Scritti editi e inediti Goffredo Mameli
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gno a tutti quei giovani cui un eccelso pensatore e un eccelso capitano avevano ridata la coscien-
za di un nervo nel braccio. Tu hai raccolta, o Bertani, la miglior parte di Goffredo; tu che hai le-
nite con fraterna cura le sue ultime angosce: tu che hai pietosamente composti i suoi occhi al
lungo sonno della morte. E fu quello, o Bertani, il primo tuo atto di cittadino genovese; e alla tua
pietà, o gentile Lombardo, doveva venire, sul tuo cadavere ancor tiepido, una parola riconoscente
da Genova.
»Bei morti!.... Io non so, signori, come sia che a me tocchi sempre, in quest'aula, ufficio
di lacrime. Non me ne dolgo, perché mi date di piangere lacrime sacre. Non le piangeva il colle-
gio degli Augustali, quando tributava onori divini ai mostri della tirannide. Bene possiamo pian-
gerle noi, levando nel cielo della memoria uomini che ebbero nobilissimi l'intelletto ed il cuore, e
l'uno e l'altro votarono con austero sacrificio alla patria. Benedette lacrime! Vorrei che fossero
strali, e pungessero l'età nostra infiacchita.
»Giovani, il metro è malinconico. E come potrebbe essere altrimenti? Qui si esalta, ed e-
saltando si paragona. Ma si ama ancora. Onore a voi, al collegio dei vostri professori, ai buoni
cittadini che v'hanno preceduti, negli studi a decoro, e nelle armi in difesa della patria, come An-
gelo Graffagni, di cui è bel dono a voi, e bel pensiero per Genova, il busto di Goffredo Mameli.
Onore a voi tutti, che fate di questa Università un'Accademia greca, un santuario della nazione,
dove i simulacri dei grandi s'accolgono a consesso, e morti ispirano i vivi. In nome di Goffredo
io vi ringrazio, di veder qui Garibaldi; in nome di Goffredo io vi domando l'effigie di Giuseppe
Mazzini. Non vecchio apparisca egli qui, né uomo maturo; qui almeno, qui meglio che altrove,
vorrei vederlo giovine, come taluno rammenterà di averlo veduto in quest'aula; tu primo, o vene-
rando maestro a tutti noi, maestro nella scienza del giure e nell'amore di libertà, o Cesare Cabel-
la. Non so come il pensiero non sia ancor balenato alla mente di uno scultore: Mazzini giovine,
che medita la nuova Italia, e n'ha il fantasma negli occhi. Perché, veramente, è dell'arte il saper
cogliere nella vita degli uomini sommi questi momenti, questi motivi iniziali. Annibale fanciullo
afferra un'aquila e la strozza. È vero il fatto? Certo, se è vero, noi vediamo già qui un simbolo
delle sue fiere speranze. Ma erano dodici, le aquile di Romolo, ed io penso che Goffredo Mameli
le vedesse ancor tutte riprendere il volo nel cielo fiammante del Lazio, per dare alla nuova Italia,
sognata da Giuseppe Mazzini, altri dodici secoli di gloria. Li avremo? Sí, se i giovani ascoltano
le voci dei grandi; sí, se usciti di qui, dove ha parlato l'affetto in nota di dolore, vorranno racco-
gliersi in sé medesimi e fare per la patria loro il giuramento di Annibale: esser uomini, uomini, e
degni dei grandi fati di Roma.
»Intanto, o signori, o cittadini, o fratelli, io vi dirò: Qui, dove egli ha studiato e pensato,
date un busto a Mazzini, come lo avete dato a Garibaldi. Goffredo, il cantore, discepolo dell'uno,
soldato dell'altro, vuol essere in mezzo a quei due amori della sua vita, qui sempre, nel marmo,
come un giorno negli ardori della pugna, tra il duce e il maestro, tra il guerriero e l'apostolo».
Finito il discorso, avrebbe amato soggiungere alcune parole sue un amico dell'oratore e
fratello di Goffredo, il compianto Nicola Mameli
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; ma la lunghezza della doppia. cerimonia, e
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Morí il 20 Gennaio 1901, essendo per temporanea dimora a Genova, ospite in casa dell'avv. Claudio
Carcassi, che insieme colla veneranda madre, Anna Carcassi-Chiodo, e col maggior fratello avv. Ugo Carcassi, con-
tinuava a lui la calda amicizia del padre suo, Giuseppe Carcassi, l'insigne giureconsulto e patriota, indimenticabile a
quanti ebbero la ventura di conoscerlo. Nicola Mameli era nato in Genova il 10 Gennaio 1837. Adolescente si era
dedicato agli studi filosofici, seguendo il consiglio di Ausonio Franchi, che ne aveva riconosciuto il forte e promet-
tente ingegno; ma de' suoi studi non pubblicò altro che un breve saggio, importante, a dir vero, Della Nozione spe-
rimentale del Caso. Ritiratasi la madre in una sua villa a Voltri, andò egli a vivere presso di lei colla moglie (una
marchesa Flores d'Arcais, d'Alghero); e di Voltri fu consigliere e sindaco, e per Voltri anche deputato al Parlamento
Nazionale. Giovine, aveva dato il braccio alle guerre patrie; capitano nel 1860, combattendo al Volturno; poi tenente
nell'Italia centrale sotto gli ordini del Fanti; con pari grado nel 1866 sotto gli ordini di Garibaldi e nel primo reggi-
mento Volontarii, ferito a Montesuello, ricusò di abbandonare il campo, e meritò la medaglia al valore. Notevole il
caso, che nel 1860 egli ebbe comune col fratello Goffredo nel 1849, di cominciar da capitano e proseguir da tenente.
«Carriera inversa» diceva egli, sorridendo; e del resto, contento di fare il debito suo di buon cittadino in ogni occa-
sione che gli si offrisse, non badava molto agli onori quando venivano a lui, né agli uffici quando non gli erano rin-