Chiesa erano state sgomberate, come Desiderio voleva far credere in Francia. Il papa, quando
partirono, mandò in loro compagnia una nuova ambasciata, per fare un ultimo tentativo con
Desiderio; il quale, non potendo più ingannar nessuno, disse che non voleva render nulla (xxi). Con
questa risposta i Franchi se ne tornarono a Carlo, il quale svernava in Thionville; dove gli si
presentò pure Pietro, il legato d'Adriano (xxii).
Circa quel tempo, dovette il re de' Franchi ricevere una men nobile ambasciata, inviatagli
segretamente da alcuni tra' principali longobardi, per invitarlo a scendere in Italia, e ad impadronirsi
del regno, promettendogli di dargli in mano Desiderio o le sue ricchezze (xxiii).
Carlo radunò il campo di maggio, o, come lo chiamano alcuni annalisti, il sinodo, in Ginevra; e la
guerra vi fu decisa (xxiv). S'avviò quindi con l'esercito alle Chiuse d'Italia. Erano queste una linea
di mura, di bastite e di torri, verso lo sbocco di Val di Susa, al luogo che serba ancora il nome di
Chiusa. Desiderio le aveva ristaurate e accresciute (xxv); e accorse col suo esercito a difenderle. I
Franchi di Carlo vi trovarono molto maggior resistenza, che quelli di Pipino (xxvi). Il monaco della
Novalesa, citato or ora, racconta che Adelchi, robusto, come valoroso, e avvezzo a portare in
battaglia una mazza di ferro, gli appostava dalle Chiuse, e piombando loro addosso all'improvviso,
co' suoi, percoteva a destra e a sinistra, e ne faceva gran macello (xxvii). Carlo, disperando di
superare le Chiuse, né sospettando che ci fosse altra strada per isboccare in Italia, aveva già stabilito
di ritornarsene (xxviii), quando arrivò al campo de' Franchi un diacono, chiamato Martino, spedito
da Leone, arcivescovo di Ravenna; e insegnò a Carlo il passo per scendere in Italia. Questo Martino
fu poi uno de' successori di Leone su quella sede (xxix).
Mandò Carlo per luoghi scoscesi una parte scelta dell'esercito, la quale riuscì alle spalle de'
Longobardi, e gli assalì; questi, sorpresi dalla parte dove non avevano pensato a guardarsi, e
essendo tra loro de' traditori, si dispersero. Carlo entrò allora col resto de' suoi nelle Chiuse
abbandonate (xxx). Desiderio, con parte di quelli che gli eran rimasti fedeli, corse a chiudersi in
Pavia; Adelchi in Verona, dove condusse Gerberga co' figliuoli (xxxi). Molti degli altri Longobardi
sbandati ritornarono alle loro città: di queste alcune s'arresero a Carlo, altre si chiusero e si misero
in difesa. Tra quest'ultime fu Brescia, di cui era duca il nipote di Desiderio, Poto, che, con
inflessione leggiera, e conforme alle variazioni usate nello scrivere i nomi germanici, è in questa
tragedia nominato Baudo. Questo, con Answaldo suo fratello, vescovo della stessa città, si mise alla
testa di molti nobili, e resistette a Ismondo conte, mandato da Carlo a soggiogare quella città. Più
tardi, il popolo, atterrito dalle crudeltà che Ismondo esercitava contro i resistenti che gli venivano
nelle mani, costrinse i due fratelli ad arrendersi (xxxii).
Carlo mise l'assedio a Pavia, fece venire al campo la nuova sua moglie, Ildegarde; e vedendo che
quella città non si sarebbe arresa così presto, andò, con vescovi, conti e soldati, a Roma, per visitare
i limini apostolici e Adriano, dal quale fu accolto come un figlio liberatore (xxxiii). L'assedio di
Pavia durò parte dell'anno 773 e del seguente: non credo che si possa fissar più precisamente il
tempo, senza incontrar contradizioni tra i cronisti, e questioni inutili al caso nostro, e forse
insolubili. Ritornato Carlo al campo sotto Pavia, i Longobardi, stanchi dall'assedio, gli apriron le
porte (xxxiv). Desiderio, consegnato da' suoi Fedeli al nemico (xxxv) fu condotto prigioniero in
Francia, e confinato nel monastero di Corbie, dove visse santamente il resto de' suoi giorni (xxxvi).
I Longobardi accorsero da tutte le parti a sottomettersi (xxxvii), e a riconoscer Carlo per loro re.
Non si sa bene quando si presentasse sotto Verona: al suo avvicinarsi, Gerberga gli andò incontro
coi figli, e si mise nelle sue mani. Adelchi abbandonò Verona, che s'arrese; e di là si rifugiò a
Costantinopoli, dove, accolto onorevolmente, si fermò: dopo vari anni, ottenne il comando d'alcune