea, anzi di tutti i Sinodi, che hanno sempre
ricercato da' Sospetti e ravveduti l'abjura de' loro errori: rito non recens, come nota assai bene
Alfonso di Castro
(704)
, nec a trecentis annis repertum, nec pure humanum inventum, [284]
quemadmodum Lutherus dicere solet, sed ante mille annos ex ipsis, ut suspicari licet, Apostolorum
vestigiis descendens, et Deo Ecclesiae suae id inspirante, ut credere oportet, in variis Conciliis
ordinatum. E le testimonianze finalmente di Gioanni Climaco riportato dal Pegna
(705)
, che indica
l'abito istesso di penitenza, del quale venivano vestiti i ravveduti anche prima dell'istituzione del
nostro tribunale.
Non avrebbe alcun termine questa lettera, se tutti volessi raccogliere i monumenti che trovo
sparsi per la storia ecclesiastica in conferma della podestà che ha la Chiesa di castigare gli Eretici,
ed i semi che mi somministrano tutti i secoli del presente sistema. Aveva ragione adunque il
Febronio di scrivere, che è antichissimo nella Chiesa di Dio il costume de' Romani Pontefici di
spedire Legati e vicarj, che invigilavano per conservare l'unità della Fede: e non dice il falso il
Bartolotti, dove assicura, che a centinaja addur si possono gli esempj di coazione usata dalla Chiesa
contro gl'increduli. Sbagliano entrambi però nel pretendere il primo che non potesse la Chiesa dar di
piglio occorrendo anche a pene temporali, il secondo nel supporre che siano da anteporsi agl'infiniti
fatti, che si possono addurre per dimostrare l'attività della Chiesa, que' pochi ch'egli reca per provare
la sua inazione. Voi avete a quest'ora e dalle scritture e dai Padri; e dalla continuata serie de' fatti,
che somministra l'ecclesiastica storia, argomenti più che bastevoli per escludere i loro grossolani
errori; ed io ben contento d'averveli somministrati darò termine a questa lettera, che spero sia per
riuscire a voi di tanto maggior gradimento quanto è maggiore il numero di monumenti
incontrastabili dai quali vien corredata per assicurarvi sempre più della verità che vi annuncio: e
(698)
Int. Epist. S. Ambr. Ep. 42. num. 14. tom. 2. Oper.
(699)
Chronic. part. 2.
(700)
Ep. 70. ad Marcian. in edit. Quesnel. 105. Ballerin. 137. c. 2.
(701)
Ep. 5. ad Metrop. Illyr. tom. 3. cap. 2.
(702)
lib. 4. cap. 11.
(703)
Ad ann. 383. num. 36.
(704)
De justa Haeretic. Punit. lib. 6. cap. 9.
(705)
Comment. 40. part. 3.
171
pronto a darvi sempre nuove e più valide prove di quell'attaccamento, che a voi mi stringe coi dolci
legami della più cordiale amicizia mi dico
172
LETTERA VENTESIMAQUARTA
Origine del tribunale dell'Inquisizione
delegata.
iccome fra i contrasti, che dalla pietà dei Fedeli e dall'autorità dei Pastori hanno incontrati gli
Eretici, in vece di ravvedersi, si sono studiati d'inventare nuovi artifizj e maniere più insidiose
per superarli; così la Chiesa si è creduta in dovere di tentare nuove strade per impugnarli e
difendersi. E questa necessità è appunto ciò che ha fatto nascere nei paesi cattolici quel tribunale,
che fornito di permanente autorità delegata dal Romano Pontefice si vede ora eretto in varj regni e
provincie e ad altro non mira che a difendere per vie giuridiche la Chiesa di Gesù Cristo e la
Religione de' Fedeli. Già v'ho detto altrove che non era mai mancato in lei chi acceso di santo zelo
ne aveva occorrendo sostenute le parti; ed ora i Vescovi dalle loro cattedre, ora i Concilj dai loro
congressi, quando i Romani Pontefici per se medesimi, quando per istraordinarj delegati e vicarj, ed
i Fedeli stessi talvolta spontaneamente s'erano mossi a combattere l'ereticale perfidia, e colla voce e
colla penna e colla forza e con ogni maniera di utili provvidenze avevano procurato di soggiogarla e
conquiderla. Siccome però non tutte erano riuscite d'ugual profitto, e col crescere della loro
ostinazione e protervia si erano scoperte in qualche incontro inutili e talvolta anche perniciose le
confutazioni e le dispute e le stesse pubbliche penitenze e censure, e di poco profitto le miti, e non
sempre regolari condanne di flagellazioni, di multe, di carcere e d'altre discrete pene temporali, fu
costretta in fine a dover permettere da prima ed a comandar poi che i pietosi sovrani frenassero con
più sonore vendette il loro orgoglio. Ma rese anche queste provvidenze per la moltiplicità e
protervia degl'Infedeli ed Eretici in più incontri meno atti, e bene spesso impraticabili, s'appigliò sul
finire dell'undecimo secolo al dispiacevole partito di raccogliere eserciti per porgere qualche riparo
ai disordini, e provvedere alla sicurezza e tranquillità di se stessa e de' buoni Fedeli. Fu opportuno il
[286] rimedio; ma non lasciò di esser talvolta per la sua irregolarità, sconnessione ed incostanza
pericoloso ed incerto, ed era poi sempre difettoso e mancante, perchè se castigava il delitto non lo
preveniva con egual forza per impedirlo; nè vide mai questa dolcissima Madre anche ne' più felici
avvenimenti con occhio indifferente e tranquillo la strage di tanti suoi Figli carissimi, che avevano
sparso il sangue nelle più ostinate battaglie per sostenerla. Voleva difendersi, ma con maggior
dolcezza e risparmio e questo è che ottenne ai tempi degli Albigesi per mezzo del tribunale di cui
parliamo.
Avevano costoro sul declinare del duodecimo secolo raccolti nel loro partito come gli errori così
le malvagità tutte degli Eretici dai quali erano stati preceduti. Le frodi degli Ariani, le prepotenze
dei Donatisti e Novaziani, i maneggi de' Nestoriani ed Eutichiani, le finzioni ed ipocrisie dei
Manichei e Valdesi, tutte erano passate in quest'abbominevole setta: e già colla sfrenata libertà, che
accordava ai suoi seguaci, coll'allettamento de' beni ecclesiastici, che esponeva alla comune
rapacità, e colla forza di alcuni prepotenti e sedotti sovrani (mezzi che sogliono usarsi dall'errore per
far guerra alle cattoliche verità) si era dilatata ampiamente in varie provincie di Francia. E sebbene
in quest'incontri non fosse mai restata oziosa l'attività della Sede apostolica, e colla spedizione
d'ottimi Missionarj e Legati, colla celebrazione di varj Concilj e col ricorso ai più forti e religiosi
sovrani avesse procurato di soccorrere quelle provincie infelici, nelle quali gli ostinati Albigesi
menavano più rumore, e recavano danni peggiori; nè fossero riusciti affatto inutili i di lei
provvedimenti, perchè si vide in fine non senza l'assistenza di manifesti prodigi sminuito in gran
parte il numero degli Eretici, e rotta quella disciplina ed unione, che li rendeva più perniciosi e
temuti; pure non li aveva estirpati del tutto. Serpeggiava tutt'ora questo fuoco infernale
occultamente, e minacciava di scoppiare in nuovo incendio. Allora fu che cercarono i Romani
S
173
Pontefici di circondare di più folta siepe il campo evangelico, e forniti non più d'interina e
passeggiera autorità apostolica, come prima i suoi vicarj e Legati, ma di stabile e permanente
autorità delegata alcuni fedeli ministri, vollero che servissero di ajuto perenne alla podestà ordinaria
de' soggetti Pastori, e vegliando sulla condotta de' rispettivi Fedeli rassodassero i deboli e
richiamassero i traviati al sagro ovile, ed opponendosi solleciti alle [287] prime loro mosse per
impedirne l'accrescimento o li assoggettassero in caso d'ostinazione al meritato castigo, o li
frenassero per modo che più riuscir non potessero altrui d'inciampo e ruina: e fu sì opportuno il
rimedio, che quei superbi Albigesi, i quali divisi in varie sette diverse di sentimento e di nome
avevano potuto resistere alle insinuazioni e dispute di tanti ministri apostolici, ai fulmini de' Concilj
anche ecumenici ed alle potenti armi del valoroso Simone di Monfort, dovettero cedere al procedere
giudiciale di pochi Religiosi Inquisitori, dall'autorità, prudenza e coraggio de' quali furono superati
e distrutti per modo, che non andò molto che disparvero affatto, e restò appena nell'ecclesiastica
storia il loro nome e la notizia della loro malvagità e sconfitta. Questo è il tribunale del S. Officio,
del quale voi mi cercate conto nell'ultima vostra, ed io mi dichiaro pronto a darvelo: che non per
altro mi sono steso così nel passato carteggio che per prepararmi la strada spedita e facile a questo
riuscimento, e piantare la base sodissima sopra la quale il maestoso edificio s'inalza. Ora è fatto il
più, e per secondare appieno il vostro desiderio non altro mi rimane che il peso di accennarvene
l'origine, descrivere la sua ammirabile struttura, e purgarlo da quelle ingiuste imputazioni e difetti
che vengono a lui attribuiti. E perchè per ora non volete saper'altro che la sua istituzione e principio,
prendo ora a parlare di questo, riservandomi a dire il resto a norma delle vostre richieste, come ho
fatto per lo passato.
In due aspetti si può ricercare l'origine del tribunale della Fede, o riguardo alla generale
incombenza, che ha di castigare gl'increduli; e trovandosi di lei vestigj non dubbj in ogni età, come
vi ho già detto, si scopre ad evidenza che in quest'aspetto è tanto antico quanto è antica la Chiesa: o
riguardo al sistema che usa la Chiesa presentemente; e in questo secondo aspetto non s'incontra
un'eguale facilità, e la sua origine ammette non pochi contrasti e dispareri. Per quattrocento e più
anni era prevalsa l'opinione, che faceva autore del tribunale del S. Officio Innocenzo III., e
riconosceva S. Domenico per primo Inquisitore sul cominciare del secolo decimoterzo: e questo
sentimento non lascia tuttora di sembrar vero ad uomini eruditi, tra i quali non hanno l'ultimo luogo
Natale Alessandro
(706)
, il P. Mro. [288] Tommaso Agostino Richini
(707)
e gli autori degli Annali
Domenicani stampati in Roma l'anno 1751.
(708)
. Ma le riflessioni di Angelo Manriquez negli Annali
dell'Ordine Cisterciense
(709)
hanno destato qualche dubbio in alcuni altri dotti egualmente: e
s'incontrano adesso alcuni scrittori di gran nome e Domenicani, come i PP. Quietif ed Echard
(710)
, e
stranieri, come i Bollandisti, che non pensano così: e chi lo vuole anteriore alla supposta
delegazione di S. Domenico, come il suddetto Manriquez, che riconosce per primi Inquisitori que'
Monaci, che negli affari degli Albigesi furono nel 1206. dichiarati Legati dal Papa, chi lo crede
posteriore anche alla sua morte, come i PP. Quietif ed Echard ed i Bollandisti. A parlare però senza
passione pare a me che in questa contesa abbia avuto luogo un qualche equivoco, che può esser
tolto senza punto detrarre alla gloria degli Abati Cistercensi, e senza torre a S. Domenico un sì bel
vanto. Distinguiamo i tempi e il modo che accompagnò una tale incombenza, e tutto si ridurrà alla
giusta concordia. V'è stato un tempo, in cui gli Abati suddetti erano stati delegati da Innocenzo III a
combattere gli Eretici Albigesi: e in questo tempo non v'ha dubbio che anch'essi esercitavano gran
parte della presente Inquisizione delegata, ed altro non era S. Domenico allora che un suddelegato
da loro al medesimo impiego. Ne abbiamo un'argomento sicuro nella riconciliazione da lui fatta di
Ponzio Rugero in nome d'Arnaldo. Altro non mancava in quel tempo alla perfetta istituzione del
tribunale che la risoluzione del Papa di stabilirlo permanente e perpetuo a perenne sussidio della
(706)
Soecul. XIII. & XIV. cap. 7. art. 5. num. 5.
(707)
diss. I. de Catharis premessa ai libri del V. Moneta.
(708)
ad ann. 1207. pag. 192. a num. 19. ad 22.
(709)
Tom. 3. pag. 409. ad ann. 1204. cap. 11. nu. 15.
(710)
tom. 1. Script. Ord. Praed. Comm. de S. Dominico §. 16. nota 9.
174
vescovile autorità e fermissimo antemurale della Fede cattolica ed a più chiara manifestazione della
podestà pontificia: e a questo partito si appigliò Innocenzo III. pochi anni dopo, allorchè cessata o
per loro morte, o per altro motivo la legazione degli Abati, ne investì S. Domenico non perchè
restasse in lui passaggera ed interina, come ne' primi ed in quanti altri Legati aveva spediti avanti la
Sede apostolica per le varie urgenze del mondo cattolico, ma permanente e costante a [289] foggia
di tribunale ordinario. A pensare così mi persuade il vario tenore de' diplomi spediti dallo stesso
Santo in tempi diversi. Riceve l'abbjura di Ponzio Rugero pentito e lo condanna alle convenienti
pene verso il 1206., e si dichiara di farlo coll'autorità del Legato Arnaldo, che lo aveva a
quest'officio suddelegato. Accorda indulgenze e favori nel 1213. a Raimondo Guglielmo d'Altaripa,
e lo abilita a ritenere presso di se un penitenziato senza pericolo d'incorrere infamia, e non dice più
di farlo a nome e autorità di alcun Legato, ma lo fa egli stesso come praedicationis humilis minister.
È questo il nome col quale si distinguevano i primi Inquisitori; chè Praedicatores appunto de
Ordine Praedicatorum pro Fidei negocio contra Haereticos deputatos li chiama Federico in
quell'editto, col quale li dichiara accolti sotto la sua protezione: e si chiamavano allora ministri
praedicationis verbi Dei, o verbi Fidei, o verbi Crucis, perchè non pubblicavano altrimenti la loro
delegazione che per mezzo di una predica fatta nella Cattedrale per invitare gli Eretici al
pentimento, obbligare i Fedeli a denunciarli; ed i magistrati a prestar loro quell'assistenza, che
prescrivevano le leggi, giurando sopra i SS. vangeli in faccia di una Croce, che ivi ergevasi a questo
fine
(711)
, e le giudiciali loro procedure non andavano mai disgiunte, come non vanno neppure
adesso, dal sagro ministero dell'apostolica predicazione. Ora io dico che non senza ragione nelle
formole di un'uomo così accurato e preciso si trova una tal mutazione, e mi persuado di leggeri che
prima dell'anno 1213. fosse suddelegato del Legato del Papa, e che divenisse poi per immediata
permanente delegazione del Papa stesso vero Inquisitore ordinario verso l'anno 1213., nel quale
costa dagli atti, che non più per altrui, ma per propria autorità le parti esercitava, che ad un vero
Inquisitore competono. È vero che non mai si legge che abbia fatto uso della spada materiale, e che
gli Eretici, che si abbruciavano allora, erano condotti sul rogo non da lui, ma da Simone di Monfort
e dagli altri Crocesegnati: ma chi ha mai preteso di stendere l'autorità della Chiesa a cruente
esecuzioni, o chi ha mai creduto alcun ministro ecclesiastico sfornito di vera giurisdizione solo
perchè non ha in suo potere che le pene spirituali, e delle [290] temporali le sole pene medicinali e
leggiere? Di queste non può negare l'Echard, che S. Domenico abbia disposto in ogni tempo, ora
come suddelegato d'Arnaldo, ora come umilis praedicationis minister: non può dunque negare che
sia stato un vero Inquisitore: nè potrà negare il Manriquez che sia stato il primo, se vorrà fare la
dovuta distinzione tra la delegazione interina e passeggera e l'ordinaria e permanente. Ma di questo
abbastanza, che non può esser posto da me fuor d'ogni dubbio, e cose assai più rilevanti e
premurose interessano il nostro carteggio.
Per non deludere però affatto le vostre speranze non lascierò senza veruna risposta il vostro
quesito, e a scanso d'ogni illusione ed incertezza mi atterrò al sicuro ripiego di supporre la sua
istituzione in quell'anno stesso non molto distante dal segno, da tutti prescritto, in cui trovo Bolle
pontificie, che danno ai Religiosi Domenicani e Francescani il carico di procedere contro gli Eretici,
e li armano di autorità permanente e d'istruzioni opportune all'intento. E siccome tra tante, che si
possono vedere nel Bollario Domenicano e negli Annali del Vadingo, io non trovo la più antica e la
più esprimente una durevole sussistenza di tribunale permanente della Bolla di Gregorio IX., che
comincia Ille humani generis, diretta al Provinciale de' Domenicani di Tolosa in data dei 22. aprile
1233.
(712)
; così a quest'anno in circa io ridurrò il suo incominciamento; e lo faccio tanto più
volentieri quanto trovo questo mio pensamento più conforme a quello di Guido Fulcodio, che fu poi
Clemente IV., il quale non d'altronde che da questa Bolla medesima prende il principio
dell'Inquisizione ingiunta ai Domenicani
(713)
. In questa Bolla si dà al Provinciale suddetto la facoltà
di dichiarare Inquisitori quanti Religiosi suoi sudditi crederà necessarj all'estirpazione dell'eresie, e
(711)
Eimer. Direct. Inquisit. 3. part. comm. 12.
(712)
Bullar. Ord. Praed. tom. 1. pag. 47. num. 72.
(713)
Carena ad calc. tract. De Off. S. Inquisit.
175
si comunica agl'Inquisitori non solo l'apostolica autorità necessaria a tal fine, ma sì vuole ancora che
procedano nella forma, che si dice prescritta dal Pontefice stesso. A fronte di sì evidenti e chiare
pontificie disposizioni chi può negare che in questo tempo e sotto questo Pontefice sussistesse
l'Inquisizione delegata? E chi vorrà riprendermi, se in questo io mi fermo per fissar l'epoca del suo
[291] incominciamento, senza impegnarmi a dileguare i dubbj di chi volesse di qualche anno
anticiparne la data? Veramente non può negarsi, che prima del 1233. non fosse stato delegato e
dallo stesso Gregorio IX. e da qualche altro suo antecessore qualch'altro Domenicano a combattere
gli Eretici in sua vece. Quel P. Andrea, che l'Echard
(714)
riconosce per vero Inquisitor di Cipro, fu
delegato dallo stesso Gregorio IX. nel 1231.; e prima ancora furono destinati per la Germania
Corrado di Marburg, Alberico ed altri, che s'incontrano nel Bollano Domenicano
(715)
. Anzi si ha
nella legge stessa di Federico data a favore degl'Inquisitori i 22. febraro del 1225., come pensano
più probabilmente Bzovio e Rainaldo contro il parere di Fr. Paolo, che la differisce all'anno
1244.
(716)
, si ha, dico, che sin d'allora erano stati deputati i Domenicani a quest'officio per tutto
l'Impero: e può servire di non piccol'appoggio a quest'anteriorità di fondazione. anche il Sinodo di
Tolosa, che nel 1228. fissò in sedici capi il metodo da usarsi contro gli Eretici
(717)
, stesi poi sino al
numero di trentasette nel Sinodo di Beziers del 1240.
(718)
. Ma di questi fondamenti, che non
escludono affatto il timore o di qualche limitazione nella loro maniera di procedere, o di qualche
legazione soltanto interina e passaggiera a foggia degli altri più antichi Legati e messi apostolici, si
serva pure chi vuole internarsi di più in quest'affare. Io mi contento dell'indicata origine; e la credo
tanto più ben fondata, quanto ne vedo più a lungo continuata la pratica, e rinnovate le disposizioni e
da Gregorio stesso, che replicò l'ordine nel 1237. al Provinciale di Lombardia, e da Innocenzo IV.
nel 1246. nella Bolla 46. diretta al Generale e Provinciale, che comincia Odore suavi, e al
Provinciale d'Aragona e a S. Raimondo nel 1248. e da Alessandro IV. nella Bolla Cupientes da
Urbano IV. nella Bolla Licet ex omnibus e nell'altra Prae cunctis, e da molti altri, che in appresso
seguitarono per lungo tempo le medesime traccie. Se sull'origine del tribunale del S. Officio
desiderate notizie più estese ed esatte, oltre ai varj altri autori che cita l'Echard nella sua biblioteca
ve ne può [292] fornire a dovizia Mons. Vincenzo Giustiniani Domenicano, che scrisse con molto
criterio ed ampiezza su quest'argomento
(719)
. Non
troverete forse in questi autori quanto sarebbe
necessario per dileguare tutti i dubbj di chi volesse sofisticare con soverchio rigore; avrete però
quanto basta per ismentire le grossolane imposture sparse con tutta franchezza su questo punto dai
suoi maliziosi o mal'informati nemici per rendere la materia sempre più odiosa e difficile.
Suppone il Gazzettiere di Venezia che il S. Officio debba riconoscere la sua origine da un
discorso, ch'ebbe con Teodosio Imperatore l'Eresiarca Nestorio, e si ha presso Socrate
(720)
espresso
in questi termini: Da mihi, Imperator, terram Haereticis purgatam, et ego tibi Coelum retribuam
mecum Haereticos debella, ego terras tecum debellabo. Prima di lui, aveva detto lo stesso
sproposito Gasparo Barleo
(721)
; e il Gazzettiere con varj altri lo ha copiato ignorantemente senza
riflettere, che in nessuna supposizione può reggere una così arbitraria e chimerica istituzione. O per
nome di principio intende qualunque mossa fatta nei primi secoli contro gli Eretici; e pianta
un'epoca assai più recente di quello che conviene: ed il testo citato prova bensì l'incessante pratica,
che è stata sempre in vigore nella Chiesa di Dio, di castigar quelli che credevano malamente, e di
servirsi del braccio sovrano per castigarli a dovere, come vi ho dimostrato nella lettera precedente
ma non mai che da quel detto avesse una tal pratica il suo incominciamento. Se poi per nome di
origine o principio del S. Officio intende il tribunale, che abbiamo adesso, fornito di stabile autorità
giudiciaria e delegata dai Romani Pontefici, che secondo le leggi e metodo suo proprio condanna gli
(714)
tom. 1. Scrip. Ord. Praed. pag. 102.
(715)
Bullar. Or. Praed. tom. 1. pag. 20. 41. 45, 47. 51. 52. 55.
(716)
Hist. Inquisit. Venetae.
(717)
Spondan. Ad ann. 1228.
(718)
Concil. Labb. tom. 11.
(719)
De S. Officii dignitate & origine.
(720)
lib. 7. Histor. Eccles. cap. 29.
(721)
Epist. perenet. ad Ill. & Potent. Confederr. Prov. Ord. ann. 1620.
176
Eretici, e coll'ajuto della podestà secolare li assoggetta ai più severi castighi; lo fa troppo più antico
di quello che sia di fatto, non essendovi tra i discordi pareri de' critici più eruditi e meritevoli di
qualche considerazione chi lo faccia anteriore di molto al principio del decimoterzo secolo: ed io
temo, che sarà tacciato di [293] molta imprudenza chiunque cerca l'autore di questo tribunale fra gli
Eretici, dei quali è stato mai sempre lo spavento e flagello.
Non è più fondata, o per dir meglio meno irragionevole di questa l'opinione del raccoglitore
della storia francese più volte citato," che non del tempo ma del motivo parlando di quest'istituzione
travede in lei un non so che di politica dei Romani Pontefici, pour s'en servir plus utilement sous
prétexte de Religion contra ceux qui osoient
(722)
entreprendre de choquer la puissance temporelle
des Papes. Ha espresso lo stesso sentimento ed anche con maggiore asseveranza la Storia del dritto
Pubblico Ecclesiastico Francese, ma con non minor falsità e malizia. E per verità sarebbe stata una
politica di affatto nuova stampa il disarmare i soldati, ai quali in modo speciale resta appoggiata la
podestà temporale, per sostituirvi pochi Religiosi mendicanti ed inermi, che nulla possono senza il
braccio e la protezione di quelle medesime podestà, che si suppongono falsamente ripugnanti e
contrarie: e sarebbe anche stato più ammirabile l'ostinarsi in questo nuovo metodo anche dopo di
aver conosciuto per prova, ch'era tanto più debole a promovere la podestà temporale, quanto più
efficace a proteggere la Religione e la Chiesa. Ha dunque avuto tutt'altro eccitamento da quello, che
vorrebbero far sospettare questi favolosi indovini.
Anche il Fleury non si scosta poco dal vero dove pretende
(723)
di trovare in un Concilio di
Verona dell'anno 1184. l'origine del nostro tribunale, perchè ha ordinato, che il Vescovo visitando la
diocesi, dove sentirà che dimorano Eretici, e questo da pubblico rumore e fama, lo assicuri col
giuramento, di tre o quattro persone degne di fede o di tutto il vicinato, e ciò faccia o per se stesso o
per mezzo di un suo delegato. Confonde egli il tribunale del vescovo con quello del Papa, e non
distingue una direzione data ai Vescovi per loro regolamento non da questo solo, ma da varj altri
Concilj anche più antichi, dall'erezione di un nuovo distintissimo tribunale, che non agisce che per
autorità delegata dal Papa. Chi sa che il genio, che ha sempre mostrato il Fleury, di debilitare la
podestà della S. Sede e di uguagliarla per quanto ha potuto a quella de' Vescovi non abbia [294]
influito anche in questa confusione e stortura? Comunque sia, invano si cerca l'occasione e motivo
dell'istituzione del tribunale del S. Officio fuori della malvagità degli Albigesi, che più furibonda
d'ogni altra infettava ai tempi d'Innocenzo III. il divin Gregge, ed esigeva i più pronti ed efficaci
provvedimenti; e l'immediata sua istituzione e principio fuori della provvidenza divina, che mai non
manca di suggerire alla diletta sua Sposa i rimedj opportuni: ai mali peggiori, perchè le porte
dell'Inferno non prevalgano contro di lei, e dello zelo e dell'industria de' Romani Pontefici sempre
instancabile nel pronto disimpegno delle proprie spirituali incombenze.
V'è che ridire anche nelle tracce segnate in questa ricerca dal favoloso Giannone, che troppo si
scosta dall'indicato principio. Io ho ridotto l'incominciamento del nostro tribunale al principiare del
secolo decimoterzo; nè l'ho fatto senza grande avvedimento e ragione: e sebbene non abbia io
potuto fissare l'anno preciso della sua origine, non voglio però permettere, che lo prolunghiate con
costui e con varj altri oltre alla metà di questo secolo, per non esporvi al pericolo di dover credere
con loro, ch'altra incombenza non avessero i primi Inquisitori, che hanno preceduto il Pontificato
d'Innocenzo IV., che quella di predicare, disputare ed istruire. Tutt'altro dimostrano le Bolle e
canoni testè indicati: e la sola predicazione era già stata esperimentata riparo assai debole contro il
furore degli Albigesi, i quali turavano com'aspidi l'orecchie per non ascoltare, o alla celeste dottrina
de' predicatori apostolici opponevano con egual lena ed impegno le più lusinghevoli voci de' loro
perversi ammaestramenti. Nacquero gl'Inquisitori corredati di opportuna autorità di procedere e
sentenziare; la quale protetta poi dai fedeli sovrani, e sistemata vie meglio dai Romani Pontefici
acquistò sul declinare del decimoterzo secolo maggior forza e vigore, come vedremo in appresso,
ma non fu mai sfornita di quell'autorità, che compete a vero e legittimo tribunale esteriore.
Anche il commentatore della Bolla di Paolo III. è caduto in questo errore, il quale non
(722)
Così nel testo, ma "osent". (N. d. R.)
(723)
Stor. lib. 73. num. 54.
177
ricordandosi d'avere scritto sul principio del capitolo secondo, che i Domenicani ed i Francescani
fin dalla loro origine agivano insieme coi Vescovi in Inquisitionis causis ac processibus e in verbi
Dei praedicatione...& Inquisitionis munere, e d'aver distinta l'una dall'altra [295] incombenza, ha
poi l'inavvertenza di scrivere sul fine del capitolo terzo, che S. Domenico e S. Pietro martire erant
ex Inquisitorum concionatorum munero, qui verbo & exemplo contra Haereticos praeliabantur, &
eorum personas, sicubi latebant, inquirebant atque investigabant, ut, iis detectis, nec ad Fidem
conversis, legitima potestas de eorum causa judiciario more cognosceret. Io apprenderei volentieri
da questo signore come facevano que' santi predicatori a trar fuori dalle loro tane queste volpi
insidiose, e donde scoprivano i loro errori, ed interponevano con loro le opportune istruzioni ed
ammonizioni per assolverli pentiti, o consegnarli ostinati al giudizio del tribunal secolare, e di quai
mezzi si servivano a quest'effetto. Della sola predicazione non già; che o non la ascoltavano o non
ne profittavano; e non v'è predicatore che sappia dal pulpito come pensano i suoi ascoltanti.
Aggiungevano adunque a lei qualch'altra cosa; e quest'è ch'io desidero di sapere o dal nostro bravo
indovino: ma temo che non sarà mai per soddisfare ai miei desiderj se non aggiunge quel munus
Inquisitionis, che ha indicato una volta, ma che ha poi escluso ben presto, non altro riconoscendo
ne' primi Inquisitori che il carattere di semplici predicatori. Senza di quello non avrebbono mai
saputo que' buoni Padri i pensamenti de' loro ascoltanti; e se dopo d'aver rilevata da incerti rumori e
notizie stragiudiciali la reità di qualch'uno o lo avessero chiamato amichevolmente per convertirlo o
lo avessero abbandonato al foro laico per farlo abbruciare, non avrebbero fatt'altro che un passo
irregolare ed un'aperta ingiustizia. Tutt'altro metodo aveva prescritto la Chiesa per la giuridica
spedizione di queste cause, il quale non poteva essere eseguito senza che quelli che venivano
destinati ad munus Inquisitionis oltre a quella di predicare avessero anche l'altra autorità di ascoltare
giudicialmente i denuncianti, sentir quelli che si davano per informati, e costituire i colpevoli per
procurarne o l'emenda colla persuasione o coll'abbandono il castigo. Per tutto questo non basta la
semplice predicazione; e il nostro commentatore, che nel testo indicato confessa in S. Domenico e
in S. Pietro martire munus Inquisitionis, e poi non vuole riconoscere in loro che le sembianze di
semplici predicatori, altro non fa che dir cose tra loro ripugnanti e contrarie, ridurre l'officio
dell'Inquisizione, che sin dal suo nascere fu riputato di grande imbarazzo e riguardo, al semplice
mestiere [296] della non difficile predicazione, ed impegnare tante Bolle de' Romani Pontefici a non
far altro che a suggerire agl'Inquisitori l'obbligo di denunciare gli Eretici, noto già a tutti i Fedeli
anche prima dell'istituzione del S. Officio. Anche il restringere l'autorità di ragguardevoli persone
ecclesiastiche alle sole delazioni senza lasciar loro altr'ingerenza che quella di ammonire ed istruire
dolcemente, riservando ad altri tribunali la forza ed autorità di correggere, pute alquanto di quella
eccedente spiritualizzazione, che i più indiscreti regalisti vorrebbero introdurrre nel tribunal della
Chiesa. Ma di questo vi ho parlato abbastanza altrove; e pare a me d'avervi anche scritto abbastanza
sull'origine del sagro tribunale. Vi ho esposta la fissa e permanente sussistenza, che vanta dai tempi
almeno di Gregorio IX.; il metodo, che fin d'allora usava, non molto dissimile a quello che si pratica
presentemente; lo sbaglio di chi vorrebbe di troppo o anticiparne o posticiparne l'origine; ed ho
escluse le calunnie di tanti, che non la vogliono ripetere che dalla politica de' Romani Pontefici o da
altre viziose sorgenti. Manca solo quella maggior precisione, che nel fissare le epoche suol'esigersi
dai più nojosi antiquarj. Ma se io non ho saputo soddisfare in questo con maggiore esattezza ai
desideri vostri ed ho confessate ingenuamente le mie incertezze, voi dovete argomentare da ciò
quanto mi sia a cuore di non ingannarvi con false congetture e rapporti: e sicuro della sincerità,
colla quale v'istruisco, acquisterete sempre maggiore facilità di dissipare quelle tenebre di falsità e
calunnie, che hanno sparse nella vostra mente tant'altre guide infedeli. In niun'altra cosa mi
troverete così fluttuante e dubbioso: intanto ansioso di poter risarcire questa mancanza con più
esatta istruzione mi dico al solito
178
LETTERA VENTESIMAQUINTA.
Propagazione e favore ch'ebbe il tribunale del S. Officio
nel suo incominciamento e progresso.
odiosità al dir de' malevoli è quella macchia, che, come l'ombra i corpi opachi, ha sempre
accompagnato per ogni dove il tribunale della Fede: e non contenti di renderlo per tale
calunnia a tutti spregevole, hanno ancora la temerità d'inferire da così chimerica supposizione, che è
dunque dichiarato contro di lui il dissenso di tutte le genti e nazioni, e per conseguenza l'irregolarità
del suo stato. Nella qual maniera di ragionare non so s'io debba più disapprovare la loro temerità nel
prendersi gioco dell'altrui buona fede, avanzando le più solenni imposture, o l'imprudenza loro
nell'aprir per tal modo un'ampia strada, onde mostrar sempre meglio la stima che merita un
tribunale sì saggio. Imperocchè se dalla supposta universale odiosità si credono essi in diritto
d'inferire la cattiva sua qualità, quale scampo resterà loro di escludere l'appoggio che trova la sua
bontà nel comune consenso di tutti i Fedeli, poichè avrò dimostrato che fu a tutti accettissimo?
Contrariorum eadem est ratio; non è men noto che sicuro l'assioma: e se merita disprezzo ciò che è
disapprovato da tutti, non può non meritare approvazione ed encomio ciò che è accolto da tutti
favorevolmente, come fu accolto in ogni tempo da tutti i buoni il tribunal della Fede, ciò che prendo
ora a dimostrare per distruggere quella falsa opinione che dite d'aver concepita su questo punto.
Dopo il felice suo incominciamento non vi è stato Pontefice da Innocenzo III sino a Paolo III,
pel lungo giro cioè di più di tre secoli, che non abbia applaudito e protetto il tribunale del S. Officio;
non Concilio di qualche nome, che non n'abbia fatti magnifici encomj; non principe infine o
magistrato, che l'abbia defraudato della sua assistenza e protezione. Innocenzo III., Alessandro IV. e
varj altri in seguito scrissero lettere premurosissime ai Vescovi ed agl'Inquisitori, perchè non
trascurassero una così vantaggiosa istituzione. Gregorio IX. prefisse l'ordine da tenersi e nel
procedere e nella scelta de' nuovi officiali e ministri. Lo confermò Innocenzo IV., e suggerì regole
salutari ai sovrani [298] e magistrati, onde divenisse più vantaggioso, ed esortò gl'Inquisitori a
continuare con diligenza e coraggio il malagevole impiego, e di molti privilegj li arricchì e di
spirituali e temporali favori. Urbano IV., Clemente IV., Niccolò III., Onorio IV., Clemente V.,
Gioanni XXII., Gregorio XI., Martino V., Calisto III., Pio II., Sisto IV., Innocenzo VIII.,
Alessandro VI., Leone X., Adriano VI. e Clemente VII. non furono dissimili in quest'impegno ai
gloriosi loro predecessori, come si può vedere e nella raccolta che fa il Pegna delle loro Bolle in
fine del Direttorio di Eimerico, e ne' Bollarj de' Domenicani e Francescani. Manca molto alla
pretesa moltiplicità de' nemici del tribunale, se si devono detrarre dal numero di quelli, che l'hanno
odiato, i Romani Pontefici, che soli bastano colla sublime loro dignità a rappresentare l'universalità
de' Fedeli, ed all'approvazione dei quali chi volesse detrarre la forza che merita per essere
l'istituzione del S. Officio un
libero esercizio del loro primato, si troverebbe nella misera necessità
di non poter più far conto neppure del primato medesimo, al quale per altro non si può ripugnare
senza dichiararsi Eretico manifesto. Ma non sono i soli Papi gli approvatori di così utile istituzione.
Scorrete la storia de' principali Concilj congregati dopo il decimoterzo secolo; e li vedrete tutti
impegnatissimi a favorirla, ed in ispecial modo quelli di Vienna, di Costanza e di Trento; il primo
de' quali la cura si prese di por riparo ai difetti de' suoi inesperti e viziosi amministratori, l'altro lo
fornì di nuovi ajuti e ripari, ed il terzo cangiò più volte le prese risoluzioni in materia di disciplina,
perchè sospettò che riuscir potessero di pregiudizio al tribunale della Spagna. E sarà questo parto di
ostile disapprovazione, e non piuttosto contrassegno evidente di venerazione e rispetto? Non meno
de' sagri Pastori si sono mostrati propensi a favorirlo i magistrati e sovrani. Era preceduto di pochi
anni il suo incominciamento, quando Federico II munì co' suoi diplomi una così lodevole
L'
179
istituzione: e giunse tant'oltre il loro favore, sino a ricercarlo con importune preci al Romano
Pontefice, ove non era ancora eretto, sino a procurare di stabilirlo a forza, ov'era già decaduto, sino
a farlo una delle loro più calde premure nelle testamentarie disposizioni, come leggesi di Carlo V.: e
di quest'universale favore di tutti i sovrani sono una non equivoca prova le sue leggi e statuti
ricevuti con molta religiosità in tanti dicasterj e governi, e il giuramento di osservarli che ha
prestato [299] per tanto tempo gran parte di magistrati cattolici, ed i genererosi sussidj, che hanno
recato le stesse anche più povere Comunità a mantenimento delle carceri e de' carcerati, che
troverete registrati presso l'Eimerico, il Carena, ed il Pegna. Nè mi si oppongano con Fra Paolo le
difficoltà e contrasti, che ha incontrati in qualche luogo prima di essere accettato: chè questi non
mostrano il contraggenio che avessero al suo stabilimento, ma la premura piuttosto che nodrivano di
vederlo sorgere tra loro con maggiore consistenza e decoro. Le cose più accettevoli non vanno
esenti da questi contrasti: e se, superata ogni difficoltà, il tribunale del S. Officio è stato in fine
ricevuto e ben veduto da tutti, tanto è lungi che i passati contrasti lo dimostrino odioso e sgradevole,
che anzi ne assicurano della molta premura che si aveva di accoglierlo nella migliore possibile
maniera. Succedono così per lo più varie gare e contrasti nella scelta de' Superiori, non perchè non
si vogliano, ma perchè più matura ne succeda l'elezione, seguita la quale quello che vien'eletto
diviene la consolazione e la delizia di tutti. Così s'incontrano grandi opposizioni e dispareri prima
d'introdurre un nuov'Ordine regolare in qualche regno o città, superate le quali, diviene poi il
sollievo de' poveri, il sostegno della buona educazione e coltura degl'ingegni, e l'amore di tutti. E
così appunto è avvenuto al tribunale del S. Officio in più luoghi. Compariva ovunque accettevole, e
tutti conoscevano quanto era per essere opportuno e proficuo; ma non si giunse tosto a scoprire da
tutti come conciliare il libero suo esercizio coll'economia de' respettivi paesi e coi riguardi dovuti ai
Vescovi ed ai magistrati. Ma tutto è stato in fine combinato assai bene; e allora fa che venne accolto
da ogni principe e magistrato cogli indicati contrassegni d'amorevolezza e favore.
Non sono però i soli rettori dell'una e dell'altra società che abbiano favorito il nostro tribunale.
Tutti i Fedeli si sono uniti a secondare i loro voti; e mossi da quella premura che li animava alla
difesa della Religione, che professavano, hanno mostrato in cento guise l'attaccamento che avevano
per sostenerlo. E chi può mai credere che ad alcuno di loro sia mai dispiacciuto l'impegno, che il
tribunale del S. Officio ha dimostrato, di castigar gli Eretici, se niuno tra loro vi fu ne' tempi andati
che non si credesse in dovere di farlo in qualche modo, giunti sino al trasporto di ucciderli talvolta
disordinatamente con privata autorità ed arbitrio? Chi può credere che dispiacesse ad alcuno il [300]
suo regolamento e sistema, se somma comparve sempre in tutti, e si mostra tuttora in molti dove
sussiste, la premura d'essere ascritti tra i suoi famigliari e dipendenti, ed è per lo più de' più distinti
il rango di quelli che ottengono l'intento? Ne volete un'argomento anche più palmare e sensibile? ve
lo somministrano amplissimo e la rapida felicissima propagazione, ch'ebbero i due grandi Ordini
Domenicano e Francescano e i pubblici onori e la distinta venerazione che ottennero per tutto il
mondo cattolico i due gran personaggi, che più si distinsero in questa malagevole impresa, S.
Domenico e S. Pietro martire. Non può negarsi che fosse la prima sì felice ed estesa, da poter
somministrare anche ai suoi Patriarchi l'ameno spettacolo di vedere divisi i loro Ordini in molte non
che case ma provincie vastissime, e sparsi già per ogni parte del mondo i loro Religiosi; e che fu sì
grande la venerazione che riscossero e in vita e dopo morte tra tant'altri i due indicati campioni, che
appena v'ha chi possa uguagliarli in tanta gloria. Solo tra gli Eretici trovò il primo chi lo
maltrattasse; dovunque ponesse il piede in terre cattoliche sommi erano gli ossequj che riscuoteva
dai principi e magistrati, dai Vescovi e Pontefici, dai nobili e plebei: e fu chiamato appena da Dio a
ricevere il guiderdone delle sofferte fatiche, che i Cardinali più illustri ed i più distinti Prelati
s'impegnarono ad onorarne le esequie; e nel breve giro di pochi anni venne sollevato dalla S. Sede
agli onor degli altari, e divenne nobile oggetto di pubblica divozione chi fu in vita lo scopo
dell'amore e delle lodi di tutti, e crebbe di poi col crescere de' prodigj per sua intercessione operati
la venerazione e pietà per modo, che oltre d'aver forniti in Bologna i numerosi suoi figli di ampia e
comoda abitazione e di onestissimo sostentamento inalzò alle onorate sue ceneri sì ricco e nobile
mausoleo che gareggia a giudizio dei Bollandisti coi più sontuosi d'Italia.
180
Avvenne, lo stesso a S. Pietro martire tanto onorato e venerato dagli altri e prima e dopo morte,
quanto s'era in vita reso instancabile nel suo apostolato e nella persecuzione degli Eretici. Furono
raccolte dopo morte quasi preziose reliquie le sue spoglie, e furono onorate di prezioso avello; e
mosso dal giudizio della S. Sede tutto il mondo cattolico lo venerò come campione invitto della
cattolica Religione: e dichiarato dopo morte protettore di molti regni e città, giovò in cielo colla sua
intercessione a quella Fede e a quei Fedeli, che con tanto [301] coraggio aveva difesi e sostenuti in
terra colla forza e valore. Napoli stessa, feconda sempre d'uomini insigni e di zelanti cittadini e
magistrati, allettata dall'eroiche virtù ed invitto coraggio di sì gran Santo, lo stimò e venerò
grandemente; e non solo contrastò a Verona l'onore d'avergli data l'origine per attribuirlo a se stessa,
ma morto appena lo dichiarò protettore del regno, e con tanta liberalità accolse i Religiosi del suo
Ordine, che luogo non è in tutta l'Europa, in cui essi abbiano avuto più splendido e generoso
accoglimento. Or non v'ha dubbio che tra le varie incombenze, delle quali furono incaricati gli
Ordini suddetti, la più precisa e clamorosa, e che più li ha distinti da tutti gli altri fin dal lor nascere,
è stata quella di impiegarsi nelle incombenze del tribunale del S. Officio, portando il loro zelo e
coraggio dovunque lo esigeva il bisogno della cattolica Religione. Sono troppo chiari e ripetuti i
diplomi e sagri e profani, che ne somministrano le prove. È fuor di dubbio egualmente, e basta
gettare uno sguardo su que' monumenti illustri che sussistono tuttora in Firenze e Milano, che S.
Domenico è stato o il primo o uno de' primi Inquisitori più zelanti, e S. Pietro martire tra tutti
gl'Inquisitori è stato quello che ha sostenuto un tal'impiego con più premura e l'ha esercitato con più
vigore e coraggio d'ogni altro. Sfido ora tutti gl'invidi detrattori del nostro tribunale a conciliare,
senza fare un'aperta violenza alle naturali inclinazioni del cuore umano, e smentire la più costante
ed universale sperienza, a conciliare, dissi, l'odiosità del loro impiego con tanto incontro e favore,
tanti onori con occupazioni sì odiate e malvedute. Trattandosi di mestieri odiosi, quegli è stimato
peggiore, che meglio lo esercita: quo melius, hoc deterius, diceva Diogene a questo proposito
(724)
: e
non cessa di esser tale, benchè il suo impiego riesca di qualche utilità e profitto; e n'abbiamo sotto
gli occhi varj esempj notissimi: nè si potrebbe a ragione eccettuare questo dalla condizione comune
ad ogni altro, se questo sopra d'ogni altro fosse riuscito, come pretendono i suoi impugnatori, a tutti
i Fedeli odiosissimo. So che a rendere spedita e facile la propagazione degli Ordini suddetti, e
venerabile presso tutto il mondo cattolico la memoria di sì gran Santi, potevano contribuire assai
bene la loro esemplare condotta e la rara loro scienza e pietà. [302] Ma se si fossero appigliati ad un
mestiere da tutti disapprovato e a tutti odioso, chi può credere che, avendolo essi assunto come di
particolare loro ispezione, non fosse per diminuire almeno ogni altro loro merito, e renderli meno
disposti a ricevere beneficenze ed onori? Non può a meno, che ripugnanti allora i Fedeli e contrarj
al tribunale non avessero fatto ciò che fanno ai dì nostri gl'increduli, che odiando veramente il
tribunale e la Fede prendono quindi motivo di odiare insieme e gl'Inquisitori, che impiegansi nel
primo, e tutto l'Ordine ecclesiastico, che la Fede coltiva e sostiene. Ma furono contrarj affatto i loro
diportamenti: e crebbe invece col crescer degli anni il lor favore verso gli uni e gli altri, e sempre
nuovi altari furono eretti ai grandi eroi, e i Domenicani e Francescani si dilatarono per ogni regno,
furono ammessi frequentemente nelle più celebri università, e non i soli primi monarchi del
cristianesimo stimarono bene di affidare alla loro fedeltà e sapere non che la direzione della loro
coscienza, ma anche i più interessanti affari di Stato, ma le colonne istesse del santuario non ebbero
difficoltà di ornarli talvolta delle più luminose mitre e dello stesso pontificale camauro. È dunque
una vera chimera l'odiosità che con tanta impudenza si va decantando.
A che però andar mendicando da straniere sorgenti quella propensione e favore, che ha goduto
ne' tempi andati il tribunale della Fede, quando egli solo basta a se stesso, e la sua storia medesima
ce ne somministra i più autentici documenti? Era appena nato in Linguadoca che si dilatò nell'Italia,
e S. Lodovico lo cercò in Francia: e nel breve giro di poco più di un secolo si vide esteso in
Castiglia, in Sardegna, nella Siria, nella Palestina, nella Servia e nella Brettagna; anzi nella
Germania stessa, nell'Austria, nell'Ungheria, in Polonia, Dalmazia, Boemia, Ragusì, Croazia, Istria
(724)
Int. apophtheg. ab Erasmo collecta 84. Diogenis.
181
e Valachia. Giacomo lo ricercò poco dopo, e lo accolse piacevolmente nel suo regno d'Aragona,
Alfonso in quello di Valenza, Gioanni nel Portogallo, e S. Francesco Saverio in Goa. Ma chi può
ridire ad uno ad uno tutti i luoghi, ne' quali fino dai primi tempi fu ricevuto di molto buon'animo
l'utile tribunale, e le favorevoli accoglienze ch'ebbe per ogni dove? Se lo desiderate, ve ne
somministrerà un minuto dettaglio non che il Paramo e Salelles, ma lo stesso Limborch: ed io pago
d'averlo accennato brevemente, e d'aver dileguata quell'ombra di perpetua odiosità, colla quale
cercano i suoi [303] nemici d'oscurare le glorie di sua felice propagazione e diuturna sussistenza in
tante parti del mondo, lascio a voi il carico di ricercarne altrove le più minute notizie. Troverete, lo
so, che i tempi a noi più vicini non corrispondono ai tempi andati, e che gli ultimi successi sono
molto discordi da sì felice incominciamento e progresso: non è però da conchiudersi per questo o
che non sia stato applauditissimo per molti secoli, o che non sia tuttora ben veduto dai buoni Fedeli.
Se adesso è più ristretta la sua attività, e men copiosi sono i suoi approvatori, inimicus homo id
fecit; ed a maggior suo obbrobrio lo fece nell'auge più grande delle sue glorie, e dopo che Paolo III.
per renderlo più vantaggioso ne aveva intrapresa una decorosa riforma. Ciò non ostante però poss'io
assicurarvi, che anche adesso tutti i buoni Fedeli lo stimano e lo apprezzano come prima, e
piangono dove lo vedono o inoperoso o soppresso, e porgono incessanti preghiere a Dio ed ai
rispettivi sovrani per riaverlo, E Dio voglia che non piangano sempre in darno, e che a vantaggio di
tutti s'impetri dalla santa Sede per mezzo loro quel tribunale, che per sì lunga stagione riuscì
inespugnabile fortezza contro i nemici della cattolica Religione, salutare medicina agli stessi
miscredenti e settarj, e d'ogni altra ecclesiastica istituzione la più utile, come lo chiamarono Paolo
IV.
(725)
, Pio IV.
(726)
, Sisto V.
(727)
e varj altri Pontefici; e lo confesserete voi stesso poichè con
ulteriori schiarimenti vi avrò fatto conoscere e l'ingiustizia delle opposizioni che soffre e i rari suoi
pregj. Pago per ora d'averlo purgato da quella taccia di universale odiosità, dalla quale lo vedono
accompagnato in ogni Stato le invide pupille de' suoi calunniatori, mi dico ai solito
(725)
Param. lib. 11. tit. 3. cap. 2. num. 15.
(726)
Bull. Rom. Num. 75. tom. 4. part. 2. constit. Pastoralis
(727)
Bull. Rom. Tom. 4. part. 4. const. Immensa
182
LETTERA VENTESIMASESTA.
Riforma e più commendevole sistema, che il tribunale
del S. Officio acquistò verso la metà del secolo XVI.
ra le fante falsità, che il compilatore altre volte citato racconta nella favolosa sua storia riletta da
voi, come mi dite, per continuare la serie de' vostri dubbj, non tralascia di frammischiare alla
pagina 116. questa verità, che i più importanti stabilimenti non hanno subito tutta la loro perfezione,
ma la vanno acquistando col tempo. Nihil est simul & inventum & perfectum
t
lo disse anche
Cicerone
(728)
. A questa comune sciagura è restato soggetto anche il tribunale del S. Officio: e per
quanto plausibile e vantaggiosa fosse riuscita la sua prima istituzione, e provvide fossero state le
regole e privilegj, che aveva di mano in mano ottenuti e dai Romani Pontefici e da varj Concilj e da
sovrani cattolici, non andava però immune da ogni imperfezione e difetto. Il non avere allora
gl'Inquisitori una sede fissa e stabile nel medesimo luogo; il non essere le stesse persone addette
immobilmente al medesimo impiego; la necessità in cui si trovavano talvolta nelle cause più
intralciate e difficili di abbandonare i paesi, nei quali sarebbe stata utilissima la loro presenza, per
portarsi a Roma ad esplorare l'oracolo della S. Sede; la mancanza in Roma di uno stabile e ben
corredato supremo tribunale addetto alle sole cause di Fede, che fosse pronto ad ascoltarli e suggerir
loro le più mature e provvide risoluzioni (chè protettori piuttosto degl'Inquisitori che Inquisitori
generali chiamar si possono que' pochi Cardinali, che riportano il Pegna
(729)
e l'Albici
(730)
, destinati
talvolta da alcuni Pontefici a loro sollevamento e conforto); l'imperizia in fine di alcuni promossi
con poca riflessione dai rispettivi loro Superiori al difficile e gelosissimo impiego, li rendeva
talvolta meno atti ed efficaci all'intento. Quindi è che dopo il giro di quasi tre secoli, in vista dei
molti vantaggi, che aveva già apportati, e [305] di quei maggiori, che faceva sperare ridotto che
fosse in migliore stato, venne in mente ad alcuni di riformarlo; e di questa riforma, giacchè voi
desiderate d'averne un distinto ragguaglio, prendo ora a parlare con precisione.
Il primo a promoverla fu Ferdinando Re di Castiglia, che per rimediare al languore, nel quale
era stato ridotto il tribunal della Fede dalla scarsezza degl'Inquisitori delegati ne' suoi Stati
(731)
, sul
piano già ideato dal Cardinal di Mendozza implorò ed ottenne da Sisto IV. che il S. Officio fosse
ridotto nel suo regno sul piede che anche adesso conserva in gran parte, e che voi troverete descritto
presso il Salelles
(732)
. L'occasione di questa risoluzione fu la seguente. Il bravo P. Alfonso Hojeda
Domenicano Inquisitore di Sicilia scoprì un'empia adunanza di Giudaizzanti, che nella notte del
giovedì santo s'erano uniti a bestemmiare il nome santo di Gesù Cristo, ed implorò l'assistenza del
pietoso sovrano perchè non andasse impunito sì gran misfatto, ed ottenutala non senza una
premurosa esortazione di procedere col maggiore impegno, ubbidì egli prontamente,
assoggettandone sei de' più colpevoli al meritato castigo. Si scosse allo strepito di questo
avvenimento anche lo zelo degli altri Vescovi ed Inquisitori; e allora fu che allo scoprirsi attorniati
da tanti e sì perfidi Eretici, Giudaizzanti ed increduli, che si erano potuti insinuare in quel regno fra
i torbidi dell'infelice governo di Giovanni ed Enrico, si videro nella necessità di pregare i due
regnanti Ferdinando ed Isabella a voler proseguire l'opera già incominciata. E questi non sordi a sì
(728)
Brut. 18
(729)
Direct. part. 3. comm. 11.
(730)
Risposta alla Storia di Fr. Paolo cap. 14.
(731)
Mariana de Reb. Hispan. lib. 24. cap. 17. tom. 3.
(732)
Proleg. 5.
F
183
giuste premure stimolarono il fervore del Cardinale Mendozza Arcivescovo di Siviglia e del P.
Tommaso Turrecremata
(733)
Domenicano loro Confessore, perchè prendessero di ciò cura speciale
ed incoraggissero gl'Inquisitori perchè a norma de' sagri canoni procedessero con ogni rigore.
Intrapresero i due invitti campioni del nome cristiano con grande ardore di spirito un'opera così
salutare, e molti Eretici e Giudaizzanti pentiti ricondussero al sagro ovile, molti ostinati ed
impenitenti assoggettarono al meritato castigo. Ma non lasciarono di vedere però quant'era
sproporzionata la sola loro opera a tanto bisogno, e quanto sarebbe stata opportuna una riforma del
tribunal [306] delegato, che dando miglior'ordine e sistema a tutti i tribunali del regno, ed
aggiungendo autorità e forza agl'Inquisitori da deputarsi in appresso in maggior numero, agissero di
concerto in quelle parti ove giungere non poteva, tuttocchè fervidissimo, il loro zelo apostolico. E
questo è che progettarono da prima ai suddetti regnanti, e ch'essi nel 1479. ottennero da Sisto IV., e
non tardando a prevalersi de' favori apostolici in affari di tanta importanza furono indi a poco
deputati due Inquisitori Domenicani in Siviglia: e perchè due soli non erano sufficienti dov'era sì
copiosa la messe, nel 1482. vennero destinati dallo stesso Sisto IV. altri sette Domenicani al
medesimo intento, e furono sparsi anche ne' regni di Castiglia e Leone. Sono incredibili i vantaggi
che riportò la cattolica Religione da così utili provvidenze, in vista de' quali non mai stanco lo zelo
del Romano Pontefice di dar mano a più felici successi, e la pietà dei due regnanti di secondarlo,
delegò quello nell'anno 1483. all'Arcivescovo di Siviglia la facoltà di conoscere in grado
d'appellazione le sentenze dell'Inquisitori provinciali, e di prescegliere il P. Turrecremata. ad
Inquisitor generale e primario ne' mentovati regni di Castiglia e Leone coll'autorità di delegare e
rispettivamente rimovere dai loro officj gl'Inquisitori soggetti: e i due regnanti si diedero premura di
onorare un sì magnifico tribunale della autorevole loro protezione che fin d'allora cominciavano ad
esercitare, e coll'eseguire prontamente, e secondare le giudiciali sue risoluzioni, e col provedere di
generosi assegnamenti, e decorose prerogative quel reale consiglio che lo spaleggia e cui furono
assoggettati non che i regni di Castiglia e Leone, ma anche quelli di Valenza, Catalogna e Sicilia e
molti altri in appresso
(734)
.
Io non trovo che sin dal nascere di questa riforma sia stata fissata la delegazione ne' soli
Vescovi: e non è credibile, che il Turrecremata e l'Arcivescovo di Siviglia abbiano voluto privarsi
dell'attività e premura di tanti Inquisitori Domenicani, dai quali erano stati sì ben serviti. Non sono
però di questo molto sollecito, chè poco interessa il saperlo per rilevare l'utile cambiamento ch'ebbe
in questi tempi l'Inquisizione di Spagna: quello che più importa si è che una tal mutazione ed una
così [307] nobile cospirazione di sacerdozio e d'impero a pro della Fede cattolica riuscì poi ai
suddetti regni e dovunque si dilatò così vantaggiosa, che non solo potè abbattere tutti quegl'Infedeli,
che disturbavano nell'interno di quei regni la Religione e pietà, ma ha potuto resistere ancora a tutti
gli sforzi che hanno fatto in appresso i Protestanti per insinuarvi i loro errori, e ne ha sperimentata la
forza (se pur si può credere in qualche cosa all'autore dei Fatti &c.) anche ai dì nostri l'infelice
Olivarez, che avendo voluto introdurvi alcuni villani Protestanti per coltivare certi terreni, ha
incontrato un forte ostacolo da quel tribunale, il quale ha voluto a ragione preferire la coltura
dell'anime a quella dei campi: e mentre costoro divenuti sempre peggiori seguitano a fare stragi di
anime in tante parti d'Europa, i soli regni di Spagna e di Portogallo, mercè il rigore e buon'ordine
del loro sì ben'assistito tribunale, possono vantarsi di godere in materia di Religione una
tranquillissima pace, e di essere in ogni parte Cattolici; ond'ebbe a dire il Baronio all'anno 638., non
esse indebite usurpatum titulum Hispaniarum Regum, ut Catholici cognominentur, utpote tanto
facti titulo digni, quod non solum jurent se catholicos, sed neque passuros quemquam non
catholicum in eorum amplissimis regnis penitus reperiri. Questa però ch'esser dovrebbe la più
copiosa sorgente del loro ingrandimento e delle loro lodi, è stata, chi il crederebbe! la sola cagione
di quelle maldicenze e calunnie incredibili, dalle quali vengono bersagliati in tutti quei libri, che
prendono a maltrattare il tribunale del S. Officio, i quali cercano ne' regni di Spagna e di Portogallo
ciò, che non trovano altrove, per iscreditarlo, e procurano d'involgere tra le tenebre, dalle quali
(733)
Meglio conosciuto come Tomas de Torquemada. (N. d. R.)
(734)
Paramus de Orig. et progres. &. lib. 2. tit. 2. cap. 3.
184
pretendono di poter dimostrare ingombrato il suo tribunale, ogni gloria e splendore di quei
fioritissimi regni. Non è questo il sentimento dei buoni, i quali persuasi della molta Religione e
pietà che in loro si annida, non hanno mai defraudato neppure il tribunale istesso di quegli encomj,
che gli erano dovuti, come si può vedere presso Roderico Achuna
(735)
, il Mariana
(736)
, il
Ribadaneira
(737)
, il Simanca
(738)
e molti altri. I soli Protestanti ed altri [308] male affezionati alla
podestà della Chiesa lo hanno maltrattato così: nè io intendo di prenderne la difesa in questo nostro
carteggio, nel quale parlo del tribunale di Roma e di quelli soli che hanno con esso maggior
connessione, non di quello di Spagna, di cui voi non vi siete mostrato punto sollecito, e che è già
stato sostenuto con valore dal Padre Torrezillas nella sua Apologia e dall'ab. Vayrac nell'opera dello
Stato presente della Spagna, e da varj altri, alle opere dei quali quand'anche vi fosse che aggiungere,
l'inclita nazione spagnuola, feconda mai sempre d'uomini eccellenti non meno nella pietà che nelle
lettere, non avrebbe bisogno de' miei meschini talenti per sostenerlo; la quale saprà rintuzzare altresì
assai bene e colle usate pratiche dell'antica pietà l'ardire dell'ab. Fleury, il quale non si è vergognato
di scrivere nel discorso 7. altre volte indicato, che nei paesi, dove o non è mai esistita, o è stata
levata l'Inquisizione, non è la Religione in minor lustro, che dove si trova, anzi è in assai migliore
stato, perchè l'Inquisizione non fa altro che rendere i Popoli ignoranti ed ipocriti: sentimento tanto
meno tollerabile, quanto proveniente da uno più versato nella storia ecclesiastica. Bisogna essere
molto maligno per interpretare in mal senso tutti gli atti esteriori di Religione e pietà, che si vedono
con tanta frequenza in quei paesi, nei quali ha luogo il sagro tribunale; e molto ignorante per non
sapere che non ebbero mai personaggi così insigni in ogni maniera di letteratura e dottrina
versatissimi l'Italia e la Francia, come in quei tempi appunto, in cui più vigoroso sussisteva, in
mezzo a quelle il tribunale del S. Officio, e che non vide mai la Spagna giorni più lieti e adorni
d'uomini celebri di quelli ne' quali lo zelo di Ferdinando e di Carlo e la pietà di Filippo II. avevano
reso in quelle vaste contrade più formidabile il tribunale medesimo. Aetas illa, ce ne assicura l'ex-
Gesuita Raimondo Diosdado Caballero
(739)
, vere aurea fuit, in qua si caeteras Hispania nationes
eruditione non superavit, earum certe nulla inferiorem se praestitit.
Sarebbe anche bene, che i Domenicani prendessero la difesa, di quegl'Inquisitori, che prima
della riforma di Ferdinando hanno così nelle Spagne come altrove quasi privativamente occupato un
tal posto, e sono stati assai maltrattati dal commentatore [309] della Bolla di Paolo III., il quale
spaccia con franchezza, che dalla loro inabilità abbia avuto l'origine il gran cambiamento. La cosa è
falsissima; e tale la mostrano non che le gloriose loro intraprese, ma anche la scelta che nella
riforma fu fatta di uno di loro a primo Inquisitore, ed il primo Consultorato, che loro è stato
riservato nel gran tribunale già riformato. Ma io, torno a ripeterlo, non ho preso a difendere nè i
Domenicani nè il tribunale di Spagna; mi restringo a parlare de' soli tribunali di Roma e d'Italia; e di
questi stessi io parlo non secondo la forma e sistema, ch'ebbero una volta, ma secondo quella, che
acquistarono dopo il giro d'alcuni secoli.
Nacque questa nuova forma e sistema del S. Officio in Italia ai tempi di Paolo III., il quale al
crescere della luterana perfidia
(740)
volendo opporre un più sodo ostacolo alla sua dilatazione,
chiamò a parte di questa principale incombenza del suo Pontificato alcuni de' più saggi Cardinali
che vantasse allora il sagro collegio, e coll'istituzione della suprema sagra Congregazione del S.
Officio rese assai meglio corredate anche le Inquisizioni inferiori, ed assai bene premunita e difesa
la Religione e pietà de' Fedeli. I due gran Cardinali Gioanni Pietro Caraffa e Gioanni Alvarez
furono i promotori di questa riforma, come asserisce Antonio Caracciolo nella vita ms. di Paolo IV.
presso il Bernini
(741)
. A questi aggiunge il Salelles, non so con qual fondamento, anche S.
(735)
de Confess. Sollic. quaest. 22. num. 15.
(736)
Stor. di Spagna tom. 3. lib. 24. cap. 17.
(737)
Vitae P. Ignatii lib. 3. cap 7.
(738)
de Catholicis Instit. lib. 2.
(739)
de Prim. Typogr. Hisp. Aetat. Spec. pag. 31.
(740)
Const. 41. Licet ab initio tom. 4. part. 1. Bullar. Rom. p. 211.
(741)
Stor. dell'Eres. tom. 4. sez. 16. cap. 7.
185
Ignazio
(742)
. Nè spiacerebbe a me l'influenza in questo affare di sì gran Santo, che onorerebbe la
riforma del tribunale non meno di quello abbia illustrata la sua istituzione il gran Patriarca S.
Domenico; ma nella storia di Paolo IV. scritta dal P. Carrara sotto il finto nome di Carlo
Bromato
(743)
viene attribuito il suggerimento della riforma al solo Cardinal Caraffa, ed a Paolo III. il
felice suo incominciamento: nè restano senza prove e conferme i suoi pensamenti. Non occorre però
fermarsi in più minute ricerche su questo punto; e ci basti il sapere, che persuaso il Pontefice del
bisogno che aveva l'Italia di opporre al furore de' nuovi Eretici un più sicuro riparo, condiscese alle
giudiziose insinuazioni di uno o di più personaggi insigni e per sapere [310] e per santità, e
coll'istituzione della suprema sagra Congregazione piantò le fondamenta del ben'inteso edificio, che
poco dopo dallo stesso Caraffa divenuto Pontefice sotto il nome di Paolo IV. fu accresciuto, e da S.
Pio V. e da Sisto V. e da varj altri suoi successori perfezionato per modo, che riuscì poi non solo di
gran vantaggio alla Chiesa, ma alla stessa S. Sede di maggior lustro e decoro. Anche adesso è
sostenuto dall'autorità del Romano Pontefice, ed è fiancheggiato in sostanza e munito da quelle
saviissime leggi e regole fondamentali, delle quali fin dal suo nascere fu corredato e da varj Concilj
e dalle particolari disposizioni delle menti più illuminate, che abbiano governato il mondo cattolico.
È diretto anche adesso al medesimo fine, il quale non è mai stato altro che quello, che vi ho indicato
più volte, di difendere la cattolica Religione dalle insidie e violenze di coloro, che abbandonando la
Fede sogliono riuscire alla Religione, alla Chiesa e a tutto il mondo cattolico di gran danno e
pericolo; e come si spiega Paolo III nell'indicata Bolla, ut Fides Catholica ubique floreret et
augeretur, omnis haeretica pravitas pelleretur, seducti ad gremium et unitatem Ecclesiae
reducerentur. L'ordine, il numero, la subordinazione, l'attività de' suoi ministri è stata ridotta a
miglior forma; e tutto è compreso nel seguente sistema.
Capo del tribunale è il Romano Pontefice, il quale giudica per se stesso immediatamente le
cause più gravi, che dai tribunali inferiori vengono portate al suo giudizio; e ne giudica dopo il
maturo esame, che ne hanno premesso i più valenti teologi e canonisti, che Roma raccoglie da tutte
le parti del mondo, e dopo di aver sentito il parere di varj de' più accreditati Cardinali del sagro
collegio, trascelti appunto all'officio di generali Inquisitori, perchè servano a lui di ajuto e consiglio
nelle cause più gravi. Delle cause di minor conto sono giudici questi Cardinali medesimi, cui è stata
comunicata dal Romano Pontefice l'autorità di deciderle; e la decidono infatti col voto della
maggior parte in una Congregazione, che si raduna ogni mercoledì nel Convento della Minerva, ed
alla quale sebbene manchi l'augusta persona del supremo Gerarca del divin Gregge, non manca però
nè la sua autorità, che è stata loro delegata, nè l'assistenza e consiglio dei consultori indicati, che di
ogni causa premettono un'accurato esame in una precedente Congregazione, che si aduna ogni
lunedì nel palazzo destinato da S. Pio V. ad [311] uso del tribunale, ed alla quale interviene pel suo
officio il Maestro del Sagro Palazzo, che ha per tal modo continuata l'antica ingerenza che ha
sempre avuta in questi affari, come quella della proibizione dei libri coll'assistenza che presta alla
Congregazione dell'Indice.
Non sono è vero da paragonarsi a questo i tribunali inferiori, che l'autorità dei Romani
Pontefici e la sagra Congregazione ha innalzati in varie provincie d'Italia ed altrove: hanno però
anch'essi leggi e regole saviissime, dalle quali vengono diretti; e sono composti di personaggi così
qualificati e distinti, che meritano anch'essi venerazione e rispetto. La loro autorità è limitata per
modo nelle cause più gravi dalla subordinazione e dipendenza, che viene loro prescritta dal
tribunale di Roma, che quand'anche si volessero supporre i loro Prefetti appassionati e mal pratici,
non lasciano luogo a temere alcun notabile sbaglio o violenza. Niuno di loro è eletto all'impiego,
che non abbia dato per varj anni molti saggi di pietà e sapere; e sono per la maggior parte Figli di S.
Domenico, dei quali dice il Salelles
(744)
, Potestate & jurisdictione per Brevia pontificia ipsis
delegata exactissime & gloriosissime functi sunt, & usque in hunc diem in multis Italiae locis
funguntur; nec unquam laboribus aut vigiliis, immo nec effusioni sanguinis & propriae vitae pro
(742)
de Mater. Trib. S. Inquisit. t. 1. proleg. 8.
(743)
to. 2. lib. 7. p. 61.
(744)
proleg. 3. num. 9.
186
Fide & Religione tuenda, & pro Officio sanctissimae Inquisitionis exequendo pepercerunt. Nè a
questi dissimili sonosi mostrati giammai que' degni Figli di S. Francesco, ai quali è stata pure
addossata in qualche luogo una tale incombenza. Gli annali del Vadingo molti ne accennano degli
antichi, che sono stati valorosissimi: e i Liberi Muratori combattuti con gran coraggio e destrezza in
Firenze in questo secolo medesimo da uno di loro, e molti altri uomini illustri, che anche dopo la
felice riforma l'hanno sostenuta negli Stati di Toscana e Venezia con grande intrepidezza e zelo,
mostrano che non è ancora spento in loro l'antico zelo e valore, e che sono anche ai dì nostri quelli
che si sono dimostrati una volta a difesa della cattolica Religione e della Chiesa.
Le più colte ed oneste persone, che si trovano nei rispettivi paesi, sono quelle che si danno loro
per consultori nelle [312] difficili cause, e per officiali del loro tribunale: e sono per lo più del ceto
più qualificato e distinto, se quelle si eccettuano che sono destinate a più minute e laboriose
occupazioni, le quali per altro non lasciano d'essere delle più morigerate ed oneste del loro ceto.
Questa è in sostanza la forma, che ha adesso il tribunale del S. Officio in Italia. E perchè non
crediate ch'io abbia ideate o descritte cose, che non sussistono, aggiungo che quanto vi ho esposto
lo potete rincontrare nel Van-Espen
(745)
, autore per verità non sospetto di tropp'affezione e
parzialità, se non ha lasciato di esporlo altrove in quel tristo aspetto che accenna l'autore della sua
vita
(746)
. Del merito de' soggetti che lo compongono ei non ne parla: ed è bene che si sia diportato
così, chè non si potevano aspettare che calunnie e strapazzi da un sì impudente favoreggiatore ed
avvocato del giansenismo, trattandosi di ministri zelanti dell'onor di Dio e della S. Sede: ma è cosa
notoria per se stessa, e per le circostanze che l'accompagnano evidentissima. Nulla dirò di quelli che
vivono tuttora, de' quali non si potrebbero esaltare le rare prerogative senz'offenderne la modestia:
ma per averne di tutti un'idea ben vantaggiosa basta solo che riflettiate, essere stati Capi di questo
tribunale, o per dir meglio Prefetti dell'indicata suprema Congregazione, tutti quegli uomini sommi,
che da Paolo III. sino ai giorni nostri hanno con tanta gloria governata la Chiesa; e che tra i suoi
Cardinali Inquisitori generali v'hanno avuto luogo i Bellarmini, gli Sfondrati, i Lauria, i de Lugo, i
Noris, i Ferrari, gli Orsi e tanti altri sommi teologi e uomini dottissimi, che hanno onorata la sagra
porpora, ed hanno lasciato dopo di se un nome immortale. Vi confermereste sempre più in questa
vantaggiosa opinione, se i nomi vi potessi qui trascrivere di quei personaggi insigni, che hanno
seduto tra i suoi consultori, fra i quali, oltre a tant'uomini grandi, che sono poi stati assunti alla sagra
porpora, ed anche innalzati al Papato, si contano ancora i Bartolomei Spina, i del Bene, i Diana, i
Vadinghi, i Bianchi, i Ricchini, i Nerini, i Mamachi e quanti altri uomini celebri in teologia, diritto
canonico ed in ogni genere d'erudizione ha vantati in ogni tempo la dottissima Roma. Dei minori
Inquisitori, che sono sparsi per [313] l'Italia e varj altri paesi d'Europa, si può dire colla dovuta
proporzione lo stesso: e basta sapere che sono scelti dai primi, per crederli adorni delle più rare
prerogative di sapere e di meriti singolari: e l'aver noi veduto ai tempi nostri sostenere
quest'impiego i Gotti, i Landuxar, i Lucini, i Campana, gli Agelli, i Benoffi, i Sauli, i Maccarinelli, i
Sangallo, i Migliavacca e tant'altri personaggi di vaglia ci assicura, che non hanno mai sdegnato un
sì onorifico impiego i più illustri soggetti dell'Ordine Domenicano e Francescano, e che la sagra
Congregazione non è mai stata difficile a conoscerli, nè pigra ad eleggerli.
Ma voi ne fate le meraviglie; e non potendo dubitare di ciò che vi ho esposto, sembra quasi che
dubitiate di voi stesso, come se vi foste sognate le tante calunnie e maldicenze, che avete lette
contro un tribunale così rispettabile. Ma no, non le avete sognate. Quest'è quell'inesorabile
Radamanto, che avete trovato descritto in tanti libri; questo quel lupo ingordo, che ha insidiata la
roba altrui; e questo quel crudele Tiranno, che in tante parti d'Italia ha fatto tante stragi e macelli.
Cieco nelle sue vedute ha sempre palpato fra le tenebre della notte più oscura: irregolare nella sua
condotta ha sempre oltraggiato non solo le divine ed umane leggi, ma i diritti ancora, i sacrosanti
diritti della stessa umanità: e pieno di confusione e di tenebre è stato sempre precipitoso nel suo
procedere, riprensibile nella sua pratica, ne' suoi giudizj ingiustissimo. Di questi elogj l'onorano tutti
coloro, che nei floridissimi paesi d'Inghilterra e di Francia hanno scritto e sul cadere dell'altro
(745)
Jus Eccles. part. 1. tit. 22. cap. 3.
(746)
Lib. 3. cap. 3. art. 2. tom. 12. 12. edit. Vent. 1789.
187
secolo e sul principiare del presente del tribunale del S. Officio: e questi sono gli encomj, che va
ripetendo ai dì nostri la maggior parte di quelli, che scrivono sopra la tolleranza: e li avevano già
ristretti in compendio Guglielmo Cave nella sua storia Letteraria
(747)
e Gerardo Noodt
(748)
, il primo
de' quali dice del S. Officio; Gravissimum illud et ab Orco petitum christianae Religionis dedecus
simul et flagellum; conscientiarum carnificina, summaeque tyrannidis et crudelitatis officina, qua
.... Siculi non invenere Tyranni
Majus tormentum........ [314]
Dall'altro poi si ha essere chiunque lo regge e sostiene Sacerdotem impium, vanum, crudelem,
superbum, honestissimi ac sapientissimi cujusque hominis, maximi, medii, minimi, bonis famae,
vitae, libertati improbe ac flagitiose insidiantem. E per farci vie meglio comprendere che per volger
d'anni nè resta illuminata la cecità di costoro, nè moderata la loro diabolica malignità, non è molto
che l'umanissimo riformatore d'Italia nel suo progetto ristampato con infami aggiunte in data di
Londra nel 1786. ha avuta la incredibile temerità di chiamare gl'Inquisitori mascherati persecutori
del genere umano, che infestano le città e le campagne, e sotto pretesto di Religione fanno provare
ì più funesti ed esecrabili effetti de' loro odj implacabili e delle loro furiose rabbie ad ogni sorta
d'innocenti persone.
Io lo so, che un tribunale sì bene sistemato ha poco bisogno di apologia e difesa: e basta averlo
descritto, perchè tutte svaniscano per se stesse queste inutili ciancie d'impostori ed oziosi presso
coloro che sanno qualche cosa. Imperocchè dove avrà mai luogo la buona fede, l'onoratezza, la
giustizia e la più savia e prudente direzione di una irreprensibile condotta, se manca in questo
tribunale, che è certamente d'ogni altro maggiore, o si considerino le cause che agita, o le leggi che
osserva, o i personaggi che lo compongono? I biasimi stessi, avuta in considerazione la maestà e
perfezione dell'interiore sua costituzione e l'empietà de' suoi emoli, devono ridondare in sua gloria;
che aequa laus est, come dice Pico
(749)
, a laudatis laudari, et improbari ab improbis. Siccome però
non è piccolo il numero dei deboli, che possono essere ingannati; e quelli, che scrivono contro di
esso, o fingono disordini che non vi sono, o esagerano ogni picciola mancanza e difetto, e nulla
dicono di ciò che può servire a sua giustificazione e discolpa; così voi avete fatto bene eccitandomi
a descriverlo, ed io ho avuto piacere di avervi soddisfatto; e mi dichiaro anche prontissimo a
purgarlo di tutte quelle macchie e difetti, che ad esso vengono imputati, quando voi lo vogliate. Ad
un privato, che sia senza motivo offeso nella riputazione, può bastare a levarlo d'impaccio il
consultare la propria coscienza, che non deve rattristarsi, quando sa di non [315] aver meritato
l'oltraggio: quae enim, dice S. Gregorio Magno
(750)
, debet esse tristitia, si homines accusant, et sola
conscientia nos liberos demonstrat? Habemus Paulum dicentem; gloria nostra haec est,
testimonium conscientiae nostrae. Job quoque dixit; ecce in Caelo testis meus: si ergo nobis est
testis in Caelo, testis in corde, dimitte stultos foris loqui, quod volunt. Ma trattandosi di un tribunale
fornito di pubblica ed apostolica autorità, del quale la riputazione ed il credito più che al proprio
conferisce al comun bene e vantaggio, non può trascurarsene la necessaria difesa, e convien
purgarlo da quelle macchie, che vi spargono sopra coll'innata loro malvagità i libertini ed increduli.
E Dio volesse che la brava penna del buon Conte Muzzarelli, che l'ha così valorosamente difeso in
varj punti, l'avesse fatto in tutto con ugual forza; chè avrebbe risparmiato a me la pena di fare, a voi
quella di leggere la mia forse troppo prolissa apologia. Ma pur troppo in questo punto non è sempre
stato eguale a se stesso; e dopo d'aver descritto il nostro tribunale nel suo vero aspetto, e d'averlo
mostrato coerente allo spirito del vangelo e non mai disgiunto dalla società de' Fedeli, neppur
quando occupata questa a stendere ampiamente le profonde radici nell'umiltà e pazienza
abbandonava il carico di difenderla colle corporali coazioni alla provvidenza straordinaria della
(747)
Hist. Lit. Script. Eccles. tom. 2. saec. 13. inscript. scholast. pag. 276.
(748)
Dissert. de Relig. Ab Imp. J. G. libera tom. 1. Oper.
(749)
Epist. 2.
(750)
lib. 8. epist. 45.
188
divina onnipotenza, pianta poi un decreto e si abbandona ad una sospension di giudizio che mal
corrisponde a queste premesse. Il decreto è questo: il tribunale del S. Officio non è sempre utile, ed
il vantaggio che arreca è proporzionato ai tempi, ai popoli ed alle circostanze. La sospensione si
aggira intorno alle sue imperfezioni ed abusi, ed anche intorno al dubbio che move se convenga o
no che sia del tutto soppresso, e pensa che non possa nè degli abusi nè dell'opportunità della
soppressione giudicare che la suprema autorità della Chiesa
(751)
. Ma qui è specialmente dov'egli mi
fa desiderare la solita esattezza della sua logica. Imperciocchè o parla egli del diritto di castigare gli
Eretici; e questo, che il P. Bianchi chiama Inquisizione ordinaria, essendo stato conferito da Gesù
Cristo a sostegno e presidio del suo governo esteriore, come può dirsi in qualunque [316] modo
inutile o soggetto alle vicende delle circostanze, de' luoghi e de' tempi? o parla dell'uso di questo
diritto medesimo; e dopo d'aver mostrato che in una o in altra maniera non è mai mancato nella
Chiesa di Dio, e che l'ha esercitato sin dai primi suoi giorni, qual circostanza può sorgere dopo il
lungo giro di tanti secoli così stravagante e nuova che ne impedisca affatto ogni esercizio, e renda
così pernicioso il servirsene in qualunque modo che lo renda del tutto inoperoso ed inerte? Lo sia
pure in qualche caso particolare e in tutti quelli che vi ho accennati nella decima mia lettera: ma chi
può credere che possa divenir tale in ogni luogo e preso nel suo generale concetto di coazione
esteriore, se non è mai mancata nella Chiesa di Dio, e Dio stesso non ha lasciato di supplire nelle
maggiori indigenze alle sue forze ordinarie con ajuti straordinarj in quei tempi, in que' luoghi ed in
quelle circostanze medesime, nelle quali non le era permesso di esercitare un tal diritto? Dirà forse
il Sig. Conte che parla di quella forma di giudicare e castigare gli Eretici, che stabilita da Innocenzo
III. ebbe poi da Paolo III. il suo compimento, e sussiste tuttora in varie parti del mondo cattolico.
Ma come poi parlando di questa concertata con tant'avvedutezza da uomini sì grandi, munita di sì
provvidi stabilimenti e sì bene equilibrata e connessa colla pietra fondamentale del celeste edificio,
ha potuto nel ricercare se sussistano o no gli eccessivi abusi che ad essa vengono attribuiti, e se
siano universali e comuni, come ha potuto, dico, sospendere un sol momento il giudizio, e col
pretesto di non esserne abbastanza informato lasciare altrui il carico di giudicarne? come ha potuto
mettere in dubbio se sia o no conveniente il sopprimerlo, e levare a chiunque non è fornito di
pubblica autorità l'abilità di deciderlo? In questa condotta e perplessità, che non può aver luogo
neppure nella mente di un rozzo privato che sia sufficientemente informato del suo presente
sistema, e molto meno in lui che mostra d'aver sì bene investigate le cose e maturato a dovere
quanto al tribunale appartiene, io non trovo quella logica e criterio che ammiro in tant'altri suoi
bellissimi opuscoli. Non è giunta a tanto neppur la logica del disgraziato commentatore della Bolla
di Paolo III., che pago d'aver pretesa una qualche accidental mutazione d'alcuni soggetti non lascia
di scoprirne nel resto la necessità e vantaggio. Furono ben diverse da quelle del Muzzarelli le
speranze che concepirono [317] del nostro tribunale e Paolo III., che nel sistemarlo non altro ebbe a
cuore che di ingrandire uno de' maggiori sostegni della cattolica Religione, e Pio V., che tanta
premura mostrò per metterlo in maggiore attività e vigore, e Paolo. V. finalmente, il quale, al dire di
Leonardo Vellio
(752)
, solitus erat sanctissimae Inquisitionis ministris tantum tribuere, ut diceret,
illorum opera pontificiam sibi thiaram adsciri. E non si sarebbono mai immaginato che al sorgere
tanti nemici per combattere un parto sì illustre della loro mente si dovesse trovare un'uomo dotto e
ben intenzionato, il quale decidesse che non fossero per riuscire sempre utili provvidenze tanto
giuste, e lasciasse in dubbio se fosse o no conveniente che restassero soppresse. Sappiate però che
non ha gran seguaci tra i giusti estimatori delle cose sentimento così stravagante: nè voi lo potete
adottare dopo che avete sottocchio il giusto prospetto del tribunale medesimo, che maestoso sussiste
in ogni sua parte anche presentemente.
Nè vi deve far meraviglia la decadenza ed inazione, in cui lo vedete ora ridotto in qualche
luogo; chè da tutt'altro principio ella nasce che da alterazione di sistema e da vizio de' suoi
Presidenti e ministri. Il sistema è lo stesso, e sono d'uguale zelo e perfezione adorni i suoi
amministratori. Il mondo non è lo stesso; e questo non per colpa del tribunale, ma di chi ha preso a
(751)
il Buon'uso della Logica opusc. 13. tom. 3.
(752)
nell'approvazioni del libro del Carena de Officio S. Inquisit.
189
combatterlo: ond'è che l'obbrobrio ritorna sopra gli stessi oppositori, ed egli merita tanto maggior
venerazione e rispetto quanto è stato maggiore in costoro l'impegno di renderlo meno vantaggioso.
È divenuto meno forte e meno esteso di prima; ma nulla ha perduto di quella maestà e decoro,
ch'ebbe sin dal suo nascere presso tutti i buoni Fedeli, e crebbe poi e si dilatò nella sua riforma a
quel segno, che vi ho indicato poc'anzi, di cui non può idearsi cosa più ben concertata e magnifica.
Conservatene voi quella stima che merita, e credetemi immutabilmente
190
[318]
LETTERA VENTESIMASETTIMA.
Epoca e motivi della decadenza del tribunale del S. Officio.
a struttura ammirabile e la giudiziosa moderna economia, alla quale, come vi ho descritto
nell'altra mia, è stato ridotto il tribunal della Fede, vi ha mosso a sdegno contro chiunque lo
maltratta e strapazza villanamente; ma più dello sdegno ancora ha destata in Voi la curiosità di
sapere per qual cagione è stato soppresso in tanti luoghi un tribunale sì utile e sì ben sistemato, e
perchè si maltratta tutt'ora da alcuni e non sussiste dovunque domina la cattolica Religione. Io non
posso negarvi il fatto, tanto più deplorabile quanto più vero: e sono troppo recenti le perdite, ed a
noi troppo luttuose e sensibili per non ricordarsene
(753)
. Esso è decaduto pur troppo: e dopo avere
gloriosamente esistito in tante parti del mondo cattolico, sussiste oggi appena nella cattolica
monarchia delle Spagne
(754)
, nel regno fedelissimo di Portogallo
(755)
, ne' felicissimi Stati del Re di
Sardegna
(756)
, in quelli felici egualmente delle due gloriose Repubbliche di Venezia
(757)
e di
Genova
(758)
, in quelli di Parma e di Malta
(759)
e nello Stato pontificio
(760)
: e Dio volesse che in
qualche luogo dove sussiste ancora non trovasse qualche inazione e languore non mai esperimentato
in addietro. E giacchè voi desiderate sapere di tanta decadenza e di tante perdite la funesta cagione,
vi dico in primo luogo, che la cerchereste invano in qualche sua intrinseca imperfezione e demerito.
Esso è quale v'è lo poc'anzi descritto, e non lascia, dovunque è protetto, di produrre que' sommi
vantaggi, che ha prodotti in addietro: e o non sono di gran lunga anteriori, o appartengono al secolo,
in cui viviamo, i Quietisti estinti nel loro nascere in Toscana, le imposture dei Calà scoperte in
Napoli, i Giansenisti avviliti in Sicilia, i Beccarelli in Brescia, i Borri in Milano, i Crudeli in
Firenze, i Pinzi e Valzania in Ravenna, e tant'altri superstiziosi, bestemmiatori ed increduli in varj
altri paesi: e se tutte le cause, che sono state fatte, e tutte le malvagità, che si sono impedite da lui
dove esisteva ed anche altrove dove ha potuto influire colle caritatevoli sue insinuazioni, fossero
state tanto strepitose e palesi, come le accennate, oh la gran turba di bestemmiatori, di sortilegi, di
violatori de' sagri misteri e d'ogni genere [319] d'increduli e di sediziosi, che vi dovrei io schierare
sott'occhio, e tutti li vedreste da sì utile tribunale emendati, avviliti ed estinti! Roma stessa, che, non
ha molto, superò sola la sfacciata baldanza di Cagliostro, cui non avevano saputo resistere l'arte e la
forza de' più potenti governi, e scoprì le maliziose trame di Capelli, che spinta aveva la seduzione
coi più insidiosi strattagemmi oltre le più rimote contrade del Settentrione, e le insidie manifestò del
Brandanno, che tanto aveva abusato de' sagri misteri, e tante persone aveva ingannato a sfogo delle
più vili passioni, bastar potrebbe a dimostrar chiaramente, che dove il tribunale può agire con libertà
non è a quello di prima dissimile, e che anche ai dì nostri è capace di produrre gli utili effetti, che ha
prodotti sul nascere e crescere, a danno dell'eresia ed a vantaggio della cattolica Religione. E avesse
(753)
Sull'argomento: Andrea Del Col, Le strutture territoriali e l'attività dell'Inquisizione Romana in L'Inquisizione. Atti
del Simposio internazionale, Città del Vaticano 29-31 ottobre 1998, Edizioni Biblioteca Apostolica Vaticana, 2003. (N.
d. R.)
(754)
Soppressa da Napoleone nel 1808, l'Inquisizione venne ristabilita in Spagna nel 1814 per essere soppressa di nuovo
nel 1820. Nuovamente ripristinata, fu definitivamente abolita nel 1834. (N. d. R.)
(755)
Soppressa come in Spagna nel 1808 e successivamente ripristinata, venne abolita nel 1822. (N. d. R.)
(756)
Il Tribunale venne abolito il 28 gennaio 1799. (N. d. R.)
(757)
Il Tribunale cessò la propria attività nel 1794 e venne soppresso tacitamente con la caduta della Repubblica. (N. d.
R.)
(758)
Ormai agonizzante da anni, come per Venezia, il Tribunale scomparve definitivamente con la caduta della
Repubblica. (N. d. R.)
(759)
Il tribunale cessò la sua esistenza nel 1798. (N. d. R.)
(760)
La Congregazione modificò il proprio nome solo nel 1908, mentre l'ultimo Index Librorum Prohibitorum venne
pubblicato nel 1949. (N. d. R.)
L
191
pure voluto Iddio che al sorgere in Francia degli Enciclopedisti e dei Volteriani si fossero trovati in
Parigi, ed altrove quei bravi Inquisitori, che distrussero un tempo i Gioachinisti e Lulisti in Aragona
ed in Catalogna, i Manichei ed i Pseudapostoli in Italia, i Valdesj e Fraticelli in Germania ed in
Francia, i Monarcomachi e gli Ugonotti in Parigi, gl'Iconoclasti in Bologna, i Molinosisti in Roma,
gli Evangelici in Ferrara e Faenza, i Beghini e Templarj nel regno di Napoli ed i Patareni in Sicilia!
chè non saremmo costretti a piangere adesso la desolazione di un regno sì grande, il disturbo di tutti
gli altri e la ruina totale in tanta parte del mondo della cattolica Religione. Ma pur troppo esso è
decaduto non dall'innata sua perfezione e vigore, come già dissi, ma dalla sua estensione, attività ed
ampiezza: ed io altra rimota cagione non trovo del suo decadimento che la stessa, sua perfezione e
bellezza, che esposta all'impeto e furore degli empj persecutori implacabili d'ogni buon'ordine, se
non ha potuto soccombere affatto, è restata però di molto debilitata ed offesa, la sorte appunto
seguendo delle cose più sublimi e perfette, che al dir del Poeta
(761)
:
Soepius ventis agitatur ingens
Pinus, & celsae graviore casu
Decidunt turres, feriuntque summos
Fulmina montes
[320] e non altra cagione immediata e vicina che la malvagità de' meno rimoti suoi persecutori.
Era all'innoltrarsi del secolo decimosesto nel più florido stato che mai; e corretti dal Sinodo
Viennense alcuni difetti, che si erano introdotti in qualche parte, o che erano stati commessi da
qualche Inquisitore, e dileguate dal Costanziense e dal Basileense quelle dense nubi, che ad
oscurarne le glorie avevano procurato d'inalzare i Wiclefisti ed Hussiti, godeva sotto la protezione
de' sovrani fedeli in ogni parte d'Europa una tranquillissima pace. Anzi ricercato avidamente dai
sovrani di Portogallo, aveva circa quei tempi accresciuta la sua estensione e vigore: ond'ebbe a dire
il Salelles
(762)
, e lo disse con tutta ragione, che negotium Inquisitionis ingens incrementum &
magnum valde progressum per spatium ducentorum annorum & amplius accipere in dies, manifeste
apparebat. Ma in quest'auge maggiore del suo esaltamento appunto, e quando riusciva più
vantaggioso, allora fu che per gli eterni giudizj di Dio sorse a turbare sì bella pace la luterana
perfidia, che da furie infernali agitata più d'ogni altra setta s'accinse a devastare il sagro ovile, e per
riuscire ne' suoi perversi disegni prese a rovesciare i più sodi ripari, che lo difendevano, e furibonda
lanciossi contro la S. Sede, che è base fondamentale del sagro edificio, contro gli Ordini Regolari,
che ne formano l'antemurale, e contro il tribunale del S. Officio, che n'è la rocca e presidio più forte.
Non una è stata la strada, che guidati dal loro mal talento hanno preso a battere costoro per ottenere
l'intento; ed emoli de' loro predecessori del XIII. e XIV. secolo non solo hanno usata la forza
dovunque spalleggiati da mal'avveduti sovrani o dal numero de' loro aderenti e proseliti hanno
creduto di poter prevalere, ma anche le insidie e le frodi, lusingandosi di poter riuscire anche meglio
per questa via e con minor danno e pericolo della loro causa: e per questa strada appunto hanno
superato di gran lunga tutti i loro maggiori, e vi si sono abbandonati con tale insistenza e pertinacia,
che se hanno potuto con quella sbandire in un colpo in varie provincie della Germania, nella Svezia,
nell'Inghilterra e nell'Elvezia la Fede cattolica e quanto era stato stabilito in quei paesi infelici a
[321] suo sostentamento e rinforzo; con questa più lentamente bensì ma con non minore fortuna è
riuscito loro di pregiudicarla anche ne' paesi cattolici, e con far credere il tribunale del S. Officio ora
troppo barbaro e crudele, ora troppo prepotente ed ingordo, dove infesto alla maestà del sovrano,
dove nocivo alla quiete e libertà de' cittadini, quando odioso ai Vescovi, quando troppo favorevole
al Papa, e quando inutile affatto, è riuscito loro finalmente di privarla di sì utile stabilimento e
presidio in tante cattoliche società quanti sono i paesi ancor cattolici ne' quali è sussistito una volta e
manca presentemente. E siccome fin dal suo nascere fece grandi progressi nella Germania e nella
Francia la mal'augurata Riforma, così nella Germania appunto e nella Francia decadde prima che in
altri luoghi il tribunal della Fede: e se ha potuto sussistere appena nelle allora meno pregiudicate
città di Tolosa, Colonia e di Besanzone, non ha potuto però neppure in questi luoghi meno infelici
(761)
Horat. lib. 2. od. io.
(762)
de mater. tribun. S. Inquisit. proleg. 4.
192
conservare quella forza, libertà e vigore che prima aveva. Furono le calunnie più acute delle loro
spade e così gravi ed atroci, che rimarginate ancora le piaghe lasciarono sì deformi le cicatrici che
contribuirono anch'esse a ruinarlo, ed avvenne appunto ciò che della calunnia lasciò scritto Erasmo
dicendo, che quo foedius est crimen, hoc tenacius haeret apud multos criminis suspicio, vel in
innocentissimum
(763)
. Sin dal loro nascere, come v'ho detto, pubblicarono anonimo i Protestanti il
libro intitolato Trattato dell'arti e modo d'inquirere contro gli Eretici, ridondante di menzogne e
calunnie; e con finte date, direzioni ed approvazioni ne moltiplicarono le edizioni per modo, che
giunger potesse alle mani di tutti. Si sparla in questo libro di tutti gli Ordini ecclesiastici; ma è preso
di mira in modo speciale il tribunale del S. Officio: e tante si spargono contro di lui infamità e
calunnie, tante si vibrano maldicenze e strapazzi, che non può non iscemare di molto l'antica stima e
rispetto chiunque s'azarda a leggerlo o poco versato nell'ecclesiastica storia, o poco informato della
sua natura e sistema. A questi preludj annunziatori della più orrida tempesta sono succeduti i
fulmini di tant'altre esecrabili produzioni d'autori Protestanti e non Protestanti, delle quali vi ho dato
un succinto dettaglio nella prima mia lettera; e tutti l'hanno perseguitato [322] con impeto e
pertinacia incredibile niente frenati nè da quella suprema autorità, che lo regge e sostiene, nè da
quella mirabile perfezione, che acquistò dopo la descritta riforma: e quest'è il turbine cui è riuscito
di scuoterlo sino dai fondamenti, questo il verme insidioso che l'ha corroso e svelto sino dalle più
profonde radici anche dove aveva trovato il terreno più fertile ed il clima più benigno e propizio.
Hanno imitato costoro nel combattere il tribunale della Fede il contegno tenuto dagli idolatri
per combattere i Fedeli di Gesù Cristo. Non trovavano i Gentili ne' primi fervorosi Cristiani che
criticare: avvidi però della loro distruzione al partito si appigliarono di calunniarli; e fingendo, al
dire di Tertulliano nell'Apologetico, ch'essi adorassero un Dio ridicolo, che rappresentavano vestito
di regio paludamento, ed avente un capo d'asino, un libro in mano ed i piedi di bestia, sotto de' quali
era scritto in lamina d'oro Deus Christianorum Ononychites, prendevano quindi il pretesto di
giustificare quanta crudeltà e violenza macchinavano contro di loro. Così i moderni settarj col
tribunale della Fede, che nulla aveva in se stesso di riprensibile. Se lo sono figurato a modo loro: e
l'hanno rappresentato involto fra tante imperfezioni e difetti, che nulla più mostrava di
quell'eccellenza, che acquista dal fine santissimo cui è diretto, dalle savie leggi, che lo diriggono, e
dai personaggi illustri, che lo hanno eretto, perfezionato e protetto. Sono state sciocchezze le loro
invenzioni da movere a riso chiunque è bene informato delle sue qualità, come moveva a riso, al
dire di Tertulliano, quella bugiarda statua, che i Gentili avevano eretta per rappresentare il Dio de'
Cristiani; Vidimus in foro, & risimus & formam & nomen; ma sono state sciocchezze che non hanno
lasciato di destar gelosia e disprezzo in moltissimi meno pregiudicati e cattivi, i quali non bene
informati e delle loro frodi e della perfezione del tribunale si sono lasciati persuadere di fare una
cosa pia opponendosi, ed hanno preso a combatterlo con quella vana fiducia di prestare ossequio
alla verità e giustizia, colla quale S. Paolo, non ancor convertito nè ben'informato della verità e
misteri della cattolica Religione, per zelum legis legem impugnabat, & in Deum Dei amore
peccabat, come riflette il Grisologo
(764)
. [323]
Non è già che sia stata la S. Sede o poco perspicace nello scoprire le insidie di così barbari
persecutori, o meno pronta a resistere. Le vide ella al primo spuntare dall'infelice Settentrione, e vi
si oppose con quelle solenni condanne de' libri peggiori, che vi ho indicate nella seconda mia
lettera, e coll'eroiche impugnazioni de' suoi più eccellenti scrittori e colla stessa sua legislativa e
giudiciale autorità; e le pessime produzioni dei primi settarj furono tosto registrate nell'indice dei
libri, che sono stati proibiti colla maggiore solennità e rigore, e sono state confutate da molti autori
cattolici e specialmente dalla felice penna d'Alfonso di Castro, che col suo bel libro della punizione
degli Eretici tutte le screditò e distrusse. Quelle che vennero in seguito furono con ugual forza
abbattute e dall'Albici impugnator valoroso di Fr. Paolo e dal Suarez sostenitore invitto contro
Enrico VIII, dell'ecclesiastica podestà e dal Gotti trionfatore di Giacomo Picenino e dal Bianchi
espugnator di Giannone e da cent'altri gloriosi apologisti de' riti e costumi della Chiesa cattolica: e
(763)
Apophthegm. lib. 8. num. 27.
(764)
Serm. 37.
193
S. Pio V. dopo tant'altri zelantissimi suoi predecessori fu sì premuroso della difesa del tribunale, che
giunse a fissare la pena di morte contro chiunque avesse o impedita la sua attività o maltrattato il
tribunale medesimo o qualcheduno de' suoi officiali; e non pochi per questo motivo sono stati in
seguito e chiusi in carcere e flagellati e banditi. Ma tutto è riuscito sproporzionato al bisogno: che
per quanto sia grande l'attività di chi procura di screditare la maldicenza e calunnia, non ha mai il
suo compito effetto, se chi le promove è così ostinato ed insistente che anche smentite le riproduce,
anche scoperte nel loro truce aspetto le ricopre di nuovi abbigliamenti e divise, e le sparge con
tant'avvedutezza, le dipinge a sì vivi colori e le ripete sì spesso che la frode resta nascosta anche ai
più perspicaci, resta meno ributtante il loro aspetto anche ai più circospetti, e s'insinuano e si
dilatano per modo che sempre qualche cosa vi rimane e giunge a fare molta impressione anche negli
animi de' meno istruiti e meno colti.
Sono queste, amico carissimo, le maniere usate dai Protestanti e dai loro aderenti per ruinare il
tribunal della Fede, e questa è, torno a ripeterlo, la prossima ed immediata cagione che lo ha ridotto
a quella decadenza ed angustia, in cui lo vediamo languire presentemente: ed il non poter trovare
ora chi ne sia abbastanza informato, il non trovare ormai anche nei libri meno cattivi chi non abbia
che riprendere in lui e si opponga [324] a piè fermo alle tante imposture che va tuttora spargendo a
suo danno l'immensa turba de' Protestanti, de' Giansenisti e degl'increduli, che infuriano più che mai
a' dì nostri per ogni dove, n'è un'autentica prova. Siccome però l'avere l'ereticale perfidia con pari
ostinazione distrutta la Fede di Gesù Cristo in tante parti del mondo non può servire di verun
fondamento onde arguirne la falsità; così non può essere indizio di qualche difetto del tribunale la
presente sua ristrettezza e decadenza. Dalle ragioni e motivi piuttosto, che dalle disgrazie e dalle
persecuzioni è da calcolarsi, come insegna Sant'Agostino
(765)
, la condizione e natura di chi le soffre;
eorum, qui aliquam molestiam patiuntur, non poenas considerare oportet, sed causas: e se delle
disgrazie del sagro tribunale furono cagione gli Eretici, e se non altro motivo ebbero costoro di
maltrattarlo che la sua perfezione e l'odio implacabile che nutrono contro la cattolica Religione, e se
non hanno potuto ottenere il loro intento per altri mezzi che colla violenza, colla frode e calunnia;
chi non vede che la depressione ridonda in sua lode, e le cagioni sono tanto più detestabili quanto
sono state più fortunate nel conseguimento del loro fine perverso? Nè vi faccia specie o la singolare
premura, e l'impegno straordinario, che hanno sempre mostrato gli Eretici di maltrattarlo, o la
cattiva impressione che è riuscito loro di cagionare in certe parti del mondo cattolico, che non
avevano ancora abbandonata la Fede, nè aderito ai loro errori. Quella è coerente al disegno che
avevano di rovesciar tutto ciò che poteva opporsi alle loro mire ed al furore che sempre maggiore
destavasi nel loro cuore inumano dalle tante sconfitte che dal tribunale riportavano in mille luoghi:
che non può, come avverte S. Agostino
(766)
, il malvagio lodare il giudice che lo condanna; Quomodo
potest malus litigator laudare judices, quibus judicantibus victus est? L'altra non è che
un'argomento della debolezza umana, che non sa reggere all'urto di una seduzione troppo veemente
e continua. Non v'era nel tribunale cosa di gran rimarco da riprendere giustamente; ma non lasciava
per questo d'essere soggetto a quelle vicende, alle quali l'umane cose soggiacciono: e que' difetti,
che ad esso venivano attribuiti, o non veri o esagerati oltre ogni credere, hanno potuto sembrare e
verisimili e gravi presso coloro, che o [325] non li ascoltavano con molta riflessione, o non si
occupavano molto per iscandagliarli a minuto. Negli oppositori sono stati effetti di rabbia e livore le
ingiurie e strapazzi del tribunale; è stata negli altri effetto di pura sorpresa la cattiva impressione
ch'hanno ricevuta ne' loro cuori, donde è poi seguita la sua decadenza e ruina. Ed io credo che sia da
valutarsi più dalla persecuzion degli Eretici la sua importanza che dalla decadenza il suo demerito.
E voi ben lungi dal prenderlo in urta per questa dovete prender motivo di apprezzarlo anche di più,
e come si suol fare con quelli ch'hanno perduta la vita nella più coraggiosa difesa della patria, anche
tra le disgrazie, che il santo tribunale ha incontrate per aver sostenuta la Fede di Gesù Cristo, non
dovete lasciar di stimarlo moltissimo: nè dovreste cessare dal raccontar le sue glorie quand'anche
accadesse che fosse soppresso del tutto. Questo per verità non può avvenire se si parla di quella
(765)
lib. 4. c. 46. cont. Cresc.
(766)
Ep. 105. al. 166. ad Donatum.
194
podestà che ha la Chiesa di opporsi ai suoi nemici e di frenare ogni disubbidienza de' traviati suoi
figli; chè in questa parte non è possibile che manchi, e le porte d'Averno non prevaleranno contro di
lei. Trattandosi però del metodo, al quale l'hanno ridotto le provvide cure de' Romani Pontefici e in
Spagna e altrove, e lo rende tanto più odioso ai malvagi quanto più vantaggioso alla cattolica
Religione, come ha avuto il suo incominciamento dopo dodici secoli, così non v'è ripugnanza che
cessi d'essere in qualunque tempo: e diverrebbe allora compito il trionfo de' miscredenti; ma la sua
ruina altro non sarebbe che un'infame parto della loro empietà, come lo è la decadenza presente, e
non mai effetto di qualche suo notabile mancamento e demerito. Niun difetto sostanziale ha mai
difformato il suo ammirabile sistema. Niun vizio notabile è mai stato tollerato ne' suoi
amministratori: e si è mostrato mai sempre di quelle doti e prerogative fornito, che sarebbono state
valevoli ad eternarne la sussistenza in ogni luogo, se a minori insidie fosse esposta tra noi la
perfezione e virtù, e meno proclive al disordine il cuore umano. Una più seria meditazione sui
funestissimi avvenimenti, che descrivono le storie dei due ultimi secoli, vi persuaderà sempre più di
questa gran verità, della quale non mancherò in appresso di darvi prove e schiarimenti maggiori: e
pago d'avervela accennata in succinto, a scanso d'inutili ripetizioni finisco per ora, e mi dichiaro
qual sono
195
LETTERA VENTESIMOTTAVA.
Confini e regole da prescriversi ai dubbj concernenti le
pretese imperfezioni e difetti del santo tribunale.
uesta è la prima volta che mi trovate men pronto nella soluzione del vostro quesito. Non è già
che sia scemata in me la volontà di servirvi; ma il quesito stesso porta seco colla sua
indeterminazione ed ampiezza molto imbarazzo. Voi volete che io purghi il tribunale da tutte quelle
imperfezioni e difetti, che vengono a lui attribuiti ingiustamente: e ne avete ragione; chè non è da
soffrirsi uno strapazzo sì grande che si fa da tanto tempo di così rispettabile tribunale, ed io ben mi
ricordo d'essermi esibito a farlo ad ogni vostra richiesta. Ma proposta la dimanda così in generale
imbarazza per modo, che non saprei nè da qual difetto incominciare, nè in qual'altro dovessi por
fine. Già udiste dalla passata mia lettera quanto malizioso ed astuta si è dimostrata l'ereticale
perfidia per iscreditarlo e deprimerlo: udiste che per nostra maggiore disavventura si sono uniti a
costoro non pochi cattolici, i quali o mal sofferenti di quel freno che poneva al loro spirito di novità
un tribunale così salutare, o invidiosi di quel decoro, che conciliava presso i buoni a tutti coloro che
impiegavano la loro opera in sostenerlo e diriggerlo privativamente, o troppo male informati non si
sono vergognati di dar corpo all'ombre, e non solo hanno ripetuto talvolta le calunnie di crudeltà,
d'ingordigia, di disordine e di cent'altre imperfezioni replicate sì spesso dai miscredenti, ma sono
andati in traccia di qualch'altra, ch'era sfuggita all'acuto loro sguardo, e ne hanno accresciuta d'assai
la malvagità e la mole se aveva qualche apparenza e colore, o l'hanno inventata affatto se non
sussisteva in alcun modo.
In tanta copia d'argomenti e quesiti e in tanta varietà d'impegni e contrasti voi ben vedete
quanto sia giusto il motivo che ho d'arrestarmi alla nuova ricerca che mi avete fatta in generale, e
quanto a ragione io sia per pregarvi a voler procedere nell'ulteriori vostre dimande con maggior
precisione e riserva, ed a voler mettere un qualche limite al vostri dubbj: e perchè temo che sorpreso
da, quest'inaspettata risposta [327]
voi per timore di soverchio incomodo siate per prescrivervi
confini troppo ristretti; così per lasciarvi il campo libero a tutte quelle ricerche che vi possono
riuscire utili e necessarie, io stesso vi accennerò in questa quei soli, che senz'escludere le necessarie
bastano a limitare, per modo le vostre interrogazioni, che non vengano eccettuate che le
indeterminate e superflue.
Il primo limite che può essere prescritto alle vostre ricerche è da prendersi dal nuovo stato più
esatto e metodico, che ha acquistato il tribunale del S. Officio dopo l'accennata riforma e
nell'attività e prontezza e nelle connessioni ed ajuti; le quali cose avendo posto riparo a tutto ciò che
poteva esservi da prima di sconcertato e scorretto, pare a me che abbia dispensato anche noi dal
carico di farne una più diligente e curiosa disamina.
Chè prima di Paolo III. avesse il tribunale del S.
Officio qualche imperfezione, io l'ho confessato altrove, e non è d'uopo che vel ripeta: e se ne fosse
quindi provenuto talvolta qualche sconcerto, come maligna cosa sarebbe il volerlo oggi rinfacciare a
suo disdoro, così sarebbe troppo malagevole ed inutile impresa l'internarsi fra quelle caligini per
separare il vero dal falso ed il calunnioso dal sussistente e veridico. Che importa difendere adesso
una maniera di giudicare e procedere che più non sussiste, ed alla quale se qualche difetto si può
attribuire che sia vero difetto e non nasca, come succede per lo più, da impostura e sofisticheria, più
che colpa del tribunale e de' suoi ministri è da credersi conseguenza della cosa stessa, che nata da
provvidenza umana non poteva avere nel suo incominciamento ogni possibile perfezione? Dalla
sola intrapresa meritan lode le cose ben fatte, al dire di Cicerone, non dalla perfezione, che
acquistano dipoi: Ea, quae proficiscuntur a virtute, susceptione prima, non perfectione sunt
Q
196
judicanda
(767)
. E molto più goder deve di un tal privilegio il nostro tribunale, che nato da uomini
sommi in santità e dottrina, se non tutta, gran parte almeno spiegò fin dal suo nascere di quella
perfezione, ch'ebbe poi compitissima dopo qualche secolo da uomini santi e dotti egualmente.
Un'altro limite non meno interessante che ragionevole lo può somministrare ai vostri dubbj ed
alle mie fatiche l'opportuna distinzione, che vi piaccia di fare, tra il tribunale stesso [328] e le
particolari persone che lo hanno amministrato ne' varj tempi di sua felicissima sussistenza. Non è
già ch'io diffidi d'incontrare fra queste uomini sommi, che riuscir debbano al medesimo di singolare
ornamento: chè anzi questi sono che a più larga mano diffondono in lui gli splendori della più rara
onorificenza: ma sono cose assai diverse l'officio e chi vi presiede; nè si può a ragione pretendere
che le buone qualità d'alcuni ministri formino tutto il ben'essere del loro impiego, e le cattive lo
rendano difettoso e spregevole. Non v'è nel mondo carica così luminosa che non abbia avuti talvolta
pessimi amministratori, nè impiego così meschino che non sia stato sostenuto talvolta da persone
morigerate e prudenti. So la poca soddisfazione che mostrarono d'alcuni Inquisitori Gioanni
XXII.
(768)
, Benedetto XI.
(769)
e Clemente V.
(770)
; ma so altresì che avveduti com'erano questi ed altri
Pontefici fecero la dovuta distinzione tra i correggibili e gl'incorreggibili, i gravi e leggieri
mancamenti, e tra le persone e l'officio; e mal contenti com'erano del servizio di chi l'amministrava
malamente non lasciarono per questo di proteggere il loro santissimo tribunale e di arricchirlo di
nuove grazie e favori. Conferì il primo alla loro autorità maggiore estensione
(771)
: il terzo dopo
d'essersi servito con gran vantaggio dell'opera loro in varj malagevoli incontri procurò nel Concilio
Viennense di rassodarne vie meglio l'impiego e renderne la pratica più vantaggiosa
(772)
, ed il
secondo pago d'avere con paterne ammonizioni procurata l'emenda de' difettosi ministri, non cessò
mai di proteggere e favorire l'impiego. Così avrebbero dovuto fare secondo le loro forze e potere i
nostri contraddittori per procedere con quella sincerità, che ad onest'uomo conviene, e fu in tant'altri
sì commendevole. Per coprire i difetti di pochi avrebbero trovati meriti e perfezioni più che
abbondanti in S. Domenico, in S. Pietro martire, in S. Pietro d'Arbues, in S. Gioanni da Capistrano,
in S. Pio, nel B. Bartolomeo da Vicenza, nel B. Gioanni di Salerno, negli otto martiri Tolosani,
[329] ne' beati Gualla e Corrado, nell'Eimerico, in Diego Deca, in Vincenzo Bandelli, in Silvestro
Mazzolini, in Leandro Alberti, nel Campeggi, nel Galamini, nel Mazza, nel de Orestis, nel
Maccarinelli ed in cent'altri uomini sommi e per dottrina sì rinomati, che chiaro tuttora risuona il
loro nome nella letteraria repubblica, e per probità tanto eccellenti, che o sono già stati in gran parte
sollevati agli onor degli altari, o ne sono riputati da chi li ha avuti in pratica non immeritevoli. Ma
avevano costoro ben'altre mire da quelle de' Romani Pontefici; ed erano regolati da ben altri principj
che da quelli dell'onestà. Per arrivare al pessimo loro intento di screditare il nostro tribunale hanno
raccolti con somma diligenza tutti i difetti de' meno dotti e meno morigerati, e con soprafina malizia
li hanno esagerati e trasportati dalle persone alla carica, senz'accennare neppur di volo la perfezione
ed il merito d'infiniti altri, dai quali ritrar poteva non piccol lustro e splendore. Noi lasciamo che
questi immondi animali si ravvolgano nel lezzo delle loro immondezze; e sicuri che i difetti
dell'amministratore non possono pregiudicare alla carica, contentiamoci di difender questa dalle
ingiuriose opposizioni, che la combattono direttamente, e tentano di offuscarla nel più bello
splendore del suo regolamento e sistema.
La restrizione però de' vostri dubbj che più m'interessa, e di cui vi prego con premura
maggiore, si è che non li lasciate mai trascorrere a fatti e cause particolari, nelle quali si spaccia con
somma franchezza dai nostri contraddittori che il S. Officio abbia talvolta sbagliato. Chi può
negarlo generalmente, che sappia da Demostene che omnia praeclare gerere, et successibus uti
(767)
3. de finib. 32.
(768)
Extravag. cap. 3. de Haeret.
(769)
Reg. Epist. 439. presso il Marini degli Archiatr. t. 1. p. 31.
(770)
Clementin. 1. de Haeret.
(771)
Const. Cum nonnulli ad calc. Direct. Eymeric. pag. 63. edit. Rom. 1587.
(772)
Const. Pastoralis ibid. pag. 56. & Clement. 1. de Haereticis.
197
perpetuis rerum, nec quicquam errare Deorum est
(773)
; e da S. Agostino che volentes nolentes
multum errant qui judicant
(774)
? Ma chi può quindi a ragione inferire che merita per questo
disapprovazione e disprezzo o il loro impiego o chi lo sostiene? Quando sarà riuscito ai nostri
contraddittori di ritrovare un tribunale puramente umano, che costretto a giudicare fra le caligini e
miserie che ci assediano per ogni dove in questa valle di pianto, il quale non abbia sbagliato
giammai, avranno qualche ragione di anteporlo al nostro, che ha avuto bisogno [330] di qualche
riforma per divenire meno soggetto ad errare: ma non riuscendo loro di ritrovarlo, ammirino
piuttosto in questo la molta cura e diligenza che usa per evitare i disordini, e cessino una volta di
andare in traccia con tanta sollecitudine di ogni suo mancamento per iscreditarlo. Anche S. Gioanni
Grisostomo ingannato dalle maligne deposizioni di bugiardi accusatori e testimonj, che erano
congiurati contro Severiano, e dalle bugiarde apparenze di esteriore pietà de' Monaci della Nitria,
già condannati come Origenisti da Teofilo Vescovo Alessandrino, sbagliò e nel condannare il
primo
(775)
e nell'accogliere con troppa benignità i secondi
(776)
: ma chi ardirà mai per questo di
mettere in dubbio o la santità del giudice o la necessità del tribunale vescovile, dal quale emanò il
bando a danno di Severiano? Non da fatti individui, che possono per mille accidentali combinazioni
riuscir male anche senza colpa d'alcuno; ma è da valutarsi l'integrità e perfezione di un tribunale
dalla giustizia delle sue leggi, dalla bontà delle persone che per lo più lo amministrano, e
dall'aggiustatezza e rettitudine delle regole e riti che osserva nel disimpegnare le sue incombenze.
Le quali cose essendo salite all'ultimo grado di perfezione nella felice riforma, ch'ebbe il tribunale
del S. Officio da Paolo III., Pio V., e Sisto V., per quanto fossero state e precipitose e frequenti le
anteriori cadute nate da tutt'altro principio che dalla cattiva sua costituzione, non ha da temere i
rimproveri di chicchessia, nè ha bisogno delle nostre apologie e discorsi per sostenersi.
Non è però questo il solo motivo che mi costringe a dover'escludere dal nostro carteggio i fatti
particolari, ed a pregar voi a dispensarmi da sì nojose ricerche. Più di questo mi move l'impotenza,
in cui mi trovo, di farlo colla dovuta esattezza. Voi ben sapete con quanta premura s'adopera il
tribunale per animare la speranza de' ricorrenti, e renderla persuasa che fuori dei casi
d'indispensabile necessità non saranno mai manifestati ad alcuno; e quanto sia geloso del segreto in
tutta la serie del suo procedere. Lo esige con tal rigore, che non solo costringe col sagro vincolo del
giuramento i denuncianti ed i testimoni a nulla ridire, fuori che ai rispettivi confessori, di ciò che
hanno detto o sentito in giudizio, ma assoggetta alle pene più [331] rigorose e severe tutti que'
ministri che ne fossero o con parole o con fatti violatori sagrilegi, e non vuole che possano essere
assoluti che dal Sommo Pontefice, ed al sorgere di qualunque dubbio vuole che sempre sia
interpretato a favore del segreto. Or posto ciò, com'è mai possibile ch'io giunga a scoprire quelle più
minute notizie, che servir potrebbono a giustificazione e schiarimento de' fatti particolari? Chi me
ne darà le opportune notizie? Chi l'adito mi aprirà per rintracciarle ne' suoi imperscrutabili archivj?
Quand'anche foss'io o fossi stato uno de' suoi ministri, non mi costringerebbe un preciso dovere di
Religione a tutto nascondere ne' segreti recinti del cuore, anche a costo di sentirmi travisata in mille
guise la verità più evidente e palmare? La sola facilità ch'hanno le vostre gazzette di spacciare con
somma franchezza ciò che non sanno, e di passar sopra tutti i cristiani doveri di Religione e di
onestà, e non avendo a che appoggiarsi di sussistente e reale, di finger ciò che torna loro meglio in
acconcio, potrebbe rendermi anche in questo spedito e facile il modo di obbedirvi: ma io non ho
questa intollerabile temerità, ed avendo preso l'impegno d'istruirvi con ogni religiosità e decenza
non posso io ingannarvi con favolosi racconti e maliziose imposture.
Non mancherebbero per verità pubblici documenti ed autentiche storie, che servir potrebbero a
schiarimento e difesa di alcuni casi particolari. Parla a lungo il Card. Albici dell'imposture sparse da
Fr. Paolo sulla condotta tenuta dal nostro tribunale nelle cause de' Visconti di Milano, degli
(773)
Orat. pro Corona.
(774)
Serm. de tempore 130.
(775)
Baron. ad ann. 401. num. 62. 63. & 64.
(776)
Natal. Alex. Hist. soec. 3. cap. 3. §. 3.
198
Estesi
(777)
di Ferrara, dei Malatesta e Manfredi di Rimino e di Faenza, degli Ordelaffi di Forlì: ed
anche il Conte Battaglini ne giustifica alcune nella sua bell'opera delle Monete e Sigilli de'
Malatesta. Giustificazioni consimili s'incontrano e nella Biblioteca dell'Echard e nel Bollano ed
Annali Domenicani relativamente alle ingiustizie attribuite all'Eimerico nel procedere contro
Raimondo Lullo, all'Ostrazio contro Reuclino, a Tetzelio e Prierate ed al Card. Gaetano contro
Lutero: ed io le credo più che bastanti a vostr'istruzione e disinganno; tanto più che se qualche
inesattezza, vi restasse non dissipata abbastanza, che per verità non vi resta, essendo queste cause
tutte anteriori all'indicata riforma cadono sotto la prima eccezione, nè devono interressare il
presente carteggio. Non si può dire lo stesso della causa del Galileo, che hanno sempre in bocca i
moderni oppositori, la quale sebbene nella sola singolare [332] moderazione e dolcezza si sia
scostata alquanto dal consueto metodo più comune, non è però anteriore all'indicata riforma. Ma
anche di questa hanno prese le opportune difese varj moderni scrittori, tra i quali il valoroso
Valsecchio
(778)
ed il Padre Maestro Soldati
(779)
: e vengo assicurato da buona parte che per quanto
siano stati nelle loro arringhe eccellenti, mancanti però delle più copiose notizie, che stanno
nascoste negl'impenetrabili scrigni del S. Officio, non hanno potuto agire che per metà la causa del
tribunale, nè tutta mostrare la prudenza, l'equità, la moderazione e clemenza usata da lui in
quest'incontro. A tutto librare sulle bilance del santuario, egli non si è mostrato d'altro sollecito
allora che di preservare dallo scandalo i buoni Fedeli e vendicare i suoi torti: ed è troppo indecente e
maligno l'abuso che fanno i nemici del tribunale del raro talento e sapere di sì grand'uomo per
rivolgerlo senza proposito a danno e discredito del tribunale. Non vi è tra noi chi non parli con
moderazione de' severi giudizj fulminati e dal Jurieu contro Cartesio e dai Teologi di Alla contro
varj filosofi e scrittori di primo rango; eppure non erano nè di talento inferiori al Galileo, nè meno
provveduti di cognizioni. E il solo talento e sapere del Galileo, che non è mai stato un sicuro
preservativo d'ogni errore, sarà bastevole a giustificare i clamori de' nostri avversarj, ed a screditare
un giudizio fatto da un tribunale così rispettabile, fatto con tanta moderazione e cautela, fatto a
riparo di uno scandalo grandissimo, che allora più che mai ricevevano i Fedeli dalle novità di
un'ingegno non poco equivoco in materia di Religione, fatto a difesa della sua stessa autorità, ch'era
stata disprezzata da lui con sommo ardire, e fatto finalmente a disapprovazione di un sentimento,
che non ancor dimostrato, come costa dalle opposizioni del Leibnizio e di altri eccellenti filosofi, tra
le caligini delle sue incertezze, se avviene che venga enunciato assertivamente, non lascia di
comparire anche ai dì nostri non del tutto conforme alle divine istruzioni? Maggiore per verità era
stato il rigore che aveva usato poco prima con Aonio Paleario, del talento del quale abusano
egualmente i miscredenti in aggravio del tribunale: ma fra tante dimostrazioni che aveva date
d'avversione alla S. Sede e di favore alle allor nascenti perverse massime de' Protestanti, non era
[333] stata piccola la clemenza del S. Pontefice Pio V., che nella prima condanna non l'aveva
obbligato ad altro che ad esibire un pubblico segno di ravvedimento a riparo dello scandalo enorme,
che aveva già dato coi perniciosi suoi scritti e portamenti; ma s'egli indocile ne' suoi errori s'ostina,
e ricusando di somministrare al pubblico la prescritta edificazione si mostra impenitente, chi merita
disapprovazione? il tribunale, che in tempi così calamitosi corre al riparo di sì grande scandalo, o
Aonio, che anche tra le forze del tribunale ha l'insoffribile temerità di rinnovarlo? Si può dire lo
stesso delle cause del Pomponaccio, di Cecco d'Ascoli, di Giacomo Paleologo e di varj altri, de'
quali con sorprendente sciocchezza si disapprova il giudizio per la loro abilità nelle lettere. Ma di
questo abbastanza: che, come vi ho già detto da prima, non è nè conveniente cosa nè eseguibile
l'inoltrarsi di più nelle ricerche di queste e di altre consimili cause particolari, sempre alterate dagli
oppositori con più menzogne e finzioni che non fu da Omero la guerra di Troja, e sempre
impenetrabili ad un privato scrittore, che ne volesse intraprendere un'accurata disamina.
Ed eccovi accennati que' limiti, fra i quali avrei piacere di vedere ristrette le vostre ricerche
prima di accingermi a darvi una più precisa risposta. Vedo anch'io qual più ampio campo resterebbe
(777)
Così nel testo! (N. d. R.)
(778)
Relig. vincitr. part. 1. not. 6.
(779)
Confutazione degli errori e calunnie contro la Chiesa e la sovranità tom. 2. cap. 14.
199
aperto al nostro carteggio, se potesse vagare liberamente per ogni tempo e per ogni fatto particolare,
o fosse questo appartenente al tribunale, o alle persone che lo hanno sostenuto: ma in tanto spazio
ed ampiezza qual termine poi potrebb'egli aver mai? in quant'inezie non andrebbe egli a perdersi? o
quanto frequenti non diverrebbero almeno le inadequate e mal sicure risposte che io sarei costretto
di dover dare a parecchi de' vostri quesiti, atte piuttosto ad ingombrarvi la mente di dubbj e di errori
che a rischiarirla con utili verità? Ah non perdiamo il tempo così malamente! e ben persuaso che i
limiti da me prescritti e niuna escluderanno di quelle ricerche, che possono riuscir vantaggiose, e
lascieranno a voi libero il campo da potervi occupare in più utili investigazioni, prestatevi di
buon'animo alle discrete mie brame: e siate certo che riuscirà senz'alcun vostro pregiudizio e
discapito, la vostra rassegnazione e farà crescere sempre più in me la buona opinione, che da tanto
tempo ho concepita della vostra bell'indole, e m'impegnerà a dimostrarmi con sempre maggior
premura ed affetto che sono
200
LETTERA VENTESIMANONA.
Il tribunale del S. Officio non istà male in mano de' Regolari.
iù che la vostra protesta mi persuade della buona intenzione che avete di secondare le mie
brame il bel quesito, che mi fate, cercandomi se sia o no conveniente che il tribunale del S.
Officio resti in mano de' Regolari, e seguiti ad essere servito come adesso dai suoi Patentati. Questo
riguarda non fatti e cause particolari o antiquate ma la costruzione stessa del tribunale presente ed il
suo buon regolamento e sistema; cose tutte che non escono dai confini che ho prescritti ai vostri
dubbj nell'altra mia, e tanto interessano il nostro carteggio. Io vi resto tanto più obbligato quanto è
più importante il quesito e quanto è stata più pronta e compita la vostra rassegnazione. Devo però
avvertirvi prima di scioglierlo che non posso comprendere in una sola lettera l'una e l'altra parte del
quesito proposto, sì perchè la prima non può essere spedita così brevemente, come ancora perchè
non sono tra loro di ugual condizione e rimarco. De' Patentati parlerò poi: altro non farò in questa
che dimostrarvi quanto sia irragionevole il progetto di chi procura di trasferire la carica
dell'Inquisitorato dal ceto de' Regolari a quello dei Chierici secolari. Non sarebbe stato soffribile per
verità un tal progetto neppur prima dell'indicata riforma, quando sfornito l'impiego di quel
magnifico tribunale supremo, che modera adesso con tant'autorità e saviezza tutti i movimenti de'
tribunali inferiori, la maggior parte de' suoi affari era terminata come v'ho detto altrove dai Vescovi
ed Inquisitori particolari, l'inesperienza ed inesattezza de' quali non andava sempre immune da ogni
censura, e la carica d'Inquisitore era provveduta e rimpiazzata da chi non ne comprendeva
abbastanza la gravità. Anche allora era assai commendevole l'unione dell'uno e dell'altro ceto per la
più facile e diligente spedizione di questi affari. Ma che sarà poi adesso che sì poca parte ed arbitrio
è restato e delle provviste ai rispettivi Superiori e degli affari agl'Inquisitori particolari, chè quelle
sono devolute alla suprema sagra Congregazione, e questi sono stati sistemati per modo che
gl'Inquisitori più che giudici aver si possono per semplici ministri ed esecutori [335] delle
disposizioni della medesima Congregazione? Cosa non v'è nel sistema presente che li disapprovi ed
escluda: eppure è adesso che ha presa maggior voga un tal progetto, e per ottenerne l'adempimento
si spaccia adesso da alcuni mal'affezionati e ai Regolari e al S. Officio che non è tollerabile perchè
si trova in mano de' Regolari. Più d'ogni altro però si è riscaldato in questo miserabile impegno
l'autore del commentario sopra la Bolla di Paolo III. altrove citato, che non ha solamente cercato
d'escluderli da un tale impiego stampando un libro di pagine 288. per dimostrare quam opportunum
& necessarium hujusmodi consilium sit, ma ha fatto ogni sforzo per infamarli.
Veramente a leggerlo con qualche attenzione più che il ceto de' Regolari pare che abbia preso
di mira quello de' Domenicani, non parlando che di loro in quasi tutto il decorso dell'opera. Nella
quale supposizione memore dell'antico proposito di non ingerirmi in difese di ceti e persone
particolari avrei potuto dispensarmi dalla noja di leggerlo e di confutarlo. Siccome però non lascia
di parlare talvolta di tutti i Regolari in genere, e pretende che non le private circostanze ed impegni
Domenicani ma la stessa condizione, che hanno comune con tutti gli altri, li inabiliti a
quest'impiego; così non ho creduto di potermi esentare dal prendere questo libercolaccio nella
dovuta considerazione. Lo farò però con quella generalità che esige il vostro quesito e il mio
proponimento, senza impegnarmi a dimostrare come convenga ad uno piuttosto che ad altro ceto di
Regolari, e molto meno a vendicare il Magistero del S. Palazzo, il Commissariato del S. Officio ed
il Segretariato dell'Indice e que' sommi personaggi, che hanno sostenuto sinora quest'impieghi, da
quell'imposture e calunnie che vengono loro addossate dal nostro commentatore. Non ne ha bisogno
P
201
chi ha una lieve tintura dell'ecclesiastica storia; e basta sapere le loro incombenze e leggere i
cataloghi de' loro nomi presso Mons. Luccarini, l'Echard, il Fontana, ed il Catalano per restar
persuaso e dell'importanza del loro impiego e della gloria che la maggior parte di loro ha aggiunto
coi rari suoi pregi alle cariche quantunque luminosissime invece di acquistarne. Nominerò appena
qualche volta il Commissario, che ha maggior connessione cogl'Inquisitori, che interessano di più il
nostro argomento, ed ai quali il commentatore mostra maggior'avversione; e nel ribattere le sue
storture, stravaganze e calunnie [336] procurerò di farlo con quella moderazione, che non sarà in
vero corrispondente alla rabbia colla quale egli ha scritto, ma che converrà molto bene alla
meschina condizione del suo naturale che merita più compassione che risentimento.
Per riuscir nel mal'augurato suo impegno premette il bravo nostro commentatore, che nel
tribunale del S. Officio e in Roma e altrove tutto è interesse, prepotenza, partito e disordine, ed
invece di riputarlo, qual'è in realtà, sodo riparo del santuario e fortezza inespugnabile della Chiesa
di Dio, perchè assistito da un Frate Commissario e da Inquisitori parimente Frati, lo spaccia qual
partitante indegno de' novatori. Ma come suppor ciò dopo d'averlo descritto nel vero suo aspetto e
di averlo riconosciuto composto di quei sommi personaggi ed a quella forma ridotto, ch'io v'ho
indicata nella mia lettera 26.? Sono forse i Papi, i Cardinali e tanti Prelati insigni, che circondano il
trono Apostolico, ed hanno parte anch'essi nella Congregazione e consulta del tribunale supremo,
tinti di simil pece? Ma qual riparo in tanta depravazione di massima e costume ritroverà egli poi ai
disordini de' Regolari, se vacillano quelli stessi che procura di sostituire per rimediarvi? Sono forse
quelli così ignoranti che non sappiano, o così trascurati almeno e distratti che non vogliano
impedirli? Il credereste, amico! quest'è appunto il ripiego al quale si appiglia il commentatore per
isfogare con qualche pretesto meno irragionevole il suo livore contro quei pochi Regolari, a' quali è
affidato quest'affare che più d'ogni altro interessa la S. Sede. Sono i Regolari per lui così trasportati
da spirito di partito e dall'uniforme loro educazione così disposti a calpestare quanto v'ha di più
sagro in Cielo e in terra, che nulla più resta a sperare alla S. Sede da loro in quest'impiego di utile e
di decoroso. Sono gli altri così inetti e spensierati nel porgere in questa parte qualche soccorso alla
desolata Sionne, che di tutt'altro si occupano, che della sua assistenza e difesa, e vili pedissequi del
Commissario e di pochi astuti Regolari si trovano nella fatale necessità di secondare ogni loro
capriccio, e di lasciarsi trasportare dovunque li spinge o la passione o il partito. Ma ditemi voi colla
solita vostra ingenuità; cos'è maggiore in costui, l'incoerenza o l'ardire? l'ardire, col quale osa di
porre la bocca in Cielo e tacciare di viltà chi appena egli era degno di nominare? o l'incoerenza, che
lo induce a spacciare per imperiti e viziosi que' Chierici stessi che cerca di sostituire per correggere
[337] i difetti de' Regolari? Io sono certo che il nostro commentatore sarebbe divenuto di fuoco al
leggere nel Prologo che fa al Panegirico di Giansenio Egidio Candido Giansenista sfacciato, che i
Teologi e Cardinali eletti ad esaminare il libro di Giansenio non avevano mai lette le Opere di S.
Agostino, e che molti di loro non capivano nè tampoco i termini della materia di cui si trattava; e
nell'ascoltare molto più dalla sacrilega bocca dell'insidioso Quesnello e del suo avvocato Van
Espen, che la massima parte de' Cardinali non intende nulla
(780)
, e che suole uniformarsi ai
sentimenti dei Consultori
(781)
: e come poi non si vergogna egli di ripeterlo di tutti allorchè si tratta di
rendere odiosi i Padri Domenicani? Così esala dalla stessa bocca il caldo e il freddo; e tanto
l'accieca una malnata passione. Io però senza punto alterarmi mi dolgo altamente dei pessimi
trattamenti usati coi Cardinali e Prelati più rispettabili di Roma, e da gran tempo compiango la
misera condizione, alla quale è stato ridotto dall'altrui malvagità ed invidia il rispettabile Ordine
Domenicano, posto già dal mal'umore di chi lo perseguita tra due forze di opinioni ripugnanti e
contrarie, che presso de' meno illuminati e meno cauti lo fanno comparire assai diverso da quello
che è sempre stato, e coll'ajuto di Dio è da sperarsi che sia per conservarsi mai sempre. Se
ascoltiamo gli annalisti di Parigi e Toscana altro non fanno i Domenicani da gran tempo e dalle loro
cattedre e colle stampe che favorir quel partito che tanto stava a cuore del nostro commentatore; ed
il Gotti, il Ricchini, il Mamachi, il Soldati e la Minerva intera altro più non sono che Domenicani
(780)
Caus. Quesnel. art. 13.
(781)
Jus Eccles. Univ. p. 1. Tit. 12.
202
Molinizzanti, che per la vile loro apostasia hanno contribuito moltissimo alle condanne delle
opinioni giansenistiche e de' libri di questo partito, e segnatamente de' loro fogli periodici, del
Cattechismo del Mesanqui, dell'Analisi del Tamburini
(782)
, della Teologia di Lione e di tant'altri libri
refrattarj, ereticali e scismatici. Se ascolto il commentatore con varj suoi aderenti, non d'altro mai
sono stati solleciti che di proteggere il giansenismo per far prevalere la massima dell'antica loro
scuola contro il contrario partito, e tutti li spaccia dispostissimi a sagrificare i dommi più sacrosanti
della cattolica Religione ai particolari, ch'egli chiama gentilmente giansenistici, loro sentimenti
sulla Predestinazione e sulla Grazia. Si fa un torto manifesto ad un'Ordine quanto costante a
sostenere [338] colla permissione della S. Sede una dottrina che crede dell'Angelico suo santo
Dottore, tanto pronto a sagrificar tutto in ossequio della S. Sede medesima ed a secondare colla
voce, colla penna e col silenzio ancora qualunque suo cenno: e ne sono un'autentica prova le varie
questioni che quasi più non s'incontrano ne' scritti d'autori Domenicani dopo che la cattedra di S.
Pietro ha imposto silenzio, e le dispute stesse sulla Predestinazione e sulla Grazia per sì lunga
stagione sepolte in una lodevole dimenticanza quando parve che questo fosse il desiderio di Roma,
e tutti i libri in fine scritti a sola difesa delle incontrastabili verità definite dalla S. Sede contro i
moderni novatori e settarj. Se di loro si lagnano i Giansenisti, non si lagnano a torto, che in loro
appunto hanno incontrato il maggiore ostacolo nelle irragionevoli loro ed erronee pretensioni: ma
non ha ragione di lagnarsene il commentatore, che incontrerà nelle migliori loro Opere moltissimi
lumi e ragioni onde sostenere con maggior forza le cattoliche verità, e sodi fondamenti e principi
onde procedere con sicurezza tra due opposti estremi ed abbattere con più felice successo l'error
contrario. Ma non è affare del presente carteggio il cercar ragioni di torti sì grandi. Sono stati
vindicati abbastanza, e, continuerà con ugual fortuna a vindicare gli oltraggi recati con
tant'ingiustizia e all'Ordine e ai suoi più bravi scrittori chi ha di me più lena e valore: e restringendo
io il mio ragionare alle sole cose che interessano il tribunal della Fede, prendo a dimostrarvi quanto
sia dicevol cosa e plausibile che le Inquisizioni restino in mano de' Regolari, e quanto inette siano e
ridicole le congetture e riflessi che porta il commentatore per ispogliarneli. Risulta la prima parte
dalle diverse doti e prerogative che si ritrovano nell'uno e nell'altro clero: nasce l'altro
dall'insussistenza e sciocchezza di tutto ciò che il grand'uomo del commentatore ha saputo inventare
per dimostrare il contrario.
Sono i Regolari per indispensabile condizione del loro stato addetti ad una vita più metodica e
perfetta e sciolta da ogni ingombro di mondane occupazioni e comparse. Nati sono per loro istituto
a sussidio del clero secolare, e sono stati introdotti nella Chiesa a coadjutori degli altri, come furono
introdotti da Mosè nel governo del Popolo di Dio i Centurioni, i Quinquagenarj, i Decani, e come
furono chiamati da S. Pietro nella sua navicella operarj stranieri a scarico dell'abbondante sua pesca.
Sono inoltre, a scanso d'ogni variazione nella regolare loro osservanza, per liberale [339]
concessione del supremo Gerarca del cristianesimo in più cose esenti dalla vescovile giurisdizione
ed al Romano Pontefice in modo speciale soggetti, e per pia affezione de' popoli e de' sovrani hanno
per tutte le parti del mondo, quelli almeno de' più vasti istituti, comodi stabilimenti e case religiose
di diritto comune. Sono queste le più generali e vere prerogative che distinguono sostanzialmente
l'uno dall'altro ceto, e sono queste appunto le doti e prerogative che approvano l'uso che ha la S.
Sede di commettere ai Regolari il tribunal della Fede, e che io prendo ora a sicuro argomento del
primo mio assunto scorrendo per ognuna delle medesime.
La loro professione di vita più umile ritirata e perfetta, che nobilitata anche meglio dai loro
voti solenni diviene più luminosa e pregevole, è stata addotta da S. Tommaso e da S. Bonaventura
per dimostrare che non ripugnava ma era anzi conveniente, che i Regolari avessero luogo nelle
Università, e che fossero promossi anch'essi a gradi accademici, e si esercitassero in quegl'impieghi
che venivano loro contrastati dalle ardite opposizioni di Guglielmo di S. Amore: e chi considera
tutto il tenore del loro ragionare tosto s'avvede che non iscema, ma cresce di forza se venga
applicato al soggetto di cui parliamo, che persone esige e più istruite ne' sagri scudj e di più caldo
(782)
Pietro Tamburini, Analisi del libro delle prescrizioni di Tertulliano con alcune osservazioni, Pavia, 1781. Fu posto
all'Indice nel 1786. (N. d. R)
203
zelo accese e meno distratte da terrene e domestiche occupazioni; e non può non essere che una
vera pazzia il pretendere ch'essi divengano meno atti ai sagri impieghi, perchè professano una vita
più morigerata e perfetta. Ma più ancora della loro perfezione approvano il nostro piano le altre
doti. E chi può essere mai più atto a servire d'ajuto e sollievo ai Chierici secolari di quelli che sono
stati istituiti per questo? chi può meglio servire la S. Sede in qualità di suo special delegato di uno
che da lei sola dipende, e vi resta soggetto in modo speciale? Io non voglio detrarre al clero secolare
punto di quella lode che si è meritata col valore di tant'uomini sommi in probità e dottrina, e che
nella sublimità e grandezza punto non cedono al merito dei Regolari: dico solo che se leggerete la
bell'orazione composta dal Padre Segneri in favore di questi, e se entrerete in qualunque discreta
libreria, e vi farete a considerare lo stato e la condizione degli autori che la compongono, vi vedrete
per lo più costretto di preferire questi a quelli. Quand'anche però in tanta disuguaglianza di numero
tra l'uno e l'altro ceto vi restasse qualche divario, non [340] sarebbero ciò non ostante nell'impiego
del S. Officio da posporsi i Regolari ai Chierici secolari e per la speciale loro subordinazione e
dipendenza dal Romano Pontefice e pel totale loro disimpegno da ogni cura terrena e per l'umile e
disagiata vita che professano e per l'estensione in fine e vasti stabilimenti de' rispettivi loro istituti,
che sono le altre doti tutte caratteristiche e proprie de' Regolari. Li rende la prima più disposti a
sostenere una tale delegazione senza gelosia delle diverse diocesi, alle quali si stende per ordinario
la loro giurisdizione, senza contrasto de' diversi gradi che al clero secolare appartengono, senza
difficoltà di fissare in uno piuttosto che in altro luogo la loro residenza, e senza risentimento di
alcuno se uno piuttosto che un'altro ministro subalterno venga scelto ne' vicini distretti. Li rende
l'altra più solleciti e pronti nel geloso disbrigo delle loro. incombenze. La terza fa sì che riesca meno
gravoso il loro mantenimento: e la quarta in fine loro lo somministra per ogni dove senz'aggravio e
molestia d'alcuno, anche in tempo delle maggiori persecuzioni e contrasti. Vantaggi sono questi che
si spererebbono in vano, almeno con pari facilità e prontezza, dai Chierici secolari, i quali e per
l'ordinaria subordinazione che hanno ai loro Pastori e per le distrazioni che ricevono dalle temporali
loro incombenze non lascierebbono mai di far temere o un grande rammarico ne' primi, se li
vedessero distolti dall'immediato loro servizio per accudire a quello della S. Sede, o una maggiore
gelosia in quelli delle altre Diocesi che non fossero stati riconosciuti capaci di un tale impiego, e in
tutti in somma non piccolo torpore e riserva nell'assistenza e nell'esercizio del difficile impiego per
mille altri straordinarj emergenti.
Anche le gare e contrasti, che nascerebbono spesso per sostenere con decoro le convenienze
del loro distinto grado, riuscirebbono molestissime, e di non piccolo ostacolo allo spedito e facile
disimpegno di così grandi incombenze. Finchè resta il tribunale in mano de' Regolari vedo i suoi
amministratori così nascosti tra le oscurità del loro chiostro e così ristretti tra le umili divise del loro
santo istituto, che si mostrano appena al di fuori, e non trovano ormai più con chi contendere di
precedenza e convenevolezza. Vedo i due insigni Ordini Domenicano e Francescano
impegnatissimi a somministrar loro quanto occorre al religioso loro mantenimento. Li vedo bene
alloggiati. dove risiedono per esercitare con quiete la loro [341] carica, e non che mantenuti di vitto
e vestito ma anche provveduti di religiosi vicarj, notari, conversi a spese per lo più de' Conventi: e
se avviene talvolta che dai malevoli perseguitati vengano costretti ad abbandonare le loro residenze,
li vedo accolti con uguale zelo e premura in altri Conventi, come è stato praticato con Michele
Gisiglieri
(783)
, che fu poi Pio V., fuggito da Bergamo e ricevuto con molta liberalità in Como ed in
Roma, con l'Inquisitore Granara scacciato da Mantova e rifugiato in Ancona, ed a nostro ricordo
cogl'Inquisitori Ciacca e Mabil, che da Piacenza e da Avignone si sono trasferiti in Pesaro ed in
Rimino, e con due Inquisitori Francescani, che nella loro caduta hanno ritrovato ne'loro Conventi di
Toscana sostentamento e rifugio. Ma fate che passi l'impiego dei Regolari in mano dei Chierici
secolari; dove troveranno questi spedito e facile l'asilo in tempo di resistenza e opposizione? e
sussistendo pacifici nel loro impiego, chi potrà provvedere al più magnifico loro sostentamento?
Chi porrà termine ai frequenti contrasti che nascer debbono necessariamente tra persone di distinto
(783)
Così nel testo per "Ghisleri". (N. d. R.)
204
carattere, autorizzate alla stessa incombenza, ed impegnate egualmente dal loro stato a comparire
con decenza e a niuna cedere di quelle decorazioni e diritti, anche di pura convenienza, che ad esso
convengono? Sarebbe bastevole a questo intento la Corte di Roma? ma di quale ostacolo non
riuscirebbe mai alla facile composizione de' dispareri la diffidenza, in cui cadrebbe presso non
pochi mal'informati Presidenti e Pastori per questa medesima novità e per la nuova comparsa e
pompa esteriore di tanti e sì rispettabili delegati apostolici? Provvederebbe all'altro la Camera
apostolica? ma qual non soffrirebbe ella aggravio insopportabile dalla moltipliche, di tanti e sì
dispendiosi individui, quanti esser dovrebbono gl'Inquisitori, che il ben pubblico chiama e
moltiplica per ogni dove? I Vescovi? ma se non hanno per ordinario come supplire al proprio
mantenimento ed a quello de' poveri della loro diocesi, come potranno assoggettarsi al nuovo
dispendio? Le Comunità rispettive? ma se riuscì loro gravoso un tempo il mantenimento delle
Carceri e de' carcerati, e furono per ciò esentate da un tal peso, che sarebbe l'aggiunta di ministri
così dispendiosi? Non avrebbero a mio credere alcun termine le dissensioni, ed altro rifugio non
troverebbe la loro sussistenza che o ricorrere alla pietà de' Fedeli, che somministrasse loro quanto
bisogna o alla soppressione di qualche monastero o Beneficio, che trascurate le pie intenzioni [342]
de' fondatori, volgesse le rendite al conveniente mantenimento de' nuovi delegati apostolici. E
questo sarebbe al certo assai coerente alla moderna pratica, che nulla sa fare di bene senza
distruggere un'altra cosa ben fatta; e quello sarebbe conforme all'antica religiosità de' primi
Cristiani: ma l'uno sembra a me quasi impossibile, l'altro non è affatto esente da moltissimi
inconvenienti.
Non essendo le fatiche degl'Inquisitori così frequenti e sensibili, come quelle degli altri
sacerdoti, che annunciano la parola di Dio ed amministrano ogni giorno i sacramenti, chi può
sperare che in tanta decadenza di fervore e pietà, le obblazioni de' Fedeli fossero per riuscire
sufficienti, se spontanee, o non odiose e rincrescevoli, se carpite a forza delle loro mani? E le
soppressioni de' monasteri e de' Benefici quanto non diverrebbero per gl'Inquisitori Preti odiosa
cosa, se moltiplicate di troppo facessero di continuo risovvenire ai Regolari, che non occupano solo
le cariche, che per tanti secoli sono state uno de' lustri maggiori del ceto regolare, ma che vivono
ancora a loro spese e discapito? E le Chiese che resterebbono per questo nuovo provvedimento
chiuse alla divozione de' Fedeli, e le scienze e le arti ed i poveri, nudriti sì spesso dai monasteri, che
resterebbero privi di sì opportuno sovvenimento, e quelli che aspirano al conseguimento de'
Beneficj, e quelli che hanno il diritto di dispensarli non riclamerebbero tutti contro la disgustosa
risoluzione di unir tutto in un solo Monsignor delegato della Sede apostolica? Sa il commentatore di
qual disesto riuscì un tempo il solo trasporto di una assai meno interessante incombenza da uno in
altr'Ordine Regolare, e non paventa alcun disastro se il trasporto succeda di sì grande incombenza e
di tanti beni da quella de' Regolari in mano de' Chierici secolari? Motivi sono questi assai forti che
disapprovano ogni innovazione in questa parte, e rendono tanto più plausibile il presente sistema
quanto si scorge più coerente alla condizione di Regolare, più adattato ai bisogni del tribunale e più
opportuno alla quiete e convenienza di tutti: cresce però a dismisura la loro forza e valore, se
vengono paragonati colla vanità e leggerezza di quelle congetture e riflessi, che porta il
commentatore per accreditare il nuovo progetto. Anch'egli presume di. trovare ne' Preti singolari
prerogative che persuadono di adottarlo, e ne' Regolari tante imperfezioni e defetti, che esigono ad
ogni costo la loro esclusione: ma non sono che sogni di sua fantasia troppo alterata codeste [343]
prerogative e difetti, e colle inutili sue sofisticherie altro non fa che aggiungere inezie ad inezie,
ingiurie ad ingiurie ed a tante cavillazioni una ben lunga serie d'inutili ciancie, che invece di
procacciare a lui quel nome immortale che s'era forse ideato di conseguire con questa sua
produzione, ed un colpo mortale a danno dei Padri Domenicani e degli Inquisitori, fa che meglio
risplenda la gloria delle lodevoli occupazioni di questi, e che meglio si scopra l'inutilità di que'
sforzi che il nostro commentatore ha usati per acquistare per così obbliquo sentiero un qualche
nome.
I Regolari, dic'egli, nati sono ad ubbidire e dipendere, non a presiedere e comandare, che è
proprio solamente de' Preti secolari: e quest'è la base che questo bravo architetto pianta per inalzare
205
il grande edificio del suo progetto, ed è la prima indisposizione che trova ne' Regolari onde
escluderli dal loro impiego. Ma se la base è sì debole, qual sarà la sodezza di quell'edificio che
sopra s'inalza? I Regolari nati non sono a governare: ma che intende egli con questo? che niuno
forse debba farsi Frate o Monaco coll'unica o principal mira di giungere ad un tale impiego? ma ciò
non ai soli Regolari, ma è disdetto anche ai Preti secolari, i quali se ne renderebbono affatto indegni
se con tale ambizione o si consagrassero al divin culto o s'inoltrassero nell'assunta carriera. Che
niuno de' Regolari riceva nella sua ordinazione l'attuale giurisdizione che li abiliti a funzioni di
esteriore regime e governo? ma questo ancora è proprio dell'uno e dell'altro clero, che sono
egualmente ordinati, e non può non essere che indegna cosa e ridicola il pretendere, che i Regolari
divengano inetti ai sagri impieghi solo perchè professano una vita più mortificata e soggetta. Che
niuno finalmente de' Regolari a differenza de' Preti secolari la possa esercitare neppur quando venga
a lui comunicata da legittima podestà? ma quest'è quel sistema che oltre le trionfanti ragioni, che
hanno addotte per confutarlo negli aurei loro opuscoli S. Tommaso e S. Bonaventura, ha meritato
dal primo in Guglielmo di S. Amore l'obbrobriosa taccia di zelo audacissimo acceso da indegna
avversione piuttosto che da stimolo di lodevole carità, ed è meritevole di que' rimproveri che si
leggono nel Decreto di Graziano compresi ne' seguenti termini: Sunt nonnulli nullo dogmate fulti,
audacissimo quidem zelo magis amatitudinis quam charitatis inflammati, asserentes, Monachos,
qui mundo mortui sunt, & Deo vivunt, sacerdotalis officii [344] potentia indignos
(784)
. Restino pure i
Regolari tra i limiti della loro umile e disagiata fortuna, e godano i Preti gli splendori e i comodi
delle loro dignità e Beneficj, e come porta il principio troppo noto e comune, saecularia
Saecularibus, regularia Regularibus tribuantur
(785)
: ma per questo appunto devono essere i Regolari
all'Inquisizioni trascelti, perchè tale è la consuetudine ed è impiego che suol'essere conferito ai
Regolari, e perchè giova la loro condizione al più pacifico e pronto esercizio di una tal carica. Il
pretendere che ne siano affatto incapaci è una sciocchezza. Il dire che sono stati dalla S. Sede sinora
malamente impiegati in quest'affare è un'ingiuria che si fa a tanti Papi e Cardinali, che per tanti
secoli ne hanno approvata la scelta. Il volerneli poi spogliare dopo sì lungo e lodevole servizio
sarebbe lo stesso che disanimar tutti d'intraprenderlo con uguale zelo e coraggio.
Porta seco, non v'ha dubbio, il tribunale del S. Officio qualche sorta di governo e comando: ma
chi può credere che disdica ai Regolari un governo siffatto, il quale non pubblica editti che
provenienti dalla S. Sede, non s'ingerisce che in affari di Fede, e nulla risolve senza l'intelligenza e
consenso dell'Ordinario? O pretende il bravo nostro commentatore che l'obbedire sia così proprio
de' Regolari, che niun comando e governo possa loro convenire, neppur per comando e dispensa
apostolica; e distrugge ogni prelatura e superiorità de' loro Ordini medesimi, e va a ruinarli nel
tempo stesso che finge di volerli sostenere e difendere: o accorda loro il governo almeno interiore
de' loro Ordini, Provincie e Conventi; e resterà a lui il carico superiore anche alla sua fantasia,
benchè feconda di tante invenzioni e chimere, di dimostrare come ai Regolari disdica la speciale
incombenza, che è stata per tanto tempo affidata loro dalla S. Sede, di esercitare la giurisdizione nel
tribunale esteriore della Fede, e non quella ch'hanno naturalmente di governare i loro Ordini e
Conventi, che con tanto maggior'estensione tutte spiega le insegne di governo e dominio esteriore:
come sia cosa utile e conveniente che l'esercitino i Preti, che sono per la loro stessa condizione ai
rispettivi Pastori in [345] ispecial modo soggetti e nelle loro convenienze e vantaggi in mille
incontri dipendenti dal loro volere, e non lo siano i Frati stretti con nodi straordinarj alla S. Sede, e
nel religioso loro mantenimento e nelle loro esenzioni, prerogative e privilegj a lei soggetti in modo
speciale: come convenga ai Preti distratti per lo più da mille imbarazzi della famiglia e del secolo in
cui vivono, e non a quelli che hanno abbandonato tutto per consagrarsi con maggiore zelo al divin
culto, alla difesa della Religione e alla salute dell'anime.
Nè ci dia ad intendere il commentatore che fu questo un tempo il pregio de' Regolari, ma non
lo è ai dì nostri, ne' quali si sono ormai resi non meno degli altri spossati e distratti. Nol dica costui;
chè l'eroiche azioni usate dai bravi ministri del tribunale anche ai dì nostri e nello scoprire le occulte
(784)
Quaest. 1. caus. 16. cap. 25.
(785)
Conc. Trid. Sess. 14. cap. 10. de Reform.
206
trame degl'increduli più perniciosi e nell'impugnare i nemici più formidabili e nel sostenere i proprj
diritti bastano a smentirlo. E per nulla dire delle varie combriccole d'increduli distrutte non è gran
tempo in Roma, in Romagna ed altrove, e de' Massoni o delle loro Loggie scoperte in tante parti
d'Europa, mi servirò della sola intrepidezza e coraggio mostrato dal buon'Inquisitore Gio: Battista
Mabil nel punto che i Costituzionali di Francia cospiravano alla distruzione del suo tribunale
d'Avignone: chè basta questo solo fatto a mostrare che non sono i Regolari dissimili da quelli di
prima dove e l'antica loro disciplina ed il loro tribunale ha potuto sussistere. Stipato da varj seguaci
si presentò alla residenza del P. Mabil un ministro della Costituzione o municipalità del luogo per
intimargli il fatale decreto; ed egli niente atterrito dal truce aspetto e dalla molta forza, dalla quale
veniva accompagnato, gli diede la seguente memoranda risposta in iscritto coll'ordine espresso che
fosse presentata a chi lo avea spedito: Vous avez promis, Mrs., fidélité
(786)
au souverain Pontife.
C'est lui qui m'a confié ma juridiction
(787)
, & c'est lui seul qui peut me l'ôter. Il n'y a que la violence
qui peut m'en empêcher l'exercice. Si vous l'employais, mon devoir n'oblige de vous déclarer
(788)
,
que les auteurs & participants de la violence ont encontre l'excommunication porte par les Bulles
des Papes = Fr. Mabil Inquisiteur général. Dispiacque, com'era da credersi, una sì forte e solenne
risposta alla Costituzione; ma non se ne mostrò per questo mal soddisfatto il valoroso Mabil, e ben
lontano dal ritrattarla alla nuova istanza che gliene venne fatta anche con [346] maggior'apparato
d'armi e d'armati, la rinnovò, e replicò, colla maggiore intrepidezza, che tale era il suo dovere, e che
non vi avrebbe mancato mai ancorchè fosse stato costretto d'andare alla lanterna, e fu sì fermo in
questa risoluzione, che non la ritrattò giammai, nè si partì d'Avignone se non quando vide inutile
affatto la sua presenza, imminente il pericolo, ed ebbe ottenuta dai Superiori, ai quali è tuttora
accettissimo, la licenza di passare altrove. Così rinnovò egli gl'illustri esempj di quegl'invitti
campioni del sagro tribunale, che in ogni tempo e più che mai nel secolo decimoterzo e decimosesto
s'esposero ad ogni rischio in difesa della Fede di Gesù Cristo e della S. Sede, e così ha potuto
smentire anche in questi tempi infelicissimi le imposture di tanti sfaccendati, che vorrebbono far
comparire affatto spenta in loro l'antico valore, e spacciare tutti i Regolari per molto dissimili da
quello che sono stati una volta.
Rovesciata per tal modo la base dell'edificio, resta a vedersi se siano di maggior consistenza i
materiali che il commentatore adopera per inalzarlo, e se le altre prerogative che rileva nel clero
secolare, e le altre imperfezioni che scopre ne' Regolari siano di tal peso, che più delle addotte
poc'anzi per istabilire la decenza e l'utilità del presente sistema vagliano queste a dimostrare la
convenienza ed i vantaggi del nuovo. Io per verità altro non vi trovo che la debolezza, e vanità della
base; e credo che sarà questo anche il vostro sentimento dopo che le avrete esaminate a dovere. Non
sono i Regolari, così continua egli i suoi sublimi riflessi, di quelle cognizioni forniti e di quella
nobiltà, che serve al miglior disimpegno della carica; e lo stesso metodo di vita e le stesse massime,
che pel loro istituto regnano in tutti, ed i partiti, ai quali sì volentieri si abbandonano, non li
caratterizzano pei giudici migliori e più imparziali che aver si possano: e vi sarà sempre a temere
che a cattivi Inquisitori siano per succedere altri di peggior'indole, e che cresca sempre
quell'odiosità, che ha procacciata al tribunale la loro condizione. Non pare a voi di vedere in queste
poche ragioni rinnovata l'arte, che usò Guglielmo di S. Amore nel libro de' pericoli degli ultimi
tempi per allontanare i Regolari da ogni azione di gerarchico ministero, e per escluderli anche dai
gradi accademici? Ricorse egli in mancanza di sode ragioni, come assicura S. Tommaso, al ripiego
d'infamar quelli che presi aveva a perseguitare. Fa lo stesso il nostro commentatore: e se v'è qualche
cosa che li [347] distingua, altro non è che la poca cautela che ha usata nell'imitarlo. Persuaso egli
forse che bastasse il credito del suo raro talento ed il favore de' suoi aderenti a verificare ogni cosa,
non ha avuto ribrezzo di spacciare le più note imposture e le favole più screditate per ottenere il suo
intento, senza punto curarsi d'ingombrare il falso sotto qualche sembianza di vero, o di coprirlo per
modo che non comparisse agli occhj di tutti, come pure procurò di fare Guglielmo. La scienza e
(786)
Nel testo: "fidelite"! (N. d. R.)
(787)
Nel testo: "jurisdiction"! (N. d. T.)
(788)
Nel testo: "declarer". (N. d. T.)
207
nobiltà di moltissimi Regolari è tanto palese, che a rendersi ridicolo basta volerli spacciare per
ignoranti ed abbjetti: e la mischianza che sussiste nel vasto loro ceto di qualche ignorante ed
ignobile chi può riprenderla, se ad altro non mirano che a raccogliere non chi risplende per fasto
mondano o per letterario decoro, ma chi è disposto di servire con maggior fervore il Signore? e chi
può crederla svantaggiosa agl'impieghi, se ai più luminosi e difficili non vengono mai promossi
gl'ignoranti? e se vi giunge talvolta qualcuno di bassa estrazione, ha già compensata per tal modo
colla probità della vita e coltura delle scienze l'oscurità de' natali, che non si possono sperare dalla
sua probità e sapere che felici successi? Il solo aver'accennato un sì meschino riflesso scredita la sua
causa; e l'averne poi egli fatto gran caso lo fa comparire e poco informato de' più strepitosi
avvenimenti dell'ecclesiastica storia, e dimentico affatto di que' poveri pescatori, dei quali si è
servito Gesù Cristo per fondar la sua Chiesa, e di quella non curanza delle mondane vanità, della
quale ha voluto adorni gli umili e modesti seguaci de' suoi divini ammaestramenti. Neppur Fr. Paolo
ha data a questa sciocchezza quell'estensione che ha dal nostro commentatore. Non la stende egli a
tutti i Regolari e ad ogni pubblico impiego, ma si contenta di dire soltanto, essersi dato l'officio
dell'Inquisizione a persone che non hanno altro che fare, e per la loro bassezza tengono ad onor
grande l'esercitarlo
(789)
: e si può credere che la bassezza da lui indicata più che i natali vada a ferire
le loro massime, o che non tutti almeno li abbia voluti involgere nel medesimo avvilimento, come fa
il commentatore più capriccioso di lui, ma ridicolo egualmente.
Hanno i Regolari, non v'ha dubbio, l'istessa educazione, [348] specialmente se appartengono
allo stesso istituto, e sono addetti alle stesse massime. Ma l'istituto è stato dalla Chiesa approvato,
come conducente con minore difficoltà alla perfezione: e le massime in materia di Religione sono
state mai sempre conformi alla verità della Fede, che non ha mai sofferto negli Ordini alcuna
alterazione per qualche individuo, che abbia tralignato talvolta: e se è bastato alla S. Sede per
sopprimerli il solo crederli inutili e decaduti dal loro antico splendore, che non farebbe se li
scoprisse eretici e refrattarj? Tant'è poi lungi dai potersi credere l'uniformità di educazione e
costumi, che ai Regolari conviene, contraria all'esercizio delle gerarchiche azioni, che anzi S.
Tommaso da quest'istessa uniformità ne inferisce la maggiore abilità e proporzione. Perchè
uniformi nell'educazione, per questo si sono mostrati tutti in più incontri impegnatissimi e molto
conformi nella difesa della cattolica Religione: e se sono stati talvolta tra loro discordi in affari di
scuola, ciò non ha influito ad altro, che ad accrescere l'emulazione e le scienze, e non mai a recare
alcun pregiudizio alla Fede. Basta riflettere al valore e coraggio, ch'hanno dimostrato gli
Agostiniani contro Lutero, i Domenicani contro Bucero, contro i Fraticelli i Francescani, il Servita
Sermarino contro Fr. Paolo, e tutti gli altri Ordini contro chiunque de' loro membri sia stato
scoperto refrattario ed impugnatore dei dommi cattolici, per rimaner convinto che l'uniformità
dell'istituto non pregiudica, ma giova anzi moltissimo alla miglior difesa della Religione cattolica:
ed invece di temere per questo motivo collo sgraziato nostro commentatore, che a cattivi Inquisitori
siano per succedere Inquisitori peggiori, dovranno anzi aspettarsi sempre ottimi successori di que'
perfetti, che hanno vantati in gran numero ed in ogni tempo i rispettabili Ordini Domenicano e
Francescano. Che se poi si pretende, che riuscir possa d'ostacolo all'imparzial disimpegno di una
tale incombenza l'essere addetti talvolta ad una piuttosto che ad altra opinione scolastica; io dico
che questo costume non è a tutti i Regolari comune ma a pochi, e che le particolari opinioni
d'alcuno tanto meno influir possono ne' giudizi del tribunale, quanto più si scostano dai dommi di
Fede: e il non essersi mostrati in questi partiti meno impegnati il Tournely, il Vitasse, il Lazzarini, il
dall'Oca e tant'altri Preti secolari, del Gonet, del Danieli, del Berti, del Billuard e di altri Regolari
dimostra ad evidenza, che è vanissimo il ripiego che progetta il commentatore per evitare il
disordine, e [349] che manca quel disordine stesso che con sì poco fondamento fa nascere da siffatta
adesione.
È poi una vera malignità quella che fa tradurre tutti i Domenicani per inerti spettatori de'
progressi che il giansenismo andava facendo in Francia, e alcuni ministri del tribunale per fautori, e
(789)
Discorso dell'origine &c. nella nota al cap. 11.
208
seguaci de' loro errori pel soverchio amore che professavano alle opinioni della loro Scuola. Nè la
Scuola tommistica applaudita maisempre dalla S. Sede aveva bisogno di quest'inazione per
sostenersi, nè il giansenismo, che tende a svellerla dai fondamenti, poteva riuscire a lei di
alcun'ajuto e presidio. Che se nel primo mostrarsi sotto lenocinj e vani abbigliamenti non suoi ha
trovato qualch'uno men premuroso e sollecito di combatterlo di quello che sarebbe stato
conveniente, e qualch'altro meno ripugnante e contrario di quello che meritava, mostra che non è
stata la malizia de' Giansenisti minore di quella de' primi Eresiarchi nell'ingannare i Cattolici, e che
con fina ipocrisia hanno saputo affettare l'aspetto d'innocenti agnelletti quand'erano lupi rapaci; non
prova che alcuno dei veri Agostiniani e Tommisti sia mai stato per impegno di scuola affezionato
all'errore. Questi hanno sempre distinti i dommi definiti dalla S. Sede dalle opinioni da lei permesse
all'arbitrio delle Scuole, lo che non so se sia stato fatto con pari esattezza dal bravo nostro
commentatore; e non meno valorosi nel sostenere i primi che liberi nell'adottare ed aderire all'altre
hanno sempre combattuto con grande intrepidezza i novatori e settarj senza punto scostarsi dagli
antichi loro impegni e doveri, nè sono per discostarsene giammai finchè la Chiesa non comanda
diversamente. A smentire poi le calunnie di parzialità e d'indolenza, che il commentatore non cessa
di vomitare contro i rispettabili Ordini di S. Agostino e di S. Domenico: bastano gli scritti e voti del
Paludano, del Van-Wauret, del Selleri, del Manso, del Desirant, del Lucini, del Mamachi, del
Gazzaniga, del Soldati, del Cabalieu e di cent'altri Agostiniani e Domenicani, che senza dimenticare
le antiche sentenze delle loro Scuole hanno combattuto il giansenismo con non minor forza ed
effetto del Card. Albici, dello Zaccaria, del Bolgeni, del Volpi. Qualche refrattario, che sia nato tra
loro, il quale o abbia adottato un qualch'errore de' Giansenisti, o con isciocche appellazioni e ricorsi
si sia mostrato poco ossequioso e divoto alle determinazioni e decreti della S. Sede, non deve
pregiudicare al loro istituto più di quello [350] pregiudichi al rispettabilissimo ceto del clero
secolare l'esservi stati e l'esservi tuttora fra loro varj Vescovi e Parrochi e Preti d'ogni condizione,
che ne hanno adottate le massime, e proteggono anche adesso con tanto ardire quest'insano ed ormai
troppo noto e screditato partito in Olanda, in Francia, in Italia ed altrove.
Che cosa sia poi quell'odiosità, che vorrebbe escludere togliendo ai Regolari l'incombenza di
accudire a questi affari, non ben s'intende: che non pare credibile, ch'egli abbia nudrito pei loro
Ordini tanta pietà dopo aver procurato d'infamarli in tante guise. Sarà forse l'odiosità che incontra
presso i malvagi il tribunal della Fede: ma questa è inevitabile in ogni stato, e basta credere per
incontrarla; e se il solo servire il S. Officio ne fosse l'origine, qual vantaggio sarebbe per la Chiesa
di Dio, o quale non soffrirebbe piuttosto grave discapito, se fosse importata nel ceto più nobile? chè
non posso certamente figurarmi il commentatore sì zotico da immaginarsi, che l'odiosità, che
incontra il tribunale presso i malvagi, fosse per cessare, qualora venisse amministrato da Preti
secolari con uguale zelo. I buoni l'avran sempre in gran pregio qualora venga servito con quel
coraggio e quella integrità, che in lui si ammira presentemente: ed i cattivi l'odieranno sempre
egualmente; ed allora solo comincieranno a parlarne meno male, quando lo scopriranno meno attivo
e molesto ai loro traviamenti, e meno vantaggioso alla Chiesa.
Che importa poi, o che può giovare alle mire del commentatore se i Domenicani stanchi una
volta e intimoriti dalle stragi che facevano gli Eretici de' loro Inquisitori hanno cercato d'essere
dispensati da un'impiego, che li esponeva a tanto rischio? si può dedurre da questo, che non la loro
professione adunque e stato, ma il solo officio dispiaceva ai cattivi, il quale non potendo
mutar'indole e natura in qualunque mano ritrovisi, se pure deve riuscir vantaggioso, non può essere
che ridicolo e sciocco il progetto di chi vorrebbe farlo passare dalle mani de' Regolari in quelle de'
Chierici secolari. Fu ben lontano dal pensare così strambamente il gran Pontefice Gregorio IX., che
invece di accettare la loro dimissione, li esortò a continuare con coraggio, assicurandoli che
divenivano per tal modo tanto più accetti ai buoni e vantaggiosi alla Chiesa, quanto più odiosi agli
empj e formidabili all'empietà ed all'errore; e nella lettera che scrisse a Gioanni Inquisitor di
Vicenza, che sembrava più degli altri avvilito [351] pei molti strapazzi che riportava dai
miscredenti, lo animò ad incontrarli con cristiana fortezza, ed a continuar nell'impiego,
209
assicurandolo che più delle sue pene avrebbe risentito con dispiacere il suo abbattimento
(790)
: Nihil
magis metuimus, quam si erubescere te gloriosum crucis opprobrium sentiremus. Non est super
magistrum discipulus, nec supra dominum suum servus. Si patremfamilias vocaverunt Belzebub,
quid de discipulis suis dicturi sunt et facturi?
Incoraggiti da. queste paterne ammonizioni del Padre universale de' Credenti hanno deposto i
Domenicani e Francescani ogni ripugnanza a così santa incombenza; ed avendola poi continuata
con quella fedeltà e intrepidezza, che raccontano le storie, sono riusciti di quel vantaggio alla Fede,
di quel presidio alla Chiesa e di quella gloria al loro stess'Ordine, che non può ignorarsi se non da
chi chiude gli occhj a bella posta per non vederla. In vista poi di sì gran bene non crederò mai che i
due Ordini rispettabilissimi siano per ricercare adesso d'essere dispensati da un tale impiego. Egli è
divenuto da gran tempo uno de' loro maggiori ornamenti ed uno de' mezzi più efficaci per
conseguire il fine per cui furono istituiti, e conservare quello splendore di dottrina e pietà che li ha
distinti mai sempre. Vengono per lui tutti i loro alunni animati prima di conseguirlo a continuare
con coraggio la lodevole carriera dello studio e della perfezione, sicuri d'avere in fine come
impiegare utilmente il loro talento se si distinguono dagli altri; e tutti ricevono dalla religiosità e
buon'esempj di quelli, che l'hanno già conseguito, nuovi stimoli ed eccitamenti a non istancarsi
giammai nell'intrapresa carriera: chè non possono soggetti così qualificati e distinti non riuscire di
grande edificazione ai confratelli in ogni maniera di regolare osservanza, di gran lume negli affari
più intralciati delle Provincie e Conventi e di grande ajuto e presidio nelle cose di
maggior'ìmportanza. E quest'è che oltre lo zelo della cattolica Religione ha resi ne' tempì da noi non
molto lontani (e non lo poteva ignorare il curiosissimo commentatore) i detti Ordini premurosissimi
dì conservare quest'impiego nel loro ceto. Quest'è che li impegnerà sempre ad assisterlo con ogni
premura finchè piacerà alla S. Sede di servirsi dell'opera loro in sì gelosa incombenza: e questo
[352] è in fine che renderà sempre inutili tutti gli sforzi e del commentatore e di quant'altri
volessero succedergli in quest'impegno per degradarli.
Convien dire però che anche il commentatore si sia avveduto della difficoltà di una tale
impresa, e più ancora delle meschine forze che usava per eseguirla, se abbandonata la mal sicura e
sempre incerta strada delle congetture a quelle si è appigliato dell'autorità e della sperienza, le più
doviziose bensì e le più sicure, ma le più facili ancora e le più opportune per imposturare e
sorprendere; e di questa dà per malevadrice l'Inquisizione di Spagna, dove è stato da gran tempo
eseguito il suo piano, di quella spaccia per pietra fondamentale la Bolla di Paolo III., dalla quale lo
suppone prescritto. Ma queste strade non riescono per lui meno intralciate e scoscese dell'altre. Per
quanto commendevole sia il sistema dell'Inquisizione di Spagna, non potrà mai dare ad intendere ad
alcuno che sia da preferirsi a quello d'Italia. Io disapprovo ciò che spargono i maligni contro la
prima, e ciò che hanno fatto e in Olanda e in Francia e in Napoli allorchè Carlo V. ed il Card. di
Lorena cercavano d'introdurla in quelle contrade: ma non lascio di vedere per questo quanto
maggiori appigli somministri ai malevoli per iscreditarla, e quanto può giovare al commentatore per
invogliarne i paesi d'Italia. Quegli stessi, che ne lodano il metodo assaissimo, non lasciano di
fiancheggiare i loro elogj colla situazione e circostanze di quel clima e paese: e v'è tra loro chi con
tutta ingenuità confessa che quant'è utile e commendevole in quello Stato, tanto diverrebbe nocivo e
disgustoso portato altrove. Che puossi adunque concludere dal suo lustro e favore per dimostrare
che non sarebbe mal fatto il cambio degl'Inquisitori di Regolari che sono in Preti Secolari?
Troverebbe forse in altre parti i principi o così a portata di cambiare l'antico sistema o così
impegnati negli affari ecclesiastici, e gli Ecclesiastici stessi così ben proveduti da poterne sostenere
con egual facilità la magnificenza e decoro, ed i popoli in fine così ben'animati e disposti ad
accoglierla altrove come nelle Spagne? e si potrà sperare che senza queste favorevoli disposizioni
possa essere introdotta e sussistere con ugual fortuna? e non si deve piuttosto temere che l'essere
solo progettata altrove una simil riforma fosse per riuscire così perniciosa come fu vantaggioso alla
Spagna l'averla potuta eseguire? [353]
(790)
Bull. Ord. Praed. tom. 1. const. 95. Tuas recepimus.
210
Per verità non è senza gran mistero che venga progettato ai dì nostri un tale sistema, dopo che
si sa e che il proporlo altrove fu lo stesso che distruggere affatto il tribunal della Fede, e che la sua.
distruzione è stata per lo più preceduta da qualche importuna innovazione: nè io credo di
poter'essere tacciato di molta imprudenza, se a fronte della premura che mostra talvolta per
sostenerlo io concepisco qualche sospetto della cattiva intenzione dell'astuto commentatore, che ha
concepito un tal progetto. Sin dal suo nascere era stata introdotta in Napoli l'Inquisizione delegata, e
per munificenza di quei sovrani vi si era mantenuta pacificamente sino al principio del secolo XVI..
In questo tempo si cominciò a parlare di mutazione e riforma, e in questo tempo appunto cominciò a
decadere per modo che incontrò finalmente una totale ruina. Ferdinando lo voleva sotto la forma di
Spagna, ma nol permisero que' popoli troppo intimoriti dal suo imponente apparato. Intanto non
ebbe luogo la nuova forma, e l'antica fu indebolita per modo che non potè più agire colla solita
libertà e vigore. Rinnovò le premure di Ferdinando l'Imperator Carlo V., che vide più forza nel
tribunale del S. Officio per frenare la luterana perfidia che nelle sue armi; ma andò a voto anche
questa volta il disegno: e perchè invece di avvivare e rinforzare lo zelo de' primi Inquisitori non si
pensò ad altro che a fare in un genere così delicato novità sostanziali, ora con deputare Secolari a
trattar materie di Fede, come fece l'Imperatore in Manfredonia, rigettati giustamente da quei
cittadini che risposero non esser questi affari di principe laico ma del Papa
(791)
, ora con procurare di
far sostituire dal Papa i Preti ai Regolari, come il Rebiba Vescovo di Motula vicario generale
dell'Arcivescovo di Napoli, al quale sono poi succeduti in seguito varj altri vicarj generali sino al
1661., ora col fissare la carica nel Nuncio apostolico, che fu destinato per successore al Piazza
Vescovo di S. Severino e vicario anch'esso dell'Arcivescovo nell'anno suddetto, ora qualch'altro
Vescovo nazionale, il primo de' quali fu Mons. Crescenzio Vescovo di Bitonto, che assunse quella
incombenza due anni dopo, e durò una tale pratica sino a Giberto Vescovo della Cava esercitata da
lui con gran valore sino al 1691.. Ma che riuscì tra tante mutazioni [354] e riforme? È cessata infine
l'Inquisizion delegata in quel regno, e l'ordinaria vescovile podestà, che sussiste tuttora, priva del
forte braccio del supremo Gerarca del Cristianesimo che la istruisca e sostenga temo assai che abbia
conosciuto per prova che è assai debole per sola resistere alla torbida piena di tanti superstiziosi ed
increduli che disturbano quel felice soggiorno. A questo forse aspirava il bravo nostro
commentatore a dispetto delle molte lodi che profonde a favore del tribunal delegato.
Io ne temo con gran ragione: e finch'egli non mostra minore impegno per l'avvilimento e
distruzione de' presenti suoi amministratori, non mi persuaderà mai del contrario. Ma checchè ne
sia, quello che più importa al mio assunto, e che dimostra quanto male a proposito si porti un tale
esempio per mostrare il bisogno di questo cambio, si è il sapersi da noi che la riforma di Spagna è
nata da tutt'altro motivo che dalla poca abilità che avessero dimostrata que' Religiosi, che soli
avevano sostenuta l'Inquisizione sino a quel punto, o da poca soddisfazione che avessero allora i
monarchi delle Spagne dell'Ordine Domenicano. Non hanno mai i Domenicani avuti in quel regno
uomini più grandi e zelanti d'allora: e l'essersi il Papa ed i sovrani serviti di varj di loro anche dopo
la seguita riforma ed anche dopo il famoso Tommaso Turrecremata, che fu il primo de' suoi generali
Inquisitori, l'essere stato destinato per loro soli un posto fisso nel gran Consiglio del tribunale, e
l'aver ricevuto in quel tempo appunto la Spagna dall'Ordine Domenicano dopo tant'altri vantaggi
anche quello che in lei risultava amplissimo della scoperta e conquista del nuovo mondo, che, al
riferire di Vincenzo Baronio
(792)
, Cristoforo Colombo attribuiva in gran parte all'assistenza e sapere
del gran Prelato Diego Deca Domenicano, che gli agevolò la strada all'impresa, è più che bastevole
a persuadere chiunque che se l'Inquisizione è passata allora da quella de' Regolari in mano di alcuni
Vescovi, questo non è certamente nato da inabilità e difetto de' primi amministratori, ma da
circostanze particolari di quella nazione, come vi ho fatto vedere in altra mia lettera.
Molto meno poi il commentatore mi darà ad intendere che la Bolla di Paolo III. prescriva un
tale metodo. Il Pontefice stesso [355] ha mostrato di non capirla in questo senso, avendo provvedute
come prima le Inquisizioni di Regolari; e quanti sono da poi venuti e Papi e Cardinali incombenzati
(791)
Raynald. ad ann. 1510.
(792)
Apologia lib. 5. sect. 1. § 3.
211
di tale provvisione hanno per ben tre secoli continuato sul piede medesimo. Possibile che tanti Papi
e Cardinali non abbiano mai inteso ciò che giunse a scoprire verso la metà del secolo XVIII. la gran
mente del nostro commentatore? o che siano stati di animo così mal disposti da non voler'eseguire
un'ordine manifesto del supremo loro Capo? Ma che dissi di non voler'eseguire? da resistere, dir
doveva, e contraddire a dirittura al medesimo; che sono troppo noti i decreti della Suprema, che
vietano agl'Inquisitori di far vicarj Preti ove sussistono Conventi di Regolari; ed è notissima la Bolla
di Benedetto XIV. più volte mentovata, nella quale rinnova l'ordine medesimo. Sarebbe il
grand'uomo il nostro commentatore, se giunto fosse a scoprire ciò che non videro il de Luca, il
Baronio, il Bellarmino, il Noris e la mente incomparabile del gran Benedetto. Io temo però che
chiunque ha senno in capo sarà sempre disposto a preferire i pensamenti d'uomini sì rari, dati dalla
provvidenza divina a comune istruzione e a gran decoro e presidio del nostro tribunale, a quelli di
un oscuro commentatore, che non iscrive che a sfogo di malnate passioni. Quant'egli abbia sbagliato
nel valutare i disordini del sistema presente l'abbiamo già veduto: ci resta ora ad esaminare quanto
sia mal pratico nel mestiere di rilevare i sentimenti delle Bolle apostoliche. Basta leggerla una sola
volta per iscoprire che o nulla capisce, o l'appoggio che vanta di ritrovare nella Bolla di Paolo III.
altro non è che un pretesto preso da lui per far pompa d'ingegno o per vendicarsi piuttosto di un
tribunale e di un'Ordine, de' quali senza alcun ragionevole motivo si era dichiarato in più incontri
assai malcontento. Fissa Paolo III. in questa Bolla sei Cardinali Inquisitori generali in Roma, e dà
loro la facoltà di suddelegare in altre terre e città quant'altre persone ecclesiastiche stimeranno
opportune: Alias personas ecclesiasticas idoneas, litteratas, & Deum timentes, in Theologia
magistros, seu in altero jurium Doctores, Licentiatos, Baccalaureos, in aliqua Universitate studii
generalis graduatos, in trigesimo eorum aetatis anno ad minus constitutos, seu ecclesiarum
cathedralium Canonicos, vel alias dignitate ecclesiastica praeditos. Udiste? non le ecclesiastiche
dignità e canonicati, ma basta al conveniente rimpiazzo della carica, che i delegati siano quali esser
[356] sogliono i Regolari Maestri in teologia, Baccellieri o Licenziati in qualche Università: e
l'esser questi nominati in primo luogo, e la particola disgiuntiva sive, che divide gli uni dagli altri,
mostra assai chiaramente, che sebbene bastino i canonicati perchè possano essere eletti anche
senz'alcuna laurea, questa però è quella che vien riputata più utile; altrimenti non della disgiuntiva
sive, ma si sarebbe servito della particola congiuntiva et. Coll'accrescere il numero delle qualifiche,
ha voluto facilitare la scelta, non restringerla per modo, che si trovasse a stento come supplire al
bisogno, ciò che succederebbe bene spesso se i soggetti da promoversi all'Inquisitorato esser
dovessero di tutte quelle prerogative adorni, che si cumulano nel testo citato. Quello però che rende
anche più ridicolo il commento del nostro autore si è che anche ammessa la strambissima e prima di
lui non mai ideata spiegazione, non giungerebbe all'intento di escludere i Regolari; non mancando
tra loro e Abati e Dignità e Canonici, che potrebbero essere trascelti a quest'impiego: ed ha il bravo
nostro commentatore la disgrazia non solo d'aver faticato malamente per ottenere un fine cattivo,
ma d'aver faticato inutilmente, perchè tuttociò che porta di più autorevole invece di procurarlo
esclude il suo intento, e conferma i Regolari in quell'impiego ch'hanno da gran tempo ottenuto dalla
S. Sede.
Io nulla trovo in quest'infelice commento che meriti approvazione; e vivo sicuro che niuno
imparziale e giusto estimator delle cose si scosterà mai dal saviissimo sentimento di Monsignor
Devoti, che alludendo forse a questa ridicola produzione scrisse
(793)
, che est reprehensionis causa
injusta & inanis, quod Inquisitores sunt Regulares, qui forte partium studiis abripi posse videntur.
Principio quid vetat Summum Pontificem, qui omnium Ecclesiarum curam & sollicitudinem gerit,
ex Regularibus familiis, quae optime de re christiana meritae sunt, ac saepe functae cum magna
laude sua & aliorum utilitate, amplissimis difficilimisque legationibus, eligere viros doctos &
probos, quorum consilio auctoritate, sapientia ubique integra Religio conservetur? Aggiunge
all'autorità del delegante e merito dei delegati anche la diligenza e premura che usa il tribunale per
impedire gli abusi, dicendo; ubi hi sunt (parla degl'Inquisitori [357] Regolari) haud ipsis quidlibet
(793)
Inst. Canon. Lib. 4. tit. 8. num. 10.
212
audere licet, cum subsint supremae Inquisitioni, cui Pontifex ipse praeest, poenisque gravissimis
provisum sit, ne quis eorum a recta judiciorum methodo, a legibus, a veritate & aequitate discedat:
e l'aggiunta è quanto opportuna altrettanto efficace a smentire quanto il commentatore ha avuto
l'ardire di pubblicare colle stampe a scredito dei gran personaggi che reggono il supremo tribunale
di Roma, e de' subalterni.
E questo basti per una qualunque soluzione del vostro dubbio: che quanto alla confutazione
dell'opuscolo è anche troppo, perchè assai più che dalle private scritture resta disapprovato da quei
fulmini, che ha meritati dalla S. Sede al primo comparire alla luce: ed io lo avrei lasciato volontieri
in quella dimenticanza e in quel obbrobrio in cui cadde al primo comparire alla luce, se voi non
m'aveste eccitato a parlare, e se non mi fosse sembrato cosa mal fatta il trascurare affatto questa
meschinissima produzione, che tratta, benchè con sì poco sale e criterio, del nostro argomento, dopo
d'aver parlato dell'Inquisizion processata, della Riforma d'Italia e di tant'altre infamità tipografiche,
che discorrono dello stesso soggetto. Furono per verità i fulmini della S. Sede assai più miti contro
la medesima di quelli, che l'autore stesso, consapevole delle atroci falsità che spargeva, aveva
predetti nella sua prefazione, e che varj altri avevano creduti assai convenienti: ma i giudici supremi
nel risparmiare al libro quella maggiore infamia, non è, a mio credere, che la giudicassero eccedente
un reato sì grande, ma vollero forse smentir col fatto quella temeraria asserzione, colla quale
vengono ivi in più luoghi spacciati per inerti seguaci e vilissimì approvatori delle opinioni de'
Commissari, e de' consultori, Il commentatore non è più in caso di ravvedersi del suo fatto: e Dio
voglia che lo abbia detestato almeno prima di passare al tribunale di Dio. Ma noi, che lo vediamo
adesso nel suo vero aspetto, disapproviamolo almeno come conviene, e facciamo ai Regolari, che
hanno sostenuto sinora con tanta gloria il tribunale del S. Officio, quella giustizia che loro è dovuta,
credendoli opportuni, decorosi e utilissimi a un tale impiego. Presto vedrete che non sono stati
maltrattati con minor torto i suoi ministri inferiori. Amatemi intanto, che io non lascierò mai
d'essere
213
LETTERA TRENTESIMA
Il tribunale del S. Officio dev'essere assistito dai
suoi Patentati.
ltre il cambio de' suoi principali ministri che il nostro commentatore ha progettato per ruinarlo,
vuole altresì privare il tribunale del S. Officio de' suoi Patentati, ossia de' ministri inferiori,
perchè mancante così di capo e di braccia divenga un tronco informe ed un peso inutile di quella
società, della quale fu per sì lunga stagione ornamento e sostegno. Anche in questo si mostra non
poco incoerente a se stesso: poichè essendo i vicarj foranei, i consultori, gli avvocati fiscali e de'
poveri, i notari ed esecutori in gran numero o Preti o Secolari, pare a me che si sarebbe dovuto
compiacere piuttosto di vedere in qualche parte già eseguito il suo piano, che di cercarne la
rimozione. Ma non ha alcun limite il disordine in chi posseduto da ceca passione prende a
secondarne gl'impulsi. I sofismi più manifesti compariscono ai suoi sguardi dimostrazioni evidenti,
i vizj più deformi segnalate virtù; e a lui si mostra disordinato e guasto tutto ciò che non è al suo
mal talento conforme. Così è avvenuto al misero commentatore e dopo averlo scoperto delirante e
ceco nella mutazione che progetta de' Commissarj ed Inquisitori vedetelo ceco egualmente allorchè
parla de' loro Patentati e ministri. Non reca a lui minor dispiacere il vedere alla testa del tribunale un
Frate, e veder questi attorniato da tanti ministri ed officiali subalterni quanti ne sa immaginare la
fervida sua fantasia per concepirlo mal'organizzato: e pieno di quella rabbia e malcontento, che lo
divora, sclama al capo 8.; Sancti Officii Patentes, uti vocant, ad nauseam populorum,
gubernatorum, Episcoporum distribuunt, aut verius vendunt, magno scelere et sceleratorum
patrocinio. Al rimbombo di sì strepitose espressioni voi penserete forse di vedere adesso il
Commissario e gl'Inquisitori alla testa di una folta schiera di viziosi Patentati, che, come una volta
contro gli Eretici a Capi de' buoni Crocesegnati e a difesa della Religione, vadano ora a mano
armata contro i Vescovi e governi per frastornarli nelle gravi loro [359] incombenze. Ma sappiate
che questo è un sogno del nostro ingegnoso impostore. Hanno i Crocesegnati abbandonato il primo
loro esercizio di assistere colla forza e col denaro i P. Inquisitori contro l'ereticale perfidia, ed
appigliatisi coll'approvazione della S. Sede a quello della penitenza e dell'orazione, più non li
giovano, che con questi mezzi nè ricevono altra ricompensa che il conseguimento di quelle copiose
indulgenze, che piace alla S. Sede di accordar loro ed una caritatevole assistenza e protezione in
questo nuovo esercizio, che ricevono gratuitamente dai rispettivi loro Inquisitori. All'immediato
servizio del tribunale, sono succeduti i Patentati, non però così numerosi e cattivi, come col
bugiardo Fr. Paolo
(794)
si figura il commentatore, nè di quelle prerogative adorni e di quelle
esenzioni, ch'egli s'immagina. Dopo i replicati decreti della sagra Congregazione resi in fine a tutti
notissimi colla famosa Bolla di Benedetto XIV., che comincia Ad supremum justitiae solium
(795)
,
appena tre Patentati s'incontrano privilegiati in que' luoghi e città, dove non ha sede l'Inquisitore, e
cinque dove risiede; e se molti di più se ne contano in Roma, servono per la maggior parte a decoro
piuttosto della Casa, ed a miglior regolamento dell'economia domestica, che a servigio del
tribunale. Que' famigliari e ministri semplici, che oltre a questi s'incontrano negli altri tribunali, non
hanno alcuna esenzione o privilegio reale o personale, se la delazione si eccettua di quell'armi che
sono divenute ormai comuni a tutti i cittadini; e non altro premio aspettano dal fedele e dispendioso
(794)
Discorso dell'origine &c. nella nota al cap. 13.
(795)
Bull. Benedict. XIV. Tom. 4. Const. 46.
O
214
servigio, che somministrano talvolta al sagro tribunale, che le spirituali indulgenze, parte
comunicate loro da' Padri Inquisitori autorizzati a farlo in certe occorrenze dalla S. Sede, parte dalla
S. Sede stessa immediatamente, le quali quanto più giovano ai loro interessi dell'anima, tanto meno
recar possono d'aggravio e disturbo ai governi ed ai popoli.
Ma lo recano almeno que' pochi, che in ricompensa del più intimo e geloso loro servigio forz'è
che godano del beneficio del foro e di qualch'altra esenzione e privilegio? La sola necessità d'avere
questi pochi officiali, e d'averli da altri indipendenti, ha indotto la S. Sede a volerli: chè non sarebbe
che ridicolo [360] quel tribunale, il quale sparso in più luoghi non avesse un giudice almeno
subalterno che lo reggesse, un cancelliere che registrasse e scrivesse i suoi atti, ed un balio che
chiamasse opportunamente in giudizio; e molto più poi se dove far devonsi gli atti maggiori
mancasse di opportuno avvocato fiscale che li dirigesse, e di avvocato de' poveri che le parti
prendesse de' rei. Soffrirebbero forse d'esserne privi, o si contenterebbero di sì pochi ministri que'
Preti, che il commentatore vorrebbe sostituiti ai Regolari, e sotto la direzione de' quali egli prevede
che tutto camminerebbe a dovere? Si contentano di questi soli i Vescovi e gli altri giudici anche
inferiori della Fabbrica, degli Spogli, e di qualunque tribunale anche minore, che stenda la sua
giurisdizione in un territorio di qualch'estensione? Che sarebbe poi se questi pochi ministri o non
avessero ricompensa alcuna delle incessanti loro fatiche, o potessero sott'altri pretesti essere
maltrattati dai malcontenti e vessati a piacere in qualsisia tribunale, anche in odio del buon servigio
che prestano al tribunale maggiore? Non sarebbe egli questo un volere la sussistenza del tribunale, e
distruggerne l'esercizio? un volerlo e non volerlo nel tempo medesimo? Non pensa così
incoerentemente la S. Sede; e non mai ripugnante a se stessa lo ha voluto nella sua istituzione e
nella sua riforma munito de' ministri opportuni: e per cautelarsi da ogni inconveniente ha voluto in
ogni tempo, che nè il loro numero fosse superfluo, nè viziosa la scelta. Ha ottenuto il primo intento
col levare dal ruolo de' privilegiati i troppo numerosi Crocesegnati. Ottiene il secondo collo
sciegliere le più savie e costumate persone, che aver si possono ne' rispettivi paesi, e con limitare le
loro esenzioni per modo, che col minore possibile aggravio degli altri riescano vantaggiose al solo
più libero esercizio del suo tribunale. I vicarj sono Monaci, Preti, Canonici, Frati; e le persone più
cospicue ed accreditate, ch'abbiano i rispettivi paesi, sono gli altri; e tutti hanno la probità e dottrina
che è proporzionata all'impiego. E chi può temere da sì scarso numero di persone sì probe quelle
vessazioni e disturbi, che il commentatore s'immagina?
Eppure non hanno mai fine per lui i disordini nel presente sistema; e si moltiplicano, egli dice,
i Patentati ad nauseam populorum, gubernatorum, Episcoporum: e di questo forse più che d'altro si
lagna costui. Ma questa moltiplicità è falsa dopo i tanti decreti riferiti dalla mentovata Bolla
Benedettina, che li ha ridotti [361] all'indicato numero; e la loro diminuzione è non meno della
Bolla anteriore di molto al suo commento, nè poteva ignorarsi dal nostro autore. È falsa egualmente
la nausea de' popoli, che non avendovi alcun'interesse, neppur riflettono se siano o troppi o pochi:
ed io posso assicurarvi, ch'è maggiore l'inquietudine che soffrono gl'Inquisitori e la suprema
Congregazione degli E. mi Cardinali per resistere alle frequenti istanze delle Comunità, che
vorrebbero introdurre col tribunale anche i Patentati, dove non sono, a propria onorificenza ed a
vantaggio della Religione e pietà, che quella che soffrono nell'ascoltare le lagnanze d'alcune altre,
che vanno a ferire non resistenza delle Patenti, ma l'inevitabile difetto di qualch'uno di loro, che
corretto poi dal tribunale con quella severità e prontezza, che appena sperar potrebbesi da altra
parte, tanto è lungi dal recar loro noja e molestia, che anzi riparato a tempo e con soddisfazione de'
ricorrenti riuscir suole feconda sorgente di benedizioni e di gaudio. Tutto era noto al bravo nostro
commentatore: ma, astuto com'è, lo ha dissimulato con arte, e non pochi ma tutti i Patentati ha
tradotti per prepotenti e viziosi per ricoprirli d'infamia, e prender quindi motivo di crederli quale
spregevole oggetto della pubblica avversione; ed ha fatto appunto quello che rimprovera S.
Agostino
(796)
ai Laici che odiano gli Ecclesiastici, i quali cum de aliquibus, qui sanctum nomen
profitentur, aliquid criminis vel falsi sonuerit, vel veri patuerit, instant, satagunt, ambiunt, ut de
(796)
Epist. 78. al. 137.
215
omnibus hoc credatur. Ma se riesce a lui d'ingannare con quest'arti i deboli, non l'otterrà coi savj e
prudenti, che distinguendo ne' ministri del tribunale alcuni perversi dai molti esemplari e piissimi,
dal castigo, che quelli incontrano frequentemente, prenderanno motivo d'ammirare la giustizia e lo
zelo de' loro Superiori, e dalla pietà degli altri la perfezione ed il merito del tribunale.
Andiamo avanti, e vediamo se i governi ed i Vescovi almeno hanno pei Patentati quella
nausea, che i popoli aver non vogliono. E qui non posso negarvi, che se si trova in qualche paese un
giudice affamato o avaro, il quale si veda volontieri moltiplicar le cause fra le mani per ritirarne un
maggior lucro, a questi non può piacere, che le cause dei Patentati privilegiati [362] vadano sul
tavolino degli Assessori del tribunale del S. Officio, i quali per altro non sono mai Frati, ma Preti o
Laici, come appunto desidera il commentatore. Sono poche, è vero, ma anche il poco piace a chi
non è mai sazio, ed a chi crede perduto tuttociò che va in altrui mano. Ma se si tratta di giudici
integerrimi, che più de' privati vantaggi hanno in mira l'obbedienza dovuta alle sovrane disposizioni
della S. Sede, e più che i proprj comodi desiderano il buon'ordine ed il pubblico bene; sappiate che
non rincresce loro nè punto nè poco questa privativa, che è poi così ragionevole e discreta, che
invece di padrocinare chi ha il torto, come sogna costui, o li giudica con maggior'esattezza e
giustizia di quello che far sogliano gli altri tribunali, o li priva de' privilegj, de' quali vogliono
abusare, e li lascia bene spesso in balia dell'altrui giurisdizione e potere. Non v'ha dubbio che
restino per tal modo moltiplicati i tribunali, e ne discapitino talvolta i proventi d'altrui. Ma che;
vorrebbe forse il commentatore ridurre tutto ad'un solo tribunale, e disapprovare insieme e la
militare giurisdizione, che tanti sudditi esenta dalla civile podestà, e la giurisdizione ecclesiastica,
che giudica privativamente di tante cause e persone? Se la giurisdizione si moltiplica utilmente in
tanti dicasterj, perchè sarà cosa mostruosa ed orribile, che vi si aggiunga anche quella del tribunale
della Fede? Vi sarà, non v'ha dubbio, un tribunale di più: ma non lo attribuirà a disordine chiunque
sappia da Giusto Lipsio, che la moltiplicità de' tribunali tant'è lungi dal recare collisione e disordine,
che anzi per le gelosie, che risvegliano, e per la necessità in cui si trovano di usare
maggior'attenzione e cautela per non rimanere pregiudicati, si moltiplicano con molto vantaggio: e
molto meno poi può essere suscettibile di un tale rimprovero il tribunale del S. Officio, che dalle
Bolle pontificie è stato modellato in maniera da recare agli altri minor'aggravio e disturbo.
È stata la S. Sede in questa parte circospetta e discreta
per modo, che non ha trascurata
alcun'avvertenza, limitazione o riserva per ottenere un tal fine. Leggete la Bolla di Benedetto XIV.,
e vedrete che appunto per questo vuole che le cause civili de' Patentati non siano rimosse da quel
tribunale, qualunque siasi, in cui col consenso del Patentato sono state introdotte; e solo è lasciato
luogo all'appellazione, avuto che abbia in quello il suo corso. Vuole che rei abbiano i litiganti nelle
cause criminali il diritto di restare nel loro tribunale, ma [363] quando sono attori comanda che là
chiamino le parti, dove sono destinate dalla loro condizione e carattere. Nulla godono, se le cause
sono feudali o fiscali o della Fabbrica, o quando si tratta di pagamenti di collette o gabelle: nulla, se
mancano ne' pubblici magistrati ed impieghi: nulla in quelle cause, nelle quali i Chierici delinquenti
non godono il privilegio del foro; e poco assai se cancellieri, artisti, bottegaj o di qualunque altra
condizione cadono in commesso fraudando i pubblici dazj e le particolari imposizioni. E si
lagneranno i Vescovi ed i governatori prudenti di così pochi privilegiati e di privilegj sì moderati e
discreti? Eh vada il commentatore a raccontare queste favole a chi nulla sa di tribunale e di
convenienza! e noi non perdiamo più tempo a rispondere ad un'Opera, che non merita che
disapprovazione e disprezzo. Quest'inezie disprezzate cadono da se in seno del nulla; ed impugnate
vestono se non le sembianze di verità una cert'aria almeno di serietà, che non hanno abbandonate a
quel disprezzo che meritano.
Più che la baldanza del commentatore, che o tutti o in gran parte vorrebbe distrutti i ministri
del tribunale, sarà opportuno che dilegui le calunnie di varj altri suoi nemici, i quali insidiandolo
con più sopraffina malizia, se non di tutti, procurano di privarlo de' suoi più degni e decorosi
officiali, e confondendo il generoso servizio che da questi si presta al tribunal della Fede di Gesù
Cristo coll'interessato e vile che prestano gli altri ministri ai tribunali comuni, lo vanno
pregiudicando per modo, che mentre in tempi meno infelici si recavano a gloria i più distinti
216
personaggi d'essere arrolati nel numero de' Patentati del S. Officio, ora non si trova in alcuni di loro
la stessa disposizione, e non pochi s'incontrano che arrolati ancora si vergognano di prestare la loro
assistenza ed azione così onorifica. Ah! se mai v'incontraste in qualch'uno di quest'infelici,
disingannatelo, ve ne prego, e rammentate al medesimo che è tutto parto di questo secolo tenebroso
un tal rimprovero, e che non è mai stato in tempi meno infelici di questi d'alcun obbrobrio il
difendere la cattolica Religione, e come i patiboli più infami innalzavano allora a gloria immortale
tutti coloro, che vi ascendevano a suo sostegno e difesa, così lo era il difenderla a mano armata
contro gli Eretici. Erano chiamati allora questi bravi difensori milizie di Gesù Cristo, campioni della
Chiesa, atleti del santuario: e i Principi stessi ed i personaggi più illustri non ricusavano di porgere
la nobil destra a sì [364] onorata operazione, ed ai governatori e prefetti si ergevano statue, quando
avevano mostrato nel procurarla impegno maggiore, come di Olrado Treseno Podestà di Milano si
legge nel Corio
(797)
, cui il Senato eresse una statua sulla pubblica piazza, anche perchè Catharos, ut
debuit, ussit: e non isdegnavano i monarchi stessi d'intervenire talvolta alle più terribili esecuzioni,
e prestare la nobil mano alla religiosa ed esemplare vendetta. Come la Fede è la stessa, e non è
diversa nella generosità la maniera, colla quale procede ora il suo tribunale; così è decoroso anche
adesso il servirlo, e non sono che insussistenti menzogne del mondo ingannato quelle, che si
spacciano in contrario, nè si può loro prestare orecchio senza esporsi al pericolo di perire con lui. Si
scioglieranno una volta per divina misericordia sì dense tenebre; e posta allora allo splendore
dell'antica Religione e pietà la cosa nel suo vero aspetto, ritornerà in tanto maggior gloria il servizio
del tribunale in chi lo avrà prestato fedelmente, quanto maggiori sono stati e più frequenti gl'impulsi
d'abbandonarlo. Ed eccovi rassodata la base, e consolidata la mirabile struttura di quel tribunale, che
il commentatore sgraziato aveva cercato di screditare nelle principali sue parti. Altro più non resterà
in appresso a sua totale giustificazione e difesa, che il purgarlo da qualche difetto accessorio, che
venga a lui attribuito dai suoi ingegnosi oppositori; lo che io mi esibisco di fare colle prescritte
riserve, se voi colla solita avvedutezza e criterio mi continuerete il piacere de' vostri comandi: e
intanto passo a dirmi
(797)
Istorie Milanesi part. 2. pag. 222.
217
LETTERA TRENTESIMAPRIMA
Il tribunale del S. Officio non è riuscito d'alcun pregiudizio
ai sovrani.
ileguate le nubi, che l'insidioso commentatore aveva innalzate ad offuscare la luce di quel
tribunale, che ho preso a difendere, e reso per tal modo nel pieno del suo sistema
irreprensibile, passo ora a purgarlo da due altre macchie, le quali come che estrinseche e riguardanti
oggetti al tribunale esteriori sembrar potessero di minore importanza, non hanno lasciato però di
recare a voi qualche apprensione, e sono, a ben riflettere, delle precedenti più interessanti e nocive.
Consistono queste nel pregiudizio, che i nostri contraddittori decantano a piena voce, che
l'istituzione del S. Officio ha recato al principato ed al vescovato, della qual calunnia non si può
ideare nè la più maliziosa nè la più insussistente. Maliziosa, perchè tende a metterlo in cattivo
aspetto presso que' sovrani e que' Pastori medesimi, dai quali aspetta assistenza e soccorso.
Insussistente, perchè non trova dove appoggiarsi. Già vi ho detto in altra mia quanto ha fatto la
Chiesa a favor de' sovrani: vi dico ora, che se questa ha proibito in generale i libri e le dottrine che
si opponevano alla loro maestà, il tribunale del S. Officio ha secondato le sue buone intenzioni,
procedendo con ogni zelo e premura contro chiunque ha avuto l'ardire di sostenerle e difenderle: e
se vi è stato chi con Giuda Galileo antico Eresiarca ha osato di negar loro ogni legittima podestà, e
se qualche Obbesiano l'ha dichiarata infame parto dell'umana prepotenza ed astuzia, o coll'empio
Rousseau ha detto che le si resiste lecitamente quante volte si può impunemente; ha tosto alzato
l'autorevole suo braccio il tribunale della Fede, e colla solita sua attività e vigore ha posto freno al
temerario loro ardimento: e sel sanno tanti Valdesi chiamati per questo ancora in giudizio e castigati
con ogni rigore: sel sanno i Fraticelli ridotti sì spesso fra le tenebre d'oscuro carcere per la loro
avversione ad ogni terrena podestà: e lo sanno finalmente tanti moderni novatori e Masonisti dalla
sua vigilanza scoperti e depressi in tanti luoghi. [366] Ha fatto lo stesso in favore de' Vescovi: e
quando sorsero i semplici sacerdoti a spacciare superbamente una sognata eguaglianza coi loro
Vescovi; e quando vantarono i Regolari alcuni privilegi che pregiudicavano ai diritti del corpo
gerarchico; e quando Regalisti indiscreti tentarono d'inceppare con ingiusti aggravj l'ecclesiastica
podestà, non tardò punto a condannare le perverse loro dottrine e i libri infami, e procedette,
potendo, col dovuto rigore contro chiunque avesse avuto ardimento di sostenerle e proteggerle: ed è
sempre stato dell'una e dell'altra podestà amico così fedele e costante, che le ha sempre volute al
fianco in ogni sua operazione, rendendo questa partecipe delle sue processure e giudizj, affidando
all'altra le esecuzioni delle sentenze più clamorose e pesanti. Se quest'è un'offendere i loro diritti,
lascio a voi il giudicarlo. Certo che niun ministro del S. Officio si sarebbe mai lagnato di certi
Vescovi e di certi sovrani, se avessero mostrata pel proprio tribunale la centesima parte di quella
propensione, ch'egli ha dimostrata per loro. Ma parliamo d'entrambi divisamente, chè riuscirà per
tal modo la nostra difesa più convincente e metodica.
Avete già inteso da altra mia lettera che gli affari di Fede alla sola podestà ecclesiastica
appartengono per disposizione di quel supremo Signore, dal quale dipendono le umane cose e la
stessa podestà de' sovrani; e che questa non è un'incerta opinione di qualche dottore, ma sentimento
fermissimo di tutti i Fedeli, non mai contraddetto da quei sovrani medesimi, che senza cessare
d'esser cattolici sono stati i più gelosi custodi e difensori del loro scettro reale: e questo è tanto vero,
che S. Ambrogio, scrivendo all'Imperator Valentiniano
(798)
, fa le meraviglie, se si dà un solo Fedele
che non lo sappia, e dice che questo diritto è appoggiato ed alla Scrittura ed alla pratica: Certe si vel
(798)
Ep. 21. al. 32. num. 4. tom. 2. Oper.
D
218
Scripturarum seriem divinarum, vel vetera tempora retractemus, quis est qui abnuat in causa Fidei,
in causa, inquam, Fidei Episcopos solere de Imperatoribus Christianis, non Imperatores de
Episcopis judicare? Anzi lo confessa lo stesso Guglielmo Beveregio, benchè Protestante, dove
dice
(799)
, che si de Fide loquamur christiana, et legibus [367] ad ecclesiasticam spectantibus
disciplinam, ipsi etiam Imperatores Christiani ingenue multoties professi sunt, nihil sibi juris in
hujusmodi sanciendis rebus tributum esse... Quia ipse etiam omnium peritissimus legum Imperator
Justinianus in ea fuit sententia, leges nempe civiles non praecedere debere, sed sequi ecclesiasticas,
idque sine dedignatione. E merita correzione in questa parte, come ho accennato altrove, il celebre
Ab. Gauchat, che per trasporto di zelo e forse per desiderio troppo ardente di levare ogni ombra di
mal'intesa odiosità al nostro tribunale si è lasciato cader dalla penna
(800)
, che gli Ecclesiastici paghi
d'aver dichiarati i colpevoli convinti di empietà, non sottoscrivono giammai ai decreti, i quali non
vengono formati che da giudici secolari, l'autorità de' quali emana dal principe, e che l'Inquisizione
anzi che usurpare i suoi diritti, li esercita a suo nome. Regge appena in parte il discorso, se si parla
di soli decreti di mutilazione e di morte, ma non è poi vero che i giudici ecclesiastici non formino
giammai decreti di condanna trattandosi di pene più moderate e discrete, ed è poi sempre falso che
gl'Inquisitori esercitino a nome del principe il loro impiego. È questa una dell'Imposture di Fr.
Paolo, che lo disse nella sua storia un tribunale del principato, e fu smentita con molta energia dal
Cardinal Albici nella risposta alla storia medesima: ed è molto più uno sproposito
dell'ignorantissimo P. Morardi, che chiamò non ha molto i magistrati secolari Inquisitori nati della
Fede, deriso e confutato colla sua solita lepidezza e valore dall'eruditissimo Sig. Can. Guasco nella
sua lettera antimorardica
(801)
. Io ho parlato di ciò nelle lettere 15. e 16.: e supponendo ora quello
ch'ivi ho provato, dico che se i sovrani non hanno alcun diritto nelle cause di Fede, e se le loro leggi
devono essere in questi affari pedisseque non padrone dell'ecclesiastiche disposizioni, niun
pregiudizio possono essi aver riportato dai giudici delegati del Romano Pontefice. Niuno perde ciò
che non ha: e prescindendo da qualche incongrua circostanza, esser dee cosa indifferente pel
principato, che queste cause siano giudicate piuttosto dalla sola ordinaria podestà de' Vescovi, che
dalla stessa unita alla delegata dai Romani Pontefici; [368] e purchè resti intatta in loro
quell'onorificenza, della quale li ha fregiati la provvidenza divina, di potersi mostrare nell'occasione
protettori e difensori della cattolica Religione, non hanno di chi lagnarsi, nè possono soffrire alcun
danno da un tribunale, che spesso implora e desidera la loro assistenza. Ma che dissi l'implora e
desidera? se ne mostra, dir doveva, così premuroso e sollecito, che atto non v'è di convenienza e
d'ossequio, che non usi per ottenerla, e non v'è atto di riconoscenza, che non presti dopo d'averla
ottenuta.
Tal deferenza e riguardo ha avuto la S. Sede pe' rispettivi sovrani nel sistemarlo, che restano
ben compensati i sussidi, che prestano, dalle liberali sue concessioni. Ha accordato loro o in tutto o
in gran parte le confische di que' beni, che appartenevano agli Eretici condannati. Inalterabile ha
voluto che fosse verso di loro la venerazione e rispetto de suoi officiali; ed essi non meno dei
Vescovi restano immuni dalle ordinarie loro processure, nè vi è Inquisitore che ardisca di ricevere
contro di loro alcuna deposizione. Leggete il capitolo Inquisitores delle Decretali di Bonifacio
VIII.
(802)
, e sappiate che sebbene parli dei Vescovi, il Pegna però ed altri, classici autori insegnano,
che comprende ed esenta ogni altra persona di molta distinzione e riguardo. E non è che parto del
gran talento di M. Antonio de Dominis quel terrore, dal quale suppone sorpresi i sovrani a fronte di
un tribunale così ossequioso della loro maestà: e tanto è lungi dall'essere vero che fraternosi
Inquisitores, come egli dice
(803)
, facti sunt vel ipsis principibus formidabiles, che anzi ad altro non
aspirano per ordine espresso della S. Sede che a renderseli affezionati e benevoli, e si vedono bene
spesso prostrati ai piedi del loro trono per implorar protezione e soccorso. Ma v'è anche di più.
(799)
Synodic., seu Pandec. Can. Proleg. num. 2.
(800)
Lettere critiche o Analisi e confutazione di diversi scritti &c. lettera 18.
(801)
Opusc. Critic. tom. 2. opusc. 6.
(802)
Cap. 16. de Haeret. in 6.
(803)
De Repub. Eccles. lib. 7. cap. 8. num. 26.
219
Neppure nel sistemarlo ha ricusata la S. Sede la loro assistenza e consilio, e si è prestata per quanto
è stato possibile al loro genio e piacere; e pochi sono i luoghi ne' quali sia stato introdotto senza le
precedenti preghiere ed istanze de' rispettivi sovrani, come si sa essere accaduto nelle Spagne, in
Portogallo, in Venezia ed ultimamente anche in Parma. In nessun regno o provincia è stato eretto
senza il preventivo consenso [369] di quel governo che dominava in quel tempo, nè ha ottenuta in
alcun luogo altra forma che quella, la quale i principi stessi hanno desiderato che avesse. Hanno
voluto alcuni Re di Napoli, che gli Inquisitori non eseguissero veruna commissione senza
parteciparla al sovrano, ed ottenerne il consenso, e che passasse dal Chiostro al palazzo
arcivescovile e dalle mani de' Frati in quelle de' Preti; e a giudizio di Pietro Giannone medesimo lo
ricercavano
(804)
, e vi è passato talvolta, come ce ne assicurano le più recenti e viridiche storie. Ha
voluto la Repubblica di Venezia che ad ogni esame fossero presenti i suoi ministri, senza però
interloquire; e vi stanno presenti: ha voluto la Spagna sostituire in più luoghi ai Religiosi i Chierici,
ai Teologi i Canonisti, e sono stati sostituiti: ha voluto il gran Maestro di Malta intervenire ai
giudizj del tribunale, quando si tratta di alcuni de' suoi Cavalieri; e v'interviene: ha voluto la
Repubblica di Genova che prima della carcerazione si cercasse il braccio secolare, e si manifestasse
il delitto in genere; e si cerca e si manifesta: ha voluto il Re di Sardegna ridurre gl'Inquisitori del
suo Stato alla semplice denominazione di Vicarj; e li ha ridotti. Ha in somma il Romano Pontefice
messa in pratica con tutti i sovrani l'istruzione, che Giulio III. diede a Mons. Achille Grassi spedito
in Venezia per sistemare gli affari di quelle Inquisizioni, al quale prescrisse di dare alle medesime
qualunque forma fosse stata di maggior soddisfazione della Repubblica, purchè non venisse
accordato al tribunale laico la cognizione e sentenza di queste cause. Ci contentiamo, sono queste le
sue parole riportate da Fr. Paolo al cap. I., ci contentiamo d'ogni forma grata alla Repubblica,
purchè sia citra cognitionem et sententiam. Anzi si è estesa tanto in questa parte la condiscendenza
de' Romani Pontefici, che ne hanno sofferta con pazienza anche la perdita, dove è riuscito ai
malevoli colle imposture e raggiri di ottenerla: e come v'ho detto in altra mia, non hanno mai fatto
alcun passo, trattandosi di coazione temporale, se hanno potuto prevedere che riuscir potesse di
poca soddisfazione de' sovrani medesimi, meno lontani dal lasciar' impunito un trascorso di qualche
perverso Cristiano, che di irritare i prediletti loro Figli, dai quali aspettano sempre protezione e
favori: ed è giunta tant'oltre la loro condiscendenza [370] che ad una semplice preghiera de' sovrani
di Napoli hanno mutato talvolta parere cambiando il finale abbandono in una semplice emenda, e
prendendo cura speciale degli stessi colpevoli che avevano meritati i più severi castighi, come si
legge di Lorenzo Valla
(805)
. E sarà questo un'impugnare e pregiudicare l'autorità de' sovrani? E non
sarà anzi un'autentica prova di ciò, che confessa indotto dall'evidenza l'istesso autore del trattato
della libertà del Clero Gallicano, dove dice che è tutto proprio della Chiesa, e diremo noi della S.
Sede, imitare il governo di Dio, stendendo la sua autorità per tutto il mondo cattolico con efficacia e
dolcezza? Per questo non si dimentica dell'onore dovuto ai principi, conserva illesi i loro diritti,
venera la dignità de' Vescovi, si adatta alle inclinazioni ed usi dei popoli, e matura tutto per tal
modo, che piuttosto che carpirlo con violenza, impetra il consenso e l'obbedienza, ed alletta più
coll'amore, che sforzi per timore, e condiscende talvolta nonchè alla debolezza altrui, ma anche alla
malizia, quando niun pericolo sovrasta alla cattolica Religione: Solemne est Ecclesiae; è l'autore
testè citato che parla, ut in gubernandis Fidelibus divinum regimen imitetur, nec solum a fine usque
ad finem attingat fortiter, sed etiam disponat omnia suaviter. Itaque honoris principibus debiti
meminit, illorum jura servat illaesa, ordine et dignitatem Episcoporum veneratur, populorum studia
et usum attendit, omniaque ita ponderat, ut consensum et obedientiam potius obtineat, quam
extorqueat, amore alliciat, quam timore impellat, nec infirmitati solum, sed interdum etiam malitiae
cedit in iis, quae cum Religionis periculo non sunt conjuncta.
(806)
Ma perdo il tempo nel dimostrare una verità così evidente, che non ha potuto essere oscurata
dai malevoli neppure agli occhj di que' sovrani, che sono stati i più avveduti ed i più gelosi del
(804)
Stor. Civ. lib. 32. cap. 5.
(805)
Soecul. synodale, verb. Laurentius Valla, et Jac. Brucker. Hist. Philosoph. tom. 4. part. 1. pag. 32. edit. Lips. 1743
(806)
Lib. 2. cap. 3.
220
principato; tra i quali non ha certamente l'ultimo luogo l'Imperator Carlo V., che, a dispetto delle
molte calunnie sparse dai Protestanti contro il tribunal della Fede, ha fatto assai più per istabilirlo e
nelle Fiandre e in Napoli, di quello abbia [371] potuto fare la Chiesa per sostenerlo. E prima ancora
di lui s'erano dimostrati del medesimo sentimento Federico II., che lo stese per tutto il vasto suo
impero, S. Lodovico, che lo cercò con premura perchè fosse introdotto nella Francia, Alfonso in
Valenza, Gioanni III. in Portogallo e varj altri principi ne' loro rispettivi paesi. Basta riflettere ai
vantaggi, che la cattolica Religione reca alla società ed al trono, esposti già da me nella lettera 5., e
contestati da Ferdinando III. Imperatore, da cui fu chiamata la Religione cattolica non tantum sui,
verum etiam omnium regnorum basis & fundamentum, per restar convinti del gran bene che porta
loro quel tribunale, che la difende e conserva: nè si troverà solo irragionevole il dubbio di chi
volesse proporre solamente per modo di problema il quesito, se convenga o no il sopprimerlo, ma
ragionevolissimo anzi e parto di somma avvedutezza e prudenza il contegno di Paolo V., dal quale,
come vi ho accennato altrove, erano accarezzati moltissimo i ministri di questo tribunale, perchè da
lui creduti uno de' più validi sostegni della sua pontificale tiara. Il sentimento è di Leonardo Vellio,
che ne stende la massima a tutti i Sovrani cattolici, de' quali egli non crede che si possa dubitare,
quin Reges prudentissimi longo temporis experimento docti austriacae ditioni perniciem semper ab
Haereticis intentari, dudum conceperint animo sensum eundem, ut reputent ab iisdem (i ministri del
S. Officio) sceptrum sibi regnumque vindicari
(807)
. Non si pensa così, almeno da molti ai giorni
nostri, e v'è pur troppo e chi dubita dell'utilità della sua esistenza e chi l'ha giudicata così perniciosa,
che non ha avuto difficoltà di sopprimerlo. Ed io credo che non avrebbe potuto trattenere le lagrime
il buon Vellio suddetto, se dal florido stato, in cui lo vide ai suoi giorni, lo vedesse ora ridotto in
tanta calamità e miseria: e interrogato da chi lo ha debilitato o soppresso di ciò che sembrasse a lui
di una tale impresa, credo che non avrebbe saputo rispondere che colle parole di quel Cavalier
Romano, il quale interrogato dall'Imperator Valentiniano di ciò che credesse intorno la morte data
ad Ezio valoroso capitano dell'Impero, intrepido rispose che hoc ipse videret bene an male; se
tantum scire, quod sibi dexteram [372] altera manu incideret
(808)
. Non altra risposta aspettar si
potrebbe certamente dal Vellio interrogato al nostro proposito; e si darebbe da lui con tanto maggior
senno, quant'è, a parere di S. Fulgenzio
(809)
, l'esercizio della Religione: più di quello dell'armi utile
alla sicurezza e tranquillità de' regni e de' sovrani: magis enim christianum regitur & propagatur
Imperium, dum ecclesiastico statui per universam terram consulitur, quam cum in parte quacumque
terrarum pro temporali securitate pugnatur. Bastò infatti, ai Compromissarj d'Olanda
d'aver'ottenuta qualche mitigazione o sospensione del tribunale del S. Officio per avanzarsi con
maggior facilità a quelle ribellioni ed a quelle stragi, che raccontano le storie
(810)
: ed è bastato ai
Protestanti in Germania, ed agli Ugonotti in Francia l'averne ottenuta in quei paesi la totale
estinzione per dilatarsi ampiamente anche a dispetto de' sovrani divieti, ed a fronte di armate
milizie, che li minacciavano. Io però non dico tanto, nè voglio presagire ai Cattolici, ai quali auguro
ogni bene, avvenimenti funesti, e rispetto con tutto l'ossequio ogni sovrana disposizione. Mi basta
solo di aver dimostrato, che dall'istituzione del S. Officio non possono i principi aver riportato alcun
danno, e che sono chimeriche ed insussistenti e le lesioni, che si fingono fatte alla Sovranità, e il
danno, che il favoloso Voltaire s'immagina ch'abbiano riportati i loro Stati, ne' quali pensa che siasi
per sua cagione e diminuito il commercio e resa più difficile la conversion degli Eretici. Lo
mentisce il fatto; perchè fiorisce assai più il commercio in Cadice, in Cartagena, in Lisbona, in
Genova, in Venezia, in Ancona, in Bologna ed in Roma, dove il tribunale sussiste, che in tant'altri
paesi dove manca. Che se in qualch'uno di quelli, che son privi non che del tribunal della Fede ma
della Fede stessa, si mantiene tuttora nel più florido stato, questo vantaggio è da attribuirsi a
tutt'altra cagione che a questa mancanza; ed io credo che non sarebbe per decader punto ma che
anche i paesi più commercianti aumenterebbero di molto il loro trafico, se unita a tant'altre congrue
(807)
Nell'approvazioni dell'opera de Officio S. Inquisit. del Carena.
(808)
Procop. lib. 1. de bello Vandalico.
(809)
de verit. Praedest. lib. 11. cap. 22.
(810)
Fiumi Schol. verit. p. p. narr. 1. cap. 12. num. 19.
221
circostanze vi regnasse col tribunal della Fede la cattolica Religione, la quale, come abbiamo [373]
già veduto, non distrugge nè deteriora le cose umane, ma le perfeziona ed accresce. Quanto all'altro
danno che accenna il Voltaire, è anche più favoloso del primo; e tanti Eretici, che senza difficoltà e
timore si accostano continuamente ai ministri del S. Officio per essere riuniti al grembo della S.
Madre Chiesa, e ottengono l'intento, mostrano assai chiaramente e la sicurezza che essi hanno
d'essere ricevuti e la prontezza che ha il tribunale d'accoglierli benignamente.
Dovrei parlare adesso dell'ingiuste querele, che movono alcuni col loro antesignano Fr. Paolo
per irritare contro del tribunale la dignità vescovile; ma siccome quest'argomento merita un più
maturo esame, e molto mi sono diffuso
:
in questa, che tocca ormai i confini dell'altre, così a scanso
di qualche mancanza, in cui mi potesse condurre il timore d'annojarvi con un troppo lungo discorso,
o di qualche inesattezza, nella quale cadrebbe facilmente la mia penna già stanca dalla sofferta
fatica, mi riservo d'istruirvi su questa seconda parte del vostro dubbio nel venturo ordinario, e mi
protesto intanto
222
LETTERA TRENTESIMASECONDA
Neppure i Vescovi hanno sofferto alcun danno
dall'istituzione del S. Officio.
ipiglio ora dopo breve riposo la penna, e pago d'aver posto in sicuro, com'era dovere l'autorità
de' sovrani passo ora a parlare con più coraggio di quella de' Vescovi, nel protegger la quale
contro le pretese usurpazioni del S. Officio nè sono i nostri nemici meno imprudenti, perchè
operano senza ragione, nè sono meno incoerenti a loro stessi, perchè mostrano di ammettere nella
sorgente, da cui deriva, quella coazione, che detestano ne' colpevoli che va a ferire. Vantano costoro
una libertà senza freno, allorchè temono che la loro empietà sia per ricevere il meritato castigo; e
tutto è ingiusto ciò che si opera contro di loro; ma se si tratta di abbassar l'autorità del Pontefice,
purchè questa non regga, sono pronti a sostenere qualunque altra, nè hanno difficoltà di abilitare a
punire gli Eretici non che i sovrani ma anche i Vescovi. Io non voglio spogliare nè gli uni nè gli
altri delle loro rispettive prerogative, accordando al Papa i suoi diritti: dico solo, che parlando
coerentemente non sono nella stessa libertà moltissimi de' nostri avversarj dopo d'avere stesi così
ampiamente i limiti della loro tolleranza indiscreta, e che l'autorità del Papa e de' suoi delegati se
non è riuscita di alcun pregiudizio ai sovrani e perchè per loro natura incapaci di seder giudici di
queste cause e perchè trattati con molta condiscendenza e favore dalla S. Sede, com'è stato già
dimostrato, non solo non pregiudica all'ordinaria giurisdizione de' Vescovi, ma serve ai medesimi di
forte ajuto e soccorso alla più facile e sicura esecuzione di una delle più premurose loro
incombenze. Ed è stato un mero irragionevole trasporto di passione vilissima, che ha indotto
Quesnello ad esclamare fuor d'ogni ragione
(811)
, essere un rovesciamento orribile, che venga
preferito un picciol Frate chiamato Inquisitore ai successori degli Apostoli: nè può che per pura
passione aver ciò adottato il commentatore da me [375] altrove confutato, il quale in ogni altra cosa
si mostra tanto contrario ai sentimenti di quest'impostore.
Che non pregiudichi ai Vescovi l'autorità che esercita nelle loro diocesi il Romano Pontefice
l'ho accennato altrove
(812)
, e vel ripeto adesso colle autorevoli parole e proteste che fece S. Gregorio
M. al Vescovo Natale
(813)
ed alla Chiesa di Milano
(814)
, allorchè scrisse al primo; Absit hoc a me, ut
statuta majorum consacerdotibus meis in qualibet Ecclesia infringam; quia mihi injuriam facio, si
fratrum meorum jura perturbo: e all'altra; sicut ab aliis nostra exigimus, ita singulis sua jura
servamus. E lo dimostrò anche meglio coi fatti Gregorio IV., il quale dopo d'aver'esposto quant'egli
aveva operato a sollievo d'un Vescovo perseguitato ed impedito nelle vescovili sue incombenze,
sicut, così scriss'egli a conforto di tutti i Vescovi d'Europa
(815)
, sicut praedicto Fratri S. Petri &
nostrae Sedis auctoritate succurrimus, ita omnibus quibus necesse fuerit &. debemus, subvenire
impigre volumus. Che poi niun pregiudizio abbia recato alla loro autorità collo spedire gl'Inquisitori,
perchè a difesa della Fede cattolica facessero dovunque le sue veci, lo ha deciso Bonifacio VIII.,
riferito dal gran Lambertini
(816)
, in quel canone, in cui si esprime con questi termini: Per hoc, quod
negotium haereticae pravitatis alicui, vel aliquibus ab Apostolica Sede generaliter in aliqua
provincia, civitate vel dioecesi delegatur, dioecesanis Episcopis, quin & ipsi auctoritate ordinaria
vel delegata (si habent) in eodem procedere valeant, nolumus derogari. Prima di lui lo aveva
(811)
Caus. Quesnell. art. 13.
(812)
Lett. 21.
(813)
lib. 2. indict. 10. epist. 37.
(814)
lib. 2. indict. 11. epist. 29.
(815)
Bull. Rom. t. 1. const. 4. p. 177.
(816)
De Syn. dioeces. lib. 9. cap. 4. num. 3.
R
223
testificato anche S. Bonaventura
(817)
, assicurando che le straordinarie delegazioni fatte dai
successori di S. Pietro servivano di decoro e non di pregiudizio alla podestà de' Pastori: pie
providet, ei dice, saluti animorum, et in nullo praejudicat auctoritati Pontificum, tamquam ornans
non deornans ecclesiasticam hierarchiam: ed aveva detto altrove
(818)
, che non est eis praejudicium,
quia non minuitur jurisdictionis eorum potestas ex tali cooperatione aliorum, sed tantum pondus
sollicitudinis et laboris. [376]
È stato, è vero, dopo quest'istituzione insinuato loro di procedere nelle cause di Fede col
metodo e stile del S. Officio se Clemente V. dichiara nulle le loro sentenze, se, dove sussiste,
vengono date senza l'assistenza dell'Inquisitor delegato
(819)
, e difettosi i processi fatti nelle cause di
Fede secondo il metodo delle cause concernenti i delitti comuni: ma chi dirà mai che opportune
istruzioni e leggi salutari prescritte loro dalla prima Sede Madre e maestra di tutto il mondo
cattolico riuscir possano di pregiudizio alla loro autorità ordinaria, e che vi perda qualche cosa
allorchè acquista nuovi lumi ed ajuti e con più stretti nodi resta a lei più subordinata e congiunta?
Ogni Essere, al dir dell'Angelico, divien maggiore per l'avvicinamento al suo superiore; e lo
dimostra assai chiaramente tutta la serie delle create cose, che hanno tanto maggior perfezione
quanto più s'avvicinano all'Esser supremo fonte e sorgente d'ogni bontà. Ma la giurisdizione de'
Vescovi nasce da Dio per mezzo del Romano Pontefice, che li chiama a parte delle sue sollicitudini,
ed è fonte e principio di tutta l'ecclesiastica giurisdizione: non può dunque da lui ricevere alcun
pregiudizio allorchè resta per la delegazione, che fa il Papa di chi deve sedere ai loro fianchi per far
le sue veci nelle cause più gravi e difficili, alla S. Sede più subordinata e vicina, diviene anzi tanto
più rispettabile, più temuta e perfetta quanto più ponderate riescono le sue consulte, meno esposta la
sua autorità, e le sue risoluzioni più maturate ed autentiche.
A che cercare però o autorità che approvino la nostra asserzione, o speculazioni che ne
dimostrino la verità, quando abbiamo dalla stessa sperienza argomenti palmari, che la manifestano,
e nella cautela incredibile usata dai Papi nel sistemarlo una sicura caparra dell'ottima loro
intenzione e della loro venerazione verso la vescovile podestà, di cui non manca un'ingenua
confessione de' Vescovi stessi che la confermano? Anche prima dell'istituzione del S. Officio, già
vel dissi colle parole dello stesso Febronio, ha avuto in costume la S. Sede di spedire in virtù del
suo primato Responsali, Apocrisarj, Legati a latere, Legati messi, Legati nati ed altri ministri, che le
sue veci esercitassero in diverse guise per tutto il mondo cattolico. Parlano di loro Pietro de
Marca
(820)
ed [377] il Tommasino
(821)
. Niun Vescovo allora, niun Metropolitano o Concilio non
affatto dimentico de' suoi doveri o non compreso da spirito di diabolica ambizione li ha mai creduti
infesti alla loro autorità: e se lo furono talvolta, è da attribuirsi a vizio delle persone, che un tal
ministero esercitavano, non al ministero medesimo, checchè ne pensi in contrario l'anonimo autore
del libro de Legatis et Nunciis Pontificum stampato in Germania nel 1785., chè sono troppo chiare
le espressioni di S. Leone, colle quali dichiara che commettendo un tale officio ad Anastasio
Vescovo di Tessalonica, vuole salvo ed intatto qualunque vescovile diritto
(822)
; ed è celebre
l'esempio di Bonifacio che per trentasei anni esercitò in Germania un tale impiego sotto varj
Pontefici senza rincrescimento e querela d'alcuno. Ce ne assicura Pietro de Marca, che di lui scrisse
così
(823)
; Bonifacius Episcopus Moguntinus a Sede apostolica missus est ad erudiendos in Fide
populos Germaniae idolis addictos, et ut Episcopos in Gallia restitui procuraret, qui vicariatum
suum exercuit cum consensu Regum et Episcoporum, quorum intererat, nulla iniuria facta juri
principium et Conciliorum. Ma se con tanta pace e tranquillità e senza lesione alcuna sono state
praticate ne' tempi più felici della Chiesa sì ampie delegazioni, chi può temere qualche grave danno
(817)
Apol. Pauper. opus. 2. c. 3. §. 14.
(818)
Opusc. 4. tract. Quare &c.
(819)
Cap. 7. de Haeret. in 6., Clement. 1. eod.
(820)
Concor. lib. 5. cap. 4.
(821)
de Eccles. Discipl. lib. 1. cap. 108. & lib. 2. cap. 18.
(822)
Bull. Rom. Tom. 1. pag. 31.
(823)
Concor. lib. 5. cap. 4.
224
e ruina da quelle, che per soli affari di Fede si fanno adesso di semplici Religiosi, ai quali oltre la
vastità delle moltiplici incombenze manca ancora il potere di agire senza la presenza e l'assistenza
de' Vescovi, e più che giudici aver si possono per semplici relatori, e meri esecutori delle loro
cause? Avrebbe luogo un tale sospetto, se queste delegazioni nascessero da chi non ben sicuro della
propria autorità e ristretto tra confini troppo limitati ed angusti potesse trovare qualche vantaggio
nel dilatarla a spese altrui: ma nata dal Papa, fonte e principio di tutta l'ecclesiastica giurisdizione,
dal Papa, che non riconosce alcun limite nella pienezza di quella podestà che ha ricevuta da Dio, dal
Papa finalmente, che non trova ne' Vescovi che fratelli amatissimi chiamati a parte delle sue
sollicitudini, chi può temere che voglia riuscir loro di pregiudizio e d'aggravio? Chi ne può dubitare
che sappia la soda base, su cui si fonda la pontificia autorità, il molto vantaggio che trova nella
[378] Vescovile assistenza ed i molti riguardi che ha avuti pe' Vescovi quando ha voluto col mezzo
de' suoi. Delegati ajutarli e soccorrerli?
Udiste dall'antecedente mia lettera quanto ha fatto la S. Sede per mostrare in quest'incontri
venerazione e rispetto verso i sovrani: sentite ora quanto è stata liberale e propensa colla dignità
vescovile. Niun'Inquisitore intraprende l'impostogli ministero senza prima presentare al Vescovo
una lettera della Congregazione, che raccomanda alla sua assistenza e la persona e l'officio. Niuno
di loro si trattiene in qualunque luogo senza ricevere pressanti lettere, nelle quali viene loro ingiunto
di passarsela coi Vescovi in buona armonia, e di prestar loro i convenienti officj di venerazione e
rispetto. Niuno ha mai avuta autorità ordinaria di procedere contro di loro: chè nell'antico sistema
era loro vietato dalle citate decretali di Bonifacio VIII., nel nuovo da Paolo III.
(824)
. I Vescovi
ancora sono chiamati prima di ultimare le cause: e se ambi, come possono di fatti, hanno proceduto,
si comunicano in fine gli Atti. Non si pronuncia sentenza, nè si prende alcuna gravosa risoluzione
d'esame rigorosa
(825)
o di qualche castigo senza il loro consenso; e se discordano talvolta, non cede
il Vescovo all'Inquisitore, ma resta sospesa la risoluzione finchè non giunga l'oracolo supremo della
S. Sede: e nell'informazioni e suppliche tanto si deferisce loro dagl'Inquisitori e dalla Suprema, che
più che congiudici e socj del tribunale delegato sembrar potrebbono i Vescovi talvolta direttori ed
arbitri del medesimo. Può darsi di questo favore e convenienza maggiore? Que' soli Vescovi non
riconoscono una sì grande parzialità, e si lagnano di una compagnia sì vantaggiosa e discreta, i quali
o privi di zelo non curano i mezzi più efficaci per supplire alle gravi loro incombenze, o privi di
cognizioni non sanno la decorosa maniera, colla quale vengono assistiti. I più colti ed informati
hanno sempre pensato ed operato diversamente, ed hanno cercato d'introdurre gl'Inquisitori dove
non erano, ed hanno procurato con ogni premura di farli ritornare dov'erano stati banditi,
confermando per tal modo colla loro approvazione quella convenienza e rispetto pel loro carattere,
che v'ho accennato poch'anzi, e che è inseparabile dal tribunal della Fede. Sentite come ne parla
Mons. Devoti nelle sue celebratissime Istituzioni Canoniche: Officium hoc (di castigar gli Eretici),
et haec potestas [379] Episcopo non adimitur per Inquisitores, sed hi instituti sunt, ut ei opem
ferant, ut quas ipse neglexit partes expleant, ut pluribus subjecta oculis tutior sit integritas Fidei, ut
qui unam particularem, et qui totam universalem Ecclesiam regit simul collatis consiliis et opibus
custodiant Religionem,
qua nihil christiano homini antiquius esse debet
(826)
. Varj sono gli esempj,
che addur potrei di queste premure; ma per non dilungarmi mi contenterò di quelli che sono o più
noti o a noi più vicini. Furono privati ai giorni nostri di questo sussidio i Vescovi dello stato di
Parma; ma ne piansero la fatale caduta, e pronti si mossero a ricercarlo avidamente e al Romano
Pontefice e al loro sovrano pietosissimo: nè lo ricercarono invano. Lo richiese dalle più rimote
contrade del Malabar nel 1599. in un suo Sinodo diocesano Mons. Alessio di Molessis, scrivendo,
Venerabundo et obsequenti animo una cum omnibus Sacerdotibus ac fideli populo hujus dioeceseos
se subjicit haec Sinodus sancto, integro, justo et necessario S. Officii tribunali in his partibus
existenti.... Supplicat etiam dom. Inquisitoribus, ut velint, ne opportunum remedium animabus desit,
(824)
apud Eymer. ad calc, director. Const. In apostolici culminis.
(825)
"Esame rigorosa": leggi "tortura". (N. d. R.)
(826)
lib. 4. tit. 8. num. 6.
225
Commissarios suos instituere in hac dioecesi
(827)
. Lo hanno ricercato, non sono molti anni, gli
Arcivescovi di Firenze, di Pisa, e di Siena, i quali, scoperto appena che il nuovo concordato di
Benedetto XIV. coll'Imperatore Francesco aveva messe quell'Inquisizioni in qualche perniciosa
inazione, furono i primi a lagnarsene presso Clemente XIII. suo successore, e furono i più efficaci
promotori di quelle istanze, che per riparare al disordine passarono dal trono pontificio alla Maestà
dell'Imperatore
(828)
. E si può dire in qualche vero senso, che lo ricercano anche adesso tant'altri, i
quali si lagnano, incessantemente presso la prima Sede dell'impossibilità, in cui si trovano di
riparare senza questo sussidio all'inondante incredulità e dissolutezza, e cercano dal tribunale di
Roma direzione e consilio.
Nè i soli Vescovi sparsi per le varie parti del mondo cattolico si sono mostrati di questo
giustissimo sentimento, ma l'hanno conservato anche congregati in Concilio, e l'hanno spiegato
assai bene: e per non ripetere ciò che ho accennato altrove, passo sotto silenzio quanto a sua gloria e
presidio s'incontra ne' Concilj Viennense, Costanziense e in quelli di Siena e di Basilea, ed in
cent'altri provinciali e nazionali Concilj; solo mi [380] contenterò di descrivere ciò che leggiamo
nella storia del Concilio di Trento
(829)
, nel quale, non hanno i Vescovi mostrato minore zelo per
sostenere il decoro della loro dignità, che premura per conservare il tribunal della Fede. Si mostrò
quello nelle molte cose che ordinò a moderazione e riforma dell'eccessive esenzioni de' Regolari:
comparve questa: nella prudente ritirata che fecero dalle concertate risoluzioni, per solo sospetto,
che potessero riuscire di qualche pregiudizio al medesimo, e nella cortese udienza che prestarono
all'energico discorso del P. Gio: Battista Burgos Agostiniano, che predicando nella seconda
domenica dell'Avvento li esortò ad usare ogni diligenza per estirpare nello spuntare de' primi
germogli i nuovi errori, vocatis etiam ad eam rem, qui opem ferant; e nelle lodi finalmente che
diede alla Spagna per la molta felicità, che trovava nel suo tribunale di vincere l'eresia e di
espugnare gli. Eretici
(830)
. È vero che nè il Concilio nè il Papa si dimostrarono molto propensi alle
premure del Re Cattolico, che cercava di dilatare il sistema dell'Inquisizione di Spagna anche ne'
paesi d'Italia: ma anche Fr. Paolo
(831)
accenna, che questa riserva non nacque che dal desiderio di
preservare intatta l'autorità vescovile, che in quel sistema non sembrava ad alcuni risparmiata
abbastanza: e per dileguare ogni ombra e sospetto d'aggravio hanno preferito al più forte il metodo
più favorevole alla vescovile podestà
(832)
, quale era appunto quello d'Italia, contro del quale non
nacque in quel venerabile consesso alcuna benchè minima lagnanza. Eppure non era ancora ridotto
in quel tempo a quella perfezione, che acquistò in appresso. Eppure agiva allora con minore
circospezione e riserva. L'apostata stesso Marc'Antonio de Dominis, che fu il primo tra i Vescovi, al
quale dispiacque la sua istituzione, perchè nulla volle approvare di ciò, che avevano fatto i
Pontefici, lo vide sì poco molesto alla giurisdizion vescovile, che sebbene sussistesse sin dai suoi
tempi in Dalmazia dove egli era Vescovo, pure appena lo tocca in questo aspetto, e solo si sforza,
ma inutilmente, di mostrare, che è stato di pregiudizio alla maestà dei sovrani ed alla libertà della
Fede
(833)
. Sapete chi prima e [381] più d'ogni altro si è riscaldato su questo punto? uno che non è
stato mai Vescovo, ma ha desiderato di esserlo
(834)
con quel trasporto di ambizione, che tanto
disdice ad un tal grado, e per divina disposizione suol'andar sempre deluso; vi si è riscaldato più
d'ogn'altro Fr. Paolo, il quale in quest'istituzione vede una mortale ferita data alla podestà vescovile;
e ne' ripieghi che finge inventati dai Papi per acquietare i loro clamori, scorge una nuova insidia per
ingannarli. Ma nemico com'egli si mostra di tutto l'Ordine ecclesiastico, e sostenitore troppo
appassionato della podestà secolare, non merita alcuna fede; ed i savj e religiosi Pastori non
cesseranno mai di approvare i sentimenti giustissimi del Seripando riportati dal Cardinal Pallavicini
(827)
Concil. Labb. Supplem. Tom. 6. p. 53.
(828)
Memoria al Nuncio di Vienna
(829)
Sess. 24. cap. 5. de Reform.
(830)
Tom. 20. Concil. Labb
(831)
Stor. del Concil. lib. 8. pag. 740.,
(832)
Pallavic. Stor. del Conc. lib. 22. cap. 8.
(833)
de Repub. Eccles. lib. 6. cap. 5. num. 162.
(834)
Una calunnia di comodo: cfr. Vita del Padre Paolo di Fulgenzio Micanzio. Testo su [www. liberliber. it] . (N. d. R.)
226
nella storia del Concilio di Trento
(835)
, che nel sostenere i privilegi dei Regolari meritarono
l'approvazione di tutti, a differenza di Monsig. Martelli, il quale incontrò il comune disprezzo per
aver voluto riprovare con soverchio ardire le piccole esenzioni, privilegi e diritti che si lasciavano ai
Regolari più a difesa della loro attività e a loro migliore regolamento interiore, che a ricompensa
delle loro fatiche
(836)
. Io non farò che adattare agl'Inquisitori ciò che disse allora il Seripando
parlando della sola predicazione, che quadra a meraviglia anche al nostro proposito, e mostra ad
evidenza come la vescovile dignità viene dalle loro fatiche sollevata piuttosto che avvilita e
depressa. Nascere diss'egli la loro opportunità non dalla incapacità e negligenza de' Vescovi, come
pure si è immaginato taluno, ma dalla misera condizione della natura umana, che inferma e debole
com'è non basta a supplire alle gravi e moltiplicate incombenze senza il soccorso di molti, e
dall'esser le cure del Vescovato, e per la moltiplicità de' Fedeli, e per esser giunte al più bel colmo
di sua perfezione, cresciute per modo, che non può il solo Vescovo supplire a tutto esattamente e
siccome ha bisogno e di Parrochi e Pastori inferiori, fra i quali divider la cura dell'amministrazione
dei sagramenti, e per una più immediata e frequente assistenza alle sue pecorelle di altri coadiutori
ministri, che le pascano senza ritardo con salutari istruzioni; così ha bisogno di giudici delegati, che
a lui si uniscano per castigare gl'increduli: e quest'aiuto essere tanto più da desiderarsi da loro,
quanto è maggiore l'influsso che riceve dalla [382] principale sorgente della loro grandezza, quanto
più intralciati e difficili riescono per ordinario questi affari, e quanto è più pericoloso il correggere
che l'istruire.
Sono dunque favole quelle, che con Fr. Paolo vi hanno raccontato le vostre gazzette; e potete
adesso viver sicuro che sono vane chimere e maliziosi pretesti i pregiudizj recati dal S. Officio
all'Ordine vescovile, che spacciano i malevoli per iscreditarlo. Volete sapere quello che ha fatto
realmente, ed è forse la sola cagione di tante calunnie e rimproveri? Ve lo indica l'autore anonimo
nella lettera, che scrisse i 10. maggio 1763. sul decreto del Parlamento di Parigi, colle seguenti
espressioni: L'Inquisizione fu stabilita per arrestare i progressi dell'errore; ed ella ha ottimamente
adempiuto al fine della sua istituzione presso i nostri vicini. Alle funzioni di un tal tribunale la
Spagna in particolare è debitrice di non aver mai vedute le sue provincie bagnate del sangue de'
suoi cittadini armati dall'eresia e dal fanatismo. Alle funzioni di questo Tribunale i Re stessi di
Spagna debbono il non essere stati esclusi dal trono per arresto del Consiglio di Castiglia, il non
essere stati ridotti a soggiogare sudditi indocili, che abusassero della Religione per santificare la
loro rivolta. Perchè nella Spagna vi è un'Inquisizione, non ci si veggono Eretici, nè si sono vedute
leghe, barricate, guerre civili. In una parola, tutti questi errori sono sconosciuti ne' paesi
d'Inquisizione. Sono eglino per preferenza venuti a piombare sugli Stati, che non conoscono questo
tribunale. La nostra patria n'è stata più d'una volta, e n'è ancora la vittima..... Se questo tribunale
stabilito da principio tra noi avesse potuto perpetuarcisi, noi avremmo più oltremontanismo; ma
avremmo noi de' Filosofi? avremmo noi degli Enciclopedisti? avremmo noi degli scrittori pronti ad
ingiuriare il Capo della Chiesa, e la corte di Roma? aggiungerò io: tutto l'Ordine sagro ed il
principato? Nè la sola Inquisizione di Spagna è stata sì profittevole alla Chiesa ed allo Stato, ma
anche quella d'Italia; e ce n'assicura il celebre Lodovico Muratori
(837)
, che alla sua vigilanza e
attività attribuisce il ritardo de' progressi de' Protestanti in molte parti d'Europa e la totale
preservazione dell'Italia. Sono questi i pregiudizj, che la S. Sede ha recati all'una e all'altra società
coll'istituzione del tribunale del S. Officio. Sono queste [383] le conseguenze non immaginarie, ma
vere, che porta seco dove egli sussiste. Sono questi i vantaggi che fa sperare dovunque è rimosso.
Tutto il frutto delle instancabili sue opposizioni e fatiche ridonda in altrui sollievo; ed alla S. Sede
non resta che l'inevitabile odiosità, che porta seco presso i malvagi la nojosa incombenza di doverli
molestare e correggere, la quale per altro viene compensata abbastanza e dall'applauso ed
approvazione, che riscuote per questo da tutti i buoni e costumati Cristiani, e dall'utile stesso che ne
riportano e la civile e la cattolica società. E finchè non riesce ai nemici del tribunale di dimostrare,
(835)
lib. 7. cap. 5. num. 9.
(836)
ibid. lib. 7. cap. 4. num. 12. & 13.
(837)
de Ingen. Moderat. Lib. 2. e 9.., & t. 5. Antiqu. Ital. Dis. 60.
227
che il sostenere, com'ha fatto tante volte la S. Sede, sulla testa de' sovrani le vacillanti corone, il
pacificarli coi nemici più formidabili, il rendere i loro sudditi più obbedienti e soggetti ai loro cenni,
è riuscito loro di gran pregiudizio e ruina; e finchè non potranno mostrare che è stato di grave danno
ai Vescovi il difendere, com'ha fatto maisempre, i loro beni, perchè da mani rapaci ed ingorde non
fossero involati, il sostenere le essenziali loro prerogative, il sottrarli da incompetenti soggezioni e
dipendenze, e il proteggerli perseguitati, l'accoglierli fuggitivi ed il mantenerli mendici;
s'adopreranno in vano per far credere che abbia dato la S. Sede un minimo contrassegno non dirò
d'avversione ma neppure di poca premura e rispetto pel loro grado. Gli argomenti, che vanno
mendicando dall'istituzione del tribunale del S. Officio, sono tanto inetti a giovare a quest'intento,
che dimostrano piuttosto il contrario, e non possono essere usati con profitto se non da chi fa i
principi Capi della cattolica Religione, i Vescovi Papi nelle loro diocesi, ed altro non vede nel vero
Papa che un puro Vescovo, che non ha fuori di Roma alcuna ingerenza e potere. Ma queste sono
eresie che fanno inorridire chiunque le ascolta: non possono dunque servire di alcun presidio alle
chimeriche loro dimostrazioni, che ogni ragion vuole che siano accolte con quel disprezzo che
meritano i principj dai quali discendono. Disprezzatele anche voi con quel coraggio, che v'ispira la
Religione che professate, e persuaso che dall'istituzione del tribunale del S. Officio non possono i
Vescovi ed i sovrani riportare che onore e vantaggio, raccogliete quant'altri difetti sono stati
attribuiti al medesimo, e andatemeli proponendo successivamente; che pronto io a darvi in tutto
un'abbondante soddisfazione, avrete voi sempre nuovi ed incontrastabili argomenti di valutarmi
qual sono
228
LETTERA TRENTESIMATERZA
A torto si dà al S. Officio la taccia di rigoroso
e crudele.
onvien dire che abbiate trovata assai volte ripetuta l'imputazione d'inumano e crudele a carico
del tribunale del S. Officio, o che l'abbiate almeno veduta effigiata a colori assai vivi, se a
fronte della vantaggiosa opinione, che ha destata in voi il giusto e vero ritratto, che ve ne ho fatto, vi
lasciate uscir dalla penna, che non può negarsi che sia stato talvolta e si conservi tuttora alquanto
severo: e sebbene voi cercate di scusarlo colle circostanze de' tempi e colla gravità dei pericoli, le
quali esigono talora asprezza e rigore; non lasciate però di crederlo tuttora suscettibile di maggiore
moderazione e dolcezza. Io non debbo lasciarvi in quest'inganno: e perchè questa è una calunnia
tanto più insussistente, quanto più ripetuta, io m'impegno a dimostrarvelo colla maggior evidenza. E
vi dico, in primo luogo, che convien distinguere dalla crudeltà il rigore; e se quella è sempre
viziosa, perchè eccede i limiti della giustizia, non lo è sempre questo, che li rispetta con tanta
premura, che ne conserva ogni apice: e non sono pochi i casi, nei quali si verifica ciò, che scrisse S.
Agostino a Vincenzo
(838)
, che meliora sunt vulnera amici, quam voluntaria oscula inimici; melius
est cum severitate diligere, quam cum lenitate decipere.......& qui phreneticum ligat, & qui
lethargicum excitat, ambobus molestus ambos amat. Voi stesso avete accennato poc'anzi la
maniera, colla quale possono essere giustificati gli antichi rigori, se pure son veri: ma io non ho
bisogno di questo ripiego; perchè, come ho detto, parlo non dell'antico ma del tribunale presente, e
lo considero non secondo i fatti particolari, che si dicono accaduti, ma secondo le generali sue
regole e massime fondamentali, che ha sempre osservate con gelosia; ond'è che per altra strada
prendo ora a mostrarvi, [385] che non soffre una tale eccezione; e mi dica pure chi ha l'ardire di
sostenere il contrario in qual maniera eserciti la crudeltà, ch'io son pronto a dargli la conveniente
soddisfazione. È egli crudele nell'impor pene eccedenti la gravità del delitto, o nel modo di
procedere inumano e crudele? Nell'una e nell'altra guisa voi dite, che viene a lui rinfacciata la
crudeltà: e le ultime storie, quella cioè di Colonia e di Firenze, non contente d'avere colle parole
esagerata quest'inumana fierezza, l'hanno voluta delineare anche in alcuni rami, ne' quali si mettono
sottocchio e quegl'infelici, che vengono abbruciati e quei miserabili, che sono assoggettati ai
tormenti per poterli abbruciare. Io però non so conciliare tanta fierezza colla costante massima della
Chiesa di trattare gli Eretici con quella maggiore possibile dolcezza, che è conciliabile colla comune
salvezza e tranquillità della Chiesa. L'affettazione stessa, colla quale si procura dagli accennati
storici di persuaderla a forza d'invenzioni e di rami, capaci di sorprendere i soli ignoranti e deboli,
mi persuade che la cosa sia assai diversa da quello che dicono; e credo questa una delle solite
calunnie inventate per iscreditarlo. Che se si volesse ascrivere tanto rigore non al tribunale supremo,
ma ai soli Inquisitori Domenicani, ai quali pare che vogliano restringerlo in ispecial modo il Fleury
ed il Van-Espen, e con maggiore impudenza ancora il tante volte summentovato commentatore
della Bolla di Paolo III., dirò che questo ancora mi sembra incredibile; sì perchè i Domenicani non
sono uomini dissimili agli altri, come anche perchè nelle occorrenze questi più degli altri hanno dati
contrassegni evidenti di moderazione e dolcezza. Per darvene qualche prova non vi rammenterò le
preghiere, che non interpose indarno S. Domenico per liberar dalla morte alcuni impenitenti, de'
quali aveva motivo di credere che si sarebbero poi ravveduti; nè la premura, colla quale il P. Matteo
Ory
(839)
si adoprò e in Parigi e in Roma per liberar S. Ignazio da quelle ingiustissime vessazioni ed
accuse, che lo molestavano. Fu il primo un tratto d'illustrazione e provvidenza straordinaria, che
(838)
Ep. 9. al. 48. cap. 2. num. 4.
(839)
Maffejus in Vita S. Ignatii lib. 1. cap. 20.
C
229
non poco serve a dimostrare le naturali disposizioni di quelli, che sono succeduti nella sua carica: ed
era troppo bella in S. Ignazio la luce delle sue eroiche virtù per non cattivarsi l'amor dell'uomo
[386] anche più inumano e selvaggio. M'asterrò altresì dall'accennarvi la compassione ed il
coraggio, che mostrò Monsignor Hennuyer nell'arrestare in Luxieux sua diocesi la strage detta di S.
Bartolomeo; perchè sebbene il P. Graveson nella sua storia del secolo XIV. e varj altri antichi e
moderni scrittori lo chiamino Domenicano, v'è però chi lo nega: e non trovandolo io nominato tra i
Vescovi nel Bollario dello stesso Ordine, dubito assai se gli si debba attribuire. Dirò soltanto che
non fu il solo Gerardo Vescovo di Parigi, che il primo alzasse la voce contro il tirannicidio
sostenuto dal libro di Giovanni Petit; l'alzò con lui anche Giovanni Pollet Inquisitore Domenicano.
Dirò che fu Domenicano quel Cremonese, di cui parla l'Echard all'anno 1520., che tra i primi si
mosse a procurare il ravvedimento dell'empio Lutero con valore non minor di tant'altri, ma con
maggiore soavità e dolcezza; e che Monsignor Bartolomeo de las Casas, il quale tanto scrisse contro
le crudeltà usate dagl'ingordi soldati nell'Indie, ed il Vittoria, ed il Bannes, che adottarono i
medesimi sentimenti, furono anch'essi Domenicani. Nè ad altri che al brevissimo Pontificato del
Beato Benedetto XI. è da attribuirsi la pace restituita in quei giorni all'Italia, anzi a tutta l'Europa; al
Domenicano Gabriele Gosmano la pacificazione tra[l'] Impero e la Francia, della quale parla il
Ferronio
(840)
; ed al Beato Giovanni da Vicenza la cessazione di tante guerre ed odj intestini, che
ardevano a' suoi giorni in Italia
(841)
. La sola compassione mostrata dal P. Pietro Banchieri in difesa
della fanciulla Gioanna d'Arch, che da tutti perseguitata egli solo prese a difendere con gran
coraggio, minacciando i divini flagelli a que' giudici, che la condannavano, come riferisce il
Mezeray scrittore accurato degli avvenimenti della Francia
(842)
; e la clemenza usata da S. Pio V. con
tanti colpevoli, e specialmente con Sisto Senese, che da Commissario del S. Officio in Roma lo
accolse con benignità, benchè ricaduto nel giudaismo, e ricoperto delle proprie vesti lo cambiò in un
mansueto agnelletto, e lo rese alla Chiesa non meno che alle lettere utilissimo; e la valida difesa che
fece Melchior Cano di quell'infelice, [387] che essendo in procinto di essere dichiarato Eretico
formale dall'Inquisizione di Spagna, mostrò ai penetranti suoi sguardi colle replicate contraddizioni
in vece di un'Eretico un meschino ignorante, e trovò nel pietoso suo cuore il più amorevole e valido
difensore
(843)
; e la pietà in fine usata dal P. Commissario Maccolani col Galileo, con impetrare da
Urbano VIII. il trasporto di lui dal disagiato ritiro del S. Officio al delizioso soggiorno della villa
Medici: tutti questi e cent'altri fatti incontrastabili, io dico, che si potrebbero addurre di Domenicani
portati alla moderazione e clemenza, presso un giusto ed imparziale estimator delle cose bastar
potrebbero a smentire la calunnia, che si volesse loro addossare, d'essere troppo rigorosi e crudeli:
ma non bastano nel tribunale degli inesorabili nostri contradditori, i quali guidati dall'empio
Voltaire, col solo nome di Tommaso Turrecremata, uomo, al dir del Paramo
(844)
, ipsis Pontificibus,
tum Regibus valde gratus atque dilectus.... admirabili judicio praeditus, prudentia insigni, egregia
parsimonia, singularique virtute praeditus; e del quale i più accreditati scrittori, al dire
dell'Echard
(845)
, hanno parlato mai sempre con somma lode, ma ch'essi spacciano per l'uomo più
crudele del mondo, pretendono d'aver diritto di tradurre tutti i Domenicani per inumani e crudeli.
Sono troppo ostinati nel sostenere la loro cabala; ed ha un bel dire Innocenzo IV. nella Bolla, che
comincia Inter alia, data nel 1248.
(846)
, che ha scoperta opportunissima la loro prudenza e destrezza
per sostenere un sì difficile impiego; In Inquisitione facienda contra Haereticos eorumdem Fratrum
solertiam novimus plurimum opportunam; e può ripetere mille volte il Suarez
(847)
, che strenui
propugnatores Fidei ex hoc Ordine tamquam ex equo trojano profecti sunt ad destructionem
munitionum ab Ecclesiae hostibus appositarum; che non cesseranno mai costoro di tradurli per
(840)
Stor. di Francia all'anno 1544.
(841)
Echard. Scriptores &c. ad ann. 1256.
(842)
Histoire de France tom. 2. ann. 1431.
(843)
de Loc. theol. 12. c. 9.
(844)
de Origine &c. lib 2. tit. 2. c. 5.
(845)
Script. Ord. Praed. tom. 1. pag. 802.
(846)
Bullar. Ord. Praed. tom. 1. pag. 184.
(847)
de Relig, tract. 9. lib. 2. cap. 6. num. 12.
230
indiscreti e crudeli: e per confermare questo loro ingiustissimo sentimento adottano quante calunnie
e menzogne [388] raccontano le favole più screditate, ed inventano quante può mai ideare falsità e
chimere il livore e la cabala più maliziosa.
N'abbiamo una prova evidente in ciò che narrano dell'Inquisitore Roberto, uno dei primi e più
celebri sostenitori del nostro tribunale. Di lui ha scritto falsamente Matteo Paris
(848)
, (o piuttosto
così hanno scritto gli Eretici interpolatori della sua storia, i quali non saprei indovinare per qual
fatale combinazione siano stati con sì poca avvedutezza seguitati in questa parte dallo Spondano
(849)
e da Odorico Rainaldo
(850)
) ch'egli fu un'Inquisitore crudele, e che per l'eccessivo rigore non la durò
molto nell'impiego, e fu condannato a perpetuo carcere. Basta questo ai nemici del tribunale per
collocarlo nel numero dei barbari persecutori, ed in vece d'inferire, com'era dovere, dal supposto
castigo che dunque il tribunale non è per indole e sistema crudele, deducono dalle sognate crudeltà
del ministro ch'egli è inumano. E non è molto che una delle vostre gazzette avanzò tant'oltre i
rimproveri, che prese a criticare il Pontefice, perchè aveva con troppa moderazione castigata la di
lui crudeltà. Di questo grand'uomo troverete una valida difesa nel Bollarlo Domenicano
(851)
: e dalla
nota alla Bolla Dudum di Gregorio IX. imparerete, che fu uomo di molta integrità e saviezza, e di
tal valore nel malagevole impiego di difendere la cattolica Religione, che meritò d'essere animato
dallo stesso Pontefice a ritenerlo quand'era in disposizione di esentarsene. Ma che monta ciò presso
costoro? Matteo Paris lo chiama crudele: questo basta perchè si creda tale, e si giudichino
insussistenti le sue discolpe, ed ingiusto quel Papa, che, supposto ancora che l'avesse condannato a
perpetuo carcere, lo avrebbe castigato con troppa moderazione. Così si fanno essi malevadori delle
favole più insussistenti, quando giovano al loro intento, e con una incoerenza inaudita prendono la
difesa ora della moderazione ora del rigore, come più torna loro in acconcio. Nulla vi dico
dell'abuso, che fanno a pregiudizio di tutti Domenicani, del fatto crudelissimo che viene attribuito a
Frà Giacomo Clemente: chè è troppo facile il persuaderselo. A nulla [389] vagliono a discolpar lui
nell'inesorabile loro tribunale i sodi fondamenti e le efficaci ragioni, che ha raccolte il Padre
Graveson per dimostrare che non fu Fr. Giacomo Clemente Domenicano l'assassino d'Enrico III, ma
un'altro coperto con frode delle sue divise
(852)
: nè basta a salvar gli altri dall'obbrobriosa taccia di
regicidi il sapersi la somma detestazione, che ha sempre mostrato l'Ordine stesso di così orribile
eccesso, e la prontezza colla quale il P. Serafino Banchi Domenicano, a detta dell'autore de' Fatti
attinenti etc.
(853)
, accorse a salvare la vita d'Enrico IV., quando fu insidiata la prima volta da Pietro
de la Barrere
(854)
, e la solenne condanna che fece in Parigi, come ho già detto, della perniciosa
opinione del tirannicidio l'Inquisitore Polet. La reità del primo, quantunque non dimostrata
abbastanza serpeggia per ogni dove e si comunica a tutti: e la pietà, compassione e giustizia degli
altri, che, quanto al primo ed ultimo fatto almeno, è incontrastabile, o si mette in dubbio, o si
confina nel cuore di que' soli Domenicani, ai quali viene attribuita, perchè non giovi ad alcuno. Ma
sia pure ciò ch'essi vogliono. Hanno perduta la causa, se riducono i difetti del S. Officio a vizio
delle persone particolari. Io ho preso a difendere non gl'Inquisitori, ma il sistema del tribunale, e
dico che non è mai stato crudele nè quanto alle pene che ha fulminate, nè quanto al metodo, che ha
osservato nel castigare gli Eretici; e le crudeltà arbitrarie, che può aver'usate talvolta un qualche non
lodevole Inquisitore, sono tanto meno da attribuirsi al tribunale, quanto sogliono essere castigate
con più rigore, se avvenga che siano dedotte al tribunale superiore. Scorrete di grazia le ottime
provvidenze prese da Clemente X. e dal Ven. Innocenzo XI. al solo ricorso che fecero alcuni
(848)
Hist. Angl. Ad ann. 1236.
(849)
ad ann. 1235. num. 1.
(850)
ad ann. 1238. num. 52.
(851)
tom. 1. pag. 81.
(852)
Hist. Eccles. tom. 7.
(853)
pag. 147.
(854)
Nella sua foga di difensore d'ufficio e pur di controbattere gli avversari anche facendo uso di mezze verità, l'autore
finge di ignorare il seguito del racconto: infatti viene narrato che per tale vicenda l'Inquisizione tentò di catturare P.
Banchi al fine d'incarcerarlo e sottoporlo a giudizio ad Avignone. Solo l'intervento personale di Enrico IV, consentì al
Domenicano di rifugiarsi a Firenze, sua patria, e godere della protezione del Granduca. (N. d. R.)
231
colpevoli carcerati in Lisbona, per dar loro la meritata soddisfazione, e mitigare quel soverchio
rigore, che si era introdotto colà; poi ditemi, se ad istanza del più potente monarca si potevano
prendere più pronte risoluzioni, e se si poteva porgere più sollecito e più conveniente riparo alle
sciagure di un'innocente di quello che prestò la S. Sede per sollevare da trattamenti indiscreti
infelici colpevoli? Quest'è la pratica costante del supremo tribunale di Roma
(855)
, che d'ogni altro è
norma e base, la quale non influisce [390] meno a purgare se stesso, che i tribunali subalterni da
quelle imputazioni d'ingiusto gravame, che nato fosse talvolta dall'indiscreto procedere di qualche
ministro malpratico. Che se nel chiamarlo crudele non a qualche sbaglio nato accidentalmente si ha
riguardo, ma al suo sistema, e le pene si vogliono criticare e i tormenti, de' quali fa uso ne' giudiciali
processi, qui è dove io pretendo che con maggiore ingiustizia venga accusato; e tosto m'accingo a
dimostrarvelo con ogni evidenza.
Quanto alle pene voi avete già inteso in altre mie chi sia stato, che contro gli Eretici ha
decretato i più severi castighi. Sono stati quei principi cristiani, che autorizzati dal nobile incarico di
proteggere la cattolica Religione, dal quale furono onorati da Dio quando li ricevette nel numero de'
suoi fedeli adoratori, si sono creduti in dovere di munire le troppo miti disposizioni della Chiesa con
le più forti sanzioni, ed hanno creduta cosa ben fatta lo spaventare con pene più rigorose coloro, che
non erano atterriti abbastanza dalle censure ed altre pene ecclesiastiche. Il voler tacciare di crudeli
queste disposizioni, dice assai bene il P. Richini
(856)
, è lo stesso che rivolgere i rimproveri contro i
Costantini, i Teodosj, gli Onorj e cent'altri piissimi legislatori, che le hanno stabilite, confermate ed
accresciute secondo che portava il loro zelo ed il bisogno della cattolica Religione: è un
disapprovare tutti quegli eccellenti dottori e celebri giureconsulti, che nelle loro collezioni e raccolte
hanno dato un'onorifico luogo a queste leggi medesime, nè le hanno mai citate senza premetterne il
giusto encomio: anzi è un rimproverare la Chiesa stessa, che consapevole dell'intrinseca loro equità
e giustizia le ha confermate più volte anche nei generali Concilj, le ha volute inserite nel corpo del
diritto canonico, e non solo non ha mai disapprovato alcuno, che le abbia messe in pratica
legalmente, ma ha condannati i Valdesi, i Wicleffisti, gli Hussiti, i Luterani, i Quesnellisti e quanti
altri Eretici sono insorti in varj tempi a dichiararle crudeli ed ingiuste: Quid demum, dice colla
solita sua erudizione ed eleganza il suddetto Padre, severitatis habet Quaesitorum tribunal, quod
edicta Regum non habeant? Nullae profecto a Fidei censoribus in [391] causa haereseos poenae
infliguntur, quas sacri canones non praescripserint; mitiores vero a juri pontificio, graviores ac
longe plures in iisdem Religionis causis a Caesareo indictae sunt, quarum severitatem vel ipse
Genevensis Senatus, agente Calvino, adversus Michaelem Servetum haereseos insimulatum
aliquando exercuit. Damnent igitur oportent Concilia, Pontifices, Imperatores, suos ipsos
magistratus, qui eam ob rem de sacro Fidei tribunali praepostere adeo atque injuriose
obloquuntur. Già vi ho dimostrato in altra mia, che la morte stessa non è pena che ecceda il reato di
chi indocile si ostina nell'eresia, nella quale non è stato educato: ond'è che il disapprovarla non è
un'opporsi soltanto ai diritti dell'una e dell'altra legislazione, ma alle stesse dimostrazioni più
manifeste e palmari. Pensate poi se saranno eccedenti i ritiri, le carceri, i flagelli e le penose fatiche,
le quali usa adesso il tribunale comunemente, e che sono tanto distanti da quel rigore, che usò la
Chiesa fin dal suo nascere per riconciliare i peccatori, quanto il cielo dalla terra. Era ben'altro tenere
allora gli uomini in penitenza per un sol peccato quindici o vent'anni, come confessa il Fleury che si
praticava ne' primi secoli della Chiesa per tradizione apostolica
(857)
, e talvolta per tutto il corso della
vita; tenerli per anni intieri fuori della porta della chiesa esposti al disprezzo di tutto il mondo; poi
per altri anni farli stare dentro la chiesa prostrati a terra; obbligarli a portar cilicj ai lombi, cenere sul
capo, incolta la barba ed i capelli, digiunare per mesi interi a pane ed acqua, ed a passare e
settimane e mesi ed anni ancora nella più rigida osservanza di monasteri austerissimi; era, dissi,
ben'altro questo rigore che soffrire la vergogna di una pubblica abbjura, il ritiro di qualche mese, e
qualche discreto digiuno e breve esercizio di pietà, al quale è ridotto adesso per ordinario il castigo
(855)
Battaglini Annali etc. ann. 1681. num. 6. e 7.
(856)
Dissert. 1. praefixa oper. Ven. Monetae advers. Catharos et Waldens. N. 6. pag. 30. 31.
(857)
Disc. 2. num. 8.
232
che dà il tribunale agli Eretici. Eppure quelli non possono essere ascritti a crudeltà de' primi Pastori
del cristianesimo, come dimostra Fleury nel citato luogo. E perchè adunque si chiama adesso
crudele il nostro procedere?
Non è però questa sola incoerenza, che fa comparire i nostri oppositori per que' meschini
imbroglioni che sono, e che mostra ad evidenza, che ad altro non mirano le loro ciancie che [392] a
scansare il meritato castigo. Anche nella supposizione che questi castighi fossero ingiusti è
incoerente il rimprovero che ne fanno al tribunale del S. Officio, da cui non sono uscite codeste
leggi, ma sono state venerate soltanto ed eseguite religiosamente, com'era dovere. Finchè queste
leggi resteranno in vigore, lo confessò colla sua filosofica franchezza l'istesso Re di Prussia detto
dai moderni novatori ed increduli il gran Federico
(858)
, che parlando del fatto d'Amiens e delle
giuste risoluzioni prese contro l'incredulo Cavaliere de la Barrere di un tale d'Erallonde, i
magistrati, disse, non potranno dispensarsi dall'uniformarvi i loro giudizj: sarà egli presso costoro
un'oracolo in tutto il resto, e in questo solo diverrà bugiardo e ridicolo? Incoerenza ed ingiustizia
anche maggiore s'incontra in quest'imputazione al vedere che oggi più che mai si trova esagerata dai
nemici del tribunale, oggi, dico, che in lui più non sussistono i passati rigori, ed è divenuto sì mite,
che le ordinarie e più frequenti sue pene sembrano piuttosto, come le chiama il Tommasino
(859)
,
un'ombra ed immagine dell'antico rigore, che un'adequata vendetta di tribunal contenzioso. Ma che
sarà poi, se contra questo solo sono rivolte le avvelenate saette, e vengono risparmiati tutti gli altri
tribunali, ne' quali e si sono usate una volta crudeltà inaudite, e si fulminano tuttora castighi
gravissimi? Troppo chiara si mostra la maligna intenzione, che hanno costoro, d'infamar questo
solo; e si scopre troppo bene che non l'amore dell'umanità e dolcezza, ma la sola miscredenza e
livore li move a spargere tante incoerenze e calunnie.
Ma delle pene abbastanza. Passiamo ora ai tormenti, i quali essendo stati praticati fin dai tempi
di Giobbe, vale a dire sin da quelli di Mosè, a cui Giobbe è creduto dalla comune dei più dotti
scrittori contemporaneo, come mostrano chiaramente le sue espressioni nel decimo capo del verso
4. Numquid oculi carnei sino al 7., riferite da S. Tommaso
(860)
a questo costume; ed essendo poi
stati in uso in tutte le più colte nazioni, anche presso gli Ateniesi, come riferisce il Montesquieu
(861)
,
[393] e presso i Romani e gli Ebrei, come accennano il Mattei
(862)
ed Alberto de Simoni
(863)
; e
venendo anche approvati dal diritto civile romano
(864)
, dove si dice colle parole di un rescritto
imperiale, efficacissimas quaestiones esse ad inquirendam veritatem, non pareva che dovesse
saltare in capo a certi eruditi alla moda di riformarne la pratica, traducendola come un'invenzione
barbara ed un mal sicuro ripiego trovato per iscoprire i delitti in quei tempi infelici, ne' quali una
densa caligine tutta ricopriva la faccia dell'Universo. Non è questo il luogo di giustificare l'uso dei
tormenti per estorcere la confessione dei delitti e dei complici da quei colpevoli, che non convinti o
non soli nel commettere i delitti sanno usare ogni maliziosa maniera per occultarli e sottrarre così e
se stessi e gli altri con non piccol danno e pericolo della pubblica tranquillità al meritato castigo.
Solo dirò che tutti hanno riconosciuta questa pratica per un estremo rimedio; tutti i criminalisti ne
hanno rilevata in ogni tempo l'imperfezione ed i pericoli; e che nulla ha detto di nuovo chi dalla
robustezza delle fibre di un nerboruto villano e dalla effeminata delicatezza di un'incredulo libertino
ha voluto argomentarne i difetti. Li ha fin dai suoi tempi rilevati assai meglio S. Agostino
(865)
, il
quale dice; Cum quaeritur, utrum sit nocens, cruciatur, et innocens luit pro incerto scelere
certissimas poenas, non quia illud commisisse detegitur, sed quia non commisisse nescitur, ac per
hoc ignorantia judicis plerumque est calamitas innocentis. Ha mai saputo dir tanto un'erudito
(858)
Oevres posth tom. 9. pag. 374.
(859)
Traité des Edicts tom. 2. chap. 12.
(860)
Exposit. in cap. 10. Job. lect. 1.
(861)
Esprit des loix lib. 6. chap. 17.
(862)
De Crimin. lib. 48. c. 5.
(863)
Tratt. del furto e sua pena §. 33.
(864)
Leg. 8. ff. de Quaest.
(865)
De Civ. Dei. lib. 19. cap. 6.
233
moderno? Ma anche prima di S. Agostino l'aveva accennato assai bene Ulpiano
(866)
dicendo; Res est
fragilis et periculosa, et quae veritatem fallat: ed Aristotele
(867)
, scrivendo che quibus necessitas
adhibetur, ii non minus falsa, quam vera dicere solent: nam vel dolorem tollerantes verum
occultant, vel facile mentiuntur, ut citius a cruciatu liberentur: e lo ha confermato con tanti esempj
nella sua teorica criminale il Gotofredo
(868)
, che è superfluo il cercarne dei nuovi. Contuttociò
dicano pure ciò che vogliono e sanno costoro, sarà sempre ne' tribunali cosa assai vantaggiosa lo
sconvolgere ne' rei [394] più maliziosi quel fisico sistema, che li rende più arditi e pertinaci in
faccia del giudice, e colla forza de' tormenti indurre in loro quella necessità di dire il vero, che
accenna Cicerone nei Tropi, e nascer suole negli uomini perlopiù dal dolore, dal desiderio, dalla
rabbia, dal timore e da qualunque altra violenta perturbazione. E per quanto si vogliano dai più
misericordiosi risparmiati i colpevoli, saranno sempre da eccettuarsi certi casi, nei quali tutti i
dottori con Giulio Claro
(869)
hanno dichiarata la tortura necessariissima, perchè non venga trascurato
alcun mezzo conducente o a salvar l'innocente, o a condannare con maggior sicurezza il colpevole,
e ut reus salvus sit innocentiae et supplicio, come con Ulpiano dice il Boemero dove insegna di
proporzionare la tortura alla qualità degl'indizj ed all'altre circostanze, o perchè lo esige l'atrocità del
delitto e la moltiplicità dei delinquenti, come vuole il Mattei
(870)
, tutto che non molto favorevole ai
tormenti. Lo stesso S. Agostino
(871)
, che loda Marcellino, perchè anche nei maggiori delitti non
cercava la confessione per mezzo dell'eculeo o degli uncini o del fuoco, approva però che la
cercasse con quelle verghe e flagelli, che usava anche la Chiesa ne' suoi giudizi. Non possono
adunque i nostri contraddittori servirsi con buona fede, della di lui autorità, se non per escludere
quelle indiscrete torture e barbare carnificine, che non ha mai nè approvate nè usate il tribunale del
S. Officio: tanto più che nel luogo stesso, di cui tanto abusano i nemici delle questioni criminali,
confessa che non è da omettersi una tal pratica, e che la esige il bene della civile società: In his
tenebris, sono le sue parole, vitae sociali sedebit judex ille sapiens, an non sedebit? sedebit plane.
Constringit enim eum, et ad hoc officium pertrahit humana societas, quam deserere nefas ducit: alle
quali parole facendo eco S. Isidoro Pelusiota, così scrisse ad Ausonio; Cum sapiens veritatis
inventum habeas multiplicem tormentorum machinam, timore ad judicium utere: quandoquidem te
terrorem improbis divina lex constituit
(872)
.
Il timore che mostrano di avere gli umanissimi nostri contraddittori, che si confonda in tal
guisa il colpevole coll'innocente secondo la varia loro disposizione e struttura, è ridicolo per chi
[395] sa con qual riserva si venga dai tribunali al passo di un rigoroso esame, quante cautele siano
prescritte, perchè nel caso non succedano i temuti disordini, e quanta libertà si accordi al reo di
riclamare contra la sua stessa confessione, quando specialmente è stata estorta a forza di tormenti e
violenze. Tutto cospira ad impedire ogni aggravio; ed a quello, cui non hanno potuto provvedere le
leggi nella pratica dei tormenti, supplisce nei casi particolari l'umanità di chi è destinato ad
infligerli, alla quale vengono i pazienti raccomandati dalle medesime leggi assaissimo. Che se ciò
nulla ostante l'aggravio degl'innocenti resta tuttora possibile, ciò non può recare alcun fastidio a chi
ha imparato dal Lessio
(873)
, che non sono nelle cose umane da trascurarsi le utili provvidenze per
qualche disordine, che succeder possa talvolta accidentalmente; e che a renderle plausibili anche in
mezzo ai disordini basta solo che restino evitati i maggiori: Satis est, dic'egli, ea media, easque
cautiones adhiberi, quibus majora vitentur, etsi eisdem interdum minora praeter intentionem
eveniant. In ogni caso non è mai da porsi in dimenticanza la provvidenza di Dio, che modera le cose
umane, e per segrete vie e mirabili sa opporsi quando bisogna alle ingiuste oppressioni, ed impedire
gl'inconvenienti: e se i nostri contraddittori, che di questa prima fonte e sorgente dell'umane vicende
(866)
L. 1. ff. de quaestionibus §. 23.
(867)
Rhet. lib. 1. cap. 15.
(868)
Tract. Reatuum quaest. 19.
(869)
quaest. 64. num. 3.
(870)
de criminib. lib. 48. cap. 5.
(871)
Ep. 133. al. 159. num. 2.
(872)
Lib. 1. epist. 116.
(873)
De Just. lib. 2. cap. 29. dub. 17. num. 151.
234
mostrano di fare sì poco conto, avessero considerato nella conversione di S. Efrem Siro e l'influenza
ch'ella ha in questi affari e l'esito felice ch'ebbero allora i tormenti, non sarebbero così arditi nello
screditarli. Leggetelo voi nella narrazione suddetta, ed anche nella confessione di S. Efrem, che si
hanno tradotte da Gerardo Vossio, e presso il Bollando nel tomo 1. di febrajo; e se trovate che allora
giovarono i tormenti non che a salvar gl'innocenti ed a punire i colpevoli, ma anche a far sì che S.
Efrem istesso per esservi stato presente restasse viemeglio persuaso della dipendenza che hanno le
cose nostre da Dio, e ricevesse maggiori stimoli a continuare la gloriosa carriera di santità, che
consumò poi felicemente, voi conchiudete che tra i pericoli, che s'incontrano in questi casi, non
mancano da sperarsi molti vantaggi ed ajuti opportuni. Anche nel punto, in cui sembra che la
veemenza del dolore o l'imperizia del giudice sia [396] per soverchiare l'innocenza de' miseri
processati, non si può diffidare della provvidenza divina, che accorse più volte in loro difesa, e
coll'interposizione de' più fervorosi suoi servi e con espressi prodigj li salvò dal non meritato
castigo, come si legge nella vita di S. Tommaso di Villanova e di varj altri Santi.
Io per altro sono persuaso, che se i nemici di questa pratica invece di scorrere con occhio
veloce questa materia sopra certi moderni libercoli
(874)
, che si contentano di accennare con affettata
oscurissima brevità le cose, ch'hanno trovate esposte con eguale inesattezza sopra altri libretti
consimili, o che non hanno copiate dai libri antichi, e forse dai soli dizionarj, che le obbjezioni e gli
errori, si fossero posti a studiarla con maturità sopra i principali dottori, che hanno trattato di questa
materia con grande accuratezza, come in Domenico Bannes
(875)
, che dimostra ad evidenza la
necessità de' tormenti, e scioglie quante mai sode difficoltà far si possono in contrario, in Leonardo
Coqueo
(876)
, che chiama l'opposto sentimento contrario all'autorità de' SS. PP., ed in Tommaso
Hurtado
(877)
, che lo chiama erroneo e temerario; e se avessero avuta la degnazione d'informarsi
meglio da qualche savio giudice di ciò che succede in simili incontri, avrebbero imparato ciò che
mostrano di non sapere, cioè che anche adesso, come ai tempi di Tertulliano
(878)
, etiam confessis
difficile creditur, e che adesso ancora si usa tutta la diligenza, ne quid omnino, com'egli soggiunge,
mali hominis delitescat, aut desit aliquid instruendae ad sententiam veritatis, e si vuole che la
confessione estorta fra i tormenti sia corredata dallo scoprimento di quelle più minute circostanze
del fatto, che non possono esser note se non a chi ha commesso il delitto, e verificate in processo e
ratificate poi dal reo stesso fuori della tortura lasciano appena un qualche luogo all'inganno. Un
cieco solo può non distinguere il più delle volte chi vinto dal tormento confessa un delitto non suo
da quello che esterna una verità che prima non aveva voluto confessare: e sembra più difficile che
per questa strada battuta a dovere venga oppresso un innocente per [397] la delicatezza delle sue
membra, di quello che si salvi un nerboruto colpevole per la sua robustezza e vigore
(879)
. So che
anche questa è cosa malfatta; ma non è colpevole, se è inevitabile: ed è meglio, come rescrisse ad
Assiduo Severo Trajano
(880)
, impunitum relinquere facinus nocentis, quam innocentem damnare.
questo disgraziato accidente può recar dispiacere agli umanissimi nostri contraddittori, i quali
distrutta la pratica de' tormenti s'inoltrano arditi a disapprovare coi Farisei
(881)
, coi Cattari, Valdesi,
Anabattisti ed altri Eretici anche ne' delitti comuni la convenienza e giustizia dell'estremo supplicio:
e non andrà molto, che cambieranno le carceri in ampj palazzi e deliziosissimi appartamenti, perchè
non abbiano i sicarj e i ladri a soffrire la noja dell'angustia del carcere.
E ciò sia detto in caso che nel S. Officio anche adesso siano in uso la corda, gli zuffoli ed i
flagelli o per ricavare dalla bocca di un reo non convinto la confessione del fatto ereticale o per
(874)
Con probabilità si riferisce a "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria, apparso nel 1764 e ben presto messo
all'Indice, nel 1766. Testo su [www. liberliber. it]
(N. d. R.)
(875)
de Just. & Jur. quaest. 70. art. 2. conc. 1.
(876)
in lib. 19. de Civit. Dei cap. 6.
(877)
Disput. de Torment.
(878)
ad Nation. lib. 1. cap. 2.
(879)
Qui l'autore cerca evidentemente di controbattere una delle principali obiezioni che vengono espresse nel libro di
Cesare Beccaria al Capitolo XVI – Della tortura. (N. d. R.)
(880)
L. 5. ff. de poenis
(881)
Giuseppe Antic. lib. 13. Cap: 18.
235
iscoprire i complici o per risapere da chi lo confessa l'interna sua intenzione e credenza, che tanto
interessa il tribunale della Chiesa. Degli altri tormenti, che indicano i vostri libri e rami ridicoli, è
certissimo, che o non sono mai stati in uso, o se li ha praticati quand'erano a tutti comuni, fuor di
proposito ci si oppongono dopo che ha cessato d'usarli. Credo però che, appena regga ai dì nostri la
fatta supposizione: perchè io so da buona parte, che è divenuto sì mite, che ha ormai sostituito ai
tormenti
(882)
la terrizione e minaccia, alla quale se reggono costanti i rei nelle loro negative, il
tribunale non passa più oltre; ed il sospetto di quel delitto, che non è stato purgato abbastanza con
tortura sì lieve, lo purga con penitenze mitissime, e per lo più col ritenerlo nelle proprie carceri ben
diverse da quei pozzi e tugurj angustissimi e malsani, che descrivono le vostre gazzette, per ivi
istruirlo, pascerlo e fornirlo di ogni più utile e spirituale e temporale sussidio. Nè altro si poteva
aspettare dalle pietose viscere di quella dolcissima Madre, che nata a por termine alla barbarie degli
antichi Idolatri, appena comparsa non solo disapprovò i crudelissimi giuochi de' gladiatori, e proibì
ai suoi di esserne spettatori, non ispirò solo in tutti sentimenti più miti ed [398] umani, e rese più
moderate le collere degl'indocili vincitori; e meno frequenti le stragi de' suicidi, ma alto alzò la voce
contro le fiere costumanze de' duelli e le indegne prove dell'acqua e del fuoco, che la barbarie de'
Goti aveva introdotte ne' più colti paesi. Non usa adesso per ordinario, torno a ripeterlo, che
terrizioni e minacce per ricavare dalla bocca de' colpevoli le verità, che interessano il tribunale: e
sarà questo tormento sì grave che meriti tanti e sì replicati rimproveri? Tragedie saranno queste, alle
quali tanto disdica ad un Chierico il trovarsi presente, quanto pensava uno dei vostri ridicoli
gazzettieri? credo che se i tormenti dati dal foro ecclesiastico fossero sempre stati di questo
carattere, non sarebbe mai ricorso Innocenzo IV. al braccio secolare per supplire al bisogno, nè
sarebbe mai caduto in mente di Clemente IV, il dubbio se potessero o no assistervi gli Ecclesiastici,
nè la Chiesa avrebbe avuta in mira la sola necessità della loro presenza per accordarla, nè mai S.
Agostino avrebbe lodato l'uso dei flagelli, che erano ai suoi tempi comuni a tutti i tribunali. Adesso
però anche questa è divenuta crudele; e non si vuole che gli empj siano molestati in alcun modo. Ma
io rispondo a codesti disapprovatori di tutte le pratiche della Chiesa con S. Agostino medesimo
(883)
nella lettera a Bonifacio Conte, che non la terrizione del S. Officio, ma la loro dolcezza sì bene è
inumana e crudele; Ipsa potius mansuetudo falsa crudelis est; e che essi soli, per servirmi della
frase del profeta Michea, tra le bugiarde loro jattanze di tolleranza e dolcezza altro non fanno che
usare con tutti le più esecrabili crudeltà; mordent dentibus, & praedicant pacem
(884)
. Sono crudeli
con tutto l'uman genere esposto per ogni dove a tante stragi quante ne sa fare l'ereticale perfidia per
dominare: crudeli con tutti i buoni Cristiani, che dopo le tante maldicenze e calunnie che hanno
vomitate, e per le quali è riuscito loro di debilitare un tribunale così rispettabile, più non trovano nei
loro Inquisitori o Vescovi l'antica libertà e potere: crudeli colla repubblica, cui spogliano del
maggior presidio e sostegno: crudeli colla Chiesa, contro la quale armano tante destre a trafiggerle il
seno, quanti sono gli Eretici che vanno impuniti: crudeli finalmente contra gli Eretici stessi e tutti
gli altri malfattori, ai quali procurano con una soverchia indulgenza l'eterna [399] irreparabile ruina
nell'altro mondo ed i più pesanti flagelli della divina giustizia anche nella vita presente.
Fossero almeno colle strane loro novità di qualche alleviamento ai colpevoli nel foro umano!
ma a rendere senza limite la loro barbarie si aggiunge che anche in questo riescono loro di gran
pregiudizio ed aggravio. Imperciocchè a non voler'esentare affatto da ogni castigo la maggior parte
dei più scellerati colpevoli, conviene che chi nega l'uso dei tormenti accordi doversi dare ai rei
indiziati gravemente di delitti capitali senza che possano purgare gl'indizj colla tortura, la molestia
almeno straordinaria di una lunga carcerazione, di esilio o altra consimile, le quali se non giungono
a punire il delitto, non lo lasciano però affatto immune da ogni correzione e servono agli altri di
qualche freno e riparo. Questo è lo stato a cui riducono un preteso infelice colpevole tutti coloro,
che non vogliono che sia tormentato. Egli ha da comparire necessariamente colpevole agli occhj del
(882)
La tortura corporale (della corda, del fuoco e dell'acqua) verrà abolita nello Stato della Chiesa solo nel 1815
sostituita da metodi più raffinati. (N. d. R.)
(883)
Epist. 185. al. 50. cap. 2. num. 7.
(884)
cap. 3. vers. 5.
236
pubblico, e ha da soggiacere nel foro esteriore per indispensabile disposizione a lunghe e penose
molestie. Or qual sarà mai se non è questo un nuovo genere di crudeltà inaudita? Togliere ad
un'infelice ogni mezzo onde provvedere alla propria riputazione e salvezza, e rendere a lui
inevitabili quelle pene, che forse non ha meritate in alcun modo, e contro le quali si possono
ritorcere tutti i rimproveri, ch'essi promovono contro i tormenti? E agitati da tante furie, lordi di
tanto sangue e fra tante incoerenze e sciocchezze hanno l'ardire di raccomandare agli altri la
moderazione e dolcezza? E possono senz'arrossire raccomandarla ai tribunali ecclesiastici e
specialmente a quello del S. Officio, in cui s'incontrano ad ogni passo contrassegni evidenti di
singolare moderazione e clemenza? Ah! Non meritano d'essere da voi ascoltati: e dopo d'aver'inteso
con quanto torto oppongano al tribunale del S. Officio la crudeltà e rigore, confessate colla solita
vostra ingenuità, che le maldicenze e calunnie dei nostri avversarj allora sono più insussistenti,
quando sono replicate con maggiore asseveranza e franchezza; e riconoscete nel tribunale quella
moderazione, che conviene ad un tribunale della Chiesa, ed in me
quell'invariabile desiderio di
servirvi, che conviene ad un vero amico e in attenzione di ulteriori comandi mi dichiaro
237
LETTERA TRENTESIMAQUARTA,
Neppur nelle cause di streghe e maliardi il S. Officio è stato
ingiusto e troppo severo.
ispiace a voi, che avendo io preso a difendere nell'altra mia il tribunale del S. Officio da quella
taccia d'ingiusto e crudele, che viene ad esso attribuita dai suoi ingiustissimi calunniatori, nulla
abbia detto delle streghe e maliardi, dei quali spacciano colla consueta loro temerità che ha fatto in
ogni tempo un rio
(885)
governo. Ma io ne provo piacere, perchè questa dimenticanza mi dà motivo di
trattare di quest'argomento più di proposito, e di farvi vie meglio conoscere la premura che ho
d'istruirvi e disingannarvi colla maggiore esattezza. In questa lettera parlerò di questo solo
argomento; e vi mostrerò, che il tribunale non è stato mai disordinato ed ingiusto neppure in queste
cause, e che, se v'è stato talvolta qualche difetto, è da attribuirsi a tutt'altro, che al suo regolamento e
sistema. Per verità supposte ancora vere e proprie del tribunale le irregolarità ed ingiustizie, ch'essi
divulgano, non avrebbero luogo i loro schiamazzi; poichè gli utili tribunali, se hanno qualche
irregolarità e difetto, si emendano, non si strapazzano; e se gli sbagli, che sono succeduti talvolta,
bastano a giustificarne la soppressione, dice bene Filoteo contro Romero, che pauca brevi vel nulla
erunt in mundo tribunalia. Siccome però dovrebbero riputarsi meno maligni i loro rimproveri, se
qualche cosa avessero di vero apparente o reale, cui appoggiarsi; così a farli comparire, quali sono
in fatti, ridondati di malignità e livore prendo a schiarir meglio l'indicato argomento, e a dimostrare
quanto male a proposito si accusi nelle cause di streghe e maliardi di crudeltà e d'ingiustizia, e
quanto irragionevolmente si prenda di costoro la protezione e difesa.
Se la strega ed il mago coll'assistenza del comune nemico infernale giungesse all'intento di
ammazzar le persone, o di recar loro altri gravissimi danni, direste voi che ingiusta fosse la legge di
Gregorio XV.
(886)
che li abbandona braccio secolare? [401] Lasciate che dica questi spropositi chi
vorrebbe sbandita la giustizia dal mondo; e voi non vi scostate giammai dal sentimento dei saggi,
che hanno sempre creduto, che non deve vivere chi non vive che all'altrui danno e ruina, e che
l'omicida ed il ladro non merita miglior trattamento quando a questi criminosi attentati aggiugne
patti sagrileghi ed un'enorme strapazzo della cattolica Religione. Non permette il nostro legislatore
(dice Filone
(887)
dopo d'aver riportati alcuni testi del vecchio Testamento, che condannano i maghi
ad un sollecito e severo castigo) che si differisca la punizione di costoro, perchè la dilazione reca
loro opportunità di nuocere, e incute agli altri fondato timore d'essere offesi, i quali credono che
tanto manchi alla propria sicurezza, quanto s'aggiunge loro di vita. Le vipere, gli scorpioni ed altre
bestie velenose si ammazzano anche prima che mordano: e perchè devono essere trattati
diversamente quelli, che colle loro arti malvage non solo conducono in errore gl'incauti, ma li
precipitano in gravissime calamità? Non sinit noster legislator procrastinari veneficorum supplicia,
sed absque mora vult exigi: quod dilatio noxiis opportunitatem peccandi praebeat, caeteris metum
afferat, existimantibus, quidquid illorum vitae accedit, suae securitati decedere. Idcirco sicut
viperas, scorpios aliasque venenosas bestias, priusquam mordeant, aut saucient, aut etiam se
commoveant, sine mora ad primum aspectum occidimus, praecavendo naturalem eorum malitiam
priusquam noceant; eodem modo hujusmodi homines plectendi sunt, qui magicis suis artificiis et
maleficis artibus incautos homines non solum errore implicant, sed in graves calamitates intrudunt.
Questi ammazzamenti appunto, voi dite con Reginaldo Scoto
(888)
, col Vierio
(889)
, col
(885)
"rio" = cattivo (N. d. R.)
(886)
Const. 101. Omnipotentis Dei t. 5. part. 5. Bull. Rom. p. 27.
(887)
Libro de Special. Legib.
(888)
Detect. artis magicae.
D
238
Tomasio
(890)
e con molti altri, e questi calamitosi effetti dell'opere superstiziose e diaboliche sono
quelli, che non reggono all'esame della più soda filosofia e della critica più imparziale; ond'è che gli
accennati rigori non possono riputarsi che crudeli ed ingiusti. Vi prego però a non decidere con
tanta franchezza, ove trattasi di cose, che possono interessare anche i dommi di Religione, e
possono in bocca [402] de' nostri nemici aver ben'altra mira da quella che voi vi andante ideando. Io
temo forte, e lo temeva anche l'Angelico Dottor S. Tommaso
(891)
, che molti neghino le operazioni
del Demonio per non ammetterne l'esistenza, e levarsi così dal fastidio di doverlo temere
tormentatore e carnefice nell'altra vita. Comunque sia però questo sentimento di pochi è
contraddetto dai più savj e più dotti scrittori, anzi dal comune consenso di tutte le genti e nazioni,
che dai maghi e sortilegi hanno temuto mai sempre le più funeste sciagure, e vi sono andate
incontro colle provvidenze opportune e coi più severi castighi: colla lapidazione gli Ebrei
(892)
, collo
schiacciamento del capo tra due marmi i Persiani
(893)
, colla fustigazione, coll'esilio, colla morte ed
altre pene i Romani
(894)
. Io per me credo, che il negare generalmente ogni effetto ai sortilegj e magie
sia almeno un'intollerabile temerità, e che punto non giovi a conciliar loro quella condiscendenza e
pace, che pur vorrebbero i nostri contraddittori. Non parlo dei tempi dell'antica alleanza, nei quali i
tristi effetti della magia diabolica e l'esercizio dell'arte infame sono così ripetuti e contestati nelle
sagre Scritture, che converrebbe cancellarne gran parte per non ammetterli. Esercitarono quest'arte
diabolica e i maghi aboliti da Saulle
(895)
, e i Pseudoprofeti consultati da Acabbo
(896)
, e le Lamie,
delle quali parla Geremia
(897)
, e gli Astrologi descritti da Isaia
(898)
, e quant'altri maghi, indovini e
incantatori sono nominati dal vecchio Testamento
(899)
: ed è assai probabile, che fossero effetti
dell'arte medesima e le mirabili cose operate dai maghi di Faraone
(900)
, e lo spettro di Samuele
(901)
richiamato dalla Pitonessa, e le grandini ed i flagelli, de' quali parla Davidde
(902)
. Io parlo dei tempi
posteriori a Gesù Cristo; e dico, che anche in questi è troppo ardita l'espressione di Francesco
Mengotti
(903)
, che chiama follie tutte le stregonerie e sortilegj [403] che vi si dicono praticati, e
pretende che dopo d'averle seriamente e per molto tempo credute e punite siamo ora sorpresi
d'averlo fatto. Sono stati, non v'ha dubbio, in questo tempo meno frequenti gli effetti orribili, non è
stato però nè meno nota l'arte sagrilega nè meno autentica e sicura la pratica, ed è anche adesso il
castigarla e necessario e giustissimo.
Certo che dopo la solenne vittoria, che il Redentore del mondo riportò sul calvario, descritta
nell'Apocalisse al capo 20., del qual testo fa tanto caso il Marchese Maffei, non ha più il Demonio
quella libertà di nuocere, che aveva avanti: e se prima poteva offenderci quasi dispoticamente, ed
era necessario un'espresso divieto di Dio, perchè non esercitasse contro di noi l'antico mal concepito
livore, ricercasi ora un'espressa permissione, perchè lo faccia, come insegna S. Agostino
(904)
,
spiegando appunto il testo citato: e gli oracoli degl'Idoli ridotti a silenzio, ed i prestigj dei Sacerdoti
infedeli divenuti sì rari, e l'arte stessa resa ai dì nostri sì screditata e spregevole assicurano assai
bene, che la facilità e libertà di nuocerci non è nel Demonio più quella che è stata in addietro; e se a
lui non manca la voglia, e forza di farlo, manca almeno la divina permissione e consenso: scientia
(889)
de Praestigiis Daemonum.
(890)
de Crimine Magiae.
(891)
4. sent. dist. 34. art. 3., Quodlib. 11. art. 10.
(892)
Levit. 20. ver. 6., Exod. 20. ver. 6. Deuter. 18. ver. 10. 11. 12.
(893)
Plutarc. in Artaxer. tom. 1. Oper.
(894)
Tot. tit. Cod. de Malef. & Mathem.
(895)
I. Reg. 18. ver. 3.
(896)
3. Reg. 22. v. 6.
(897)
Thren. c. 4. v. 3.
(898)
Esai. c. 47. ver. 12. & 13.
(899)
Deut. 18. v. 10., Levit. 20. v. 17.
(900)
Exod. cap. 7. & 8:
(901)
I. Re. 28. 15.
(902)
Psal. 77.
(903)
Il Colbertismo Cap. 9. pag. 96.
(904)
de Civit Dei lib. 20. cap. 8. num. 21.
239
ista, come avvertì Tertulliano, usque ad Evangelium fuit concessa, ut Christo edito, nemo exinde
nativitatem alicujus de coelo interpretaretur. Ma che Iddio non permetta giammai adesso che il
nemico infernale ci maltratti e c'inganni, e che noi permetta talvolta in vista dei sagrilegi attentati di
quei malvagi Cristiani, che abbandonano lui per chiedere al Demonio assistenza e favore; e che il
Demonio non possa essere adesso dai suffumigi ed altre cose corporee allettato e mosso, non ut
animalia cibis, come dice S. Agostino
(905)
, sed ut Spiritus signis, e come spiega l'Angelico
(906)
, in
quantum haec iis exhibentur in signum divini honoris, cujus ipsi sunt cupidi; questo è che a parer
mio non si può negare senz'incorrere la taccia di troppo ardita temerità, che spalleggiata da piccole
congetture fa fronte e si oppone non alle sole più veridiche storie e alle replicate testimonianze dei
Padri e scrittori più accreditati, ma anche alla Scrittura ed alla Chiesa. Non poche sono le vessazioni
date ai miseri mortali dal [404] nemico comune anche dopo la nascita e morte del Redentore, delle
quali si hanno da' scrittori del nuovo Testamento autentici documenti. Non sono pochi i fatti che
raccontano a questo proposito le più veridiche storie. Sì parla ne' vangeli di S. Matteo
(907)
, di S.
Marco
(908)
, di S. Luca
(909)
ed altrove di un lunatico, di un muto, di uno compreso da spirito immondo
e di cent'altri molestati dal Demonio crudelmente; nè si tace l'amorosa cura, che di loro si prese il
Redentore per liberarli: e perchè non era per cessare sì presto il bisogno dello stesso sovvenimento,
volle partecipi della medesima podestà anche gli Apostoli, e per via di sacri riti ed ordinazioni la
perpetuò nei loro successori. La fanciulla, che con bugiarde profezie e diaboliche illusioni
ingannava i Filippesi
(910)
; e quell'Elima, che colle sue frodi e pessimi suggerimenti distoglieva dalle
salutari istruzioni il Proconsole Sergio
(911)
; e la Pitonessa, di cui si parla al cap. 16. degli Atti degli
Apostoli; e quel Simone, che portò anche in Roma le sue diaboliche superstizioni; e tutti que'
Gentili, che deride Eusebio
(912)
, perchè adoravano divinità che variis artibus egregia numina
praestigiatoribus subjiciuntur; non esercitavano essi anche dopo la passione di Gesù Cristo
quell'arte infame, di cui parliamo? E se a troncare il corso a tanta malvagità fu creduto da S. Pietro e
da S. Paolo ben'impiegata la podestà dei miracoli, accecando questi il mago Elima, precipitando
quegli dall'alto Simon Mago; e se S. Paolo ha stimato bene di scacciare il Demonio da quella donna
di Tiatira, in cui nascondevasi, e di prevenire i Tessalonicesi
(913)
, anche ad istruzione e vantaggio di
tutti i Cristiani, de' molti prestigj e delle ingannevoli comparse, che dal Demonio assistito sarà per
fare un dì l'Anticristo; e se ad impedire tante idolatriche superstizioni e malvagità hanno creduto gli
antichi nostri santi Padri e maestri ben fatto l'incendiare molti profani tempj e delubri; perchè
dovrem noi dire inutili e vane le provvidenze, che al medesimo fine somministra adesso il tribunale
del S. Officio?
So che per escludere ogni attività nel Demonio ed ogni efficacia in quest'arte, che potrebbe
chiamarlo a' nostri danni, [405] rincorrono i moderni filosofi alla difficoltà, che incontrano nel
cercare come uno Spirito possa agire nel corpo, o come segni materiali e corporei possano allettare
uno Spirito a secondare l'altrui desiderio e comando: e per isbrigarsi da tutti quei fatti che lo
dimostrano hanno sempre in pronto la fantasia delle donne troppo facile a riscaldarsi e deluderle. Io
però dico, che non è sempre impossibile quello che non s'intende; e non sono poche le cose,
dell'esistenza delle quali siamo certissimi, sebbene oscurissimo sia il modo con cui succedono. So
che l'anima quantunque spirituale move il corpo comunque le aggrada; nè mi sorprende punto, che
Spiriti superbissimi, come sono i Demonj, possano essere allettati e commossi da cose esteriori
quantunque materiali e corporee, quando vengono dirette a prestar loro quel culto, che alla divinità
(905)
De Civ. Dei lib. 21. c. 6.
(906)
P. p. quaest. 115. art. 5. ad 3.
(907)
cap. 17. ver. 15., cap. 9. ver. 29.
(908)
cap. 9. ver. 17.
(909)
cap. 4. ver. 35. cap. 8. ver. 29.
(910)
Act. cap. 16. ver. 16.
(911)
Act. cap. 13. v. 8.
(912)
de Praep. Evang. lib. 5. capp. 8. 9. 10.
(913)
2. ad Thessal. c. 2.
240
è dovuto. E credo col martire S. Pionio
(914)
i Demonj così pronti e disposti anche adesso,
permettendolo Iddio, a molestarci, come sono pronti gli Angeli buoni ad assistere chi se la passa
bene con Dio: Sicut omnibus, qui Deum pura mente suspiciunt, Angeli adesse festinant; ita veneficis
vel incantatoribus, vel sortilegis, vel furorem per devia rura vendentibus Daemones obsequuntur.
Non è poi sempre illusorio e fallace ciò, che lo è stato talvolta; e la debolezza della fantasia delle
donne non è così difficile a scoprirsi, che abbia avuto bisogno della luce del secolo presente per
essere rilevata, nè così esente da ogni insulto ed azione del Demonio, che non possa talvolta essere
da lui eccitata ed accesa con maggior'impeto, e non meriti anch'essa più volte un rigoroso castigo.
Sono già varj secoli, che ne ha parlato l'Eimerico nel suo Direttorio
(915)
, dove chiama i viaggi delle
streghe parto della loro fantasia, senza lasciare però di crederli talvolta opera insieme del Demonio,
perchè Daemonum illusionibus & phantasmatibus seductae credunt & profitentur nocturnis horis
cum Diana Dea Paganorum, vel cum Herodiade, & innumera multitudine mulierum equitare super
quasdam bestias, & multarum terrarum spatia intempestae noctis silentium pertransire; e molto
prima di lui ne ha parlato l'antichissimo Concilio Ancirano
(916)
, dal [406] quale furono riportati
come illusioni ed inganni i racconti, che fanno le streghe de' loro viaggi con Diana e con Erodiade;
e ne ha parlato anche S. Agostino
(917)
assicurando, che non tutte le cose maravigliose, che su tal
particolare si raccontano, naturalia sunt, sed pleraque humano ingenio modificata, pleraque autem
Daemonum arte composita: e sebbene dopo d'ogni altro, lo ha però avvertito con maggiore
accuratezza di tutti il supremo tribunale del S. Officio di Roma, il quale non meno intento a
castigare i colpevoli, che a preservare anche i meno rei da non meritati castighi, ha da gran tempo
ammoniti gl'Inquisitori dell'illusione, alla quale possono esser soggette le fantasie feminili, perchè
non siano troppo facili a prestar fede alle loro confessioni e racconti. Siccome però i nostri antichi
Padri e maestri non hanno quindi dedotto, che impossibili fossero gli effetti dei sortilegi e magie,
ma hanno invece suggeriti i mezzi opportuni per impedirli; così non possiamo noi senza temerità
rigettarli tutti come impossibili, e molto meno riprendere quel tribunale, che nel castigare gli artefici
infami procura di arrestarli nella loro stessa sorgente e principio.
Siavi pure, come v'è di fatti, un gran divano non solo tra la moltiplicità dei fatti superstiziosi e
sortilegi succeduti ai tempi dell'antica alleanza paragonati con quelli dei tempi evangelici, ma anche
tra quelli, che si raccontano dagli antichi nostri santi Padri, e che erano così frequenti ai tempi di S.
Antonio e dei solitarj delle Nitrie e delle Tebaidi, e quelli che succedono ai tempi nostri; che io ben
lungi dal volere col fanatico Gasnero ammettere che vi sia tuttora una prodigiosa moltiplicità di
vessati per tal modo dal nemico comune, il quale viene a ragione e sprezzato e deriso dal bravo
archiatro imperiale Antonio de Haen nel suo bel libro de Miraculis
(918)
, accorderò volontieri, che
pochissimi sono ai dì nostri quelli, ai quali riesca d'infestare il mondo e maltrattare l'altrui vita e
salute con maleficj e magie: mi guarderò però sempre dal dedurre dalla scarsezza presente la loro
impossibilità, ed invece di negare col Padre Ferdinando Stertzinger ogni commercio tra il Demonio
e l'uomo, e credere al presente impossibile ogni effetto di magia diabolica, [407] benedirò piuttosto
con S. Guglielmo la provvidenza divina, che con grande accorgimento e clemenza, ci preserva,
adesso per lo più da vessazioni sì orribili. S. Giovanni Canonico Regolare, di cui parla il Surio sotto
i 10. ottobre
(919)
, cercò a S. Guglielmo, perchè mai fossero nei primi tempi della Chiesa i Demonj
così facili a spaventare con sembianze orribili i nostri primi Padri, e non lo fossero più ai suoi
tempi; cui S. Guglielmo così rispose: Antiquorum Patrum animum non fallax splendor, et inanis
gloria, sed divina Gratia illustrarat: itaque facile illi fraudulentas inimici machinationes
praevidentes, ceu pugiles invicti, illum fortiter expugnarunt. Quod ille superbus non ferens,
difficillima tentationum certamina illis objiciebat, monstruosas formas, et teterrimos impetus eis
(914)
Acta Mart. ad Ostia Tiberina diss. 6. cap 2. §. 3.
(915)
part. 2. quaest. 43. num. 8.
(916)
caus. 26. quaest. 5. can. 12.
(917)
de Civ. Dei lib. 18. cap. 18. et lib. 21. cap. 6.
(918)
cap. 5.
(919)
cap. 12. pag. 772.
241
inferens, ut vi illos protruderet in peccata. Nos vero, qui ei facile obedimus, occultis tentationum
jaculis cito prosternit, etiam si nullam nobis tetram speciem repraesentet. Nasce dunque o dalla
debolezza nostra, o dalla tenera compassione che ha Iddio per noi, se mancano oggi in gran parte le
antiche vessazioni e prestigj del nemico comune, non dall'esser questi divenuti impossibili: e per
conseguenza non è riprensibile la diligenza, che usa oggi il tribunale per impedirli. Ed io a fronte di
ragioni, autorità e conferme così efficaci, che ho recate per dimostrare la sussistenza e veracità di
alcuni magici avvenimenti, temo assai di essere stato troppo mite finora nel dare la sola qualifica di
temeraria alla contraria opinione; e l'avrei forse con più avvedutezza chiamata erronea, come, al
riferir di Gersone
(920)
, la disse la Facoltà di Parigi i 19. settembre 1398., se pure non la riputò anche
eretica, come giudica il Pegna
(921)
. Comunque sia, voi in vista di un giudizio così ben ponderato e
maturo siate in avvenire quanto circospetto e difficile nel prestar fede ai vani racconti, che fanno in
queste materie le vecchiarelle e la plebe, tanto alieno dal credere impossibili tutte le conseguenze
funeste della magia diabolica, la quale, se non frequentemente, ha pur troppo talvolta funestissimi
effetti.
Ma qui mi prenderete in parola; e dall'aver io conceduto [408] che non sono questi
avvenimenti succeduti con frequenza in questi ultimi secoli, e che minore è l'attività, che ha il
demonio per nuocere nello stato presente, vi crederete forse in diritto di poter conchiudere, che se
non sempre, ha però il tribunale ecceduto più volte in tante streghe, che in questi tempi medesimi
nella Germania, nelle Spagne, nella Francia, nell'Italia ed in tanti altri paesi abbandonate al braccio
secolare e sono state abbruciate. Non è corrispondente a tanta debilità e scarsezza il loro numero;
ond'è che non può negarsi, che il tribunale abbia in questa parte almeno ecceduto. Io però voglio
primieramente che dal numero di tante streghe abbruciate leviate tutte quelle moltissime, che si
moltiplicano a capriccio per accrescere la mole di quelle crudeltà, le quali si vanno ideando a
scredito del tribunale. Scoperti che avete i suoi nemici in tanti punti bugiardi, come volete supporli
esatti in questi computi difficili a farsi con esattezza, e fondati per lo più sulle sole ciancie inutili del
volgo e sulle fallacissime relazioni d'impostori e gazzette? A buon conto prima dell'anno 1484. non
era così ben radicata negl'Inquisitori delegati la giurisdizione contra questi colpevoli, e così liberi
d'esercitarla, che non abbiano avuto bisogno di una Bolla d'Innocenzo VIII. per essere stabiliti nel
suo incontrastabile e libero esercizio
(922)
. Dopo la quale dichiarazione sono venute in seguito dalla
S. Sede e del tribunale del S. Officio tante istruzioni, avvisi e riserve pel buon regolamento di
queste cause, che rendono impossibile la frequenza di que' disordini che si vanno esagerando a
scredito del tribunale. Chi può credere che o nel tempo in cui non era dichiarata abbastanza la loro
autorità in questo genere di delitto da non poter'essere contrastata, almeno ne' paesi indicati nella
suddetta Bolla, o fra tante cautele venute in seguito siano state commesse dall'Inquisitori tante
ingiustizie e crudeltà quante ne vanno ideando i nostri calunniatori? Voglio inoltre che più non
siano, come sono state sinora nella falsa immaginazione degl'ignoranti, a carico del S. Officio
tant'altre streghe, che non dal nostro tribunale, ma erano condannate dal tribunale laico in tempo che
altra ingerenza non aveva il S. Officio che o di ricevere le loro abbjure, se i sortilegj [409] erano
qualificati, del che abbiamo una prova nel decreto del 1589., in cui s'ingiunge all'Inquisitor di
Ferrara di restituire al foro laico una strega, si capta a judice saeculari ob delicta ad ipsum
spectantia, aut homicida, aut infanticidia, ed in quelli del 1603. 1629. e 1630. per le Inquisizioni di
Mantova e di Padova, o di difenderle dalle riportate condanne quando era troppo notoria e sicura la
loro innocenza, come è succeduto in Milano nel 1620. Il popolo stesso si sollevava talvolta
tumultuariamente contra costoro, e senz'ordine de' tribunali le uccideva: del che abbiamo
un'esempio non molto posteriore agli anni indicati in Gubbio, dove una di queste infelici
condannata dal tribunale alla frusta nel 1633. fu dal popolaccio oppressa coi sassi: e convien dire
che l'abuso fosse assai più universale e frequente in Francia, se mosse l'Arcivescovo Gerardo a
ricercare al Pontefice Leone VII. se a questa sorta di rei vario modo mortificatis a popolo aliqua
(920)
Trac. circ. Art. Magicam. tom. 1. Oper.
(921)
Direct. part. 2. quaest. 43. com. 68. pag. 370.
(922)
Ad calc. Director. Eymer. int. Litt. apost. Innoc. VIII. Bulla quae incipit Summis desiderantes.
242
poenitentia debeat exigi. Rispose il Papa nella Bolla diretta a tutti i Principi e Vescovi della Francia,
Germania, Baviera ed Alemagna
(923)
, che doveva farsi ogni sforzo per convenirli e difenderli dalla
spada vendicatrice, e allora solo potevano essere abbandonati al rigor delle leggi, quando avessero
disprezzati i giudizj della Chiesa: Nos etiam tales nostris exhortationibus ad poenitentiam trahere
debemus: ut magis ecclesiastico judicio poenitendo vivant, quam gladio vindice puniantur.... Quod
si ecclesiastica judicia spreverint, humanis subjaceant legibus. Dalle quali parole rilevasi
chiaramente e la molta moderazione usata in ogni tempo dalla S. Sede con simili delinquenti, e
l'ingiustizia di quelli che a lei vogliono attribuire ì cattivi trattamenti e le vessazioni e violenze che
incontravano fra quei buoni Fedeli, che accesi di caldo zelo per la difesa e decoro della cattolica
Religione, non avevano poi lumi e virtù bastevoli a moderarne i trasporti: e più di queste lo
dimostrano le providenze date dal S. Officio che ha ingiunto più volte ai suoi Inquisitori di frenare
l'insolenza di quelli, che senz'autorità e senza previo formale giudizio offendevano le così dette
streghe e stregoni tumultuariamente: ed a ragione il P. Federico Spee nell'Opera stampata su
quest'argomento a disinganno de' giudici laici, che in queste cause hanno ripristinato in Germania
l'antico sistema, desidera [410] in questi la moderazione degli Ecclesiastici
(924)
, e scopre a noi
l'ingiustizia di coloro che vogliono attribuire al S. tribunale qualunque disordine sia succeduto in
questa parte. Voglio in terzo luogo che si sottraggano da voi tutte le altre, che sebbene non abbiano
conseguito l'intento, hanno però accompagnati i segni esteriori di evidente infedeltà coll'apostasia
interiore e coll'eresia formale, ed ostinate in esse si sono mostrate impenitenti; il delitto delle quali
siccome non è dissimile a quello d'ogni altro Eretico, così non è ingiusto se sono state trattate
egualmente. Neppure le illuse, come ho accennato di sopra, sono sempre da annoverarsi tra le
punite con ingiustizia; dovendo anche esse riportare il meritato castigo, e perchè, come osserva il
dotto Simanca
(925)
, dopo le loro immaginazioni diaboliche consentono talvolta alle sognate empietà,
ed in esse si ostinano, e perchè questi sogni non si destano perlopiù senza precedente cooperazione
e consenso.
Fatta questa sottrazione, oh quanto poche ne resteranno da perdonarsi allo zelo eccessivo di
qualche Vescovo o Inquisitore indiscreto, che mosso più dall'atrocità del delitto che dall'efficacia
delle prove non abbia usata la possibile diligenza per evitare ogni sbaglio! Quanti saranno pochi gli
errori da imputarsi ad Enrico Institutore ed a Giacomo Sprengero deputati di concerto
coll'Imperatore Massimiliano da Innocenzo VIII nel 1484.
(926)
ad estirpare le streghe inondanti a
que' tempi gran parte della Germania! Resteranno sì pochi, che a fissarne il vero numero non
basterà certamente la diminuzione dei due terzi che fa l'ab. Nonnotte
(927)
al numero di quegli Eretici,
che il bugiardo Voltaire dice essere stati abbruciati nelle Spagne dal Turrecremata. Vi fa sapere il
dotto ab. Spedalieri
(928)
, che niuna strega è mai stata abbruciata dal S. Officio in Roma; e da ciò
argomentate, quanto esser debba esagerato il numero di quelle, che si fingono abbruciate per opera
del S. Officio in Italia ed in altri luoghi dove ha avuta sempre tanta ingerenza questo supremo Capo
dell'Inquisizione delegata: e per qualcuna che pure vi restasse, chi ne [411] potrà formare un delitto
irremissibile al tribunale suddetto? Quale è quel tribunale, che tra le molte giustizie con rettitudine
amministrate, e nella lunga serie de' valorosi suoi Presidenti non conti o qualche ingiustizia
commessa inavvedutamente per mancanza dei lumi, ch'erano necessarj per evitarla, o qualche
(923)
Bull. Rom. tom. 1. Const. Si instituta pag. 248.
(924)
Cautio criminalis Solisbac. 1695.
(925)
De Cath. Instit. tit. 37. de lamiis num. 14.
(926)
Con la Bolla Summis desiderantes affectibus promulgata da Innocenzo VIII il 5 dicembre 1484, venne dato incarico
ai padri domenicani Heinrich Institor e a Jakob Sprenger (Enrico Institutore e Giacomo Sprengero) di inaugurare una
nuova epoca per l'Inquisizione: la caccia alle streghe, affinchè venissero "punite, incarcerate e corrette" dal crimine
dell'eretica pravità. Messisi immediatamente all'opera, nell'inverno 1486/1487 pubblicarono il patologico "Malleus
Maleficarum" (Il martello delle streghe), che divenne il manuale ecclesiastico per la persecuzione delle streghe. Dopo la
sua prima edizione ne seguirono, sino al 1669, ben altre trentaquattro, che confermarono il suo immenso successo. (N.
d. R.)
(927)
Error. di Voltaire tom. 1. cap. 35. pag. 222.
(928)
Anal. dell'esame crit. del Freret cap. 10. §. 5.
243
giudice appassionato e vizioso, che si è mostrato più avido di ostentare autorità e rigore, che ansioso
di amministrare la giustizia? Se per questi motivi non si dice, nè si può dir con ragione di alcun'altro
tribunale, che è pernicioso e cattivo, come potrà dirsi di quello del S. Officio, che ha sempre puniti
con ogni severità questi disordini, e colle opportune istruzioni e colle più utili provvidenze ha
procurato sempre d'impedirli? Scorrete tutti gli autori, che trattano del tribunale del S. Officio;
leggete le Pratiche e manoscritte e stampate, che si fanno girare da gran tempo in mano dei Padri
Inquisitori; riandate i decreti fatti sino dai tempi di S. Pio V. a questo proposito; e troverete in tutti
la gran premura, che ha sempre avuta il tribunale supremo, di prevenire, impedire e correggere gli
sbagli e le irregolarità indicate: troverete i replicati ordini dati a tutti i giudici subalterni di osservare
le regole più esatte della giuridica processura; il divieto fatto a tutti d'inoltrarsi in queste inquisizioni
senza prima avere stabilito nelle dovute forme il corpo del delitto; l'avviso a tutti dato di non far
conto in questi casi della stessa confessione delle streghe, se non precedono gli atti e le prove più
convincenti e più chiare. Si hanno nella Pratica, che girava per mano degli Inquisitori, e fu poi
arricchita dal Carena di ottime note e commenti, le gravi riprensioni e minacce fatte a tutti
gl'Inquisitori, che in questa causa si sono allontanati dal prescritto sentiero; ivi si leggono i replicati
decreti, nè si tacciono i castighi, che si sono stesi sino a rimovere dall'officio quegl'Inquisitori, che
non avevano in queste cause osservata la dovuta esattezza e diligenza. Poteva far di più per evitare
ogni ingiustizia e disordine? E se dopo tante leggi e premure alcuni ne sono accaduti, a chi dovrà
attribuirsene la colpa? al tribunale, che ha usata ogni diligenza per evitarli, o a chi ha trasgredite
tutte le sue leggi per commetterli?
E questo sia detto in giustificazione del tribunale relativamente a quelle esecuzioni, nelle quali
si pretende che sia stato crudele per aver proceduto talvolta all'estremo abbandono, anche quando i
sortilegi non sono stati accompagnati da formale [412] pertinace eresia, o non hanno conseguito
que' funestissimi effetti, pe' quali motivi soltanto, come già si è detto, secondo le pontificie
disposizioni possono essere in tal modo puniti. Poichè se di altro genere di pena si vuole ragionare,
e si pretende, che quando i maleficj sono senz'effetto e senza cattiva ostinata credulità non possono
essere che con ingiustizia e crudeltà castigati colle flagellazioni, colle carceri e con opere laboriose
e servili, colle quali vengono dalle leggi canoniche moderatamente puniti, allora, io ripiglio, la
calunnia è maggiore, e dopo averli mostrati ingiusti nella taccia che danno al tribunale per
irregolarità commesse talvolta in queste cause, vi farò comprendere quanto siano irragionevoli i
suoi nemici nel prendere la protezione e difesa di questa gente inumana. Non fu con loro sì mite il
Concilio di Parigi, il quale anche prima dell'istituzione del S. Officio ai tempi di Gregorio IV.
decretò nel 829., che ut fuerint ita comperti viri seu foeminae, in tantum disciplina et rigore
principis acrius corrigendi sunt, in quantum manifestius ausu nefando et temerario servire Diabolo
non metuunt: e molto prima di lui il Sinodo di Ancira riportato dallo stesso Sinodo di Parigi, aveva
detto; qui divinationes expetunt, et more Gentilium subsequuntur, aut in domo stia hujusmodi
homines introducunt exquirendi aliquid arte malefica, aut expiscandi causa, sub regula quinquennii
lateant secundum gradus poenitentiae definitos. Oportet enim haec in omnibus et maxime in iis
locis, ubi illicite et impune multi se posse hoc perpetrare confidunt, ut studiosius et diligentius
admoneantur, et severius corrigantur.
L'impunità delle streghe e maliardi non può cadere in mente se non di chi o è così ignorante,
che non sappia che si facciano costoro per arrivare al loro intento, o così empio, che si prenda gioco
della Religione, come di cosa non meno cattiva e spregevole della stessa magia. O tenda questa a
indovinare segreti eventi e futuri, o a produrre mirabili effetti, non v'è cosa così rispettabile che non
calpesti, non v'è culto ed ossequio così religioso che non offra al Demonio per averlo propizio. Le
Scritture più sagrosante e divine, le orazioni più efficaci, i segni più venerabili, i sagri incensi, gli
olj e cere e palme benedette, l'ostia stessa consagrata ed il real corpo e sangue di Gesù Cristo si
fanno servire benespesso al mal'ideato funestissimo intento: e se qualch'uomo e fanciullo non è
sempre la vittima dell'inique sue [413] intraprese, è più volte però uno dei mezzi che adopera per
eseguirle, e coi soliti stromenti della crudeltà ammazza qualcuno per servirsi del suo sangue e delle
sue ossa, e rovinare sortilegamente molti altri: e se non sempre segue lo spoglio di chi non è stato sì
244
debole da lasciarsi ingannare da' sagrileghi loro esperimenti, gli esperimenti però sono indubitati e
sicuri. Consiste in questo il delitto delle streghe e maliardi, i quali a porre il colmo ad una tanta
empietà accompagnano talvolta gli atti esteriori con una totale apostasia e interiore dissenso dalle
verità della cattolica Religione, e si mostrano ancora nei loro errori ostinati e protervi: e questo è
che, supposto ancora impossibile l'evento, deve restare impunito nella supposizion di costoro, ed è
stato sempre punito ingiustamente. Se ciò dicessero, perchè la moderazione e pietà della Chiesa,
quando non li scopre impenitenti, e non hanno ottenuto l'effetto di uccidere qualche infelice e di
danneggiare gravemente o le Chiese o gl'incauti, che sono restati dalle loro fallacie e sagrileghe
imposture ingannati, dispensa loro la pena di morte stabilita già da tutti e gli antichi e moderni
legislatori contra simili delinquenti, sarebbero riprensibili pel nome che mutano alle cose,
chiamando ingiusto ciò che è grazioso, e facendo nascere da ingiustizia ciò che non è parto che di
clemenza e pietà. Ma chi crederà mai che costoro chiamino ingiusto il castigo dato alle streghe per
questo motivo, se cercano di ampliare in maniera la pietà della Chiesa, che la conducono entro i
confini della stupidità e indolenza? Vogliono che il castigo delle streghe sia sempre stato
ingiustissimo, perchè vogliono che il loro delitto non sia mai stato punibile, e che gli orribili loro
attentati abbiano meritato sempre più compassione che vendetta; e questo è ch'io chiamo una pazzia
insoffribile. Abbia o no l'effetto il sortilegio, è questo un'atto esterno d'infedeltà, che merita severo
castigo, e secondo le maggiori o minori indisposizioni dell'animo di chi lo commette, dev'essere più
o meno punito. Non può forse la strega divenire infedele, se resta delusa nelle sue malconcepite
speranze? non può ostinarsi ne' suoi errori? o la sua interiore o esteriore infedeltà è così dissimile a
quella degli altri, che meriti trattamento diverso? Pazzie sono queste, che non possono venire in
capo che di gente stravolta; nè io credo che importi molto il sapere, se per opera delle streghe
alcuno è impazzito o venuto meno o è stato danneggiato notabilmente, o se i racconti, ch'esse fanno,
d'essere in forma di qualche animale o insetto [414] intervenute ai notturni congressi col Demonio,
e di avere avuti con lui nefandi commercj o sotto la noce di Benevento in Italia o sul monte
Blokberg in Germania, siano falsi, per giudicarle colpevoli, quando è certo, che per ottenere questi
ed altri fini perversi hanno fatte tutte o gran parte delle indicate empietà. Serve l'effetto a rendere il
delitto più qualificato e completo; ond'è che non sono da condannarsi le diligenze, che pratica il S.
Officio per accertarsene; ma escluso anche questo, troppo resta da purgare alla strega prima che
possa pretendere di andare impunità; e troppo di più dovrebbe fare il S. Officio di quello che fa,
perchè si potesse imputare a lui non mai l'ingiustizia e crudeltà, ma solo qualche austerità e rigore.
Leggete il Torreblanca, che ha trattato con molt'estensione e criterio di quest'argomento, e troverete
più vaste notizie a discolpa e lode del tribunale di quelle che vi posso io scrivere in una lettera.
Quello per altro che vi ho detto sin qui pare a me che sia sufficientissimo a dileguare quei dubbj,
che avevano risvegliati in voi le dicerie di que' libercoli, che a parer mio non per altro motivo hanno
preso a difender le streghe, se non perchè i loro autori si sono lusingati o di potere con questo
mezzo aprirsi la strada a spargere con più riserva la loro infedeltà sull'esistenza de' Spiriti, o si sono
immaginati, che messo in salvo quest'orrendo attentato, tutto debba andare impunito. Io son tanto
lontano dal crederlo crudele per quello che ha praticato colle streghe, che temo anzi che possa
essere rimproverato talvolta di troppa condiscendenza, o almeno che debba dirsi più premuroso di
stabilire regolamenti, onde rendere impossibile ogni ingiusto gravame, che sollecito di procurarne il
castigo. Ma di questo difetto non parlo, perchè come v'ho detto, tale non può comparire ai nostri
avversarj; nè può esser tale in un tribunale, che ha fissata nella pietà la base del suo contegno, e non
castiga che mosso e sforzato dalla necessità. Non sia questa la norma e misura de' vostri comandi,
ma ogni benchè lieve motivo, v'induca a farmene partecipe: ed assicurandovi che mi riusciranno
tanto più graditi quanto più liberi e frequenti,
mi dico al solito
245
LETTERA TRENTESIMAQUINTA
L'Editto del S. Officio è ragionevole e giusto.
i fate torto con premettere tante scuse e complimenti al quesito, che mi fate nell'ultima vostra,
se possa o no essere attribuito a crudeltà l'Editto del S. Officio, che obbliga tutti i Fedeli a
denunciare gli Eretici e Sospetti di eresia; e a denunciarli anche senz'aver premessa quella fraterna
correzione, che è tanto conforme allo spirito della carità evangelica. Io vi ho promesso di prestarmi
prontamente ad ogni vostra ricerca; e voi dovete servirvi di quella libertà, che vi accorda e l'antica
nostra amicizia e la mia promessa, senza tante scuse e complimenti importuni. E questo sia detto
una volta per sempre. Rispondo ora alla vostra interrogazione, e dico che l'Editto del S. Officio,
fondato sulle provvide disposizioni della Costituzione di Gregorio IX.
(929)
e di varj altri Sommi
Pontefici, non solo non è crudele, ma provvido e giusto; e chi pensa al contrario mostra o di non
averlo ponderato abbastanza, o di non averne compresa l'importanza e lo scopo. Altro non è l'Editto
del S. Officio che una provvidenza e disposizione della Chiesa, che usando di sua autorità procura
di scoprire que' nemici, che riuscir possono più perniciosi ed infesti alla cattolica società; nè ad altro
tende che a preservare il divin Gregge dai Lupi insidiatori, e dalla corruzione e ruina la Fede di
Gesù Cristo. E qual di questa può darsi mai più giusta e lodevole disposizione? Se fu saggia la
provvidenza d'Arcadio e di Onorio, che assoggettò a castighi gravissimi chiunque consapevole di
qualche sedizione o congiura non l'avesse manifestata
(930)
; se con ragione, a detta del Farinaccio
(931)
e di tutti i Dottori, vengono assoggettati ai castighi medesimi anche gli occultatori di chi trama
insidie al trono ed alla repubblica; se niuno ha osato di riprendere le leggi romane, che castigavano
tutti [416] quelli che non indicavano gli autori e macchinatori dei ratti, dei parricidj e dei delitti di
lesa maestà umana
(932)
; chi può soffrire la disapprovazione, che si move adesso contro l'Editto del S.
Officio, che con pena di scomunica obbliga i Fedeli a denunciare gli Eretici? Basta il grave danno
temporale, che sovrasta al ben pubblico, per indurre in chi lo sa l'obbligo di denunciare il colpevole
danneggiatore; e non basterà la sovversione e ruina, che l'Eretico minaccia alla Chiesa ed allo Stato,
per giustificare quell'Editto, che obbliga a denunciarlo? Non può celarsi senza colpa, giusta
l'insegnamento di S. Tommaso
(933)
, neppure chi tende aguati, e procura la morte di qualche privato
innocente: e si potranno poi occultare i rei di manifesta eresia, che oltre la temporale cercano la
rovina spirituale dell'anime, e come si spiega S. Paolo
(934)
, mali homines, et seductores proficiunt in
pejus errantes, et in errorem mittentes? Furono ben discordi da questi i sentimenti degli antichi
nostri santi Padri e Dottori, i quali incoraggiti dalle espressioni della sagra Scrittura, che in tanti
luoghi del vecchio Testamento ne prescriveva lo scoprimento
(935)
, e mossi dall'evidente pericolo, cui
nella loro inazione restava esposta la cattolica Religione, conobbero la necessità di manifestare sì
fatti colpevoli, e li pubblicarono espressamente: e non sì tosto acquistò la Chiesa all'ombra de'
sovrani fedeli libertà e pace, che non mancarono di scoprire a tutti questo preciso dovere, e di
ricercarne bene spesso un puntuale adempimento: Magna est pietas, diceva S. Leone
(936)
, prodere
latebras impiorum, et ipsum in eis, cui serviunt, Diabolum debellare.... Cavendi sunt, segue a dire
poco dopo, ne cuiquam noceant, prodendi sunt, ne in aliqua civitatis nostrae parte consistant: e S.
(929)
Eymer. Part. 2. comm. 2.
(930)
L. 5. Quisquis Cod. ad L. Jul. Maj.
(931)
de Indiciis & furt. quaest. 51.
(932)
L. un. Cod. De raptu Virginum.
(933)
2. 2. quest. 70. art. 1. ad 2.
(934)
2. ad Timoth. Cap. 3. ver. 13.
(935)
Deut. cap. 13. ver. 6. Levit. cap. 5. ver. 1.
(936)
Sermo 8. de Collect. 4.
M
246
Ambrogio
(937)
aveva già insegnato, che in causa Dei, ubi contaminationis periculum est, etiam
dissimulare peccatum est non leve. E specificando anche meglio S. Agostino quelle accuse, delle
quali parliamo, avvisa il Vescovo Dauterio
(938)
, come udiste dalla 23. mia lettera, di non assolvere e
riconciliare alcuno, se prima non iscopre tutti coloro, che [417] conosce infetti del medesimo errore:
petenti autem poenitentiae locum tunc credatur, si et alios, quos illic novit esse, manifestaverit
vobis. Nè l'insegnò soltanto, ma lo praticò anche con molta esattezza S. Epifanio, il quale si
vanta
(939)
d'aver'usata diligenza per iscoprire e manifestare ai Vescovi que' laidissimi Eretici, de'
quali aveva conosciuto gli errori, e deluse con eroica virtù le insidiose violenze: studium
adhibuerim, ut etiam Episcopis illius loci illos ostenderem, et nomina in Ecclesia occultata
deprehenderem, quo idem
(940)
civitate ejicerentur. E S. Leone
(941)
, non contento d'avere ripetuta più
volte la stessa massima, minaccia inoltre dal più alto della sua apostolica sede i giudizj di Dio a chi
avesse avuto l'ardire di trascurarla: Contra communes hostes, sclama egli acceso di santo zelo, pro
salute communi una communis debet esse vigilantia, ne de alicujus membri ulcere etiam alia
possint membra corrumpi, et qui tales non prodendos putant, in judicio Christi inveniuntur rei de
silentio, etiamsi non contaminentur assensu. Che se riprese S. Gregorio
(942)
il soverchio rigore di
Domenico Vescovo di Cartagine, che aveva condannato a perdere i beni e dignità chiunque si fosse
mostrato meno pronto ad investigare e manifestare gli Eretici, non disapprovò per altro il suo zelo, e
cercò solo che fosse esercitato con più discrezione e prudenza.
Molte altre testimonianze d'antichi Padri e dottori voi troverete presso il Suarez
(943)
, che io
ommetto per brevità; e solo vi dico in generale, che continuarono sempre i Vescovi ne' medesimi
sentimenti; e le savie ordinazioni de Concilj Remense
(944)
, Rotomogense
(945)
, Avignonese
(946)
, e
Lateranense IV.
(947)
, e varie altre conciliari disposizioni, che nel sesto, nel nono e nel duodecimo
secolo eccitarono i Vescovi ad usare ogni diligenza per iscoprire gli Eretici, e sforzare i Fedeli a
denunciarli, e la Bolla specialmente di Gregorio IX.
(948)
, che colla [418] scomunica, (la quale per
altro da varie risoluzioni della suprema sagra Inquisizione dopo varj dubbj e consulte è stata
dichiarata non riservata) manifestò maggiormente l'importanza di questa obbligazione, ed i varj
decreti replicati sì spesso dalla suprema sagra Congregazione di Roma, che incontrar potrete
nell'Arsenale del Menghini mi servono d'autentica prova, e di prova tale che non ha bisogno nè
della legge di Platone altrove citata, nè della profana costumanza d'altre genti e nazioni per essere
rinforzata. A tutta ragione adunque il tribunale del S. Officio conserva anche ai dì nostri la stessa
pratica, e sulla scorta di sì luminosi esemplari sforza tutti i Fedeli a denunciare gli Eretici e Sospetti
di eresia ai tribunali ecclesiastici. Ed a chi volesse opporre ad una tal costumanza e la legge del
Codice, che comanda, Ut invitus agere vel accusare nemo cogatur
(949)
, e la fraterna correzione
prescritta da Gesù Cristo a tutti i Fedeli
(950)
, e l'ordine stesso dato da S. Paolo a Tito prima di
scomunicare l'Eretico
(951)
, nulla direbbe a proposito. Parla quella dell'accusa, non della denuncia: e
parla de' delitti privati e meno atroci, non di questo, che è pubblico ed atrocissimo. E quanto all'altre
testimonianze, mal si confondono le massime, che dà S. Paolo a tutti i Fedeli pel privato loro
regolamento e governo, con quelle che dà ai Vescovi pel buon'ordine del pastorale loro ministero.
(937)
lib. 2. Offic. c. 4.
(938)
E
P
. 136. al. 74.
(939)
Haeres. 26.
(940)
Nel testo: "iidem". (N. d. R.)
(941)
Ser. 15. et 5. de jejunio.
(942)
lib. 5. epist. 5.
(943)
de Fide disp. 20. sect. 4. num. 3.
(944)
Concil. Labb. tom. G. pag. 1431.
(945)
Ap. Regin. lib. 2. de eccles. discip. n. 2.
(946)
Spicil. Dacher. tom. 1. pag. 710.
(947)
Concil. Labb. tom. 13. pag. 93.
(948)
Const. Excommunicamus ad calc. Direc. Eymer. p. 3.
(949)
L. un. Cod. Ut invitus agere.
(950)
Matt. cap. 18. ver. 15.
(951)
cap. 3. ver. 10.
247
Egli ha insegnato in cento luoghi a tutti d'armarsi a vicenda, e di procurare la salute de' loro
prossimi nella più plausibile maniera, che non esclude, come abbiamo detto, ma esige piuttosto la
controversa denuncia. Insegna in questo luogo in qual modo Tito, che era Vescovo, ha da procedere
contro l'Eretico giudicialmente, e dice che lo condanni ad essere evitato da tutti, e che egli stesso si
astenga dal comunicare con lui, premesse che abbia le ammonizioni dovute. Così intende questo
passo il dottissimo Pegna
(952)
; e la sua interpetrazione, oltre l'avere il seguito di molti altri autori di
gran nome, è anche appoggiata ai sentimenti di S. Tommaso, che nel prologo alla spiegazione di
[419] questa lettera dice, che Apostolus instruit Titum, quomodo regat Ecclesiam. In questo aspetto
chi è che non veda, che non solo non giova a provare la storta opinione di coloro, che pretendono di
tacciare d'ingiustizia un Fedele, che ommessa la previa correzione privata, denuncia ai tribunali
esteriori chi dà sospetto d'infedeltà; ma dimostra anzi evidentemente ciò ch'essi ricusano di
confessare, cioè che fino dai tempi apostolici sussisteva nella Chiesa il foro esteriore, che nel
fulminare la scomunica e nel dichiarare gli scomunicati si regolava a un dipresso per ordinario
come al presente, e che finalmente un tal metodo invece di abbatterlo, giustifica anzi a meraviglia
quell'Editto medesimo, di cui parliamo, il quale, a comodo e scampo di chi è obbligato a
denunciare, tre ammonizioni premette di fatti dopo quel mese, che accorda di dilazione, prima che
proceda a dichiararlo incorso nella suddetta scomunica?
Comanda è vero, Gesù Cristo nel luogo citato la correzione fraterna: ma che risponderanno
mai i nostri contraddittori, se nello spiegare l'estensione e qualità del comando dicessi, che non si
deve stendere al delitto d'eresia, o perchè non è da annoverarsi tra i fratelli chi abbandona la Fede, o
perchè questo delitto è di tale enormità e gravezza da non esser confuso coi delitti comuni? Eppure
non è quest'opinione priva affatto d'approvatori e seguaci. Io però non ho di essa bisogno per
difendere l'Editto del S. Officio. Regge egli anche nella sentenza più applaudita e comune, che
confessa essere quello della correzione fraterna un precetto naturale e divino, e che non può essere
escluso dall'ampia sua estensione qualunque difetto, che recar possa qualche pregiudizio alla salute
del prossimo. Ma che pretenderanno perciò gl'implacabili nemici del tribunale, e certi ridicoli
protettori della severa morale pronti egualmente ed alla rilassatezza ed al rigore, purchè si tratti di
contraddire a qualche pontificia costituzione, che è poi in fine l'unico scopo degli ambiziosi loro
vaneggiamenti? Forse che non possa l'Eretico essere soggetto ad altro fuori che alla correzione
evangelica, perchè s'emendi? Li smentisce la pratica della Chiesa medesima, troppo venerabile a chi
non si è dimenticato affatto d'essere suo Figlio, e formidabile ai suoi nemici istessi per
quell'autorità, della quale la abbiamo mostrata da Gesù Cristo ben fornita per castigarli. Forse che
niuno debba inoltrarsi a questo passo senza che sia preceduta l'ammonizione segreta? Ma
quest'opinione, al riferire del [420] Card. Albici
(953)
, meritò nel 1660. la disapprovazione di
Alessandro VII: e tanti inconvenienti s'incontrano per lo più nell'eseguire cogli Eretici questo
caritatevole officio, e tante occorrono ragioni e scuse per dispensarsene, che sebbene non siavi (e ne
assicura l'immortal Lambertini
(954)
) alcuna espressa legge, che lo proibisca, è però assai plausibile il
sentimento de' migliori canonisti e teologi, che, oltre al confessare con Alessandro VII. che non è
necessario il premetterlo, dicono che non è bene il farlo, e procurano di distorre i confessori
dall'opinione contraria. Anche prima di averli corretti, osserva da suo pari Melchior Cano
(955)
, è
evidente in costoro la pertinacia, quando sanno di contraddire alla Chiesa e la voce di tutti i Fedeli
supplisce non che ad una, ma a mille private ammonizioni; e chi disprezza il giudizio della Chiesa è
da riputarsi peggiore di colui, che le correzioni disprezza d'infiniti giusdicenti e teologi: Ante
hominum hortatus istos, crede mihi, vera Haereticorum pertinacia reperitur, eorum scilicet, qui
minime ignorant opiniones suas contra Fidem Ecclesiae venire. Ipsa vero omnium Fidelium vox,
idemque communis sensus, non pro una monitione dico, sed pro mille sufficit. Quapropter Ecclesiae
unam vocem qui spernit, hic multo pertinacior est, quam qui sexcentos aut Theologorum aut
(952)
ap. Caren. Prax. Inquisit. lib. 1. c. 6.
(953)
de Inconst. in Fide cap. 35. num. 44.
(954)
de Synodo lib. 6. cap. 11. num. 9.
(955)
de Locis lib. 12. cap. 9.
248
Judicum contempsisset. Non è già che io in questa lettera pretenda di decidere la lite, e fissare
immobilmente, se possa o no chi è obbligato a denunciare premettere la correzione fraterna.
Benedetto XIV. nel luogo poc'anzi citato avvisa i Vescovi a non interporre ne' Sinodi diocesani la
loro autorità su questo punto: molto meno io debbo o posso farlo ora. Solo ripeto con franchezza,
appoggiato all'autorità dei più accreditati teologi, che sarà sempre miglior consiglio l'ommetterla; e
che quella legge che obbliga a denunciare gli Eretici senza riguardo alla correzione precedente, è
ragionevole e giusta. Il ben pubblico, che senza questa legge resterebbe esposto alle insidie e
violenze de' più scaltri e formidabili persecutori, e la facilità ed audacia di sedurre, che
negl'increduli diverrebbero sempre maggiori, assicurati che fossero di non potere essere denunciati
senza previa correzione ed avviso, [421] la giustificano abbastanza; e più ancora i disordini, che
nelle private correzioni si possono con gran fondamento temere o per parte del correttore mal
pratico, o del malizioso ed astuto delinquente, e la poca o niuna speranza che resta di ottenere per
questa strada l'emenda. In questi casi insegna S. Tommaso
(956)
, che non è necessario premettere
l'ammonizione alla denuncia; anzi incoraggisce a denunciare senza ritardo, assicurando che non ne
risente alcun pregiudizio il divino comandamento, sì perchè il peccato di cui si parla, non è solo
contro del denunciante, ma contra molti altri; primo quidem quia peccatum istud, quod vergit in
periculum multorum, non est solum in te, sed est in multos: Dominus autem dicit, si peccaverit in te
frater tuus; come ancora perchè Cristo non parla de' peccati futuri, che devono essere impediti, ma
de' soli passati; secundo quia Dominus non loquitur de culpa futura cavenda, sed de culpa
praeterita jam praecommissa. Che se vi fosse qualche novatore mal pratico, che prendesse a
criticare un tal precetto, perchè munito di censura ipso facto incurrenda, e col pretesto di qualche
umana disposizione intendesse d'insinuare che una tal pratica è contraria al divino e naturale diritto,
io lo pregherei di guardarsi dal cadere in così manifeste contraddizioni, ed a leggere attentamente la
Bolla Auctorem Fidei, che condanna la 46. proposizione concernente questa materia, come
temeraria e contraria alla pratica, alla legge ed all'autorità della Chiesa.
Tutto è vero, direte voi, e tutto sussiste, trattandosi di Eretici formali e pertinaci; ma come può
aver luogo in tanti poveri ignoranti, i quali senz'aver mai dato un minimo indicjo d'infedeltà, o per
trasporto di collera o per ignoranza prorompono in qualche atto o parola soggetta al tribunale della
Fede? In questi siccome è sicura l'emenda ad un semplice avviso, così non par giusto, che senza di
questo siano dedotti al tribunale esteriore. V'è chi l'accorda; ed anche a fronte del decreto.
d'Alessandro VII.
(957)
, che comanda di denunciare i leggermente Sospetti, ed a fronte dell'Editto del
S. Officio, che parla di tutti in generale, sostengono alcuni, che non debba, nel caso [422] esposto
aver luogo la formale denuncia, e possa colla sola privata ammonizione procurarsi l'emenda del
delinquente. Io non sono così facile a mitigare senza necessità il rigore delle leggi; e tanto più
volontieri m'appiglio al sentimento contrario, quanto lo vedo più applaudito da' dottori di maggior
grido, che voi potrete incontrare presso Giacomo Pignatelli
(958)
, e quanto più spero che ne possa
riportare maggior vantaggio e decoro il tribunale, difeso che sia anche da quelle accuse, che sono
appoggiate a principj non ammessi da tutti universalmente. Accordo adunque con molta liberalità,
che anche nell'indicato caso, ed anche dopo premessa l'ammonizione, l'editto del S. Officio obblighi
a denunciare; e sostengo insieme che neppure in questo caso è irragionevole e ingiusto. Sovvengavi
quanta ragione abbia la Chiesa di temere insidie, finzioni e sorprese dagli Eretici così facili a vestire
le divise di mansueti agnelletti per sedurre a man salva, e così difficili a scoprirsi da chi non ha la
necessaria pratica ed accortezza. Riflettete inoltre ai danni gravissimi, che hanno cagionato talvolta
alcuni empj di più raffinata malizia, che comparivano al di fuori prodigiosi esemplari di cristiana
pietà; poi ditemi se il suo tribunale non ha ragione di mettersi in guardia ad ogni rumore, e di
voler'essere informato di tutto ciò, che può avere qualch'ombra o sentore di seduzione. Tanto più
che nel cautelarsi così altro non fa, che provveder meglio alla sicurezza
(959)
e integrità della Fede, nè
(956)
de Verit. quaest. 3. art. 2. ad 10.
(957)
ap. Thom. del Bene inter Decreta et Constit. recent. Pont. tom. 2. pag. 657.
(958)
Noviss. Consult. tom. 2. Consult. 143.
(959)
Nel testo "sicurrezza"! (N. d. R.)
249
reca al denunciato, quando sia innocente, alcun pregiudizio o gravame. E qual danno può riportare
l'innocente da un tribunale facile ad accogliere amorevolmente anche i più maliziosi colpevoli,
qualor si convertano? O come non dovrà aspettarsi di essere accolto tra le amorose braccia d'un
Padre amoroso, che lo istruisca, chi ha mancato per ignoranza o sorpresa, se trova appena un vero
giudice chi ha spropositato ad occhj aperti e con ogni avvertenza possibile? Supplirà in questo caso
l'ammonizione del Superiore a quella del denunciante; e l'essere anche il Superiore fatto
consapevole dei mancamento, riuscirà di tanto minore aggravio al colpevole, quanto minore
scoprirà l'estensione della colpa, e più pronta ed accertata l'emenda; e costretto com'è da religioso
dovere a nascondere tra i cupi seni del cuore quant'ha saputo, si verificherà appena che [423] sia
stato altrui manifestato il colpevole. Accorda S. Tommaso
(960)
, che in ogni occorrenza di correzione
evangelica possa chi è persuaso che la voce del Superiore esser debba più efficace, ommessa la
privata e segreta, a lui ricorrere preventivamente di propria elezione, perchè come padre amoroso
supplisca alle sue veci, e provveda al bisogno. E non potrà farlo col Superiore, che regge il tribunale
del S. Officio, padre anch'egli non men che giudice indotto da una legge saviissima, che lo
determina ad un tal passo? Vendano costoro codeste favole a chi o per sciocchezza o per malizia è
disposto a crederle: a noi non già, che istruiti abbastanza e delle soavi maniere del tribunale del S.
Officio e dell'equità di quell'Editto, che lo regge e sostiene, siamo preparati non che ad escludere,
ma a dimostrarne altresì l'insussistenza e malizia.
D'una sola cosa vi devo avvertire, ed è di guardarvi dal dare a quest'obbligo maggior'estensione
di quella che ha veramente, e dilatarlo per modo, che inchiuda anche gli Eretici o i Sospetti di
eresia, che riesce ad un Confessore di scoprire non per altra strada che per quella della sagramental
confessione. Il bugiardo Voltaire asserisce che è stato imposto un tal'obbligo ai Confessori e
relativamente ai delitti di trame e cospirazioni e rapporto a quello di sollicitazione, ed appoggia la
prima sua asserzione ad una decisione del Parlamento di Parigi del 1610., l'altra a qualche pontificia
determinazione. Ma ommessa la prima, che non vacillerebbe solo per l'intrinseca sua ingiustizia, ma
anche per l'incompetenza del tribunale che l'ha proferita, è falsa certamente l'altra e calunniosa. I
soli penitenti sollecitati devono essere obbligati dal Confessore a denunciar quelli, dai quali sono
stati sollecitati, giusta le savie disposizioni di Paolo IV., Pio IV., Clemente VIII. e Gregario XV.; i
Confessori non già, ai quali con tanta premura viene da tutte le leggi e divine ed umane
raccomandato il sigillo sagramentale, e si vuole che sia rispettato anche a costo della vita in
qualunque caso. Ma non è strano che l'ignorasse o lo sfigurasse il comico Voltaire, che non ha mai
applicato alle cose sagre che per deriderle, ed ha creduto di poter imparare dai Parlamenti di Francia
i doveri del Confessore.
Credo d'avere per tal modo soddisfatto appieno al vostro quesito; e che voi dopo tante prove e
ragioni; che giustificano l'Editto [424] del S. Officio, non penerete molto a disprezzare le ciancie e
clamori di cert'increduli libertini, che per timore d'essere denunciati spacciano quest'azione per poco
onestà e civile, e confondendo insieme chi per vile guadagno e per lo più non senza tradimento e
calunnia riporta ai tribunali i delitti comuni con chi mosso da giusto zelo e spinto dall'autorità della
Chiesa scopre senz'astio e doppiezza le ingiurie, che si fanno alla cattolica Religione, spacciano
questo non men di quello disonorato ed infame; e mentr'essi non hanno vergogna di propalare a tutti
le umilianti cadute di quelle infelici fanciulle, che hanno sedotte empiamente, allora solo le
spacciano per disonorate e vili, quando tocche dalla grazia del Signore ed ubbidienti al comando
della Chiesa depongono nel tribunale della Fede la loro empietà per convertirli. Così si confondono
ai giorni nostri cose tra loro assai disparate e dissimili; e tutto si guasta e travisa per procurare
impunità al più vergognoso libertinaggio. Furono ben lontani dalla delicatezza de' giorni nostri, che
disapprova le semplici denuncie, i rigori d'Egitto, che assoggettavano alla pubblica indignazione
delle leggi chiunque trovavasi presente ad un'omicidio, nè la cura si prendeva non che d'accusare,
ma anche di arrestare il colpevole. Dalle quali disposizioni non si scostò molto la legislazione di
Atene e di Roma; ed una ve n'ha tuttora in Inghilterra, che frena per tal mezzo l'ingordigia de' ladri.
(960)
Quodlibet. 11. art. 13.
250
Fu poi di queste assai più risoluto e più forte lo zelo di molti antichi Cristiani, de' quali abbiamo
parlato altrove, i quali al manifestarsi di qualunque Eretico la cura si prendevano di renderne ben
presto consapevoli i Pastori, e non si vergognavano talvolta di condurli essi stessi ai rispettivi
tribunali, e di assoggettarli al meritato castigo. Ma nulla serve a disinganno di costoro. Atene, Roma
e gli antichi Cristiani sono capi d'opera e degnissimi d'essere imitati, quando parlano ed operano a
modo loro: divengono bestie e fonghi vilissimi, se per poco si scostano dai perversi loro sentimenti.
Ma di questo abbastanza; chè non può che sconcertare assai ed affligere fuor di modo il
fermarsi a discorrere a lungo de' troppo noti ed obbrobriosi deliri del secolo illuminato. Una cosa
sola voglio aggiungere relativamente all'Editto, la quale può giovare se non a schiarire meglio il
dubbio proposto, che credo dilucidato abbastanza, a farvi almeno vie più comprendere quanto
grande sia stata la clemenza del nostro tribunale sino dal suo nascere, e quanto siasi perfezionata in
appresso; ed è il [425] divario che passa tra la presente e l'antica pubblicazione dell'Editto.
Destinato una volta l'Inquisitore a sostenere l'apostolico suo ministero in qualche città o provincia, e
passati i dovuti officj di convenienza coi Vescovi e magistrati, non cominciava subito l'esercizio di
sua giurisdizione dal comandare ai Fedeli di denunciare gli Eretici o Sospetti di eresia; ma nella
solita predica detta Verbum Crucis invitava tutti i colpevoli a ravvedersi, e si fissava con un'Editto,
detto di grazia, un tempo determinato, nel quale si permetteva un generoso perdono a chiunque si
fosse presentato ai piedi dell'Inquisitore, e pentito avesse cercato d'essere riconciliato alla Chiesa: e
si manteneva a tutti con ogni lealtà la fatta promessa. Passato questo tempo, succedeva l'altro Editto
detto di giustizia; e in questo, chiuso ogni adito a pensieri più miti, si comandavano le necessarie
denuncie, indi si ricevevano colle prescritte formalità, e si procedeva contro i denunciati con quel
rigore che prescrivono le leggi. Adesso si pratica in altra maniera; e siccome gl'Inquisitori hanno
stabili e fisse le loro residenze e la giurisdizione quasi ordinaria ne' rispettivi distretti, così non ha
più luogo il primo Editto di grazia, e contra i denunciati si procede in ogni tempo, quando lo esiga
la gravità della causa, giudicialmente. Pare a Fr. Paolo, che la Chiesa o la S. Sede si sia in questa
mutazione scostata alquanto da quella pietà, che usava una volta con questi infelici; ma parla egli al
solito senza ragione: e se l'antica avversione, che ha sempre mostrata contro il tribunale del S.
Officio, lo avesse lasciato riflettere a quella Spontanea, che ammette ai dì nostri non per soli due
mesi, come allora, ma in qualunque tempo, ed alla generosa maniera, colla quale perdona agli
Spontanei ogni grave pena non solo quando non prevenuti confessano ingenuamente il loro reato,
ma anche quando si sono accumulate contro di loro molte prove ed indizj, nel qual caso si trattano
adesso con gran dolcezza, e si spediscono come se fossero sponte comparenti, avrebbe veduto che
la clemenza presente è nel tribunale assai maggiore dell'antica, e che non solo ingiuste, ma sono
anche insussistenti e ridicole le sue querele. In somma dovunque si volga, lo sguardo, s'incontrano
in lui contrassegni evidenti di misericordia e clemenza; e chi lo accusa d'ingiusto e crudele fa a lui
più torto di quello che voi fareste a me, cessando un sol momento di credermi quale con tutta la
stima mi dichiaro
251
LETTERA TRENTESIMASESTA.
Il Metodo che usa il S. Officio non è contrario
ma favorevole ai rei.
e sono false le accuse finora proposte contra il tribunale del S. Officio, i suoi nemici hanno
perduta la causa. Quello che aggiungono contra il metodo, che osserva nel giudicare, non basta
all'intento che hanno di screditarlo e distruggerlo: ed ha un bel dire l'autore della storia
dell'Inquisizione nel fine del primo libro, che in questo tribunale formalitates sunt omnes novae,
modi, ut pereant accusati, facillimi; ed ha un bel pretendere l'autore del Diritto Pubblico
Ecclesiastico Francese, che a scanso d'ogni abuso che vi si potrebbe introdurre si eriga in ogni luogo
un tribunale di altra specie, al quale appartenga e di rivedere le sue sentenze e d'impedire i disordini
che fossero già stati introdotti o si volessero introdurre
(961)
; che non riuscirà mai nè all'uno nè
all'altro di darlo ad intendere, se non a quei soli, i quali o hanno non meno di loro l'animo
preoccupato da rabbia e livore contro le costumanze della Chiesa Romana, o sono così ignoranti e
storditi, che o nulla sanno o nulla sono capaci d'intendere. Quando considero costoro così
affaccendati nel criticare ogni cosa che manchi, e nel biasimare ogni parola, ogni passo, ogni
decreto che faccia il nostro tribunale, mi sembra di vedere in essi quegli sfortunati avvocati, i quali
avendo una cattiva causa per le mani, e non potendo addurre sode ragioni per discolpare i rei,
attaccano il processo, e nella tela giudidaria cercano pretesti e cavilli per liberarli dalla temuta
sentenza. Hanno cercato finora d'impugnare l'autorità e giustizia del tribunale, la decenza de' suoi
Presidenti, l'onestà de' ministri; hanno chiamate ingiuste le sue leggi, tirannico il suo Editto, il
delitto impunibile, le pene crudeli, la sua indipendenza usurpata; ma respinti efficacemente dalla
troppo evidente falsità delle loro asserzioni, eccoli ora rivolti a criticare il metodo, che usa ne' suoi
giudizj [427] per vedere pure se vi è qualche strada che conduca a distruggerlo: nel che sono di
tanto inferior condizione agli avvocati suddetti, quanto è meno riprensibile chi si studia di salvare
con troppo fine e ricercate maniere un'infelice colpevole, di quello che con maliziose arti e maligne
invenzioni procura di rovinare un tribunale integerrimo, cui tanto deve la pubblica e privata felicità.
Seguitiamoli ciò nulla ostante in ogni loro movimento, e vediamo quale aver possano codeste nuove
mosse più utile riuscimento. Amico ventum est ad Triarios; e se questo colpo va male, è finita per
sempre; non hanno come risorgere; e voi resterete sempre meglio convinto, che tutte le loro
opposizioni sono falsità, scioccherie e calunnie; ma fin d'adesso vi assicuro che non può andare che
malissimo: e prima di discendere a quei punti particolari, dei quali voi mi avete interrogato, parlerò
del modo di procedere in generale, e vi farò conoscere evidentemente, che non solo non è
riprensibile e di aggravio ai colpevoli; ma anzi meritevole di molta lode ed ai rei utilissimo.
Tre sono le parti principali di ogni processo criminale; una, che informa il giudice del
commesso delitto; l'altra, che sente il supposto colpevole; la terza, che parla in sua difesa e favore,
alla quale viene in seguito o l'assoluzione del medesimo, se si scopre innocente, o la dimissione
senza castigo, se il delitto non è provato abbastanza, o la sua condanna, se è confesso o convinto.
Ognuna di queste parti si trova anche nei processi, che fa il tribunale della Fede. S'informa
anch'esso del fatto ereticale: sente anch'esso e difende i colpevoli, ma in una maniera più esatta e
più vantaggiosa di ogni altro, e li assolve o condanna, ma in una forma ai supposti colpevoli assai
più vantaggiosa. Quanto alla prima parte trovo in molti disapprovato il metodo, che usa talvolta il
nostro tribunale, di procedere per via d'inquisizione: ma perchè lo disapprovino trattandosi di
scoprire nemici tanto insidiosi e perniciosi, quanto altrove vi ho fatto vedere, e non in tant'altri
(961)
Histoire du Droit etc. tom. 2. diss. 7.
S
252
tribunali, allor che trattasi di segrete macchinazioni contro il principe e la patria, nol dicono essi:
ond'è ch'io non mi credo in obbligo di rispondere loro se non che una sì grande parzialità reca un
ben fondato sospetto, che i loro rimproveri nascano da tutt'altro principio che dal troppo rigore o
dannevole irregolarità di procedere del tribunale. Non posso però dispensarmi dal diffondermi alcun
poco nel confutare Pietro Giannone, il quale dopo d'avere adottato il suddetto [428] principio,
ch'egli attribuisce al Vossio, ed è certamente di moltissimi Protestanti, soggiunge così
(962)
: Nel che,
come nota Vossio, fu maggiore la clemenza di Trajano Gentile contro i Cristiani, che delli stessi
nostri Cristiani, non pur contro i Maomettani, ma contro i Cristiani medesimi imputati di eresia. È
sembrato poco a costui il disapprovare con un Protestante la pratica della Chiesa cattolica, che ha
voluto anche rendersi ridicolo con approvare, se pur son vere, le sue sciocchezze. Si può ideare
pazzia maggiore del paragone che fa del decreto di Trajano colla pratica della Chiesa? Trajano tratta
della maniera che si deve usare contro persone, che il Prefetto aveva dichiarate non colpevoli. La
Chiesa non agisce nel caso nostro, che contro i colpevoli di uno de' più orrendi misfatti. Quello
risparmia ai primi la sola inquisizione; ma accusati li condanna ai più ingiusti rigorosi castighi:
questa tenta ogni strada per punirli colpevoli, ed assolverli innocenti. Quello uccideva gli eroi della
Fede di Gesù Cristo: questa castra i precursori dell'Anticristo. Giannone però non si è contentato di
delirare col Vossio nel paragone indicato e nella strana conseguenza che ne deduce, ma per rendersi
più ridicolo ha aggiunto ancora qualche cosa del suo, chiamando quella, che Vossio aveva detta
connivenza co' Cristiani, clemenza contro i Cristiani; e mette nel rango stesso gli Ebrei, i
Maomettani e gli altri Infedeli coi Cristiani, quasi che la clemenza fosse virtù ordinata all'altrui
danno, e non piuttosto all'altrui salvezza e favore, e il tribunale del S. Officio procedesse nella
stessa maniera e contra gli Eretici e contra i Maomettani ed Infedeli che non sono mai stati
battezzati. E quando mai cesserà costui di freneticare, e distinguerà gli Eretici dagl'Infedeli non
battezzati, ed imparerà da Tertulliano, che il rescritto di Trajano fu iniquo per ogni parte; Oh
sententiam necessitate confusam? Così esclama egli nel suo Apologetico: Negat inquirendos ut
innocentes, et mandat puniendos ut nocentes. Parcit et saevit: dissimulat et animadvertit. Quid
temetipsum censura circumvenis? Si damnas, cur non inquiris? Si non inquiris, cur non et absolvis?
Latronibus vestigandis per universas provincias militaris statio sortitur; in reos majestatis et
publicos hostes omnis homo miles est; ad socios, ad conscios usque inquisitio extenditur. Solum
Christianum inquiri non licet, offerri [429] licet; quasi aliud esset actura inquisitio, quam oblatio.
Damnabis ergo oblatum, quem nemo voluit requisitum? Sarà bene che impari altresì da tutti i
migliori Pubblicisti, e scrittori che il procedere per inquisizione in delitti gravissimi, quale è quello
di eresia, non solo non è riprensibile, non solo non è recentissimo, com'egli suppone, essendo stato
praticato da S. Leone e da S. Epifanio anche prima del tribunale sistemato nella forma presente, ma
è assai commendevole e moderato, sì perchè lo sfregio delle accuse il più delle volte suole riuscire
più pernicioso che utile, come ancora perchè usato colle cautele, riserve e ponderazioni, che non
mai si trascurano dal tribunale del S. Officio, riuscir suole più vantaggioso ai colpevoli che al fisco.
Non meno che in questa il tribunale è favorevole ai rei in ogni altra parte del processo
informativo: e quanto alla pratica di esaminare tutti i testimonj informati, previo il loro giuramento,
di sentirli senza suggestione ed inganni, e di esporre diligentemente i loro detti ed il motivo e le
cause delle loro asserzioni, conviene con tutti gli altri tribunali. Questo solo il nostro ha di proprio e
di più favorevole ai rei, che dà il giuramento anche al denunciante o accusatore; e lo dà dopo di
averlo avvertito del gravissimo peccato che commette calunniando chiunque in materia di Fede, e
delle gravissime pene e spirituali e temporali, alle quali si espone dicendo il falso. Non fa precedere
al giuridico alcun'altro esame stragiudiciale, per iscoprire donde ricavar possa i pregiudizi maggiori:
non iscrive soltanto ciò che può gravare i colpevoli, ma incarta ancora le loro scuse e discolpe; e
nota con ogni diligenza tutto ciò che può rendere o meno chiari i loro detti, o meno sicura la loro
testimonianza.
È vero che in questo tribunale hanno luogo alcuni testimonj di vile condizione o infami o
(962)
Stor. Civil. di Nap. lib. 1. cap. 11.
253
deboli, che negli altri sarebbero esclusi. Ma non sono sempre esclusi negli altri in ogni genere di
delitti; nè si possono escludere in questo, che è più grave d'ogni altro, e può dalle persone vili ed
infami avere schiarimenti maggiori. Sono queste, come vi ho accennato nella quinta mia lettera, o le
prime ad inventare gli errori, o le più facili ad essere sedotte, o almeno le assediate dagli Eretici
prima e più scopertamente dell'altre, per trarle nel loro partito. La donna, dice S. Massimo
(963)
,
usitatus ad decipiendum sexus [430] est: fraudis suae vasculum in Ostiaria Diabolus recognoscit,
quia fideles viros nonnisi per mulierem oppugnare consuevit. Lo sanno gli Eretici, e procurano
d'imitarlo; e donne infami furono quelle, delle quali si servivano i Gnostici per sedurre i Fedeli, e ne
sperimentò le insidie anche S. Epifanio, come narra egli stesso
(964)
. Achilla discepolo di Ario, ed
Ario stesso si servivano anch'essi di donne per propagare i loro errori; e se ne lagna S. Alessandro
Vescovo d'Alessandria nella sua lettera che scrive ad Alessandro Vescovo di Costantinopoli
(965)
,
nella seguente maniera: Et nunc quidem ad judicum tribunalia nos trahunt per interpellationem
mulierum disciplinam non servantium, quas ipsi in errorem induxerunt, nunc christianae Religioni
probrum atque infamiam adspergunt, dum juvenculae ipsorum per omnes vicos et compita turpiter
circumcursant. E se prestiamo fede a S. Girolamo
(966)
, furono femine quelle che in ispecial modo
professarono e propagarono l'error di Pelagio. E Pikardo ristoratore dell'infame setta degli Adamiti
nella Boemia non si servì, come racconta Enea Silvio ovvero Pio II
(967)
, della plebe più vile per
ottenere il vergognoso suo intento? E, come racconta il Varillas
(968)
, non fu riputata utile dall'empio
Gulielmo Farel l'opera di teneri fanciulletti e di sordidi bettoglieri per dilatare con oscene canzoni il
calvinismo in Ginevra? E per sostenere e dilatare il giansenismo in Francia non si servirono i
moderni settarj e del vilissimo Diacono Paris e di cento donne visionarie e convulse? Non è dunque
irragionevole, che si senta nel tribunale del S. Officio gente sì fatta; nè questo ridonda in aggravio
dei pretesi colpevoli, se tutte quelle diligenze e cautele si usano, che prescrivono le regole e pratiche
esattissime per evitarlo. Vogliono queste che non dei soli loro detti, ma della stessa loro condizione,
età, stato e credito si tenga esattissimo conto, nè permettono che si valuti la loro testimonianza più
di quello che merita la condizione di ciascuno. Quindi è, che in questo tribunale, a differenza d'ogni
altro, non si procede mai, almeno in cause di qualche mole, ad atti irretrattabili, senza che preceda
un lungo esame ed un'intero processo per rilevare colla possibile sicurezza tuttociò, che può
accrescere o debilitare il [431] il credito de' testimoni fiscali, e rendere più o meno efficace la loro
deposizione; e tanto più crescono le diligenze, quanto maggiore è il pericolo; nè mai si omettono
nelle cause di sollicitazione, nelle quali essendo stati per necessità delle cause medesime abilitati a
far prova anche i testimonj singolari (giacchè nei delitti, che ammettono contestura, la singolarità
dei testimonj è soggetta alle medesime regole, le quali vegliano negli altri tribunali), questa
necessità, che tornar potrebbe a danno degl'inquisiti, è compensata da mille altri riguardi, che si
hanno prima di venire a qualche gravosa risoluzione.
Ridotto per tal modo a buon termine il processo informativo, l'ordine della causa esige che si
senta il colpevole; e quel passo irretrattabile della carcerazione, che negli altri tribunali si fa al
primo indizio di qualche peso, a quello del S. Officio non costa meno delle seguenti diligenze e
cautele. Si distribuisce un minuto sommario di tuttociò che si è attirato sino a quel punto; e dopo di
aver accordato a tutti i Consultori quel tempo, che è sufficiente a ponderarne ogni sillaba, si
adunano insieme, e di tutti si sente il parere, e tutti sono obbligati, come avvisa l'Albici
(969)
, a fare
più le parti di difensori che di giudici e consultori; e qui è appunto, come mi ha assicurato uno di
quelli, che vi è stato molt'anni presente, dove vengono in campo tutte le eccezioni pretesti e scuse,
che gli autori accennano, per sollevare il preteso colpevole. La collera, che lo ha trasportato, la
(963)
Homil. 53.
(964)
Haeres. 26. n. 17.
(965)
ap. Theodor. lib. 1. Hist. Eccl. cap. 4.
(966)
Epist. ad Cresiph. cont. PeIag.
(967)
Hist. Bohemic. cap. 41.
(968)
Hist. de l'Eresie lib. 11. tom. 3. pag. 17.
(969)
de Inconst. in Fide part. 1. cap. 27. num. 15.
254
passione, dalla quale può essere stato acciecato, l'inconsideratezza, l'ignoranza, che possono avere
avuto luogo nelle sue operazioni, qualunque difetto, che sia occorso negli Atti, la qualità e
condizione stessa della famiglia del reo, il suo carattere e credito; quello de' testimonj, tutto è
rilevato con esattezza, per vedere pure se qualche cosa s'incontra, che lo discolpi e sollevi: e basta
una sola ombra d'inconvenienza, d'inimicizia o di aggravio, perchè si venga nel sentimento più mite,
e si sospenda qualunque atto irretrattabile, e si aspettino nuovi schiarimenti e conferme o favorevoli
o contrarie per procedere ad atti ulteriori. Che se dopo un'esame così diligente ed un'esatta consulta
nulla si scopre di concludente a favore del reo, voi vi anderete ideando, che sia concluso l'affare, e
che actum sit de Sejano. Eppure non è così. Resta ancora un'altro esame non meno [432] diligente e
pietoso o avanti il S. Padre, se la causa lo merita, o avanti i soli Eminentissimi Inquisitori generali,
se la causa non esige d'essere portata al trono pontificio; i quali avendo sott'occhio col sommario
della causa anche il parere de' Consultori, ne considerano il valore, e bencompresi tutti i meriti della
causa, piegano per lo più alla più mite risoluzione, se pure dopo tante diligenze ed esami al sorgere
di qualche dubbio o il S. Padre o gli Eminentissimi Cardinali non obbligano gli avvocati a dare in
iscritto il loro voto, com'è succeduto talvolta. Ed è sì cauta la sagra Congregazione nel procurare
che in queste esecuzioni non segua cosa alcuna, che riuscir possa di aggravio degl'inquisiti, che
vuole che si registri la maniera di tali esecuzioni, e si fa contestare dai rei medesimi nei loro
costituti, per vendicarne gli oltraggi, se fossero mai stati strapazzati dai suoi ministri in mal punto.
Io venero e rispetto ogni altro tribunale, che veglia instancabilmente alla difesa e sicurezza della
repubblica e de' cittadini, e tengo per certo che in ognuno si osservi per lo più con ogni esattezza ciò
che prescrivono le leggi: trattandosi però di carcerazione, sono certo che niuno ha mai usate, nè può
usare diligenze sì grandi per non errare, nè alcuno ve n'ha, che vantar si possa di essere in questa
parte così favorevole ai rei, come è quello del S. Officio.
Vediamo ora se siano proporzionate alle antecedenti le diligenze e cautele, che si usano nel
sentire giuridicamente i colpevoli, e costituirli in giudizio. Anche in questa parte ha moltissime
leggi comuni ad ogni altro tribunale: anche ai suoi giudici è proibito di sentire alcuno nelle carceri,
di parlar loro stragiudicialmente, di usare interrogazioni suggestive, d'ingannarli con finte promesse
e menzogne, di minacciarli ed ammonirli fuor di tempo e proposito, di metterli tra i rei senza
sufficienti prevenzioni ed indicj, e di escluder ciò ch'essi addur volessero in loro giustificazione e
discolpa. Anche nel S. Officio hanno i rei la libertà di dare e ai giudici subalterni e ai testimonj
quelle eccezioni, che sono ragionevoli. È stato, è vero dispensato da Innocenzo, Alessandro ed
Urbano IV. e da Bonifacio VIII. dall'obbligo di procedere collo strepito e rigorosa forma degli altri
tribunali; ma una tale dispensa, come è stata spiegata dalle posteriori costituzioni di Clemente V., e
dalle utili note del Pegna
(970)
, contribuisce assai alla più sollecita spedizione della causa, [433] ed a
salvarlo da quei maneggi e raggiri, che userebbero gli Eretici per liberarsi dai meritati castighi; ma
punto non iscema di quel favore, che accorda ai colpevoli. L'essere anzi questa maniera di giudicare
sommaria e de plano comune in varie cause anche ad altri tribunali ed anche antichissima presso
molte nazioni fa che non possa essere imputata a vizio del nostro, che nella gravità delle cause non
la cede ad alcuno, ed ha motivi tanto maggiori di adoprarla, quant'è maggiore l'astuzia degli Eretici
di quella d'ogni altro colpevole. Che nuoce il minore strepito e la piana forma e spedita di
procedere, la quale, giusta la spiegazione di Clemente V.
(971)
, necessario libellum non exigit, litis
contestationem non postulat, tempore etiam feriarum ob necessitates hominum inductarum a jure
procedere valet, amputat dilationum materiam, litem, quantum poterit, facit breviorem, exceptiones,
appellationes dilatorias et frustatorias repellendo: Partium, advocatorum et procuratorum
contentiones et jurgia, testiumque superfluam multitudinem refraenando: che nuoce, dissi, questa
disposizione, se ommesse anche tutte queste cose, che ad altro non servono per l'ordinario, che ad
impedire o ritardare la giustizia, e a dar luogo ad impegni e raggiri, devono i processi nelle cose
sostanziali esser formati sì bene, come se non godessero di alcun privilegio? Abbracciano queste
(970)
in Direct. Eymer. p. 3. quaest. 55. comm. 104.
(971)
Clement. Saepe contigit ult. De Verb. Significat.
255
cose sostanziali, come insegna il Pegna
(972)
, citationem, juramenti praestationem de veritate
dicenda, probationes legitimas, exceptiones utiles, appellationes necessarias, inducias seu terminos
competentes, et alia hujusmodi, sine quibus aut vere delictum probari non posset, aut reus non
posset se jure defendere, et caetera, quae reo competunt non tam civili quam naturali ratione. Haec
enim omnia, così poi soggiunge, et si quae sunt similia, praeteriri non possunt ab Inquisitoribus
virtute hujus amplissimi privilegii.
Avrete letto in alcune gazzette e libricciuoli alla moda, che i rei nel S. Officio sono interrogati
solamente in genere del loro delitto, e che si lascia ad essi la pena d'indovinarne la specie e [434]
qualità individua: ma dalle già dette cose voi potete comprendere, che questo è uno degl'infiniti
sbagli, ch'hanno presi codesti autori, che trasportati dalla rabbia o per ingordigia di un vile
guadagno scrivono ciò che non sanno, e siate pur persuaso, che supposta una legittima prevenzione
dovunque può aver luogo questione rigorosa, gl'interrogatorj non si fanno solamente in genere, ma
anche in individuo; e ve ne possono assicurare tutte le pratiche, che sono stampate a comune
disinganno: e se le interrogazioni in genere precedono le altre, non è che per giovare i colpevoli in
caso che si risolvano di confessare così i loro delitti, e meritarsi con questa confessione, che si
chiama spontanea, trattamenti più miti. In questa parte altro non ha di diverso dagli altri tribunali,
che l'occultazione di quei nomi e di quelle circostanze, che senza profitto del reo servir possono a
manifestare con loro danno e pericolo le persone, che sono state sentite in processo; la quale
occultazione se è di qualche aggravio ai colpevoli, resta assai ben compensata da altri vantaggi e
favori. E non è al certo piccol vantaggio del reo l'obbligo, che hanno i giudici, e che si eseguisce
fedelmente, se qualche straordinario accidente non esige il contrario, (ma lo ignora l'imperito
Annalista di Firenze) di sentirlo dentro tre giorni, e di non lasciarlo languire ozioso nelle carceri e
settimane e mesi ed anni, come succede in tanti altri. Vantaggioso è altresì al medesimo, che non si
facciano i costituti senza l'intervento dell'avvocato, come si praticava una volta con tutti, ed ora si
usa almeno nelle cause maggiori; e trattandosi di persone di distinta condizione e carattere senza
l'intervento anche dell'Assessore e de' più qualificati personaggi, come fu praticato col de Dominis e
col Galileo. Volete di più? Si accorda ai rei la dilazione a rispondere, se pure, la cercano: si fa loro
animo a difendersi, se pur mostrano di parlare con cristiana ingenuità e schiettezza; e quando anche
non ne diano essi alcun cenno, si eccitano apertamente a scoprire se hanno mai avuta alcuna
inimicizia per liberarli da quelle oppressioni, che nascer potrebbero da questa feconda sorgente di
calunnie e di aggravj.
Quello però che più d'ogni altra cosa dimostra il favore e vantaggio, che trova ogni reo nel S.
Officio, sì è la terza parte, nella quale, dopo che il reo ha legittimato il processo in quella maniera
che è piacciuta a lui medesimo, gli si accorda libero il campo a fare le sue difese, gli si consegna la
copia del processo, [435] e gli si destina non il solo avvocato o procuratore del S. Officio; come
dice falsamente l'autore della Storia Fiorentina più volte citato, ma quello sibbene che piace a lui di
scegliere tra tutti i possibili
(973)
; e può dire, scrivere e parlare quanto vuole coll'avvocato stesso per
discolparsi e difendersi. Quattro ne cercò Marc'Antonio de Dominis; e tutti furono a lui accordati. È
vero che mossi i rei per lo più dalla pietà, che ne' loro costituti hanno scoperto essere il singolar
carattere di questo Tribunale, non si curano di altra difesa, che di quella che si aspettano da lei
medesima: ma non tralascia per questo il tribunale di commettere al suo avvocato, che li difenda ex
officio. E qui è appunto dove più segnalata si scopre la sua moderazione e pietà. Quante eccezioni si
possono dare ai testimonj, tutte si danno in queste difese; qualunque buon senso ammettano le
parole e i fatti che a delitto si ascrivono, è indicato apertamente. Se v'è oscurità o discordanza ne'
detti dei testimonj; se v'è irregolarità nelle interrogazioni del giudice; se v'è difetto negli atti; tutto è
(972)
Comm. 104. in 3. part. quaest. 55.
(973)
Possibili = naturalmente, com'è prassi, tra quelli graditi e nominati dal Tribunale e dopo aver prestato giuramento di
fedeltà all'Inquisizione.
Si può avere idea della procedura adottata dal Tribunale - all'epoca del nostro autore - leggendo la relazione che scrisse
Tommaso Crudeli sulla sua carcerazione, pubblicata alla fine di Fatti attinenti all'Inquisizione e sua istoria generale e
particolare di toscana del Rastrelli, alias Francesco Becattini, reperibile su [www. liberliber. it] .
(N. d. R.)
256
messo in comparsa a vantaggio del reo, e tutto viene valutato dai giudici pietosissimi nel pronunciar
la sentenza; la quale se pur lo condanna a qualche castigo, è sempre minore di quello che si è
meritato, e che ricercano gli Atti presi a tutto rigore, e in parità di voti sempre la più mite e più
favorevole al delinquente. Viene poi intimata fra tante salutari esortazioni, accompagnata da officj
così caritatevoli ed amorosi, raddolcita da sì fondata speranza di diminuzione e sollievo, che se voi
v'incontraste in uno di questi rei o nell'atto di ricevere la sentenza, o dopo di averla ricevuta, lo
direste piuttosto accolto tra le amorose braccia di un padre, che usa i rimedj più forti per ricuperar la
salute del figlio indisposto che punito da un giudice, il quale vendica i torti fatti a Dio ed alla
Chiesa.
Anche quando la sua empietà è giunta al sommo, e si dichiara impenitente, nè il tribunale trova
modo di liberarlo dalle mani di chi è destinato da Dio a vendicare con più pesanti colpi le ingiurie
della Religione, della Chiesa e dello Stato, non si dimentica delle sue dolci maniere: e prima di
venire a questo passo tutta impiega l'energia degli uomini, che ha il paese, celebri per pietà e sapere,
per ottener col ravvedimento del reo anche la consolazione di salvarlo; e per riuscirvi, non si stanca
per settimane e mesi ed anni
(974)
, e consiglia e prega e minaccia e insiste indefessamente, e tutti in
somma adopera i mezzi che [436] suggerisce la cristiana carità per ottener l'intento. Due mesi stette
ostinato Antonio Maria Leoni, uno de' primi e principali discepoli e seguaci di Michele Molinos, ne'
suoi errori senza volerli abbjurare, e due mesi soffrì pazientemente la sua ostinazione il pietosissimo
tribunale di Roma; e moltiplicando invece dei castighi gli officj amorosi per guadagnarlo, vi rius
finalmente, e lo liberò di fatti dal meritato supplicio. Era stato anche più paziente con Girolamo
Vecchietti, del quale sopportò per cinque anni l'ostinazione inflessibile, e dopo d'avere usata invano
l'opera de' migliori teologi per illuminarlo, al semplice sospetto che sopravvenne di fantasia
alquanto alterata, cessò dall'intrapreso giudizio, e lo restituì all'amorosa cura de' parenti ed amici,
per tentare anche per questa via la sua emenda e salute. Ed oh quante volte ha replicati in Roma ed
altrove consimili trattamenti coi più ostinati colpevoli!
Volete di più? Anche quando dall'insuperabile e perniciosa loro pertinacia è costretto
d'abbandonare i rei al rigor delle leggi, non lascia di esercitare molte parti di madre amorosa, e
prega perchè sia mitigato per lui il rigor delle leggi, e vuole che sia accompagnato al supplicio da
pie persone, e fa che si usi ogni sforzo per vincerlo in quegli estremi momenti. Che se all'aspetto del
rogo acceso o dell'infame patibolo si scuote l'ingrato e pentesi, non è tardo il ravvedimento per lui.
Lo accoglie di nuovo fra le sue braccia, procura di rassodarlo ne' buoni suoi sentimenti, nè altro più
da esso esige, che segni non dubbj del suo costante ravvedimento, per liberarlo non che dalla morte
ma da ogni ulteriore vessazione
(975)
. Tanto fu praticato in Roma col disgraziato Giacomo Paleologo,
che giunto nel campo di Flora disse di volersi ricredere di quegli errori, ne' quali si era per lungo
tempo ostinato; e questo bastò, perchè sospesa da Gregorio XIII. l'esecuzione fosse ricondotto alle
carceri, e fossero rinnovati i più gagliardi tentativi per assicurarsi del sincero suo ravvedimento, e
salvarlo: ma finse il perfido, ed allora solo diede qualche lodevole contrassegno di compunzione,
quando colle lunghe finzioni e colle troppo moltiplicate ricadute aveva già reso indispensabile
un'esemplare castigo. Così era avvenuto molto prima nelle Spagne a Bononato Eresiarca, che
mostrò pentimento quando cominciavano ad abbruciarlo quelle fiamme, fra le quali l'aveva
condotto la sua ostinazione; e bastò questo perchè restasse sospeso il meritato supplicio, che allora
solo incontrò senza compassione e [437] riserva, quando dopo sì grande clemenza ebbe l'insoffribile
temerità di ricadere e professare ostinatamente le stesse eresie. L'istesso Giuseppe Boni, benchè
condannato già contumace ed abbandonato al braccio secolare, e già abbruciato in istatua, caduto
(974)
Ne sperimentarono gli effetti suor Gertrude e frate Romualdo che, nel secolo del nostro autore, furono arsi vivi a
Palermo dopo 25 anni di carcerazione, torture e ossessionanti tentativi di "conversione". Sull'evento vedi su [www.
liberliber. it] : L'Atto pubblico di fede celebrato a Palermo il 6 aprile 1724 di Mons. A. Mongitore, anche sul serio
problema, per la Chiesa, degli impenitenti. (N. d. R.)
(975)
Ciò è previsto solo per la conversione dei pertinaci non relapsi, ossia per coloro che non fossero già stati, a qualsiasi
titolo, condannati precedentemente dall'Inquisizione. Per i relapsi, anche di fronte all'eventuale pentimento, la condanna
a morte deve essere eseguita, magari a mezzo del "più mite" strangolamento al posto del rogo. (N. d. R.)
257
poi in mano del tribunale fu in tempo di cambiare col pentimento l'ultimo supplicio col carcere
(976)
.
Che se succede talvolta, ciò che ai dì nostri è divenuto rarissimo, che il tribunale intraprenda la
causa di qualche Eretico già trapassato, neppur'allora si dimentica egli delle soavi sue maniere; e
sempre costante nel suo metodo favorevole ai rei, per supplire a quelle difese, che far non possono
per se stessi, non li molesta per puro sospetto, non si contenta delle prove ordinarie, ma esige le
straordinarie, nè li condanna, se la formale loro eresia non è notoria e provata a tutta evidenza, e
non ha sentiti quanti avvocati e congiunti vogliono parlare in loro discolpa. Tutte in somma adopera
in queste cause quelle cautele e più miti e favorevoli pratiche, che troverete raccolte ne' più
accreditati scrittori, e mancano negli altri tribunali, qualora si tratta di condannare la memoria di chi
ha offesa la maestà di un sovrano.
Se questo contegno e metodo di procedere, che si ha indicato in tutti i libri, i quali trattano di
materie spettanti al S. Officio, che io non vi ho citati minutamente nel riferire le sue pratiche per
non istancarvi con un'infinita serie d'inutili citazioni, contenga cosa discorde dal retto ordine della
giustizia e dalla pietà della Chiesa, lascio a voi la libertà di deciderlo. Io dico francamente che chi lo
disapprova è irragionevole; chi lo chiama ingiusto è un calunniatore; chi crede che sia crudele è un
pazzo. Disapprova il Boemero la preghiera, che fa il tribunale per salvar la vita de' rei che
abbandona
(977)
; e non è solo irragionevole, ma anche maligna la sua disapprovazione, e perchè a
detta del Carpzovio
(978)
e del Van-Espen
(979)
anche in alcuni paesi de' Protestanti è in uso la
degradazione secondo la forma prescritta da Bonifacio VIII., e perchè se non è disdetto a chiunque
il pregare per un condannato, molto meno lo deve essere [438] alla Chiesa per quelli che
abbandona, de' quali può essere in qualche caso minorata la pena, ed anche privi di questa speranza
possono da questa istessa preghiera argomentare di quanto mala voglia sia giunta a questo passo
durissimo la dolce Sposa del Redentore, e che non sono debitori che a se stessi delle loro disgrazie.
Ma voi ritornate ai vostri quesiti, e fra tante buone maniere, che usa nel suo procedere, mi
replicate di nuovo che non lascia il tribunal della Fede di dare ai rei il giuramento di dire la verità, e
di costringerli per tal modo anche prima del tempo a dichiararsi colpevoli di que' delitti, dei quali
non sono forse ancor prevenuti: li tormenta anche confessi per iscoprire l'intenzione e credulità
interiore: tace loro i nomi dei testimonj; ed in tutta la sua condotta conserva un certo misterioso
contegno ed affettato silenzio, che sembra contrario a quell'ingenuità e candore, che usar deve un
tribunale, che procede con lealtà e giustizia. Chi sa che non siano queste le provvidenze e pratiche,
che all'autore della Storia politica sono sembrate abusi enormissimi bisognevoli di quel tribunale
straniero, che egli progetta, come v'ho detto, per rimediarvi? Ma non andrà molto che le vedrete in
miglior'aspetto e niente contrarie a quel favor ragionevole, che è dovuto ai colpevoli. Intanto a
maggior vostra istruzione vi dico che questo tribunale di straniera revisione ed appello, ch'egli
desidera, sarebbe d'ogni altro abuso il peggiore. Abuso grande per la diffidenza che mostrasi del
tribunale della Chiesa; abuso maggiore per l'incompetenza
(980)
d'ogni altro foro che non sia
ecclesiastico in questi affari; abuso pessimo finalmente per le mire, che hanno i suoi promotori
d'assoggettar per tal mezzo la spirituale podestà alla temporale, l'anima al corpo, il Cielo alla terra.
Lo so, che dove ha scritto l'autor politico era già stato introdotto l'appello per ragioni d'abuso, il
Pareatis e qualch'altra costumanza assai svantaggiosa alla libertà ed alla maestà della Chiesa; ma so
altresì che niuna dipendenza da tribunale laico è soffribile ove trattasi di affari dommatici, ne' quali
appena note obbligano le definizioni della Chiesa, nè possono dipendere che da quel magistero
infallibile, che Gesù Cristo ha eretto a comune istruzione e governo; e so ancora che anche in altre
materie, che interessano la disciplina esteriore, simili dipendenze non sono suscettibili di grande
estensione dopo che S. Niccolò I. ci ha avvertito che Dominus Jesus Christus sic officia potestatis
utriusque discrevit, ut chiristiani Imperatores Pontificibus [439] indigerent, et Pontifices pro cursu
(976)
Albici de Inconst. In Fide part. 1. cap. 21.
(977)
J. E. P. lib. 5. tit. 7. de Haeret.
(978)
Lib. 3. Jurisprud. defin. 117.
(979)
J. Ec. part. 3. tit. 11. num. 60.
(980)
Nel testo: "imcompetenza". (N. d. R.)
258
temporalium tantummodo rerum imperialibus rebus uterentur
(981)
. L'estensione che dà il Van-
Espen
(982)
a queste dipendenze e ricorsi non è per verità di data molto antica, e non l'ebbero
certamente ai tempi di Filippo Valesio, quando ne fu dato, come io credo, per la prima volta un
qualche cenno; e forse non altro s'intese allora che di accordare all'una e all'altra podestà l'arbitrio di
quel vicendevole suggerimento, che loro accorda in certi affari il dotto autore Camaldolese
(983)
, il
quale però non permette che in ultima analisi gli affari vadano a risolversi fuori di quel tribunale, al
quale per loro natura appartengono. Certo che non hanno avuta una tale estensione ai tempi di Carlo
Magno, che lodò il canone di un Sinodo, in cui si ha, che synodali decreto sancitum est, ne Laici vel
Soeculares de viris Deo dicatis Ecclesiaeque facultatibus aliqui ad se putent vel praesumant
praeter reverentiam pertinere, quorum quiarumque Sacerdotibus disponendo indiscusse a Deo cura
commissa docetur. Si quis contra haec venire praesumpserit, anathemate, feriatur
(984)
. Il pretendere
di più non è un secondare e difendere i canoni, ma un trasgredirli, come osserva da suo pari il Padre
Bianchi
(985)
.
Non è già ch'io voglia confondere la morale e i dommi colla disciplina esteriore, e che pretenda
che siano d'ugual calibro le risoluzioni che prende la Chiesa nell'una e nell'altra parte. I giudizj della
morale e dei dommi sono rivolti ad oggetti immutabili, e riposano sicuri ed invariabili su quella
promessa, che ha fatta Gesù Cristo, di non voler permettere che manchi la Fede di S. Pietro, e che
prevalgano contro di lei le furie d'Averno; Ego rogavi pro te, Petre, ut non deficiat Fides tua, et tu
aliquando conversus confirma fratres tuos
(986)
; Portae Inferi non praevalebunt
(987)
. La rettitudine
del governo e della disciplina esteriore [440] risguarda azioni mutabili, e dipende in gran parte dalle
circostanze de' tempi e de' luoghi e dai rapporti e testimonianze umane non mai infallibili: ond'è che
la disciplina vantar non può, almeno in alcuni casi particolari, i privilegi della morale e della Fede.
La cura speciale però, che ha sempre mostrata per la diletta sua Sposa il divin Redentore, avvalora
per modo ogni sua disposizione, che quand'anche in questa parte si potesse temere un qualche
sbaglio, non per questo si potrebbe credere soggetta a revisioni e dipendenze straniere, che con
debilitare e rendere meno efficace la podestà della Chiesa riuscirebbono di maggiore discapito
all'una e all'altra società dello sbaglio medesimo. Non mancano mezzi meno ingiuriosi e nocevoli
per emendarlo senza ricorrere a quest'estremo di troppo recente invenzione e sempre disapprovato
dagli autori cattolici i più accreditati, tra i quali il Bianchi ed il Mamachi. Anche nel caso di abusi
eccessivi, che sono incredibili allorchè parlasi di spiritual podestà, suggeriscono e l'uno
(988)
e
l'altro
(989)
ripieghi meno pericolosi di questo per ripararvi. E questo sia detto come per incidenza di
una questione, che troverete diffusamente trattata da moltissimi canonisti, ed anche lasciata da voi
in disparte non sarà d'alcun'impedimento nella disapprovazione, che far dovrete del progetto del
nostro autore, dopo che avrò dissipate le altre nubi, e date le acconcie spiegazioni e risposte a varj
altri dubbj e questioni, che avete affastellate poch'anzi, e ch'io procurerò di sbrigare più presto che
potrò ne' successivi ordinarj. Mi dico intanto
(981)
Epist. 8. ad Imp. Michaelem.
(982)
de Promulg. Leg. Eccles., et Tract. de Recursu etc. tom. 9. edit. Venet. 1789.
(983)
Raccolta di dissertazioni di Franc. Zaccaria tom. 15. diss. 1. §. 35.
(984)
Capitul. Reg. Franc. lib. 7. cap. 207.
(985)
Podestà della Chiesa lib. 2. cap. 3. §. 2. nu. 10. tom. 4.
(986)
Luc. cap. 12. ver. 32.
(987)
Matth. cap. 16. ver. 18.
(988)
lib. 1. §. 1. tom. 3.
(989)
origin, etc. lib. 4. cap. 2..§. 4. num. 5.
259
LETTERA TRENTESIMASETTIMA.
Il giuramento, che il S. Officio dà ai rei, e qualunque altra
maniera particolare che usa, scostandosi dalla pratica
degli altri tribunali, non riesce loro d'aggravio.
ent'anni fa, ed anche più tardi voi non avreste proposto alcun dubbio sopra il giuramento che dà
il S. Officio ai rei per obbligarli a dire la verità e confessare il delitto, del quale o sono da
gagliarde prove prevenuti, o pienamente convinti. Questo era allora il costume di quasi tutti i
tribunali d'Italia: e sebbene dopo i decreti de' rispettivi sovrani sia cessato quest'uso in Toscana, in
Savoja ed in Mantova, e poc'anzi per ordine del Concilio Romano del 1725. anche nello Stato del
Papa, si conserva però tuttora, come mi vien supposto, in qualche altro nè mancano autori, che lo
difendono dove non è dalle leggi proibito. Oh vedete il gran difetto che opponete al S. Officio! O
non è tale, o non può nuocere a lui senza ferir prima tutti i tribunali passati, ed alcuni di quelli che
sussistono tuttavia in varie parti del mondo. Io non voglio riprendere la caritatevole moderazione,
che ha usata il santo Pontefice Benedetto XIII., levando questo costume nel suo Stato, nè quella
degli altri principi, proibendolo ne' rispettivi loro tribunali, nei quali il confessare il delitto punto
non giova per lo più ai colpevoli. Ha la disposizione nell'amor proprio di ognuno de' processati, che
li guida bene spesso a cercare la propria impunità e salvezza anche a costo di menzogne e spergiuri,
qualche ragion sufficiente, che la spalleggia e difende; e le sode riflessioni fatte da S. Basilio
(990)
,
per provare che era ingiusto il giuramento che si dava ai sudditi per indurli a pagar le gabelle, e che
piegarono gl'Imperatori Carlo e Lotario ad abolirlo
(991)
relativamente alle decime, militano forse
anche meglio contro di quello che si dava ai rei per estorcere [442] dalla loro bocca la confession
del delitto. Dispensati da un tal giuramento, sono tolti così al pericolo di spergiurare, se hanno
quello di mancare al proprio dovere non confessando il delitto, del quale vengono interrogati
legittimamente. Ma questa ragione nel S. Officio non regge: ed è stata assai commendevole
l'eccezione, che la suprema Congregazione del S. Officio, coerentemente alle disposizioni del
capitolo 4. del Sinodo di Beziers, ed alla Bolla di Martino V. Inter cunctas, promulgata nel Sinodo
di Costanza alla sessione 45., ha fatto delle cause, che al nostro tribunale appartengono, il quale non
essendo stato nominato dal Concilio Romano, non si poteva supporre incluso nel conciliare decreto.
In queste cause non solo il bene della Fede, che interessa sopra di ogni altra cosa, vuole che si usi
ogni possibile maniera per iscoprire chi può offenderla di più, ma non è vero il pericolo di
spergiurare, come negli altri, perchè il confessare il delitto a chi è nelle forze del S. Officio non
pregiudica, ma serve a renderlo meno reo e meno punibile. O confessa egli cose, delle quali non è
prevenuto; ed è spedito come sponte comparente con generosa liberalità e perdono: o le confessa
dopo che sono state ridotte negli atti quelle prove ed indizj, che bastano perchè possa aver luogo fra
i rei, e gli si possa contestare la lite senza alcuna irregolarità; e tanto è lungi dal nuocergli, che anzi
lo giova moltissimo. Se non si ha allora come chi non prevenuto comparisce a confessare il suo
mancamento, si ha però come sponte confesso, il quale, giusta l'insegnamento di varj dottori presso
il Carena
(992)
, mitissime tractatur. Tanto può giovare ai rei del S. Officio la loro confessione, che in
qualche caso di abbondante convinzione e certezza può trasportarli dallo stato d'impenitenti a quello
di ravveduti, e cambiar loro l'estremo supplicio in poche e discretissime penitenze. Dico in poche e
discretissime penitenze, e dico il vero: nè voi dovete formalizzarvi nel leggere, che gli Eretici
penitenti si condannano ad essere immurati, ossia a carcere perpetuo, chè tanto importa l'indicata
(990)
Epist. 305.
(991)
Reg. Franc. lib. 2. cap. 39. et Leg. Longob. lib. 3. tit. 3. cap. 6. et 8.
(992)
Par. 3. tit. 8. de Confess. §. 7.
C
260
espressione; che questa perpetuità, come assicura il Simanca
(993)
, non si stende che a tre anni,
quando non mancano sicuri segni di pentimento, e non è per altri giusti motivi tolta ogni speranza di
grazia, o ad anni otto sopravvenendo anche alla formola [443] absque spe gratiae un pentimento
sincero, come insegna il Carena
(994)
con molti altri. Vedete il gran divario che passa in questa parte
tra il nostro e gli altri tribunali, e quanto poco militi in questo quella ragione, che dispensa negli altri
il reo dal giuramento suddetto.
Nè mi dite, che in virtù di questo giuramento viene il reo ad essere obbligato a manifestare i
suoi difetti anche prima di sapere di essere interrogato nelle debite forme, ch'io vi rispondo, che non
potrebbe lagnarsi di un tal'obbligo, se pur lo avesse, il quale sarebbe solo diretto al suo bene e
vantaggio: ma aggiungo inoltre che non lo ha di fatto, e come in virtù della soggezione, che deve al
Superiore, non è obbligato a scoprire i proprj mancamenti, se non dopo che sa di essere
legittimamente interrogato, così per forza del giuramento che ha dato, punto non si anticipa la sua
obbligazione e dovere, ma resta nello stato di prima; e coll'aggiugnere all'obbligo di obbedienza
quello di Religione, acquista nuova forza e vigore non senza suo gran profitto e vantaggio, come si
è detto. Ma di ciò abbastanza; poichè non è questa una difficoltà, che abbia incontrata in molti
autori; e la tacciano forse i più accorti, perchè vedono che invece di giovare alla cattiva intenzione
di farlo comparire ingiusto e crudele, reca loro un grandissimo pregiudizio: e la toccano i meno
cauti, o perchè credono scioccamente di poter'ottenere col numero dell'opposizioni quello, che
disperano di conseguire dalla natia loro
forza, o perchè pensano di aprirsi per tal modo la strada più
facile a procacciarsi ulteriori vantaggi sull'esempio di Alfonso d'Arezzo, il quale nell'indicato
opuscolo
(995)
dalla giustizia de' tormenti ti passa a negare quella del giuramento, e da questo s'inoltra
a chiamar in dubbio ne' giudici il diritto d'interrogarli, e ne' colpevoli l'obbligo di rispondere alle
loro interrogazioni. Non ha mai fine la malvagità di chi si è accinto una volta a disapprovar'il
buon'ordine. In qualch'altra cosa si scosta il nostro tribunale dalle comuni pratiche; ma anche in
queste può con eguale facilità essere sostenuto e difeso. Una di queste si è, non v'ha dubbio, il
costume che ha d'interrogare i rei fra i tormenti anche dopo che hanno confessato i fatti ereticali, per
rilevare non i soli complici ma anche se abbiano o no creduto cattolicamente: nel che si [444]
mostra in vero assai diverso da tutti gli altri, i quali, paghi per lo più di aver cavata dalla bocca del
reo la confessione del fatto criminoso, punto non si curano di rilevare le interne disposizioni del
delinquente; e qualunque buona intenzione egli abbia avuta, punto non giova per sottrarlo al
meritato castigo. Questa diversità però non è stata introdotta senza ragione, nè punto pregiudica ai
delinquenti. Imperocchè il delitto di eresia soggetto al foro esteriore non essendo nè così interno,
che non si mostri per lo più anche al di fuori, nè sempre così esterno che non abbia talvolta le radici
nell'animo, nè potendo sempre i testimonj deporre come sul fatto esteriore così sulla vantata dallo
stesso colpevole interiore incredulità, convien distinguere uno stato dall'altro per poterlo castigare a
dovere, e dopo che il giudice si è assicurato del fatto esteriore, che somministra una legittima
presunzione dell'interiore infedeltà di chi lo ha commesso, deve inoltrarsi a ricercare se sussista o
no realmente la presunta interiore infedeltà: nè può usare altro mezzo per iscoprirlo, che quello dei
tormenti, i quali o cangiano la presunzione in una evidente verità confessata dalla bocca stessa del
delinquente, e diviene delitto di eresia formale, o dilegua dalla mente del giudice ogni presunzione
o sospetto, ed altro non gli resta a purgare che il fatto esteriore, il quale è per se stesso meritevole di
correzione ed emenda, e suol'essere castigato con pene assai moderate e discrete. Senza di questo
mezzo come potrà mai il giudice regolarsi nel fissar la pena di quelli, che non sono convinti e
confessi d'altro che d'aver parlato ed operato ereticalmente? Condannerà egli alla pena degli Eretici
chiunque ha dati segni esteriori d'infedeltà? Ma quanti, che non sono che involti nelle tenebre di una
crassa e supina ignoranza, sarebbero trattati da Eretici, ed invece di paterne istruzioni ed emende
incontrerebbero le pene gravissime fissate agli Eretici? Dannerà egli tutti come puramente Sospetti
a pene assai miti e discrete? Ma qual giusta pena corrisponderà poi al delitto gravissimo di colui,
(993)
de Catholicis Instit. tit. 16. num. 21.
(994)
De officio S. Inq. part. 2. tit. 1. §. 32.
(995)
Exercit. de Tortura part. 2. §. 14.
261
che con animo ereticale oltraggia la cattolica Religione, e con parole e con fatti strapazza e calpesta
quanto vi ha di più sagro e in Cielo e in terra? Come distinguerà il reo ostinato dal docile e
penitente, ed il formale da quello che non è presunto tale che per equivoci segni esteriori? il
convinto e confesso dall'Eretico negativo? Non è egli miglior partito usar la forza per discernere gli
uni dagli altri, e castigar tutti secondo [445] che porta il loro delitto, che ommetterla colla sicurezza
o di eccedere per lo più nell'imposizione della pena più rigorosa e pesante, o usando in ogni caso la
più mite e discreta, lasciar sempre impunita l'eresia formale, che è il delitto maggiore? Quella
necessità insomma, che anche a parere di S. Agostino
(996)
obbliga il savio giudice ad esplorare
talvolta per via di tormenti il fatto criminoso; constringit enim eum, com'egli dice, ed è stato riferito
altrove, et ad hoc officium pertrahit humana societas, quam deserere nefas ducit; obbliga anche il
giudice della Fede ad investigare per via di tormenti l'interiore credulità de' colpevoli; ed in questo
solo si distingue dagli altri tribunali, che dove in questi è assai molesta e pericolosa la pratica (non
mai disapprovata da S. Agostino, come francamente asserisce Alberto de Simoni
(997)
appoggiato a
debolissimi fondamenti), nel tribunal della Fede è assai più sicura, vantaggiosa e discreta. E voi
stesso me lo accorderete con ogni facilità, se a formarne una giusta idea comincierete dallo
spogliarvi affatto delle bugiarde rappresentanze di que' rami ridicoli, che avete trovati inseriti nella
storia di Colonia ed in quella di Toscana, e più non ingombreranno la vostra fantasia nè il fuoco che
abbrucia, nè l'acqua che gonfia violentemente, o qualunque altro più penoso stromento, che sia stato
o sia tuttora in uso negli altri tribunali.
Fin da quando nella 33. mia lettera vi ho parlato dei tormenti, che dà il tribunale del S. Officio
per iscoprire o il fatto criminoso o la cattiva intenzione, vi ho detto che non sono mai stati o non
sono da gran tempo più in uso altri tormenti che la corda, gli zuffoli ed i flagelli; sappiate però che
questi stessi ai dì nostri si adoprano con tanta discrezione e così di rado, che ormai recesserunt ab
aula: e adesso ama piuttosto il tribunale di venire a pene straordinarie mitissime, quando il delitto è
provato abbastanza, che ricercare con rimedj più forti di gius e di fatto quella verità, che scoperta
sebbene giusta le leggi meriterebbe i più severi castighi, pure secondo il presente metodo di
procedere non incontrerebbe che compassione e pietà: e questo si pratica non solo quanto
all'intenzione, ma anche quanto all'esteriorità di fatti ereticali, della quale non sono i rei pienamente
convinti. Anzi [446] trattandosi di scoprire la sola interiore credulità, la tortura è anche più mite; e
non solo non hanno luogo gl'indicati tormenti, ma la corda stessa non li sospende, nè reca per lo più
ai rei altra pena, che quella di lasciarsi vedere pendenti da una ruota preparata a sospenderli. Vi par
questo un tormento da fare orrore alla misera umanità, cui disdica ad un Chierico il ritrovarsi
presente, e capace di ricolmar di spavento tutto il genere umano, come parlando de' tormenti del S.
Officio spacciano i novatori? Questa maniera di tormentare o non è pena alcuna per chi sa che il
tormento si vede ma non si prova, o se dà qualche fastidio a quelli almeno, che per ignoranza temer
possono di essere sollevati da terra, è troppo ben compensato dal vantaggio e spirituale e temporale,
che riportano da questa loro afflizione, A questa comparsa, quando si tratta di fatti i quali non
mostrano per loro natura cattiva intenzione e credenza, ma non lasciano di indicarla con molta
forza, o confessano il loro mal'animo, ed incontrano è vero, più grave la pena, ma rimediano a
quella piaga d'infedeltà, che portano impressa altamente nell'animo, e nascosta non avrebbe avuti
quei rimedj opportuni, che somministra la Chiesa per rimarginarla e sanarla; o negano di avere
avuta cattiva credulità, e spenta coll'abbjura competente quella sospicione, che resta tuttora dopo
una tortura sì lieve, altro più non rimane al colpevole, che il peso di soffrir quella pena che ha
meritata per aver parlato ed operato in guisa da far sospettare che credesse male; la qual pena è
piuttosto medicinale ed esemplare, che punitiva. Ma siamo pur buoni a prenderci fastidio di certe
difficoltà, che non sono mai state di aggravio a nessun'altro tribunale: e se niuno ha mai ripreso il
Senato di Milano, quando nell'anno 1629. comandò che fosse tormentato Vincenzo Corva, reo di
percussione, super qualitate et deliberatione animi, e Cecilia Martinenghi, per risaper da lei quo
animo dixerit fratri suo, pecunias ab hero suo absconditas fuisse; e se per disposizione delle leggi
(996)
de Cìvit. Dei. lib. 9. cap. 6.
(997)
del Furto e sua pena §. 33.
262
civili si ha, che deve purgare gl'indizj del dolo chi si protesta di aver commessa qualche mancanza
senza colpa o malizia; chi potrà riprendere con ragione il tribunale del S. Officio, che ha tanto
maggior diritto d'insinuarsi ne' segreti nascondigli dell'animo, e che non può rilevare abbastanza la
gravità del delitto e la reità del delinquente, senza che ne scopra l'intenzione e credenza? [447]
Un'altra particolarità s'incontra nel tribunale del S. Officio, che voi non avete avvertita, ma che
potrebbe esservi opposta da chi quaerit nodum in scirpo per iscreditarlo; e non ho trovato sinora chi
ne faccia gran caso fuori di Fr. Paolo, che ne parla assai male
(998)
, anche dopo che la Bolla di S. Pio
V.
(999)
aveva tolte di mezzo tutte le contese degli antichi legali, e che erano state sciolte le molte
difficoltà, che s'incontrano su tal proposito, scorrendo le Opere di Corrado Bruno
(1000)
. Negli altri
tribunali le sentenze assolutorie passano in rem judicatam; anzi fatta la sola pubblicazione del
processo, come osserva il Zuffo
(1001)
, si ha conchiusa la causa e nelle condanne non resta al giudice
l'arbitrio di moderarle dopo che le ha pronunciate. Non così nel tribunale della Fede, dove favore
Fidei resta sempre libero il campo di riassumere ed impinguare la causa stessa anche dopo che il reo
ne ha ottenuta una pienissima assoluzione, e resta libera all'Inquisitore la podestà di variare la pena.
Il primo privilegio sembrava indicato abbastanza nelle Decretali
(1002)
; ma lo ha poi espresso sì bene
S. Pio V. nella suddetta Costituzione che non vi può restare alcun dubbio; nè v'è autore al presente
che lo neghi. Per verità la cosa non è così propria del tribunale del S. Officio, che non abbia in
qualche raro caso sussistenza anche negli altri, ne' quali, al dir del Guazzini, basta che sia provato
essere nell'assoluzione intervenuta la prevaricazione, perchè possa essere riassunta la causa
(1003)
;
Definitive absolutus non potest amplius molestari, nisi fuerit absolutus per praevaricationem.
Siccome però pare che in questo ammetta maggiore estensione, e quand'anche non l'ammettesse,
non è da sperarsi per lui quella facilità, che incontrano presso i nostri contraddittori tutti gli altri
tribunali, nè molto si valuta da costoro il favor della Fede, al quale i nostri Maggiori hanno creduto
dicevol cosa il sagrificare tutti loro stessi; così non sarà male ch'io ne parli qualche poco. Dico
dunque con tutta ragione, che ne' termini, nei quali è stato da S. Pio V. accordato al tribunale della
Fede [448] questo privilegio, non è ingiusto ma ragionevole e retto; e preso generalmente non può
riuscire di alcun'ingiusto gravame ai colpevoli, ma è utilissimo a quelli, che fossero per avventura
aggravati senza demerito. Bastar potrebbe a persuadervi l'autorità di sì gran Pontefice, grande senza
dubbio non solo nella pietà ma anche nella cristiana prudenza e sapere. Ma a convincervi sempre
più dell'equità del suo moto proprio ha voluto accompagnarlo colle seguenti ragioni. Nota egli nel
principio della sua costituzione, che l'ostinazione e malizia degli Eretici era giunta a tal segno, che
in vece di ravvedersi, e cercare dalla Chiesa quella pietà che non ha mai negata ad alcuno, avevano
trovata la strada di nascondersi sotto mentite sembianze; e se pur talvolta erano dedotti al tribunale
del S. Officio, con nuove frodi e finzioni avevano trovato il modo di scansare il meritato castigo.
Con falsi testimonj, che deponevano della loro cristiana condotta, purgavano ogni sospetto che
fosse insorto contro di loro; e dai Vescovi, dagl'Inquisitori, dallo stesso Romano Pontefice riusciva
talvolta alla raffinata loro malizia di carpire sentenze assolutorie o decreti, coi quali resi impunibili
pe' passati loro delitti, acquistavano ardir maggiore per commetterne de' nuovi: Multi rei, così egli
espone nella sua Bolla la malizia e le frodi di costoro, et in officio, seu alibi coram locorum
Ordinariis, et haereticae pravitatis Inquisitoribus processati, ac de haeretica pravitate inquisiti
falsos testes ad eorum defensam examinari faciendo, ac compurgatorum de eorum vita, et doctrina
minime informatorum opera et testimonio se juvantibus, ac diversis aliis illicitis modis,
excogitatisque dolosis excogitationibus, et malitiis praedictum sacrum Officium sanctissimae
Inquisitionis, caeterosque judices, et etiam Romanos Pontifices deludendo et decipiendo, plures
etiam velati innocentes definitivas a praedictis processibus et Inquisitionibus absolutorias, et
(998)
Stor. Dell'Inquisiz. di Venez. cap. 28.
(999)
Bullar. Rom, Const. 33. Inter multiplices curas tom 4. p. 2. pag. 325.
(1000)
Lib. 4. de Haereticis cap. 8. in fin.
(1001)
Quaest. 112. num. 3.
(1002)
Cap. Ut commissi 12. de Haereticis in 6.
(1003)
Defens. 2. cap. 7 num. 6.
263
praecedente canonica purgatione eorum assertae bonae, et catholicae Fidei, vitae, et doctrinae
declaratorias sententias, seu decreta ab eodem sanctissimo Officio, aliisque locorum Ordinariis,
sive Delegatis, et Inquisitoribus, ac etiam Romanis Pontificibus praedecessoribus nostris
obtinuerunt, seu extorserunt &c.. Dice inoltre, che con quest'arte non pregiudicavano soltanto a loro
stessi ed alla salute dell'anima propria, perchè nunquam ad gremium Ecclesiae vere redibant, ma
pregiudicavano anche agli altri, e riuscivano di gran danno e [449] pericolo alla cristiana repubblica,
perchè eorumdem aliorum animos corrumpere et inficere, ac in suas haereticas opiniones trahere
de facili potuerunt in totius reipublicae christianae non modicum scandalum et praejudicium.
Quindi è che per impedire un danno sì grande, e toglier di mezzo un pericolo così notabile si
appigliò saggiamente al partito di determinare, che qualunque sentenza e decreto passato e futuro
concernente le cause di Fede non si dovesse mai considerare immutabile, e disse con ogni
precisione, sententias etiam definitivas, et decreta... numquam fecisse, nec in futurum posse facere
transitum in rem judicatam.
Ma qual termine, direte voi, avrà mai la vessazione di un'infelice, che abbia avuta la disgrazia
di essere denunciato una volta a questo tribunale, se i giudici delle cause di Religione saranno
sempre in libertà d'inquietarlo e di agire nella medesima causa? Io vi rispondo, che avrà quel
termine, ch'egli vorrà prefiggerle col sincero suo ravvedimento. Tolga alle giudiciali sue
deposizioni colla dovuta cristiana sincerità ogni ombra di finzione e d'inganno; parli, operi e si
mantenga in un contegno così religioso e cristiano, che nuovi pregiudizj non sopravvengano contro
di lui; e potrà vivere quietissimo: giacchè la legge di S. Pio V. ha tutta la sua forza, novis praesertim
supervenientibus indiciis ejusdem, vel alterius speciei haeresis,
tempus praeteritum etiam
respicientibus, vel ubi appareret per aliqua indicia, quod illicitis modis, prius ipse delatus &
inquisitus, fuisset absolutus. Nè tanto vale la quiete di un particolare in qualche modo sospetto
d'infedeltà, che debba essere preferita al ben pubblico della Fede cattolica, e debba posporsi il
pericolo di questa alla sicurezza di quella: tanto più che, come osserva il Carena
(1004)
, non è la
indicata disposizione così contraria a quelli che sono denunciati al sagro tribunale, che serva ad
aggravarli soltanto, quando o non abbastanza puniti o malamente assoluti sono dimessi dal
tribunale, ma vale ancora, perchè si riassuma la loro causa, e si difendano, quando si scoprissero
gravati ingiustamente: Hoc habet locum, così egli, non solum in sententiis absolutoriis, sed etiam in
condemnatoriis....& sicut ex superveniente probatione delicti removetur [450] absolutio, ita ex
superveniente probatione innocentiae auferri debet condemnatio. Ond'è che la legge è per se stessa
giustissima, e presa in tutta la sua estensione non è di solo peso, ma riuscir può utilissima a tutti
quelli, che fossero senza loro colpa aggravati.
Che poi abbiano i giudici delle cause di Fede, e si riservino nelle loro condanne l'autorità di
crescere e sminuire la pena, sapete che vuol dir ciò? vuol dire, che i rei del S. Officio trovano in
questo tribunale quel favore, che sperar non potrebbero in verun'altro; cioè che si lascia in qualche
modo in loro arbitrio il soggiacere o no al castigo, che è loro stato imposto; e non hanno in questo
altro male, che quello che vogliono avere per loro propria elezione. Vuol dire, che qualunque pena
abbiano riportata nella loro condanna, può divenire e diviene di fatti mitissima, quando col loro
pentimento e colla savia loro condotta fanno comparire assai chiara la sincerità del loro
ravvedimento; e che condannati ancora al carcere perpetuo possono ottenere con facilità e il cambio
in qualche religioso ritiro ed anche la piena loro libertà, se sanno meritarla. E quello che in altri
tribunali è grazia speciale, che non si accorda che a pochi, in quello del S. Officio è stile, e diviene
talvolta disposizione di equità dovuta a tutti; E siccome egli è più inclinato alla misericordia, che al
rigore, e basta un solo dubbio, come è stato detto altrove, per arrestarlo da ogni penale risoluzione,
ed un lampo solo di vero pentimento per piegarlo alla più mite condiscendenza; così non è da
temersi, che la libertà, la quale riserva a se stesso il giudice, di accrescere o diminuire la pena
possa
mai riuscire ai colpevoli di alcun aggravio; ma è da credersi al contrario, che questa medesima
libertà riesca loro di gran sollievo e vantaggio. Ma che dissi mai essere questo da credersi, quando
(1004)
part. 3. tit. 11. §. 5.
264
la quotidiana sperienza ci assicura che succede sempre così, e non solo di stile ordinario i rei del S.
Officio non soffrono mai più della metà della pena imposta, ma per lo più molto di meno, e ne
abbiamo avuto un'esempio chiarissimo verso la metà del secolo scorso in Carlo Scalandrone Eretico
formale, ma pentito, il quale dopo una pubblica abbiura condannato al carcere perpetuo, come
richiedeva la legge, fu dopo pochi mesi liberato dalla somma pietà del santo tribunale? Che dite
adesso? È questo un metodo che chiamar si possa svantaggioso ai colpevoli? Ma voi mi aspettate al
colpo di [451] riserva per vedermi meno franco ed intrepido nella mia difesa; e sperate forse, che io
sia per accordarvi, che manchi almeno nella difesa de' rei, perchè nasconde loro i nomi dei
testimonj. Con questa sola arma crede di trionfare l'autore del libro dedicato a Carlo III.; e questa è
che in aria di trionfanti adoprano tutti quelli, i quali hanno preso a combattere il suo sistema. Anche
questo colpo potrei io rivolgerlo contro i suoi autori, poichè il nascondere il nome de' testimonj non
è così svantaggioso ai rei, che a parere dell'Eimerico
(1005)
e di varj altri autori non incomodi anche il
fisco, e non serva loro talvolta di alleviamento e difesa. Oh quanti sono condannati per questo a
pene straordinarie e mitissime, che convinti pienamente dai testimoni presenti sarebbero riservati a
più rigorosi castighi! Siccome però questo è quel colpo di riserva, che i nostri nemici credono
irreparabile; così io non mi contento di rivolgerlo semplicemente contro gli stessi impugnatori, ma
voglio ribatterlo in più maniere; e ne parlerò con maggior'estensione in altra mia. Fin d'adesso però
vi dico, che punto non temo questa spada, che si crede di tempra sì fina e di taglio così penetrante e
sicuro, che non vi sia scudo o giacco sì forte da rintuzzarla: ed invece di prevenirvi a mio favore vi
prego a rileggere quanto avete mai incontrato in detestazione di un tanto abuso. Tutto lo vedrete
ridotto in minutissima polvere nell'ordinario venturo; e scoprirete anche meglio, che le querele dei
nemici allora sono più vane ed insussistenti, quando sono più clamorose e comuni. Intanto
credetemi
(1005)
Direct. part. 3. quaest. 71.
265
[452]
LETTERA TRENTESIMOTTAVA.
La religiosa segretezza dei ministri del tribunale del S. Officio,
e l'occultazione delle persone & nomi de' testimonj
non sono nè irragionevoli nè ingiuste.
ccoci alle prese: e dopo aver difeso lo strepito, che fa il tribunale del S. Officio colle sue
esecuzioni e giudizj, eccomi pronto a difenderlo anche nelle sue cautele e silenzio. Di qual
silenzio volete voi ch'io parli in primo luogo? Di quello che usa il tribunale coi rei, nascondendo
loro i nomi e le persone dei testimonj? o dell'altro che sogliono praticare i suoi officiali e ministri,
nell'occultare a tutti quelle notizie, che alle cause di Fede appartengono? Se del primo, vi dico che
non è ingiusto, ma utilissimo; se dell'altro, sostengo che è prudentissimo. Discorriamo prima di
questo, che si può spedire con maggior brevità; e parlerò poi dell'altro più diffusamente. Vi dico
adunque, che il silenzio, il quale da rigoroso dovere sono obbligati di osservare tutti gli officiali e
ministri del sagro tribunale, altro non mostra che circospezione e prudenza; e se l'Inquisitore di
Sicilia in una sua lettera scritta al Re di Napoli ha chiamato poco prima della sua soppressione
questo segreto l'anima del S. Officio, non ha detto cosa, che non s'incontri in cento accreditati
scrittori, e meriti i rimproveri, che leggonsi presso lo storico fiorentino. Quel mistero fecondo di
frodi ed insidie, che in lui travede la malignità dei nostri contradditori, è un sogno; ed il religioso
segreto ad altro non mira che al buon'ordine e migliore riuscimento di questi affari gravissimi. E
qual'è mai quell'uomo prudente, che nell'agire un'interesse di grande importanza, che può essere
attraversato dall'altrui astuzia e malignità, non procuri di occultare, quand'è possibile, i suoi passi e
maneggi? È forse la prudenza sbandita dai tribunali? o sono i giudici o dalle leggi o dalla natura
stessa delle cause costretti a propalarne i meriti prima del tempo, e spargerli per ogni piazza e
ridotto? Leggo anzi presso Scipione
(1006)
, che il notaro ed il giudice [453] di qualunque tribunale
non devono manifestare ad alcuno i meriti della causa, che hanno per le mani, e che non vanno
immuni da ogni pena, se mancano a questo dovere: Notarius nemini pandere debet secreta et merita
causae ante publicationem processus, sub paena falsi, et punitur poena extraordinaria, et idem est
in judice. Anzi neppure i testimonj possono, parlando a rigore, scoprire ciò che hanno deposto,
come insegna il Deciano
(1007)
. E perchè dunque si dovrà condannare uno stile consimile in un
tribunale, nel quale è tanto più necessario, quanto è maggiore la debolezza de' soggetti che sono
esposti all'altrui vessazioni, più ostinata e fina la malvagità de' nemici impegnati a deluderli, e più
rilevante e gelosa la gravità e l'importanza de' suoi affari? Quel timore salutare che hanno tutti del
sagro tribunale non può nascere dalle pene, che sono rare e mitissime, ma nasce dal solo silenzio,
che fa apprendere in lui que' rigori, che non vi sono mai stati, o non vi sono certamente da qualche
secolo. Or qual può mai idearsi nel vasto regno dell'umana politica provvidenza di questa più
salutare e lodevole, che col solo nascondere i suoi andamenti viene ad impedire moltissimi delitti
senza recare se non che a pochi la molestia del meritato castigo? Non è questo il costume, che vien
lodato comunemente, della serenissima Repubblica di Venezia, ed è di sì gran vantaggio alla
sicurezza e quiete de' felici suoi Stati?
Voi però avete che replicare, e mi dite, che se gli altri tribunali osservano il silenzio, questo
non è perpetuo, e se non sempre, nel termine almeno della causa si pubblicano i processi, e sanno i
rei a suo tempo a chi debbono restar'obbligati delle loro vessazioni ed angustie. Non così nel S.
Officio, che tace sempre, e nasconde anche i nomi dei testimonj a quegl'infelici che risentono il
danno dalle loro deposizioni. Oh quanta premura avete voi mai di passare alla seconda parte di
(1006)
ap. Matth. Ant. Bassani Theorica prax. crim. lib. 4. c. 1. n. 35.
(1007)
Tractat. Crimin. tom. 2. lib. 7. cap. 17. num. 15.
E
266
questa lettera! Fermatevi ancora un poco sulla prima; perchè sebbène nella vostra replica vi siate
mostrato abbastanza disingannato di ciò che viene opposto al prudenziale contegno e religioso
silenzio del tribunale, mi resta però ancora da rimovere dal vostr'animo quell'opinione, che mostrate
di avere, che mai [454] non si pubblichino le cause del S. Officio, la quale per verità è falsissima.
Non si pubblicano per le ciarle sempre mal sicure ed incerte di private persone, dalle quali sarebbe
da desiderarsi appunto che non si pubblicassero giammai neppure negli altri tribunali: ma per vie
giuridiche, o coll'autorità del tribunale medesimo chi vi ha detto che non si pubblicano? E la copia
del processo, che si decreta e si consegna sempre al reo ed a' suoi avvocati, perchè facciano le sue
difese, ed il ristretto, che alla presenza de' testimoni si legge sempre in ogni condanna, e talvolta
anche pubblicamente nelle pubbliche abjure, e quello che in tante consulte vien distribuito a
moltissime persone savie e da bene, perchè ne considerino ogni sillaba, non sono pubblicazioni
sufficientissime a dileguare ogni dubbio di misterioso silenzio e d'ingiurioso gravame? Ma qui è,
voi dite, dove il tribunale manca assai. In queste copie si sopprimono i nomi de' testimoni, e
qualunque circostanza che possa condurre a scoprirli, e lo stesso si fa in tutti i sommarj e ristretti; nè
vi può entrare in capo che quest'irregolarità ammetta scusa e difesa. In somma voi vi dichiarate
convinto quanto alla prima parte, e volete ad ogni modo che io passi a discorrere dell'altra, nella
quale vi sembra di potere sperare più favorevole successo. Io vi seguirò dove più vi aggrada; ma se
incontrate sempre la stessa sorte, non dovrete lagnarvi che delle cattive guide, che avete avuto in
addietro, le quali non hanno fatto altro che sorprendervi con falsi principj e maliziose imposture.
Ditemi di grazia, perchè credete voi, che lo stile del S. Officio non ammetta in questa parte
alcuna giustificazione? perchè toglie, voi rispondete con quanti scrittori hanno preso ad impugnarlo
sinora, a tutti i rei la naturale e conveniente difesa, la quale far non si può senza dare ai testimoni le
opportune eccezioni, e queste dar non si possono senza conoscerli; ed è cosa a Tertulliano
(1008)
ed a
quanti hanno qualche sentimento di umanità più che evidente, che non liceat indefensos et inauditos
omnino damnari. Più colpi avete vibrati frettolosamente in questa breve risposta, ed avete vinta la
causa, se regge la loro forza ed attività a fronte dell'esame imparziale, che ora ne intraprendo. [455]
È dunque naturale che i rei abbiano le loro difese, io ve l'accordo, e so che anche Iddio
interrogò Adamo del commesso delitto prima di assoggettarlo al meritato castigo; ed è indicato
abbastanza nelle canoniche
(1009)
e civili
(1010)
disposizioni: Ma questo diritto sussiste egli poi in ogni
caso, ed è così inviolabile, che non ammetta alcuna moderazione o riserva? Qui è dove credo che
zoppichi alquanto la prima delle massime, alle quali è appoggiato il vostro discorso; e non trovo,
che dagli autori e dalla pratica sia ammessa concordemente. Il Novello
(1011)
ed il dal Pozzo
(1012)
con
varj altri sostengono, che la difesa non ha luogo ove trattasi dei più atroci delitti, o in que' casi
almeno, come soggiunge il Passerino nella sua Pratica
(1013)
, ne' quali è notorio e il delitto ed il
delinquente. Cercano inoltre i giuristi, se l'assoluta autorità del principe, che non manca in verun
modo nel Romano Pontefice e nella Chiesa in tutto ciò, che alla Religione appartiene, stendasi a
tanto, che possa in qualche caso senz'ingiustizia negare ai rei le difese; ed il medesimo Passerino nel
luogo citato, benchè di contrario sentimento, giudica che non sia da disprezzarsi chi propende in
tale opinione, la quale è del Covaruvia e di varj altri. Una sola che venga ammessa di queste
massime ed eccezioni non crolla dai fondamenti quest'opposizione, che gli avversarj chiamano
invincibile? E non abbiamo noi in questo solo tutta la ragione di maravigliarci e di dolerci della
temeraria loro presunzione, i quali mai non si acquietano, se non hanno da noi sodi principj e
matematiche dimostrazioni, e pretendono poi che con ogni docilità e prontezza ci prestiamo alle
loro, che sono appoggiate per lo più a false supposizioni, o almeno a opinioni contrastate e non più
che probabili? Io però non ho bisogno di questo scampo per non restare offeso, e voglio accordar
(1008)
Apologet. adver. Gent. pag. 804. edit. Basileens. 1550.
(1009)
Can. 2. distinct. 87.
(1010)
L. 1. §. 3. ff. de Just. et Jure.
(1011)
ap. Guazzin. de Defens. Reor. pag. 728.
(1012)
de Sindic. verb. Condemnatio cap. 4. num. 13.
(1013)
quaest. 26. art. 1. num. 11.
267
loro con ogni liberalità quell'obbligo di difesa, del quale abbisognano per fare il colpo che vanno
meditando: e per verità è ammesso da molti, e pare che sia posto fuor di dubbio dalla Clementina
Pastoralis
(1014)
, nella [456] quale si dice, che questa mancanza non può essere sanata dalla podestà
del sovrano, perchè il diritto della difesa a jure provenit naturali, e non è lecito neppure
all'Imperatore il togliere quelle cose, quae juris naturalis existunt. È però eccessivo il vantaggio,
che trar vogliono da quest'ingenua concessione, se pretendono, che debba quindi conchiudersi, che è
ingiusto il tribunale del S. Officio, perchè nasconde ai rei i nomi dei testimonj. Lunga ed assai
disastrosa via resta loro a trascorrere prima di giungere a questo termine; e non vi arriveranno
giammai, se prima non mostrano ad evidenza, che questo scoprimento è sempre necessario alla loro
difesa, e non mai pernicioso; e questo è che io reputo malagevol cosa ed impossibile da ottenersi.
Ha la difesa i suoi limiti; e non qualunque cavillosa e superflua, ma quella sola è da credersi
necessaria, che senza oltraggiare la giustizia, provvede abbastanza al bisogno degl'inquisiti. Per
questo obbliga il nostro tribunale ad abbandonare i clienti, quando s'ostinano nell'errore e mostrano
di voler'abusare delle loro difese. Per questo si dà talvolta agli avvocati il giuramento, detto di
calunnia: per questo non hanno più luogo, che in casi rarissimi, come attesta il Boemero, le difese,
dopo che è data la sentenza, e quando è imminente l'esecuzione: e per questo in fine hanno le leggi
escluse certe ridicole eccezioni ed appellazioni inopportune, le quali ad altro non servivano, che a
rendere inutili i tribunali, e i delitti impuniti. Non è dissimile a queste la manifestazione de'
testimonj, di cui parliamo. È superflua per lo più; perchè fatte quelle diligenze, che prescrive S.
Gregorio
(1015)
in una delle sue lettere, e furono adottate poi da vari Concilj e dal nostro tribunale
medesimo, dal quale viene con ogni premura inculcato, che de personis accusantium et
testificantium subtiliter quaerendum est, cujus conditionis, cujusque opinionis, aut ne inopes sint,
aut ne forte aliquas contra accusatum inimicitias habuissent; anzi raddoppiate in S. Officio queste
diligenze medesime appunto per questo, perchè si celano i nomi de' testimoni, come coi Sinodi di
Narbona e di Beziers insegna il Cardinal Fulcodio poi Clemente IV.
(1016)
, io non vedo
qual'eccezione si possa dare alle persone [457] de' testimonj, scoperti che siano i loro nomi, che non
l'ammettano anche prima. È forse il nome materiale, che giovar possa al colpevole? o vi resta
qualch'eccezione da dare alla persona nominata, che dar non si possa alla stessa descritta nelle
principali e più interessanti sue circostanze e qualifiche? Ma il danno e pericolo, che da una tale
manifestazione ridonda non solo ne' testimonj, ma nel tribunale stesso e in tutta la società de' Fedeli,
è della superfluità stessa più atto a giustificare l'accennato segreto; e se per motivi consimili si
celano talvolta senz'ingiustizia anche negli altri tribunali, come insegna il Guazzino
(1017)
, e
specialmente ne' delitti di lesa maestà, come riporta l'Ancajano
(1018)
appoggiato ad una legge
dell'Imperator Federico, anzi trattandosi ancora di prove di nobiltà, di visite contro i regj ministri, di
contrabbandi ed altri affari anche di minore importanza; perchè sarà un delitto inespiabile se lo fa il
tribunale del S. Officio in difesa della cattolica Religione?
Nè voi vi dovete ideare che l'occultazione dei nomi de' testimonj sia stato un capriccio nato in
testa di qualche ozioso fanatico; ma è da riconoscersi per una risoluzione presa a ragion veduta
dagli uomini più assennati del mondo. Aveva già il Concilio Lateranense IV. sotto Innocenzo
III
(1019)
a tutte le cause prescritta la solita forma della pubblicazione di processo; ma la costante
sperienza di molte cause, ed una lunga serie di tragici avvenimenti ha fatto conoscere ai suoi
successori di quanto pregiudizio riusciva una tal pratica nelle cause di Fede ed al tribunale ed ai
testimonj, restando questi esposti alle vessazioni crudeli dei processati colpevoli, e quello
abbandonato dai ricorrenti, che non volevano somministrare a lui le necessarie notizie con tanto
loro danno e pericolo. Succedeva a questi ciò che leggesi avvenuto a S. Ilario, il quale, come vien
(1014)
Cap. 2. de Senten. et re judic. in Clem.
(1015)
lib. 3. epist. 45. al. 52.
(1016)
quaest. 15. ap. Carenam ad calc. Oper. de Offic. S. Inquisit.
(1017)
Defens. 24. cap. 3.
(1018)
Consult. 287.
(1019)
Tom. 13. Concil. Labb. pag. 943.
268
riferito e dal Baronio
(1020)
e dallo stesso Santo
(1021)
, essendo stato scoperto accusatore ed
impugnatore di Ausenzio ostinatissimo Ariano, seppe costui con tanta astuzia nascondersi, e con
tante frodi occultare il suo errore, che gli riuscì di far comparire il Santo per un maligno
calunniatore, e di costringerlo come tale a partire dalla città di Milano. Quindi è che la Chiesa [458]
non meno sollecita della difesa della Fede cattolica, che della sicurezza e salute de' Fedeli fin
dall'anno 1235. nel Concilio di Narbona stabilì, che nel tribunale del S. Officio si nascondessero i
nomi de' testimonj
(1022)
; e fu poi lo stesso ordine rinnovato e da Innocenzo IV. nella sua
Costituzione Cum negotium Fidei, e da Urbano IV. nell'altra Prae cunctis
(1023)
, e da varj altri Papi e
Concilj. Se non che scemata col crescere dell'attività del tribunale la prepotenza degli Albigesi, e
non mai diminuita quella premura, ch'ebbero sempre gl'Inquisitori grandissima di procedere con
quelle riserve e cautele che difendono i rei da ogni pericolo d'ingiusto gravame; non ostante le
disposizioni indicate non trascurarono mai alcuna strada, che stimassero opportuna o più favorevole
ai colpevoli, e procurarono di compensare la pubblicazione de' testimonj con altri ripieghi, che
senza esporli ad alcun pericolo li scoprisse in qualche modo ai colpevoli. Davano alcuni, come
raccontano l'Eimerico ed il Pegna
(1024)
, i nomi confusi in una carta separata senza quell'ordine che
avevano nel processo, acciocchè se non sapevano precisamente le accuse d'ognuno, sapessero
almeno gli accusatori. Altri aggiungevano ai veri altri nomi di persone non mai comparse, perchè
niuno de' testimonj fosse nascosto ai colpevoli, e non potessero questi fissare le loro vendette contro
alcuno di loro determinatamente. Altri prima del delitto l'interrogavano, se avevano nemici per
escluder quelli, che per questo motivo avessero potuto gravarli con ingiustizia: altri facevano lo
stesso dopo d'avere esposto loro i detti de' testimonj: ed altri finalmente sotto rigoroso segreto li
pubblicavano ai Consultori, incaricandoli o di scoprire, se le sapevano, o d'informarsi di quelle
connessioni e rapporti, che aver potessero i testimonj coi delinquenti. E fu ai rei così parziale e
propensa la S. Sede, che credendosi verso il principio del secolo 14. ridotta a tal segno di sicurezza
e di pace da non poter più temere dai miscredenti prepotenze e tumulti, Bonifacio VIII.
(1025)
restrinse la pratica di non pubblicarli al solo caso, in cui sovrastasse loro qualche pericolo. Ma il
credereste? Non andò guari, che una fatale sperienza [459] fece conoscere il bisogno delle
precedenti disposizioni; e siccome il solo timore di poter'essere scoperti ritardava i denuncianti dal
comparire; e le diligenze e cautele usate dagl'Inquisitori non erano tutte plausibili; così fu duopo
ripigliare in fine l'antica pratica, che si conservò poi senz'alcuna alterazione anche in vista delle
generose esibizioni, che fecero gli Ebrei a Ferdinando il Cattolico per abolirla nelle Spagne, e a
dispetto de' tumulti e contrasti eccitati in Portogallo ed in Napoli ai tempi d'Innocenzo XI. e XII., e
a fronte delle dispute, che nacquero in Roma sotto Pio IV.. L'illuminatissima mente di questi gran
Pontefici, la soda apologia del Padre Torrexillas e la rara avvedutezza dell'incomparabile Cardinal
Ximenes scoprì la frode degli oppositori; e lo stile del S. Officio, che esenta gl'Inquisitori
dall'obbligo di manifestare i nomi de' testimonj, acquistò fra i contrasti nuove approvazioni e
conferme. Anzi la legge di Pio IV., che la approva e raccomanda
(1026)
, fu conosciuta in appresso così
vantaggiosa e necessaria, che ai tempi di S. Pio V. non solo fu rinnovato l'istess'ordine, ma per
meglio provvedere all'indennizzazione e salvezza del tribunale e dei testimonj fu giudicata
espediente la pubblicazione della Bolla Si de protegendis
(1027)
, la quale oltre al lodare il già fissato
sistema, assoggetta ai più rigorosi castighi tutti coloro, che scoprendo a caso, quelli che hanno avuta
parte nelle loro cause, avessero ardire di offenderli o con parole o con fatti. Tanto fu conosciuta
pronta alle offese l'ereticale perfidia, e fu creduto così necessario l'accorrere con efficaci ripieghi
alla difesa del tribunale. So, che il raccoglitore della storia francese mette questa Bolla fra le
(1020)
ad ann. 369. num. 65.
(1021)
Epist. contra Ausentium,
(1022)
tom. 13. Concil. Labb. pag. 1333.
(1023)
Eymeric. Direct. Part. 2. pag. 129. & 136.
(1024)
Eymeric. Direct. part. 3. comrn. 29.
(1025)
Cap. 20. Statuta de Haereticis in 6..
(1026)
Const. Cum sicut ad calc. Direct. Eymeric.
(1027)
Int. Litt. Apostol. ad calc. Director.
269
ingiuste leggi, che osserva il tribunale del S. Officio; ma io non vedo com'esser possa ingiusta una
legge, che si oppone alle inique oppressioni, e non so com'egli la possa chiamar crudele nel tempo
stesso, che disapprovandola espone senza pietà tanti innocenti all'ostinato furore degli Eretici, e
dopo che sa o deve sapere con quanta moderazione sia sostenuta ed interpretata dal sagro tribunale,
il quale non vuole che regga se non ne' luoghi ov'è stata pubblicata, non vuole che offenda se non
che quelli che per solo odio e detestazion dell'officio impediscono l'esercizio [460] del tribunale, ed
insultano i suoi ministri, come si rileva da varie sue istruzioni e decreti.
Supposte le indicate premure favorevolissime ai rei, e le diligenze ed esami che sono stati
premessi prima di stabilire universalmente la legge del segreto, chi non si sarebbe immaginato, che
dovesse tacere per sempre la vana politica, e persuasa che il tribunale non vuole la morte dei rei, ma
la loro conversione e salute, fosse per vivere tranquilla sull'integrità dei personaggi, che vi
presiedono, e sull'equità e giustizia delle leggi che lo assistono, che non lasciano luogo al minimo
aggravio del più disgraziato colpevole? Ma costei ha tutt'altra mira, che la difesa di pochi scellerati
ed increduli; e questo è il motivo, per cui non ha mai cessato di molestarlo per questo lato, che ha
creduto meno corredato di opportune difese e ripari. Perchè tace e nasconde i nomi de' testimoni, il
S. Officio non può essere tollerato. Quest'è la più ripetuta ed esagerata opposizione, che s'incontri
contro di lui. Non v'è libro scritto per iscreditarlo, che non la ripeta sì spesso, che ne prendono
talvolta nausea gli stessi nemici del tribunale; e l'autore delle considerazioni sopra la lettera di Carlo
III. vi s'impegna per modo che non prende a considerare che questo punto, e lo svolge ed assottiglia
con tante cavillazioni e sofismi, che mostra assai meglio l'impegno ch'egli ha di combattere la
pratica del S. Officio, che di dimostrare l'irragionevolezza e l'ingiustizia della medesima. Ma intanto
giace il libro in quell'oscurità, che si è meritata più per le sue falsità ed inezie, che pel nome odioso
del suo autore, e la pratica del tribunale sussiste tuttora nella conveniente osservanza, ed il saggio
tribunale senza esporre ad alcun pericolo quelli, che in qualunque maniera cooperano con lui alla
difesa della cattolica Religione, pone freno ai seduttori ed increduli, e disprezza con ogni ragione
tutte le sciocchezze che si vanno inventando contro di lui.
E non è certamente sciocchezza di piccola mole quella, che l'autore suddetto e varj altri
scrittori, specialmente napoletani, avanzano per disapprovare il segreto, di cui parliamo, qualor
s'accingono a dimostrarlo non che contrario alla giustizia, ma anche alla maestà de' sovrani, ai quali,
com'essi pensano, si viene a dare la taccia o di deboli o di trascurati, come quelli che o non possono
o non vogliono reprimere l'audacia de' miscredenti, quando la vedono armata a danno di que' Fedeli,
che si sono [461] trovati in dovere di denunciarli. Conoscono pur male costoro gli Eretici, se
credono che debbano esser confusi cogli altri colpevoli; e si mostrano troppo ignoranti dell'una e
dell'altra storia, se non sanno l'influenza che ha avuta mai sempre la Religione negli affari politici, e
l'abilità ed impegno che hanno mostrato i settarj nel sostenere i loro aderenti e fautori anche a fronte
delle autorevoli opposizioni dei più temuti sovrani e degli eserciti stessi destinati a combatterli. La
storia delle rivoluzioni accadute in Europa in materia di Religione descritta dal Signor di Varillas li
può fornire delle più utili notizie a loro disinganno; e per non dipartirmi dalle cose di Napoli, li
prego a riflettere per poco alle stragi che fu d'uopo impiegare per metter freno in Sicilia al temerario
ardire di Enno Siro, di cui parla Floro
(1028)
, il quale con pretesti di Religione ebbe l'abilità di
sollevare sessanta mila Siciliani, che ad libertatem et arma, quasi numinum imperio, concitavit; ed
a richiamare alla memoria i fieri contrasti, che incontrò il Duca d'Alcalà per estinguere quelle
reliquie de' Valdesi, che rifugiatesi inosservate nella Calabria, al nascere della riforma de' Luterani
ripresero lena e vigore; e le sollevazioni in fine e tumulti mossi in Napoli ai tempi di Ferdinando, di
Carlo V. e di Filippo III., delle quali cose trattano diffusamente Uberto Foglietta
(1029)
, il Tuano
(1030)
,
Pietro Giannone
(1031)
e varj altri scrittori ed annalisti: e preso tutto nella dovuta considerazione,
ripetano poi i Signori Napoletani, se dà loro l'animo, che fa torto ai sovrani chi teme ogni male dalla
(1028)
lib. 3. cap. 19.
(1029)
de' Tumulti Napoletani.
(1030)
lib. 2. Hist. & in epist. dedicat.
(1031)
Stor. civ. di Napoli lib. 32. cap. 5. num. 1. c. 2.
270
prepotenza e dalle insidie degli Eretici e de' loro fautori, e che è irragionevole quel timore, che aver
devono e i testimonj, scoperti che siano, d'essere molestati, ed il tribunale stesso d'essere
abbandonato divenuto men cauto nelle sue riserve. E creda pure l'appassionato Giannone che se è
stata l'alienazione che egli chiama innata nei Napoletani che ha fatto nascere tanti disturbi per
motivo del Sant'Officio, l'alienazione stessa non è nata che dalla malizia de' miscredenti, cui non ha
potuto resistere una volta la pietà e costanza del governo che a costo di grandi stragi e disturbi, e
forse moltiplicata troppo [462] in seguito non ha creduto bene di combattere nella stessa maniera il
non men savio e prudente governo che domina presentemente. Che quest'avversione sia nata
dall'indicata sorgente si può rilevare assai bene dal libro 32. della sua storia e da varj altri libri
d'increduli usciti alla luce colà anche ai giorni nostri. Nè altro si doveva aspettare e dai clamori e
calunnie di que' Mori ed Ebrei, che scacciati dalle Spagne ebbero asilo nel regno di Napoli, e dalle
insidie e maldicenze de' Valdesi mentovati poc'anzi, e da quella intemperante libertà di filosofare
che dopo aver preso piede in Germania, in Francia ed in Inghilterra occupò rapidamente anche la
misera Italia, ed in Napoli specialmente a detta dello stesso Voltaire fu accolta con maggior
applauso, ed incontrò più colti veneratori e seguaci, e si diffuse poi ampiamente anche nell'animo
de' meno istruiti e perspicaci. Ma torniamo al segreto di cui meno di tutti può lagnarsi Pietro
Giannone, che non lascia di raccontare a lungo nel libro indicato
(1032)
gli sconcerti nati in Napoli
nell'anno 1641. per l'incauta pubblicazione del processo di Suor Giulia di Marco, e le funeste
conseguenze, che ne vennero in seguito. Eppure si riscalda anch'egli moltissimo su questo
argomento, e vuole che il silenzio del tribunale del S. Officio sia alla giustizia ed allo Stato
ingiuriosissimo. Così mutano costoro il nome alle cose, o per dir meglio, prevengono le accuse per
evitare que' rimproveri, ch'essi soli hanno meritato. Imperocchè, a prendere l'affare senza passione e
nel suo vero aspetto, non è il tribunale del S. Officio, che colle sue pratiche riesca ingiurioso ai
sovrani; sono que' scrittori napoletani, che per disapprovarle in qualunque maniera recano una
gravissima ingiuria al loro Stato, mentre per dimostrare il bisogno della controversa manifestazione
de' testimonj portano per lo più l'infedeltà di quei popoli, e la facilità che hanno di deporre il falso
anche con giuramento per ogni piccolo lucro e motivo; e vengono quindi a spacciare tutto quel
regno, i di cui cittadini sono stati sempre la gloria della cattolica Religione e veri difensori della
Chiesa Romana, come li chiamò Leone IV., per un'unione di gente facile agli spergiuri ed. inganni,
maligna, infedele e bugiarda, senza che possa essere frenata non che dalle umane ma neppur dalle
leggi e naturali e divine. [463]
Ho addotti fin'ora i motivi più forti che persuadono il contrastato segreto: questi però non
bastano forse nello scrupuloso vostro tribunale a farvi decidere che egli è irreprensibile, e che sono
ingiusti tutti i clamori di chi lo combatte; ed il potersi dare un qualche caso, in cui sia così
necessaria la manifestazione dei testimonj, che senza di lei debba ad ogni modo l'innocenza
soccombere, e cader vittima infelice della crudeltà e dei calunniatori, che la perseguitano, e del
tribunale, che li ha malamente ascoltati, e con maggiore irregolarità li ha nascosti, vi tiene forse
ancor sospeso circa la ragionevolezza ed equità di uno stile, che non preclude ogni strada
all'ingiustizia ed aggravio. A questo passo appunto io vi aspettava per disgombrare dall'animo
vostro ogni contraria apprensione, e riparare il tribunale del S. Officio da quel colpo, che i suoi
nemici credono il più sicuro e mortale. Può darsi il caso, voi dite, che la manifestazione, de'
testimonj sia necessaria. E che perciò? È egli credibile, che questo caso succeda spesso? e non
essendo facile ad accadere, sarebbe egli ingiusto il tribunale se li nascondesse anche in questo caso?
li nasconde egli allora? Dalla risposta che darò a questi tre quesiti spero che sia per risultare il
compito vostro disinganno ed una pienissima giustificazione del tribunale.
Comincio dal primo, e dico, che chi teme che dall'occultazione de' nomi dei testimoni nascer
possa qualche pregiudizio ai colpevoli, mostra di non sapere le provvidenze opportune, ch'hanno
date i Concilj ed i Papi per evitarlo. Il Sinodo di Narbona, che prima d'ogni altro vide la necessità di
tacere, non ha perduto di mira l'inimicizia che poteva animare i testimoni all'ingiustizia e calunnia, e
(1032)
lib. 32. cap. 5. num. 3.
271
comandò, che gl'inimici capitali fossero esclusi affatto; e per rendere sempre più sterile questa
feconda sorgente di disturbi e calunnie fu fissata la pena del taglione contro que' testimonj, che
impongono falsamente il delitto di eresia. Leggete il Pegna
(1033)
, e vedrete questa disposizione
abbracciata dai più accreditati scrittori, e corroborata da un rescritto di Leone X., che si ha in fine
del Direttorio nella Bolla che comincia Intelleximos. Si abilita in questo l'Inquisitore di Spagna
all'abbandono de' testimonj falsi al braccio secolare senza timore d'incorrere l'irregolarità, e vuole
che siano soggetti alle medesime pene [464] anche gl'istigatori a così grande scelleratezza. E perchè
il danno può accadere con maggiore facilità, e si può evitare più difficilmente dove la necessità
della causa abilita i testimonj singolari; così in questi è stata più severa la provvidenza de' Romani
Pontefici, ed alle pene comuni a tutti i falsi testimonj Benedetto XIV. aggiunse
(1034)
la riserva
dell'assoluzione al solo Romano Pontefice, fuori del punto di morte, dell'orribile peccato di coloro,
che impongono il delitto di sollecitazione a sacerdoti innocenti. Nè queste sono minacce, che non si
siano mai ridotte ad effetto; sono castighi usati più volte contra costoro, e ne potete rincontrare gli
esempj assai chiari presso il Carena
(1035)
. Poteva far di più la Chiesa ed il tribunale per impedire i
disordini, che nascer possono dall'occultazione de' nomi dei testimoni? Si potevano usar più cautele
per rendere l'aggravio del reo, se non impossibile, almeno assai raro? Eppure avrete trovato tra i
suoi impugnatori chi ha l'ardire di scrivere, che nel tribunale del S. Officio i falsarj ed i calunniatori
vanno sempre impuniti. Oh malignità inaudita! Le storie di Napoli e di Milano e di tant'altri paesi,
che raccontano sì spesso calunniatori frustati per quelle contrade e cacciati in esilio o multati
gravissimamente o confinati in qualch'ergastolo o galera, ed i moltiplicati decreti della suprema
romana Inquisizione, che sussistono tuttora negli archivj o de' loro Vescovi o del S. Officio, ed
hanno suggerite queste condanne, sono cose ai giorni nostri notissime a tutti; eppure non si cessa
ancora il replicare una sì enorme calunnia.
Sappiate però che tutto questo non è bastato alla delicatezza dei nostro tribunale. Ha fatto assai
di più colle istruzioni date ai suoi Inquisitori, nelle quali prescrive loro ogni cautela e ripiego,
perchè niuno resti aggravato ingiustamente. Vuole in primo luogo come v'ho detto altrove, che
avanti di ricevere qualunque deposizione, non solo diano il giuramento di dire la verità, ma che li
ammoniscano dell'orrendo peccato che commetterebbero, e delle gravissime pene, alle quali si
esporrebbero facendo il contrario. Vuole in secondo luogo, che prima di chiudere qualunque atto
s'interroghi ognuno se ha odio o inimicizia colla persona, che resta aggravata, e se è stato mosso
[465] a farlo dal solo dovere di buon Cristiano, o da altrui insinuazioni ed impulso. Vuole in terzo
luogo, che non al solo esaminato si cerchi conto, se viva, da buon Cristiano, ma che si prenda di ciò
esatta informazione dai Parrochi e altre pie persone, e quando lo esiga la gravità della causa, si
formi sulla possibile inimicizia e cattiva qualità dei testimonj una formale impinguazione del
processo. Vuole per ultimo che al reo stesso, quando dimostra di voler'essere negativo, si cerchi se
ha nemici, dai quali possa temere di essere stato gravato ingiustamente, ed allora cessa da ulteriori
ricerche, quando risponde di non averne; ma se ne nomina alcuni, che abbiano potuto aver parte nel
suo processo, qui è dove crescono le premure del giudice per rilevarne la sussistenza, l'origine, i
rapporti, e far sì che o cessi ogni ombra di sospetto d'inimicizia, o resti affatto esclusa la loro
deposizione; E dopo tutto ciò temerete ancora, che pel segreto del tribunale possa essere frequente il
caso d'ingiusto gravame? e non potendo essere frequente, pretenderanno ancora i nostri
contraddittori, che il S. Officio sia obbligato a scoprire in ogni processo i nomi de' testimonj? Il
nasconderli, come abbiamo detto, giova alla Fede ed al libero esercizio di quella giurisdizione, che
la difende e sostiene, principale motivo, pel quale è stato ordinato il segreto, come fu scritto sul
principiare del secolo passato dal tribunale di Roma al Vescovo di Melfi; juramentum restringitur
solum ne inferatur praejudicium Causis S. Officii. Il pubblicarli può giovare talvolta a qualche
inquisito; ma è per ordinario inutile, e nuoce al tribunale ed alla Fede, e spesso ancora alla sicurezza
e decoro di molte rispettabili famiglie, che restano involte e nominate nel processo. L'abbiamo
(1033)
Direct. P art. 3. quaest. 73. comm. 122.
(1034)
Const. Sacramentum Poenitentiae tom. 15. Bullar. Rom. part. 1. pag. 50.
(1035)
. part. 2. tit. 17. &. 16.
272
veduto sinora, ed è stato replicato molto spesso al governo di Napoli, che più d'ogni altro si è
abusato di questo pretesto per escludere il S. Officio. Venga adesso la giustizia, e decida se questo
bene a quello, o quello a questo è da preferirsi o posporsi. Essa non mai anteporrà per certo il
privato al ben pubblico, la parte al tutto. Lo vieta l'ordine della natura, che, al dir di Cicerone,
sanxit, ut omnia, quae reipublicae salutaria sunt, legitima et justa habeantur: e uomo non v'è così
rozzo ed insensato, che non esponga al ferro ed al fuoco qualunque parte del corpo, ancorchè sana,
quando giova a difenderlo e salvarlo; e Giustiniano ci avvisa
(1036)
che, quae contingunt raro, non
impedimentum [466] faciunt universis, eo quod nihil inter homines sic est indubitatum, ut non
possit, licet aliquid sit valde justissimum, tamen suscipere quamdam sollicitam dubitationem. Non
sarebbe adunque ingiusta quella disposizione, che nella supposizione indicata fa si che la necessaria
difesa di qualche innocente ceda il luogo alla più libera e sicura punizione dei colpevoli. Ma che
direte poi, se la supposizione stessa altro non è nel caso indicato, che una chimera ed un sogno?
I nomi dei testimonj dal tribunale del S. Officio si nascondono ai rei per lo più, perchè per
l'ordinario ad altro non servirebbe lo scoprirli, che a sconcertare le cause, e danneggiare
gl'innocenti; e quello che succede comunemente, non qualche accidentale avvenimento deve dar
norma alle canoniche disposizioni. Ma se avviene talvolta, che la causa esiga la manifestazione de'
nomi ed il confronto delle persone per assicurar meglio l'equità del giudizio, è falso che nel S.
Officio non si pratichi quest'ulteriore diligenza. La prescrisse nell'indicata Decretale Bonifacio
VIII
(1037)
, quando far si possa senza danno e pericolo. E dalle posteriori disposizioni abbiamo bensì
che gl'Inquisitori non sono obbligati a scoprirli, ma non è mai loro stato proibito di manifestarli,
quando il bisogno lo richiegga. Si permette anzi che lo facciano in quei rari casi, nei quali prese le
opportune misure perchè non seguano disordini, si crede a proposito, perchè nulla manchi al fisco,
onde maggiormente gravarli, nulla ai rei, onde difendersi efficacemente. Leggete il Sagro Arsenale
ristampato in Roma nel 1730. perchè serva di regola a tutti gl'Inquisitori nell'esercizio
dell'ecclesiastico loro ministero, leggete quante Pratiche vi capitano alle mani e manoscritte e
stampate, e quelle specialmente dello Scaglia, del Mazza, del Menghini, del Cortini e del de Orestis,
e troverete in tutte la maniera di confrontare i testimoni cogl'inquisiti, e quando convenga o no il
nasconderli. Che se alle regole desiderate di avere anche accoppiato un qualche esempio, vi dico
che furono pubblicati nella causa, che sotto Giovanni XXII. si fece contra Matteo Visconti, e lo
attesta il Corio nella sua storia
(1038)
: furono pubblicati in Cambray nell'anno 1411. nel processo
contra [467] Villelmo di Hildenissen, come apparisce dagli atti impressi da Stefano Baluzio
(1039)
, il
quale anche rapporta
(1040)
la sentenza data contra F. Bernardo Delizioso, la causa di cui fu giudicata
nel 1319. nella stessa maniera; nè altro stile, per tacere di molti altri, usò il Sinodo di Costanza nel
condannare Gioanni Hus e Girolamo da Praga: e di queste pubblicazioni fatte per cause
urgentissime da varj tribunali particolari del S. Officio se ne possono addurre varj altri esempi, tra i
quali uno di Milano del 1633. e due di Torino del 1597. e del 1635.. È dunque falso che li nasconda
sempre; ed è certissimo che allora solo lo fa con savia avvedutezza, quando il pubblicarli sarebbe o
pernicioso o inutile. Ed ecco dov'è andato a finire quel colpo di riserva, col quale credono i suoi
nemici di trionfare del tribunale del S. Officio. Altro non è, considerato bene bene in ogni sua parte,
che un miserabile sofisma, che mal si regge ne' suoi principj, ed è anche appoggiato ad una falsa
supposizione. Suppone che il tribunale taccia i nomi dei testimonj, ed è falso; e fissa per massima
che il nasconderli sia sempre contrario alla necessaria difesa, ed è falso anche questo, o almeno in
più incontri incertissimo: essendo più che plausibile il sentimento del Pegna
(1041)
, dal quale
sappiamo che non potest videri denegata facultas defensionis ei, cujus causa tam diligenter
tractatur, et in qua tam accurate ante condemnationem omnia expenduntur.
(1036)
Cons. Nov. 44. §. 3.
(1037)
Cap. 20. Statuta de Haereticis in 6.
(1038)
Stor. di Milano pag. 429. edit. Venet. ann. 1565
(1039)
tom. 2. Miscellan. pag. 277.
(1040)
tom. 2. Vit. Pont. Avinion. pag, 345.
(1041)
Direct. part. 3. q. 71. com. 120.
273
Dove siate per rivolgervi adesso per sostenere la vasta mole di questa ideale e cadente
opposizione, io non lo vedo; e spero nell'innata docilità e sincerità dell'animo vostro, che siate per
confessare che non meno in questo che in ogni altro punto siate restato sorpreso; e vinto da quanto
vi ho potuto dire a vostro disinganno, non tarderete punto a confessare, che il tribunale del S.
Officio, nascondendo come fa il più delle volte i nomi dei testimonj, non solo non è ingiusto e
crudele, ma provvido anzi e prudentissimo. E se maturerete anche meglio la cosa tra voi medesimo
resterete sempre più convinto, che più della manifestazione dei testimonj la diligenza indicata dal
Pegna può evitare quei pericoli, che si temono nel tribunale del S. Officio, [468] perchè nè
confronta sempre i testimonj, nè pubblica i loro nomi; la quale se avviene che manchi, saranno
sempre inutili le altre cautele. Nulla forse mancava delle ricercate formalità ai giudizj, de' quali
parlano Arnobio
(1042)
ed Atenagora
(1043)
; ma perchè mancò l'integrità e la diligenza de' giudici, alii,
dice il primo, gloria et virtute et existimatione pollentes acerbissimarum mortium experti sunt
formas, ut Aquilius, Trebonius, Regulus: Sic et Pithagoras, aggiunge il secondo, cum trecentis aliis
igne combustus est. Democritus ab Ephesiis pulsus, Herclitum Abderitae tamquam insanum exilio,
Socratem Athenienses morte affecerunt. È succeduto lo stesso, e forse per le medesime cause, in
varj altri giudizj riportati da Cicerone, da Tertulliano, da Paolo Diacono, dal Baldo e da alcuni altri.
Ma io non voglio stancarvi con inutili storie ora che vi credo persuaso abbastanza, che è da
preferirsi la diligenza, che usa a favor dei colpevoli il tribunale del S. Officio, alle formalità e
pubblicazioni degli altri. Se altro vi occorre, comandatemi, che sono
(1042)
lib. 1. adv. Gentes p. 23. edit. Lugd. Bat. 1651.
(1043)
in Legat. pro Christian. Num. 31. int. Oper. S. Just. Martyris.
274
LETTERA TRENTESIMANONA
Il tribunale del S. Officio, non è mai stato
nè avaro nè ingordo.
a leggerezza del dubbio, che mi proponete nell'ultima vostra, mi fa sperare, che siano ormai
svaniti i vostri pregiudizj, e che il nostro carteggio in materia del S. Officio si vada
avvicinando al suo termine. Voi mi cercate, se il S. Officio ha mai dato motivo di farsi credere
avaro ed ingordo. E quest'è appunto quel dubbio, ch'io chiamo di pochissima considerazione, non
perchè non sappia essere l'avarizia il maggior difetto che rimproverar si possa ad un Tribunale,
leggendosi nell'Esodo
(1044)
, che munera excaecant prudentes, & subvertunt verba justorum;
perchè mi riesca nuova una tale imputazione, ripetuta così spesso e con tanta impudenza in tanti
libri; ma perchè il S. Officio ha tante maniere, onde smentire questa calunnia, che è impossibile che
faccia alcun colpo anche presso i meno perspicaci ed accorti. Un tribunale, che per disposizione di
Clemente VIII. esenta i rei dal pagare anche gli atti necessarj per agire la loro causa, e poveri li
sostenta liberalmente, e ricchi li serve e mantiene senz'altro peso, che di compensare quello che
consumano pel loro vitto e vestito, e di riconoscere a loro piacimento chi li serve ed assiste; che non
solo rinuncia al regio fisco i beni confiscati, ma ricusa talvolta, com'è succeduto nel 1701.
nell'Inquisizione di Faenza, anche quei beni e terreni, che vengano a lui esibiti in dono dalla
liberalità de' Fedeli; che ha ministri, quali d'altro non si curano, che del solo onore di essere
considerati difensori della cattolica Religione, e del guadagno di quell'indulgenze, che ha concesse
loro la Santa Sede; povero di fabbriche, povero di rendite, povero di tuttociò che può contribuire
all'esteriore magnificenza e grandezza, non può temere di essere riputato dai Saggi ingordo ed
avaro. Siccome però è stata sì grande la malignità dei suoi contradditori, che per non lasciare,
cred'io, alcuna di quelle opposizioni, che i Donatisti hanno fatto a S. Agostino, [470] non hanno
ommesso di toccare anche questa; & nobis objiciunt, dirò anch'io col suddetto Santo nella lettera a
Bonifacio
(1045)
, quod res eorum concupiscamus et auferamus; così è necessario accennar di volo i
varj contrassegni ed i più sicuri argomenti, che lo mostrano alienissimo da questo vizio.
A dire il vero però non tutti sono stati di ugual coraggio, ed i meno imprudenti si sono
vergognati di spacciare un'impostura, che al solo gettare uno sguardo sul religioso
accompagnamento e corredo di un povero Inquisitore poteva essere smentita; ma non sono mancati
non pochi, che hanno avuta la temerità di toccare anche questo tasto; e lo tocca non so se con
maggiore malignità o sciocchezza il raccoglitore della storia francese, che al libro 3. ha l'ardire di
spacciare con Fr. Paolo, che fuori dello Stato di Venezia tutte le confische vanno in mano
degl'Inquisitori, i quali non hanno atteso ad altro, che a spogliare dei loro beni quelli, che erano rei
di tutt'altro che d'eresia, intenti soltanto a dèpouiller de leurs biens une infinitè d'innocents
(1046)
sous
prètexte de l'hèrèsie, dont ils n'et oient
(1047)
rien moins que coupables. Se accennasse costui le sole
confische fatte a causa finita, e se le confische restassero tuttora o in tutto o in parte a vantaggio del
tribunale, avrei potuto rispondere a lui ciò, che S. Agostino rispose a Petiliano
(1048)
, e dire che non è
questo un'involare la robba altrui, ma un godere di ciò che la provvidenza divina ha trasferito in
dominio dei suoi servi, e ministri; giacchè non senza sua autorità si confiscano i beni
giuridicamente; Quia vobis ablata nobis Dominus dedit, non ideo concupiscimus aliena; quia illius
(1044)
cap. 33. vers. 8.
(1045)
Epist. 185. al. 50. cap. 9. num. 35.
(1046)
Nel testo: "innocens". (N. d. R.)
(1047)
Nel testo: "n'etoient". (N. d. R.)
(1048)
lib. 2. cont. Litter. Petilian. Cap. 59. num. 124. tom. 1. Oper.
L
275
imperio, cujus sunt omnia, facta sunt nostra, et juste nostra sunt, vos enim his utebamini ad
praecisionem, nos ad unionem. Ma siccome egli parla non solo di confische, ma anche di estorsioni
ingiuste; e non mancano tanti altri calunniatori, che ripetono adesso le stesse accuse, sebbene siano
cessate le confische, o più non appartengano al S. Officio; così convien battere un'altra strada, e
sciogliere in altra maniera il dubbio, che avete proposto. E perchè chi ha avuto il coraggio
d'imputare al S. Officio un sì vergognoso difetto non ha saputo additare, oltre le confische già [471]
dette, alcuna prova o indizio dell'accennato vizio, avremo noi il peso non solo di rispondere
all'ingiusta loro opposizione, ma anche d'indovinare a quali debolissimi fondamenti pretendono di
appoggiare l'accusa. Ma lo soffriremo assai volontieri, e perchè il soggetto lo merita, e perchè la
malignità dei nostri nemici non creda di aver guadagnato questo punto, se rimane senza la dovuta
dilucidazione. Scorrerò per l'economia interiore del tribunale, indi passerò agli esteriori proventi, e
passando di uno in altro capo, che somministrar potrebbe qualche apparente colore a quest'accusa,
vi farò conoscere ad evidenza, che è per ogni parte insussistente e falsissima.
E quanto alla prima, siccome non è composto il tribunale di Angeli che pascansi di un cibo
invisibile, ma di uomini, i quali hanno bisogno di vitto e vestito per mantenersi; e uomini sono
altresì di egual condizione quelli, che sono chiamati a render conto della loro credenza.; così non ad
ingordigia, ma a pura necessità è da attribuirsi ciò che cerca, ed ha sempre cercato a questo
semplice effetto. Il solo eccesso potrebbe ascriversi a qualche soverchia avidità: ma come crederlo
in questa parte eccedente, se eccettuate due sole tra tante Inquisizioni, che sussistono nello Stato del
Papa, dove ha avuto sempre maggior favore, e una o due fuori di questo Stato, niun altra ve n'ha che
abbia il conveniente mantenimento; e quelle, che in fine fanno qualche avanzo, non lo impiegano a
vantaggio proprio, ma viene distribuito a qualche sollievo di tant'altre, che non hanno come supplire
alle spese occorrenti? Io temo di screditare il loro impiego, se scopro ciò che hanno gl'Inquisitori
comunemente per mantener se stessi ed il loro tribunale, perchè in più luoghi non si scosta molto da
una vera indigenza: ma pur voglio dirlo a maggior confusione dei nostri calunniatori, sicuro che il
tribunale non riceverà alcun discapito presso quelli, che hanno la giusta idea della povertà, che
professa la maggior parte di quelli, che presiedono alle Inquisizioni particolari; e basterà questo solo
a dileguare ogni dubbio su questo punto. Poche sono le Inquisizioni, le rendite delle quali
sorpassino i duecento scudi, e ve ne sono assai che vi restano indietro di molto; e questa è tutta la
sussistenza dell'officio, dei ministri e dei carcerati poveri. Voi ne fate le meraviglie: ma siate certo
ch'ella è così, e che gl'Inquisitori sono così poveri, che se le rispettive loro Religioni non supplissero
in gran parte al bisogno, non avrebbero come vivere; [472] e la loro ingordigia è stata così
sfortunata e mal pratica nel mestier di far roba e denaro, che nel lungo giro di tanti secoli non ha
saputo accumulare che angustie e miserie. Io non esagero, amico; nè dico cosa che mi vada ideando
a capriccio. Mi sono informato dai depositarj di varie Inquisizioni; ho rincontrato lo stato attivo e
passivo di alcune altre, e sono così sicuro di quello che vi dico, come sono certo che esistono le
Inquisizioni stesse.
Fossero almeno le poche rendite, che hanno, effetto della loro industria e maneggi? chè non
avrebbero da rimproverare a se stessi i nostri calunniatori altro che di averle esagerate più del
dovere; ma il male si è che neppur questo sussiste; onde la calunnia è una pretta e vera loro
invenzione. Fu già un tempo che, come osserva anche Fr. Paolo
(1049)
, il mantenimento del tribunale
andò a carico di quelle provincie nelle quali era stato innalzato, ed ogni Comunità era obbligata per
ordine d'Innocenzo IV.
(1050)
a somministrare ai suoi carcerati il necessario sostentamento, paga di
quella ricompensa, che avrebbe riportata dalla difesa della cattolica Religione tanto vantaggiosa alla
Religione non solo ma anche allo Stato. Ma questo regolamento fu di corta durata; perchè essendosi
conosciuto che riusciva d'aggravio alle Comunità non molto ben provvedute ed il più delle volte
peggio amministrate, dopo molti esami e consulte finalmente fu abolito, e la sussistenza del
tribunale fu abbandonata alle caritatevoli sovvenzioni, che di loro spontanea volontà offerivano
agl'Inquisitori i buoni Crocesegnati, che pieni di zelo per la cattolica Religione hanno somministrato
(1049)
Discorso dell'orig. Dell'Inquisiz. pag. 344. tom. 1. Oper.
(1050)
Const. Ad extirpanda ad calc. Direct. Eymer.
276
per lungo tempo quanto era necessario per sostenerla e difenderla. Fu poi provveduto o di qualche
discreta pensione, o di qualche beneficio vacante, o di poche e piccole sovvenzioni di qualche
benevolo o piuttosto compassionevole protettore; e queste sono le ricche sorgenti dei vasti tesori,
che possiede presentemente: e quello che ha il S. Officio di Roma, che provvede all'indigenze degli
altri, è tutto dono della liberale bontà di S. Pio V., che per supplire ai bisogni di sì utile tribunale ha
assegnata una pingue tenuta della Camera Apostolica, Dov'è fra questi acquisti che [473] spicchi
l'industria dei Padri Inquisitori, o del tribunale? dov'è che si mostri la loro avidità e ingordigia? Se
tal'una delle Inquisizioni, che sono rarissime, possiede qualche piccolo avanzo di beni confiscati,
chi può dire che per questi soli si sia arricchita, e che questi avesse in mira nel perseguitare gli
Eretici, come hanno il coraggio d'imporre con Fr. Paolo gli storici di Colonia e di Firenze?
Le confische dei beni furono fin dal nascere del S. Officio per disposizione pontificia addette
in più luoghi alla Camera o fisco del principe rispettivo, che sentiva allora il peso di mantenere il
tribunale: ne furono fatte in appresso tre parti, delle quali una fu accordata al regio fisco, l'altra al
Vescovo, la terza all'Inquisitore; e questa medesima provvidenza riuscì di sì corta durata, e fu
ridotta in pratica in così pochi paesi, che appena ha luogo a comporre una piccola porzione di quelle
meschine rendite di quaranta, di cento, o cencinquanta scudi, ch'hanno per ordinario i tribunali
particolari; giacchè l'entrate dei più provveduti altro non sono che pensioni dei rispettivi vescovadi,
che sollevati dagl'Inquisitori da molte fatiche, ed arricchiti da S. Pio V. di molti beni dei soppressi
Umiliati, pagano volentieri quella scarsa pensione, che ha loro imposta il Pontefice pel
sostentamento di un tribunale così necessario. Fate voi adesso il calcolo, e mettendo in una parte il
numero infinito di Eretici, che in questi ultimi tre secoli si fingono abbruciati senza pietà dal S.
Officio per occupare i loro beni, e nell'altra i beni e l'entrate, che gode, e le varie sorgenti dalle quali
provengono, ditemi, qual fede meritano cedeste accuse? come può stare un numero sì grande di
confische con una somma tanto miserabile di rendite? tanta crudeltà con tanta miseria?
Quello che si è detto delle confische si può dire a un dipresso delle multe pecuniarie, alle quali
sebbene sia proporzionata l'autorità degl'Inquisitori abilitati ad infligerle dalla Bolla di Alessandro
IV., che comincia Super extirpatione
(1051)
, per togliere però ogni dubbio di estorsione e vile
guadagno, e per viemeglio manifestare, che il S. Officio ad altro non aspira che alla salute
dell'anime, il supremo tribunale di Roma l'ha ristretta e vincolata in guisa, che più non possono
usarne senza sua [474] intelligenza e consenso: nè vi consente giammai senz'eseguir ciò, che
portano i decreti sin dal 1593. e 1595., i quali proibiscono di applicarle non solo a vantaggio del S.
Officio; e furono osservati esattamente anche coll'Arcivescovo di Napoli, al quale proibì Paolo V.
nel 1608. di servirsi di una multa di questo genere per la fabbrica o risarcimento delle carceri del
nostro tribunale; ma di qualunque Povero ancora, o Luogo Pio, che sia in qualche modo dipendente
dal tribunale o dal Convento, dove sussiste; e fu di fatti nel 1595. distribuita in Genova la vistosa
multa di duemila scudi non al S. Officio o a qualche suo Patentato o ministro, non a qualche Chiesa
o Convento, ma ai Poveri della Città. Nè altro poteva aspettarsi dalla S. Sede, la quale si è mostrata
in ogni tempo così premurosa della riputazione e decoro del suo tribunale, e tante volte replicò i
decreti spettanti a questa materia e dal sublime soglio del Vaticano e dall'augusto consesso della
Minerva, quante voi ne troverete registrate ne' migliori autori che li riportano fedelmente, tra i quali
il Pegna, che ne parla a lungo
(1052)
e cita varj altri.
Nè crediate che queste leggi sì replicate e pressanti siano state occasionate da qualche notabile
abuso che si fosse introdotto di tempo in tempo nel nostro tribunale. Sono nate col tribunale
medesimo, e si leggono anche nel Sinodo Narbonese, che per ordine di Gregorio IX. istruì
gl'Inquisitori delle maniere, che usar dovevano per procedere con ogni moderazione e prudenza, ed
Alessandro IV.
(1053)
sopra d'ogni altra cosa raccomandò il disinteresse ai suoi ministri. Vollero i
Papi e Concilj levare con queste leggi ogni pretesto ai suoi calunniatori di poterlo infamare su
questo punto, anche prima di vedersi in obbligo di correggere un notabile abuso che si fosse già
(1051)
Int. Litter. Apost. pro Offi. Inquisit. ad calc. Director.
(1052)
Direct. part. 3. quaest. 103. 104. 108. comment. 152. 153. 157.
(1053)
Const. Quod super nonnullis ad calc. Direct.
277
introdotto: e lo indica a tutta evidenza il decreto di Urbano VIII., che avendo nel 1632. sospesa la
facoltà anche ai Cardinali Inquisitori generali reis imponendi mulctas pecuniarias, et poenas
corporales eisdem reis impositas in mulctas pecuniarias commutandi, nisi facto verbo et habito
consensu Sanctitatis suae, disse di farlo principalmente ad retinendam aequitatem, majestatem
atque integritatem S. Officj, quod sicut aliis tribunalibus auctoritate et respectu [475] rerum, quae
in eo tractantur, antecellit, ita etiam praeter animarum salutem ab omni alio mundano interesse
alienum debet esse.
Nemmeno i regali e doni gratuiti, che pure, quando sono discreti e non diretti che a fomentare
la vicendevole benevolenza, esser sogliono di privato diritto di ogni anche onesta persona servir
possono a provare questa solenne impostura. Imperocchè quantunque questi sussistessero in quella
quantità, che disdice ad un giudice religioso ed onesto, non sarebbero da attribuirsi al tribunale, che
li ha vietati, ma all'ingordigia piuttosto di qualche ministro particolare, che senza sua saputa e
consenso li avrebbe malamente accettati. Temo però, che questa soverchia abbondanza non possa
essere prodotta dai nostri contraddittori senza ripugnare a se stessi: mentre se è vero, che
gl'Inquisitori sono sempre stati odiosissimi, come vanno spargendo per ogni ridotto, non è possibile
che tanti siano concorsi ad ossequiarli, e siano stati così copiosi i regali. Qual'odio è mai questo di
nuova invenzione, che invece di dispetti ed aggravj altro non ha prodotto che finezze e favori? Io
poi domando inoltre chi siano mai stati i più liberali e prodighi con questi che erano odiati da tutti e
potevano contribuire sì poco al vantaggio degli altri? Sono stati forse i rei o i loro aderenti, i quali
per liberarsi dai meritati castighi abbiano corrotta l'integrità dei giudici con officiosi regali? Ma
questo non è combinabile con le molte e severe giustizie, che vanno esagerando ogni poco per far
comparire odiosissimi gl'inquisitori; e ripugna al loro stesso carattere, che se non si deve credere,
com'è di fatti, onestissimo, ha almeno tutto il diritto di non essere riputato affatto dissoluto ed
infame, come diverrebbe infatti, se a fronte di tante pene e censure, che in questo più che in altro
tribunale sovrastano a chi è venale nell'amministrazione della giustizia, si lasciassero corrompere da
ossequj e regali: e la loro ingordigia, e la sciocca prolusione di chi donasse loro qualche cosa a
questa fine si potrebbe appena scusare dalla taccia di vera pazzia; non potendo questi nudrire alcuna
speranza di ottenere l'intento, perchè le cause per lo più non dagli Inquisitori particolari, ma hanno
il loro compimento dalla suprema Congregazione, nella quale, liberalissima com'è con tutti, non
può in alcuna maniera cadere un tal sospetto nè potendo quelli lusingarsi con ragione che restasse
nascosto e andasse impunito il grave loro misfatto, [476] perchè sono sempre malcontenti gli
Eretici, ed è troppo ampia la strada, che lascia alle querele e ricorsi il tribunale di Roma, e troppo
costante il rigore, che usa in simili mancamenti.
Hanno un solo rifugio, al quale appigliarsi, i nemici del tribunale, e sono gli officiali e ministri
del tribunale medesimo, i quali affezionatissimi ai loro Inquisitori, oltre al pronto servigio che
prestano con grave loro spesa ed incomodo negli affari correnti, non tralasciano di dimostrare
talvolta la loro stima ed affezione con presenti e regali. Sarebbe in vero da desiderarsi che tutti
gl'Inquisitori fossero altrettanti Catoni, che nulla prendessero da chiunque, com'egli si protesta
d'aver fatto in ogni sua legazione: Cura essem, inquit Cato, così leggesi presso Isidoro
(1054)
, in
provincia Legatus, quamplures ad Praetores et Consules vinum honorarium dabant; numquam
accepi ne privatus quidem: toglierebbero così ogni ansa agli avversarj di esagerare le piccole cose,
che talvolta ricevono, per farle comparire un giusto fomento della più grande ingordigia. Dall'altra
parte ci avvisa Ulpiano
(1055)
, con una lettera degl'Imperatori Severo e Caracalla, che valde
inhumanum est a nemine accipere, sed passim, vilissimum, et omnia, avarissimum; ed il voler
negare ai sudditi e dipendenti ogni maniera di ossequiare il loro Superiore, ed il pretendere che
questi non possa accettare quelle piccole cose, che a lui vengono offerte spontaneamente a solo
titolo di amorevolezza e rispetto, sembra cosa alquanto gravosa e non necessaria. Non è che non
meriti lode l'Inquisizione di Spagna, la quale, come leggesi presso il Simanca nelle sue
(1054)
lib. 20. Originum sive Etymologiar. cap. 3.
(1055)
L. 6. §. 3. ff. de Off. Procos.
278
Istituzioni
(1056)
, proibisce agl'Inquisitori ben provveduti altronde di un più che sufficiente
(1057)
mantenimento, sotto pena di scomunica e di raddoppiare i regali e di privazione dell'officio il
riceverli: ma non è per questo meritevole di condanna la permissione, che si lascia loro in Italia,
dove sono poverissimi; tanto più che il non permetterlo punto non gioverebbe a far tacere la
malignità de' loro calunniatori, come non tacque, nella Storia di Wolfgang
(1058)
relativamente
agl'Inquisitori di Spagna. Il solo eccesso, che si potrebbe introdurre in questo genere di [477]
liberissima contribuzione, come udiste dagl'Imperatori testè mentovati, potrebbe rendere
riprensibile una tal permissione: ma l'immortal Lambertini col prescrivere ai regali i giusti confini,
lo ha impedito in maniera, che più non v'è che temere: La concessione, egli dice nella sua Bolla ad
Supremum emanata nel 1755.
(1059)
, di dette Patenti privilegiate dovrà farsi in tutto gratis; onde per
ottenere dagli Inquisitori locali la nomina di detti officj privilegiati si proibisce espressamente ai
medesimi Inquisitori di ricevere sotto qualsivoglia titolo, o pretesto promessa o donativo di sorte
veruna, tanto avanti che dopo la nomina; come pure si proibisce agli stessi Inquisitori, e a quelli,
che saranno da loro nominati, di promettere o dare alli ministri ed ufficiali di Roma, e
rispettivamente a questi di ricever danaro o altra benchè minima cosa per la spedizione e consegna
delle Patenti: e contravvenendo alcuno di essi, oltre la privazione dell'officio e di ogni altro
impiego nella Sagra Inquisizione, vogliamo che incorrano ipso facto nella scomunica maggiore
riservata a noi e nostri successori, e di più, se saranno Regolari, cadano parimenti ipso facto nella
privazione della voce attiva e passiva, e nella inabilità perpetua a qualunque grado della loro
Religione. Ecco provveduto ad ogni possibile disordine, ed alzato un'argine insuperabile a
quell'ingordigia che sognano i nostri contraddittori. Perchè però era noto al gran Pontefice quanto la
reciproca contribuzione di discreti regali e favori contribuir possa a conservar quella buona armonia
ed affezione vicendevole, che deve passare tra il Capo del tribunale ed i rispettivi officiali e
ministri; e perchè sapeva pur troppo, che molti dei Padri Inquisitori avevano bisogno di qualche
sussidio per sostenere i pesi del tribunale medesimo, non ha voluto proibire ogni sorta di regali, ma
li ha limitati in guisa, che possano sollevarli alcun poco dalla loro indigenza, ma non mai servire di
pascolo ad una vergognosa ingordigia: permettendosi solamente (così si legge dopo le indicate
parole) il dare e rispettivamente ricevere da chi voglia spontaneamente darli, quei donativi di
esculenti e poculenti, che si sogliono dare e ricevere nelle Feste del Santo Natale e nel principio
d'Agosto, purchè i suddetti [478] donativi si facciano senza fraude e possano consumarsi in tre
giorni. Oh vedete qual lauto pascolo ha lasciato la S. Sede alla temuta ingordigia dei Padri
Inquisitori! vedete che doviziose sorgenti di beni stabili e di danari ha ella aperte per arricchirli!
Scoperto per tal modo tutto il piano economico del tribunale del S. Officio, e le copiose
sorgenti, dalle quali provenir possono le ideate sue ricchezze e tesori, io non dubito punto, che si
coprirebbero di rossore, se ne fossero capaci, tutti coloro i quali hanno l'ardire di spacciar con
franchezza, che è stato, ed è tuttavia dove sussiste, avaro ed ingordo. Maggiore ancora
scoprirebbero l'ingiustizia se paragonar volessero il tribunale del S. Officio con moltissimi altri, dai
quali sebben credo l'ingordigia del tutto sbandita, nulla però si fa mai che non sia ricompensato con
ogni esattezza a spese degl'inquisiti. Gli atti, la custodia, il servigio, le copie, le difese, le
esecuzioni, tutto è messo a loro conto, e cresce per lo più la somma a tal segno, che i delinquenti
risento per ordinario maggior danno dalle spese, alle quali sono costretti a soccombere, che dalle
pene, che si sono meritate. Eppure quando mai avete voi sentito riprenderne alcuno, se non eccede
nelle tasse ordinarie? Qual'assistente o ministro di altro tribunale è mai stato chiamato ingordo e
crudele, perchè ha voluto ciò, che per legale disposizione era dovuto alla sua fatica ed impiego? E il
tribunale del S. Officio, che esenta tutti i rei anche da queste spese, si potrà chiamare avaro ed
ingordo? Siamo in un tempo in cui tutto si travisa e confonde; e ne abbiamo vedute e sentite tante,
che nulla ci deve sembrare strano, e nulla sorprendere. Soffriamo adunque anche questa calunnia
(1056)
tit. 34. num. 45.
(1057)
Nel testo: "sufficiente". (N. d. R.)
(1058)
Histoire de l'Espagne tom. 5. liv. 12.
(1059)
Bullar. Bened. XIV. tom. 4. ù. 10. pag. 274.
279
ingiustissima, e preghiamo il Signore, che mandi giorni più quieti e sereni, onde io abbia tutt'altra
occasione che questa di dovere smentir calunnie sì mal fondate e maligne per ubbidire ai vostri
comandi, e dimostrarmi qual sono
280
LETTERA QUARANTESIMA.
Confutazione di un libro stampato in Pavia in difesa
della tolleranza indiscreta.
on sono andato lungi dal vero quando dalla leggerezza del
dubbio, che avete mosso nella
penultima vostra, ho argomentato che nulla o poco più vi restava da ricercare sul soggetto, di
cui trattiamo. Mi ringraziate di fatti nell'ultima lettera dell'incomodo, che mi sono preso per
istruirvi, e vi protestate obbligatissimo alla mia attenzione, che ha avuto il buon esito di
spregiudicarvi affatto in cosa di tanto rilievo. Se è così, io mi rallegro con Voi; ma non accetto
ringraziamenti, perchè il vostro disinganno è un compenso più che bastante alle passate fatiche; e
dopo di aver soddisfatto per quanto ho potuto alle mie promesse altro più non mi resta, che
aggiungere qualche altra cosa per confermare vie meglio quanto vi ho già detto, e farvi conoscere
sempre più il desiderio che ho ardentissimo di giovarvi in ogni possibile maniera. È uscito anni
sono in Pavia dalle stampe del Galeazzi un libretto
(1060)
su questo argomento, il quale all'usanza de'
Protestanti più indiscreti chiama il tribunale del S. Officio terrificum tribunal Inquisitionis
haereticae pravitatis, plenum minarum et caedis quod rudioribus saeculis, ac dominante feroci
quodam hominum ingenio invectum, Religiosis viris demandatum est. Tanto sono discordi i giorni
nostri dal sesto e nono secolo, ne' quali e gli Ennodj di Pavia scrivevano con grande zelo e plauso in
difesa de' Papi e de' giudizj di Roma, ed i Concilj colà celebrati s'impegnavano a sostenere e
proteggere i privilegi tutti della S. Sede
(1061)
! Chiunque sia l'autore di quest'infelice Operetta, che mi
vien supposto assai diverso dal sostenitore delle tesi, che si leggono nel fine del libro, certa cosa è
che si è lasciato trasportare infelicemente dalla torbida piena di quelle perniciose novità e sistemi,
che inonda per ogni dove, e l'ha resa anzi colla soverchia sua applicazione e industria più [480]
abbondante e sfrenata; perchè dopo d'aver raccolto dai libri più screditati le più nere calunnie ed i
sofismi più insidiosi, che siano stati inventati finora e contra l'intolleranza discreta e contra il
tribunale della Fede, ha procurato inoltre di vestirli con tale gravità di stile, aria di novità, apparato
d'erudizione e ricercate imponenti maniere di zelo e pietà, che in questo suo libro più che altrove
(1060)
Si tratta del De tolerantia ecclesiastica et civili uscito nel 1783. Era indicato come autore il Conte di
Trautmansdorf, allora studente di teologia a Pavia, e più tardi vescovo di Königgrätz (1790), Arcivescovo di Olmütz
(1795), ed infine Cardinale (1816). L'opera dedicata all'Imperatore Giuseppe II, sembra sia frutto, in realtà, della
cooperazione tra il giansenista Pietro Tamburini, professore di teologia all'Università di Pavia, e del collega Giuseppe
Zola. Questo trattato si propone di illustrare i diritti dei principi sulla disciplina esteriore della Chiesa nelle attinenze
col bene pubblico e colla tranquillità dello stato: definisce le competenze e le funzioni della Chiesa e dello stato
separatamente, ognuno nel proprio recinto; dimostra che la Chiesa, qualora volesse punire tutti gli individui che si
rifiutano di riconoscere la sua podestà, potrebbe privarli dei soli beni che ad essa è dato concedere; non adunque la
libertà, nè la integrità personale, nè il possesso delle cose, nè il godimento dei diritti civili e politici, la cui tutela è
affidata allo Stato; assale violentemente il tribunale dell'Inquisizione e propugna l'inviolabilità della coscienza
individuale, (qui ricorda un poco gli scritti di Spinoza e di Locke contro l'intransigenza cattolica) principio che fu il
caposaldo di tutta la feconda operosità dei giansenisti italiani. (Così scriveva all'inizio del secolo scorso Ettore Rota in
uno studio dedicato a Pietro Tamburini di Brescia "Teologo Piacentino" ). Nel 1785 ne fu pubblicata a Modena la
traduzione italiana con il titolo: Trattato sopra la tolleranza ecclesiastica, e civile del sig. Taddeo Maria conte di
Trautmansdorf.
Questa Lettera è dedicata completamente alla feroce polemica sulla libertà religiosa innestata con la pubblicazione di
quest'opera. Primi a dare il grido d'allarme furono Luigi Cuccagni e P. Mamachi che scesero in campo a difesa della
tradizionale dottrina della Chiesa, pubblicando una serie di libercoli, alcuni citati nella lettera stessa, all'insegna
guerresca del Giornale ecclesiastico di Roma. Seguirono numerose repliche e controrepliche a testimonianza
dell'attualità e dell'interesse che destava l'argomento. (N. d. R.)
(1061)
Concil. Labb. Tom. 11. pag. 606.
N
281
divengono attissimi a confondere, se non altri, almeno i meno istruiti e meno colti. Voi non siete più
la Dio mercè nel numero di questi. Siccome però in questo genere di combattimento siete ancora
inesperto e nuovo, così non credo inutil cosa il trattenervi alcun poco per iscoprirvi i più insidiosi
agguati di quest'occulto avversario, e farvi conoscere che con tutti gli sforzi maggiori delle sue
ciance e figure, e con tutta la pompa di quella triviale erudizione, della quale comparisce adorno
fuor di proposito, e a dispetto della premura che mostra per la purità della cattolica Religione non è
meno empio e meno debole ed incoerente degli altri. E questo è ciò che voglio aggiugnere al nostro
carteggio. Nè crediate, che per far questo io debba impiegare molto studio e fatica. Egli non ha fatto
altro, come ho detto, che copiare quelli, che avevano scritto prima di lui; ed io ho avuto il piacere di
vederlo confutato nelle passate mie lettere anche prima di leggerlo. Altro adunque non mi rimane a
fare per vostra maggiore istruzione e vantaggio; che sviluppare il suo sistema da quel laberinto di
nojose ripetizioni, enormi imposture e riflessioni inutili, fra i tortuosi giri delle quali ha procurato
nasconderlo, perchè comparisca ad una semplice occhiata tutta la sua deformità: indicarvi in
appresso i luoghi, ne' quali sono state da me disciolte le sue obbjezioni; e premesso un picciol
saggio delle molte incoerenze e contraddizioni, che vi s'incontrano, e che vi scopriranno anche
meglio il merito dell'Opera e l'abilità dell'autore, aggiugnere qualche cosa di più a quello, che è
stato già detto nella lettera 10., a maggiore schiarimento di quelle testimonianze di antichi Padri e
scrittori, che egli crede favorevoli al suo irreligioso sistema. Sarà questo l'argomento della presente
mia lettera. Mi riservo poi a parlare in un'altra della mente di S. Agostino, ch'egli dopo Giacomo
Picenino ha avuto l'ardire di pretendere favorevole al suo partito, e di negare che sia mai stato
difensore di quella discreta e prudente intolleranza, che ho sostenuta finora; ed epilogando in tal
modo colle parole di così accreditato maestro quanto ho esposto nel presente [481] carteggio, avrà
la presente apologia il suo compimento, ed il contrario sistema riceverà scossa così gagliarda e
mortale, che sarà impossibile al Tollerantista Pavese che lo sostenga e rialzi.
Accorda egli alla Fede dei Cattolici una libertà così ampia, che non ha da temere altro freno,
che quello di un giudice invisibile, il quale deve punire gl'increduli nell'altra vita (nel che si scosta
alquanto dalle perniciose massime e dall'indegno parlare del Bartolotti, che, come abbiamo, detto
altrove, move dubbj e questioni anche su questo rilevantissimo punto) e raccomanda poi non che ai
Fedeli, ma agli stessi tribunali della Chiesa una mansuetudine così mostruosa, che anche posta in
private persone, alle quali una sì bella virtù è raccomandata principalmente, andrebbe a risolversi in
una mera insensibilità e viziosa dissimulazione, ed altro non conserverebbe di virtuoso che il
semplice nome. Su questa vacillante e debolissima base, anzi su questa chimera di mostruosa
moderazione e dolcezza innalza egli il ruinoso edificio della sua tolleranza indiscreta, e pretende,
che chi ha già abbracciata e professata la Fede cattolica, goder debba nel conservarla di quella
libertà, che ha Iddio lasciata agl'Infedeli nel riceverla, e come con questi, perchè vi si assoggettino,
così con quelli per contenerli ne' doveri incontrati nel santo battesimo non vuole che si usi altra
forza, che quella della persuasione e preghiera; e sebbene sembri, che si penta talvolta di avere
accordata ai Cattolici una libertà troppo estesa, e conceda alla Chiesa la podestà di scomunicarli
ostinati e protervi, pure con tante precisioni e riserve rende così difficile il farlo, ed estenua in modo
codesta pena spirituale, che sembra piuttosto un'accorto ripiego per coprire l'enormità del sistema
che ha preso a difendere, che un riparo proposto con sincerità per impedire il disordine; e crede in
realtà, che quasi sempre ne soffra e la libertà della Fede, e la moderazione della Chiesa, se alla
persuasione si aggiunga qualche violenza o rigore. Quanto alle pene temporali, dopo aver negato
alla Chiesa con Fr. Paolo, col raccoglitore francese e molti altri moderni novatori ogni diritto di
usarne in qualunque maniera, anche quello che compete al padre col figlio indocile e collo scolaro
al maestro, e quello che non si stende che a pene mitissime di multe e sequestri, e non si esercita che
per mano della fedele sua alleata e protettrice la cattolica civile podestà, passa ad esaminare se far lo
possa per suo privativo diritto un [482] sovrano; e stabilito il principio, che egli non ha la facoltà di
usare della forza coattiva, se non in difesa e vantaggio della temporale tranquillità e sicurezza dello
Stato, inferisce in primo luogo, che non può usare pene temporali contra coloro, i quali paghi di
essere e di dimostrarsi increduli non recano alcun disturbo alla società, ma si stanno pacifici ne' loro
282
errori senza molestar quelli, che sono di sentimento discorde. Conchiude in secondo luogo, che
qualche forza e rigore, ma non mai la pena di morte può usar con quelli, che non contenti di
spargere, e colla voce e colla penna la loro empietà, o insegnano massime distruggitrici delle sociali
virtù, o con altre violenze, minacce e tumulti riescono alla società di peso ed aggravio. Spiega anche
meglio queste stesse massime antievangeliche la difesa che contra l'Ab. Cuccagni
(1062)
, che le aveva
impugnate, ne ha presa forse lo stesso autore col nome di Teologo Piacentino
(1063)
, nella quale
pianta un principio non meno pernicioso di quelli, che vi ho accennati sinora, e non avendo saputo
come provarlo procura d'insinuarlo nell'animo de' leggitori con ripeterlo cento volte. Il principio è
questo: è di originario diritto del principato tutto ciò che nasce da umana disposizione e non
appartiene di originario diritto alla Chiesa se non quello che è stato istituito e prescritto da Gesù
Cristo e concerne la disciplina interiore. Quello che riguarda l'esterior disciplina lo dice così proprio
e radicato nella podestà secolare, che non può essere trasferito in altrui mano che per sua liberale
concessione o per istraordinaria disposizione del Cielo. Quindi è che involge in questa medesima
legislazione non che le pene temporali, delle quali ho parlato poc'anzi, ma anche i beni a Dio
consacrati, le persone addette al divin culto, i tempj, gli altari ed ogni privilegio ed esenzione, ed il
celibato stesso ed ogni altra cosa, che aver si può per appendice ed accessoria delle principali ed
interne, e che ogni ragion vuole, come riflette bene il detto ab. Cuccagni nell'altr'opera in cui fa
l'apologia del suo trattato
(1064)
, che si creda anche per questo aeque ac Religio Sacerdotibus
divinitus concessa, non autem Regibus et magistratibus terrae, quibus data non est revelatio divina.
[483]
Nell'accozzare insieme tante stravaganze ed errori, voi ben vedete, che non ha fatto altro, che
ripeter ciò che a danno della Chiesa cattolica e della S. Sede è stato inventato dagli antichi
Eresiarchi, esposto con maggior'estensione da Marsilio di Padova e da Arnaldo di Brescia, e dilatato
ampiamente da Wicleffo, dai Protestanti Grozio e Boemer, e da Richerio ed altri Giansenisti
moderni, e riprovato già dalla Chiesa. Egli però niente commosso e sbigottito nè dalle guide
infedeli, che prendeva a seguire, nè dalla colonna di verità, dalla quale si scostava in questi suoi
traviamenti, non diffida di poter ritrovare e nelle Scritture e nei Padri chi lo spalleggi e sostenga; e
va ripetendo tutte quelle parabole e testimonianze della Scrittura, nelle quali si raccomanda la
moderazione e pietà, tutte quelle sentenze dei SS. Padri, colle quali si oppongono essi alle ingiuste e
disordinate persecuzioni, tutte quelle congetture; e sofismi in somma, che hanno addotti ed inventati
i nemici del S. Officio per abbattere or l'una or l'altra di quelle incontrastabili verità, che lo
fiancheggiano.
Cade da se, spogliato di quei rinforzi di puerile eloquenza e di erudizione triviale, coi quali il
Pavese, ha procurato di premunire codesto mal inteso sistema. Ma se mai aveste bisogno di qualche
lume per liberarvi di quelle insidie e cavillosi sofismi ai quali lo ha appoggiato, lo troverete nelle
passate lettere. Parla la settima e l'ottava della libertà, che si può accordare ai Fedeli ed agl'Infedeli
nel credere; e questa è la sola ragionevole e giusta, non quella illimitata e viziosa, che sostituisce il
Pavese per levare ogni freno alla scandolosa libertà di pensare, che domina presentemente. Avete
nella lettera decimottava la giusta idea dell'ecclesiastica moderazione e dolcezza; ed al confronto di
questa, che è di tutti i SS. Padri e dottori, vedrete chiaramente, che l'altra che vi sostituisce costui
non è vera moderazione, ma una perniciosa dissimulazione e connivenza vilissima. Le giuste
collere, dice pur bene a nostro proposito S. Basilio
(1065)
, stanno ai fianchi dei buoni, come il soldato
a quelli del capitano, o a lato del pastore il cane, pronte a servire nell'esercizio di molte virtù: est
enim pars animae irascibilis nobis ad multa virtutis opera necessaria: quoniam velut miles quidam
apud ducem arma sumens paratus est ejus jussu auxilium praebere, sic iracundia rationi adjutrix
contra peccatum [484] nefficitur, et velut canis pastori, sic rationi obediens. L'impedirle
(1062)
Tractat. De Mutuis Eccles. Et Imper. Offic.
(1063)
Rifless. Del Teologo Piacentino.
(1064)
Lett. Pacifiche p. 67.
(1065)
Homil. de Ira.
283
irragionevolmente ad altro non serve, al dire di S. Gio. Grisostomo
(1066)
, che a sparger vizj,
fomentare la pigrizia, e ad allettare al male non che i cattivi, ma anche i buoni: Si enim, dic'egli,
stantibus legibus, et timore, atque minis vix malignae voluntates coercentur; si haec ablata fuisset
cautio, quid impediret ne malitia dominaretur? Ond'è che Ochino stesso nell'empio suo dialogo 28.,
cui forse perchè più conforme ai suoi sentimenti deferisce più volentieri il Pavese che ai SS. Padri,
ripete spesso che non potest quisquam spiritum habere justitiae quin et misericordiae habeat. Ma
tiriamo avanti e seguitiamo ad accennare i luoghi del passato carteggio, ne' quali restano confutati
gli spropositi di questo nuovo impugnatore del nostro tribunale.
Non si può senza sfigurarla affatto concepire altr'idea della spirituale e temporale podestà
dell'una e dell'altra repubblica, e della stessa connessione e bella armonia, che nelle cattoliche
società deve passare tra l'una e l'altra giurisdizione, se non quella, la quale con varj SS. Padri vi ho
data nelle lettere 19. e 20.; e voi attenetevi a questa senza lasciarvi sorprendere dalla chimerica e
vana, che si è immaginata il Pavese per estinguere del tutto la sagra de' Pastori e adular troppo la
temporal podestà de' sovrani, ai quali accorda una somma autorità anche in affari di Religione, e
solo quando si tratta di difenderla dagl'increduli procura di rendere inoperosa e meno forte. Dice
bene il Sig. Cuccagni nella sua Lettera pacifica, che questo sistema adottato dal Tollerantista Pavese
e difeso dal Teologo Piacentino toglie alla Chiesa ogni forma regolata di società esteriore, ogni
ordine di gerarchia, ogni ragione di Stato, ogni podestà legislativa, e la riduce alla misera
condizione di un Boemeriano collegio. Riflettete a quanto ho scritto nelle mie lettere, 7. e 8., se vi
preme di avere la giusta intelligenza di quelle poche Scritture, che porta in conferma dell'indiscreta
sua tolleranza, e le troverete spiegate con molta facilità e sodezza. Vedrete dissipate, come nebbia in
faccia al vento, quelle meschine congetture ed inutili sofismi, che va spargendo nell'opera contra
l'antica intolleranza, che abbiano sostenuta, riducendovi a memoria ciò che ho detto dalla 3. alla 23.
lettera. E se vi preme finalmente di scoprire la falsità di quegli errori e disordini [485] ch'egli colla
fervida sua fantasia si va immaginando di quando in quando a danno del tribunale del Sant'Officio,
torni la vostra mente alle lettere, che vengono in seguito, dove li troverete cambiati in altrettanti
tratti bellissimi di cristiana carità e dolcezza, che fa ogni sforzo per salvare i più empj, e non
potendo altrimenti, col loro castigo provvede caritatevolmente alla salvezza dei buoni.
A rendervi però sempre più odiosa e spregevole quest'infelice Operetta a quanto ho scritto
contro le perverse sue massime voglio aggiungere adesso le principali incoerenze e contraddizioni,
nelle quali l'autore o troppo frettoloso nello scrivere, o tradito dai suoi perversi disegni è caduto
talvolta senza forse avvedersene; difetto per altro, il quale sebbene si scansi difficilmente da chi ha
una cattiva causa per le mani, non lascia però giammai di screditare moltissimo chi non l'ha saputo
evitare. Anche in questo si è mostrato fedele discepolo dei tenebrosi autori, che vi ho accennati
nella prima mia lettera; ma siccome in questo solo ha avuta l'abilità di superare anche i maestri, così
merita special riflessione. Sentite se dico il vero.
Egli prevede un'implacabil guerra e contrasto
(1067)
tra i membri della cattolica Chiesa, se vi ha
luogo qualcuno, che discordi in un solo dei più minuti dommi della cattolica Religione; il perchè
non vuol menar buono ai Protestanti, che alla stessa Chiesa appartengano tutti quelli, i quali
convengono negli articoli fondamentali della Religione, e discordano negli altri: quid enim notius,
sclama egli, in humani generis historia, quam varietate opinionum discordias foveri, pacem vero
unitate doctrinae? Ma più non si cura di questa pace, ove trattasi di civile società; e sebbene abbia
detto, che grande è l'influenza, che hanno le massime nei costumi de' popoli, e strettissima la
connessione, che hanno fra loro la Fede e le sociali virtù, pure egli pensa, che in questa società
punto non possa pregiudicare la mischianza delle diverse sette, e che giovi anche alla pace il tollerar
quelli, che le professano ostinatamente; tunc, egli dice
(1068)
, reipublicae tranquillitati non nocebit
sentetiarum diversitas. Se domandate a lui d'onde nascano l'eresie, e perchè gli uomini divengano
(1066)
Homil. 16. in Matth. Num. 6
(1067)
pag. 31.
(1068)
pag. 336.
284
Eretici, vi risponde con franchezza
(1069)
, che [486] illos aut ignorantia, aut novitatis amor, aut
ambitio, aut alia quaevis cupiditas impellit vel ad veterem Ecclesiae doctrinam obscurandam novis
cavillationibus, vel ad nova commenta excogitanda, eaque proponenda Fidelibus sub specie
antiquae doctrinae. Ma se poi prendete quindi il destro di conchiudere, che sono dunque e colpevoli
e punibili, trova egli nelle sue incoerenze sicuro scampo, e ve li descrive tutti come poveri
ignoranti, che d'altro non abbisognano, che d'istruzione e preghiera: quilibet enim suae sectae
adhaerens sibi videtur pro veritate pugnare
(1070)
. E perchè non si creda che la loro persuasione
nasca da cattiva disposizione di animo, ripete con Salviano il sentimento, che attribuisce a tutti i
Padri, e dice
(1071)
che bono animo errant, non odio, sed affectu Dei. Non è a queste dissimile la
contraddizione, che io scopro tra la pagina 160. e la 325., nella prima delle quali parlando di quegli
Eretici, che sono negligenti nel ricercare la verità, o non vogliono credere per non essere obbligati
ad operare, ma non recano altro danno o molestia dice schietto, che juste inferri posunt corporales
paenae, quibus negligentia considerandae veritatis excutitur, ac volens amplectitur quod antea
nolebat, vel si cognitae veritati pertinaciter resistit, merito plectitur vitium voluntatis: ma se ne
dimentica all'altra pagina, e dice francamente, che princeps injustam vim pacifico Haeretico inferre
intelligitur, si in eum legibus paenalibus saeviat. A queste pene assoggetta
(1072)
tutti quelli che non
contenti di creder male, spargono studiosamente il loro errore: quo in casu ultro, fatemur, ei dice,
seductorem per paenas ab iis, ad quos id spectat, coerceri posse, ac debere: ma li assolve poco
dopo
(1073)
, dove dice, Imperatorem animadvertere jure posse in Haereticos inquietos ac
pertarbatores publicae Religionis, non vero in pacificos, qui vel domi alienam Religionem colunt,
vel solis rationibus pugnare contenti, nihil adversus publicum cultum ac societatem moliuntur.
Pacifico chi combatte? nulla attenta contra il pubblico culto chi colle ragioni lo impugna? Chi può
digerire sì grossolane bestialità?
Non la finirei mai, se tutte accennar volessi le incoerenze e contraddizioni, che va spargendo in
più luoghi dove spiega e [487] prescrive i confini, all'una ed all'altra podestà. Una di queste, perchè
autorizzata a procurare la temporale tranquillità degli Stati, può disporre di tutti i mezzi che ad essa
conducono, benchè affidati alla spiritual podestà e conducenti direttamente ad un fine superiore:
l'altra ordinata alla santificazione dell'anime ed alla beata immortalità non può stender la mano a
quelle cose temporali ed inferiori, sopra le quali lo spirituale edificio sussiste e maestoso s'inalza.
Tutto fa dipendere dalla podestà dei sovrani ciò che può influire in qualche modo al ben pubblico:
ipsam Religionem, qua parte societatis formam attingit, iis subordinatam esse voluit
(1074)
. Eccettua
subito le massime ed i giudizj di Fede: dempta Fidei, morumque doctrina, della quale aveva già
detto
(1075)
; che siamo istruiti abbastanza dalle storie quantum influxum habuerint in societatis bonum
principia quaedam theoretica; quae pure speculativa videbantur: e ripete poi
(1076)
, che sicut pietas
ad omnia utilis est, sic falsitas, error, superstitio in perniciem demum vergit societatis. Non cessa la
podestà de' sovrani di esser temporale, se stende anche all'incensiere la mano per giovare al ben
pubblico; cessa la podestà della Chiesa di essere spirituale, o diviene podestà di questo mondo
(1077)
;
se tocca una sola cosa dell'ordine temporale ed inferiore: quella non è più sovrana in alcun ordine,
se è costretta talvolta ad ascoltare ed ubbidire a questa; ma questa nulla perde se in tutto ciò, che è
esteriore e visibile, divien soggetta e pedissequa della podestà temporale. A sentir lui
(1078)
, queste
furono le massime degli Apostoli: his praeceptis et institutis formati Apostoli fuerunt, qui praeterea
nihil aliud unquam opposuerunt hostibus Fidei, nisi patientiam, lenitatem; mansuetudinem: ma
(1069)
pag. 47.
(1070)
pag. 220.
(1071)
pag. 238.
(1072)
pag. 225.
(1073)
pag. 341.
(1074)
pag. 314.
(1075)
pag. 38.
(1076)
pag. 355.
(1077)
pag. 315.
(1078)
pag. 215.
285
poco dopo assicura
(1079)
, che constat aliquando inflictas fuisse corporales poenas (parla di Cristo e
degli Apostoli) ad contumaciam Infidelium vel Haereticorum frangendam. Non è riprovabile il suo
sentimento, che dichiara reo di grave delitto chiunque non crede qualche domma della cattolica
Religione; nè si può biasimare lo zelo, che lo trasporta ad inveire con gran calore contra i Casisti,
che hanno voluto scusare l'erronea persuasione di alcuni
(1080)
; ma chi potrà poi conciliare [488]
questi medesimi sentimenti con quello che adotta parlando degli Eretici creduti da lui innocenti, o
almeno immeritevoli di ogni castigo, come que' martiri, che in odio delle cattoliche verità erano
trucidati dal furor de' Gentili?
Foss'egli stato almeno fedele nell'osservare le sue stesse regole e principj, dopo essere ne' suoi
detti così ripugnante; ma anche in questo è assai difettoso e mancante. Stabilisce qual regola
invariabile
(1081)
il non fondar massime e principj generali sopra fatti particolari; peculiaria facta
generalem agendi rationem non sancire: ma l'inazione, in cui egli ha posta la Chiesa altro non ha
per base che fatti particolari succeduti in tempi e circostanze così diverse dalle nostre, come sono i
tempi di umiliazione da quelli dell'esaltamento, quelli di persecuzione da quelli di pace, la Chiesa
adulta da quella che vagiva bambina nella Palestina e nel Lazio. Non vuole che si deducano
conseguenze maggiori delle premesse, e che nel dedurle, si passi da uno all'altro genere
(1082)
; e tutto
è in regola, e lo insegnano i primi elementi della logica: ma questi precetti stessi che il
Trausmandorf aveva imparati nel Collegio Germanico di Roma, mostra d'averli dimenticati in
Pavia, dove dalle ingiuste ed indiscrete persecuzioni de' Gentili contra i Cristiani deduce
l'ingiustizia delle discrete e giuste de' Cristiani contra gli Eretici: e dall'essere stati gli Imperatori de'
Gentili padroni ed arbitri de' riti idolatrici inferisce che anche i principi cristiani lo siano delle cose
sagre, che alla vera Religione appartengono, e che giustamente hanno ritenuto l'appellazione di
Pontefici Massimi, ut facilius ipsi universas Religiones et sacra in sua haberent manu
(1083)
. Guai se
uno ha l'ardire di portare un testo di qualche autore a favore dell'intolleranza senz'aver prima ben
considerato il contesto, lo scopo del trattato, e le più minute circostanze non che dell'Opera ma
dell'autore medesimo: manca ai primi principi dell'arte critica e della buona fede; e lo sa Pietro
Bayle, che passa in quest'Opera per trascurato ed incauto, perchè non ha usate maggiori diligenze
per rilevare la mente di S. Agostino. Ma egli poi prende tutto all'ingrosso; e se v'è chi loda la
cristiana mansuetudine, benchè non parli nè di pubblica autorità, nè di ben pubblico che è in
pericolo, nè in tempi ne' [489] quali poteva aver luogo il rigore, non importa, egli è nemico
dell'intolleranza anche discreta, che usano i legittimi magistrati contra i nemici del santuario, anche
quando da un tal rigore si può aspettare un gran bene. Se v'è chi per frenare la barbarie de' Gentili,
che in sì strane e crudeli maniere vessavano gl'innocenti Cristiani, e li sagrificavano alle bugiarde
loro Divinità, chiama ingiusta la loro condotta, ed in affari di Religione preferisce la persuasione
alla forza, questo basta perchè si abbiano per disapprovatori delle pene temporali, che si danno agli
Eretici dopo d'averli istruiti, le quali poi non sono mai gravi, se a dispetto delle paterne
ammonizioni e consigli non s'ostinano nel loro errore
(1084)
. Quegli stessi, che con insoffribile errore
hanno dichiarati innocenti gli Eretici, e per aver errato di buona fede li hanno esentati non che dai
presenti ma anche dai futuri castighi dell'altra vita, sono opportuni al suo intento.
Esagero io forse, e trasportato dall'impegno di sostenere le pratiche della Chiesa romana
attribuisco al nostro Pavese sentimenti e pratiche, che non ha ammesse giammai? Leggete questa
meschina Operetta, e vedrete che non esagero; e comparirà anche meglio la sua mala fede e
stranissima maniera di pensare e di ragionare, se vi farete ad esaminare le sentenze di que' Padri,
dell'autorità de' quali presume di poter'abusare per sostenere l'indicato suo ruinoso sistema. Il solo
addurli dimostra un gran dissesto di mente: imperciocchè quand'anche fosse a lui riuscito di
(1079)
pag. 226.
(1080)
pag. 7.
(1081)
pag. 226.
(1082)
pag. 7.
(1083)
cap. 14. §. 4.
(1084)
È il principio che sorregge e giustifica tutta l'attività e la storia dell'Inquisizione: consenso o repressione. (N. d. R.)
286
trovarne qualcuno, il quale o troppo pieno di quell'eroica sofferenza, che la Chiesa ancor bambina
aveva praticata ne' primi tre secoli, o poco informato di quello stato di prosperità e splendore, che le
andava preparando la provvidenza divina ne' fedeli sovrani, avesse confuso il diritto col fatto, e da
quello che aveva lasciato di eseguire in addietro avesse dedotto fuor di regola, come facevano i
Donatisti, e fa il Tollerantista Pavese
(1085)
, che non lo doveva eseguire giammai, non ne riporterebbe
alcun danno la nostra causa, non dovendo recar meraviglia che nella gran variazione di cose
succedute dopo i tempi infelici dell'idolatriche persecuzioni siano risultati discordi e varj i
sentimenti degli uomini. Nelle grandi mutazioni, come v'ho detto altrove, non è questa cosa insolita
e rara ad avvenire. Lo [490] confessa nella lettera dedicatoria anche il Pavese, e noi potressimo
ripetere con lui, che quod semper accidisse novimus, ubi aliqua nova quaestio orta est, etiam in re
nostra contingere debuit, ut in varias partes hominum ingenia scinderentur
t
atque hinc inde ad
extrema divergerent. Vi fu un tempo, e mostra di saperlo anche il nostro autore, in cui taluno
invaghito di una sofferenza troppo indiscreta, e non distinguendo abbastanza i consigli, che
facilitano la strada della perfezione, dai precetti divini, che si devono osservare necessariamente per
vivere da buon Cristiano, negò ai Fedeli anche il diritto di combattere nelle giuste battaglie, piatire
nei fori, e di ingerirsi in qualche modo ne' giudizj di sangue: ma quest'eccessivo rigore di massima
indiscreta fu corretto dalla più giusta idea ch'ebbero molti altri, della cristiana moderazione; ed il
sentimento contrario, che prevalse non solo negli scritti di tutti i migliori dottori, ma anche nei
canoni della Chiesa e nella pratica di tutti i tempi, corresse in maniera lo sbaglio dei primi, che più
non meritarono di essere ascoltati quelli, che alla scoperta insegnavano l'opposto errore, ed ebbero
una benigna interpretazione alcuni altri, che nello spiegare la cristiana dolcezza, non lo avevano
saputo scansare con molta precisione e destrezza. Se nell'affare, di cui trattiamo, fosse succeduto lo
stesso, non sarebbe gran fatto; e tanto servirebbe l'autorità dei troppo pietosi per provare l'ingiustizia
della punizione degli Eretici, che difendiamo, quanto è valevole quella degli altri a conchiudere, che
niuno può combattere senza colpa, nè litigare giustamente. Varie altre risposte generali, che sole
bastano a snervare qualunque più energica espressione d'antichi scrittori che ben non combini colle
cattoliche verità, le troverete esposte nella duodecima mia lettera; nè starò io qui a ripeterle
inutilmente, chè v'è ben altro che questo nel suddetto libro, che lo spoglia d'ogni forza e valore.
Niuno de' testi che porta serve al suo intento: e perchè di Tertulliano, di Lattanzio, di Atenagora, di
S. Atanasio, di S. Ilario e di S. Martino ho già detto quanto basta nell'indicata lettera, non ne parlerò
in questa, e restringerò tutt'il mio ragionare alle testimonianze di S. Cipriano, Arnobio, Salviano,
Beda e S. Bernardo, che colla scorta dei suoi fidi Limborch e Voltaire aggiunge costui agli altri già
detti. Sono pochi, è vero, in paragone di tanti, che con incontrastabili testimonianze hanno stabilito
il contrario, se del sentimento di tutti i buoni [491] Fedeli, che pensano diversamente: ma pochi
bastano a chi è istruito da un maestro che non cede che all'unanime sentimento di tutti, e con ardire
incredibile è disposto a cozzare anche colla S. Sede, quand'ha pochissimi ed anche un sol Vescovo
che lo assista. Ma che sarà poi se questi stessi Padri e scrittori non dicono ciò ch'ei vorrebbe, e sono
anch'essi di sentimento contrario? Li avrebbe egli in caso citati in mal punto, e ad altro non
servirebbono che a screditar sempre più la sua proscritta Operetta. Ma così appunto succede nel
nostro Caso; e gli autori da lui citati altro non fanno che disapprovare le ingiustizie degl'Idolatri e
degli Eretici, e raccomandare la cristiana mansuetudine: il che tanto si oppone al nostro sistema,
come v'ho detto altrove, quanto si oppone la 6. alla 10. mia lettera, nelle quali ho dimostrato che gli
Eretici meritato severo castigo, ma che si dà qualche caso in cui possono essere tollerati. Nè la sola
crudeltà de' Gentili disapprovano S. Cipriano ed Arnobio ne' luoghi citati, ma provocandoli ad
abbandonare la vendetta dell'offese ai loro idoli, come Lattanzio ed Atenagora, con maniere assai
prudenti li sforzano a riflettere alla loro debolezza, e procurano di ridurli per tal modo non che alla
conveniente moderazione, ma anche a miglior senno. Si quid Diis tuis numinis et potestatis est, ipsi
in ultionem suam surgant: ipsi se sua majestate defendant. Aut quid praestare colentibus possunt,
qui se de non colentibus vindicare non possunt? così S. Cipriano
(1086)
, così Arnobio
(1087)
. Non
(1085)
pag. 218.
(1086)
ad Demetrianum.
287
s'impugna in queste testimonianze la giustizia, che si userebbe nel difendere con temporali castighi
la Religion vera; solo si disapprova la coazione usata per sostenere la falsa, e si disapprova con
tant'avvedutezza, che fanno travedere in qualche modo, che la sola qualità dell'oggetto è il motivo
della loro disapprovazione.
Che dirò di Salviano così inesatto nelle sue espressioni (vizio, di cui lo rimprovera anche il
Cardinal Bellarmino), che uguaglia talvolta
(1088)
la condizione nostra a quella degli Eretici, e dice
che Dio li soffre, perchè sbagliano affectu piae opinionis? dirò che dove disapprova la crudeltà de'
Gentili ammette la risposta medesima: e dove lascia in dubbio, se debbano gli [492] Eretici, che
credono il Figlio minore del Padre, essere o no condannati nel dì del giudizio, si oppone non a noi,
che parliamo delle pene di questo mondo, ma all'autore che abbiamo preso a confutare, che dice
essere la pena dell'altra vita un freno efficacissimo per ricondurre gli Eretici e contenere i Fedeli ne'
cristiani doveri: onde portando l'autorità di costui, altro non fa che ricadere in una delle sue solite
incoerenze e contraddizioni. E sbaglia anche peggio quando dalla moderazione e dolcezza, che
raccomandano i Padri, pretende d'inferire che sono ingiuste le pene temporali, che si danno agli
Eretici. Non è lo stesso, torno a ripeterlo, raccomandare la piacevolezza e disapprovare il castigo; e
può secondo la diversità dello Stato e delle circostanze e l'uno e l'altra essere del pari plausibile ed
opportuna. Quindi è che Beda, il quale loda Edilberto Re d'Inghilterra, perchè convertito alla Fede
non usò violenza cogli altri, affinchè lo imitassero ma li allettò a seguirlo colle dolcezze e favori,
dopo d'aver riportata altrove
(1089)
l'apostasia dei due Re Ostrico ed Eanfrido, approva come giusta la
vendetta, che ne fece l'empio Re Cedualla uccidendoli; nec mora utrumque Rex Britonum Cedualla
impia manu, sed justa ultione, peremit; e dopo aver detto
(1090)
, che il Re Earcomberto fu il primo a
proibire l'idolatria nel suo regno, ed a comandare il digiuno di quaranta giorni, chiama degne e
competenti quelle pene, che aveva fissate contra i trasgressori: hic primus Regum Anglorum in toto
regno suo Idola relinqui ac destrui simul, et jejunium quadraginta dierum observari principali
auctoritate praecepit, quae ne facile a quopiam posset contemni, in transgressores dignas et
competentes punitiones proposuit.
Potrei tacere di S. Bernardo, di cui ho detto abbastanza nella lettera 10.: ma perchè meglio
comparisca l'impudenza di costui e la sua facilità di contraddire alle regole stesse da lui stabilite di
non dedurre conseguenze maggiori di quelle che esigono le premesse, e di non inalzar dommi e
sistemi universali sopra fatti particolari, mi fermerò alcun poco sopra la disapprovazione, che fa il
S. Dottore, d'alcune violenze ch'erano state usate contra alcuni Eretici, della quale abusa il Pavese
per unire anche questo Padre ai pochi che vanta del suo partito. Notate di grazia quant'è ridicolo.
[493] Nel luogo suddetto
(1091)
non parla il Santo che di violenze usate tumultuariamente e con
privata autorità. Ma che ha da far questo colle metodiche e giudiciali, che noi sosteniamo praticate
dalla pubblica e legittima autorità della Chiesa? Vi è di più. Il medesimo Santo non le disapprova
del tutto, ma si contenta di dissuaderle soltanto, e poco contento com'era del fatto non lascia di
approvare lo zelo di chi l'aveva intrapreso; approbamus zelum, sed factum non suademus, quia
Fides suadenda est, non imponenda: ed a scanso d'ogni sinistra apprensione aggiunge, che il fatto
stesso sarebbe stato meritevole di approvazione, se si fosse intrapreso colla dovuta autorità:
quamquam melius procul gladio coercerentur, illius videlicet, qui non sine causa gladium portat,
quam in suum errorem multos trajicere permittantur. A che serve però andar mendicando
storpiature particolari fatte di alcune sentenze di Padri per rilevare la meschinità di questo
spropositato libro, quando tutto il complesso altro non è che un'impasto d'inezie, contraddizioni e
spropositi? L'autore non ha fatto altro che rinnovare le massime ed il sistema de' Donatisti: non ha
saputo che addurre le loro congetture e sofismi per sostenerlo. Non ha che aggiunte nuove falsità,
imposture e calunnie per renderlo meno incredibile, come potete vedere confrontando il libro colle
(1087)
lib. I.
(1088)
Divin. Instit. lib. 2. cap. 4.
(1089)
lib. 3. cap. I.
(1090)
Ib. cap. 8.
(1091)
Ser. 66. in Cantic. Num. 12.
288
passate mie lettere e colle Opere altrove citate dall'ab. Cuccagni. E che volete di più per giudicarlo
meritevole di quelle tenebre, nelle quali ormai giace sepolto, e più di confutazione degno di
abbominazione e disprezzo? Quand'anche reggesse il pessimo principio che domina nella sua
scuola, ed è indicato anche in questo libro, che le verità di Fede possono essere dalla malvagità ed
astuzia de' suoi contraddittori oscurate per modo, che dopo d'aver dominato per lungo tempo nel
cuor de' Fedeli cessino d'obbligare all'esterior professione, ed esentino dal crederle tutti quelli che
restano avvolti tra le insorte caligini, egli con le sue ciance e sofismi giunto non sarebbe certamente
ad oscurare la podestà di stabilire e sanzionare la disciplina esteriore, di cui ha sempre fatt'uso la
Chiesa, e di comandare per via di leggi, non di consigliare soltanto e persuadere, obbligando e
sforzando i trasgressori con giudizj esteriori e pene salutari, la qual [494] podestà è stata
riconosciuta sempre e venerata da tutti i Fedeli. Le sciocchezze, ch'egli porta per ottenebrarla, la
fanno risplendere maggiormente presso tutti coloro che sanno; ed è stata messa in tal luce dalla
Bolla dommatica del nostro Sommo Pontefice PIO SESTO colla condanna della 4. e 5. delle
proposizioni estratte dagli Atti del Sinodo di Pistoja, che chiara si mostra anche agli occhi de' meno
istruiti. Ma il peggio si è che la massima stessa è dichiarata eretica colla condanna della prima tra le
85. proposizioni e dottrine riprovate in detta Bolla: e ben' a ragione, chè è questo un malizioso
ripiego usato dai Giansenisti per tor di mezzo non che la giusta punizione degli Eretici, ma ogni
cattolica verità, ed è direttamente contraria a tutti i SS. Padri, che dalle scritture autorizzati hanno
confessato mai sempre d'unanime consenso essere la divina rivelazione lucerna risplendentissima
accesa dalla sovrannatural provvidenza perchè non resti giammai estinta, e per mano della Chiesa si
diffonda la sua luce utilmente per tutto il mondo a schiarimento d'ogni utile verità, e sgombramento
d'ogni tenebra che s'alzi per ingombrarla; e la Chiesa descrivono a foggia di ben munita città, che
situata sull'alture di un monte non può restar nascosta a chiunque va in traccia de' suoi celesti
ammaestramenti. Si sforzino pure le furie d'Averno di spargere tutte le tenebre del tetro loro carcere
sopra qualunque delle verità già definite e rivelate chiaramente; chè queste resteranno bensì sempre
involte fra quelle sagre caligini, che nascondono ai viatori i divini misteri, i quali non sono evidenti
che ai comprensori beati, ma non resteranno mai meno certe e sicure la loro sussistenza ed evidente
credibilità a chi le ricerca con docilità, ed è disposto a professarle sinceramente. Nel miglior'uopo
alzeranno la voce i buoni Pastori del divin Gregge, e uniti ai sentimenti infallibili della suprema
cattedra di verità spezzeranno il pane ai famelici, nè lasceranno che ai buoni Fedeli resti punto
nascosto di ciò, che si deve credere con fermezza. L'oscuramento e difetto in materie dommatiche è
sempre stato il pretesto usato dai novatori per distorre i Credenti dalla vera Fede: e riuscirà sempre
tanto più inutile e riprensibile quanto si scoprirà sempre più ripugnante e contrario alle parole e
promesse di Gesù Cristo, che mandò agli Apostoli quello Spirito illuminatore, che avrebbe schiarita
loro ogni verità; Docebit vos omnem veritatem; e volle che si diffondesse per bocca di quei [495]
Pastori, che scortati dal Romano Pontefice loro Capo e maestro aveva posti a reggere il sagro Ovile.
Di questi il Tollerantista Pavese ascolti la voce, e cessi una volta di riuscire di scandalo a tutti i
buoni Fedeli con tante novità ed errori. Invano però cercheranno essi d'essere ascoltati da chi ha
fissato di non voler sentire che se stesso: ed io l'ultima delle pecorelle del divin Gregge devo
contentarmi dell'approvazione e disinganno vostro, che la Dio mercè avete sortite disposizioni assai
più favorevoli per secondare e ricevere le celesti istruzioni. Chi ha da gran tempo adottato il
contrario ereticale partito non è da sperarsi che possa essere persuaso, se non che da lui che può
togliere agli uomini il cuor di pietra e sostituirvi quello di carne. A Dio dunque ricorriamo, perchè
voglia felicitare e benedire le nostre buone intenzioni: e fermi sempre e costanti in quelle
incontrastabili verità, che ho procurato d'epilogare in questa mia, aspettiamo da lui che dia alle
medesime quell'incremento e fortuna, che aver non possono in altro modo. Resta ora che vi parli
della mente di S. Agostino, sulla quale ho promesso di diffondermi alquanto. Compiacetevi però di
attendere un'altra lettera, in cui vi parlerò di questo solo argomento, chè non voglio essergli di
pregiudizio per troppa fretta di richiamarlo ad esame. Oh le molte cose che mi restano a dirvi su
questo proposito nel venturo ordinario! Prendo adesso il necessario riposo, e mi dico di cuore.
289
LETTERA QUARANTESIMAPRIMA.
Nuovi errori del Libro Pavese, e mente di S. Agostino
sul soggetto del presente carteggio.
ale è la stima ch'io faccio della sublime virtù del sapere incomparabile del gran Dottor della
Chiesa S. Agostino che se l'avessi trovato contrario ai miei sentimenti, sebbene egli solo non
sarebbe bastato in tant'abbondanza di validissimi fondamenti a far sì che li abbandonassi, avrei però
avuta assai minor lena e coraggio nel sostenerli. Ogni giusto estimatore del merito avrà sempre in
gran conto sì gran maestro, ed in somma abbominazione l'errore di que' fanatici condannati con
grande avvedutezza dall'Inquisizione di Spagna, i quali a colmo dell'altre loro palesi follie
asserivano, utrum Augustinus contra quod sentimus sentiat non admodum referre. Importa assai che
si sappia come egli pensò in ogni controversia di Religione, della quale egli è stato sempre
considerato dalla Chiesa per uno de' più valorosi sostenitori. Moltissimo poi nella controversia
presente, che ha richiamata a rigoroso esame, ed ha dovuto trattar lungamente coi Donatisti più
eloquenti e più dotti. Anche il Tollerantista Pavese ha sentito il peso ed ha scoperto il vantaggio di
sì luminosa autorità, ed ha fatto perciò ogni sforzo per profittarne. Ma se con quest'impegno ha
offerto il giusto tributo di stima e venerazione a sì gran Padre, non ha potuto però dalla sua autorità
ricavare alcun profitto per la sua causa. Egli è tutto nostro; ed il dissertatore Pavese non impedirà
mai colle sue ciance che gl'Intollerantisti possano tanti Doctoris auctoritate gloriari.
Quell'alienazione stessa che S. Agostino scrivendo a Vincenzo confessa d'aver avuta una volta a
quelle nuove e più aspre maniere di procedere contro gli Eretici, che nell'uno e nell'altro foro
s'introducevano allora nell'Africa, poichè si cambiò in lui nel sentimento contrario, e nella costante
determinazione di sostenerle e difenderle contra chiunque avesse pensato diversamente, come aveva
già fatto delle più miti e leggiere, che approvò in più luoghi, e le vide sempre di buon'animo usate
anche ne' tribunali ecclesiastici, lo dichiara sempre più a nostro [497] favore; ed io credo meno
incauto il consiglio di Barbeyrac
(1092)
, di Gioanni Clerc
(1093)
e di Pietro Bayle, che lo disapprovano
con troppo ardire, ma confessano con sincerità, che è di sentimento contrario di quello del nostro
autore, il quale fa ogni sforzo per tirarlo al suo partito. Il Muratori
(1094)
ha creduto ben'impiegata la
sua penna immortale nel vendicare la sentenza di S. Agostino dalle accuse e rimproveri dei primi;
non sarà per me inutil cosa l'impiegare una lettera per dimostrare, che non è stata a lui attribuita a
torto una tale sentenza. E per ridurre la cosa all'ultima evidenza non m'impegno a meno, che a farvi
toccar con mano che sono di S. Agostino tutte le prove, che ho addotte nel mio carteggio per
giustificare quell'intolleranza discreta che pratica il tribunale del Sant'Officio, che da S. Agostino
medesimo sono state prese quell'efficaci risposte, che ho date a tutti gli argomenti e sofismi dei
moderni Tollerantisti ed increduli, e che il franco nostro avversario, che pur vedeva la necessità di
avere dal suo partito un tanto dottore, ha avuta la disgrazia di non trovare nelle vaste sue Opere una
sola parola che lo favorisca apertamente, nè ha potuto profittare che delle sole obbjezioni de'
refrattarj e scismatici, che ha trovate raccolte e sciolte magistralmente negli aurei volumi di sì gran
Santo. Se è possibile che chi scrive e parla così sia contrario al nostro partito, si vanti pure il Pavese
dell'autorità di S. Agostino; ma voi non ne paventate l'incontro, che un tal nemico non offende ma
giova. Se poi non è possibile, come non lo è senza dubbio, voi avete a vostro favore l'autorità di
così eccellente maestro, che nella controversia presente sola basta a rendervi vittorioso e sicuro. E
(1092)
Tract. mor. §. 29.
(1093)
lib. Inscr. Pherepon.
(1094)
lib. 2. de moderam. ingenior.
T
290
per farvene sempre più persuaso, sentite.
Vi ho dimostrato nel passato carteggio il diritto e bisogno che ha la Chiesa di sforzare gli
Eretici a ravvedersi, usando oltre alla spirituale anche la temporal coazione o per se stessa
immediatamente, se è medicinale e discreta, o per mezzo dei fedeli sovrani, se è più rigorosa e
pesante, e colla gravità del delitto, che è per se stesso enormissimo, e colla vanità delle scuse, che si
vanno mendicando e dall'ignoranza de' colpevoli e dall'indifferenza del culto per discolparli, e coi
tristi funestissimi effetti, che lo [498] accompagnano, perniciosissimi all'una e all'altra società, e
coll'autorità finalmente delle Scritture e dei Padri, che accordano ai Superiori ecclesiastici l'autorità
di reggere il divin Gregge, ed ai principi fedeli l'obbligo di giovarlo e proteggerlo. Or queste
appunto sono le prove, che S. Agostino porta e ripete sovente in tutti i suoi libri contra i Donatisti
per convincerli, che erano ingiuste le lagnanze e querele, che movevano contra i rigori, che i
Cattolici avevano impetrato a loro castigo ed a propria giustificazione e salvezza. L'enormità del
delitto di eresia e gli immensi danni, che arreca alla Chiesa, li espone diffusamente nel libro 2.
contra Petiliano, nel quale rivolgendo contro di lui quelle calunnie e rimproveri, ch'esso a torto
faceva ai Cattolici, chiama i Donatisti empj, traditori, omicidi, falsarj, ipocriti, aspidi velenosi,
sepolcri aperti, persecutori dei buoni, lupi rapaci e figli del Diavolo; perchè come questi rovinò tutto
il genere umano nel Paradiso terrestre, così essi con sedurli uccidono i Fedeli della Chiesa di Dio:
Quod tunc Paradisus
(1095)
hoc nunc Ecclesia: Diaboli ergo filii sunt, qui homines ab Ecclesia
seducendo interficiunt. Che poi una tanta empietà e furore non debba andare impunita, lo dice
alquanto dopo soggiungendo
(1096)
: Si fieri potest, ut aliquando recte per vim corporalem resistatur
violentis; nec ideo praeceptum violetur, quod audimus
(1097)
a Domino: Ego autem dico vobis; non
resistere
(1098)
malo cur non etiam hoc fieri potest, ut per ordinatas & legitimas potestates de
sedibus, quae illicite usurpantur, vel ad injuriam Dei retinentur pius expellat impium, & justus
injustum? e scrivendo a Bonifacio, accenna anche meglio il dovere che hanno i sovrani di stendere
il loro braccio a queste vendette, e pazzi dichiara coloro, che fossero per credere diversamente. Quis
mente sobrius Regibus dicat; nolite curare in regno vestro a quo teneatur vel oppugnetur Ecclesia
Domini vestri? Non ad vos pertinet in regno vestro quis velit esse sive religiosus sive sacrilegus;
quibus dici non potest; non ad vos pertinet in regno vestro quis velit pudicus esse vel impudicus?
Cur enim
r
cum datum sit divinitus homini liberum arbitrium, adulteria legibus puniuntur, sacrilegia
permittuntur? An fidem non servare levius est, animam Deo quam foeminam viro? Per lui
l'ignoranza non iscusa affatto; [499] che anzi aggiunge poco dopo, che si ea, quae non contemptu
sed ignorantia Religionis committuntur, mitius vindicanda, numquid ideo negligenda sunt? ed è poi
così lontano dall'ammettere l'indifferenza in affare di Religione, che, come vi ho accennato altrove,
neppure ha creduto possibile che un'opinione sì stramba cader potesse in mente umana. Non v'è
castigo, ch'egli creda maggiore di un tanto eccesso, e la multa di dieci libbre d'oro fissata da
Teodosio, che avevano allegata i Cattolici, per difendersi dalle vessazioni dei Donatisti: la chiama
mitissima
(1099)
; Quid autem
(1100)
mansuetius sit quam ut coercitione damnorum tanta vestra scelera
multarentur? Giusta chiama nella lettera a Vincenzo
(1101)
la confisca dei beni, che decretò
Costantino, il quale primus costituit in hac causa, ut res convictorum et veritati pervicaciter
resistentium fisco vindicarentur. Mite chiama l'esilio, ch'era loro intimato dalle leggi sovrane
(1102)
;
mitiora in eos constituit Imperator propter mansuetudinem christianam; exilium vobis voluit
inferre, non mortem: e lo spoglio dei beni sagrilegamente usurpati, e le deposizioni dai loro gradi ed
impieghi, e le stesse opere laboriose, alle quali fossero condannati utilmente, perchè, come scrive ad
(1095)
cap. 13. num. 30.
(1096)
cap. 19. num. 43.
(1097)
Nel testo: "audivimus". (N. d. R.)
(1098)
Nel testo: "resistite". (N. d. R.)
(1099)
cap. 83. num. 184.
(1100)
Nel testo: "enim". ( N. d. R.)
(1101)
Ep. 93. al. 48. cap. 4. num. 14.
(1102)
lib. 1. cont. Gaudent. cap. 19. num. 21
291
Apringio
(1103)
, illa, quae nefandis operibus exercebant, alicui utili operi integra eorum membra
deserviant, le crede tutte pene non meno giuste, che moderate, vantaggiose e discrete; e crede che
scoperta ch'essi abbiano la loro empietà, si lagnino a torto di queste persecuzioni che soffrono,
perchè non devono attribuirle che a loro stessi: restat ergo, così conchiude scrivendo a
Petiliano
(1104)
, ut nihil aliud requirendum esse fateamini, nisi utrum juste an impie vos separaveritis
a communione orbis terrarum: nam si hoc inventum fuerit, quod impie feceritis, non miremini, si
non desunt ministri Deo
(1105)
, per quos flagellemini, quia
(1106)
persecutionem patimini non a nobis,
sed, sicut scriptum est Sapient. XI., ab ipsis factis vestris
(1107)
. La morte stessa e l'estremo supplicio
non è creduto da lui così eccedente il merito di questo delitto, che non convenga usarlo talvolta: ed
aveva un bel dire Petiliano
(1108)
, si sacrilegus [500] sum, a te occidi non debeo; ch'egli risponde
francamente, che non avrebbe usata ingiustizia chi fornito della legittima podestà l'avesse fatto:
quicumque te occiderit secundum potestatem legitime a Domino datam, juste fècerit. E quando si
lagnava Parmeniano, che avesse Costantino fatti condurre, come egli credeva, al supplicio alcuni
Donatisti, che convinti di eresia nel tribunale ecclesiastico si erano ostinati nei loro errori: conqueri
audet Parmenianus, quod eos Constantinus ad campum, id est ad supplicium, duci jussit, qui victi
apud ecclesiasticos judices, nec apud ipsum, quae dicebantur, probate potuerunt, et adhuc in
santae Ecclesiae praecisione sacrilego furore ferebantur; che risponde egli a queste querele? mette
in dubbio se l'eresia dei Donatisti debba essere castigata anche con pene temporali? confessa essere
eccedente la pena di morte, quando il reo è giudicato dal tribunale ecclesiastico formale Eretico, e si
mostra ostinato ed impenitente? nega ogni connessione tra l'uno e l'altro tribunale? Niente di ciò:
chiama anzi nell'accennate parole temerità il lagnarsene; conqueri audet Parmenianus; e dice che
non hanno costoro che riprendere, se prima non provano di non essere Eretici: prius enim probent
se non esse Haereticos, vel Schismaticos; tunc demum de indignis poenis suis lividam emittant
vocem
(1109)
. Senza questa dicolpa dichiara, che tutto è giusto ciò che soffrono; juste patiuntur; giusto
per la reità del commesso delitto, giusto per l'autorità dei giudici autorevoli, che si uniscono a
condannarli, juste patiuntur et merito criminum, et ordine potestatum. E riflettendo
(1110)
che S.
Paolo scrivendo ai Galati ed ai Romani tra le opere punibili della carne mette anche l'eresia, dal
castigo dovuto agli altri delitti argomenta egli pure, come ho fatto io altrove, quello che compete
agli Eretici; e riprendendoli domanda loro; cur in veneficos rigorem legum exerceri juste fateantur,
in Haereticos autem atque impias dissensiones noluit fateri, cum in iisdem iniquitatis fructibus
auctoritate apostolica numerentur? E siccome lodavano essi, come scrive a Vincenzo
(1111)
, le leggi
capitali fatte dagl'Imperatori contra i sagrificj degl'Idoli, delitto anch'esso appartenente al tribunale
della Chiesa; quis nostrum, [501] quis vestrum non laudat leges ab Imperatoribus datas adversus
sacrificia Paganorum? Et certe longe ibi poena soevior constituta est; illius quippe impietatis
capitale supplicium est; da questa loro approvazione prende motivo di rinfacciare e nei libri contra
Parmeniano e in questa lettera medesima l'incoerenza dei loro giudizj, tutti rigore contro gli apostati
e tutti condiscendenza e dolcezza coi Donatisti, dei quali, com'gli scrive a Vincenzo
(1112)
, impietas
etiam idololatriam forsitan superat. È vero che scrivendo a Marcellino
(1113)
, lo prega che non
istenda sino alla morte la loro punizione, ma non lo fa perchè la creda ingiusta, ma solo perchè non
crede conveniente alla mansuetudine e coscienza di un Ecclesiastico il ricercarla, come non lo crede
neppur'oggi la Chiesa, che prega per la vita di quegli stessi che abbandona al rigor delle leggi:
(1103)
Ep. 134. al. 160. num. 4.
(1104)
lib. 2. cap. 19. num. 43.
(1105)
Nel testo: "Dei". (N. d. R.)
(1106)
Nel testo: "qui". (N. d. R.)
(1107)
Nel testo: "a factis vestris". (N. d. R.)
(1108)
lib. 2. cap. 23. num. 43.
(1109)
lib. cont. Parmenian. cap. 8. num. 13.
(1110)
ivi. cap. 10.
(1111)
Epist. 93. al. 48. cap. 3. num. 10.
(1112)
cap. 3. num. 10.
(1113)
Epist. 139. al. 158. num. 2.
292
poena sane illorum, quamvis de tantis sceleribus confessorum, rogo te ut praeter supplicium mortis
sit et propter conscientiam nostram et propter catholicam mansuetudinem commendandam: ma
quanto all'altre pene temporali anche le più severe e pesanti le approva tutte, e le dice minori di
quello che merita il loro reato: in tanta enim crudelitate, così egli poco dopo, quaecumque praeter
sanguinem vindicta processerit, magna lenitas apparebit.
Vi prego, amico carissimo, a meditare con qualche attenzione le testimonianze da me
accennate in succinto; poi ditemi se poteva il S. Dottore confermar meglio ciò che vi ho scritto nel
passato carteggio, e con più chiare espressioni manifestare il sistema cattolico affatto contrario a
quello de' Tollerantisti indiscreti, e meglio epilogare quanto v'ho detto sinora e della gravità del
delitto e della convenienza delle pene e del modo di decretarle ed infligerle. Pianta per base delle
sue risposte la gravità del delitto, accenna i disturbi che arreca ad ogni Ordine e Stato, tocca la
distinzione dei due tribunali, ed il particolare diritto che ad ognuno compete. Parla di Eretici che dal
tribunale ecclesiastico sono passati a quello dei sovrani, ed accenna assai bene ciò che compete al
dovere dei fedeli sovrani ed alla lenità della Chiesa, qualora si tratta della stessa pena di morte, Ma
non basta ancora. Per rovesciare sin dai fondamenti questa infame torre di Babele confuta ancora e
mette in orrore quello [502] stesso indifferentismo ch'io ho combattuto nella 7. mia lettera. Udite
come ne parla negli aurei libri della Città di Dio, e come ne descrive a minuto le funestissime
conseguenze. Non jubeantur dura, non prohibeantur impura..... Nullus ducatur ad judices, nisi qui
alienae rei, domui, saluti, vel cuiquam
(1114)
invito fuerit importunus aut noxius: ceterum
(1115)
de suis,
vel cum suis, vel cum quibusque volentibus faciat quisque quod libet. Abundent publica scorta vel
propter omnes, quibus frui placuerit, vel propter eos maxime, qui privata habere non possunt.
Extruantur amplissimae atque
(1116)
ornatissimae domus, opipera convivia frequententur, ubi cuique
libuerit et potuerit, die noctuque ludatur, bibatur, vomatur, diffluatur. Saltationes undique
concrepent, theatra inhoneste letitiae vocibus atque omni genere sive crudelissimae sive
turpissimae voluptatis exaestuent. Ille sit publicus inimicus, cui haec felicitas displicet: quisquis
eam mutare vel auferre temptaverit
(1117)
, eum libera multitudo avertat ab auribus, evertat
(1118)
a
sedibus, auferat
(1119)
a viventibus. Illi habeantur Dii veri, qui hanc adipiscendam
(1120)
populis
procuraverint, adeptamque servaverint. Colantur, ut voluerint, ludos exposcant quales voluerint,
quos cum suis vel de suis possint habere cultoribus, tantum efficiant, ut tali felicitati nihil ab hoste,
nihil a peste, nihil ab ulla clade timeatur. Quis hanc Rempublicam sanus non dicam romano
Imperio, sed domui Sardanapali comparaverit
(1121)
? Leggete il capo intero, e vedrete come bene
abbia descritto sin dai suoi giorni la giacobinica indifferenza e libertà, che desiderano i moderni
Tollerantisti, e quanta forza aggiunga a quel poco ch'io ho saputo accennarvi nel luogo citato.
Io non vi ho detto cosa che voi non possiate scorgere o dedurre facilmente e da questa e da
varie altre testimonianze, che vi ho sinora trascritte. Sappiate per altro che troverete assai di più, se
avrete tempo di scorrere tutte l'Opere, che ha scritte contra i Donatisti a questo proposito. Leggete i
libri contra Parmeniano, Petiliano, Cresconio e Gaudenzo: scorrete le lettere dirette a Vincenzo, ai
Donati, a Marcellino, ad Olimpio, a Dulcizio, a Festo, ad Apringio ed a varj altri, e troverete ogni
più minuta prova del passato carteggio. Egli è che [503] riconosce la forza corporale coattiva in
quella verga, che S. Paolo e S. Giovanni mettono in mano dei Pastori cattolici: egli, che al
medesimo intento porta in più luoghi l'esempio di Gesù Cristo, che rimprovera i Farisei, flagella i
profanatori del Tempio, prostra ed accieca i Sauli persecutori, e di S. Pietro, che uccide Anania e
Zaffira, e di S. Paolo, che fa tormentare dal Demonio Alessandro ed Imeneo, accieca il mago, e
minaccia i più severi castighi a quelli di Corinto. Egli, che propone multe pecuniarie contra gli
(1114)
Nel testo: "cuicumque". (N. d. R.)
(1115)
Nel testo: "caeterum". (N. d. R.)
(1116)
Nel testo: "et". (N. d. R.)
(1117)
Nel testo: "tentaverit". (N. d. R.)
(1118)
Nel testo: "avertat". (N. d. R.)
(1119)
Nel testo: "avertat". (N. d. R.)
(1120)
Nel testo: "adipiscendi". (N. d. R.)
(1121)
lib. 2. cap. 20
293
Eretici, loda tutte le leggi promulgate contro di loro dai pietosi sovrani, ne promuove la
pubblicazione, e ne sostiene contra chi osa impugnarle l'equità e la forza: ed egli è finalmente, che
confessa essere stato questo fin dai suoi tempi, sì poco distanti da quelli del gran Costantino, il
sentimento della maggior parte dei Vescovi sapientissimi, che reggevano allora il divin Gregge, e
che nel Concilio di Cartagine avevano usate con lui tutte le più convenienti maniere per distorlo da
quei troppo miti pensieri, che rappresentavano alla sua immaginazione meno vantaggioso quel
metodo, che si praticava allora coi Donatisti.
Testimonianze sì chiare sarebbero più che bastanti per farci gloriare giustamente dall'autorità
di tanto maestro: ma a nostro maggior conforto ed a maggior confusione del Tollerantista Pavese vi
è di più, S. Agostino non ha solo rovesciati i principali fondamenti di quella tolleranza indiscreta,
ch'egli sostiene, e sono a tutti comuni, ma si è opposto anche a quelle particolari supposizioni, colle
quali egli con alcuni altri ha procurato di renderla meno difforme ed odiosa. Quelle pene spirituali,
che con tant'economia e riserva permette il Pavese che si possano usare talvolta contra gli increduli,
non bastano a S. Agostino, neppure se si trattasse di Eretici mansueti e pacifici; e non vuole, che lo
zelo dei sovrani e della Chiesa abbia bisogno dei disturbi della società per castigarli, e crede che la
sola offesa divina maestà lo autorizzi abbastanza. Si trovano, è vero, tutte queste riserve e cautele
nei libri di S. Agostino; ed in quelli specialmente contra Parmeniano e Petiliano si ha, che sebbene i
sagrilegj siano cose esecrabili, non tamen ad Imperatorum potestatem haec coercenda et punienda
pertinere; e che per nome di spada, colla quale vengono indicate talvolta nella Scrittura le pene
dovute agli empj, intelligitur vindicta spiritualis, quae excommunicationem operatur. Ma sapete
[504] chi è che parla così nei suoi libri? Sono i Donatisti: e sapete come ha accolte il gran Santo le
giudiziose loro riserve? non le chiama con altro nome, che di superstizione ed inezie. E quanto
all'interpretazione data alla spada, limitandola alla sola pena della scomunica, nonnulli, dice
(1122)
,
eorum sane ineptissimi hoc intelligere solent de honoribus ecclesiasticis dictum esse, ut gladius
intelligatur vindicta spiritualis, quae excommunicationem operatur, cum providentissimus
Apostolus consequenti contextione lectionis satis aperiat quid loquatur. Quanto all'autorità dei
sovrani esclusa da questi delitti, superstitio est, dice
(1123)
, quod erga ista curam Imperatoris
reprehendis, quam suscepit exequendam hujus Religio. E per non lasciare senza eccezione la stessa
distinzione di Eretico mansueto e pacifico, che prima del Pavese avevano già proposta a S.
Agostino i Donatisti, egli suppone primieramente, che il solo offendere Iddio e ribellarsi alla Chiesa
sia reità punibile dai sovrani fedeli; e nel libro contra Gaudenzo dice, che senza disordine si
puniscono le offese della divina maestà e della Chiesa: ea potestate temporali plectuntur, qui nolunt
ejus voluntati servire...
(1124)
; e che non senza ragionevol motivo ad suam curam judicant pertinere,
ne vos adversus eam (cioè la Chiesa) rebelletis impune. Nella lettera poi a Festo
(1125)
esclude
espressamente la necessità di quei disturbi della società, che il Pavese esige per giustificare i
castighi, dicendo che questi si usano con giustizia adversus eos, quos sola caligo haeretici erroris,
involverat, pro quo sacrilegio poenas dignissimas luerent, nec tamen ulla quemquam violenta
insania laedere auderent: e nega altrove, come è stato detto, che dar si possano Eretici mansueti e
pacifici.
Anche l'azione immediata, che può aver la Chiesa quando trattasi di pene medicinali e discrete,
e la particolare ingerenza, che ha in queste cause il Romano Pontefice, dimostrata da me con
invincibili argomenti nelle lettere 15. e 16. è una delle chiare istruzioni e delle massime, che si
trovano ripetute più spesso in S. Agostino contra gl'indocili Donatisti; e dopo aver [505] premesso
nel trattato sopra S. Gioanni
(1126)
, che Sara nel maltrattare Agar per ridurla ai suoi doveri è stata
figura della Chiesa, che castiga i cattivi Cristiani perchè si ravvedano, ha approvate nella lettera ad
(1122)
lib. 2. cont. Parmen. cap. 10. num. 16.
(1123)
lib. 2. cont. Gaudent. cap. 12.
(1124)
Cap. 35. num. 45., et cap. 34. num. 44.
(1125)
Epist. 89. al. 67. num. 2.
(1126)
Trac. 11. in Evangel. Joann. num. 13.
294
Apringio quelle flagellazioni e tormenti, che, com'egli altrove
(1127)
si esprime, etiam in judiciis
solent ab Episcopis adhiberi. E chi potrà mai pretendere ch'egli le abbia in qualche luogo
disapprovate, se non di altra podestà fornito che di quella, che accordava a lui il suo Vescovado
d'Ippona, si fece promotore e difensore delle multe pecuniarie e di altre pene più miti; ipsas leges
levissimae coercitionis adversus vos movemus
(1128)
? se di questa sola armato procurò che fosse
bandito dalla sua diocesi l'Eretico Vittorino? e se parlando della stessa pena di morte, sebbene
accordi che disdica all'ecclesiastica lenità e piacevolezza il volerla e cercarla direttamente, dichiara
però
(1129)
, che non ne risente alcun danno, se permette solo che venga eseguita dalla podestà
secolare: ab eorum interitu dissimulare possemus, qui non accusantibus nostris, sed illorum
notoria, ad quos tuendae publicae pacis vigilantia pertinebat, praesentati videantur examini: e
vuole
(1130)
, che un Vescovo abbia soddisfatto abbastanza alla paterna sua moderazione e dolcezza,
quando in questi casi d'inevitabile necessità non ha risparmiate le suppliche per impetrare il
perdono, ed ha usata ogni diligenza per ottenere la salute di quest'infelici: cum ergo ad talem
vindictam necessitas cogit, humilitas lugentium debet impetrare misericordiam, quam repellit
superbia saevientium; nec illius ipsius, qui de medio fratrum tollitur, debet negligi salus?
Quanto alla podestà del Romano Pontefice non è meno conforme all'indicato sistema. Ricorda
ai Donatisti, che nella Chiesa Romana vi fu sempre il Primato sopra tutte l'altre: in Romana
Ecclesia semper apostolicae Cathedrae viguit Principatus
(1131)
: protestasi
(1132)
, di essere stato
condotto a Cesarea dalla necessità di dover'ubbidire a Zosimo Vescovo [506] della Sede apostolica;
quo nosi injuncta nobis a venerabili Papa Zosimo apostolicae Sedis Episcopo ecclesiastica
necessitas traxit. Chiama altrove
(1133)
finita la causa dei Pelagiani dopo il rescritto del Papa; de hac
causa duo Concilia missa sunt ad Sedem apostolicam; inde etiam rescripta venerunt; causa firata
est. E parla anche più chiaramente al nostro proposito nei libro 2. dell'Opera imperfetta contra
Giuliano, dove
(1134)
lo rimprovera perchè cercava nuovi esami dopo il giudizio di Roma, e dice che
dopo la condanna della S. Sede altro più non resta a cercare che il forte braccio di potente sovrano,
che la protegga casticando i contraddittori ostinati: ergo haeresis ab Episcopis non adhuc
examinanda, sed coercenda est a potestatibus christianis. Tanto ebbe in pregio S. Agostino quelle
opinioni, che il Tollerantista Pavese nel capo 16. chiama scioccamente opiniones rudioribus
saeculis natas, quibus dominatio Curiae Romanae superextructa fuerat! E così approvò egli quello
spirito di ragionevole coazione, che in cattivo senso e non senza cattiva intenzione di screditare
questa lodevole pratica della S. Sede chiama il Pavese nello stesso capo spiritum illum
persecutionis, quo eadem Curia animata est, suosque animat adversus Haereticos.
Restava solo a pieno disinganno di tutti, ch'egli si facesse carico di quelle difficoltà che
propone il nostro avversario: e questo stesso non ha lasciato di fare da suo pari; nè dal Pavese è
stata indicata alcuna obbiezione, che prima di lui non sia stata proposta a S. Agostino dai Donatisti,
e non abbia egli sciolta con ogni forza e vigore. Perchè però lunga cosa sarebbe il volerle tutte qui
riportare minutamente; così stimo cosa necessaria il lasciar da parte quelle, che nelle passate lettere
troverete dissipate colle parole dello stesso Santo in ordine a varj testi della Scrittura, dei quali
abusavano anche i Donatisti per iscansare ogni coazione e castigo. Spiega egli in più luoghi la
parabola delle zizzanie, e dice che quella riserva, che ha voluto insinuare Gesù Cristo con questa
non ai soli Ecclesiastici, ma a tutti i Fedeli, non risguarda i soli delitti di Fede, ma tutti i delinquenti;
e dice che il solo pericolo di cagionare un. maggior danno può [507] giustificare la nostra inazione,
come io stesso ho detto nella lettera 10. Esclude nella lettera a Donato Prete
(1135)
quel rifugio, che
(1127)
Epist. 183. al. 159. ad Marcell. num. 2.
(1128)
Lib. de Unitat. Ecclesiae cont. Donatist. cap. 20. num. 55.
(1129)
Epist. 133. al. 159. num. 1.
(1130)
lib. 3. cont. Parmenian. cap. 1. num. 3.
(1131)
Ep. 162. al. 43.
(1132)
Ep. 190. al. 157. num, 1.
(1133)
Ser. 131. al. 2. de verb. Apostoli ad cap. 10.
(1134)
cap. 103.
(1135)
Epist. 173. al. 204. num. 10.
295
come i Tollerantisti moderni cercavano i Donatisti una volta nella libertà, che accordò Cristo agli
Apostoli, se, come i discepoli, risoluti si fossero di abbandonarlo; Numquid et vos vultis abire
(1136)
?
Spiega altrove tutte le altre testimonianze, che recano dalla Scrittura i Donatisti; e voi potete
rincontrare le sue risposte, addottate tutte da me nelle passate mie lettere. Siccome a tre capi riduce
il nuovo avversario le principali dimostrazioni della sua tolleranza indiscreta; così su queste, benchè
siano state toccate anch'esse a sufficienza, mi fermo qualche poco, perchè restiate vie meglio
persuaso, che nulla ha lasciato S. Agostino senz'efficace risposta, e che i Tollerantisti moderni dopo
tanti secoli non hanno saputo opporre altro, che quello ch'era stato inventato una volta dai Donatisti,
e sciolto in più luoghi dal medesimo S. Dottore. Vogliono costoro essere tollerati nei loro errori; 1.
perchè così porta la cristiana ed ecclesiastica lenità e dolcezza; 2. perchè così ci hanno insegnato col
loro esempio Gesù Cristo e gli Apostoli; 3. perchè così esige la natura di nostra Fede, che non è
vera e gradita, se non è volontaria, nè per altra strada dev'essere insinuata, che per quella
dell'istruzione e consiglio. Il primo argomento lo trovate ripetuto più volte in ogni capitolo del libro
pavese; il secondo lo accenna in più luoghi, e specialmente alla pagina 216., dove dice; che sebbene
gli Apostoli avessero ricevuta da Cristo la podestà anche straordinaria, nunquam eadem usi sunt ad
interimendos Haereticos et seductores; e più diffusamente in tutto l'ultimo capo: il terzo finalmente
alla pagina 203., dove dice della Chiesa, che nullum excipit, nisi credentem; nullus autem credit,
nisi volens; e nel suddetto ultimo capo, dove aggiungne, e colle sue solite ciance pretende di
sostenere, che jus gladii restringitur... a privata civium conscientia, quae vma ab humana potestate
non patitur. Tutto è stato proposto, e tutto è sembrato insussistente e ridicolo a S. Agostino.
L'argomento preso dalla cristiana mansuetudine e dolcezza pare che, come dei Tollerantisti
moderni, così sia stato una volta la delizia di Petiliano, che lo ha [508] ripetuto tante volte negli
eloquenti suoi scritti, che giunse quasi a stancare l'eroica sofferenza di sì gran Santo. Quest'è la
nenia, dic'egli
(1137)
, che senza sapere ciò che si dicano hanno in bocca con maggior frequenza:
emendateci con dolcezza: Hoc est quod isti non intelligentes inter calumnias suas solent habere
praecipuum: emendet me justus in misericordia, et arguat me. Ma che conto ne fece S. Agostino di
sì ripetuti clamori? Li disprezzò sempre costantemente, e coi più giusti rimproveri e colle più sode
risposte li mostrò in più luoghi insussistenti e ridicoli. Quaere, dice
(1138)
s
persecutionis vel causam
vel modum, et noli tanta imperitia generaliter malorum persecutores reprehendere. Tolta la causa
ingiusta ed il modo disordinato, egli crede giusta qualunque vendetta; e lo insegna in più luoghi, ma
con maggior'energia nel libro contra il medesimo Petiliano, ove dice, che tanto è lontana la cristiana
moderazione e dolcezza dal risentirne alcun danno, che anzi l'approva ed esige: et sì Reges,
dic'egli
(1139)
, vobis propterea damna, vel damnationem minantur, quia estis Haeretici, terrent vos
illi non crudeliter, sed
:
misericorditer; vos autem non fortiter, sed pertinaciter non timetis. E
scrivendo a Nettario
(1140)
dice, che il solo non cercare direttamente i più severi castighi, che usar
suole la podestà secolare, basta anche all'ecclesiastica piacevolezza, perchè in queste ferali
esecuzioni non ne risenta alcun danno: Severiore censura nemo plectatur neque a nobis, neque ab
alio ullo, intercedentibus nobis..... Veniam quoque non tantum nostris, verum et aliorum instamus
delictis mereri, quod impetrare nisi pro correctis omnino non possumus. Questo è che basta a lui,
perchè nelle capitali sentenze non soffra alcun danno la moderazione della Chiesa; e posto ciò,
approva l'equità della pena, e i mezzi suggerisce, onde può il tenerissimo cuore di questa dolcissima
Madre allegerire il rammarico delle sue perdite, riflettendo che tollerabilius longe pauciores
pertinacissimi vestri suis praecipitiis vel submersionibus vel ignibus pereunt, quam innumerabiles
populi, illis eorum [509] salutem impedientibus, incendio cum illis aeterni ignis ardebunt: così a
Gaudenzo
(1141)
. Avete altrove più chiare testimonianze del disprezzo, che S. Agostino ha sempre
(1136)
Joann. 6. ver. 68.
(1137)
lib. 3. cont. Parmen. cap. 2.
(1138)
lib. 2. cont. Petilian. cap. 39. num. 176.
(1139)
lib. eod. cap. 98. num. 226
(1140)
Epist. 91. al. 202. num. 7.
(1141)
lib. 1. cont. Gaudent. cap. 22. num. 25.
296
mostrato di queste meschine obbiezioni; ond'io, per non istancarvi inutilmente, passo al secondo
argomento riputato dal S. Dottore non meno stravagante e ridicolo.
Ecco com'egli se lo propone in bocca dei Donatisti nella lettera a Vincenzo
(1142)
: non invenitur
exemplum in evangelicis et apostolicis Literis, aliquid petitum a Regibus terrae pro Ecclesia contra
inimicos Ecclesiae. L'obbjezione è concepita ne' termini stessi, coi quali viene oggi proposta contra
i rigori che usa la Chiesa. Ma che risponde egli mai il S. Dottore? nient'altro che quanto abbiamo
risposto anche noi ai Tollerantisti moderni nella lettera 20.; e dice che altro era lo stato della Chiesa
sotto i principi idolatri, e persecutori, altro quello, cui doveva essere innalzata sotto i sovrani
cattolici. Allora quelli fremevano contro di lei; adesso sono pronti ed obbligati a proteggerla: onde
non deve recare alcuna meraviglia, se soffriva allora pazientemente le loro persecuzioni, e implora
adesso il loro ajuto, e permette e vuole che esercitino a suo scampo e difesa quell'incombenze, che
loro ha imposte la provvidenza divina, ed hanno essi incontrate nel santo battesimo: Quis negat non
inveniri? Sed nondum implebatur illa prophetia: Et nunc Reges intelligite: Erudimini qui judicatis
terram; servite Domino in timore. Allora imitavano, egli dice, i sovrani il Re Nabucco, che sforzava
i buoni ad adorar gl'Idoli, ed abbruciar faceva quelli, che non volevano ubbidirlo: adesso devono
questi imitare lo stesso Re, che umiliato decretò pene gravissime contra coloro, che lo
bestemmiavano: decrevit in regno suo, ut quicumque blasphemaret Deum, Sidrac, Misac, et
Abdenago paenis debitis subjaceret. Allora stendeva, come con Isaia scrive a Donato, la Chiesa
bambina profonde le sue radici nella cristiana umiltà; spiega adesso le gloriose divise di trionfatrice
sovrana: ond'è che se accordava allora ai discepoli la libertà di abbandonarlo qui in terra
impunemente, e li sgridava quando impazienti volevano vendicarsi, adesso [510] accorda alla
Chiesa ed agli Ecclesiastici, purchè non l'usino con animo invidioso ed ostile, ogni diritto ad
terrenarum potestatum jussa contra Schismaticos vel Haereticos vel impetranda vel exercenda,
come scrive a Vincenzo
(1143)
: e già aveva e poco prima e altrove indicati quei chiari segni, che Gesù
Cristo e gli Apostoli hanno dato della podestà, che la Chiesa protetta dai sovrani suoi figli avrebbe
esercitata in appresso. Anzi giustifica
(1144)
il ricorso che fa la Chiesa ai sovrani per difendersi dagli
Eretici coll'esempio di S. Paolo, che per difender se stesso da' suoi ingiusti persecutori si rivolse ai
Tribuni; e dice di più che mancò allora chi se ne lamentasse, ma dar si volle un'esempio sì illustre
per escludere le future ingiuste querele dei Donatisti, e dirò io, del nostro Pavese. Quadraginta
Judaei, ecco le sue parole, conjuraverant, ut interficerent eum (S. Paolo), quando fecit hoc Tribuno
innotescere, ut eorum insidias armato milite septus evaderet. Sed nondum erat qui ei diceret: quid
tibi est non cum Regibus, sed cum Tribunis armisque regalibus? non erat qui ei diceret: audes per
milites quaerere tuitionem, cum Dominus tuus per eos ductus sit ad passionem? Nondum erant ista
deliramenta, sed contra haec futura jam tunc illa parabantur exempla. Così si ride egli, è disprezza
le ciance del nostro. autore e dei Donatisti e dà indi le più sode risposte per confutarle.
Resterebbe ora a dileguarsi lo scrupolo preso dalla libertà, il quale non meno dell'autore Pavese
è stato una volta il più frequente rifugio dell'Eretico Donato, che, come riferisce S. Agostino
(1145)
,
non si stancava di ripetere, che voleva spropositare a suo modo, e rovinarsi a capriccio, se non
restasse rilevata abbastanza la mente di S. Agostino su questo punto nelle passate mie lettere:
siccome però nella risposta, ch'egli da a Petiliano
(1146)
, epiloga molte cose, che nel passato carteggio
io ho esposte colle sue stesse parole; così credo bene, diffusa com'è, di tutta trascriverla in questo
luogo intieramente. Ad Fidem quidem, così risond'egli all'accennato argomento, nullus est cogendus
[511] invitus; sed per severitatem, immo et per misericordiam Dei tribulationum flagellis solet
perfidia castigari. Numquid quia mores optimi libertate voluntatis eligutur, ideo mores pessimi non
legis integritate puniuntur? Sed tamen male vivendi ultrix disciplina praepostera est; nisi cum
praecedens bene vivendi doctrina contemnitur. Si quae igitur adversus vos leges constitutae sunt,
(1142)
Ep. 93. al. 48. cap. 3. num. 9.
(1143)
Ep. 93. al. 48. cap. 4. num. 12.
(1144)
lib. 2. cont. Litt. Petilian. cap. 91.
(1145)
Epist. 73. al. 204.
(1146)
lib. 2. cont. Petil. cap. 83. num. 184.
297
non eis bene facere cogimini, sed male facere prohibemini. Num bene facere nemo poteriti, nisi
elegerit, nisi amaverit, quod est in libera voluntate; timor autem poenarum, etsi nondum habet
delectationem bonae concientiae, saltem intra [claustra cogitationis coercet malam cupiditatem.
Passa quindi a giustificare, le leggi che i sovrani avevano promulgate contra i Donatisti, e le chiama
giuste, perch'essi erano empj e sagrileghi, ed i sovrani erano autorizzati da Dio a promulgarle: qui
tamen adversus vos leges constituerunt, quibus vestra comprimatur audacia, nonne hi, de quibus
dicit Apostolus, quia non sine causa gladium portant? Ministri enim Dei sunt, vindices in iram ei,
qui male agit. Tota igitur quaestio est, utrum vos non male agatis, quibus tanti schismatis
sacrilegium objicit orbis terrarum: cajus quaestionis discussione neglecta, superflua loquimini, et
cum vivatis ut latrones, mori vos jactatis ut martyres. Loda anch'egli la persuasione e consiglio, ma
non disapprova per questo la forza; anzi indicando quando e l'una e l'altra debbano aver luogo, e
sciogliendo acconciamente ciò che opponevano i Donatisti nella lettera a Bonifacio più volte citata,
la discorre così: Melius quidem esse quis dubitaverit ad Deum colendum homines doctrina duci,
quam poenae timore vel dolore compelli? Sed non quia isti meliores sunt, ideo illi, qui tales non
sunt, negligendi sunt; multis enim profuit prius timore vel dolore cogi, ut possint postea doceri, aut
quod jam verbis didicerunt, opere sectart. Proponunt quidem sententiam cjusdam saecularis
auctoris (Terentii in Adelph.) qui dixit, pudore & libertate liberos retinere satius esse credo, quam
metu (che disgrazia, che questo S. Padre non sia stato noto al Tollerantista Pavese!), ma della sua
autorità non fa alcun caso il S. Dottore, e seguita da suo pari a confutarlo così: hoc quidem verum
est; sed sicut meliores sunt, quos dirigit amor, ita plures sunt, quos corrigit timor; nam ut ipso
auctore ipsis respondeamus (oh poveri Tollerantisti, che non hanno dal loro [512] partito neppure i
Gentili!) apud illum etiam leguntur: tu nisi malo coactus recte facere nescis. Porro Scriptura divina
non solum servum, sed etiam filium indisciplinatum plagis coercendum dicit. Ed usa anche la carità
di rispondere agl'indicati clamori di Donato dicendo; noli ergo jam dicere, quod te asserere audio
dicentem, sic volo errare, sic volo perire. Melius enim nos hoc omnino non permittimus, quantum
possumus. Sono così chiare le espressioni di S. Agostino, che a ragione lo stesso Limborch
assicura
(1147)
, che luce meridiana clarius liquet, probasse Augustinum poenas legibus civilibus in
errantes constitutas. E quando io le considero attentamente, mi verrebbe il capriccio d'aggiugnere
alla questione di S. Agostino un'altra questione, e cercare, se il nostro autore, il quale vanta così
francamente che non possono gl'Intollerantisti gloriarsi dell'autorità di S. Agostino, lo abbia mai
letto, o avendolo letto, se lo abbia mai inteso a dovere, se non temessi di favorirlo troppo
attribuendo a semplice sbaglio i suoi spropositi, e non trovassi che cita in realtà qualche testo a suo
conto. Ma quai testi, Dio immortale! quai testi! Due soli ne porta nel capo 12., dove ciancia
diffusamente su questo punto, e si può dire che sono stati addotti a qualche proposito: uno in cui
dice, che i buoni Cattolici non hanno mai approvate, se pur sono succedute, le morti di alcuni
Donatisti fatte tumultuariamente con privata illegittima autorità; l'altro in cui prega Apringio a non
voler condannare alla morte alcuni Donatisti, che erano convinti di omicidio e vessazioni
incredibili. Ho detto a qualche proposito, poichè tutti gli altri che porta per provare che S. Agostino
ammette e loda o la lenità della Chiesa o la libertà della Fede, altro non sono che una conferma di
quei principj, che noi ammettiamo, e, come si è già detto, punto non giovano alla sua causa. Le
morti adunque date tumultuariamente e disapprovate da S. Agostino, e le preghiere interposte
sempre da lui e dalla Chiesa per salvare anche i più ostinati e ribaldi, sono quelle sole, che si
adducono con qualche apparente ragione? ma burla egli o vaneggia? o si è dimenticato, che niuno
tra gl'Intollerantisti cattolici avrebbe con S. Agostino per lecita altra coazione, che quella la quale si
fa per ordinatas potestates & ordinata judicia? e che col [513] medesimo Santo sostengono, che
giusta l'antica consuetudine indicata anche da S. Agostino non devono i Vescovi lasciar d'interporre
le loro preghiere a favore di ogni sorta di rei, anche quando è più giusta la pena; le quali se restano
vote di ogni effetto (adesso specialmente che la Chiesa è stata costretta dalla malignità e furore dei
nuovi Settarj di obbligare sotto severissime pene i Sovrani, perchè sull'esempio dei gloriosi loro
(1147)
lib. 1. cap. 6.
298
zelanti predecessori non trascurino l'indispensabile dovere di difenderla da nemici così insidiosi e
potenti anche colla pena di morte) non lascia però di rammentare la pratica degli antichi Pastori, e
scoprire lodevolmente quelle materne viscere amorose, che nudre per tutti, e vorrebbe pure stendere
anche agli Eretici ostinati, se lo permettesse il comun bene? Richiami alla memoria il vostro Pavese
i sentimenti già indicati e ripetuti tante volte da S. Agostino, e si penta di avere attribuite a lui con
tant'impudenza opinioni contrarie; e si contenti ch'io creda, che se non ha traveduto nel leggere S.
Agostino, trasportato dall'impegno in cui era di sostenere una tolleranza indiscreta, ha dovuto essere
meno sincero degli altri. E voi appoggiato ad una autorità così evidente e sicura fatevi largo fra le
nemiche schiere; e se trovate chi vesta bugiardamente le sue divise, come il Pavese, o chi la
disprezzi, come fa il Limborch, il quale ha la temerità di dire, che S. Agostino è stato tollerante
finchè ha dovuto combattere coi Manichei, dei quali aveva un tempo approvati gli errori, ma era poi
divenuto intollerante coi Donatisti; e come fa il Bartolotti, che nella sua esercitazione ha il coraggio
di scrivere, che S. Agostino è stato tollerante finchè ha avuto in mente i prepotenti Ariani, ed è poi
divenuto intollerante quando ha veduto di poter prevalere contro i Donatisti; non usate con costoro
altre armi, che quelle della derisione e disprezzo; che non merita l'onore di seria risposta chi non sa
combattere che con isciocchezze, e con ingiurie e menzogne. Se poi v'incontrate con chi fornito
d'altre ragioni ed argomenti voglia rinnovare con voi la stessa tenzone, fatevi coraggio, e combattete
da forte appogiato ai sodi principj di S. Agostino, che io vi ho sviluppati nel passato carteggio, chè
siete sicuro della vittoria, e non può la contesa aver'altro fine che quello ch'ebbero in Cartagine le
conferenze dei Cattolici coi Donatisti: Confutatos a Catholicis Donatistas omnium documentorum
manifestatione pronuncians. Manifesto fu dichiarato allora, a detta [514] di S. Agostino
(1148)
, da un
giudice imparziale il torto dei Donatisti, e trionfante la ragione dei cattolici. In non dissimil guisa
giudicherete voi adesso e quant'altri hanno senno in capo la causa che abbiamo trattata a favore del
tribunale della Fede. Tutto è conforme all'attaccamento che voi professate alla cattolica Religione,
alle prove invincibili che vi ho addotte ricavate in gran parte dalla S. Scrittura, dalla costante
tradizione di tutti i Padri, dall'unanime consenso di tutte le genti, e ciò che ci deve assicurar
maggiormente, dalla costante pratica ed approvazione della Chiesa. Inutili avete scoperte altresì
insussistenti e ridicole tutte le invenzioni, scuse e ragioni, che si sogliono addurre in contrario. Non
v'è chi possa prevalere contro di voi in un combattimento nel quale lo stesso Sant'Agostino vi ha
somministrate le armi di più fina tempra ed i più sodi ripari per assalire e difendervi valorosamente.
Ed ecco soddisfatto in tal modo le già fatte promesse, e dileguati del tutto que' dubbj importuni nei
quali vi aveva condotto un'inconsiderata lettura di libri cattivi, la quale è uscita a me di tanto
rammarico quant'è l'affetto e premura che nutro per. la degna vostra persona. Non crediate però che
il compimento del presente carteggio esser debba il termine de' vicendevoli nostri officj e
dell'amorevole nostra corrispondenza. Ella deve essere eterna: e siccome i novatori moderni non
cesseranno mai di somministrare nuovi argomenti onde occuparci utilmente, così non avrà mai
alcun termine il letterario nostro commercio. Ogni vostro cenno sarà considerato sempre da me per
un rigoroso comando, nè cesserò mai d'essere colla penna e col cuore ed in qualunque maniera vi
piacerà d'impiegare i miei scarsi talenti quale colla maggior tenerezza d'affetto mi dò il piacere di
protestarmi
Tutto Vostro
D. S.
(1148)
In breviculo collat. cum Donatist. in fine t. 7. edit. Lovanien.
299
INDICE ALFABETICO
DELLE COSE PIÙ NOTABILI
A
ABati Cistercensi. Delegati dal Papa contra gli
Albigesi. pag. 288.
Abbiura. Sempre esatta dalla Chiesa dai Sospetti
d'eresia e dai ravveduti. 233. e seg.
Agostiniani. Scrittori di quest'Ordine che hanno
impugnato con forza il giansenismo. 349.
Agostino; S. Ha proceduto formalmente contra
Vittorino reo di manicheismo, e contra altri
Manichei. 280. e seg. Ha riconosciuta la
pratica de' tormenti ne' giudizj criminali
pericolosa. Vedi Tormenti. Si cangia di
sentimento circa il modo di punire gli Eretici.
496. Vedi Bartolotti. Limborch. Approva i
rigori delle leggi contra i Donatisti. dalla 498.
alla 501. e contra tutti gli Eretici 511. e seg.
Non ammette la totale impunità degli Eretici
ignoranti. 498. e seg. Descrive i mali orribili,
che cagiona l'indifferentismo in materia di
Religione. 502. Non restringe la pena degli
Eretici a sole pene spirituali. 503.
e seg.
Approva le pene temporali che usa la Chiesa
contra gli Eretici. 505. Approva anche
l'abbandono degli Eretici al braccio secolare.
ivi. Sostiene il Primato del Papa e l'universale
ingerenza, che a lui compete in virtù del
Primato nelle cause di Fede. ivi e seg. Nega
che alla punizion degli Eretici si opponga la
cristiana ed ecclesiastica lenità. 508. Distingue
i tempi della Chiesa, e nega che la sua
sofferenza ne' tempi di persecuzioni convenga
a lei dopo la conversion de' sovrani. ivi.
Alberico. Inquisitore in Germania. 291.
Albigesi. Vedi Abati, Chiesa. Loro arti ed errori.
286. Danno motivo all'istituzione del tribunale
del S. Officio. 286. e seg.
Alcala, Duca d'. Sue difficoltà nel soggiogare i
Valdesi in Calabria. 461.
Alessandro VII. Condanna alcune proposizioni di
rilassati Casisti e Quietisti. 221. Disapprova
l'opinione che ammetteva l'ammonizione
segreta prima della denuncia degli Eretici. 419.
e seg.
Alvarez, Card. Gioanni. Uno dei promotori della
riforma del S. Officio in Italia. 309.
Andrea, Domenicano. Inquisitor di Cipro delegato
da Gregorio IX. 291.
Apollonio Tianeo. Quale opinione avesse della
morte. 153.
Arcadio ed Onorio, Imperatori. Stabiliscono pene
contra chi è consapevole di qualche congiura e
non la manifesta. 415.
Arch, Giovanna d'. Vedi Banchieri.
Ariani. Vedi Sinodo Niceno.
Ario. Vedi Atanasio. Patriarca d'Alessandria.
Aristotele. Vedi Tormenti.
Arnaldisti. Condannati dal Lateranense II. 277.
Articoli di Fede. Il fine che hanno alcuni nel
distinguere gli articoli fondamentali di Fede
dai non fondamentali è ingiurioso a Dio, alla
rivelazione ed alla Chiesa. 35.
Atanasio, S. Non disapprova il castigo degli Eretici.
150. Procura nel Concilio Niceno
dall'Imperatore l'esilio d'Ario. ivi.
Atenagora. Non disapprova nella Chiesa il castigo
degli Eretici. 148. e seg.
Aunoy, Contessa d'. Contraria al Sant'Officio. 7.
Ausenzio. Vedi Ilario.
Azioni cattive. Quando ereticali. 107.
B
B
Ajo, Michele. Vedi Pio V.
Banchi, Serafino Domenicano. Si crede ch'abbia
salvata la vita ad Enrico IV. quando fu
insidiata la prima volta da Pietro de la Barrere.
389.
Banchieri, Pietro Domenicano. Difende la fanciulla
Giovanna d'Arch. 386.
Bannes, Domenico. Dimostra la necessità de'
tormenti ne' giudizj criminali. 396.
Barbeirac, Giovanni. Impugnatore del S. Officio. 9.
Barleo, Gaspare. Contrario al S. Officio. 8. Sua
opinione circa l'origine del S. Officio. 292.
Bartolotti. Calunnia S. Agostino. 513.
Basilio, S. Persuade agl'Imperatori Carlo e Lotario
la convenienza di abolire il giuramento che si
dava ai sudditi di pagar le decime. 441.
Bayle, Pietro. Contrario al S. Officio. 9.
Beguardi. Cosa insegnavano. 220. Vedi Sinodo
Viennense
Belarmino, Card. Rimprovera Salviano
d'inesattezza. 491.
Benedetto XI. Benchè malcontento d'alcuni
Inquisitori protegge il tribunale del S. Officio,
ricolmandolo di nuovi favori. 328. Restituisce
300
la pace all'Europa. 386.
Benedetto XIII. Toglie nel suo Stato il costume di
dare nei tribunali il giuramento ai rei di dire la
verità. 441.
Benedetto XIV. Vedi Borde. Patentati. Non crede
conveniente che i Vescovi interpongano la loro
autorità nella questione, se possa o no chi è
obbligato a denunciare gli Eretici premettere la
correzione fraterna.. 420. Riserva a se
l'assoluzione dalla scomunica, che incorrono i
testimonj singolari falsi nelle cause di Fede.
464. Proibisce agli Inquisitori di ricevere regali
fuori di certi limiti. 477.
Beneficj. La ricchezza de' Beneficj ecclesiastici è
utile alla società civile. 56.
Beni temporali della Chiesa. Non cagionano
ipocriti. 93.
Beveregio, Guglielmo Protestante. Confessa che gli
affari di Fede appartengono alla sola podestà
ecclesiastica. 366. e seg.
Biasimo. Equivale alla lode de' buoni il biasimo de'
malvagi. 314.
Biorno II, Re di Svezia. Vedi Religione cattolica.
Boemero. Smentito dove nega alla Chiesa il diritto
di giudicare nelle cause di Fede. 275.
Bogomili. Abbruciati in Costantinopoli. 277.
Bolle. Spettanti al S. Officio dirette ai Domenicani.
291.
Bonaventura, S. Dimostra che le straordinarie
delegazioni de' Romani Pontefici: sono
decorose ai Vescovi. 375.
Bonifacio, Vescovo di Magonza. Delegato in
Germania dalla S. Sede per affari di Fede vi
esercita la sua incombenza per 36. anni sempre
in perfetta armonia coi Vescovi e sovrani. 377.
Bonifacio VIII. Dichiara che le delegazioni
straordinarie della S. Sede contra gli Eretici
non devono pregiudicare all'ordinaria autorità
de' Vescovi. 375.
Bononato. Pietà usatagli dal tribunale del S. Officio.
436.
Borde, P. de la. Suo libro condannato da Benedetto
XIV. 196.
Borri, Gius. Pietà usatagli dal S. Offic. 437.
Bruys, Pietro de. Condannato dal Lateranense II, ed
abbruciato. 277.
Burgos, Gio: Battista Agostiniano. Esorta con una
predica i PP. del Concilio di Trento ad usare
ogni diligenza per estirpar l'eresia, e viene
applaudito. 380.
C
CAlunnia. Più è atroce più s'insinua negli animi.
321.
Calvino. Sordo alle ammonizioni del Cardinal
Sadoleto. 62.
Candido, Egidio giansenista. Vilipende
temerariamente gli esaminatori del libro di
Giansenio. 337.
Cano, Melchiore Domenicano. Difende un'infelice,
che era vicino ad essere condannato come
Eretico formale. 387.
Caraffa, Card. Gio: Pietro. Uno dei promotori della
riforma del S. Officio in Italia. 309.
Carlo V. La sua interposizione è adoperata in vano
dal Romano Pontefice per la conversione di
Lutero. 62.
Carlo M. Vedi Religione cattolica. Approva un
canone che non ammette nessuna dipendenza
della Chiesa dalla podestà temporale. 439.
Casisti. Vedi Innocenzo XI.
Cassiodoro. Cosa dica d'Origene. 147.
Cattolici. Vedi Donatisti.
Cause di Fede. Vedi Religione.
Celestino, Papa. Spedisce Germano Vescovo
Antisiodorense contra gli Eretici della
Bretagna. 282.
Chiesa. In che consista l'incombenza che ha di
pascere il divin Gregge. 16. È interprete della
divina rivelazione. 31. e seg. Le sue
disposizioni perchè abbiano nel suo Ordine il
valore di pubblica legge non hanno bisogno
dell'approvazione delle podestà secolari. 33.
Non è soffribile la dipendenza della Chiesa
dalla podestà secolare neppure negli affari
disciplinari. 439. e seg. Tra tutte le società è la
più perfetta. 40. Usa varj mezzi per convertir
gli Albigesi. 61. e seg.. Quale autorità abbia la
Chiesa sugl'Infedeli che non hanno ricevuto il
battesimo. 115. 116. e seg. Quali mezzi usa per
dilatare il suo regno spirituale. 118. e seg. Ha
in suo potere tutti que' mezzi, che sono
necessarj alla sua conservazione. 173. e seg.
Nelle cause di Fede non appartiene solo alla
Chiesa il decidere in che consista l'errore,
come pensa Fr. Paolo Sarpi, ma ancora il
giudicare del fatto. 175. 176. e seg. Disapprova
molte procedure delle podestà temporali in
cause di Fede. 185. Le procedure delle podestà
temporali in cause di Fede, che sono state fatte
col consenso della Chiesa, non provano che a
lei non appartengano privativamente. ivi.
Chiesa. Le cose terrene non disdicono alla Chiesa,
benchè regno spirituale. 201. e seg. Vedi
Ottato. Quanto abbia fatto la Chiesa in difesa
delle podestà temporali. 221. e seg. Non può
riuscir d'aggravio alle podestà temporali. 223.
e seg. Devesi astenete dal decretare ed eseguire
pene di mutilazione e di morte. 232. Quando
abbia incominciato ad abbandonare al braccio
secolare gli Eretici. 265. Anche prima di
301
Costantino M. ha proceduto contra gli Eretici,
dalla 267. alla 271. Ha proceduto contra gli
Eretici in ogni tempo, ed ha sempre fatt'uso
contra i medesimi di pene temporali. dalla 180.
alla 183. e dalla 267. alla 273.
Ciacca, Inquisitore Domenicano. Scacciato da
Piacenza si ricovera in Pesaro. 341.
Cipriano, S. Come si debbano spiegare quelle sue
parole, dove dice che i Vescovi hanno in
solidum l'autorità nelle loro Diocesi. 260.
Cirillo Alessandrino, S. Suoi sentimenti verso il
Romano Pontefice. 251. e seg.
Clemente, Giacomo Domenicano. Il suo regicidio
non è dimostrato. 389.
Clemente, S. Scrive ai Corintj, e spedisce loro
Legati in difesa della Fede. 246.
Clemente V. Benchè malcontento d'alcuni
Inquisitoli, protegge il tribunale. del S. Officio.
328. Obbliga i Vescovi a procedere nelle cause
di Fede coll'assistenza dell'Inquisitore, dove
sussiste il S. Officio, e dichiara difettosi i
processi fatti senza il metodo del S. Officio
nelle medesime cause. 376.
Clemente X. Ascolta benignamente il ricorso di
alcuni carcerati in Lisbona dal S. Officio. 389.
Clemente XI. Condanna 101.
proposizioni di
Quesnello. 104.
Clemenza. In che consista. 212.
Clerch, Gio. Impugnatore del S. Officio. 9.
Coazione. Vedi Pene.
Comentatore della Bolla Licet ab initio di Paolo III.
Vedi Inquisitori. Disapprova che l'Inquisizione
sia amministrata dai Regolari. 335. Scaglia
molte calunnie contra i medesimi e contra il
tribunale della Fede. 336. 346. Sua incoerenza.
336. e seg. Pretende che i Regolari non
possano presiedere e comandare. 343. e seg.
Vedi Agostiniani. Domenicani. Paolo III.
Regolari.
Concilj. Vedi Sinodi. Molti Concilj hanno inculcato
ai Vescovi di usare ogni diligenza per iscoprire
gli Eretici, e di costringere i Fedeli a
denunciarli. 417.
Condanna delle persone. Si distingue da quella dei
libri. 15. e seg.
Condanna dopo morte. La proibizione degli encomj
e del culto delle persone morte, l'occultazione
delle loro ceneri e la privazione della sepoltura
ecclesiastica non suppongono sempre la
condanna delle persone morte e della loro
memoria. 166. e seg. Come si proceda nelle
condanne degli Eretici dopo morte, e contra
qual genere di Eretici abbiano luogo. 167. Il
principio legale mors omnia solvit non ha
luogo nelle condanne che si fanno dopo morte
per delitti molto importanti. 168. Esempi di
condanne dopo morte. 169.
Condizione. Non dalle persecuzioni, ma dai motivi
delle medesime deve calcolarsi la condizione
di chi vien perseguitato. 324.
Confessori. Non è stato loro imposto di palesare i
delitti di trame, cospirazioni e di sollicitazioni,
che hanno scoperti per mezzo della
confessione, come asserisce. Voltaire. 423.
Consultori del S. Officio. Loro principale
incombenza. 310. Uomini celebri, che hanno
occupato quest'impiego. 312.
Contratto. Vedi Rousseau.
Coqueo, Leonardo. Chiama il sentimento di quelli,
che disapprovano i tormenti ne' giudizj
criminali, contrario all'autorità dei SS. PP. 396.
Corrado di Marburg. Delegato dal Papa Inquisitore
per la Germania. 291.
Costantino Pagonato, Imperatore. Punisce i
Monoteliti. 275.
Crescenzio, Vescovo di Bitonto. Gli viene
addossata la carica d'Inquisitore. 353.
Crociate. Si giustificano le spedizioni delle
Crociate, ed altre militari intraprese contra
gl'Infedeli. 119. e seg.
Crudeltà. Deve distinguersi dal rigore. 384.
Cuccagni, Luigi. Difende i diritti della Chiesa sopra
tutte le cose ecclesiastiche. 482.
D
DEcani. Vedi Rettori.
Delegazione della S. Sede. Vedi Bonaventura.
Bonifacio VIII. Papa. Sede.
Delitto. Vedi Distinzione. Delitto di eresia. vedi
Eresia. Quando i delitti possano essere
tollerati. 113. e seg.
Delon. Contrario al S. Officio. 7.
Demonio. Perche fosse, ne' primi tempi della
Chiesa tanto facile a spaventare con sembianze
orribili i primi Padri. 407. Vedi Segni.
Denuncia degli Eretici. Non è utile al pubblico bene
che sia preceduta dall'ammonizione segreta.
420.
Devoti, Mons. Suoi favorevoli sentimenti verso il S.
Officio e i Regolari, che lo amministrano. 356.
e seg. 378. e seg.
Difesa giudiciale de' rei. Non tutti gli scrittori
ammettono la difesa de' rei in ogni delitto. 455.
Deve avere i suoi limiti. 456.
Dio. Sua indifferenza per ogni Religione da chi
inventata ed ammessa. 80. Assurdità di
quest'opinione. 82. e seg. Dio de' Cristiani
come rappresentato dagl'Idolatri. 322.
Diritto. Chi può giudicar del diritto può anche del
fatto. 177.
Distinzione. Tra gli articoli fondamentali di Fede e
302
non fondamentali. Vedi Articoli. Tra il senso
del libro e quello della condanna. Vedi Libri
cattivi. Pio VI. In che senso distinguano i
delitti dai peccati i SS. Padri. 38. Vedi
Donatisti. Distinzione tra la condanna degli
errori e quella delle persone. Vedi Libri cattivi.
Divinità. Offesa si deve vendicare dagli uomini. 71.
e seg. Deve essere vendicata appunto perchè
dev'essere onorata. 72. Vendicata anche dai
Gentili. 74. Dall'impossibilità dell'umana
Legislazione di dare condegna soddisfazione
alla divinità oltraggiata non si deve dedurre
l'assoluta impunità dell'Eretico. 91.
Domenicani. Calunniati da varj scrittori. 337. e seg.
Tacciati ingiustamente di giansenismo dal
comentatore della Bolla di Paolo III. 349.
Scrittori Domenicani, che hanno impugnato il
giansenismo, ivi. Domandano a Gregorio IX.
d'essere dimessi dall'impiego dell'Inquisizione
stanchi ed intimoriti dalle stragi che facevano
di loro gli Eretici. 350. Scrittori Domenini,
ch'hanno disapprovate le crudeltà commesse
dagl'ingordi soldati nell'Indie. 386.
Domenico, S. Creduto primo Inquisitore. 287.
Suddelegato dagli Abati Cistercensi contra gli
Albigesi. 288. Delegato immediatamente e
stabilmente dal Papa contra i medesimi. Ivi e
seg. Riceve l'abbjura di Ponzio Rugero. 289.
Accorda Indulgenze a Raimondo Guglielmo
d'Altaripa. ivi. Vedi Simone. Fu venerato
dovunque si portò. 300. Libera dalla morte
colla sua mediazione alcuni impenitenti, de'
quali aveva motivo di sperare il ravvedimento.
385.
Dominis, Marc'Antonio de. Impugnatore del S.
Officio. 6. 380. Descrive gli abusi che sono ne'
Prelati Anglicani. 66. Benchè Vescovo e
nemico del S. Officio non fa gran caso della
taccia data da alcuni a questo tribunale d'essere
pregiudicevole ai Vescovi. 380.
Donatisti. Incoerenti circa la tolleranza di
Religione. 5. Distinguevano i delitti dai
peccati, non ammettendo questi nessuna pena
umana. 37. Deludono le caritatevoli
ammonizioni de' Pastori cattolici. 61.
Abusavano delle parole di Gesù Cristo:
Numquid & vos abire vultis? 122. Privati della
comunion de' Fedeli, e puniti anche da varj
Imperatori. 274. Esito delle loro conferenze coi
Cattolici in Cartagine. 513 e seg.
Dottori. Vedi Padri.
Dunaan. Vedi Elesbaan.
E
ECclesiastici. Devono osservare la mansuetudine
con maggior'esattezza degli altri. 211. Quali
pene non si possano conciliare colla
mansuetudine degli Ecclesiastici. 218.
Editto del S. Officio. Suo fine. 415. Comandando ai
Fedeli di denunciare gli Eretici o Sospetti
d'eresia non si oppone alla legge del diritto
civile, che non vuole che nessuno si possa
costringere da essere attore o accusatore. 418.
Neppur si oppone all'ordine dato da S. Paolo a
Tito prima di scomunicare l'Eretico. 418. e
seg. Non è contrario al precetto di Gesù Cristo,
che comanda a tutti ì Fedeli la fraterna
correzione. dalla 419. alla 423. Differenza tra
l'antica e la presente pubblicazione dell'Editto.
425.
Eduardo, Re d'Inghilterra. Protegge una vergine
sacra rapita. 278.
Efrem Siro, S. Vedi Tormenti.
Eleonora, Regina d'Inghilterra. Suoi sentimenti
verso la S. Sede. 221. e seg.
Elesbaan, Re d'Etiopia. Punisce di morte l'apostata
Dunaan. 275.
Enno Siro. Mette in sollevazione la Sicilia col
pretesto di Religione. 461.
Epifanio, S. usa diligenza per iscoprire i gnostici.
282.
Erasmo. Rinfaccia ai Riformati i loro disordini. 66.
Vedi Facoltà di Parigi.
Eresia. Cosa sia. 26. Sue funeste conseguenze. 60.
64. e seg. Il delitto di eresia è punibile dalla
giustizia umana, perchè disturba la civile
società. 68 e seg. perchè disturba la religiosa
società de' Fedeli. 69. e seg. perchè oltraggia la
Divinità. 70. e seg. perchè lo esige ancora la
carità verso l'Eretico. 77. e seg.
Eretici. Vedi Infedeli. Chi debba dirsi Eretico. 26.
L'Eretico offende se stesso. 27. Offende la
rivelazione divina. 29., e seg. Offende la
Chiesa nel suo magistero. 31. e seg. Offende la
podestà di regime e governo, che alla Chiesa
compete. 32. Offende Dio nelle sue perfezioni.
34. e seg. Gli Eretici sono sempre pronti a
sedurre gli altri. 41. La viltà di condizione
degli Eretici o la loro ignoranza non impedisce
ch'abbiano seguaci. 42. e seg. e 430. Ancorchè
siano nauseanti e ridicoli i loro errori, hanno
talvolta favorevole incontro. 43. e seg. Vedi
Tommaso. Tentano di togliere alla Chiesa lo
stato di società. 45. Le stragi e le ribellioni
degli Eretici devono attribuirsi alla loro
malvagità, non all'impazienza de' Cattolici. 61.
62. e seg. Tutti gli Eretici sono turbolenti. 63. e
seg. e 110.
Eretici. Non è cessato in noi l'obbligo di punire gli
Eretici coll'antica alleanza, come pensano
alcuni. 73. 74. e 136. La carità richiede che
303
non si tralasci di castigare gli Eretici, perchè
ciò è un mezzo di convertirli. 77. e seg. Gli
Eretici sono ignoranti per lo più nelle cose di
Fede. 85. La loro ignoranza nelle cose di Fede
non li esenta dal meritato castigo. ivi. e seg.
L'infedeltà dell'Eretico è libera fisicamente, e
perciò punibile, 90. Vedi Pene. Pena di morte.
Eretici distrutti dal S. Officio. 318. e seg. Loro
premura singolare di ruinare il S. Officio da
che cagionata. 324. Come abbiano potuto
riuscirvi in qualche luogo. ivi. Vedi Agostino.
Esenzione. Vedi Immunità.
Eugenio, Papa. Vuole che tutti i Vescovi abbiano le
carceri. 276
Eunomiani. Vedi Grisostomo.
Eusebius captivus. Vedi Libri anonimi.
F
FAcoltà di Parigi. Censura la proposizione
d'Erasmo, che lascia in dubbio se i principi
possano uccidere gli Eretici. 157. e seg.
Censura l'altra proposizione d'Erasmo,
Veteribus Episcopis ultima pœna erat
anathema. 179. Giudica erronea, e secondo
qualche autore eretica, l'opinione, che non
ammette magie e stregonerie. 407.
Fatto. Vedi Diritto.
Federico, Re di Prussia. Vedi Impugnatori.
Felice, Vescovo d'Urgel. Condannato dal Sinodo
d'Aquisgrana. 276.
Ferdinando, Re di Castiglia. Promove la riforma del
S. Officio ne' suoi Stati. 305.
Ferdinando III., Imperatore. Come chiami la
Religione cattolica. 371.
Filone. Dimostra la giustizia delle leggi del vecchio
Testamento, che comandano la sollecita
punizione de' maghi. 401.
Fleury, Claudio. Impugnatore del S. Officio. 8. Sua
opinione circa l'origine del S. Officio. 293.
Calunnia l'Inquisizione dicendo che rende i
popoli ignoranti ed ipocriti. 308.
Francescani. Benignamente accolti e venerati in
ogni luogo sin dalla loro origine. 300. 302.
Due Inquisitori Francescani scacciati dalle loro
residenze si ricoverano ne' loro Conventi in
Toscana. 341.
G
GAetano, Card. Vedi Lutero. Come interpreti quel
passo del vecchio Testamento, dove si
stabilisce la morte contra gl'increduli. 154.
Galileo. Vedi S. Officio. Maccolani.
Gauchat. Sue inesatte espressioni circa il diritto di
punire gli Eretici. 177. 367.
Gelasio, Papa. Rimprovera ad Onorio Vescovo di
Dalmazia il suo poco rispetto verso la S. Sede.
246.
Gerarchia della Chiesa. Utile alle civili società. 56.
e seg.
Gerardo, Vescovo di Parigi. Impugna l'errore di
Giovanni Petit, che sosteneva il tirannicidio.
386.
Germano. Vedi Celestino.
Gersone. Ammette nella Chiesa la podestà d'infliger
pene temporali. 189. Ammette la
subordinazione de' Vescovi al Papa. 258.
Gesù Cristo. Cosa abbia voluto dire con quelle
parole, Numquid & vos abire vultis? 122. Fa
uso di pene temporali contra gli empj. 202. e
seg. Quelle sue parole, Regnum meum non est
de hoc mundo, come si debbano spiegare. 206.
Chi ne abbia abusato. 201. e seg. Perchè non
obbligò S. Pietro a deporre, ma bensì a riporre
nel fodero la spada, che aveva sguainata contra
i suoi assalitori. 215. e seg.
Giannone, Pietro. Disapprovatore del S. Officio. 9.
Attribuisce alla cura dei Romani Pontefici la
preservazione del regno di Napoli dall'eresia
d'Ario e Pelagio. 247. Suo errore circa l'origine
del S. Officio. 294. Vedi Inquisitori.
Disapprova nella Chiesa il procedere contra gli
Eretici per inquisizione. 428.
Giansenio, Vescovo d'Ipri. Suo elogio rimosso
giustamente dal suo sepolcro dal Vescovo
successore. 166.
Giansenisti. Perniciosi alle due podestà. 103. Loro
artificj nel pubblicare le loro massime. Ivi e
seg. Vedi Clemente XI. Pio VI. Loro
ostinazione, 105.
Si è negata ad alcuni di loro
giustamente la sepoltura ecclesiastica. 166.
Gilberto, Vescovo della Cava. Ultimo Inquisitore
delegato tra i Vescovi nel regno di Napoli.
353.
Giorgio di Sassonia. Rinfaccia a Lutero i disordini
della Riforma. 65.
Giovanni, B. da Vicenza Domenicano. Restituisce
la pace all'Italia. 386.
Giovanni IX. Usa indulgenza verso i Pagani
convertiti di nuovo alla Fede cattolica. 278.
Giovanni XXII. Vedi Marsilio. Benchè malcontento
di alcuni Inquisitori protegge ed arricchisce di
nuovi privilegi il tribunale del S. Officio. 328.
Gioviniano. Vedi Onorio.
Giovino. Fatto in pezzi da femine per azione
ereticale. 276.
Girolamo, S. Cosa dica di Lattanzio. 147.
Giudici. Quando debbano procedere contra i rei.
113. È forza che i giudici errino qualche volta.
329.
Giuliano Apostata, Imperatore. Richiama il primo a
se le cause di Religione. 175.
304
Giulio III. Istruzione che diede a Mons. Grassi
spedito da lui a Venezia per sistemarvi
l'Inquisizione. 369.
Giuramento. Fu in uso una volta presso tutti i
tribunali di dare ai rei il giuramento di dire la
verità ne' giudicj criminali. 441. Le ragioni di
abolire il giuramento dei rei negli altri tribunali
non reggono in quello del S. Officiò. 442. e
seg. Non ostante il giuramento che dà il reo,
non è obbligato di confessare il delitto prima di
essere interrogato legittimamente. 443.
Giurisdizione. Non si deve misurare dall'utilità, ma
dal fine, cui una Podestà. è diretta. 181. e seg.
Giurisdizione ecclesiastica. Il suo debilitamento
produce funesti effetti. 222. e seg.
Giustiniano Imperatore. Vuole che il giudizio de'
delitti ecclesiastici spetti ai Vescovi. 175.
Riconosce la suprema podestà del Papa per
tutta la Chiesa. 445. e seg. Ad insinuazione di.
Pelagio ed altri Pontefici promulga leggi
contra i Monoteliti. 275.
Giustiniano giuniore, Imperatore. Fa abbruciare i
Manichei. 276.
Giustino. Promulga leggi contra i Monoteliti. 275.
Fa tagliar la lingua al bestemmiatore Severo.
275.
Gnostici. Vedi Epifanio.
Godescalco, Monaco. Condannato dal Sinodo di
Chiersy. 276.
Gosmano, Gabriele Domenicano. Autore della pace
tra l'Impero e la Francia.. 386.
Granara, Inquisitore. Scacciato da Mantova si
ricovera in Ancona. 341.
Graziano, Imperatore. Vedi Orsi.
Gregorio Magno, S. Protesta alla Chiesa di Milano
e ad un Vescovo che l'autorità che a lui
compete nelle altrui diocesi non pregiudicherà
mai a nessuno. 375. Spedisce Legati a
Costantinopoli a trattar cause di Fede. 246. Sue
premure per frenar l'eresia. 275. Approva la
punizione degli Eretici. 150. e seg.
Gregorio IV. Protegge un Vescovo perseguitato, e
promette la sua assistenza a tutti gli altri
Vescovi. 375.
Gregorio IX. Sua più antica Bolla, che conferisce
l'officio dell'Inqusizione permanente ai
Domenicani. 290. Vedi Andrea. Incoraggisce i
Domenicani, che gli avevano cercata la
dimissione dall'impiego del S. Officio. 350. e
seg. Vedi Domenicani. Dichiara scomunicati
que' Fedeli, che non denunciano gli Eretici che
conoscono. 417. e seg.
Gregorio XV. Comanda giustamente che le streghe
e i maliardi siano abbandonati al braccio
secolare. 400. e seg.
Grisostomo, S. Gio: Procura il primo la pena di
morte contra chi dà ricovero agli Eunomiani e
Montanisti. 152. Procura la punizione de'
bestemmiatori. ivi.
Guasco, Canonico. Vedi Morardi.
Guglielmo d'Altaripa. Vedi Domenico.
H
HEnnuyer, Vescovo di Luxieux. Si oppone
coraggiosamente agli autori della strage di S.
Bartolomeo nella sua Diocesi. 386.
Hojeda, Domenicano. Scopre un'adunanza di
Giudaizzanti nelle Spagne. 305.
Hurtado, Tommaso. Chiama erroneo e temerario il
sentimento di quelli che disapprovano i
tormenti nei giudizj criminali. 396.
Hus, Giovanni. Disprezza le ammonizioni del
Sinodo di Costanza. 62.
I
IDolatri. Loro calunnie contra i primi Fedeli. 322.
Ignazio, S. Creduto uno dei promotori della riforma
del S. Officio in Italia. 309. Vedi Ory.
Ilario, S. Non disapprova il castigo degli Eretici,
105. Incoraggisce con prodigiosa apparizione
il Re Clodoveo a perseguitar gli Eretici. ivi.
Vitupera Costanzo Imperatore. Ivi. Le astuzie
d'Ausenzio Ariano lo fanno comparire un
calunniatore. 457.
Immunità ed esenzioni ecclesiastiche. Utili alle
civili società. 56.
Impugnatori del S. Officio. Sono per lo più
Protestanti, e perchè. 5. 320. e seg. Loro
produzioni confutate da varj scrittori. 323.
Possono dividersi in due classi. 5. Loro
discrepanze circa l'origine, propagazione e
decadenza del S. Officio. 11. e seg. Loro
incoerenze. 12. e seg. Loro ingiustizia,
confessata anche da Federico Re di Prussia, nel
rimproverare al tribunale della Fede la crudeltà
delle pene contra gli Eretici. 392.
Infedeli. Loro diverse condizioni. 114. Gl'Infedeli
puramente interni non si possono punire. 115.
Gl'Infedeli non battezzati come debbano essere
trattati dalla Chiesa. 115. e seg. Gl'Infedeli
battezzati ed allevati cattolicamente devono
essere puniti. 121. 127, e seg. Come trattar si
debbano gl'Infedeli battezzati ed allevati tra gli
Eretici. 123. e seg. Il numero degl'infedeli può
esser cagione che siano tollerati. 126. Vedi
Eretici.
Infedeltà. Delitto di lesa divina maestà nell'antica e
nella nuova alleanza. 136. e seg. Vedi Eresia.
Innocenzo III. Creduto primo istitutore del S.
Officio, 287.
Innocenzo IV. Loda la diligenza degl'Inquisitori.
305
387. Rinnova gli ordini del Concilio di
Narbona circa l'occultazione de' testimonj nel
S. Officio. 458.
Innocenzo VIII. Deputa in Germania di concerto
coll'Imperator Massimiliano Enrico Institore e
Giacomo Sprengero ad estirpar le streghe. 410.
Innocenzo XI. Condanna certe proposizioni di
alcuni Casisti e Quietisti. 221. Favorisce i
ricorsi di alcuni colpevoli carcerati in Lisbona
dal S. Officio. 389.
Inquisitori. Vedi Libertà della stampa. Istituiti da
Teodosio contra i Manichei. 279. Spediti da
Carlo Magno in Sassonia. ivi. Con quali nomi
si distinguevano i primi Inquisitori. 289. Come
pubblicavano ai Fedeli la loro delegazione. ivi.
I primi Inquisitori non erano solamente
concionatori, come pretendono Giannone ed il
comentatore della Bolla di Paolo III. 294. 295.
e seg. Gl'Inquisitori di Roma sono scelti tra i
Cardinali. 310. Uomini celebri, che hanno
occupata questa carica, 312. Gl'Inquisitori de'
paesi particolari sono subordinati
all'Inquisizione di Roma. 311. Uomini celebri
in quell'impiego. 313. 328. e seg. Quali
calunnie scagli contra gl'Inquisitori il
Riformatore d'Italia. 314. Inquisitori, che
scacciati dalle loro residenze trovano ricovero
in varj Conventi del loro Istituto. 341.
Inquisitori. Non hanno libertà di procedere contra i
sovrani. 368. Neppur possono procedere contra
i Vescovi. ivi. e 378. Qual parte debbano
eseguire coi Vescovi prima d'intraprendere il
loro ministero. 378. Non possono sempre agire
senza la presenza ed il consenso del Vescovo
rispettivo. 377. e seg. Se discordano col
Vescovo nella sentenza, qual ripiego si usi.
378. Dipendenze e leggi, che hanno sempre
avute gl'Inquisitori nell'imporre le multe. 473.
e seg. Non è possibile quella quantità di regali
fatti agl'Inquisitori, che narrano alcuni. 475. La
discreta quantità di regali, che è permesso di
ricevere agl'Inquisitori, non è riprensibile. 476.
e seg. Vedi Bened. XIV.
Inquisizione. È commendevole il procedere in
delitti gravissimi per inquisizione. 429.
Inquisizione in materia di Fede. Così detta dai
tempi antichissimi. 279. e seg. Vedi
Sant'Officio.
Inquisizione processata. Vedi Libri anonimi.
Institore, Enrico. Vedi Innocenzo VIII.
Itacio. Vedi Martino.
L
LAttanzio. Non disapprova nella Chiesa la coazion
temporale. 148. e seg.
Leggi. Le leggi civili de' Romani assoggettano a
pene gravissime coloro che sanno gli autori e
macchinatori dei ratti, parricidj e delitti di lesa
maestà, e non li manifestano. 416. Leggi
d'Egitto rigorose contra chi trovandosi presente
ad un'omicidio non si prendeva cura
d'impedirlo. 424. Leggi civili e canoniche
contra gli Eretici quante e da chi raccolte. 25. e
seg. Leggi civili, che comandano l'esecuzione
delle pene contra gli Eretici dopo i giudizj
ecclesiastici. 235. Vedi Chiesa.
Leone, S. Spedisce Legati contra gli Eretici. 283.
377. Suo riguardo per la podestà vescovile.
377.
Leone VII. Sua clemenza verso i rei di magia e
sortilegio, che sono stati maltrattati dai popoli.
409.
Leone X. Suo rescritto, che condanna i testimonj
falsi in cause di Fede all'abbandono al braccio
secolare. 463.
Liberi Muratori. Vedi Setta.
Libertà. Sorgente d'ogni nostro merito e demerito.
89. Si deve distinguere la libertà fisica dalla
morale. 90. L'uomo ha la libertà fisica di
credere o non credere le verità rivelate. ivi. La
libertà morale di credere o non credere le opere
di Fede non si può ammettere in nessun senso.
90. e seg.
Libertà della stampa. Perniciosa alla società. 23. e
seg. Non sono rimproverabili quegl'Inquisitori,
ch'hanno corretti gli errori ne' libri stampati o
in quelli che si volevano stampare. 24.
Libri anonimi.
- Commentarium in Bullam Pauli III. Licet ab
initio. Vedi Comentatore.
- Considerazioni sulle Lettere di Carlo III.
Contrario al S. Officio. 9.
- Eusebius captivus. Cosa contenga e quando
proibito. 6.
- Inquisizione processata. Quando proibito, e suoi
difetti. 7.
- Memorie per servire alla storia dell'Inquisizione.
Contrario al S. Officio. 9.
- Storia dell'Inquisizione &c. Opuscoli varj.
Contrarj al S. Officio. 9.
- Trattato delle leggi contra gli Eretici. Contrario
al S. Officio. 7.
Libri cattivi. Non si deve permettere dalla Chiesa il
loro spaccio. 17. Non fu permesso nell'antica
disciplina della Chiesa. ivi. Gl'Imperatori
cristiani ajutarono in questo le disposizioni
ecclesiastiche. ivi e seg. I libri cattivi di autori
cattolici non devono essere punto risparmiati.
18. Il contener qualche cosa di utile non deve
impedire la proibizione de' libri. Ivi. La
distinzione che fanno i Giansenisti tra il senso
306
del libro e quello della condanna è assurda. 19.
e seg. Più assurda di quella di Fr. Paolo tra la
condanna degli errori e quella delle persone.
176. Vedi Pio VI.
Limborch, Filippo a. Impugna il S. Officio in varie
sue Opere. 8. È disapprovato anche dai nemici
di questo tribunale. ivi. Calunnia S. Agostino.
513.
Locke, Giovanni. Impugnatore del S. Officio. 9.
Lode. A quali cose si debba per la sola intrapresa
anche prima della loro perfezione. 327.
Lucifero Calaritano. Disapprova le persecuzioni di
Costanzo Imperatore. 149. 156. Approva la
pena di morte contra gli Eretici. 156.
Luterani. Prima cagione della decadenza del S.
Officio. 320. e seg.
Lutero, Martino. Ricusa di convertirsi al Cardinal
Gaetano. 62. Nascosto in Abstad scrive nuovi
libri. 161. Un Domenicano Cremonese si move
tra i primi a procurare con dolcezza il suo
ravvedimento. 386.
M
MAbil. Inquisitore d'Avignone. Perseguitato si
ricovera in Rimino. 341. Suo zelo e coraggio
in difesa[del] tribunal della Fede. 345. e seg.
Maccolani. Commissario del S. Officio. Sua pietà
verso il Galileo. 387.
Maghi. Vedi Gregorio XV. Magia. S. Officio.
Puniti presso tutte le più colte nazioni. 402.
Loro delitti. 412. e seg.
Magia. È temerario il sentimento di coloro che
dubitano della verità della magia e de'
sortilegi, e de' loro perniciosi effetti. 401. e
seg. Vedi Facoltà. Fu esercitata ai tempi
dell'antica alleanza. 402. Sono più rari nella
nuova alleanza i perniciosi effetti della magia e
de' sortilegi, non vi mancano però del tutto.
403. e seg.
Male. Deve misurarsi la sua gravezza dalla qualità
del bene, cui si oppone. 27.
Maliardi. Vedi Maghi.
Malvagio. Non loda il giudice che lo condanna.
324.
Manichei. Esiliati da Simaco ed Ormisda. 275. Vedi
Giustiniano giuniore. Abbruciati in Orleans ed
in Italia. 277.
Mansuetudine. Vedi Ecclesiastici. Cosa sia. 212.
L'inopportuna mansuetudine diviene crudeltà.
398.
Marco, Suor Giulia di. Funeste conseguenze in
Napoli della pubblicazione del suo processo.
462.
Mario, Girolamo. Il primo tra quelli che hanno
impugnato il S. Officio. 6. Il suo libro
Tractatus de arte & modo Inquirendi
Hæreticos quando pubblicato e proibito. ivi.
Vedi Protestanti.
Marsilio di Padova. Cosa insegnava. 195. La Sua
dottrina è condannata da Giovanni XXII. 196.
Martelli, Mons. Disapprova nel Concilio di Trento i
privilegj dei Regolari, e vien disprezzato. 381.
Martino, S. Disapprova lo zelo imprudente d'Itacio,
che procurò presso di Massimo Imperatore la
morte di Priscilliano e compagni. 151.
Perseguita l'idolatria. ivi.
Masollier. Impugnatore del S. Officio. 9.
Massimiliano. Vedi Pelagio.
Massimo, Imperatore. Vedi Orsi.
Mendozza, Cardinal di. Uno degli autori della
riforma del S. Officio nelle Spagne. 305.
Mengotti, Francesco. Nega temerariamente esser
vere le stregonerie ed i sortilegj, contra i quali
è stato proceduto dai tribunali. 402. e seg.
Ministri della cattolica Religione. Vedi Religione
cattolica.
Misteri. Vedi Religione cattolica.
Molessis, Alessio di, Vescovo del Malabar. In un
suo Sinodo domanda che sia introdotto il
tribunale del S. Officio nella sua diocesi. 379.
Monoteisti, Vedi Costantino Pagonato. Giustiniano.
Giustino.
Montanisti. Vedi Grisostomo.
Morardi, P. Confutato dal Canonico Guasco dove
chiama i magistrati secolari Inquisitori nati
della Fede. 367.
Muratori, Ludovico. Attribuisce all'attività del S.
Officio il ritardo de' progressi de' Protestanti in
molte parti d'Europa, e la totale preservazione
dell'Italia. 382. Difende S. Agostino
rimproverato da alcuni autori. 497.
Muzzarelli, Conte. Come interpreti le espressioni di
alcuni Padri, che sembrano opporsi alla
coazion temporale in delitti di Fede. 146. Suoi
dubbj non plausibili circa l'utilità e integrità
del S. Officio. 315. e seg.
N
NIceforo, Patriarca. Stimola l'Imperatore Michele
Curopalata a stabilire la pena di morte contra
i Manichei. 157.
Nicolaiti, setta dei. Chi contribuì alla sua origine.
109.
Noodt, Gerardo. Impugnatore dell'intolleranza. 9.
Nuncio apostolico in Napoli. È fatto Inquisitore del
S. Officio. 353.
O
ODiosità. È maggiore in chi è più diligente negli
affari odiosi. 301.
307
Onorio, Imperatore. Punisce Gioviniano e i suoi
seguaci. 274. Vedi Arcadio.
Onorio, Vescovo di Dalmazia.. Vedi Gelasio.
Ordine. Vedi Giurisdizione. Podestà di
giurisdizione.
Ordine religioso di S. Domenico. Incontra favori
per tutto sin dalla sua istituzione. 300. e seg.
Vedi Domenicani.
Ordine religioso di S. Francesco. Vedi Francescani.
Ormisda. Vedi Manichei.
Orsi, Cardinale. A che attribuisca le felicità
temporali dell'Imperator Massimo, e le
disgrazie dell'Imperator Graziano. 151.
Ory, Matteo Domenicano. Sue premure per liberar
S. Ignazio da ingiuste vessazioni. 385.
Ottato Milevitano, S. Cosa abbia voluto dire con
quelle sue parole, Non respublica est in
Ecclesia, sed Ecclesia in respublica est. 207. e
seg.
P
PAdri, SS. Non hanno mai creduto che coll'antica
alleanza sia cessato in noi l'obbligo di
castigare gli Eretici. 73. In tre classi possono
dividersi que' SS. Padri, le espressioni dei
quali sembrano opporsi alle coazioni
temporali che usa la Chiesa contra gli Eretici.
145. Eccezione che si suol dare ad alcuni di
loro. 146. Loro Opere contra gli Eretici. 266.
Mostrano ai fedeli il loro dovere di
manifestare gli Eretici che conoscono. 416 e
seg. Vedi Agostino ed altri.
Paleario, Aonio. Vedi Pio V. Sua ostinazione
nell'errore. 332. e seg.
Paleologo, Giacomo. Pietà, usatagli dal S, Officio.
436.
Paolo III. Autore della riforma del S. Officio in
Italia. 309. e seg. La sua Bolla Licet ab initio
non disapprova che il S. Officio resti in mano
de' Regolari, come vuole il suo comentatore.
355. e seg. Vedi Comentatore.
Paolo V. Conferma la condanna del sentimento, che
sostiene esser lecito il tirannicidio, fatta dal
Sinodo di Costan
Z
a, 221. Ha sentimenti molto
favorevoli ai ministri dell'Inquisizione. 317.
Papa. Sua autorità e prerogative. 242. e seg.
Appartengono a lui le cause di Fede di tutto il
mondo cattolico. 243. 250. L'obbedienza
dovuta ai rispettivi Vescovi non sottrae i
Fedeli delle altrui diocesi dalla podestà del
Papa. 244. e seg. Origine della podestà
universale del Papa. 245. Questa podestà è
riconosciuta dall'Imperator Giustiniano. Vedi
Giustiniano. Esercitata dai Sommi Pontefici
nell'occorrenze. 246. Esercitata sempre con
somma moderazione e con gran vantaggio
altrui. 247. 375. Vedi Giannone. II Papa ha
diritto di contenere nell'unità della Fede tutti i
Fedeli del mondo cattolico coi suoi giudizj
dommatici. 250. Vedi Cirillo. È capo del
tribunale del S. Officio. 310. Le delegazioni
straordinarie, che fa nelle altrui diocesi per
affari di Fede, riescono vantaggiosa all'autorità
ordinaria de' Vescovi. 375. e seg. Vedi
Primato. Sede.
Paris, Diacono. Con ragione fu proibito il suo culto,
e furono occultate le sue ceneri. 166.
Passione. Accieca i lumi della mente. 358.
Patareni. Sono puniti. 277.
Patentati del S. Officio. Loro discreto numero, 359.
Sono necessarj al tribunale. 360. Mezzi, che
usa la S, Sede perchè i Patentati non riescano
d'aggravio a nessuno. 360. I Patentati del
Sant'Officio non sono mal veduti dai popoli.
361. Non sono pregiudicevoli ai governi ed ai
Vescovi. 362. e seg. I loro privilegi sono
limitati da una Bolla di Benedetto XIV. ivi.
Patriarca d'Alessandria. Procede formalmente
contra Ario e suoi fautori. 281.
Peccato. Vedi Distinzione.
Pelagio, Papa. Spedisce Legati a trattare le cause
contra gli scismatici Tracio e Massimiliano.
246. Vedi Giustiniano.
Pena di morte. Stabilita da Dio nel vecchio
Testamento contra gl'increduli e profanatori
del vero culto. 154. È stabilita anche nel
nuovo. 155. È difesa dai SS. PP. 156. e seg. La
ragione persuade giusta la pena di morte contra
gli Eretici. 158. e seg. Contra qual sorta
d'Eretici sia stabilita. 159. e seg. La pena di
morte decretata contra gli Eretici non è sempre
cagione di finti Credenti. 162. Non si dovrebbe
disapprovare ancorchè cagionasse qualche
ipocrita. ivi. La pena di morte è utile agli
Eretici medesimi che vi soggiacciono. 163.
Non toglie agli Eretici il potere di pentirsi.
164.
Pene. Ne' delitti particolari di Fede come si debbano
misurate. 130. Da chi giustificata ogni specie
di pena ne' delitti di Fede. 131. Quando la pena
sia utile. ivi. Necessarie contra gli Eretici. 133.
Sempre praticate. 134. Le pene moderate non
si oppongono alla carità cristiana. 145.
Pene spirituali. Sono di sola ispezione della Chiesa.
178.
Pene temporali, che usa la Chiesa contra gli Eretici.
Approvate dai SS. PP. dalla pag. 138. alla 141.
Usate sempre dalla Chiesa. Vedi Chiesa.
Supposto ancora che la Chiesa nel suo
principio non avesse usate pene temporali, non
si potrebbe quindi dedurre che non ha diritto
308
d'usarne. 184. S'arguisce nella Chiesa la
podestà d'infliger pene temporali in cause di
Fede dall'indole della Religione cattolica. 190.
e seg. Vedi Penitenze. Obbligo di ammettere
nella Chiesa la podestà di decretare pene
temporali. 196. Motivi, che persuadono
convenire alla Chiesa oltre il potere di
decretarle anche quello d'avere ministri proprj,
che le mettano in esecuzione, quando sono
medicinali e leggiere. 197. Il tacciare di crudeli
le pene temporali stabilite contra gli Eretici è
un rimproverare i migliori sovrani e i più
celebri giureconsulti insieme colla Chiesa.
390.
Penitenze. Furono in uso nella Chiesa anche prima
della conversione di Costantino le penitenze
sensibili e corporali. 191. e seg. 391.
Conformità di quelle penitenze colle pene
temporali, che usa adesso la Chiesa. 193.
Pericolo. Come si eviti il pericolo di estirpar nella
Chiesa il frumento insieme colla zizzania. 94.
Persecuzioni. Vedi Condizioni.
Petit, Giovanni. Vedi Gerardo. Pollet.
Pietro Martire, S. Domenicano. Riceve onori in vita
e dopo morte. 300. e seg.
Pio IV. Rinnova l'antica pratica abbandonata di
occultare i nomi de' testimonj nelle cause di
Fede. 459.
Pio V., S. Condanna gli errori di Michele Bajo. 103.
Sua clemenza verso Aonio Paleario. 333.
Perseguitato in Bergamo si ricovera in Como,
ed indi in Roma. 341. Sua clemenza verso
Sisto Senese. 386. Stabilisce che le sentenze
assolutorie del tribunale del S. Officio non
passino in rem judicatam, e perchè. 447. 448. e
seg. Sua Bolla in difesa de' testimoni scoperti a
caso dal denunciato al S. Officio. 459.
Pio VI. Vedi Sinodo Pistojese. Inculca ai Vescovi di
levare con ogni diligenza dalle mani dei Fedeli
i libri cattivi. 13. Censura la distinzione, che
fanno i Giansenisti, tra il senso del libro e
quello della condanna. 19. Avvisa
l'Arcivescovo di Cagliari del bisogno presente
di opporsi alle insidie degli Eretici. 110. Sue
premure per restituire la pace all'Europa. 222.
Conferma nella Chiesa la podestà sulla
disciplina esteriore, e condanna il sentimento
di chi pretende che le verità di Fede possano
essere oscurate sino a non obbligar più. 494.
Platone. Ammette la condanna dopo morte in certe
mancanze di Religione. 168.
Podestà. Non ripugnano, ma anzi sono vantaggiose
nel medesimo Stato le due podestà, spirituale e
temporale. 228. 229 e seg.
Podestà di giurisdizione. Non si deve confondere
con quella d'Ordine. 256. L'opinione, che fa
nascere ne' Vescovi la podestà di giurisdizione
da Dio per mezzo del Papa, è la più probabile.
ivi. Niuno di quelli, che hanno creduta la
giurisdizione vescovile proveniente
immediatamente dal Papa, l'ha mai creduta
d'istituzione puramente umana. 257.
Podestà del Papa. Vedi Papa.
Podestà temporale. Non è spettatrice indolente
dell'ecclesiastiche coazioni. 229. Deve
secondare le ecclesiastiche determinazioni
senza ricercare ed esaminare il protesto della
curia ecclesiastica. 233. e seg. Nell'eseguire le
pene di mutilazione e di morte contra gli
abbandonati dalla Chiesa al braccio secolare
esercita un suo officio, ed osserva le stesse sue
leggi. 234. e seg. Qual parte abbia nelle cause,
nelle quali la Chiesa abbandona i rei al suo
braccio. 236. L'esecuzione, che fa delle pene di
mutilazione e di morte nelle cause della
Chiesa, non pregiudica alla necessaria unità
della causa. 138. e seg.
Pollet, Giovanni Inquisitore Domenicano.
Condanna l'opinione di Giovanili Petit, che
difendeva il tirannicidio. 386.
Pontefice. Vedi Papa.
Ponzio Rugero. Vedi Domenico.
Predicazione evangelica. Suoi felici progressi. 120.
Primato del Papa; Utile alle società civili. 56. e seg.
Vedi Papa. È un domma di Fede definito nel
Concilio di Firenze. 242.
Principi cristiani; Come debbano dominare. 203. e
seg.
Priscilliano. Ammonito dai Sinodi di Saragozza e di
Bordeaux. 61.
Privilegj. Quando divengano irrevocabili, e come
diritti originarj. 194.
Processo criminale. Sue parti. 427. Vedi S. Officio..
Protestanti. Vedi Impugnatori. Loro incoerenza
circa la tolleranza. 5. Approvano i castighi
temporali contra gli Eretici 136. 142. Loro
sentimenti circa il diritto che hanno i Vescovi
d'infliger pene. 178. e seg. Pubblicano il libro
Trattato dell'arti e modo d'inquirere contra gli
Eretici pieno d'imposture contra il tribunale
del S. Officio. 321.
Punizione degli Eretici. Non accresce il numero dei
cattivi e finti Credenti. 93.
e seg. Vedi Pena di
morte.
Q
QUesnello. Vedi Clemente XI.
Quietisti. Vedi Innocenzo XI.
R
RAimondo Guglielmo d'Altaripa. Vedi Domenico.
309
Rebiba, Vescovo di Motula. Sostituito ai Regolari
nell'Inquisizione. 353.
Regolari. Vedi Agostiniani ed altri. Utili alle civili
società. 57. Loro più distinte prerogative. 338.
e seg. La loro professione di vita più ritirata e
perfetta li rende più atti dei Chierici secolari
all'amministrazione del tribunale del S.
Officio. 339. Lo stesso deve dirsi della loro
immediata dipendenza dal Romano Pontefice.
ivi. Anche il loro totale disimpegno dalle cure
terrene, e la moltiplicità de' stabilimenti dei
loro Istituti in varie parti del mondo li rendono
preferibili ai Preti secolari nell'impiego del S..
Officio 340. 341. e seg. I Regolari non sono
inabili a presiedere e comandare, come
pretende il comentatore. della Bolla Licet ab
initio di Paolo III. 343. e seg. A torto il
medesimo comentatore asserisce essere i
Regolari sforniti di quelle cognizioni e di
quella nobiltà, che serve al miglior disimpegno
del tribunal della Fede. 346. e seg. Lo stesso
metodo di vita e le stesse massime che hanno i
Regolari del medesimo Istituto non possono
essere un'ostacolo al miglior servigio del
tribunal della Fede, come pretende il suddetto
comentatore. 348.
Rei. Vedi Difesa.
Religione. Vedi Società civile. Tra tutte le Religioni
la cristiana è la più conveniente alle civili
società. 520 e seg.
Religione cattolica. Sua indole. 190. Giova alle
società civili più dell'altre Comunioni de'
Cristiani. 54. e seg. I riti e misteri della
cattolica Religione sono vantaggiosi alle
Società civili. 55. La moltiplicità de' suoi
ministri giova al ben pubblico. 56. Introdotta
ne' suoi Stati a pubblico vantaggio da Biorno
II. Re di Svezia, così consigliato da Carlo
Magno. 58. Si può dare un'ignoranza
invincibile delle verità della cattolica
Religione. 84. Vedi Eretici. Danni che riceve
la Religione cattolica dall'irreligioso operare e
pensare de' Fedeli. 109. Perche la Religione
cattolica reca sommi vantaggi alla civile
Società non perciò a questa spettano le cause
di Fede nè privativamente nè
cumulativamente, dalla 180 alla 186.
Repubblica. Vedi Ottato. Società civile.
Rettori. Ricercavano ai Decani delle parrocchie de
omni opere pravo per riferirne il risultato ai
Sinodi provinciali. 282.
Riforma del S. Officio. Vedi S. Officio.
Rigore. Vedi Crudeltà.
Riti. Vedi Religione cattolica.
Rivelazione divina. Cosa sia, e suoi effetti. 28.
Necessità che ha l'uomo della rivelazione. ivi.
e seg. Vedi Chiesa.
Roberto, Inquisitore. Tacciato ingiustamente di
crudeltà da alcuni. 388.
Rousseau, G. G. Assurdità del suo Contratto
sociale. 225. e seg.
Rugero, Ponzio. Vedi Domenico.
S
SAdoleto, Cardinale. Vedi Calvino.
Salviano. Vedi Belarmino.
Sant'Officio. Vedi Albigesi. Impugnatori. Nel
proibire i libri, che lo impugnano, procede
secondo le regole prescritte dai canoni. 20. e
seg. In queste cause il S. Officio in ultima
analisi non è giudice in causa propria. 22. Il S.
Officio sotto Innocenzo X. censura come
ereticale una proposizione, che negava che la
podestà del Papa si estendesse a tutte le cose
temporali, che influir possono al bene della
Fede. 195. L'origine del S. Officio sotto due
aspetti si può risguardare. 287. Discrepanze
d'autori circa l'origine del S. Officio. 288. 292.
e seg. Chi abbia parlato più esattamente della
sua origine. 292. Non può avere avuta origine
da un discorso di Nestorio coll'Imperator
Teodosio, come pensano Barleo e varj altri.
ivi. La sua origine non si deve attribuire a
politica dei Romani Pontefici, come hanno
detto alcuni. 293. Non può aver avuta origine
da un Concilio di Verona, come vuole il
Fleury. Vedi Giannone. Il S. Officio è assistito,
protetto ed arricchito di privilegi dai Sommi
Pontefici prima di Paolo III. 297. e seg. È
favorito da varj Concilj e sovrani. 298. I
contrasti, cui è stato soggetto in qualche luogo,
non provano che fosse odiato. 299. Appena
istituito è ricercato in molti paesi. 302.
Sant'Officio. Sue imperfezioni nella prima sua
forma. 304. Sua riforma nelle Spagne, ed
occasione della medesima. 305. Suoi
vantaggiosi effetti. 307. 382. Encomiata e
difesa da varj autori. 307. e seg. 382. Sua
riforma in Italia. 309. 310. e seg. Dove sussista
oggi il S. Officio. 318. Sue imprese di questo
secolo o poco prima. ivi. e seg. e di altri tempi.
319. Suo più florido stato. 320. Prima origine
della sua decadenza. Vedi Luterani. Dove sia
decaduto prima. 321. La sua decadenza
presente ridonda in sua lode. 324. Trattandosi
de' meriti o difetti del S. Officio non si deve
confondere il tribunale colle persone che lo
amministrano. 328. La sua perfezione e
integrità non deve valutarsi dalle cause
particolari, che ha trattate. 329 e seg. Le cause
particolari, che tratta il S. Officio, non possono
310
essere perfettamente note a tutti. 330. e seg.
Alcune procedure del S. Officio giustificate da
varj scrittori. 331. e seg. Motivi ch'ebbe il S.
Officio di agire contra il Galileo. 332. Il
tribunale è ingiustamente biasimato in quella
causa. ivi. La forma, in cui è stato ridotto nelle
Spagne, non è assolutamente preferibile a
quella che conserva altrove. 352. I progetti di
riforma del S. Officio in Napoli sono stati la
prima cagione della ruina totale del tribunale
in quel regno. 353. e seg. Mutazioni, alle quali
è stato soggetto nel regno di Napoli. 353.
Sant'Officio. Sue imprese a favor de' sovrani. 365. e
seg. Vedi Sovrani; La sua estinzione ed il suo
indebolimento e stato cagione in alcuni paesi
di ribellioni e tumulti, ed ha fatto moltiplicare
gli Eretici. 372. Il S. Officio non fa che si
diminuisca il commercio di quel paese dove
sussiste. ivi. Non rende più difficile la
conversion degli Eretici. 373. Fuor di
proposito si taccia il S. Officio di crudeltà
nell'usare i tormenti più gravi. 397. Si astiene
anche dal dare i tormenti più miti. 397. e seg.
445. e seg. Vedi Tormenti. Il S. Officio di
Spagna condanna l'errore di certi fanatici, che
disprezzavano l'autorità di S. Agostino. 496.
Cautele del S. Officio in tutte le cause, e
specialmente di quelle di streghe e maliardi.
406. 411. Il S. Officio di Roma non ha mai
fatto abbruciare nessuna strega. 410. Vedi
Streghe. Sua clemenza presente riguardo alla
pubblicazione dell'Editto maggiore dell'antica.
425. Vedi Editto. Osserva fedelmente tutte le
parti che deve avere ogni processo criminale.
427. 429. Cautele del S. Officio prima di
procedere ad atti irretrattabili. 430. e seg. Sue
diligenze nell'esaminare i rei. 432.
Sant'Officio: II privilegio che hanno dato i Romani
Pontefici al S. Officio di poter procedere
sommariamente nelle cause di Fede è
commendevole, e punto non nuoce ai rei. 432.
e seg. I rei nel S. Officio sono interrogati
anche in ispecie del loro delitto. 434. Il S.
Officio lascia libera ai rei la scelta
dell'avvocato difensore. 435. Sue premure
verso gli Eretici impenitenti. 435. e seg. Sue
cautele nelle cause degli Eretici morti. 437. La
preghiera, che fa il tribunale per salvare la vita
dei rei, non è riprovabile. ivi. È assurdo il
progetto di taluno d'introdurre per le cause del
S. Officio un tribunale straniero. 438. e seg.
Non pregiudica al reo nel tribunale del S.
Officio la confessione del proprio delitto. 442.
e seg. Giova ai rei la libertà, ch'hanno i giudici
del S. Officio, di mutare le pene dopo la
condanna. 450. e seg. Prudenza del S. Officio
nell'imporre il silenzio ai suoi ministri. 452. e
seg.. Non ommette l'opportuna pubblicazione
de' processi. 453. e seg. Ha manifestati per
qualche tempo i nomi dei testimoni in varie
maniere. 458. Perniciosi effetti di simile
manifestazione, e necessità di levarla. 459.
462. Sue cautele circa l'occultazione dei nomi
de' testimonj. Vedi Testinionj. Sua liberalità.
469. 478. Stato economico del tribunale del S.
Officio. 471. e seg. Origine delle loro rendite.
472. e seg.
Sarpi, Fr. Paolo. Impugnatore del S. Officio. 6. 381.
Scalandrone, Carlo. Pietà usatagli dal S. Officio.
450.
Scomunica. Non è pena sufficiente pel delitto
d'eresia, benchè molto proporzionata. 132.
Vedi Pene spirituali. Non è riprovabile l'uso di
scomunicare ipso facto. 421.
Secolari. Deputati dall'Imperatore in Manfredonia a
trattar materie di fede, vengono ricusati. 353.
Sede, S. Vedi Papa. Qual riguardo abbia avuto ai
sovrani nel sistemare il tribunale del S.
Officio. 368. Si è prestata per quanto è stato
possibile al loro genio e piacere. 369. Sua
clemenza verso Lorenzo Valla a riguardo del
Re di Napoli. 370. Anche prima dell'istituzione
del S. Officio ha spediti nelle altrui diocesi
ministri straordinarj, che vi esercitassero le sue
veci. 376. e seg. In quanta considerazione
abbia avuta l'autorità dei Vescovi nel sistemare
il S. Officio. 378.
Segni esteriori. Giovano a scoprire gli Eretici. 101.
Come possano allettare i Demonj a secondare
gli altrui desiderj. 405.
Sentenze assolutorie. Non passano in rem judicatam
nel tribunale del S. Officio. 448. Vedi Pio V.
Necessità di questa pratica. Ivi. Essa non è
pregiudicevole ai rei assoluti. 449.
Seripando. Sostiene nel Concilio di Trento i
privilegi dei Regolari, e viene applaudito. 381.
Setta de' Liberi Muratori. Perniciosa agli Stati. 102.
Sua pretesa origine. 109.
Severo. Vedi Giustino.
Simaco. Vedi Manichei.
Simone di Monfort. Abbruciava gli Eretici
abbandonati da S. Domenico. 289.
Sinodi.
- D'Ancira. Comanda la punizione de' maghi e
sortilegi. 412.
- D'Aquisgrana. Vedi Felice.
- Di Bordeaux. Vedi Priscilliano.
- Calcedonense. Dichiara degno di morte chi si
scosta dai sentimenti della Chiesa 156.
- Di Chiesy. Vedi Godescalco.
- Costantinopolitano. Vedi Teodoro.
- Costanziense. Condanna il sentimento di quelli
311
che sostenevano esser lecito il tirannicidio.
221. Condanna quella proposizione di
Wicleffo, in cui negava alla Chiesa la potestà
d'abbandonare al braccio secolare. 196. 233.
Vedi Hus.
- Di Firenze. Vedi Primato.
- Lateranense II. Vedi Arnaldisti. Bruys.
- Lateranense IV. Proibisce ai Laici di procedere
ne' delitti di Fede. 174.
- Di Narbona. Ordina che si occultino i nomi dei
testimoni nelle cause del S. Officio. 458.
Vedi Innoc. IV. Urbano IV.
- Niceno. Scomunica gli Ariani. 274. Vedi
Atanasio.
- Di Parigi. Approva ed inculca la punizione de'
maghi e sortilegi. 412.
- Di Pistoja. Libro contenente i suoi Atti
condannato da Pio VI. 105. 172. 196.
- Di Saragozza. Vedi Priscilliano.
- Di Tolosa. Stabilisce il metodo da usarsi nel
procedere contra gli Eretici. 291.
- Di Trento. Sua premura per la conservazione del
Tribunal della Fede. 380. e seg. Vedi Burgos.
Martelli. Seripando.
- Viennense. Condanna l'errore de' Beguardi. 220.
Corregge alcuni difetti del S. Officio. 320.
Siricio, Papa. Spedisce a Milano Legati per
procedere contra i Manichei. 282.
Sisto IV. Approva la riforma del S. Officio nelle
Spagne. 306.
Sisto Senese. Vedi Pio V.
Smidelino, Giacom'Andrea. Confessa la
scostumatezza de' Luterani. 66.
Società civile. Donde nasca. 212. Suoi pregj. 48.
Non può sussistere senza Religione. 49. La
pluralità delle Religioni pregiudica alle civili
società. 50. e seg. La tranquillità delle
cattoliche società non è invidiabile. 59.
Società sagra.. Vedi Chiesa. Eretici.
Sorbona. Per commissione del Papa esorta invano
Calvino a convertirsi. 62.
Sortilegj. Vedi Magia.
Sospetti d'eresia. Vedi Segni. Siccome in varie
maniere mancano al loro dovere, così in varie
maniere si devono punire e correggere. 108.
Danni che cagionano alla Religione. 109. Si
devono punire con riserva per isfugire il
pericolo d'un'ingiusta oppressione. 106. 111.
Sovrani. Molti sovrani hanno desiderato ne' loro
Stati e protetto il tribunale del S. Officio. 370.
e seg.
Sprengero, Giacomo. Vedi Innocenzo VIII.
Streghe. Non sono tante quante si raccontano le
streghe condannate dal S. Officio. 408. e seg.
Per qualche tempo sono state condannate dai
tribunali laici. ivi. Alcune sono state uccise
tumultuariamente dai popoli. 409. Loro delitti.
412. e seg. Vedi Gregorio XV. Magia.
Sant'Officio. Stregonerie.
Stregonerie. Non sono sempre parto della fantasia
feminile alterata. 405. Vedi Facoltà
T
TArquinio Prisco. Condanna i suicidi dopo morte.
169.
Teodoro di Mopsuestia. Condannato dopo morte nel
Concilio Costantinopolitano non senza
contese. 168. e seg. Donde nascessero le dette
contese. 170. Ragioni, che opponevano i
protettori di Teodoro per impedirne la
condanna. ivi. Sono dimostrate insussistenti.
171.
Teodosio, Imperatore. Esaudisce le suppliche dei
Fedeli perseguitati nella Persia stimolato dal
Vescovo di Costantinopoli. 273.
Tertulliano. Non disapprova nella Chiesa ogni
coazion temporale. 147. e seg. Vedi Trajano.
Testamento. Gl'increduli sono condannati a morte
nel Testamento vecchio. 154. ed anche nel
nuovo. 155. Il vecchio Testamento comanda
che siano manifestati gli Eretici da chi li
conosce. 416.
Testimonj. È necessario in qualche caso di
ammettere nel S. Officio i testimonj singolari.
431. Cautele del tribunale perchè non
pregiudichi ai rei questa pratica. ivi. Non
pregiudica ai rei l'essere ammessi nel tribunale
del S. Officio i testimonj di vile condizione o
infami. 430. Necessità di ammettere simili
testimonj nelle cause di Fede. 429. e seg.
Necessità di occultare i nomi dei testimoni
nelle cause di Fede, 457. e seg. 465. e seg. Col
tener'occulti i nomi dei testimonj nelle cause di
Fede non si fa un torto ai sovrani, com'ha
pensato taluno. 461. Neppure si può temere, un
qualche pregiudizio ai rei da questa pratica.
463. 464. e seg. La manifestazione de' nomi de'
testimonj è renduta superflua nei processi del
Sant'Officio dalle cautele che egli usa. 456. e
seg. I nomi dei testimonj nelle cause di Fede si
occulterebbero giustamente ancorchè potesse
la loro manifestazione giovare a qualche
inquisito. 465. e seg. Il S. Officio manifesta i
nomi dei testimonj quando la causa
assolutamente lo esige. 466. Esempj di
pubblicazioni dei nomi de' testimonj in cause
di Fede. 466. e seg.
Tolleranza. Vedi Donatisti. Protestanti.
Trautmansdorf.
Tommaso d'Aquino, S. Riconosce nei Fedeli
l'obbligo di obbedire al Pontefice non meno
312
che ai rispettivi Pastori. 244. Paragona gli
Eretici ai monetarj falsi. 44. Non ammette
l'ammonizione segreta prima della denuncia
degli Eretici. 421. Insegna che l'ordine
sovrannaturale presuppone l'ordine della
natura. 201. e che quello ha qualche
somiglianza con questo. 174.
Tormenti. Sono stati praticati ai tempi di Giobbe.
392. Usati dalle più colte nazioni. ivi. 393.
446. Approvati dal diritto civile romano. 393.
La pratica dei tormenti è riconosciuta
imperfetta, pericolosa e da servirsene per
un'estremo rimedio da tutti i criminalisti, ed
anche da S. Agostino, Aristotele ed Ulpiano.
ivi Sono necessarj e vantaggiosi in qualche
caso a parere anche dei migliori Dottori e dello
stesso S. Agostino. 394. È vano il timore
d'alcuni che si confonda per mezzo dei
tormenti il colpevole coll'innocente. 394. e seg.
Cautele che si usano nei tribunali nel darli.
395. Effetti vantaggiosi dei tormenti nella
persona di S. Efrem Siro. 395. Scrittori, che
hanno trattato accuratamente dei tormenti. 396.
Vedi S. Officio. L'abbandonar l'uso dei
tormenti invece di giovare nuoce ai rei. 399.
Necessità di dare i tormenti agli Eretici per
iscoprire la loro interna credenza. 444. e seg.
Tracio. Vedi Pelagio.
Trajano, Imperatore. Sua legge intorno ai Cristiani
dichiarata iniqua da Tertulliano. 428.
Trattato delle leggi contra gli Eretici. Vedi Libri
anonimi.
Trautmansdorf, Taddeo de. Errori del libro
stampato in Pavia sotto questo nome in difesa
della tolleranza. 481. e seg. Sue contraddizioni.
Dalla 485. alla 488. Vi si fa abuso dell'autorità
dei Ss. Padri dalla 490. alla 493.
Treseno, Olrado, Podestà di Milano. Per aver
perseguitati gli Eretici è onorato dal Senato
coll'erezione di una sua statua. 364.
Tribunale. L'integrità e perfezione di un tribunale
donde debba valutarsi. 330. La moltiplicità dei
tribunali riesce vantaggiosa agli Stati. 362. I
tribunali utili, che hanno qualche
imperfezione, devono essere riformati, non
distrutti. 400. Non è soffribile in nessun caso la
dipendenza del tribunale ecclesiastico dal
secolare. 438. e seg.
Tribunale del S. Officio. Vedi Sant'Officio.
Turrecremata, Tommaso Domenicano. Uno degli
autori della riforma del S. Officio nelle
Spagne. 305. e seg. Accusato ingiustamente di
crudeltà. 387.
U
ULpiano. Vedi Tormenti.
Urbano IV. Rinnova gli ordini del Concilio di
Narbona circa l'occultazione dei nomi de'
testimonj nelle cause di Fede. 458.
V
Valdesi. vedi Alcalà.
Valentiniano, Imperatore. Qual risposta avesse da
un Cavalier romano, che fu da lui interrogato
sulla morte che aveva fatto soffrire ad Ezio suo
Capitano. 371. e seg.
Valla, Lorenzo. Vedi Sede.
Vescovi. I Vescovi, che ricusano la dovuta
soggezione al Papa, pregiudicano a loro stessi.
248. e seg. 261. e seg. Protetti dalla S. Sede
anche nella condanna del libro contenente gli
Atti del Sinodo di Pistoja. 262. Loro primigenj
ed originarj diritti. 258. e seg. Con quali nomi
siano stati distinti. 261. Vedi Bonifacio VIII.
Gregorio IV. Assistono alle cause del S.
Officio. 377. e seg. Loro premure presso la S.
Sede perchè fosse introdotto nelle loro diocesi
il S. Officio. 379.
Vilgardo. Punito di morte in Ravenna. 278.
Vittorino. Vedi Agostino.
Voltaire. Impugnatore del S. Officio. 10. Vedi
Confessori.
W
WIcleffo. Vedi Sinodo Costanziense
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