Download PDF
ads:
Rivoluzione e lotta quotidiana
Malatesta, Errico
TITOLO: Rivoluzione e lotta quotidiana
AUTORE: Malatesta, Errico
TRADUTTORE:
CURATORE: Cerrito, Gino
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: "Rivoluzione e lotta quotidiana",
di Errico Malatesta;
scritti scelti a cura di Gino Cerrito;
Classici del pensiero anarchico, 4;
Edizioni Antistato;
Torino, 1982
CODICE ISBN: 88-85060-24-2
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 gennaio 2006
INDICE DI AFFIDABILITA':
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Informazione non disponibile
REVISIONE:
Paolo Alberti, [email protected]
ads:
Livros Grátis
http://www.livrosgratis.com.br
Milhares de livros grátis para download.
RIVOLUZIONE
E LOTTA
QUOTIDIANA
di
Errico Malatesta
Scritti scelti
1. Il periodo della maturazione ideologica
1. CONSIDERAZIONI SULLA STORIA DEL MOVIMENTO ANARCHICO IN ITALIA
a. Il socialismo in Italia1
(...) Quando Bakunin venne in Italia, una profonda crisi travagliava il paese, e specialmente
quella parte eletta del paese che partecipava alla vita politica non per basso egoismo di avventurieri
ed arrivisti, ma per ragioni ideali ed amore sincero di bene generale.
Il nuovo regno dei Savoia, cui aveva messo capo la lotta per lindipendenza dItalia, non
rispondeva punto alle aspirazioni di coloro che prima e meglio di tutti avevano promosso e
sostenuto il movimento.
Per lunghi decenni schiere di generosi avevano combattuto con insuperato eroismo per liberare
lItalia dalla tirannide dellAustria, del papa, dei Borboni e degli altri principotti che se ne dividevano
il territorio. Era il fiore della gioventù italiana che, colle cospirazioni, gli attentati, le insurrezioni,
affrontava il martirio; e continuamente decimata dai massacri, dalle galere, dai patiboli, si
rinsanguava sempre con nuovi altrettanto eroici combattenti.
Le idealità che animavano quegli uomini appaiono, a noi venuti dopo, insufficienti, vaghe,
mistiche, spesso contraddittorie, ma erano certamente nobili, disinteressate, umanitarie.
In generale essi volevano lItalia libera dallo straniero e dai tiranni indigeni, libera dal dominio
dei preti e costituita in repubblica unitaria o federale; e per repubblica intendevano un "governo di
popolo" che assicurasse a tutti libertà, giustizia, benessere e istituzione.
ads:
In conseguenza delle tradizioni classiche e poi per la predicazione di Giuseppe Mazzini, essi
avevano bensì lassurda pretesa che lItalia fosse superiore a tutti gli altri paesi e predestinata (da
Dio, e dalla Natura, e dalla Storia) ad essere maestra e guida di tutta l'umanità. Ma il loro mistico
patriottismo era lungi dal significare desiderio di dominio sugli altri popoli. Al contrario, essi
affrettavano coi voti e collopera l'emancipazione e la grandezza del popolo italiano anche perchè
potesse compiere la sua missione civilizzatrice ed aiutare a liberarsi tutti i popoli oppressi: a prova
il fatto che i patrioti italiani accorrevano a combattere e versare il loro sangue in qualunque parte
del mondo dove sorgeva un grido di libertà.
Ma malgrado tanto eroismo e tanta nobiltà di propositi la causa italiana sembrò per lungo tempo
una causa disperata e trovava appoggio solo tra i "sognatori" assetati dideale e alieni da ogni mira di
vantaggio personale. La gente "pratica", egoista e pusillanime, subiva pazientemente loppressione e
per calcolo acclamava i più forti; ed i peggiori si mettevano al servizio degli oppressori quali birri e
carnefici. La gran massa, misera, ignorante, superstiziosa, restava come sempre materia passiva,
strumento docile ma infido di chi poteva e sapeva servirsene.
Poi, quando per la costanza ed il crescere dei ribelli, e per fortunate circostanze politiche
europee i servi di Casa Savoia trovarono opportuno di sfruttare le aspirazioni nazionali per la
sicurezza e l'ingrandimento del regno sardo-piemontese, agli apostoli ed agli eroi si
frammischiarono i trafficanti ed i profittatori, e lintrigo diplomatico sopraffece lo slancio
rivoluzionario.
E così, tra i patteggiamenti ed i mercati segreti, le alleanze tra monarchi, le guerre regie
cominciate con dubbia fede e vergognosamente stroncate per ragioni dinastiche, le dedizioni dei
condottieri popolari, le illusioni degli ingenui ed il tradimento dei furbi, si arrivò alla costituzione di
un regno italico che era la parodia, la negazione dellItalia libera e grande sognata dai precursori.
Non si era raggiunta nè lunità nè vera indipendenza.
LAustria, padrona sempre della Venezia, restava minacciosa al di qua dellAlpi, e lItalia
sembrava vivere solo per la protezione interessata e prepotente dellimperatore dei francesi. Il Papa
continuava a tiranneggiare Roma ed il Lazio, pronto sempre a chiamare lo straniero in suo soccorso.
Il diritto della nazione a governarsi da sè ridotto alla concessione di una Camera dei deputati eletta
da un piccolo numero di censiti e tenuta a freno dalla potestà suprema del re, nonchè da un Senato
di nomina regia. Negata ogni autonomia di regioni e comuni, e tutta lItalia sottoposta allegemonia
delle caste burocratica e militaresca del Piemonte. Le libertà cittadine sempre a discrezione della
polizia. Le condizioni economiche della massa (proletariato e piccola borghesia) a cui si erano fatte
tante promesse, generalmente peggiorate ed in certe regioni rese addirittura miserabili per laumento
delle imposte sulla produzione e sui consumi. Quindi malcontento generale; e quando il
malcontento scoppiava in tumultuose proteste collettive, la forza pubblica ristabiliva lordine con
quei massacri di folle inermi, che restarono sempre una caratteristica del sistema di governo della
monarchia italiana.
Naturalmente sorsero in abbondanza i patrioti dellindomani che vollero prender parte al bottino,
senza essere stati alla battaglia; ed anche molti dei vecchi combattenti, per motivi vari, onorevoli o
meno, si adattarono al nuovo regime e cercarono di profittarne. Ma i più sinceri, i più ardenti e con
essi i nuovi giovani che per ragioni di età non avevano potuto prender parte alla riscossa nazionale,
ma navevano respirata latmosfera piena di entusiasmo e volevano emulare i loro maggiori,
rodevano il freno ed anelavano il momento di ricominciare la rivoluzione e di completarla.
Ma cosa fare?
I più influenti, i capi, esitavano tra il desiderio di abbattere la monarchia e la paura di
compromettere quel tanto di unità e di indipendenza che si era raggiunto. La gran maggioranza dei
repubblicani devoti a Mazzini, pur predicando la repubblica, mettevano al disopra di tutto lunità
della patria, e nonostante lavversione al sistema monarchico erano sempre pronti a mettersi agli
ordini del re quando egli li avesse chiamati a compiere il programma nazionale. Ed in quanto ai
garibaldini, più di tutti ardimentosi e battaglieri ma, al pari del loro duce, senza idee chiare e
programma determinato, salvo lodio ai preti ed al dominio straniero, la monarchia poteva sempre a
sua posta fermarli o trascinarli, come e più dei mazziniani, col solo darsi laria di voler fare la guerra
allAustria o al papa.
In realtà non si faceva nulla contro il regime, e forse date le circostanze era possibile fare
qualche cosa defficace; ma fra le aspirazioni contraddittorie persisteva, vivo, insofferente,
tormentoso il desiderio di fare.
Daltra parte un nuovo fermento didee agitava le mani...
Vi erano stati bensì dei pensatori poderosi e precursori geniali capaci di reggere il confronto con
qualunque straniero, ma essi erano restati senza grande influenza o totalmente ignorati, come per
esempio il Pisacane, tanto che occorse scoprirli dopo, quando già le loro idee erano per altre vie
divenute patrimonio comune.
Ma ora, dopo la costituzione del regno, con una certa libertà di stampa, con la maggiore facilità
di muoversi e stabilire delle relazioni e per lo stesso sprone delle disillusioni patite, la gioventù
incominciava ad informarsi ed interessarsi delle idee che agitavano lEuropa. Già il concetto
dellItalia nazione-messia appariva a molti fantastico ed assurdo ed era sostituito da una più
realistica concezione della storia e dei rapporti tra i popoli. La credenza in Dio e nel soprannaturale,
tanto cara a Mazzini, era buttata in breccia dal nuovo indirizzo delle scienze naturali introdotto nelle
università italiane per opera principalmente di valenti professori stranieri. Lidea di patria e tutte le
istituzioni sociali - proprietà, organizzazione statale, famiglia, diritto civile e penale - erano discusse
e criticate con nuova larghezza di vedute. La questione sociale, la questione dei ricchi e dei poveri,
incominciava ad attirare lattenzione e pareva già destinata a svalorizzare e mettere in oblìo le
questioni di nazionalità.
Mazzini e Garibaldi continuavano ad essere idolatrati dalla gioventù più avanzata, che avrebbe
voluto averli come capi guide, ma trovava sempre più difficile il seguirli. Poichè Mazzini di fronte
allirrompere delle nuove tendenze sirrigidiva nel suo dogmatismo teologico-politico e scomunicava
chi non credeva in Dio; e Garibaldi, il quale voleva persuadere se stesso e gli altri di stare sempre
alla testa del progresso, diceva e disdiceva ed in fondo non capiva nulla.
Da ciò il disagio morale ed intellettuale, che aggiunto allincertezza ed allimpotenza politiche
teneva agitata e scontenta la migliore gioventù italiana.
In tale condizione degli spiriti un uomo come Bakunin, con la fama di grande rivoluzionario
europeo che laccompagnava, con la sua ricchezza e modernità didee, con la sua foga e la forza
avvincente della sua personalità, non poteva non fare forte impressione su coloro che lo
avvicinavano. Ma non poteva creare un movimento a larga base, veramente popolare, causa dei
pregiudizi patriottici e borghesi dellambiente e per il fatto che molti, malgrado la mutata coscienza,
si sentivano ancora legati da giuramenti prestati alla vecchia setta; al che bisogna aggiungere le
difficoltà che gli venivano dallessere straniero, poco pratico della lingua italiana e soggetto sempre
ad essere espulso dalla polizia.
Ed infatti egli riuscì subito ad interessare degli uomini di valore, che credettero a prima giunta
di trovare nelle sue idee la soluzione dei dubbi che li tormentavano, ma non potette far presa sulle
masse. Daltronde il pensiero di Bakunin era allora in continua evoluzione, e se egli, spinto dal suo
temperamento e dalla logica delle sue premesse, arrivò presto a conclusioni nettamente socialiste ed
anarchiche, molti dei suoi primi aderenti non potettero seguirlo e man mano si ritrassero, sostituiti
però sempre da nuovi più idonei elementi.2
Dal 1864 al 1870, Bakunin, colla propaganda personale in Italia, colla corrispondenza dalla
Svizzera, coi viaggi fatti o fatti fare e con le pubblicazioni proprie o da lui ispirate, arrivò a
selezionare un certo numero duomini che, organizzati intorno a lui in circoli più o meno segreti,
presero contatto con il movimento socialista internazionale, introdussero in Italia il socialismo e
lanarchismo e vi fondarono la branca italiana dell'Associazione Internazionale Italiana dei
Lavoratori, di cui continuarono ad essere gli animatori durante tutta la sua esistenza.
Ma insomma fino alla prima metà del 1870 tutto si riduceva a pochi gruppi intimi ed a qualche
piccola associazione operaia...
Poi vennero la guerra franco-prussiana, la caduta dellimpero e la proclamazione della
repubblica in Francia, la spedizione garibaldina nei Vosgi lentrata delle truppe italiane a Roma e la
fine del potere temporale dei papi, le vicende dellassedio di Parigi, le elezioni francesi
dellassemblea dei "rurali", la pace vergognosa, la fondazione dellimpero germanico; tutte cose che
agitarono e tennero gli animi sospesi, alimentando negli uni le più audaci speranze e negli altri le
più folli paure.
Infine scoppiò linsurrezione parigina del 18 marzo 1871 - la Comune di Parigi -, repressa due
mesi dopo dal governo repubblicano con una ferocia che indignò i più temperati.
Lannunzio dei fatti di Parigi mise la febbre addosso a tutta la gioventù politicamente attiva.
Veramente si sapeva poco quello che la Comune fosse davvero, ma la stessa incertezza delle
notizie dava libero campo allimmaginazione, e ciascuno si foggiava il moto parigino secondo i
propri desideri. E siccome si attribuiva quel moto allopera dellInternazionale, questa profittò di tutta
la popolarità di cui godette la Comune negli ambienti rivoluzionari italiani.
Le false notizie, le esagerazioni, le stesse calunnie della stampa reazionaria servivano a
rinfocolare lentusiasmo e ad esaltare le gesta della Comune e la potenza dellInternazionale...
I primi e più numerosi proseliti si trovarono tra i garibaldini sempre ardenti di battagliare per
qualunque idea sembrasse loro avanzata.
I giovani mazziniani, ai quali i fatti di Francia avevano mostrato che la repubblica non significa
necessariamente libertà, eguaglianza e fratellanza e che può benissimo associarsi con il più retrivo
clericalismo ed il più feroce militarismo, se fossero stati lasciati al loro istinto avrebbero
probabilmente seguito al pari dei garibaldini limpulso dato dai bakunisti.
Ed allora si sarebbe costituito un fascio di tutte le forze rivoluzionarie italiane, che avrebbe
potuto mettere a mal partito la monarchia.
Ma Mazzini, offeso nei suoi pregiudizi teologici, statali e borghesi e forse irritato dal vedersi
sfuggire quella specie di pontificato che aveva esercitato per tanti anni sul movimento
rivoluzionario italiano, attaccò violentemente la Comune e lInternazionale e trattenne i suoi dal
passo che stavano per fare.
Bakunin rispose agli attacchi di Mazzini, e la lotta scoppiò ardente tra mazziniani ed
internazionalisti: lotta che servì ad eccitare la discussione ed a precisare le idee; ma presto
degenerata in odio, mise lun contro laltro giovani egualmente generosi ed entusiasti, e fu in
definitiva la causa dellimpotenza degli uni e degli altri.
In ogni modo lInternazionale si estese rapidamente nei centri più evoluti...
Dato lambiente italiano ancora tutto vibrante dei ricordi delle cospirazioni mazziniane e delle
spedizioni garibaldine, data leccitazione prodotta dalla Comune di Parigi, data linfluenza
predominante di Bakunin, dati il temperamento e le convinzioni dei primi iniziatori, lInternazionale
in Italia non poteva essere una semplice federazione di leghe di resistenza operaia, sia pure a
tendenze radicali, come fu altrove. Essa assunse fin dal principio un carattere decisamente
sovvertitore, che trova un certo riscontro solo nella Spagna, dove il carattere degli abitanti e la
situazione politica erano quasi come in Italia, e dove del resto il movimento internazionalista fu
iniziato dal Fanelli, mandato colà in missione dallAlleanza bakunista.
LInternazionale nacque in Italia socialista, anarchica, rivoluzionaria, e per conseguenza
antiparlamentare. Ruppe subito con il "Consiglio generale", il quale, ispirato da Marx, voleva
dirigere autoritariamente lassociazione ed imporle un programma statalista; e fu essenzialmente
unassociazione fatta collo scopo di provocare uninsurrezione armata, la quale avrebbe dovuto dun
colpo solo rovesciare il governo, abolire la proprietà privata, mettere a libera disposizione dei
lavoratori la terra, gli strumenti di lavoro e tutta la ricchezza esistente e sostituire allorganizzazione
statale e borghese la libera federazione dei comuni e dei gruppi produttori autonomi.
Si accettava il principio fondamentale dellAssociazione di lavoratori fondata a Londra nel
settembre 1864, e cioè che "la dipendenza economica dei lavoratori dai possessori delle materie
prime e degli strumenti di lavoro è la causa prima della servitù in tutte le sue forme, politica, morale
e materiale"; e perciò si riteneva necessario ed urgente abolire la proprietà privata fondiaria e
capitalistica mediante lespropriazione senza indennità della classe borghese fatta direttamente dalla
massa sfruttata e soggetta. Si dichiarava il lavoro dovere sociale per tutti, e quindi si considerava la
condizione di lavoratore superiore moralmente a qualunque altra posizione sociale, anzi la sola
compatibile con una morale veramente umana, e molti internazionalisti provenienti dalla classe
borghese, per essere coerenti colle loro idee e meglio immedesimarsi col popolo, si mettevano ad
apprendere un mestiere manuale. Si vedeva nella classe operaia, nel proletariato dellindustria e
dellagricoltura, il grande fattore della trasformazione sociale e la garanzia chessa si sarebbe fatta
veramente a vantaggio di tutti e non avrebbe dato origine ad una nuova classe privilegiata.
Ma però lInternazionale non fu mai in Italia propriamente una organizzazione di classe; ed in
essa suglinteressi contingenti della classe operaia prevaleva sempre lideale della rivoluzione come
fatto che doveva iniziare una nuova civiltà per lelevazione morale ed il vantaggio materiale di tutta
quanta lumanità . NellInternazionale in Italia, e del resto era così un po dappertutto, aveva diritto di
cittadinanza chiunque ne accettava i principi, da qualunque classe provenisse. E quando per
conciliare coi fatti il titolo di associazione di lavoratori si cercava di determinare che cosa fosse un
lavoratore, si conchiudeva che, per lInternazionale, era lavoratore, "chiunque lavorava alla
distruzione dellordine borghese", frase che può sembrare unarguzia, ma che traduceva bene lo stato
di fatto.
Ed invero lInternazionale era stata introdotta in Italia da borghesi che, per amor di giustizia,
avevano disertato la loro classe, ed ancora nel 1872 e dopo, in molti luoghi, la maggioranza, almeno
nella parte dirigente e più attiva, non era composta di operai, ma di giovani provenienti dalla media
e piccola borghesia.
Si faceva un po di lotta economica, si provocava qualche sciopero, sincitavano gli operai a
domandare e pretendere dai padroni ogni sorta di miglioramenti. Ma ciò si faceva senza entusiasmo,
senza darvi grande importanza, poichè si era convinti che i padroni esistevano perchè il governo li
proteggeva ed esisterebbero e trionferebbero sempre fino a che durerebbe il governo. "Non si arriva
al proprietario, si soleva dire, se non passando sul corpo del gendarme". Forse sarebbe stata la
verità più completa il dire che è "il gendarme", cioè chi possiede la forza materiale, che
simpadronisce della ricchezza, si fa proprietario, e poi assolda, tra le sue vittime, dei gendarmi per
farsi difendere e perpetuare in sè e nei suoi discendenti il privilegio usurpato; ma allora, senza che
nessuno di noi avesse letto Marx, si era ancora troppo marxisti. Ma a parte ogni disquisizione
teorica sulle origini della proprietà, si era convinti che la prima cosa da fare era rovesciare il
governo, e perciò si pensava soprattutto alla insurrezione.
Certamente sperare allora nella vittoria era una illusione.
Senza parlare delle vaste plaghe dItalia dove le nostre idee erano assolutamente sconosciute,
anche dove eravamo più forti e numerosi non eravamo in sostanza che uninfima minoranza di
fronte alla totalità della popolazione. E le masse erano ancora del tutto disorganizzate ed ignare:
salvo le nostre sezioni e qualche associazione che pigliava il motto da Mazzini, le società operaie
esistente erano semplici società di mutuo soccorso sotto il patronato di grossi proprietari o
personaggi dei partiti borghesi, quando non avevano addirittura il re... o il questore.
Questa era per noi una situazione paradossale, perchè il nostro scopo non era di impossessarsi
del governo con un colpo di mano (il che sarebbe stato ben difficile per lesiguità delle nostre forze,
ma forse non impossibile se fossimo riusciti a trascinare con noi i repubblicani) per poi imporre il
nostro programma mediante la forza statale. Noi, già anarchici convinti, volevamo abbattere il
governo esistente, impedire che se ne formasse un altro, e lasciare che le masse liberate dalla
pressione dellesercito e della polizia pigliassero possesso della ricchezza ed organizzassero da loro
la nuova vita sociale.
Ma che sarebbe avvenuto se le masse fossero restate assenti, o si fossero mostrate ansiose di
sottomettersi ad un nuovo governo ed attendere da esso il proprio bene?
Noi speravamo nel malcontento generale, e poichè la miseria che affliggeva le masse era
davvero insopportabile, credevamo che bastasse dare un esempio, lanciare colle armi alla mano il
grido di "abbasso í signori", perchè le masse lavoratrici si scagliassero contro la borghesia, e
pigliassero possesso della terra, delle fabbriche e di quanto esse avevano prodotto colle loro fatiche
ed era stato loro sottratto. E poi avevamo una fede mistica nella virtù del popolo, nella sua capacità,
nei suoi istinti ugualitari e libertari.
I fatti dimostrarono allora e poi (e lo avevano già dimostrato nel passato) quanto eravamo
lontani dal vero. Purtroppo la fame, quando non vi è una coscienza del proprio diritto ed unidea che
guida lazione, non produce rivoluzioni: tuttal più provoca delle sommosse sporadiche che i signori,
se hanno giudizio, possono domare, meglio che colle fucilate dei carabinieri, col distribuire un po di
pane e col gettare dai balconi un po di soldi di rame alla folla tumultuante. E noi, se il desiderio non
avesse fatto velo alla nostra perspicacia, avremmo ben potuto giudicare delleffetto deprimente, e
quindi antirivoluzionario, della miseria, dal fatto che la propaganda riusciva meglio nelle regioni
meno misere e tra quei lavoratori, artigiani per la maggior parte, che si trovavano in condizioni
economiche meno disagiate.
Ed in quanto agli "istinti egualitari e libertari" del popolo, ahimè, quanta fatica ci vuole per
risvegliarli! Per allora, ed anche adesso in quella grande parte della massa non ancora tocca dalla
propaganda, gli "istinti", i quali sono stati formati dai millenario servaggio, spingono i lavoratori
piuttosto al timore e, quel chè peggio, al rispetto ed allammirazione dei padroni, e quindi ad una
docile sottomissione.
Era dunque impossibile una vittoria facile e rapida.
Ma, a parte la questione di tempo, io credo sempre dopo tutto quello che ho veduto, che le
nostre speranze non erano vane e la nostra tattica non era sbagliata.
In effetti, la nostra propaganda, se non colla rapidità che avremmo voluto, portava pure i suoi
frutti: il numero dei convinti andava continuamente crescendo, ed intorno ad essi si andava sempre
allargando il cerchio di simpatizzanti, di quelli cioè che pur non comprendendo e non accettando
tutte le nostre idee, sentivano lingiustizia del presente ordinamento sociale e volevano contribuire al
suo cambiamento. Ed i tentativi insurrezionali che facevamo e ci proponevamo di fare, pur essendo
allora condannati ad insuccesso sicuro, erano mezzo efficace di propaganda, ed un giorno, a tempi
più maturi (chi può giudicare prima del fatto quando i tempi sono maturi, cioè quando un concorso
di circostanze determina il "momento psicologico" in cui un popolo è pronto ad insorgere?), un
giorno, dico, sarebbero stati la scintilla che provoca un grande incendio.
Se il nostro lavoro fosse continuato concorde come durante i sette od otto anni dopo la
fondazione a Rimini della Federazione italiana (1872), ben altra, io credo, sarebbe oggi la
situazione italiana.
Ma sul più bello, lo sviluppo del nostro movimento fu conturbato ed arrestato dallintroduzione
in Italia del partito socialdemocratico, legalitario e parlamentare secondo il tipo tedesco.
Lesistenza di un altro partito socialista con tendenze diverse di quelle che aveva lInternazionale
italiana non sarebbe stato un gran male, anzi avrebbe potuto essere un bene, poichè avrebbe attratti
al socialismo molti elementi che, pur ammettendo la necessità di una radicale riforma sociale, non
potevano per temperamento e per posizione essere rivoluzionari e con noi non ci sarebbero venuti
mai.
Ma il guaio fu che chi introdusse (almeno con risultati seri, poichè vi era stato qualche altro
tentativo senza successo) in Italia la nuova tendenza uscì proprio di mezzo a noi.
Alcuni degli internazionalisti tra i più influenti ed amati (non posso qui fare a meno di nominare
lAndrea Costa), impressionati dagli apparenti successi del socialismo in Germania, disgustati di una
lotta che era, o sembrava, sterile di risultati immediati, e forse stanchi delle persecuzioni che ormai
erano diventate ben più serie, preferirono, contro i loro primi compagni e contro tutto il loro
passato, una tattica che prometteva una relativa tranquillità e rapidi successi personali; e così
gettarono la discordia nelle nostre file e furono la causa che il meglio delle nostre forze fosse speso
in polemiche e diatribe intestine, anzichè nella propaganda tra le masse e la lotta contro il nemico
comune.
I vecchi internazionalisti che di quella "evoluzione" videro direttamente i danni morali e
materiali fatti al movimento, e soffrirono nei loro sentimenti profondi per le amicizie male rotte,
gridarono al "tradimento". E certo parve dar loro ragione il modo subdolo come si condussero i
nuovi convertiti al parlamentarismo, negando ed affermando, attenuando od accentuando la nuova
tendenza secondo gli ambienti e le circostanze, e trascinando i compagni più ingenui col
sentimentalismo delle amicizie personali e quasi senza che se ne accorgessero.
Ma fu davvero tradimento cosciente fatto per fini personali, o frutto di onesta convinzione?
Non spetta a me, parte troppo interessata nella vertenza, il dare un giudizio definitivo. E
daltronde questi avvenimenti sono di parecchi anni posteriori al periodo di cui si tratta in questo
libro, e non è il caso di approfondirli e documentarli qui. Forse lo stesso Nettlau, che ha o può
procurarsi il materiale necessario e che possiede quelle doti di imparzialità e serenità che forse in
questo caso mancherebbero a me, ci narrerà un giorno quel periodo critico dellInternazionale
italiana, in cui essa cessò di chiamarsi lInternazionale e si scisse in partito anarchico e partito
socialdemocratico.
A me basti constatare che tutte le nostre previsioni sulla degenerazione in cui sarebbe caduto il
socialismo fattosi legalitario e parlamentarista si sono purtroppo verificate, ed al di là di quello che
noi stessi pensavamo.
b. Levoluzionismo di P. Kropotkin3
Pietro Kropotkin è senza dubbio uno di quelli che hanno contribuito di più - forse più che gli
stessi Bakunin ed Eliseo Reclus - alla elaborazione e alla propagazione dellidea anarchica. Ed egli
ha perciò ben meritato lammirazione e la riconoscenza che tutti gli anarchici hanno per lui.
Ma, in omaggio alla verità e nellinteresse superiore della causa, bisogna riconoscere che lopera
sua non è stata tutta ed esclusivamente benefica. Non fu colpa sua, al contrario, fu leminenza stessa
dei suoi meriti che produsse i mali chio mi propongo dindicare.
Naturalmente Kropotkin al pari di ogni altro uomo, non poteva evitare ogni errore ed
abbracciare tutta la verità. Si sarebbe dovuto quindi profittare della sua preziosa contribuzione e
continuare la ricerca per raggiungere nuovi progressi. Ma i suoi talenti letterari, il valore e la mole
della sua produzione, la sua instancabile attività, il prestigio che gli veniva dalla sua fama di grande
scienziato, il fatto chegli aveva sacrificata una posizione altamente privilegiata per difendere, a
costo di soffrire di pericoli, la causa popolare, e di più il fascino della sua persona che incantava
tutti quelli che avevano la fortuna di avvicinarlo, gli dettero tale notorietà e tale influenza chegli
sembrò, ed in gran parte fu realmente, il maestro riconosciuto della grande maggioranza degli
anarchici.
Avvenne così che la critica fu scoraggiata, e si produsse un arresto di sviluppo dellidea. Durante
molti anni, malgrado lo spirito iconoclasta e progressivo degli anarchici, la maggior parte di essi
non fece, in quanto a teoria ed a propaganda, che studiare e ripetere Kropotkin. Dire diversamente
da lui fu per molti compagni quasi uneresia.
Sarebbe dunque opportuno il sottomettere glinsegnamenti di Kropotkin ad una critica severa e
senza prevenzioni per distinguere ciò che in essi è sempre vero e vivo da ciò che il pensiero e
lesperienza posteriori possono aver dimostrato erroneo. Cosa daltronde che non riguarderebbe solo
Kropotkin, Poichè gli errori che si possono rimproverare a lui erano già professati dagli anarchici
prima che Kropotkin acquistasse una posizione eminente nel movimento: egli li confermò e li fece
durare dando loro lappoggio del suo talento e del suo prestigio, ma noi, i vecchi militanti, vi
abbiamo tutti, o quasi tutti, la nostra parte di responsabilità.
Io ebbi lonore e la fortuna di essere per lunghi anni legato a Kropotkin dalla più fraterna
amicizia.
Noi ci amavamo perchè eravamo animati dalla stessa passione, dalla stessa speranza... ed anche
dalle stesse illusioni.
Tutti e due di temperamento ottimista (io credo tuttavia che lottimismo di Kropotkin sorpassava
di molto il mio e forse aveva una sorgente diversa) noi vedevamo le cose color di rosa, ahimè!
troppo color di rosa - noi speravamo sono già più di cinquantanni, in una rivoluzione prossima, che
avrebbe dovuto realizzare il nostro ideale. Durante questo lungo periodo vi furono ben dei momenti
di dubbio e di scoraggiamento. Ricordo, per esempio, che una volta Kropotkin mi disse: "Mio caro
Errico temo che siamo noi soli, tu ed io, che crediamo in una rivoluzione vicina". Ma erano dei
momenti passeggeri: ben presto la fiducia tornava; ci si spiegava in un modo qualsiasi le difficoltà
presenti e lo scetticismo dei compagni e si continuava a lavorare ed a sperare.
Nullameno non bisogna credere che noi avevamo in tutto le stesse opinioni. Al contrario, in
molte idee fondamentali noi eravamo lungi dallessere daccordo, e quasi non cera volta che
cincontravamo senza che nascessero tra noi delle discussioni rumorose ed irritanti; ma siccome
Kropotkin si sentiva sempre sicuro di aver ragione e non poteva sopportare con calma la
contraddizione, e daltra parte io avevo molto rispetto per il suo sapere e molti riguardi per la sua
salute vacillante, si finiva sempre col cambiar dargomento per non irritarsi troppo...
Kropotkin era nello stesso tempo uno scienziato ed un riformatore sociale. Egli era posseduto da
due passioni: il desiderio di conoscere ed il desiderio di fare il bene dellumanità, due nobili passioni
che possono essere utili luna allaltra e che si vorrebbero vedere in tutti gli uomini, senza chesse
siano per questo una sola e medesima cosa. Ma Kropotkin era uno spirito eminentemente
sistematico e voleva spiegare tutto con uno stesso principio e tutto ridurre a unità, e lo faceva
spesso, secondo me, a scapito della logica. Perciò egli appoggiava sulla scienza le sue aspirazioni
sociali, le quali non erano, secondo lui, che delle deduzioni rigorosamente scientifiche.
Io non ho nessuna competenza speciale per giudicare Kropotkin come scienziato... Nulladimeno
mi sembra che gli mancasse qualche cosa per essere un vero uomo di scienza: la capacità di
dimenticare i suoi desideri e le sue prevenzioni per osservare i fatti con unimpassibile obbiettività . .
.
Abitualmente egli concepiva unipotesi e cercava poi i fatti che avrebbero dovuto giustificarla -
il che può essere un buon metodo per scoprire cose nuove; ma gli accadeva, senza volerlo, di non
vedere i fatti che contraddicevano la sua ipotesi.
Egli non sapeva decidersi ad ammettere un fatto, e spesso nemmeno a prenderlo in
considerazione, se prima non riusciva a spiegarlo, cioè a farlo entrare nel suo sistema...
Kropotkin professava la filosofia materialista che dominava tra gli scienziati nella seconda metà
del secolo XIX, la filosofia di Moleschott, Buchner, Vogt, ecc.; e per conseguenza la sua
concezione dellUniverso era rigorosamente meccanica.
Secondo il suo sistema, la volontà (potenza creatrice di cui noi non possiamo comprendere la
natura e la sorgente, come del resto non comprendiamo la natura e la sorgente della "materia" e di
tutti gli altri "primi principi") la volontà, dico, che contribuisce poco o molto a determinare la
condotta deglindividui e delle società, non esiste, non è che unillusione. Tutto quello che fu, che è e
che sarà, dal corso degli astri alla nascita ed alla decadenza di una civiltà, dal profumo di una rosa
al sorriso di una madre, da un terremoto al pensiero di un Newton, dalla crudeltà di un tiranno alla
bontà di un santo, tutto doveva, deve e dovrà accadere per una sequela fatale di cause e di effetti di
natura meccanica, che non lascia nessuna possibilità di variazione. Lillusione della volontà non
sarebbe essa stessa che un fatto meccanico.
Naturalmente, logicamente, se la volontà non ha alcuna potenza, se tutto è necessario e non può
essere diversamente, le idee di libertà, di giustizia, di responsabilità non hanno nessun significato,
non corrispondono a niente di reale.
Secondo la logica non si potrebbe che contemplare ciò che accade nel mondo, con indifferenza,
piacere o dolore, secondo la propria sensibilità, ma senza speranza e senza possibilità di cambiare
alcunchè.
Kropotkin, dunque, che era molto severo con il fatalismo dei marxisti, cadeva poi nel fatalismo
meccanico, che è ben più paralizzante.
Ma la filosofia non poteva uccidere la potente volontà che era in Kropotkin. Egli era troppo
convinto della verità del suo sistema per rinunziarvi, o solamente sopportare tranquillamente che lo
si mettesse in dubbio; ma egli era troppo appassionato, troppo desideroso di libertà e di giustizia per
lasciarsi fermare dalla difficoltà di una contraddizione logica e rinunziare alla lotta. Egli se la
cavava inserendo lanarchia nel suo sistema e facendone una verità scientifica.
Egli si confermava nella sua convinzione sostenendo che tutte le recenti scoperte in tutte le
scienze, dallastronomia fino alla biologia ed alla sociologia, concorrevano a dimostrare sempre più
che lanarchia è il modo dorganizzazione sociale che è imposto dalle leggi sociali...
Così, dopo aver detto che "lanarchia è una concezione dellUniverso basata sullinterpretazione
meccanica dei fenomeni che abbraccia tutta la Natura, compresa la vita delle società" (confesso che
non sono mai riuscito a comprendere ciò che questo può significare) Kropotkin dimenticava come
se fosse niente, la sua concezione meccanica e si lanciava nella lotta con il brio, lentusiasmo e la
fiducia di uno che crede nellefficacia della sua volontà e spera di potere colla sua attività ottenere o
contribuire a ottenere ciò che desidera.
In realtà, lanarchismo ed il comunismo di Kropotkin prima di essere una questione di
ragionamento, erano leffetto della sua sensibilità. In lui, prima parlava il cuore, e poi veniva il
ragionamento per giustificare e rinforzare glimpulsi del cuore.
Ciò che costituiva il fondo del suo carattere era lamore degli uomini, la simpatia pei poveri e gli
oppressi. Egli soffriva realmente per i mali degli altri, e lingiustizia anche se a suo favore, gli era
insopportabile...
Spinto dagli stessi sentimenti aveva in seguito fatto adesione allInternazionale ed accettato le
idee anarchiche. Infine, tra i diversi modi di concepire lanarchia aveva scelto e fatto proprio il
programma comunista-anarchico, che basandosi sulla solidarietà e sullamore va al di là della stessa
giustizia.
Ma naturalmente come era da prevedere, la sua filosofia non restava senza influenza sul suo
modo di concepire lavvenire e la lotta che bisognava combattere per arrivarvi.
Poichè secondo la sua filosofia ciò che accade doveva necessariamente accadere, così anche il
comunismo anarchico, chegli desiderava, doveva fatalmente trionfare come per legge della natura.
E ciò gli levava ogni dubbio e gli nascondeva ogni difficoltà. Il mondo borghese doveva
fatalmente cadere; era già in dissoluzione e lazione rivoluzionaria non serviva che ad affrettarne la
caduta.
La sua grande influenza come propagandista, oltre che dai suoi talenti, dipendeva dal fatto
chegli mostrava la cosa talmente inevitabile che lentusiasmo si comunicava subito a quelli che
lascoltavano o lo leggevano.
Le difficoltà morali sparivano perchè egli attribuiva al "popolo", alla massa dei lavoratori tutte
le virtù e tutte le capacità. Egli esaltava con ragione linfluenza moralizzatrice del lavoro, ma non
vedeva abbastanza gli effetti deprimenti e corruttori della miseria e della soggezione. Ed egli
pensava che basterebbe abolire i privilegi dei capitalisti ed il potere dei governanti perchè tutti gli
uomini cominciassero immediatamente ad amarsi come fratelli ed a badare aglinteressi altrui come
ai propri.
Nello stesso modo egli non vedeva le difficoltà materiali o se ne sbarazzava facilmente. Egli
aveva accettata lidea, comune allora tra gli anarchici, che i prodotti accumulati della terra e
dellindustria erano talmente abbondanti che per molto tempo non ci sarebbe bisogno di
preoccuparsi della produzione; e diceva sempre che il problema immediato era quello del consumo
che per far trionfare la rivoluzione bisognava soddisfare subito e largamente i bisogni di tutti, e che
la produzione seguirebbe il ritmo del consumo. Di là quellidea della presa nel mucchio, chegli mise
in moda e che è ben la maniera più semplice di concepire il comunismo e la più atta a piacere alla
folla, ma è anche la maniera più primitiva e più realmente utopistica. E quando gli si fece osservare
che questa accumulazione di prodotti non poteva esistere, perchè i proprietari normalmente non
fanno produrre che quello che possono vendere con profitto, e che forse nei primi tempi della
rivoluzione bisognerebbe organizzare il razionamento e spingere alla produzione intensiva piuttosto
che invitare alla presa in un mucchio che in realtà non esisterebbe, egli si mise a studiare
direttamente la questione ed arrivò alla conclusione che infatti quellabbondanza non esisteva e che
in certi paesi si era continuamente sotto la minaccia della carestia. Ma egli si rifaceva pensando alle
grandi possibilità dellagricoltura aiutata dalla scienza. Egli prese come esempi i risultati ottenuti da
qualche agricoltore e qualche dotto agronomo sopra spazi limitati e ne tirò le più incoraggianti
conseguenze, senza pensare agli ostacoli che avrebbero opposto l'ignoranza e l'avversione al nuovo
dei contadini ed al tempo che in tutti i casi occorrerebbe per generalizzare i nuovi modi di coltura e
di distribuzione.
Come sempre Kropotkin vedeva le cose quali egli avrebbe voluto che fossero e come noi tutti
speriamo chesse saranno un giorno: egli considerava esistente o immediatamente realizzabile ciò
che deve essere conquistato con lunghi e duri sforzi.
In fondo Kropotkin concepiva la Natura come una specie di Provvidenza, grazie alla quale
larmonia doveva regnare in tutte le cose, comprese le società umane.
È ciò che ha fatto ripetere a molti anarchici questa frase di sapore squisitamente kropotkiniano:
Lanarchia è lordine naturale.
Si potrebbe domandare, io penso, come mai la Natura, se è vero che la sua legge è larmonia, ha
aspettato che vengano al mondo gli anarchici ed aspetta ancora chessi trionfino per distruggere le
terribili e micidiali disarmonie di cui gli uomini hanno sempre sofferto.
Non si sarebbe più vicini alla verità dicendo che lanarchia è la lotta, nelle società umane, contro
le disarmonie della Natura?
Ho insistito sui due errori nei quali, secondo me, è caduto Kropotkin, il suo fatalismo teorico ed
il suo ottimismo eccessivo, perchè io credo di aver constatato i cattivi effetti chessi hanno prodotto
nel nostro movimento.
Ci sono stati dei compagni i quali presero sul serio la teoria fatalista - che per eufemismo
chiamano determinismo - e perdettero in conseguenza ogni spirito rivoluzionario. La rivoluzione,
essi dissero, non si fa: essa verrà quando sarà il suo tempo, ed è inutile, antiscientifico e perfino
ridicolo il volerla fare. E con queste buone ragioni si allontanarono dal movimento e pensarono ai
loro affari. Ma sarebbe un errore il credere che questa fu una comoda scusa per ritirarsi dalla lotta.
Io ho conosciuto parecchi compagni dal temperamento ardente, pronti ad ogni sbaraglio, che si sono
esposti a grandi pericoli ed hanno sacrificato la loro libertà ed anche la loro vita in nome
dellanarchia pur essendo convinti dellinutilità della loro azione. Essi lo han fatto per disgusto della
società attuale, per vendetta, per disperazione, per amore del bel gesto, ma senza credere con questo
di servire la causa della rivoluzione e per conseguenza senza scegliere il bersaglio ed il momento e
senza curarsi di coordinare la loro azione con quella degli altri.
Da un altro lato, quelli che senza preoccuparsi di filosofia han voluto lavorare per avvicinare e
fare la rivoluzione, han creduto la cosa ben più facile chessa non fosse in realtà, non ne hanno
preveduto le difficoltà, non si sono preparati come occorreva... e così ci si è trovati impotenti il
giorno in cui vi era forse la possibilità di fare qualche cosa di pratico.
Possano gli errori del passato servire di lezione per far meglio nellavvenire.
2. LEVOLUZIONE DELLANARCHISMO
a. Alla radice delle idee4
Un soffio di rivolta passa dappertutto; e la rivolta è qui lespressione di unidea, là il risultato di
un bisogno; più spesso poi è la conseguenza dellintrecciarsi di bisogni e didee che si generano e si
rinforzano a vicenda; si scaglia contro la causa dei mali o la colpisce di fianco, è cosciente o
istintiva, umana o brutale, generosa o strettamente egoista, ma in ogni modo diventa sempre più
grande e si estende ogni giorno di più.
È la storia che cammina; è inutile dunque perdere tempo a lamentarsi delle vie che essa sceglie,
poichè queste vie le sono state tracciate da tutta unevoluzione anteriore.
Ma la storia è fatta dagli uomini; e siccome noi non vogliamo restare spettatori indifferenti e
passivi della tragedia storica, siccome vogliamo concorrere con tutte le nostre forze a determinare
gli avvenimenti che ci sembrano più favorevoli alla nostra causa, ci abbisogna per questo un criterio
che ci serva di guida nellapprezzamento dei fatti che si producono, sopratutto per saper scegliere il
posto che dobbiamo occupare nella battaglia.
Il fine giustifica i mezzi. Si è molto maledetta questa massima; ma in realtà essa è la guida
universale della condotta. Sarebbe però meglio il dire: ogni fine vuole i suoi mezzi. Poichè la
morale bisogna cercarla nello scopo; il mezzo è fatale.
Stabilito lo scopo a cui si vuol giungere, per volontà o per necessità, il gran problema della vita
sta nel trovare il mezzo che secondo le circostanze, conduce con maggiore sicurezza e più
economicamente, allo scopo prefisso. Dalla maniera con cui viene risolto questo problema dipende,
per quanto può dipendere dalla volontà umana, che un uomo o un partito raggiunga o no il suo fine,
che sia utile alla sua causa o serva senza volerlo, alla causa nemica. Aver trovato il buon mezzo: qui
sta tutto il segreto dei grandi uomini e dei grandi partiti che hanno lasciato le loro tracce nella
storia.
Noi non lottiamo per metterci al posto degli sfruttatori e degli oppressori di oggi, e non lottiamo
neppure per il trionfo di una vacua astrazione. Non siamo affatto come quel patriota italiano che
diceva: "Che importa che tutti gli italiani muoiano di fame, purchè lItalia sia grande e gloriosa!"; e
neppure come quel compagno che confessava essergli indifferente che si massacrassero i tre quarti
degli uomini, perchè lUmanità fosse libera e felice.
Noi vogliamo la libertà e il benessere degli uomini, di tutti gli uomini senza eccezione.
Vogliamo che ogni essere umano possa svilupparsi e vivere il più felicemente possibile. E crediamo
che questa libertà e questo benessere non potranno essere dati agli uomini da un uomo o da un
partito, ma che tutti dovranno da sè stessi scoprirne le condizioni e conquistarsele. Crediamo che
soltanto la più completa applicazione del principio di solidarietà può distruggere la lotta,
loppressione e lo sfruttamento, e che la solidarietà non può essere che il risultato del libero accordo,
che larmonizzazione spontanea e voluta degli interessi.
Secondo noi, tutto ciò che è volto a distruggere loppressione economica e politica, tutto ciò che
serve ad elevare il livello morale ed intellettuale degli uomini, a dar loro la coscienza dei propri
diritti e delle proprie forze e a persuaderli di fare i propri interessi da sè , tutto ciò che provoca lodio
contro loppressione e suscita lamore fra gli uomini, ci avvicina al nostro scopo e quindi è un bene -
soggetto soltanto a un calcolo quantitativo per ottenere con forze date il massimo di effetto utile. E
al contrario è male, perchè in contraddizione col nostro scopo, tutto ciò che tende a conservare lo
stato attuale, tutto ciò che tende a sacrificare, contro la sua volontà, un uomo al trionfo di un
principio.
Noi vogliamo il trionfo della libertà e dellamore.
Ma per questo dovremo noi rinunciare allimpegno dei mezzi violenti? Niente affatto. I nostri
mezzi sono quelli che le circostanze ci permettono ed impongono.
Certo, noi non vorremmo strappare un capello a nessuno; vorremmo asciugare tutte le lacrime
senza farne versare alcuna. Ma cè forza lottare nel mondo tale come questo è, sotto pena di restare
sognatori sterili.
Verrà il giorno, lo crediamo fermamente, in cui sarà possibile fare il bene degli uomini senza
fare male nè a sè nè agli altri; ma oggi questo è impossibile. Anche il più puro e dolce dei martiri,
quegli che si farebbe trascinare al patibolo per il trionfo del bene, senza far resistenza, benedicendo
i suoi persecutori come il Cristo della leggenda, anche lui farebbe del male. Oltre al male che
farebbe a sè stesso, che pur deve contare qualche cosa, farebbe spargere amare lacrime a tutti quelli
che lo amassero.
Si tratta a dunque, sempre, in tutti gli atti della vita, di scegliere il minimo male, di tentare di
fare il meno male per la più grande somma di bene possibile.
Lumanità si trascina penosamente sotto il peso della oppressione politica ed economica: è
abbrutita, degenerata, uccisa (e non sempre lentamente) dalla miseria, dalla schiavitù, dalla
ignoranza e dai loro effetti. Per la difesa di questo stato di cose esistono potenti organizzazioni
militari e poliziesche, le quali rispondono con la prigione, il patibolo ed il massacro ad ogni serio
tentativo di cambiamento. Non vi sono mezzi pacifici, legali, per uscire da questa situazione; ed è
naturale ciò, perchè la legge è fatta espressamente dai privilegiati per la difesa dei propri privilegi.
Contro la forza fisica che ci sbarra il cammino, non vè per vincere che l'appello alla forza fisica,
non vè che la rivoluzione violenta.
Evidentemente la rivoluzione produrrà molte disgrazie, molte sofferenze; ma se anche ne
producesse cento volte di più, essa sarebbe sempre una benedizione in confronto a quanti dolori son
causati oggi dalla cattiva costituzione della società.
E per amor degli uomini che siamo rivoluzionari: e non è colpa nostra, se la storia ci costringe a
questa dolorosa necessità.
Dunque per noi anarchici, o almeno (giacché infine le parole sono convenzionali) per coloro fra
gli anarchici che la pensano come noi, ogni atto di propaganda o di realizzazione con la parola o coi
fatti, individuale o collettivo, è buono quando serve ad avvicinare e facilitare la rivoluzione, quando
assicura ad essa il concorso cosciente delle masse e le dà quel carattere di liberazione universale,
senza di cui potrebbe bensì aversi una rivoluzione, ma non quella rivoluzione che noi desideriamo.
Ed è sopra tutto in fatto di rivoluzione che bisogna tener conto del mezzo più economico, poichè
per essa la spesa si totalizza in vite umane.
Conosciamo abbastanza le condizioni strazianti materiali e morali in cui si trova il proletariato,
per spiegarci gli atti di odio, di vendetta, ed anche di ferocia che potranno prodursi. Comprendiamo
che vi siano degli oppressi che, essendo stati sempre trattati dai borghesi con la più ignobile durezza
e avendo sempre visto che tutto era permesso al più forte, un bel giorno, diventati per un istante i
più forti, si dicano: "Facciamo, anche noi, come i borghesi". Comprendiamo come possa accadere
che, nella febbre della battaglia, nature originariamente generose ma non preparate da una lunga
ginnastica morale, molto difficile nelle condizioni presenti, perdano di vista lo scopo da
conseguirsi, prendano la violenza come fine a sè stessa e si lascino trascinare ad atti selvaggi.
Ma altro è comprendere e perdonare certi fatti, altro è rivendicarli e rendersene solidali. Non
sono quelli gli atti che noi possiamo accettare, incoraggiare ed imitare. Dobbiamo essere risoluti ed
energici, ma dobbiamo altresì sforzarci di non oltrepassare mai il limite segnato dalla necessità.
Dobbiamo fare come il chirurgo che taglia quando bisogna tagliare, ma evita di infliggere inutili
sofferenze; in una parola dobbiamo essere ispirati e guidati dal sentimento dellamore per gli
uomini, per tutti gli uomini.
Ci sembra che questo sentimento di amore sia il fondo morale, lanima del nostro programma;
che solo concependo la rivoluzione come il più grande giubileo umano, come la liberazione e
laffratellamento di tutti gli uomini - non importa a quale classe o a quale partito abbiano
appartenuto - il nostro ideale potrà realizzarsi.
La ribellione brutale avverrà certamente; e potrà servire, anche, a dare il gran colpo di spalla,
l'ultima spinta che dovrà atterrare il sistema attuale: ma se essa non troverà il contrappeso nei
rivoluzionari che agiscono per un ideale, una tale rivoluzione divorerà se medesima.
Lodio non produce lamore, e con l'odio non si rinnova il mondo; e la rivoluzione dellodio o
fallirebbe completamente, oppure farebbe capo ad una nuova oppressione, che potrebbe magari
chiamarsi anarchica, come si chiamano liberali i governanti di oggi, ma che non sarebbe meno per
questo unoppressione e non mancherebbe di produrre gli effetti che produce ogni oppressione.
b. Il rifiuto del terrorismo amorfista5
Lettera a Luisa Minguzzi Pezzi
...In Italia non si ingannano se credono che nella questione Ravachol io sono daccordo con
Merlino, perchè infatti lo sono, almeno nel punto di vista generale. Molti giornalisti sono venuti a
domandarmi la mia opinione, ed io gliela ho detta francamente; ma poi nessuno lha pubblicata,
forse perchè io ad evitare falsificazioni ho voluto dettarla.
Revachol mi pare un uomo sincero, devoto alla causa, forse anche buono di cuore ma traviato
da un falso ragionamento fino al punto di assassinare nel più feroce modo un vecchio impotente ed
innocuo. Ma non è per Ravachol personalmente che noi sentiamo il bisogno di protestare; è per le
difese che fanno di lui certi suoi amici. Luno dice che Ravachol ha fatto bene ad uccidere il
vecchio, perchè "era un essere inutile alla Società"; un altro dice che non vale la pena di far chiasso
per un vecchio che "aveva pochi anni da vivere" e così di seguito. Il che vuol dire che questi
anarchici che non vogliono giudici, non vogliono tribunali, si fanno poi essi stessi giudici e
carnefici, e condannano a morte e giustiziano quelli che essi giudicano inutili. Nessun governo ha
mai fatto confessar tanto!
Così per le esplosioni. Per uccidere un meschino procuratore si rischia di uccidere 50 innocenti,
per fortuna non è successo tutto il male che poteva succedere; ma è anche vero che il procuratore ha
avuto di rotto solo il suo urinale!
Si vede nel modo come la cosa è stata fatta, che i suoi autori disprezzano la vita umana, non si
curano della sofferenza altrui. Ma infine, su tutto questo si potrebbe passare, e considerare le
disgrazie come dolorose conseguenze della guerra.
Ma come non protestare quando sentite dire che si ha torto di lamentare la morte duna serva o di
un operaio, perchè "i domestici sono peggio dei padroni e bisogna ammazzarli tutti" ed "i bambini
sono semenza dei borghesi e bisogna pure ammazzarli tutti"?
Come non inorridire quando trovate una donna la quale a voi che lamentate la disgrazia incorsa
a quella povera donna che nella esplosione della rue Clichy ebbe la faccia lacerata da schegge di
vetro, risponde: "Come! Siete così sensibile voi? Io ho riso tanto pensando alle smorfie che doveva
fare quella donna colla faccia tutta tagliuzzata".
Tutto questo vuol dire che succede a molti anarchici quello che succede ai soldati, agli uomini
di guerra, che ubriacati dalla lotta, diventano feroci e dimentichi perfino del fine pel quale si lotta
finiscono col volere il sangue per il sangue. Non è più lamore per il genere umano che li guida, ma
il sentimento di vendetta unito al culto di una idea attratta, di un fantasma teorico.
Ciò si comprende; tanto più in presenza di una borghesia che ci dà quotidianamente lo
spettacolo della ferocia, ma non si può approvare, non si può incoraggiare. Una rivoluzione nella
quale trionfassero questi istinti, sarebbe una rivoluzione perduta. Il terrore provoca la reazione:
prima la reazione della pietà, poi la reazione degli interessi.
Vi è poi altra cosa. Questi anarchici pare si vogliano fare distributori di grazia e di giustizia e
ciò non è niente affatto anarchico. Se noi avessimo il diritto di condannare in nome dellidea che ci
facciamo noi della giustizia, lo stesso diritto l'avrebbe il governo in nome della giustizia sua.
Naturalmente ognuno crede di avere ragione, e se ognuno avesse il diritto di condannare quelli che
secondo lui hanno torto addio giustizia, addio libertà, addio eguaglianza, addio anarchia; i più forti
sarebbero, come sono oggi, il governo, ed ecco tutto.
Noi dobbiamo essere dei libertari. La dinamite è unarma come unaltra spesso migliore di unaltra
nella lotta contro gli oppressori: ma come tutte le armi, può essere adoperata bene o male, può
servire a liberare gli oppressi, o a spaventare ed opprimere i deboli. Noi dobbiamo servirci di tutte
le armi, ma non dobbiamo mai perdere di vista lo scopo, nè la proporzione tra il mezzo e lo scopo.
Io capisco che si possa rischiare di uccidere degli innocenti per fare un atto risolutivo: far saltare
per esempio un parlamento uccidere lo Czar - ma rischiare di uccidere 50 persone per rompere
lurinale di un procuratore pubblico, mi pare una cosa folle - e questa cosa, da folle diventa
criminosa se non è ispirata da cattivo calcolo, ma da indifferenza per la vita degli altri.
So ben che queste idee non sono fatte per incontrare la simpatia generale dei nostri amici.
Per quanto si sia anarchici, si è sempre più o meno uomini del proprio tempo. Ed il popolo dei
nostri tempi, come quello dei tempi passati, si lascia ancora imporre dalla forza, dal successo, senza
guardarci tanto pel sottile. Se esplosioni sono riuscite, hanno messo paura ... ai paurosi, e molti dei
nostri amici applaudiranno incondizionatamente, senza occuparsi delleffetto che hanno sulla massa,
che noi dovremmo attirare a noi, senza esaminare senza fare le parti del bene e del male. È la stessa
tendenza per la quale il popolo applaude a tutti i guerrieri, a tutti i tiranni che vincono; è la stessa
tendenza per la quale parecchi anarchici divennero boulangistes quando sembrava che Boulanger
stesse per vincere.
Ma contro questa tendenza noi dobbiamo reagire, se no addio anarchia. La rivoluzione si
farebbe ma per aprire il varco a nuovi tiranni.
La verità è che vè molta gente che si chiama anarchica, e che dellanarchia non ha capito nulla.
Anche in questa occasione i soliti, gli ex amici di Senace hanno pubblicato un foglio clandestino
in cui minacciano bastonate a quegli anarchici, che non credono che Ravachol sia il tipo degli
anarchici, e che leremita di Chambles meritava gli si schiacciasse la testa a martellate, vale a dire a
noi, e le bastonate promesse ce le darebbero... se noi ce le lasciassimo dare.
Vedete dunque che anarchici! Come linquisizione; le bastonate (non potendo applicare la
ghigliottina o il rogo) a quelli che non pensano come loro e dicono il loro pensiero.
È necessario reagire; mettere i punti sugli i, uscire dai termini generali i quali spesso fanno
credere che si sia daccordo, mentre si sta agli antipodi.
Ed io, dopo tutto, son contento di questa specie di crisi, perchè provocherà delle spiegazioni, in
seguito alle quali si saprà con chi si è daccordo davvero e con chi no, e si saprà uscire dallequivoco,
dai tira e molla e mettersi col lavoro fecondo dalla propaganda fra le masse e dellazione veramente
rivoluzionaria.
Voi saprete interpretare per il loro verso queste idee buttate già così confusamente ed in fretta.
Io del resto le svilupperò completamente in un lavoretto che darò alle stampe al più presto.6
Se volete far leggere questa lettera a qualche amico fatelo pure; ma però, appunto perchè è
buttata giù in fretta e senza ordine, fatela leggere solo a quelli che conoscete abbastanza intelligenti
per non interpretare le cose a rovescio...
c. La tragedia di Monza7
Prima di tutto riduciamo le cose alle loro giuste proporzioni
Il re è stato ucciso; e poichè un re è pur sempre un uomo, il fatto è da deplorarsi. Una regina è
stata vedovata; e poichè una regina è anchessa una donna, noi simpatizziamo col suo dolore.
Ma perchè tanto chiasso per la morte di un uomo e per le lacrime di una donna quando si accetta
come una cosa naturale il fatto che ogni giorno tanti uomini cadono uccisi, e tante donne piangono,
a causa delle guerre, degli accidenti sul lavoro, delle rivolte represse a fucilate, e dei mille delitti
prodotti dalla miseria, dallo spirito di vendetta, dal fanatismo e dallalcolismo?
Perchè tanto sfoggio di sentimentalismo a proposito di una disgrazia particolare, quando
migliaia e milioni di esseri umani muoiono di fame e di malaria, fra lindifferenza di coloro che
avrebbero i mezzi di rimediarvi?
Forse perchè questa volta le vittime non son dei volgari lavoratori, non un onestuomo ed
unonesta donna qualunque, ma un re ed una regina?...
Veramente, noi troviamo il caso più interessante, ed il nostro dolore è più sentito, più vivo, più
vero, quando si tratta di un minatore schiacciato da una frana mentre lavora, e di una vedova che
resta a morir di fame coi suoi figlioletti!
Nulladimeno, anche quelle dei reali sono sofferenze umane e vanno deplorate. Ma sterile resta il
lamento se non se ne indagano le cause e non si cerca di eliminarle.
Chi è che provoca la violenza? Chi è che la rende necessaria, fatale?
Tutto il sistema sociale vigente è fondato sulla forza brutale messa a servizio di una piccola
minoranza che sfrutta ed opprime la grande massa; tutta leducazione che si dà ai ragazzi si riassume
in una apoteosi della forza brutale; tutto lambiente in cui viviamo è un continuo esempio di
violenza, una continua suggestione alla violenza.
Il soldato, cioè lomicida professionale, è onorato, e sopra di tutti è onorato il re, la cui
caratteristica storica è quella di essere capo di soldati.
Colla forza brutale si costringe il lavoratore a farsi derubare del prodotto del suo lavoro; colla
forza brutale si strappa lindipendenza alle nazionalità deboli.
Limperatore di Germania eccita i suoi soldati a non dar quartiere ai Cinesi; il governo inglese
tratta da ribelli i Boeri che rifiutano di sottomettersi alla prepotenza straniera, e brucia le fattorie, e
caccia le donne dalle case, e perseguita anche i non combattenti, e rinnova le gesta orribili della
Spagna in Cuba; il Sultano fa assassinare gli Armeni a centinaia di migliaia; il governo Americano
massacra i Filippini dopo averli vilmente traditi.
I capitalisti fan morire gli operai nelle miniere, sulle ferrovie, nelle risaie per non fare le spese
necessarie alla sicurezza del lavoro, e chiamano i soldati per intimidire e fucilare alloccorrenza i
lavoratori che domandano di migliorare le loro condizioni.
Ancora una volta, da chi viene dunque la suggestione, la provocazione alla violenza? Chi fa
apparire la violenza come la sola via duscita dallo stato di cose attuale, come il solo mezzo per non
subire eternamente la violenza altrui?
Ed in Italia è peggio che altrove. Il popolo soffre perennemente la fame; i signorotti
spadroneggiano peggio che nel Medioevo; il Governo a gara coi proprietari, dissangua i lavoratori
per arricchire i suoi e sperperare il resto in imprese dinastiche; la polizia è arbitra della libertà dei
cittadini, ed ogni grido di protesta, ogni benchè sommesso lamento è strozzato in gola dai
carcerieri, e soffocato nel sangue dai soldati.
Lunga è la lista dei massacri: da Pietrarsa a Conselica, a Calatabiano, alla Sicilia, ecc.
Solo due anni or sono le truppe regie massacrarono il popolo inerme; solo alcuni giorni or sono
le regie truppe han portato ai proprietari di Minella il soccorso delle loro baionette e del loro lavoro
forzato, contro i lavoratori famelici e disperati.
Chi è il colpevole della ribellione, chi è il colpevole della vendetta che di tanto in tanto scoppia:
il provocatore, loffensore o chi denunzia loffesa e vuole eliminarne le cause?
Ma, dicono, il re non è responsabile!
Noi non pigliamo certo sul serio la burletta delle finzioni costituzionali. I giornali "liberali" che
ora argomentano sulla irresponsabilità del re, sapevano bene, quanto si trattava di loro, che al di
sopra del parlamento e dei ministri, vi era uninfluenza potente, un'"alta sfera" a cui i regi
procuratori non permettevano di fare troppo chiare allusioni. Ed i conservatori, che ora aspettano
una "nuova era" dallenergia del nuovo re, mostrano di sapere che il re, almeno in Italia, non è poi
quel fantoccio che ci vorrebbero far credere quando si tratta di stabilire le responsabilità. E
daltronde, anche se non fa il male direttamente, è sempre responsabile di esso, un uomo che
potendo, non lo impedisce - ed il re è capo dei soldati e può sempre, per lo meno, impedire che i
soldati facciano fuoco sopra popolazioni inermi. Ed è puranche responsabile chi non potendo
impedire un male, lascia che si faccia in nome suo, piuttosto che rinunziare ai vantaggi del posto.
È vero che se si prendono in conto le considerazioni di eredità, di educazione, di ambiente, la
responsabilità personale dei potenti si attenua di molto e forse sparisce completamente. Ma allora,
se è irresponsabile il re dei suoi atti e delle sue omissioni, se malgrado loppressione, lo
spogliamento il massacro del popolo fatto in suo nome, egli avrebbe dovuto restare al primo posto
del paese, perchè mai sarebbe responsabile il Bresci? Perchè mai dovrebbe il Bresci scontare con
una vita di inenarrabili patimenti un atto che, per quanto si voglia giudicare sbagliato, nessuno può
negare essere stato ispirato da intenzioni altruistiche?
Ma questa questione della ricerca delle responsabilità cinteressa mediocremente.
Noi non crediamo nel diritto di punire, noi respingiamo l'idea di vendetta come sentimento
barbaro: noi non intendiamo essere giustizieri, nè vendicatori. Più santa, più nobile, più feconda ci
pare la missione di liberatori e di pacificatori.
Ai re, agli oppressori, agli sfruttatori noi tenderemmo volentieri la mano, quando soltanto essi
volessero tornare uomini fra gli uomini, uguali tra gli uguali. Ma intanto che essi si ostinano a
godere dellattuale ordine di cose ed a difenderlo colla forza, producendo così il martirio,
labbrutimento e la morte per stenti a milioni di creature umane, noi siamo nella necessità, siamo nel
dovere di opporre la forza alla forza.
Opporre la forza alla forza!
Vuol dire ciò che noi ci dilettiamo in complotti melodrammatici e siamo sempre nellatto o
nellintenzione di pugnalare un oppressore?
Niente affatto. Noi aborriamo alla violenza per sentimento e per principio, e facciamo sempre il
possibile per evitarla: solo la necessità di resistere al male coi mezzi idonei ed efficaci ci può
indurre a ricorrere alla violenza.
Sappiamo che questi fatti di violenza singola, senza sufficiente preparazione nel popolo restano
sterili e spesso, provocando reazioni a cui si è incapaci a resistere, producono dolori infiniti e fanno
male alla causa stessa a cui intendevano servire.
Sappiamo che lessenziale, lindiscutibilmente utile si è, non già luccidere la persona di un re, ma
luccidere tutti i re - quelli delle corti, dei parlamenti e delle officine - nel cuore e nella mente della
gente; di sradicare cioè la fede nel principio di autorità a cui presta culto tanta parte del popolo.
Sappiamo che meno la rivoluzione è matura e più essa riesce sanguinosa ed incerta.
Sappiamo che, essendo la violenza sorgente di autorità, anzi essendo in fondo tutta una cosa col
principio di autorità, più la rivoluzione sarà violenta e più vi sarà pericolo chessa dia origine a
nuove forme di autorità.
E perciò ci sforziamo di acquistare, prima di adoperare le ultime ragioni degli oppressi, quella
forza morale e materiale che occorre per ridurre al minimo la violenza necessaria ad abbattere il
regime di violenza a cui oggi lumanità soggiace.
Ci si lascerà in pace al nostro lavoro di propaganda, di organizzazione, di preparazione
rivoluzionaria?
In Italia cimpediscono di parlare, di scrivere, di associarci. Proibiscono agli operai di unirsi e
lottare pacificamente, nonchè per lemancipazione, nemmeno per migliorare in minime proporzioni
le loro incivili ed inumane condizioni di esistenza. Carceri domicilio coatto, repressioni sanguinose
sono i mezzi che si oppongono non solo a noi anarchici, ma a chiunque osa pensare ad una più
civile condizione di cose.
Che meraviglia, se perduta la speranza di poter combattere con profitto per la propria causa,
degli animi ardenti si lasciano trasportare ad atti di giustizia vendicativa?
Le misure di polizia, di cui sono sempre vittime i meno pericolosi; la ricerca affannosa di
inesistenti istigatori, che appare grottesca a chiunque conosce un poco lo spirito dominante tra gli
anarchici, le mille buffe proposte di sterminio avanzate da dilettanti di poliziottismo, non servono
che a mettere in evidenza il fondo selvaggio che cova nellanimo delle classi governanti.
Per eliminare totalmente la rivolta sanguinosa delle vittime, non vi è altro mezzo che
labolizione delloppressione, mediante la giustizia sociale.
Per diminuirne ed attuarne gli scoppi non vè altro mezzo che lasciare a tutti la libertà di
propaganda e di organizzazione; che lasciare ai diseredati, agli oppressi, ai malcontenti, la
possibilità di lotte civili; che dar loro la speranza di poter conquistare, sia pur gradualmente, la
propria emancipazione per vie incruente.
Il governo dItalia non ne farà nulla continuerà a reprimere... e continuerà a raccogliere quello
che semina.
Noi, pur deplorando la cecità dei governanti che imprime alla lotta unasprezza non necessaria,
continueremo a combattere per una società in cui sia eliminata ogni violenza, in cui tutti abbiano
pane, libertà, scienza, in cui lamore sia la legge suprema della vita.
d. Errori e rimedi8
Vi è oggi tanta gente varia che si chiama anarchica, e col nome di anarchia si espongono tante
idee disparate e contraddittorie, che davvero avremmo torto di meravigliarci quando il pubblico che
è nuovo alle idee, e non può a prima giunta distinguere le grandi differenze che si nascondono sotto
il velo di una parola comune, resta sordo alla nostra propaganda e ci guarda con sospetto.
Noi non possiamo naturalmente impedire agli altri di prendere il nome che vogliono; nè
labbandonar noi il nome di anarchici servirebbe ad altro che ad aumentare la confusione, poichè il
pubblico penserebbe che noi abbiamo semplicemente voltato bandiera.
Tutto ciò che possiamo, e cioè che dobbiamo fare, si è di distinguerci nettamente da coloro che
dellanarchia hanno un concetto diverso dal nostro, o che dallo stesso concetto teorico tirano
conseguenze pratiche opposte a quelle che ne tiriamo noi. E la distinzione deve risultare
dallesposizione chiara della nostra morale senza nessun riguardo di persone e di partito. Poichè
questa pretesa solidarietà di partito, fra gente che poi non apparteneva e non avrebbe potuto
appartenere allo stesso partito, è stata appunto una delle cause principali della confusione. E si è
arrivati a tal punto che molti esaltano nei "compagni" quelle stesse azioni che vituperano nei
borghesi; e sembra che il loro unico criterio del bene e del male sia questo: se lautore dellatto che si
giudica prende il nome di anarchico, o no.
Molti sono gli errori che hanno menato gli uni a mettersi in completa contraddizione coi
principii che teoricamente professano, e gli altri a sopportare queste contraddizioni; come molte
sono le cause che hanno attirata in mezzo a noi della gente che in fondo se ne ride del socialismo e
dellanarchia, e di tutto ciò che sorpassa glinteressi delle loro persone.
Io non posso intraprendere qui un esame metodico e completo di questi errori. Solo accennerò
ad alcuni di essi così come mi si presenteranno alla mente.
Prima di tutto parliamo di morale.
È cosa comune trovare degli anarchici che "negano la morale". Al principio è un semplice modo
di dire per significare che, dal punto di vista teorico, non ammettono una morale assoluta, eterna,
immutabile, e che, nella pratica, si ribellano contro la morale borghese che sanziona lo sfruttamento
delle masse e condanna quegli atti che tornano a pericolo e danno dei privilegiati. Ma poi, poco a
poco, come suole avvenire in tante altre cose, prendono la figura retorica per lespressione della
verità. Dimenticano che nella morale corrente, oltre le regole che sono inculcate dai preti e dai
padroni nellinteresse del loro dominio, si trovano pure, e ne sono in realtà la parte maggiore e
sostanziale, anche quelle regole che sono la conseguenza e la condizione di ogni coesistenza
sociale; dimenticano che il ribellarsi contro ogni regola imposta colla forza non vuol dire niente
affatto rinunziare ad ogni ritegno morale e ad ogni sentimento di obbligazione verso gli altri;
dimenticano che per combattere ragionevolmente una morale, bisogna opporle, in teoria ed in
pratica, una morale superiore; e, per poco che il temperamento e le circostanze aiutino, finiscono
col divenire immorali nel senso assoluto della parola, cioè uomini senza regola di condotta, senza
criterio per guidarsi nelle loro azioni, che cedono passivamente allimpulso del momento. Oggi si
leveranno il pane di bocca per soccorrere un compagno, domani ammazzeranno un uomo per
andare al bordello!...
Altra fonte di errori e di colpe gravissime è stato il modo come si è interpretato da molti la
teoria della violenza.
La società attuale si mantiene colla forza delle armi. Mai nessuna classe oppressa è riuscita ad
emanciparsi senza ricorrere alla violenza; mai le classi privilegiate han rinunciato ad una parte, sia
pur minima, dei loro privilegi, se non per forza, o per paura della forza. Le istituzioni sociali attuali
sono tali che appare impossibile di trasformarle per via di riforme graduali e pacifiche; e la
necessità di una rivoluzione violenta che, violando, distruggendo la legalità, fondi la società umana
sopra basi novelle, simpone. Lostinazione, la brutalità con cui la borghesia risponde ad ogni più
anodina domanda del proletariato, dimostrano la fatalità della rivoluzione violenta. Dunque è
logico, è necessario che i socialisti e specialmente gli anarchici, siano un partito rivoluzionario e
prevedano e affrettino la rivoluzione.
Ma disgraziatamente cè negli uomini una tendenza a scambiare il mezzo col fine; e la violenza,
che per noi è e deve restare una dura necessità, è diventata per molti quasi lo scopo unico della
lotta. La storia è piena di esempi di uomini che, avendo cominciato a lottare per uno scopo elevato,
hanno poi nel calore della mischia smarrito ogni controllo sopra loro stessi, han perduto di vista lo
scopo e son diventati dei feroci massacratori. E, come lo dimostrano fatti recenti, molti anarchici
non sono sfuggiti a questo terribile pericolo della lotta violenta. Irritati dalle persecuzioni, ammattiti
dagli esempi di cieca ferocia che dà ogni giorno la borghesia, essi han cominciato ad imitare
lesempio dei borghesi; ed allo spirito damore è subentrato lo spirito di vendetta, lo spirito di odio. E
lodio e la vendetta essi, al par dei borghesi, han chiamato giustizia. Poi, per giustificare quegli atti,
che pur potevano spiegarsi come effetti delle orribili condizioni del proletariato e servire come una
ragione di più per invocare la distruzione di un ordine di cose che produce così tristi risultati, alcuni
han cominciato a formulare le più strane, le più fanatiche, le più autoritarie teorie; e non badando
alla contraddizione, le han presentate come un nuovissimo progresso dellidea anarchica . . .
Daltra parte un errore, opposto a quello in cui cadono i terroristi, minaccia il movimento
anarchico. Un po per reazione contro labuso che in questi ultimi anni si è fatto della violenza, un po
per la sopravvivenza delle idee cristiane, e soprattutto per linfluenza della predicazione mistica di
Tolstoj, alla quale il genio e le alte qualità morali dellautore dan voga e prestigio, incomincia ad
acquistare una certa importanza fra gli anarchici il partito della resistenza passiva, il quale ha per
principio che bisogna lasciare opprimere e vilipendere se stesso e gli altri piuttosto che far del male
allaggressore. È quello che è stato chiamato lanarchia passiva...
È curioso osservare come i terroristi ed i tolstoisti, appunto perchè sono gli uni e gli altri dei
mistici, arrivano a conseguenze pratiche presso che uguali. Quelli non esiterebbero a distruggere
mezza umanità pur di far trionfare lidea: questi lascerebbero che tutta lumanità restasse sotto il peso
delle più grandi sofferenze piuttosto che violare un principio.
Per me, io violerei tutti i principii del mondo pur di salvare un uomo: il che sarebbe poi infatti
rispettare il principio, Poichè, secondo me, tutti principii morali e sociologici si riducono a questo
solo: il bene degli uomini, di tutti gli uomini.
e. Il furto come arma di guerra9
In tutti i tempi gli eserciti belligeranti ed i partiti rivoluzionari hanno considerato atto di buona
guerra limpossessarsi a danno del nemico di tutto ciò che può facilitare la vittoria e quindi anche del
denaro, che si suol dire essere il nerbo della guerra.
È permesso agli anarchici, che stanno sempre, almeno intenzionalmente, in guerra guerreggiata
con la classe capitalistica, è permesso agli anarchici, in coerenza coi loro principi, togliere ai ricchi
della roba (denaro e oggetti preziosi) per servirsene per la propaganda, per larmamento e per tutti i
bisogni della lotta? E non potendo requisire il denaro apertamente, in guerra dichiarata, è permesso
impadronirsene di nascosto, adoperando quelle che possono chiamarsi astuzie di guerra in una
parola rubando?
Teoricamente non pare che vi possa esser dubbio sul diritto di adoperare, in una guerra giusta,
tutti i mezzi atti a facilitare ed assicurare la vittoria senza ledere il sentimento di umanità. Ma
bisogna vedere se un mezzo è poi realmente utile, se ciò che è moralmente permesso è praticamente
consigliabile.
Il metodo (il furto per la propaganda) è stato in vari paesi ed in varie epoche predicato e
praticato da speciali gruppi anarchici; ma ha dato sempre frutti disastrosi.
E potrei dire lo stesso di altri partiti e di epoche gloriose nella storia dItalia, ma preferisco non
occuparmi qui che delle cose nostre.
Il denaro corrompe e corrompe pure la necessità di nascondere il proprio essere, di fingere,
dingannare, di adoperare quelle arti necessarie al ladro se non vuole andare in prigione come un
imbecille.
Quanti giovani generosi, quante belle nature si sono sciupate per questa fisima del rubare per la
propaganda!
Sincomincia col ricercare la compagnia dei ladri di mestiere, perchè anche il rubare è un
mestiere che bisogna imparare. Si perde labitudine e poi la voglia di lavorare, e quindi sul prodotto
del furto bisogna prelevare la quota per alimentare il ladro: alla propaganda va quel che resta, se ce
ne resta. E collabitudine del non lavorare viene il gusto del lusso e dellorgia, e si finisce col
dimenticare le idee, la propaganda, i principi, e si diventa un ladro volgare.
Peggio ancora: sincomincia a trattare i propri compagni come vigliacchi perchè si lasciano
sfruttare lavorando, la massa come disprezzabile gregge, e si finisce col dire: "chi vuole
emanciparsi faccia come me, rubi", "io la mia rivoluzione lho fatta, faccian gli altri la loro", e si
diventa dei borghesi come e peggio degli altri.
E questo solo per quei pochi che hanno fortuna e riescono a fare il colpo grosso. Gli altri
consumano la vita in piccole truffe, furtarelli meschini fatti preferibilmente a danno dei poveri,
perchè rubare ai poveri è più facile e meno pericoloso, o a danno dai compagni perchè i compagni
non denunciano alla polizia.
I migliori quelli che riescono a salvarsi dalla peggiore decadenza morale son quelli che si fan
cogliere allinizio della carriera e vanno in galera prima di essersi completamente corrotti.
Vi possono essere delle eccezioni individuali: io stesso ne potrei citare se largomento non fosse
così delicato.
Ma il certo si è che in tutti gli ambienti in cui è stato ammesso il furto per la propaganda è
entrata la corruzione, la sfiducia tra compagni la maldicenza, il sospetto e quindi linerzia e la
dissoluzione. E le spie hanno avuto buon giuoco, perchè non si è più avuto il modo di controllare
quali sono i mezzi di vita di ciascuno.
No, meglio la penuria di mezzi, meglio il soldino versato e raccolto con fatica che dà al
lavoratore lorgoglio di concorrere col proprio sforzo allopera comune, anzichè, per la speranza
quasi sempre illusoria della grossa somma, correre il rischio di veder corrompersi e sparire alcuni
tra i compagni più energici e più intraprendenti.
3. LA LEZIONE DEI FATTI
a. La tattica rivoluzionaria10
Noi dobbiamo mescolarci più chè possibile alla vita popolare: incoraggiare e spingere tutti i
movimenti che contengono un germe di rivolta materiale o morale e abituano il popolo a fare i suoi
interessi da sè e a non fidare che nelle proprie forze; ma senza perdere mai di vista che la
rivoluzione per lespropriazione e la messa in comune della proprietà e la demolizione del potere
sono la sola salute del proletariato e dellumanità e che per conseguenza ogni cosa è buona o cattiva
a seconda che essa avvicini o allontani, faciliti o renda più difficile tale rivoluzione.
Applichiamo ciò alla questione degli scioperi. Noi siamo caduti a tal proposto, comè un po la
nostra abitudine, da una esagerazione in unaltra.
Tempo addietro, convinto che lo sciopero è impotente, non solo per emancipare, ma anche per
migliorare in modo permanente la sorte dei lavoratori, noi trascuravamo troppo il lato morale della
questione e, meno che in qualche regione, abbiamo lasciato questo mezzo potente di propaganda e
di agitazione quasi totalmente ai socialisti autoritari e agli addormentatori.
Cessata quellindifferenza in seguito ai grandi scioperi di questi ultimi tempi e specialmente
dopo lo sciopero del porto di Londra che fece pensare che se gli uomini che lo guidarono avessero
avuta una chiara concezione rivoluzionaria e non ne avessero temuto le responsabilità, si sarebbe
potuto condurre i lavoratori dei docks a marciare sui quartieri ricchi ed a fare la rivoluzione; si
manifesta ora una tendenza alleccesso opposto, cioè ad attendere tutto dagli scioperi e quasi a
confondere lo sciopero con la rivoluzione.
Questa tendenza è molto pericolosa, poichè essa fa nascere delle speranze chimeriche e la cui
pratica sarebbe, non dico certo altrettanto corruttrice, ma pure fallace e addormentatrice come lo
stesso parlamentarismo.
Si predica lo sciopero generale e sta benissimo: ma si ha torto, secondo me, quando simmagina
e si dice che lo sciopero generale è la rivoluzione. Esso sarebbe solo unoccasione magnifica per fare
la Rivoluzione, ma niente di più. Esso potrebbe trasformarsi in rivoluzione, ma solo se i
rivoluzionari avessero abbastanza influenza, forza e spirito diniziativa per trascinare i lavoratori
sulla via dellespropriazione e dellattacco armato, prima che lo snervamento della fame e lo
sgomento del massacro o le concessioni dei padroni non vengano a demoralizzare gli scioperanti e a
ridurli in quello stato danimo, così facile a prodursi tra le masse, nel quale si vuole sottomettersi ad
ogni costo, e si considera come un nemico, un pazzo o un agente provocatore chiunque spinge alla
lotta ad oltranza.
Io considero del resto come irrealizzabile un vero sciopero generale nelle condizioni
economiche e morali attuali del proletariato universale; e credo che la rivoluzione sarà fatta molto
prima che un tale sciopero possa prodursi. Ma di grandi scioperi se ne producono già e con lattività
e dellaccordo si può provocarne di più grandi ancora; e potrebbe darsi che sia quella la forma con
cui comincerà, almeno nei paesi industriali, la Rivoluzione sociale. Bisogna dunque star sul chi vive
per profittare di tutte le occasioni che possono presentarsi.
Lo sciopero non deve più essere la guerra delle braccia incrociate.
I fucili e tutti gli ordigni per lattacco e la difesa che la scienza mette a nostra disposizione, lungi
dallessere resi inutili dagli scioperi, restano sempre strumenti di liberazione, che negli scioperi
trovano soltanto una buona occasione per essere utilmente adoperati
b. Andiamo fra il popolo11
Confessiamolo subito: gli anarchici non si sono mostrati allaltezza della situazione.
Se si toglie il moto di Carrara che ha dato prova sì del loro coraggio e della loro devozione alla
causa, ma anche dellinsufficienza della loro organizzazione, appena si sarebbe parlato degli
anarchici in tanto commuoversi di popolo in Sicilia ed in altre parti dItalia.
Dopo aver tanto gridato di rivoluzione, la rivoluzione arriva, e noi siamo stati disorientati e siam
restati presso che inerti.
Può essere doloroso il confessarlo, ma il tacerlo e nasconderlo sarebbe tradire la causa, e
continuare negli errori che ci han condotti a questo punto.
È tempo di ravvederci!
La causa principale, secondo noi, di questa nostra decadenza è lisolamento in cui quasi
dappertutto siamo caduti.
Per un complesso di cause, che ora sarebbe troppo lungo esaminare, gli anarchici, dopo la
dissoluzione dellInternazionale, perdettero il contatto delle masse e si andavano man mano
riducendo in piccoli gruppi, occupati solo a discutere eternamente e, purtroppo a dilaniarsi tra loro,
o tuttal più a fare un po di guerra ai socialisti legalitari.
Contro questo stato di cose si è tentato più volte di reagire con più o meno successo. Ma quando
si credeva di poter infine ricominciare un lavoro serio ed a larga base, ecco che venner fuori alcuni
compagni i quali, per una malintesa intransigenza, elevarono lisolamento a principio, e secondati
dallindolenza e dalla timidezza di tanti, che trovavano in quella "teoria" una comoda scusa per non
far nulla e non correre nessun rischio, riuscirono a ricacciarci nellimpotenza.
Per opera di quei compagni, molti dei quali ci compiacciamo di riconoscerlo, sono pur animati
dalle migliori intenzioni, il lavoro di propaganda e di organizzazione è diventato una cosa
impossibile.
Volete entrare in unassociazione operaia? Maledizione! Non giova per il verbo anarchico: ogni
buon anarchico se ne deve tener lontano come dalla peste.
Volete fondare unassociazione dei lavoratori per abituarli a lottare solidariamente contro i
padroni? Tradimento! un buon anarchico non deve associarsi che con anarchici convinti, vale a dire
deve star sempre cogli stessi compagni, e se vuol fondare associazioni, non può che dar nomi
diversi a un gruppo, composto sempre dalla stessa gente.
Cercate di organizzare e sostenere scioperi? Mistificazioni, palliativi!
Tentate manifestazioni ed agitazioni popolari? Pagliacciate!
Insomma tutto quello che è permesso di fare per la propaganda si è qualche conferenza, dove il
pubblico non viene se non è attirato dalle doti eccezionali di un oratore, qualche stampato, che è
letto sempre dallo stesso circolo di gente; e la propaganda da uomo a uomo, se sapete trovar chi vi
ascolti. E con questo un gran vociare di rivoluzione: - rivoluzione che, predicata così, diventa come
il paradiso dei cattolici, una promessa di là di venire, che vi addormenta in uninerzia beata fino a
che ci credete e vi lascia scettici ed egoisti, quando la fede vi sfugge.
Ed intanto intorno a noi il popolo si agita e segue altre correnti; ed i socialisti legalitari ci vincon
la mano ed hanno spesso successi, anche in quei paesi dove come in Italia, il socialismo è stato per
la prima volta bandito e popolarizzato da noi, e dove noi vantiamo non ingloriose tradizioni di lotte
e di sacrifici sostenuti con costanza e fierezza.
Questa è una tattica micidiale che equivale al suicidio. La rivoluzione non si fa in quattro gatti.
Deglindividui e dei gruppi isolati possono fare un po di propaganda; dei colpi audaci, delle bombe e
simili cose, se fatte con retto criterio (il che purtroppo non è sempre q caso) possono attirare
lattenzione pubblica sui mali dei lavoratori e sulle nostre idee, possono sbarazzarci di qualche
ostacolo potente; ma la rivoluzione non si fa che quando il popolo scende in piazza. E se noi
vogliamo farla bisogna che attirammo a noi la folla, quanto più folla è possibile.
Ed è anche, questa tattica dellisolamento, contraria ai nostri principi ed allo scopo che ci
proponiamo.
La rivoluzione, come noi la vogliamo, deve essere il cominciamento della partecipazione attiva,
diretta, vera delle masse, cioè di tutti, alla organizzazione ed alla gerenza della vita sociale. Se per
impossibile, la rivoluzione potesse essere fatta da noi soli, non sarebbe la rivoluzione anarchica
poichè allora saremmo i padroni noi ed il popolo, disorganizzato e quindi impotente ed incosciente,
spetterebbe gli ordini nostri, Ed allora tutta lanarchia si ridurrebbe ad una vana dichiarazione di
principi mentre in pratica sarebbe sempre una piccola frazione che si servirebbe delle forze cieche
della massa incosciente e sommessa per imporre le proprie idee: - e questo è lessenza stessa
dellautorità.
Figuriamoci che domani con un colpo di mano potessimo, da noi soli, senza il concorso delle
masse, sconfiggere il governo e restare padroni della situazione. Le masse che non avrebbero preso
parte alla lotta e non avrebbero sperimentata la potenza delle loro forze, applaudirebbero ai
vincitori e resterebbero inerti ad attendere che noi dessimo loro tutto il benessere che loro
promettiamo.
Che cosa faremmo noi? O assumere di fatto se non di diritto, la dittatura, il che vorrebbe dire
riconoscere linattuabilità delle nostre idee antigovernative e dichiararsi sconfitti in quanto anarchici
o fare "per viltade il gran rifiuto"; ritirarci protestando il nostro sacro orrore del nostro comando, e
lasciare che il comando lo prendano i nostri avversari.
Fu così che avvenne per ragioni del resto alquanto diverse agli anarchici spagnoli nei moti del
1873. Per un concorso di circostanze, si trovarono padroni della situazione in varie città, come per
es. in S. Lucas de Barrameda e Cordova: il popolo non faceva nulla da sè ed aspettava che qualcuno
comandasse il da farsi; gli anarchici non vollero prendere il comando perchè ciò era contrario ai
loro principi... ed allora subentrò la reazione repubblicana prima, monarchica poi, che ristabilì il
vecchio regime collaggravante delle persecuzioni, arresti e massacri in massa.
Andiamo tra il popolo: questa è lunica via di salvezza. Ma non vi andiamo con la boria
burbanzosa di persone che pretendono possedere il verbo infallibile e disprezzano dallalto della loro
pretesa infallibilità chi non divide le loro idee. Andiamoci per affratellarci coi lavoratori, per lottare
con loro, per sacrificarsi per loro. Per avere il diritto, per avere la possibilità di reclamare dal
popolo lo slancio e lo spirito di sacrifico necessario nelle grandi giornate di battaglia decisiva,
bisogna aver dato al popolo prova di sè, bisogna esserci mostrati primi per coraggio e per
abnegazione nelle sue piccole lotte quotidiane. Entriamo in tutte le associazioni di lavoratori,
fondiamone più che possiamo, provochiamo federazioni sempre più vaste, sosteniamo ed
organizziamo scioperi, propaghiamo dappertutto con tutti i mezzi, lo spirito di cooperazione e di
solidarietà tra i lavoratori.
E guardiamoci dal disgustarci perchè spesso i lavoratori non comprendono o non accettano tutti
i nostri ideali e stanno attaccati a vecchie forme ed a vecchi pregiudizi.
Noi non possiamo e non vogliamo aspettare, per far la rivoluzione, che le masse siano diventate
socialiste-anarchiche con piena coscienza. Noi sappiamo che finchè dura lattuale ordinamento
economico politico della società, limmensa maggioranza del popolo è condannata allignoranza ed
allabbrutimento e non è capace che di ribellioni più o meno cieche. Bisogna distruggere
questordinamento, facendo la rivoluzione come si può, colle forze che troviamo nella vita reale.
A maggior ragione noi non possiamo aspettare per organizzare i lavoratori chessi siano prima
diventati anarchici. Come farebbero a diventarlo se lasciati soli, col sentimento dimpotenza che
viene loro dallisolamento?
Come anarchici noi dobbiamo organizzarci tra noi, tra gente perfettamente convinta e concorde:
ed intorno a noi dobbiamo organizzare, in associazioni larghe, aperte, quanti più lavoratori è
possibile, accettandoli quali essi sono e sforzandoci di farli progredire il più che si può.
Come lavoratori noi dobbiamo essere sempre e dappertutto coi nostri compagni di fatica e di
miseria.
Ricordiamoci che il popolo di Parigi incominciò a domandare pane al re fra applausi e lacrime
di tenerezza, e due anni dopo, avendone, come era naturale, ricevuto piombo invece di pane lo
aveva già decapitato. E ieri ancora il popolo di Sicilia è stato sul punto di fare la rivoluzione pur
plaudendo al re ed a tutta la sua famiglia.
Quegli anarchici che hanno combattuto e ridicolizzato il movimento dei "fasci", perchè essi non
erano organizzati come vorremmo noi, perchè spesso si intitolavano da "Maria Immacolata" perchè
avevano nelle loro sale il busto di Carlo Marx piuttosto che quello di Bakunin, ecc. han dimostrato
di non avere nè senso nè spirito rivoluzionario.
Noi non siamo teneri, oh! no, per coloro che corrompono tutto col veleno parlamentare, che
tutto riducono a questione di candidature e che (in buona o in mala fede, non importa) vorrebbero
fare del popolo un gregge votante. Ma non è fare il giuoco di questi aspiranti deputati, e, peggio
ancora, non è fare il giuoco della borghesia e del governo il predicare il disgregamento ed il lasciare
in mano loro tutte le forze organizzate del proletariato?
Ravvediamoci. Il momento è solenne. Noi siam giunti ad uno di quei momenti critici della storia
umana, che decidono di tutto un nuovo periodo. Da noi, che abbiamo scritto sulla nostra bandiera le
parole redentrici ed inseparabili di socialismo e di anarchia, dipendono il successo e indirizzo del
prossima rivoluzione.
c. Il nostro compito12
... Che cosa dobbiamo fare per metterci in grado di fare la rivoluzione nostra, la rivoluzione
contro ogni privilegio ed ogni autorità, e vincere?
La tattica migliore sarebbe di fare sempre e dappertutto la propaganda delle nostre idee; di
sviluppare nei proletari, con tutti i mezzi possibili, lo spirito di associazione e di resistenza e di
suscitare in loro sempre crescenti pretensioni; di combattere continuamente tutti i partiti borghesi e
tutti i partiti autoritari restando indifferenti alle loro querele; di organizzarci fra quanti sono
convinti e si van convincendo delle nostre idee, e provvederci dei mezzi materiali necessari alla
lotta; e quando fossimo arrivati ad aver la forza sufficiente per vincere, insorgere da soli, per conto
nostro esclusivo, per attuare tutto intero il nostro programma, o più propriamente per conquistare a
ciascuno l'intera libertà di sperimentare, praticare ed andare man mano modificando il modo di vita
sociale chegli crede migliore.
Ma, purtroppo, questa tattica non può essere sempre rigorosamente seguita ed è impotente a
raggiungere lo scopo. La propaganda non ha che unefficacia limitata, e quando in un dato ambiente
si sono assorbiti tutti gli elementi capaci per le loro condizioni morali e materiali di comprendere ed
accettare un dato ordine didee, poco più si può fare colla parola e cogli scritti fino a che una
trasformazione dellambiente non abbia sollevato un nuovo strato della popolazione alla possibilità
di apprezzare quelle idee. Lefficacia dellorganizzazione operaia è essa pure limitata dalle ragioni
stesse che si oppongono allestendersi indefinito della propaganda; nonchè da fatti economici e
morali dordine generale che affievoliscono o neutralizzano del tutto gli effetti della resistenza dei
lavoratori coscienti.
Una forte e vasta organizzazione nostra per la propaganda e per la lotta incontra mille ostacoli
in noi stessi, nella nostra mancanza di mezzi e soprattutto nelle repressioni governative. Ed anche
supponendo che fosse possibile col tempo di arrivare, per mezzo della propaganda e
dellorganizzazione, ad aver la forza per fare la rivoluzione da noi, direttamente per il socialismo
anarchico, si producono tutti i giorni, e ben prima che noi si sia giunti ad avere quella forza, delle
situazioni politiche nelle quali siamo obbligati ad intervenire sotto pena non solo di rinunziare ai
vantaggi che se ne possono ricavare, ma anche di perdere ogni influenza sul popolo, di distruggere
una parte del lavoro e di rendere più difficile il lavoro futuro.
Il problema dunque è di trovare il mezzo per determinare per quanto sia in noi quelle
modificazioni di ambiente necessarie al progresso della nostra propaganda e di profittare delle lotte
fra i vari partiti politici e di tutte le occasioni che si presentano senza rinunziare a nessuna parte del
nostro programma ed in modo da facilitare ed avvicinare il trionfo.
In Italia, per esempio, la situazione è tale che è possibile, è probabile, in un tempo più o meno
breve una insurrezione contro la Monarchia. Ma è certo daltra parte che il risultato di questa
prossima insurrezione non sarà il socialismo anarchico.
Dobbiamo noi prendere parte alla preparazione ed alla realizzazione di questa insurrezione e
come?
Vi sono alcuni compagni i quali pensano che noi non abbiamo nessun interesse a mischiarci in
un movimento, il quale lascerà intatta l'istituzione della proprietà privata e servirà solo a sostituire
un governo ad un altro, a fare cioè una repubblica, la quale non sarebbe meno borghese e meno
oppressiva di quello che è la monarchia. Lasciamo, essi dicono, che i borghesi e gli aspiranti al
governo si rompano le corna tra di loro, e noi continuiamo per la nostra strada, facendo sempre la
propaganda anti-proprietaria ed anti-autorítaria.
Ora la conseguenza di questa astensione sarebbe, prima di tutto che l'insurrezione senza il
contingente delle nostre forse avrebbe meno probabilità di vincere e quindi per causa nostra
potrebbe trionfare la monarchia, la quale, massime in questo momento che combatte per la vita ed è
resa feroce dalla paura, preclude la via alla propaganda ed a qualsiasi progresso. Di più, facendosi il
movimento senza il nostro concorso, noi non avremmo nessuna influenza sugli avvenimenti
ulteriori, non potremmo cavar nulla dalle occasioni che si presentano sempre nel periodo di
transizione tra un regime ed un altro, saremmo discreditati come partito di azione e non potremmo
per lunghi anni fare alcuna cosa dimportanza.
Non è il caso di lasciare che i borghesi si battano tra di loro, perchè in un movimento
insurrezionale la forza, per lo meno materiale, è sempre il popolo che la dà, e se noi non siamo nel
movimento dividendo coi combattenti i pericoli ed i successi e cercando di trasformare il moto
politico in rivoluzione sociale, esso popolo non servirà che di strumento in mano agli ambiziosi che
aspirano a dominarlo.
Invece, pigliando parte allinsurrezione (insurrezione che non avremmo la forza di far da noi
soli) e pigliandovi la parte più grande possibile noi avremmo la simpatia del popolo insorto, e
potremmo spingere le cose più avanti che si può.
Noi sappiamo benissimo, e non cessiamo mai di dirlo e di dimostrarlo, che repubblica e
monarchia si equivalgono e che tutti i governi hanno uneguale tendenza ad allargare il loro potere e
ad opprimere sempre più i governati. Ma sappiamo pure che più un governo è debole, che più è
forte la resistenza chesso incontra nel popolo, e più grande la libertà più è grande la possibilità di
progredire. Contribuendo in modo efficace alla caduta della monarchia noi potremmo opporci con
più o meno efficacia alla costituzione o alla consolidazione di una repubblica, potremmo restare
armati e negare ubbidienza al nuovo governo come potremmo qua e là fare dei tentativi di
espropriazione e di organizzazione anarchica e comunista della società. Noi potremmo impedire che
la rivoluzione si arresti al suo primo passo e che le energie popolari, svegliate dallinsurrezione, si
addormentino di nuovo. Tutte cose che non potremmo fare, per ovvie ragioni di psicologia
popolare, intervenendo dopo: quando linsurrezione contro la monarchia si fosse fatta ed avesse
vinto senza di noi.
Spinti da queste ragioni, altri compagni vorrebbero che noi lasciassimo da parte per il momento
la propaganda anarchica e ci occupassimo solo della lotta contro la monarchia, per poi ad
insurrezione vinta ricominciare il nostro lavoro speciale di anarchici. E non pensano che se noi ci
confondessimo oggi coi repubblicani, lavoreremmo a beneficio della prossima repubblica,
disorganizzeremmo le nostre file, confonderemmo la mente dei nostri, e non avremmo poi, quando
vorremmo, la forza dimpedire che la repubblica si faccia e si fortifichi.
Fra questi due errori opposti, la via che dobbiamo seguire ci pare chiara.
Noi dobbiamo concorrere con i repubblicani, con i socialisti democratici e con qualsiasi partito
antimonarchico ad abbattere la monarchia: ma dobbiamo concorrervi come anarchici, per gli
interessi dellanarchia senza scompaginare le nostre forze e confonderle con quelle degli altri, e
senza prendere nessun impegno che vada oltre della cooperazione nellazione militare.
Così solo possiamo, secondo noi, avere, nei prossimi avvenimenti, tutti i vantaggi di unalleanza
cogli altri partiti antimonarchici senza rinunziare a nessuna parte del nostro programma.
4. LORGANIZZAZIONE DEGLI ANARCHICI
a. Occorre dividerci... per poi riunirci13
Io tiro avanti aspettando il momento in cui potrò spiegare, nel modo in cui credo utile, la mia
attività e preparandomici come meglio posso.
Questi giorni sono stato sul punto di partire per lItalia; ma subito le cose si sono calmate ed io
ho rinunziato a fare un viaggio che, secondo tutte le probabilità, si sarebbe ridotto ad una semplice
gita di piacere... o di dispiacere. Naturalmente, se ulteriori notizie mi persuaderanno che cè da fare,
vado subito.
Disgraziatamente noi siamo ridotti in condizioni di non poter nulla fare, nulla iniziare da noi e
dobbiamo aspettare o liniziativa di altri partiti o il concorso di circostanze completamente
indipendenti da noi.
E ancora, quando queste iniziative o queste circostanze si presentano noi ci troviamo
impreparati, disaccordi tra noi, impotenti - e lasciamo che il buon momento passi, senza aver fatto
nulla.
Come uscire da questa situazione? come ridiventare un partito che agisce e fa sentire la sua
influenza sul corso degli avvenimenti?
Ecco il problema. Ma per risolverlo bisogna innanzi tutto intendersi sul significato di questo
"noi" che ripetiamo così spesso, senza sapere chi vi è compreso e chi ne è escluso.
Oggi siamo in tanti a chiamarci anarchici, ma vè spesso tra un anarchico e laltro tanta differenza
che ogni intesa è impossibile e sarebbe assurda. Sicchè invece di cooperare insieme allo stesso
scopo, non riusciamo che a combatterci ed a paralizzarci gli uni gli altri.
Bisogna innanzi tutto dividerci per poi riunire insieme quelli che sono daccordo ed hanno un
terreno comune di azione.
Sono degli anni che son convinto di questo bisogno e che lo vado ripetendo; ma finora non sono
riuscito a nulla.
È incapacità mia? È colpa delle circostanze? Forse cè un po delluno e un po dellaltro. Io non ho
perduto però la speranza di vedere iniziato un nuovo movimento che avesse in sè le condizioni di
vita e di successo che sono mancate a quel movimento che noi stessi iniziammo un 20 o 25 anni or
sono e che ora, secondo me, sta agonizzando.
Questo per la questione generale. In quanto al caso speciale dellItalia in questo momento, a me
pare che se i repubblicani volessero agire, noi non potremmo far di meglio che far massa con loro.
Una volta rotto il sonno in cui lItalia pare caduta, potremmo rialzare la nostra bandiera e continuare
la lotta a modo nostro e per i nostri ideali.
b. Organizzatori e antiorganizzatori14
Sono degli anni che si fa tra gli anarchici un gran discutere su questa questione. E, come
avviene spesso, quando si piglia passione in una discussione ed alla ricerca della verità subentra il
puntiglio di aver ragione, o quando le discussioni teoriche non sono che un tentativo per giustificare
una condotta pratica ispirata da altri motivi, si è prodotta una grande confusione didee e di parole.
Ricordiamo di passaggio, tanto per sbarazzarcene, le semplici questioni di parole, che a volte
han raggiunto le più alte cime del ridicolo, come per esempio: "noi non vogliamo lorganizzazione
ma larmonizzazione"; "siamo contrari allassociazione, ma ammettiamo lintesa"; "noi non vogliamo
segretario e cassiere, perchè sono cose autoritarie, ma incarichiamo un compagno di tenere la
corrispondenza, ed un altro di custodire il denaro" - e passiamo alla discussione seria.
Vi sono tra coloro che rivendicano, con aggettivi vari o senza aggettivi, il nome di anarchici,
due frazioni: i partigiani e gli avversari dellorganizzazione.
Se non possiamo riuscire a metterci daccordo, cerchiamo almeno di comprenderci.
E prima di tutto distinguiamo, poichè la questione è triplice: l'organizzazione in generale come
principio e condizione di vita sociale, oggi e nella società futura; lorganizzazione del partito
anarchico; e lorganizzazione delle forze popolari e specialmente quella delle masse operaie per la
resistenza contro il governo e contro il capitalismo.
La necessità dellorganizzazione nella vita sociale, e quasi direi la sinonimia tra organizzazione e
società, è cosa tanto evidente che si stenta a credere come si sia potuta negare.
Per rendersene conto bisogna ricordare quale è la funzione specifica, caratteristica del
movimento anarchico, e come gli uomini e i partiti sono soggetti a lasciarsi assorbire dalla
questione che più direttamente li riguarda, dimenticando tutte le questioni connesse, a guardare più
la forma che la sostanza, infine a vedere le cose da un lato solo e perdere così la giusta nozione
della realtà.
Il movimento anarchico cominciò come reazione contro lo spirito di autorità, dominante nella
società civile, nonchè in tutti i partiti e tutte le organizzazione operaie, e si è andato ingrossando
man mano di tutte le rivolte sollevatesi contro le tendenze autoritarie ed accentratrici.
Era naturale quindi che molti anarchici fossero come ipnotizzati da questa lotta contro lautorità
e che, credendo, per linfluenza delleducazione autoritaria ricevuta, che lautorità è l'anima della
organizzazione sociale, per combattere quella combattessero e negassero questa.
E veramente lipnotizzazione arrivò al punto da far sostenere cose veramente incredibili.
Si combatte ogni sorta di cooperazione e di intesa, ritenendo che lassociazione era lantitesi
dellanarchia, si sostenne che senza accordi, senza obblighi reciproci, facendo ognuno quello che gli
passa per il capo senza nemmeno informarsi di quello che fa laltro, tutto si sarebbe spontaneamente
armonizzato; che anarchia significa che ogni uomo deve bastare a sè stesso e farsi da sè tutto quello
che gli occorre senza scambio e senza lavoro associato; che le ferrovie potevano funzionare
benissimo senza organizzazione, anzi che questo avveniva di già in Inghilterra (!); che la posta non
era necessaria e che chi a Parigi voleva scrivere una lettera a Pietroburgo... se la poteva portare da
sè (!!), ecc. ecc.
Ma queste sono sciocchezze, si dirà, e non vale la pena di rilevarle.
Sì, ma queste sciocchezze sono state dette, stampate propagate: sono state accolte da gran parte
del pubblico come lespressione genuina delle idee anarchiche; e servono sempre come armi di
combattimento agli avversari, borghesi e non borghesi, che vogliono aver di noi una facile vittoria.
E poi quelle sciocchezze non mancano del loro valore, in quanto sono la conseguenza logica di
certe premesse e possono servire di riprova sperimentali della verità o meno di quelle premesse.
Alcuni individui, di mente limitata ma forniti di potente spirito logico, quando hanno accettato
delle premesse ne tirano tutte le conseguenze fino allultimo, e, se così vuole la logica, arrivano
senza scomporsi alle più grandi assurdità, alla negazione dei fatti più evidenti. Ve ne sono bensì
altri più colti e di spirito più largo, che trovan sempre modo di arrivare a conclusioni più o meno
ragionevoli, anche a costo di strapazzare la logica; e per questi gli errori teorici hanno poca o
nessuna influenza sulla condotta pratica. Ma insomma, fino a che non si rinunzia a certi errori
fondamentali, si è sempre minacciati dai sillogizzatori ad oltranza, e si torna sempre da capo.
E l'errore fondamentale degli anarchici avversari dellorganizzazione è il credere che non sia
possibile organizzare senza autorità - ed il preferire, ammessa quella ipotesi, piuttosto rinunziare a
qualsiasi organizzazione che accettare la minima autorità.
Ora, che lorganizzazione, vale a dire l'associazione per uno scopo determinato e colle forme ed i
mezzi necessari a conseguire quel fine, sia una cosa necessaria alla vita sociale ci pare evidente.
Luomo isolato non può vivere nemmeno la vita del bruto: esso è impotente, salvo nelle regioni
tropicali e quando la popolazione è eccessivamente rada, a procurarsi il nutrimento; e lo è sempre,
senza eccezioni, ad elevarsi ad una vita alcun poco superiore a quella degli animali. Dovendo perciò
unirsi cogli altri uomini, anzi trovandosi unito in conseguenza della evoluzione antecedente della
specie, esso deve, o subire la volontà degli altri (essere schiavo), o imporre la volontà propria agli
altri (essere unautorità), o vivere cogli altri in fraterno accordo in vista del maggior bene di tutti
(essere un associato). Nessuno può esimersi da questa necessità; ed i più eccessivi antiorganizzatori
non solo subiscono lorganizzazione generale della società in cui vivono, ma anche negli atti
volontari della loro vita, anche nelle loro rivolte contro lorganizzazione si uniscono, si dividono il
compito, si organizzano con quelli con cui vanno daccordo e utilizzano i mezzi che la società mette
a loro disposizione... sempre, sintende, che si tratti di cose volute e fatte davvero e non di vaghe
aspirazioni platoniche, di sogni sognati.
Anarchia significa società organizzata senza autorità, intendendosi per autorità la facoltà di
imporre la propria volontà e non già il fatto inevitabile e benefico che chi meglio intende e sa fare
una cosa riesce più facilmente a far accettare la sua opinione, e serve di guida, in quella data cosa,
ai meno capaci di lui.
Secondo noi l'autorità non solo non è necessaria allorganizzazione sociale, ma, lungi dal
giovarle, vive su di essa da parassita, ne inceppa l'evoluzione e volge i suoi vantaggi a profitto
speciale di una data classe che sfrutta ed opprime le altre. Fino a che in una collettività vi è armonia
dinteressi, fino a che nessuno ha voglia o modo di sfruttare gli altri, non vè traccia dautorità:
quando viene la lotta intestina e la collettività si divide in vincitori e vinti, allora sorge lautorità, la
quale naturalmente è devoluta ai più forti e serve a confermare, perpetuare ed ingrandire la loro
vittoria.
Crediamo così, e perciò siamo anarchici: chè se credessimo che non vi possa essere
organizzazione senza autorità, noi saremmo autoritari, perchè preferiremmo ancora lautorità, che
inceppa ed addolora la vita, alla disorganizzazione che la rende impossibile.
Del resto, quel che saremmo noi importa poco. Se fosse vero che il macchinista ed il capotreno
ed i capiservizio debbano per forza essere delle autorità, anzichè dei compagni che fanno per tutti
un determinato lavoro, il pubblico amerebbe sempre piuttosto subire la loro autorità che viaggiare a
piedi. Se il mastro di posta non potesse non essere unautorità, ogni uomo sano di mente
sopporterebbe lautorità del mastro di posta, piuttosto che portar da sè le proprie lettere.
E allora ... lanarchia sarebbe il sogno di alcuni, ma non potrebbe realizzarsi mai.
c. Necessità dellorganizzazione15
Ammessa possibile lesistenza di una collettività organizzata senza autorità, cioè coazione - e per
gli anarchici è necessario ammetterlo perchè altrimenti lanarchia non avrebbe senso - passiamo a
parlare dellorganizzazione del partito anarchico.
Anche in questo caso lorganizzazione ci sembra utile e necessaria. Se partito significa linsieme
dindividui che hanno uno scopo comune e si sforzano di raggiungere questo scopo, è naturale chessi
sintendano, uniscano le loro forze, si dividano il lavoro e prendano tutte le misure stimate atte a
raggiungere quello scopo. Restare isolati, agendo o volendo agire ciascun per conto suo senza
intendersi con altri, senza prepararci, senza unire in un fascio potente le deboli forze dei singoli,
significa condannarsi allimpotenza, sciupare la propria energia in piccoli atti senza efficacia e ben
presto perdere la fede nella meta e cadere nella completa inazione.
Ma anche qui la cosa ci sembra talmente evidente che, invece di insistere nella dimostrazione
diretta, cercheremo di rispondere agli argomenti degli avversari dellorganizzazione
E prima di tutto ci si presenta lobbiezione, diremo così, pregiudiziale. "Ma di quale partito ci
parlate?", essi dicono, "noi non siamo un partito, noi non abbiamo programma".
E con questa forma paradossale essi intendono dire che le idee progrediscono e cambiano
continuamente e che essi non vogliono accettare un programma fisso, che può essere buono oggi,
ma che sarà certamente superato domani.
Ciò sarebbe perfettamente giusto se si trattasse di studiosi che cercano il vero senza curarsi delle
applicazioni pratiche. Un matematico, un chimico, un psicologo, un sociologo possono dire di non
aver programma o di non avere che quello di ricercare la verità: essi vogliono conoscere, non
vogliono fare qualche cosa.
Ma anarchia e socialismo non sono delle scienze: sono dei propositi, dei progetti che anarchici e
socialisti vogliono mettere in pratica e che perciò hanno bisogno di essere formulati in programmi
determinati. La scienza e larte delle costruzioni progrediscono tutti i giorni; ma un ingegnere che
vuol costruire, o anche demolire qualche cosa, deve fare il suo piano, raccogliere i suoi mezzi di
azione e agire come se scienza ed arte si fossero arrestate al punto ove egli le trova quando dà
principio ai suoi lavori. Può benissimo avvenire che egli possa utilizzare delle nuove acquisizioni
fatte nel corso del lavoro senza rinunciare alla parte essenziale del suo piano; e può darsi anche che
le nuove scoperte ed i nuovi mezzi creati dallindustria siano tali che egli vegga la necessità di
abbandonare tutto e ricominciare da capo. Ma ricominciando, avrà bisogno di fare un nuovo piano
basato su quello che si conosce e si possiede fino a quel momento, e non potrà concepire e mettersi
ad eseguire una costruzione amorfa, con materiali non composti, per il motivo che domani la
scienza potrebbe suggerire delle forme migliori e lindustria fornire dei materiali meglio composti.
Noi intendiamo per partito anarchico linsieme di quelli che vogliono concorrere ad attuare
lanarchia, e che perciò han bisogno di fissarsi uno scopo da raggiungere ed una via da percorrere; e
lasciamo volentieri alle loro elucubrazioni trascendentali gli amatori della verità assoluta e del
progresso continuo, che non cimentando mai le loro idee alla prova dei fatti finiscono poi col far
nulla e scoprir meno.
Laltra obbiezione è che lorganizzazione crea dei capi, delle autorità. Se questo è vero, se è vero
cioè che gli anarchici sono incapaci di riunirsi ed accordarsi tra di loro senza sottoporsi ad
unautorità, ciò vuol dire che essi sono ancora molto poco anarchici e che prima di pensare a
stabilire lanarchia nel mondo debbono pensare a rendersi capaci essi stessi di vivere
anarchicamente. Ma il rimedio non starebbe già nella non organizzazione, bensì nella cresciuta
coscienza dei singoli membri.
Certamente se in unorganizzazione si lascia addosso a pochi tutto il lavoro e tutte le
responsabilità, se si subisce quello che fanno i pochi senza metter mano allopera e cercar di far
meglio, quei pochi finiranno, anche se non lo vogliono, col sostituire la propria volontà a quella
della collettività. Se in unorganizzazione i membri tutti non si curano di pensare, di voler capire, di
farsi spiegare quello che non capiscono, di esercitare sempre su tutto e su tutti le loro facoltà
critiche, e lasciano a pochi il compito di pensare per tutti, quei pochi saranno i capi, le teste pensanti
e dirigenti.
Ma, lo ripetiamo, il rimedio non sta nella non organizzazione. Al contrario, nelle piccole come
nella grandi società, a parte la forza brutale, di cui non può essere questione nel caso nostro,
lorigine e la giustificazione dellautorità sta nella disorganizzazione sociale. Quando una collettività
ha un bisogno ed i suoi membri non sanno organizzarsi spontaneamente da loro stessi per
provvedervi, sorge qualcuno, unautorità, che provvede a quel bisogno servendosi delle forze di tutti
e dirigendole a sua voglia. Se le strade sono mal sicure ed il popolo non sa provvedere, sorge una
polizia che, per qualche servizio che rende, si fa sopportare e pagare, e simpone e tiranneggia; se vè
bisogno di un prodotto, e la collettività non sa intendersi coi produttori lontani per farselo mandare
in cambio di prodotti del paese, vien fuori il mercante che profitta del bisogno che hanno gli uni di
vendere e gli altri di comprare, ed impone i prezzi che vuole ai produttori ed ai consumatori.
Vedete che cosa è sempre successo in mezzo a noi: meno siamo stati organizzati più ci siamo
trovati alla discrezione di qualche individuo. Ed è naturale che così fosse.
Noi sentiamo il bisogno di stare in rapporto coi compagni delle altre località, di ricevere e di
dare notizie, ma non possiamo ciascuno individualmente corrispondere con tutti i compagni. Se
siamo organizzati, incarichiamo dei compagni di tenere la corrispondenza per conto nostro, li
cambiamo se essi non ci soddisfano, e possiamo stare al corrente senza dipendere dalla buona
grazia di qualcuno per avere una notizia; se invece siamo disorganizzati, vi sarà qualcuno che avrà i
mezzi e la voglia di corrispondere e accentrerà nelle sue mani tutte le relazioni, comunicherà le
notizie secondo che gli pare ed a chi gli pare, e, se ha attività ed intelligenza sufficienti, riuscirà a
nostra insaputa a dare al movimento lindirizzo che vuole senza che a noi, alla massa del partito,
resti alcun mezzo di controllo, e senza che nessuno abbia il diritto di lagnarsi, poichè quellindividuo
agisce per conto suo, senza mandato di alcuno e senza dover rendere conto ad alcuno del proprio
operato.
Noi sentiamo il bisogno di avere un giornale. Se siamo organizzati potremo riunire i mezzi per
fondarlo e farlo vivere, incaricare alcuni compagni di redigerlo, e controllarne lindirizzo. I redattori
del giornale gli daranno certamente, in modo più o meno spiccato, limpronta della loro personalità,
ma saranno sempre gente che noi abbiamo scelta e che possiamo cambiare se non ci accontenta. Se
invece siamo disorganizzati, qualcuno che ha sufficiente spirito dintrapresa farà il giornale per
conto proprio: egli troverà in mezzo a noi i corrispondenti, i distributori, i sottoscrittori, e ci farà
concorrere ai suoi fini senza che noi li sappiamo o vogliamo; e noi, come è spesso avvenuto,
accetteremo o sosterremo quel giornale anche se non ci piace, anche se troviamo che è dannoso alla
causa, perchè saremo impotenti a farne uno che rappresenti meglio le nostre idee.
Cosicché lorganizzazione, lungi dal creare lautorità, è il solo rimedio contro di essa ed il solo
mezzo perchè ciascun di noi si abitui a prender parte attiva e cosciente nel lavoro collettivo, e cessi
di essere strumento passivo in mano dei capi.
Che se poi non si fa nulla di nulla e tutti restano nellinazione completa, allora certamente non vi
saranno nè capi nè gregari, nè comandanti nè comandati, ma allora finiranno la propaganda, il
partito, ed anche le discussioni intorno allorganizzazione... e questo, speriamo, non è lideale di
nessuno.
Ma unorganizzazione, si dice, suppone lobbligo di coordinare la propria azione e quella degli
altri, quindi viola la libertà, inceppa liniziativa. A noi sembra che quello che veramente leva la
libertà e rende impossibile liniziativa è lisolamento che rende impotente. La libertà non è il diritto
astratto, ma la possibilità di fare una cosa: questo è vero tra di noi, come è vero nella società
generale. È nella cooperazione degli altri uomini che luomo trova i mezzi per esplicare la sua
attività, la sua potenza diniziativa.
Certamente, organizzazione significa coordinazione di forze ad uno scopo comune ed obbligo
negli organizzati di non fare cosa contraria allo scopo. Ma quando si tratta di organizzazioni
volontarie, quando coloro che stanno nella stessa organizzazione hanno veramente lo stesso scopo e
sono partigiani degli stessi mezzi, lobbligo reciproco che impegna tutti riesce vantaggioso per tutti;
e se qualcuno rinunzia a qualche sua idea particolare in omaggio allunione, ciò vuol dire che trova
più vantaggioso rinunziare ad unidea, che daltronde da solo non potrebbe attuare, anzichè privarsi
della cooperazione degli altri nelle cose chegli crede di maggiore importanza.
Se poi un individuo trova che nessuna delle organizzazioni esistenti accetta le sue idee ed i suoi
metodi in ciò che hanno di essenziale, e che in nessuna potrebbe esplicare la sua individualità come
egli lintende; allora farà bene a restarne fuori; ma allora, se non vuole rimanere inattivo ed
impotente, deve cercare altri individui che pensano come lui e farsi iniziatore di una nuova
organizzazione.
Unaltra obbiezione, ed è lultima di cui ci intratterremo, è che essendo organizzati siamo più
esposti alle persecuzioni del governo.
A noi pare invece che quando più si è uniti tanto più ci si può difendere efficacemente. Ed
infatti ogni volta che le persecuzioni ci han sorpresi mentre eravamo disorganizzati ci hanno
completamente sbaragliati ed hanno ridotto a nulla il nostro lavoro antecedente; mentre quando e
dove eravamo organizzati ci hanno fatto più bene che male. Ed è lo stesso anche per quel che
riguarda linteresse personale dei singoli: basti lesempio delle ultime persecuzioni che hanno colpito
gli isolati tanto quanto gli organizzati e forse anche più gravemente. Questo, sintende, per quelli
che, isolati o no, fanno almeno la propaganda individuale; chè per quelli che non fanno nulla e
tengono ben nascoste le loro convinzioni, certamente il pericolo è poco, ma è anche meno lutilità
che danno alla causa.
Il solo risultato, dal punto di vista delle persecuzioni, che si ottiene stando disorganizzati, si è di
autorizzare il governo e negarci il diritto di associazione ed a rendere possibili quei mostruosi
processi per associazione a delinquere, che esso non oserebbe fare contro la gente che afferma
altamente, pubblicamente, il diritto e il fatto di stare associata, o che, se il governo losasse,
risulterebbero a scorno suo e a vantaggio della propaganda.
Del resto, è naturale che lorganizzazione prenda le forme che le circostanze consigliano ed
impongono. Limportante non è tanto lorganizzazione formale, quanto lo spirito di organizzazione.
Possono esservi dei casi in cui per limperversare della reazione, sia utile sospendere ogni
corrispondenza, cessare da ogni riunione: sarà sempre un danno, ma se la voglia di essere
organizzati sussiste, se resta vivo lo spirito di associazione, se il periodo antecedente di attività
coordinata avrà moltiplicate le relazioni personali, prodotte solide amicizie e creato un vero accordo
didee e di condotta tra i compagni, allora il lavoro deglindividui anche isolati concorrerà allo scopo
comune, e presto si troverà modo di riunirsi di nuovo e riparare al danno subito.
Noi siamo come un esercito in guerra e possiamo, secondo il terreno e secondo le misure prese
dal nemico, combattere in grandi masse o in ordine sparso: lessenziale è che ci consideriamo
sempre membri dello stesso esercito, che ubbidiamo tutti alle stesse idee direttive e siamo sempre
pronti a riunirci in colonne compatte quando occorre e si può.
Tutto questo che abbiamo detto è per quei compagni che realmente sono avversari del principio
di organizzazione. A quelli poi che combattono lorganizzazione solo perchè non vogliono entrare, o
non sono accettati, in una determinata organizzazione, e perchè non simpatizzano con gli individui
che ne fanno parte, noi diciamo: fate da voi, con quelli che sono daccordo con voi, unaltra
organizzazione. Noi ameremmo certo poter andare tutti daccordo e riunire in un fascio potente tutte
quante le forze dellanarchismo; ma non crediamo nella solidità delle organizzazioni fatte a forza di
concessioni e di sottintesi e dove non vè tra i membri accordo e simpatia reali. Meglio disuniti che
malamente uniti. Peró vorremmo che ciascuno si unisse coi suoi amici e non vi fossero forze
isolate, forze perdute.
d. Lorganizzazione come condizione della vita sociale16
Lorganizzazione, che poi non è altro che la pratica della cooperazione e della solidarietà, è
condizione naturale, necessaria della vita sociale: è un fatto ineluttabile che simpone a tutti, tanto
nella società umana in generale, quanto in qualsiasi gruppo di persone che hanno uno scopo comune
da raggiungere.
Non volendo e non potendo luomo vivere isolato, anzi non potendo esso diventare veramente
uomo e soddisfare i suoi bisogni materiali e morali se non nella società e colla cooperazione dei
suoi simili, avviene fatalmente che quelli che non hanno i mezzi o la coscienza abbastanza
sviluppata per organizzarsi liberamente con coloro con cui hanno comunanza dinteressi e di
sentimenti, subiscono lorganizzazione fatta da altri individui, generalmente costituiti in classe o
gruppo dirigente, allo scopo di sfruttare a proprio vantaggio il lavoro degli altri. E loppressione
millenaria delle masse da parte di un piccolo numero di privilegiati è stata sempre la conseguenza
della incapacità della maggior parte deglindividui di accordarsi, di organizzarsi con gli altri
lavoratori per la produzione, per il godimento e per la eventuale difesa contro chi volesse sfruttarli
ed opprimerli.
Per rimediare a questo stato di cose è sorto lanarchismo, il cui principio fondamentale è
lorganizzazione libera, fatta e mantenuta dalla libera volontà degli associati senza nessuna specie di
autorità, cioè senza che nessuno abbia il diritto di imporre agli altri la propria volontà. Ed è quindi
naturale che gli anarchici cerchino di applicare nella loro vita privata e di partito quello stesso
principio, su cui, secondo loro, dovrebbe essere fondata tutta quanta la società umana.
Da certe polemiche può sembrare che vi siano degli anarchici refrattari, ad ogni organizzazione;
ma in realtà le molte, le troppe discussioni che si fanno tra noi sullargomento, anche se oscurate da
questioni di parole, o avvelenate da questioni personali, in fondo riguardano il modo e non già il
principio di organizzazione. Così avviene che dei compagni che a parole sono i più avversi
allorganizzazione, quando vogliono davvero fare qualche cosa, si organizzano come, e spesso
meglio degli altri. La questione, ripeto, sta tutta nel modo.
Io credo soprattutto necessario, urgente, che gli anarchici sintendano, si organizzino il più ed il
meglio possibile per influire sulla via che seguono le masse nelle loro lotte per i miglioramenti e
lemancipazione.
Oggi la più grande forza di trasformazione sociale è il movimento operaio (movimento
sindacale), e dal suo indirizzo dipende in gran parte il corso che prenderanno gli avvenimenti e la
mèta a cui arriverà la prossima rivoluzione. Per mezzo delle organizzazioni, fondate per la difesa
dei loro interessi, i lavoratori acquistano la coscienza delloppressione in cui giacciono e
dellantagonismo che li divide dai loro padroni, incominciano ad aspirare ad una vita superiore, si
abituano alla lotta collettiva ed alla solidarietà, e possono riuscire e conquistare quei miglioramenti
che sono compatibili con la persistenza del regime capitalistico e statale. Dopo, quando il conflitto
diventa insanabile, viene o la rivoluzione, o la reazione. Gli anarchici debbono riconoscere lutilità e
limportanza del movimento sindacale, debbono favorirne lo sviluppo, e farne una delle leve della
loro azione, facendo tutto quello che possono perchè esso, in cooperazione colle altre forze di
progresso esistenti, sbocchi in una rivoluzione sociale che porti alla soppressione delle classi, alla
libertà totale, alleguaglianza, alla pace ed alla solidarietà fra tutti gli esseri umani. Ma sarebbe una
grande e letale illusione il credere, come fanno molti, che il movimento operaio possa e debba da se
stesso, in conseguenza della sua stessa natura, menare ad una tale rivoluzione. Al contrario, tutti i
movimenti fondati suglinteressi materiali ed immediati (e non si può fondare su altre basi un vasto
movimento operaio), se manca il fermento, la spinta, lopera concertata degli uomini didee, che
combattono e si sacrificano in vista di un ideale avvenire, tendono fatalmente ad adattarsi alle
circostanze, fomentano lo spirito di conservazione e la paura di cambiamenti in quelli che riescono
ad ottenere condizioni migliori, e finiscono spesso col creare nuove classi privilegiate e servire a far
sopportare e consolidare il sistema che si vorrebbe abbattere.
Di qui la necessità impellente di organizzazioni prettamente anarchiche che dentro, come fuori
dei sindacati lottino per la realizzazione integrale dellanarchismo e cerchino di sterilizzare tutti i
germi di degenerazione e di reazione.
Ma è evidente che per conseguire i loro scopi le organizzazioni anarchiche debbono essere,
nella loro costituzione e nel loro funzionamento, in armonia coi principi dellanarchismo, e cioè che
non siano in nessun modo inquinate da spirito autoritario, che sappiano conciliare la libera azione
deglindividui con la necessità ed il piacere della cooperazione, che servano a sviluppare la
coscienza e la capacità diniziativa dei loro membri, e siano un mezzo educativo per lambiente in cui
operano ed una preparazione morale e materiale per lavvenire che desideriamo.
e. Caratteri dellorganizzazione antiautoritaria17
Unorganizzazione anarchica deve essere fondata secondo me.... (sulle seguenti basi).
Piena autonomia, piena indipendenza e quindi piena responsabilità, deglindividui e dei gruppi;
accordo libero tra quelli che credono utile unirsi per cooperare ad uno scopo comune; dovere
morale di mantenere glimpegni presi e di non far nulla che contraddica al programma accettato. Su
queste basi si adottano poi le forme pratiche, gli strumenti adatti per dar vita reale
allorganizzazione. Quindi i gruppi, le federazioni di gruppi, le federazioni di federazioni, le
riunioni, i congressi, i comitati incaricati della corrispondenza o altro. Ma tutto questo deve esser
fatto liberamente in modo da non inceppare il pensiero e liniziativa dei singoli, e solo per dare
maggiore portata agli sforzi che, isolati, sarebbero impossibili o di poca efficacia.
Così i congressi in unorganizzazione anarchica, pur soffrendo come corpi rappresentativi di
tutte le imperfezioni che non fanno la legge, non impongono agli altri le proprie deliberazioni. Essi
servono a mantenere ed aumentare i rapporti personali fra i compagni più attivi, a riassumere e
fomentare gli studi programmatici sulle vie e sui mezzi dazione, e far conoscere a tutti le situazioni
delle diverse regioni e lazione che più urge in ciascuna di esse, a formulare le varie opinioni
correnti tra gli anarchici e farne una specie di statistica - e le loro decisioni non sono regole
obbligatorie, ma suggerimenti, consigli, proposte da sottoporre a tutti gli interessati, e non
diventano impegnative ed esecutive se non per quelli che le accettano e finche le accettano. Gli
organi amministrativi che essi nominano - Commissione di corrispondenza, ecc. - non hanno nessun
potere direttivo, non prendono iniziative se non per conto di chi quelle iniziative sollecita ed
approva e non hanno nessuna autorità, per imporre le proprie vedute, che essi possono certamente
sostenere e propagare come gruppi di compagni, ma non possono presentare come opinione
ufficiale dellorganizzazione. Essi pubblicano le risoluzioni dei congressi e le opinioni e le proposte
che gruppi e individui comunicano loro; e servono, per chi se ne vuol servire, a facilitare le
relazioni fra i gruppi e la cooperazione tra quelli che son daccordo sulle varie iniziative: libero chi
crede di corrispondere direttamente con chi vuole, o di servirsi di altri comitati nominati da speciali
aggruppamenti.
In unorganizzazione anarchica i singoli membri possono professare tutte le opinioni e usare
tutte le tattiche che non sono in contraddizione coi principi accettati e non nuocciono allattività
degli altri. In tutti i casi una data organizzazione dura fino a che le ragioni di unione sono superiori
alle ragioni di dissenso: altrimenti si scioglie e lascia luogo ad altri aggruppamenti più omogenei.
Certo la durata, la permanenza di unorganizzazione è condizione di successo nella lunga lotta
che dobbiamo combattere e daltronde è naturale che qualunque istituzione aspira, per istinto, a
durare indefinitivamente. Ma la durata di una organizzazione libertaria deve essere la conseguenza
dellaffinità spirituale dei suoi componenti e delladattabilità della sua costituzione ai continui
cambiamenti delle circostanze: quando non è più capace di compiere una missione utile meglio che
muoia.
2. Antiparlamentarismo ed elezionismo
1. LA TRUFFA PARLAMENTARE18
a. Linefficienza dei parlamenti e i problemi del movimento operaio.
Il socialismo fin dal suo nascere, collarme della critica positiva, che si appoggia sui fatti e dei
fatti cerca le cause e prevede le conseguenze, aveva fatto giustizia del suffragio universale e di tutta
quanta la menzogna parlamentare. Che se non lo avesse fatto, esso non avrebbe avuto ragion di
esistere come idea e partito nuovo: e si sarebbe confuso con lassurda utopia liberale, che aspetta
larmonia, la pace, ed il benessere generale della lotta, liberamente combattuta (sic), tra gente armata
di tutta la ricchezza e di tutta la forza sociale e poveri derelitti cui manca il tozzo di pane.
Il socialismo, nellaccezione più larga e più autentica della parola, significa la società fatta
strumento di libertà, di benessere e di sviluppo progressivo ed integrale per tutti i membri, per tutti
quanti gli esseri umani. Partendo dalla verità fondamentale che levoluzione delle facoltà morali ed
intellettuali presuppone la soddisfazione dei bisogni materiali, e che non può esservi libertà dove
non vè uguaglianza e solidarietà, esso riconobbe che la servitù in tutte le sue forme, politica, morale
e materiale, deriva dalla dipendenza economica del lavoratore dai detentori della materia prima e
degli strumenti da lavoro. E dopo aver cercato a tentoni la sua strada, e prodotta una serie di
progetti artificiosi ed utopistici, trovò infine la sua base saldissima nel principio, scientificamente
dimostrato, della giustizia, utilità e necessità della socializzazione della ricchezza e del potere.
Trovato il fine, urgeva occuparsi delle vie e mezzi per raggiungerlo. E non appena il socialismo,
uscito dal periodo della speculazione astratta, incominciò a penetrare in mezzo alle masse sofferenti
ed a fare le sue prime armi nelle lotte pratiche della vita, i socialisti saccorsero che si trovavano
stretti in un cerchio di ferro, che solo poteva rompersi colla diretta azione delle masse.
Impossibile esser liberi (il socialismo lo aveva dimostrato) senza essere economicamente
indipendenti; e daltra parte, come si può arrivare allindipendenza economica se si è schiavi?
Il popolo, spogliato di tutto ciò che la natura ha creato per il sostentamento delluomo e di tutto
quello che il lavoro umano ha aggiunto allopera della natura, dipende per la sua vita dal beneplacito
dei proprietari e si trova ridotto dalla miseria allavvilimento ed allimpotenza. E per consolidare e
difendere questo stato di cose, stanno i governi con tutta la forza degli eserciti, delle polizie e delle
finanze.
Quale mezzo legale di emancipazione, quando la legge è tutta quanta intesa a difendere lo stato
di cose che si dovrebbero distruggere?
Non lazione politica legale delle masse, che tutta si riassume nel voto, poichè questarma per
avere un valore qualsiasi, suppone già nella maggioranza numerica del popolo quella coscienza ed
indipendenza, che si tratta appunto di rendere possibile e di conquistare. E daltronde la borghesia e
per essa i governi non concedono il voto che quando si sono persuasi della sua innocuità, o quando,
di fronte alla attitudine minacciosa del popolo, lo considerano un mezzo opportuno per sviarlo ed
addormentarlo, caso in cui sarebbe, da tutti i punti di vista, una sciocchezza il contentarsene.
Concessolo, sanno giocarlo e dominarlo, e, se per avventura si mostrasse indocile, possono
sopprimerlo. Al popolo non resta altra risorsa che quella della rivoluzione, che il voto avrebbe
dovuto rendere inutile.
Non gli espedienti economici legali - mutuo soccorso, risparmio, cooperative, scioperi - poichè
la potenza schiacciante e sempre crescente del capitale, appoggiata, ove occorra, dalla forza delle
baionette, e le condizioni materiali e morali in cui essa ha ridotto il proletariato, li rendono dei
mezzi impotenti, illusori, o semplicemente ridicoli.
Non vi sono dunque che due vie di uscita. O la rinuncia volontaria delle classi dominanti al
possesso esclusivo della ricchezza ed a tutti i privilegi di cui godono sotto linfluenza dei buoni
sentimenti che la propaganda socialista può far nascere in esse: oppure la rivoluzione, l'azione
diretta delle masse, eccitata e mossa dalla minoranza cosciente che si va organizzando nelle file del
partito socialista.
La prima di queste vie, in cui dei generosi quanto ingenui filosofi credettero un momento, è
dimostrata una speranza illusoria, nonchè da tutta quanta la storia passata, dallesperienza
sanguinosa dei fatti contemporanei...
Restava la rivoluzione; e tutti i socialisti, che del socialismo non facevano un oggetto di
distrazione contemplativa ma un programma pratico che volevano al più presto possibile vedere
attuato, furono rivoluzionari.
I socialisti erano bensì divisi in due grandi frazioni rispondenti a due correnti didee. Gli uni,
autoritari, volevano servirsi per emancipare il popolo dello stesso meccanismo che ora lo tiene
sottomesso, e si proponevano la conquista del potere politico. Gli altri, gli anarchici, considerando
che lo Stato non ha ragione di essere se non in quanto rappresenta e difende gli interessi duna classe
o di una consorteria e che scompare quando, per luniversalizzazione del potere e delliniziativa, si
confonde colla totalità dei cittadini, si proponevano la distruzione del potere politico.
Gli uni volevano impadronirsi del governo e decretare, con forme e modi dittatoriali, la messa
in comune del suolo e degli strumenti del lavoro ed organizzare dallalto la produzione e
distribuzione socialistica. Gli altri volevano abbattere simultaneamente potere politico e proprietà
individuale, e organizzare la produzione, il consumo e tutta la vita sociale per mezzo dellopera
diretta e volontaria di tutte le forze e di tutte le capacità, che esistono nellumanità e che cercano
naturalmente di esplicarsi ed attuarsi.
Ma tutti, lo ripetiamo, volevano la rivoluzione, lappello alla forza; e per maturare la rivoluzione
volevano e praticavano la propaganda indefessa delle verità scoperte dal socialismo,
lorganizzazione delle forze coscienti del proletariato...
La lotta sarebbe stata senza dubbio lunga e faticosa, ma la via era tracciata e si sarebbe arrivati
direttamente alla vittoria piena e completa. Ma ecco che, contraddicendo a tutte le tendenze del
programma ed alla propaganda che essi stessi avevano menato con zelo ed intelligenza, alcuni
socialisti credettero bene di mettersi nelle vie tortuose e senza uscita del parlamentarismo.
Il socialismo, al principio deriso e negato, poscia combattuto con accanimento, già diventava
potente assai perchè i borghesi vi vedessero un pericolo serio ed una forza di cui bisognava contare.
Gli uni, i soddisfatti, credettero opportuno aggiungere alle persecuzioni ed ai massacri larme della
corruzione e dellinganno; mentre gli altri, quelli che sotto il nome di democratici aspiravano ad
impadronirsi del governo, pensarono a mistificarlo e servirsene.
Daltra parte vi erano dei socialisti i quali si trovarono disposti ad accordarsi a quella borghesia
che fieramente avevano combattuta. O stanchi della lotta e domati dalle persecuzioni: o perchè in
essi il sentimento socialista e rivoluzionario non era in realtà mai penetrato al disotto
dellepidermide e spariva col raffreddarsi dei primi entusiasmi giovanili; o perchè avevano
immaginato che la vittoria fosse facile e vicina ed erano sconcertati dalla scoperta di ostacoli non
sospettati, essi cercavano, forse anche senza rendersene conto esatto, unoccasione, un pretesto
decente per piegare bandiera e farsi accogliere in mezzo al campo nemico...
Il terreno comune su cui si incontrarono i borghesi, che cercavano di corrompere, e quei
socialisti, che cercavano di essere corrotti, fu lurna elettorale. Nè il danno sarebbe stato grande. Ma
i traditori, gli ambiziosi e gli stanchi riuscirono purtroppo a trascinare allurna molti buoni, che
credevano sinceramente di acquistare una nuova arma di lotta contro la borghesia, e di avvicinare
con quel mezzo lavvenimento della rivoluzione.
Naturalmente per mascherare la manovra il passaggio si fece a gradi.
Al principio non sinfirmò nessuna delle conclusioni acquisite al programma socialista.
Lespropriazione per mezzo della rivoluzione, si andava ripetendo, è lunico mezzo per emanciparsi:
il suffragio universale, la repubblica e tutte quante le riforme politiche lasciano il tempo che
trovano e non sono che tranelli tesi allingenuità popolare. Però, sinsinuava dolcemente, qualche
bene se ne può cavare: profittiamo di tutto, serviamoci come armi delle concessioni che possiamo
strappare al nemico, allarghiamo il nostro campo dazione, cessiamo dal roderci nella nostra
impotenza, siamo pratici. E tosto si mise avanti il progetto di andare allurna, scopo a cui tendeva ed
in cui si riduceva tutto quel preteso allargamento di tattica. Ma siccome non sosava ancora
rinnegare tutto il detto sulla inutilità della lotta elettorale e sullazione corruttrice dellambiente
parlamentare, si disse che bisognava votare semplicemente per contarsi, quasi che fosse necessario
andare allurna e farsi contare dal nemico per giudicare dei progressi del partito. E per affettare
scrupolosità si parlò di votare un bollettino in bianco, o per dei morti o per degli ineleggibili. Poi,
senza aver laria di nulla, i morti diventarono vivi e glineleggibili si trasformarono in persone che al
parlamento potevano e volevano andarci e restarci. Ma non si osava ancora confessarlo: si trattava
sempre di candidature di protesta: gli eletti non entrerebbero in parlamento, rifiuterebbero il
giuramento là dove era richiesto, o centrerebbero per sputare in faccia alla borghesia linfamia sua, e
farsi scacciare come nemico che non transige. Poi nemmeno più questo. In parlamento bisognava
andarci per profittare della tribuna parlamentare, per scoprire e denunciare al popolo i dietro scena
della politica, per avere dei posti avanzati nel campo nemico, dei posti presi nella cittadella
borghese.
Il deputato socialista non doveva essere legislatore, non doveva aver nessun legame coi deputati
della borghesia, ma stare in parlamento come spettro minaccioso della rivoluzione sociale in mezzo
a coloro che vivono dei sudori e del sangue del popolo.
Ma che!... oramai si stava sulla china e bisognava andare fino in fondo. Il partito rivoluzionario,
che entrava in parlamento, doveva diventar riformista, e lo diventò.
Lemancipazione integrale, cominciarono a dire, è una bella cosa, ma è come il paradiso: una
cosa lontana e che nessuno ha visto mai. Il popolo ha bisogno di miglioramenti immediati. Meglio
poco che nulla. La rivoluzione sarà tanto più facile quanto più concessioni ci saranno strappate alla
borghesia.
Senza contar quelli, pochi, del resto, che hanno saltato il fosso ed affermano addirittura che si
può raggiungere lo scopo per evoluzione pacifica.
E sinvocò la scienza, quella povera scienza che saccomoda a tutte le salse, per sofisticare
allinfinito sul tema evoluzione e rivoluzione; quasichè vi fosse alcuno che neghi levoluzione, e la
questione non fosse piuttosto sulla specie di evoluzione, che più corrisponde al fine socialista e che
quindi i socialisti devono propugnare.
La rivoluzione non è essa stessa che un modo di evoluzione; modo rapido e violento, che si
produce, spontaneo o provocato, quando i bisogni e le idee prodotte da una evoluzione precedente
non trovano più possibilità di soddisfarsi, o quando i mezzi accaparrati da alcuno fanno sì che
levoluzione oramai si svolgerebbe in senso regressivo, se non intervenisse a rimetterla in via una
forza nuova: lazione rivoluzionaria...
Non ritorneremo sulla impotenza del suffragio universale e del parlamentarismo a risolvere la
questione sociale, nè sulla futilità di tutte le riforme non fondate sullabolizione della proprietà
individuale, poichè questo deve essere già una cosa provata per chi è socialista; e noi in questo
opuscolo non dobbiamo difendere i principi socialisti, ma supporli già dimostrati.
Però, siccome la ragione od il pretesto che serve a certi socialisti per pigliar parte alle elezioni e
per farsi mandare al parlamento, è il vantaggio che ne potrebbe venire alla propaganda, noi
insisteremo sul danno che invece la propaganda ne risente.
Dordinario coloro che vantano lutilità di avere dei socialisti nei parlamenti e negli altri corpi
elettivi, ragionano come se per essere eletto bastasse il volerlo. Noi avremmo là, essi dicono, degli
uomini che godrebbero del diritto di viaggiare gratis o di altri vantaggi economici, che
permetterebbero loro di dedicarsi con maggiore efficacia alla propaganda; degli uomini che
potrebbero osservar da vicino le magagne del mondo politico e denunziarle al pubblico, e che
potrebbero, soprattutto, servirsi della tribuna parlamentare per difendere i principi socialisti, e
costringere tutto il paese a studiarli e discutere. Perchè rinunciare a questi benefizi?
Innanzi tutto vè una pregiudiziale: conserveranno gli eletti il programma che avevano da
candidati, e metteranno a difenderlo la stessa energia che vi mettevano prima? Certamente sarebbe
bello, onorevole per la natura umana, il poter affermare che qualunque fossero le convinzioni di
ciascuno ed il metodo di lotta prescelto, mai verrebbero meno la sincerità ed il coraggio. Ma la
prova è fatta; e disgraziatamente, quando si pensa alla condotta ignobile e vile che han tenuto, in
ogni dove, tutti, o quasi, i deputati socialisti, non è possibile serbare tali illusioni.
Lambiente parlamentare corrompe, e loperaio ed il rivoluzionario cessano di essere tali pel solo
fatto di essere diventati deputati. Del resto non cè da meravigliarsene.
Voi prendete un lavoratore, lo tirate fuori del suo ambiente, lo sottraete al lavoro, lo allontanate
da voi, di cui egli vedeva e divideva la miseria, lo mandate in mezzo ai signori, in mezzo al bel
mondo dove si gode e non si lavora, lo esponete a tutte le tentazioni: e poi vi meravigliate chegli si
adatti ad un ambiente ben più confortante di quello in cui viveva prima, chegli cerchi di assicurarsi
linsolito benessere, e dimentichi presto o tardi i suoi fratelli di miseria e glimpegni contratti con
essi? Voi prendete un rivoluzionario abituato ad essere palleggiato di prigione in prigione, ne fate
un legislatore; e poi siete sorpresi segli si lascia ammansire dal tepore di una libertà ed una
sicurezza personali mai godute? E daltronde, il sentimento dellimpotenza, in mezzo a gente
assolutamente refrattaria alla sua influenza, non spingerà anche chi è perfettamente sincero, a far
concessioni e transizioni, colla speranza di potere almeno ottenere qualche cosa?
Ma mettiamo pure che nessuno si corrompa, e che gli uomini siano tutti eroi... anche quelli che
smaniano per esser deputati.
Però come si può riuscire a mandare dei socialisti al parlamento? La maggioranza degli elettori
non è socialista, nemmeno a fabbricarsi un collegio elettorale apposta; che se lo fosse, allora non
avrebbe bisogno di nominare dei deputati, ma potrebbe, anche quando tutte le altre circoscrizioni
fossero reazionarie, in mille modi più efficaci attaccare il regime borghese ed essere un centro
dirradiazione socialista. Per formarsi dunque una maggioranza bisogna transigere, allearsi con
questo o con quello, mistificare il programma, promettere riforme immediate, far credere una cosa a
questo ed unaltra a quello, fare in modo che la borghesia vi tolleri, che il governo non vi combatta
troppo acerbamente. E allora che diventa la propaganda socialista?
Daltra parte, siccome ogni uomo si stima onesto e quasi tutti si stimano capaci, così avviene che
quasi ognuno che sa dire due parole, si considera in cuor suo deputabile quanto un altro; alla nobile
ambizione di far il bene e di essere il primo nei rischi e nei sacrifici si sostituisce a poco a poco, col
pretesto del bene generale, la bassa ambizione degli onori e dei privilegi; e nascono le rivalità tra i
compagni, le gelosie ed i sospetti. La propaganda dei principi cede il passo alla propaganda delle
persone; la rinascita delle candidature diventa il grande, anzi lunico interesse del partito; e una turba
di politicanti, che vedono nel socialismo un mezzo come un altro per farsi strada, si gettano in
mezzo al popolo e mistificano e corrompono programma e partito.
E che diremo della speranza di ottenere per mezzo dei deputati socialisti delle riforme che
possano, aspettando il meglio, lenire i dolori del popolo e levar degli ostacoli dal suo cammino? I
privilegiati non cedono che alla forza od alla paura. Se anche nel regime attuale è possibile un
qualche miglioramento, il solo modo per ottenerlo è di agitarsi fuori e contro i corpi costituzionali,
mostrando la ferma decisione di volerlo a qualunque costo. Affidare ai deputati il patrocinio della
volontà popolare serve solo per fornire al governo il mezzo di eluderla e per trastullare il popolo
con vane speranze.
b. Le menzogne del socialismo legalitario e le insidie della democrazia borghese
Fra le due frazioni in cui si divideva il partito socialista, gli autoritari dovevano naturalmente
sentire minor ripugnanza per la tattica parlamentare poichè (salvo lintermezzo di un periodo
rivoluzionario nel quale per via dittatoriale si sarebbe trasformata la costituzione economica della
società) la forma politica cui essi aspiravano era una forma qualsiasi di parlamentarismo.
Conservare nel popolo il rispetto del principio di autorità, e sviluppare in lui labitudine di
abbandonare in mano altrui la propria iniziativa e la propria forza, poteva entrare nelle loro mire,
poichè avrebbe facilitato il loro compito il giorno in cui fossero riusciti ad afferrare il potere.
Ma accettando, di fatto se non in teoria il parlamentarismo nellattuale ambiente economico, e
sperando e facendo sperare delle riforme e dei miglioramenti dallopera dei poteri legali, essi
cessarono di essere rivoluzionari, cessarono in pratica di essere socialisti e divennero, o van
diventando, dei semplici democratici, repubblicani dove cè la repubblica, monarchici dove cè la
monarchia, di cui tutto il programma si riduce al suffragio universale... salvo, ne conveniamo, le
aspirazioni teoriche, che il suffragio non potrà mai attuare.
È la logica della situazione che simpone. Repubblicani e monarchici democratici dicono: che il
popolo faccia la sua volontà... a mezzo delle assemblee elette a suffragio universale. E le assemblee
fanno la volontà dei proprietari, dei preti e dei politicanti, di cui sono e saranno composte fino a
quando dureranno le attuali condizioni economiche.
I socialisti dovrebbero rispondere, sotto pena di non esser più socialisti, che il popolo non può
fare quello che vuole, nè saprà quello che deve volere fino a quando sarà economicamente schiavo.
Ma avendo per necessità elettorali e per convenienze personali, prima trascurata e poi combattuta,
più o meno apertamente, la propaganda rivoluzionaria, che cosa restava loro se non accettare il
terreno che offrivan loro gli avversari naturali del socialismo? Ed essi lo hanno accettato, e fino al
punto da dimenticare spesso anche le affermazioni teoriche, che restavano lunica platonica
differenza tra loro ed i democratici borghesi.
Per gli anarchici era unaltra cosa. Per essi che negano la delegazione del potere e fanno appello
allazione libera e diretta di tutti, la "nuova tattica" oltre a far trascurare la propaganda socialista e
rivoluzionaria e gettare il partito nelle braccia dei borghesi, aveva pure il torto grandissimo di dare
alla parte cosciente delle masse uneducazione diametralmente opposta allo scopo che gli anarchici
vogliono raggiungere, poichè abitua a fidare negli altri e restare inerti. E perciò gli anarchici, come
partito, restarono incolumi dalla lebbra parlamentare. Coloro, che per le ragioni da noi accennate ne
furono tocchi, cessarono di essere anarchici, si unirono ai socialisti autoritari, ed insieme con questi
precipitarono giù fino nei bassi fondi del politicume borghese.
A causa dei voltafaccia, dei tradimenti, delle transazioni e delle inverosimili coalizioni che
produsse la tattica parlamentare, vi fu nel campo socialista un lungo periodo dincertezza e di
confusione che paralizzò lo slancio del movimento: ma oggi la posizione ritorna limpida e chiara.
Levoluzione delle idee e dei fatti, la logica del metodo, linfluenza determinante che i mezzi
adoperati esercitano sul fine da raggiungersi hanno fatto sì che ormai di vero socialismo non vè più
che il socialismo anarchico, che è di sua natura antiparlamentare e rivoluzionario.
Questo se si piglia la parola socialismo nel senso che gli han dato i suoi apostoli ed i suoi
martiri, e che ne ha fatto la leva potente che rovescerà il mondo borghese. Che se poi il significato
della parola socialismo dovesse seguire la marcia indietro, che precipitosamente stanno compiendo
i parlamentaristi, e dovesse significare quella ibrida accozzaglia di riforme burlesche, di
contraddittorie aspirazioni, di menzogne impudenti, che forma la base dei programmi elettorali
"socialisti", allora potrebbero certo esser socialisti Guglielmo di Germania e Leone XIII e tutti i
deputati e consiglieri "socialisti"; - ma non lo furono quelli che svelarono le menzogne della
Economia politica ed il nulla della democrazia, e che debellarono moralmente mazzinianismo e
radicalismo e li resero impotenti per sempre; non lo furono nè Bakunin nè Marx; non lo furono
coloro che per il socialismo sacrificarono gioventù, pace, amore, libertà; non lo furono coloro stessi
che alle lotte socialiste dei primi anni, abilmente sfruttate più tardi, debbono la loro attuale
posizione politica; non lo fu lInternazionale, non lo sono gli anarchici.
Il socialismo! Che cosa fu!?... a che cosè ridotto!?...
Uscito fuori dalle speculazioni dei filosofi, dai sogni degli utopisti, dalle rivolte delle plebi, il
socialismo si annunziò al mondo come la buona novella dellevo moderno. Esso era una promessa di
civiltà superiore; era la ribellione contro ogni prepotenza, contro ogni ingiustizia; era labolizione
dellodio, della concorrenza, della guerra; il trionfo dellamore, della cooperazione, della pace; era
lavvenimento del benessere e della libertà per tutti; la realizzazione nel futuro di quelleden che la
fantasia dei popoli e dei poeti, assetati dideale e ignari di storia, aveva messo allorigine dellumanità.
Esso era la lotta umana per eccellenza; ed elevandosi al disopra delle razze e delle patrie, al
disopra delle religioni e delle scuole filosofiche, al disopra delle classi e delle caste esso
abbracciava tutti gli uomini e tutte le donne in un santo ideale di uguaglianza e di solidarietà.
Esso non domandava la sostituzione di un partito ad un altro o di una classe ad unaltra, non
lavvento al potere ed alla ricchezza di un nuovo stato sociale (quarto stato), ma labolizione delle
classi, la solidarizzazione di tutti gli esseri umani nel lavoro e nel godimento comune.
Ed i socialisti erano apostoli, confessori e martiri; essi sentivano che portavano in sè stessi un
mondo, avevano la coscienza della loro sublime missione, e questa coscienza li faceva fieri,
coraggiosi e buoni.
Ignoranti o dotti, giovani ingenui o vecchi avanzi di altre battaglie; parte eletta del proletariato o
figli di borghesi ribelli alla classe in cui eran nati, che i loro privilegi di nascita consideravano come
un debito che imponeva loro maggiori doveri verso la causa dei diseredati, essi avevano fede nel
bene ed in loro stessi, amavano il popolo, erano assetati di scienza e di lotte, e baldi e fiduciosi
affrontavano le beffe e le calunnie, le piccole e le grandi persecuzioni, il carcere, lesilio, la miseria,
il patibolo; e andavano avanti.
Votati ad una lotta a morte contro tutte le istituzioni politiche, economiche, religiose,
giudiziarie, totalitarie del mondo borghese; urtando tanti interessi e tanti pregiudizi; dovendo
resistere a seduzioni e minacce dogni sorta, essi, tanto per ripugnanza naturale contro gli sfruttatori
ed i mistificatori del popolo, quanto per tattica di combattimento, si separavano nettamente da tutti
coloro che non erano popolo e non combattevano per lemancipazione integrale del popolo. Essi
formavano partito, scuola, quasi diremmo classe da loro.
Soli contro tutti, essi scrivevano sulla loro bandiera il motto delle coscienze integre, il motto di
chi ha fede in sè e nella propria causa, il motto sacro dei giorni di battaglia: Chi non è con noi è
contro di noi. Ed intendevano che fossero con loro tutti i miseri, tutti gli oppressi, tutte le vittime; e
tutti coloro che facevano propria la causa dei miseri e combattevano per la giustizia, per la libertà e
pel benessere generale: come erano contro di loro tutti i detentori e sostenitori del potere e tutti
coloro che al potere aspiravano.
Altro socialismo, altri socialisti non verano.
Ed allora?
Ora vè un socialismo che serve solo ad ingannare il popolo con vane promesse per mantenerlo
docile o per farsene sgabello; e vi sono dei socialisti che puttaneggiano nei ministeri e nei
parlamenti, che salleano coi borghesi, che si inchinano ai ministri, che acclamano un imperatore,
che si vendono ad un soldato, che mentono ai loro compagni, che prostituiscono ideali, programma,
coscienza per carpire agli ingenui un voto il quale valga a farli accogliere in mezzo alla borghesia.
O socialisti, uomini semplici e puri, cui ferve nel petto il santo amore degli uomini; o socialisti
che per le lusinghe di falsi amici faceste inconsapevolmente gli interessi della borghesia, non sentite
vergogna vedendo la vostra bandiera trascinata nel fango?
Oh! no; cotesti mercanti di voti, cotesti commedianti non sono socialisti; cacciateli di mezzo a
voi. E voi ritornate alle maschie battaglie che spazzeranno via dal mondo proprietà individuale e
governi, miseria e schiavitù.
2. LA POLEMICA CON MERLINO
a. Maggioranze e minoranze19
... Lamico nostro Merlino, che come sapete, si perde ora nellinane tentativo di voler conciliare
lanarchia col parlamentarismo, in una sua lettera al "Messaggero" volendo sostenere che "il
parlamentarismo non è destinato a sparire interamente e qualche cosa ne rimarrà anche nella società
che noi vagheggiamo", ricorda uno scritto da me inviato alla Conferenza anarchica di Chicago del
1893, in cui io sostenevo che "per talune cose il parere della maggioranza dovrà necessariamente
prevalere a quello della minoranza".
La cosa è vera, nè le mie idee sono oggi diverse da quelle espresse nello scritto di cui si tratta.
Ma Merlino, riportando una mia frase staccata per sostenere una tesi diversa da quella che
sostenevo io, lascia nellombra e nellequivoco quello che io veramente intendevo.
Ecco: verano a quellepoca molti anarchici, e ve nè ancora un poco, che scambiando la forma
colla sostanza e badando più alle parole che alle cose, si erano formati una specie di "rituale del
vero anarchico" che inceppava la loro azione, e li trascinava a sostenere cose assurde e grottesche.
Così essi, partendo dal principio che la maggioranza non ha il diritto dimporre la sua volontà
alla minoranza, ne conchiudevano che nulla si dovesse mai fare se non approvato allunanimità dei
concorrenti. Confondendo il voto politico, che serve a nominarsi dei padroni con il voto quando è
mezzo per esprimere in modo spiccio la propria opinione, ritenevano anti-anarchica ogni specie di
votazione.
Contro queste e simili aberrazioni era diretto lo scritto che io mandai a Chicago.
Io sostenevo che non ci sarebbe vita sociale possibile se davvero non si dovesse fare mai nulla
insieme se non quando tutti sono unanimemente daccordo. Che le idee e le opinioni sono in
continua evoluzione e si differenziano per gradazioni insensibili, mentre le realizzazioni pratiche
cambiano a salti bruschi; e che, se arrivasse un giorno in cui tutti fossero perfettamente daccordo
sui vantaggi di una data cosa, ciò significherebbe che in quella data cosa ogni progresso possibile è
esaurito. Così, per esempio, se si trattasse di fare una ferrovia, vi sarebbero certamente mille
opinioni diverse sul tracciato della linea, sul materiale, sul tipo di macchine e di vagoni, sul posto
delle stazioni, ecc., e queste opinioni andrebbero cambiando di giorno in giorno: ma se la ferrovia si
vuol fare bisogna pure scegliere fra le opinioni esistenti, nè si potrebbe ogni giorno modificare il
tracciato, traslocare le stazioni e cambiare le macchine. E poichè di scegliere si tratta è meglio che
siano contenti i più che i meno, salvo naturalmente a dare ai meno tutta la libertà e tutti i mezzi
possibili per propagare e sperimentare le loro idee e cercare di diventare la maggioranza.
Dunque in tutte quelle cose che non ammettono parecchie soluzioni contemporanee, o nelle
quali le differenze dopinione non sono di tale importanza che valga la pena di dividersi ed agire
ogni frazione a modo suo, o in cui il dovere di solidarietà impone lunione, è ragionevole, giusto,
necessario che la minoranza ceda alla maggioranza.
Ma questo cedere della minoranza deve essere effetto della libera volontà, determinata dalla
coscienza della necessità; non deve essere un principio, una legge, che sapplica per conseguenza in
tutti i casi, anche quando la necessità realmente non cè. Ed in questo consiste la differenza tra
lanarchia e una forma di governo qualunque. Tutta la vita sociale è piena di queste necessità in cui
uno deve cedere le proprie preferenze per non offendere i diritti degli altri.
...Come fa il Merlino a cavare da questo che un resto di parlamentarismo vi dovrà essere anche
nella società che noi vagheggiamo?
Il parlamentarismo è una forma di governo nella quale gli eletti del popolo, riuniti in corpo
legislativo fanno, a maggioranza di voti, le leggi che a loro piace e le impongono al popolo con tutti
i mezzi coercitivi di cui possono disporre.
È un avanzo di questa bella roba, che Merlino vorrebbe conservata anche in Anarchia? Oppure,
poichè in Parlamento si parla, e si discute e si delibera, e questo si farà sempre in qualsiasi società
possibile, Merlino chiama questo un avanzo di parlamentarismo?
Ma ciò sarebbe davvero giuocar sulle parole, e Merlino è capace di altri e ben più seri
procedimenti di discussione...
b. Anarchia e parlamentarismo20
...Merlino nega (vedi lAvanti! del 9 marzo) che la lotta politica parlamentare sia contraria ai
principi socialisti-anarchici.
Intendiamoci bene.
Quello che è contrario ai nostri principii è il parlamentarismo, in tutte le sue forme e tutte le sue
gradazioni. E noi riteniamo che la lotta elettorale e parlamentare educa al parlamentarismo e finisce
col trasformare in parlamentaristi coloro che la praticano.
Merlino, che pare si dica ancora anarchico e pare vada facendo continue riserve sullabolizione
piena ed intera del parlamentarismo ed accampa la fede nuovissima nella possibilità di un governo
che sia servitore del popolo e si possa congedare quando non faccia il suo dovere o non si abbia più
bisogno dellopera sua, dovrebbe innanzi tutto spiegarci che cosa sarebbe questa sua anarchia
parlamentare. Finora il socialismo anarchico alla fin fine, non è stato che il socialismo
antiparlamentare; perchè allora continuare a chiamarlo anarchico?
Lastensione degli anarchici non è da confrontare con quella, per esempio, dei repubblicani. Per
questi lastensione è una semplice questione di tattica: si astengono quando credono imminente la
rivoluzione e non vogliono distrarre forze della preparazione rivoluzionaria; votano quando non
hanno di meglio da fare, ed il loro meglio è molto ristretto poichè rifuggono per ragioni di classe
dalle agitazioni sovvertitrici degli ordini sociali. In realtà essi stanno sempre sul buon cammino:
essi vogliono un governo parlamentare e gli elettori che conquistano adesso sono sempre buoni per
mandarli un giorno alla costituente.
Per noi invece, lastensione si collega strettamente con le finalità del nostro partito. Quando
verrà la rivoluzione (fra mille anni, sintende, ci badi il procuratore del re) noi vogliamo rifiutarci a
riconoscere i nuovi governi che tenteranno dimpiantarsi, noi non vogliamo dare a nessuno un
mandato legislativo e quindi abbiamo bisogno che il popolo abbia ripugnanza delle elezioni, si
rifiuti a delegare ad altri lorganizzazione del nuovo stato di cose, e quindi si trovi nella necessità di
fare da sè.
Noi dobbiamo far sì che gli operai si abituino, fin da ora, per quanto è possibile, nelle
associazioni di ogni genere, a regolare da loro i propri affari, e non già incoraggiarli nella tendenza
a rimettersene in altri.
Merlino per ora dice ancora che le elezioni debbono servire come mezzo di agitazione, che gli
eletti socialisti non debbono essere legislatori, e che la lotta importante si deve fare nel popolo,
fuori del parlamento.
Ma senta un po i suoi amici dellAvanti! Quelli sono logici. Essi vogliono andare al potere - per
fare il bene del popolo, noi non ne dubitiamo - e quindi hanno ogni interesse a educare il popolo a
nominare dei deputati e ad abituarsi essi a saper governare.
Ma Merlino dove vuole arrivare? Resterà egli eternamente tra il sì ed il no, tra il mi decido e
non mi decido?...
Tutta la forza dellargomentazione di Merlino consiste in un equivoco. Egli pone in contrapposto
da una parte la lotta elettorale e dallaltra linerzia, lindifferenza e lacquiescenza supina alle
prepotenze del governo e dei padroni; ed è chiaro che il vantaggio resta alla lotta elettorale...
La questione è tuttaltra. Si tratta di cercare qualè il mezzo più efficace di resistenza popolare,
qualè la via che, mentre soddisfa ai bisogni del momento, conduce più direttamente ai destini futuri
dellumanità, qualè il modo più utile dimpiegare le forze socialiste.
Non è vero che senza il parlamento mancano i mezzi per far pressione sul Governo e metter
freno ai suoi eccessi. Al contrario. Quando in Italia non vera il suffragio popolare, vera una libertà
che oggi ci sembrerebbe grande; e le violenze governative, molto minori di quelle di Crispi e Di
Rudini, provocavano unindignazione e una reazione popolare di cui oggi non si ha più lidea. Lo
stesso suffragio, di cui fan tanto caso, è stato naturalmente ottenuto quando il suffragio non vera; ed
ora che vè, minacciano di toglierlo. Effetto miracoloso della sua efficacia!...
Daltronde il fatto è questo; se nel paese vè coscienza e forza di resistenza, se vi sono partiti
extracostituzionali che minacciano lo Stato, allora il governo rispetta lo Statuto, allarga il suffragio,
concede libertà, tanto per aprire delle valvole di sicurezza alla crescente pressione; ed in Parlamento
i deputati borghesi tuonano contro i ministri, tanto per farsi popolari. Se invece il governo vede che
i partiti popolari fondano le loro speranze sullazione parlamentare e che la cosa che più gli dà noia
sono i deputati socialisti, allora respinge il suffragio, tien chiuso il parlamento, viola lo Statuto; e se
i deputati hanno il nerbo, cosa rara, di resistere più che per burla, vanno in prigione malgrado il
medaglino e limmunità.
Quando Merlino poi dice che gli astensionisti sono dei dottrinari e si compiace a mettere in
bocca loro una serie di ragionamenti che mena fuori di ogni vita reale ed al più completo quietismo,
allora Merlino è... men che sincero.
Vi sono è vero degli anarchici che si curano poco della praticabilità delle loro idee e limitano il
loro compito alla predica di nozioni astratte, che essi credono il vero assoluto... se vero oggi, o vero
tra mille anni non importa.
Ma Merlino sa che quella tendenza non è quella di tutti gli anarchici, che di essa in Italia appena
se ne ritroverebbe la traccia e che, anche allestero, essa in fondo non è rappresentata che da poche
personalità.
Servirsi dellesistenza di una tale tendenza per attribuirla a tutti gli anarchici e darsi così laria di
aver ragione, può essere un abile espediente di polemica, ma non è degno di chi cerca e vuol
propagare la verità...
c. Società autoritaria e società anarchica21
...Noi pensiamo che in molti casi la minoranza anche se convinta di aver ragione, deve cedere
alla maggioranza, perchè altrimenti non vi sarebbe vita sociale possibile - e fuori della società è
impossibile ogni vita umana. E sappiamo benissimo che le cose in cui non si può raggiungere
lunanimità ed in cui è necessario che la minoranza ceda non sono le cose di poco momento; ma
anche, e specialmente, quelle di importanza vitale per leconomia della collettività.
Noi non crediamo nel diritto divino delle maggioranze, ma nemmeno crediamo che le
minoranze rappresentino, sempre, la ragione ed il progresso... Del resto, se è vero che i
rivoluzionari sono sempre una minoranza, sono anche sempre in minoranza gli sfruttatori ed i birri.
Così pure noi siamo daccordo col Merlino nellammettere che è impossibile che ogni uomo
faccia tutto da sè, e che, se anche fosse possibile, ciò sarebbe sommamente svantaggioso per tutti.
Quindi ammettiamo la divisione del lavoro sociale, la delegazione delle funzioni e la
rappresentanza delle opinioni e degli interessi propri affidata ad altri.
E soprattutto respingiamo come falsa e perniciosa ogni idea di armonia provvidenziale e di
ordine naturale nella società, poichè crediamo che la società umana e luomo sociale esso stesso
siano il prodotto di una lotta lunga e faticosa contro la natura, e che se luomo cessasse dallesercitare
la sua volontà cosciente e si abbandonasse alla natura, ricadrebbe presto nella animalità e nella lotta
brutale.
Ma - e qui è la ragione per cui siamo anarchici - noi vogliamo che le minoranze cedano
volontariamente quando così lo richieda la necessità ed il sentimento della solidarietà. Vogliamo
che la divisione del lavoro sociale non divida gli uomini in classi e faccia gli uni direttori e capi,
esenti da ogni lavoro ingrato, e condanni gli altri ad esser le bestie da soma della società. Vogliamo
che delegando ad altri una funzione, cioè incaricando altri di un dato lavoro, gli uomini non
rinunzino alla propria sovranità, e che, ove occorra un rappresentante, questi sia il portaparola dei
suoi mandanti o lesecutore delle loro volontà, e non già colui che fa la legge e la fa accettare per
forza, e crediamo che ogni organizzazione sociale non fondata sulla libera e cosciente volontà dei
suoi membri conduce alloppressione ed allo sfruttamento della massa da parte di una piccola
minoranza.
Ogni società autoritaria si mantiene per coazione. La società anarchica deve essere fondata sul
libero accordo: in essa bisogna che gli uomini sentano vivamente ed accettino spontaneamente i
doveri della vita sociale, e si sforzino di organizzare glinteressi discordanti e di eliminare ogni
motivo di lotta intestina; o almeno che, se conflitti sì producono, essi non siano mai di tale
importanza da provocare la costituzione di un potere moderatore, che col pretesto di garantire la
giustizia a tutti, ridurrebbe tutti in servitù.
Ma se la minoranza non vuol cedere? dice Merlino. E se la maggioranza vuol abusare della sua
forza? domandiamo noi.
È chiaro che nellun caso come nellaltro non vè anarchia possibile...
d. Concezione integrale dellanarchia22
...Perchè dice Merlino che "ci veniamo avvicinando"? Perchè noi ammettiamo la necessità della
cooperazione e dellaccordo fra i membri della società e ci pieghiamo alle condizioni fuori delle
quali cooperazione ed accordo non sono possibili? Ma questo è socialismo, e Merlino sa che noi
siamo sempre stati socialisti e perciò sempre molto "vicini".
La questione ora è se il socialismo deve essere anarchico o autoritario, vale a dire se laccordo
deve essere volontario o imposto.
Ma se la gente non vuole accordarsi? Eh! Allora sarà la tirannia o la guerra civile, ma non sarà
lanarchia. Per forza lanarchia non si fa: la forza può e deve servire per abbattere gli ostacoli
materiali, per mettere il popolo nella condizione di scegliere liberamente come vuol vivere, ma più
non può fare.
Ma se "un pugno di farabutti o di nevrotici o anche un solo individuo si ostina nel dir no, allora
non è possibile lanarchia?" diavolo! Non sofistichiamo. Questi individui sono ben liberi di dire no,
ma non potranno impedire agli altri di far sì - e quindi dovranno adattarsi il meglio che possono.
Chè se poi "i farabutti o i nevrotici" fossero tanti da poter disturbare sul serio la società ed
impedirle di funzionare pacificamente, allora... purtroppo, non saremmo ancora in anarchia.
Noi non facciamo dellanarchia un eden ideale, che per essere troppo bello, si debba poi
rimandare alle calende greche. Gli uomini sono troppo imperfetti, troppo abituati a rivaleggiarsi ed
odiarsi tra loro, troppo abbrutiti dalle sofferenze, troppo corrotti dallautorità, perchè un
cambiamento di sistema sociale possa, dalloggi al domani, trasformarli tutti in esseri idealmente
buoni ed intelligenti. Ma quale che sia lestensione degli effetti che si possono sperare dal
cambiamento, il sistema bisogna cambiarlo, e per cambiarlo bisogna che si realizzino le condizioni
indispensabili al detto cambiamento.
Noi crediamo che lanarchia sia prossimamente attuabile, perchè crediamo che le condizioni
necessarie alla sua esistenza vi siano già neglistinti sociali degli uomini moderni, tanto che essi
mantengono come che sia in vita la società, malgrado la continua azione dissolvente, antisociale,
del governo e della proprietà. E crediamo che rimedio e baluardo contro le cattive tendenze di
alcuni e contro i pericoli dinteressi e di gusti di altri non sia un governo qualsiasi, il quale essendo
composto di uomini non può che far pendere la bilancia dalla parte degli interessi e dei gusti di chi
sta al governo - ma la libertà la quale, quando ha a base luguaglianza di condizioni, è la grande
armonizzatrice dei rapporti umani.
Noi non aspettiamo per volere attuata lanarchia che il delitto, o la possibilità del delitto, sia
sparita dai fenomeni sociali; ma non vogliamo la polizia, perchè crediamo che essa, mentre è
impotente a prevenire il delitto, o ripararne le conseguenze, è poi per se stessa fonte di mille mali e
pericolo costante per la società; e se per difendersi vi fosse bisogno di armarsi, vogliamo essere
armati tutti e non già costituire in mezzo a noi un corpo di pretoriani. Noi ci ricordiamo troppo della
favola del cavallo che si fece mettere il morso e montare in groppa luomo per meglio dar la caccia
al cervo - e Merlino sa bene che menzogna sia "il controllo dei cittadini", quando i controllati sono
quelli che hanno in mano la forza!...
e. Incompatibilità23
...Merlino scrive:
"La difesa sociale (scrivete voi) devesser la cura di tutta la società; e se per difendersi vi fosse
bisogno di armarsi, vogliamo essere armati tutti. Così ragionando, lamministrazione della pubblica
ricchezza devessere la cura di tutta la società; e se per amministrarla vi fosse bisogno di far progetti,
compilare statistiche, studiare scienze tecniche - ebbene quelle cose vogliamo farle tutti.
"Leducazione e listruzione dei fanciulli devessere la cura di tutta la società. Chi non sa quanto
sia pericoloso confidare a pochi individui la cura di educare la nuova generazione? Dunque
facciamoci tutti professori. E via di questo passo, si nega il principio della divisione del lavoro, si
arriva al concetto Kropotkiniano, che il popolo in massa distribuirà le case, i viveri, il lavoro, farà
tutto".
Se noi dicessimo che Merlino per confutarci ci affibbia delle idee che egli dovrebbe sapere non
essere le nostre, egli se ne offenderebbe - e noi non vogliamo offenderlo. Noi ammettiamo
certamente la divisione del lavoro e ne apprezziamo i vantaggi; ma ne conosciamo pure i danni ed i
pericoli. La divisione del lavoro è stata una fra le cause dellassoggettamento delle masse al dominio
delle caste privilegiate. E col principio della divisione del lavoro si può tentare la giustificazione di
tutte le mostruosità sociali: divisione tra lavoro mentale e lavoro manuale, divisione fra il lavoro di
direzione e quello di esecuzione, divisione tra il lavoro di produzione e quello di difesa dei
produttori...che poi si riassumono e si concretano nella divisione tra il lavoro di mangiare e quello
di produrre, tra il lavoro di bastonare e quello di farsi bastonare. Menenio Agrippa conosceva già
questargomento.
Noi crediamo che carattere essenziale, non solo dellanarchismo ma del socialismo in genere, sia
il volere che certe funzioni debbano appartenere indistintamente a tutti i membri della società,
malgrado i vantaggi tecnici che vi potrebbero essere nellaffidarle ad una classe speciale. Si divida
pure il lavoro fino a che si può, per aumentare la produzione e facilitare il funzionamento della vita
sociale: ma sian salvi innanzi tutto lintegrale sviluppo e leguale libertà di tutti gli individui.
Tra le funzioni che, secondo noi, non si possono affidare senza gravi inconvenienti ad una
classe speciale dindividui vi sono quelle in cui potrebbe esserci bisogno di adoperare la forza fisica
contro un essere umano.
Così per esempio, potrebbe, non lo neghiamo, esservi un vantaggio tecnico ad avere un corpo di
specialisti incaricati di diagnosticare la follia pericolosa e di portare i matti al manicomio, ma, che
volete? Noi abbiam paura che quei signori dottori ed infermieri giudicherebbero matti tutti quelli
che non la pensano come loro. Lombroso insegni, che ci rinchiuderebbe tutti, Merlino compreso!
Per la polizia propriamente detta, peggio di peggio: addestrate un uomo a dar la caccia agli uomini
ed avrete, tecnicamente parlando, un buon agente di polizia; ma nello stesso tempo avrete spento in
lui ogni sentimento di simpatia umana, avrete spento luomo e non troverete più che lo sbirro...
f. L'accordo non è possibile24
...Merlino dice che noi ci sforziamo di esagerare il nostro dissenso coi socialisti-democratici.
Laccusa sarebbe ben altrimenti giusta se fosse invertita. Sono i socialisti democratici che
continuamente - e disonestamente - si sforzano di travisare le nostre idee, per poter poi dire che noi
non siamo socialisti, e negare la parentela intellettuale e morale che li unisce a noi. Ancora laltro
giorno lAvanti! negava ogni rapporto tra anarchismo e socialismo, e diceva di noi quello che
avrebbe potuto dire di un partito di piccoli borghesi che si rivoltasse violentemente contro laumento
delle tasse e la concorrenza dei grossi capitalisti: così che uno potrebbe prendere per anarchici i
padroni macellai e fornai di Napoli e Palermo, quando protestano e resistono contro il calmiere
municipale! E lAvanti! è ancora uno degli organi meno intolleranti che vanta il partito socialista
democratico!
Noi vogliamo essere un Partito separato, non per il piacere di distinguerci dagli altri, ma perchè
realmente abbiamo idee e metodi diversi dagli altri partiti esistenti. E respingiamo assolutamente la
supposizione che noi esageriamo in un senso per fare equilibrio alle esagerazioni opposte degli altri.
Noi sosteniamo quel che sosteniamo, perchè crediamo che sia la verità, e non per altra ragione. Se
ci accorgessimo che nel nostro programma vè una parte derrore, noi ci affretteremmo a
sbarazzarcene; e quando anche gli altri modificassero le loro idee in modo da incontrarsi con noi,
allora... noi e gli altri costituiremmo naturalmente un partito solo. Ora come ora, le idee sono
differenti, ed è giusto e necessario che vi siano Partiti differenti.
Noi non vogliamo soltanto resistere alla possibile tirannia dei socialisti al potere: noi vogliamo
far sì che il popolo si rifiuti a nominare o a riconoscere dei nuovi governanti, e pensi da se stesso ad
organizzarsi localmente e federalisticamente, senza tener conto delle leggi e di decreti di un nuovo
governo, e resistendo colla forza contro ciò che gli si volesse imporre per forza. E se, per mancanza
di forza sufficiente, non potessimo raggiungere subito questo nostro scopo, allora in attesa di
divenir più forti, eserciteremmo quellazione, moderatrice o eccitatrice secondo i casi, che esercitano
i partiti di opposizione quando non si lasciano corrompere ed assorbire. Il consiglio di Merlino, di
entrare nel partito socialista democratico per poter prevenire la tirannia dei socialisti al potere
equivale a quello di divenire, per esempio monarchici o repubblicani per evitare che la monarchia o
la repubblica fossero troppo reazionarie. Questultimo consiglio sarebbe giustificato, se dato a chi è
disposto ad accomodarsi con la monarchia o la repubblica, come sarebbe giustificato quello di
Merlino se noi accettassimo il principio di un governo socialista e ci dicessimo anarchici solo allo
scopo di prevenire che quel governo fosse troppo autoritario. Ma quello non è il caso.
Quel che dice Merlino che molti anarchici si dicono oggi genericamente socialisti e non già
comunisti o collettivisti non perchè vogliono un sistema misto quale lo desidera Merlino, ma
perchè, o sono incerti o non danno importanza alla questione, o non vogliono farne una ragione di
divisione, è vero. Noi stessi siamo propriamente comunisti, alla sola condizione (sottintesa, perchè
senza di essa non potrebbe esserci anarchia) che il comunismo sia volontario ed organizzato in
modo che ammetta la possibilità di vivere secondo altri schemi...
g. Problemi di oggi e di domani. Governo socialista e forze armate25
...Io domandavo se, a senso suo, quel qualsiasi governo, o parlamento chegli crede necessario al
buon andamento della società dovrà avere a sua disposizione una forza armata.
E Merlino mi risponde che "luso della forza dovrà essere riservato ai casi estremi e non dovrà
essere ad arbitrio di un Governo o di un Parlamento di adoperarla contro i Cittadini ricalcitranti ad
un dato provvedimento".
Io non ci capisco nulla. Se il Governo non ha il diritto di costringere i cittadini ad ubbidire alle
leggi, allora non è più un governo, nel senso comune della parola e noi non avremmo più a
domandarne labolizione: ci basterebbe di fare a modo nostro quando quello che esso vuole non ci
conviene.
Non vi deve essere una forza armata permanente, dice Merlino, ma i cittadini stessi potranno
esser chiamati in casi straordinari, come già si usa in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ma chiamati da
chi? Dal Governo? E saranno obbligati ad accorrere alla chiamata? In Inghilterra e negli Stati Uniti
vi è una polizia; e le milizie che il governo chiama in casi straordinari servono, salvo che non si
ribellino, agli scopi del governo, tra cui è sempre primo quello di tenere a freno ed alloccasione di
massacrare il popolo. E quello il regime politico che vagheggia Merlino?
Ma luso della forza va regolato e tolto allarbitrio di unamministrazione centrale qualsiasi, dice
Merlino. Che si tratti dunque di uno Statuto che dovrà fissare i diritti rispettivi del Cittadino e quelli
del Governo e che sarà rispettato... come lo sono sempre stati gli Statuti!
Noi vogliamo che tutti i cittadini abbiano diritto uguale di essere armati e di correre alle armi
quando se ne presenti la necessità, senza che nessuno possa costringerli a marciare o a non
marciare. Vogliamo che la difesa sociale, interesse di tutti, sia affidata a tutti, senza che nessuno
faccia il mestiere di difensore dellordine pubblico e viva di esso.
Ma, dice Merlino, se io sono attaccato da uno più forte di me, come farò a difendermi?
Accorrerà la gente ad aiutarmi? E accorrendo, come farà a giudicare da che parte sta la ragione? E
siccome probabilmente si produrranno opinioni diverse, si avrà dunque per ogni disputa una guerra
civile?
E i carabinieri, rispondo io, sono sempre presenti per difendere chi è attaccato? Ed è sicuro
chessi non si mettano mai dalla parte di chi ha torto? E il giudizio dei magistrati offre forse più
garanzie di giustizia di quello della folla? E la tirannia è forse preferibile alla guerra civile? Merlino
ragiona come fanno i conservatori. Egli mette innanzi tutti glinconvenienti, tutti i conflitti possibili
nella vita sociale, e se ne serve per dire impossibili ed assurdi glideali nostri - dimenticando però di
dirci come a quegli inconvenienti ed a quei conflitti si ripara nel sistema suo.
Merlino teme la guerra civile; ma che cosa è un regime autoritario se non uno stato di guerra, in
cui una delle parti è stata vinta e si trova soggetta? Merlino dirà che egli è libertario e non già
autoritario; ma se qualcuno, individuo o collettività, minoranza o maggioranza può imporre agli
altri la propria volontà, la libertà è una menzogna, o non esiste se non per chi dispone della forza.
Io non ho mai detto che lAnarchia, specie nei primi mi tempi sarà lArcadia o lEldorado. Vi
saranno purtroppo guai e difficoltà inerenti allimperfezione ed al disaccordo degli uomini; ma se vè
probabilità che i mali siano minori che in qualsiasi regime autoritario, ciò mi basta per essere
anarchico.
Il benessere e la libertà di tutti, labolizione della tirannia e della schiavitù non si possono avere
se non quando gli uomini si sforzino di armonizzare i loro interessi e si pieghino volontariamente
alle necessità sociali. Ed io credo che, abolita la proprietà individuale ed il governo, distrutta cioè la
possibilità di sfruttare ed opprimere gli altri sotto legida delle leggi e della forza sociale, gli uomini
avranno interesse, e quindi volontà, di accordarsi e risolvere i possibili conflitti pacificamente,
senza ricorrere alla forza. Se ciò non fosse, evidentemente lanarchia sarebbe impossibile; ma
sarebbero anche impossibili la pace e la libertà.
Merlino non è persuaso quando gli dico che contro il volere degli uomini lanarchia non si fa.
Ma sa egli concepire un regime che si regga senza e contro la volontà degli uomini, o almeno di
coloro tra gli uomini che pensano e vogliono? E conosce egli un regime che valga più di quel che
valgono gli uomini che lo accettano? Tutto dipende dalla volontà degli uomini. Cerchiamo dunque
di educarli a volere la libertà e la giustizia per tutti, e a cacciare dal loro spirito il pregiudizio della
necessità del gendarme.
Io dissi che non sono profeta, e Merlino trova che io rispondo come fanno i socialisti
democratici quando si tenta di dimostrar loro glinconvenienti del Collettivismo.
Il caso non è eguale.
I socialisti democratici vogliono che il popolo li mandi al potere, a far le leggi, ad organizzare la
nuova società, e quindi dovrebbero almeno dirci che uso farebbero di questo potere, e a quali leggi
ci sottoporrebbero. Noi anarchici invece vogliamo che il popolo conquisti la libertà e... faccia quello
che vuole...
Ma insomma, le idee mie possono essere sbagliate, e, come ho detto, non sarebbe gran male,
perchè io non voglio imporle a nessuno. Merlino però, il quale si lamenta che noi non vogliamo fare
i profeti e non definiamo abbastanza le nostre idee sullavvenire, dovrebbe dirci lui che cosa è che
vuole.
Non crede nell"amministrazione" dei socialisti democratici, non nelle associazioni degli
anarchici, e tampoco vuole egli demolire il presente senza preoccuparsi dellavvenire. Che cosa
vuole egli dunque?
Criticare le idee degli altri è ottima cosa, ma non basta. Noi sappiamo che tutti i sistemi hanno i
loro lati deboli: il nostro come quelli degli altri. Ma per rinunziare al nostro bisognerebbe che ce se
ne proponesse uno che abbia meno inconvenienti.
Tutto è relativo. Noi siamo anarchici perchè lAnarchia, nel senso che noi diamo alla parola, di
pare la migliore soluzione del problema sociale. Se Merlino conosce qualche cosa di meglio, ce lo
insegni subito.
3. SOCIALISMO LEGALITARIO E SOCIALISMO ANARCHICO. LINTERVISTA DI
CIANCABILLA E LA POLEMICA CON L`AVANTI!
a. La situazione del movimento e le sue prospettive26
[Sulla situazione di crisi del movimento in Italia Malatesta, allora rientrato clandestinamente
dallInghilterra e stabilitosi ad Ancona, attribuiva uninfluenza solo indiretta alle leggi eccezionali.
Secondo Malatesta la crisi era preesistente ed interna al movimento.]
- E quali erano queste cause interne di debolezza?
- Principalmente eran questioni teoriche, non ancora ben delucidate, le quali avevan fatto sì che
ci credevano daccordo, mentre spesso sotto una stessa fraseologia si nascondevano idee
assolutamente diverse.
Eranvi poi in mezzo a noi degli elementi dissolventi che di anarchici non avevano che il nome.
Fu inoltre gravissimo errore quello di esserci allontanati dal movimento operaio e di aver cessato
così a poco a poco dallessere un partito vivente e popolare, per ridurci invece in un manipolo di
dottrinari.
Si può aggiungere che in sui primordi del movimento anarchico, forse per lestrema giovinezza
ed inesperienza dei suoi iniziatori, si aveva lillusione di poter arrivare alla rivoluzione a breve
scadenza; e per conseguenza si trascurava ogni lavoro di organizzazione che richiedeva opera lunga
e paziente, pur riconoscendone teoricamente lutilità. E accadde questo fenomeno: che noi, i quali
eravamo sempre stati, sin dalle origini in lotta con il partito marxista, eravamo per molti lati più
marxisti di quelli che si professavano tali. Così, ad esempio, accettavamo del marxismo linerte
fatalismo, la legge del salario messa in voga da Lassalle, ed altri postulati. Per questo eravamo
persuasi della impossibilità ed inutilità di qualsiasi riforma e miglioramento delle condizioni del
proletariato in un regime capitalistico. Questo fece sì che non solo noi non ci occupassimo delle
piccole rivendicazioni e lotte operaie che tutti i giorni fatalmente si combattono in questa "struggle
for life" sociale, ma si ottenesse invece questo effetto negativo: che appunto nei paesi più avanzati,
dove il proletariato aveva maggior coscienza di organizzazione, e dove, quindi, esso poteva
resistere, imporsi e strappare qualche brandello di concessione, là gli operai con più difficoltà, e
quasi con diffidenza, ascoltavano noi che predicavamo loro, in modo assoluto, limpossibilità di ogni
miglioramento nel regime capitalistico attuale. Questa spiegazione è, secondo me, più vera e più
logica di quella addotta dallAvanti! per dar la ragione del fatto che molto spesso è nei paesi dove il
proletariato aveva maggiore coscienza che lidea anarchica fece minor progresso perchè gli operai
abbandonavano lanarchia in forza della predicazione socialista.
- Ma allora tendereste a diventare un partito riformista?
- No, perchè per noi le riforme, se e dove si possono ottenere non debbono essere che un
avviamento alla rivoluzione; e perciò vogliamo che il popolo le conquisti da se stesso, senta che
sono dovute alla sua energia, e in lui, quindi, si sviluppi la volontà di pretendere sempre di più.
Siamo un partito rivoluzionario perchè miriamo alla rivoluzione e perchè riteniamo che le riforme
possibili nel regime capitalistico non possono essere che anodine, spesso semplicemente
temporanee, e che il proletariato non potrà raggiungere la sua emancipazione senza la
trasformazione completa degli ordinamenti sociali.
Per sistema, noi patrociniamo sempre quelle riforme che più delle altre, rendono evidente il
conflitto tra proprietari e proletari, tra governanti e governati, e che quindi pretendono preparare un
sentimento cosciente della ribellione, che esploderà nella rivoluzione definitiva finale.
Daltronde per noi lessenziale è di stare col popolo, di mostrargli che noi intendiamo lottare e
soffrire con lui, di sviluppare in lui la coscienza della forza, volontà e potenza che solo possono
venirgli dallorganizzazione. Poi non mancherà loccasione di far di più; che veramente in Italia non
sono le occasioni di rivoluzione che sono mancate, ma la forza nei partiti popolari di approfittarne.
Ora noi miriamo appunto ad acquistare questa forza. Il resto verrà dopo.
- Avete intenzione di dar alla luce nessuno schema di programma?
- Nelle linee generali il programma socialista-anarchico è abbastanza noto, e noi lo esponiamo e
lo difendiamo continuamente nelle nostre pubblicazioni, nei nostri discorsi e nella propaganda
individuale, che è per ora la parte principale della nostra attività. Del resto è in discussione fra le
sezioni del nostro partito una formula di programma, diremo così ufficiale, che vedrà la luce quanto
prima, e che, pur restando fisso nei suoi cardini fondamentali, sarà nella parte tattica sempre aperto
alle modificazioni che il partito, a seconda delle occasioni, crederà di apportarvi.
- Insomma sembrerebbe che voi pure tendete a seguire in questo la falsariga del partito
socialista...
- No. Il nostro partito si differenzia dal partito socialista-legalitario oltre che per i suoi principii,
anche nella sua struttura. E ne differisce perchè non è un partito autoritario, e non è sottoposto a
qualsiasi direzione.
Il solo vincolo che unisce noi tutti socialisti-anarchici è quello di volere le stesse cose, di volerle
raggiungere con gli stessi mezzi generali, e di voler stare uniti per cooperare insieme al
raggiungimento del fine. I nostri organi federali, cioè le varie Commissioni di corrispondenza, non
sono che il mezzo per mantenere con più facilità le relazioni e gli accordi fra i compagni, per poterli
più rapidamente informare delle proposte che sorgono dai gruppi, del parere che su di esse danno i
compagni tutti, insieme col concorso che essi vogliono e possono dare per la loro effettuazione. Del
resto tutti i gruppi han piena autonomia, limitata solo naturalmente dallimpegno di non mettersi in
contraddizione coi principi e colla tattica generale del partito, violando i quali, i gruppi o i
compagni dissidenti verrebbero a mettersi volontariamente fuori del partito
- Dunque ti sembra che il partito anarchico si sia finalmente messo sulla buona strada, e
progredisca a grandi passi?
- Oh, questo progredire a grandi passi veramente non si può dire ancora. Ma, come tu dici,
siamo sulla buona strada. Prima di tutto si può affermare con sicurezza che lintesa è adesso
completa. Molti equivoci sono stati dissipati, molte questioni che in fondo eran di parole sono state
ridotte ai loro veri termini, e laddove vi erano elementi incompatibili con noi essi sono stati
eliminati. Nei paesi dove il partito anarchico aveva vecchie tradizioni si sono ricostituite sezioni che
lavorano attivamente ad estendere la propaganda, e ogni giorno riescono a penetrare in qualche
nuovo centro vergine alla nostra azione, incominciano a partecipare alla vita operaia e ad avere
qualche influenza in mezzo alle organizzazioni economiche. Oltre a parecchie pubblicazioni di
propaganda più o meno periodiche, abbiamo un giornale, "LAgitazione", che ha ormai la vita
assicurata. Certamente vi è ancora molto, immensamente da fare prima di essere un partito che
faccia sentire validamente la sua influenza nella vita pubblica; ma già siamo in tale condizione da
poter guardare con fiducia lavvenire, ed essere sicuri che qualsiasi uragano reazionario ci piombi
addosso, non riuscirà nè a distruggere nè ad arrestare lopera nostra.
- Perchè avete creduto di dover aggiungere alla parola anarchici laggiunta, che quasi può parere
unattenuante, di socialisti?
- Non è punto unaggiunta, e tanto meno unattenuante. Fin dal 1871, quando incominciammo la
nostra propaganda in Italia, noi siamo sempre stati e ci siam sempre detti socialisti-anarchici.
Nelluso del linguaggio ci è accaduto di chiamarci semplicemente anarchici, poichè intendevasi
implicitamente che gli anarchici fossero socialisti, come altra volta quando i soli socialisti eravamo
noi, ci accadeva molto spesso di chiamarci semplicemente socialisti, poichè sintendeva (e allora in
Italia lo intendevano tutti) che i socialisti fossero anche anarchici. Noi siamo stati sempre dopinione
che socialismo ed anarchia sono due parole che in fondo hanno lo stesso significato; poichè non è
possibile, secondo noi, lemancipazione economica (abolizione della proprietà) senza
lemancipazione politica (abolizione del governo) e viceversa.
Oggi più spesso ripetiamo insieme i due aggettivi non perchè si siano modificate le nostre idee,
ma perchè oggi son diventati più numerosi coloro i quali credono di poter arrivare al socialismo per
mezzo di un governo; come daltra parte vi sono individui i quali si dicono anarchici senza essere
socialisti, il che secondo noi, equivale a non essere nemmeno anarchici. Però bisogna intendere che
per molti i quali si dicono anarchici respingendo lappellativo di socialisti, non è che una questione
di parole, volendo anche essi assicurati a tutti i mezzi di produzione.
I veri anarchici non socialisti, se anarchici si possono chiamare, non sono che alcuni borghesi i
quali per voglia di attirare su di loro lattenzione pubblica e di parere originali, o per ragioni teoriche
completamente diverse da quelle che inspirano i veri anarchici, han preso qualche volta quel nome.
- Credi possibile, almeno momentaneamente, un accordo tra il partito anarchico e il partito
socialista?
- Io credo che coi socialisti legalitari noi abbiamo un immenso terreno comune nella lotta contro
il governo e contro i capitalisti, e credo che potremmo e dovremmo trovarci daccordo in tutte le
agitazioni economiche e proletarie quali, ad esempio, quella odierna contro il domicilio coatto, gli
scioperi, le leghe di resistenza, ecc. Disgraziatamente i socialisti legalitari, col loro spirito
autoritario, hanno la tendenza a voler monopolizzare il movimento operaio, e a volgere tutte le
agitazioni verso uno scopo elettorale, dimodochè temo che possano sorgere conflitti fra i due partiti,
come già ne sorsero, e per gli stessi motivi, nei Congressi operai internazionali, nei quali i socialisti
intendevano bensì di ammettere tutti gli operai senza distinzione di opinione, ma volevano poi
escludere gli operai di opinioni anarchiche. Io mi auguro che quando noi avremo uninfluenza ed
una forza reale nel movimento operaio, i socialisti avranno il sentimento della propria
responsabilità, e non vorranno farsi traditori della causa dei lavoratori, fomentando dissidi, quando
di questi dissidi non vi è ragione reale...
b. Labbandono dei pregiudizi marxisti27
[Dopo aver accennato alle illazioni del "Resto del Carlino" che avrebbe scorto nellintervista da
lui concessa a Ciancabilla e nelle sue affermazioni un avvicinamento ai socialisti legalitari,
Malatesta sostiene che] Maggiore considerazione, perchè socialista e giustamente autorevole tra i
socialisti, merita l"Avanti!" il quale trova in ciò che io dissi al Ciancabilla, un segno evidente di
"unevoluzione dellanarchismo verso il socialismo marxista".
È vecchia abitudine dei socialisti democratici (quando vogliono essere gentili con noi e non
ripetono con Liebknecht che noi siamo "i beniamini della borghesia e dei governi di tutti i paesi"), il
dire che noi evolviamo verso di loro...
Intendiamoci: per me non vi è nulla di meno che onorevole nel fatto di evolvere, quando
levoluzione è frutto di onesta convinzione. Bisogna però che il cambiamento di opinione vi sia stato
davvero, e sia tale quale si annunzia.
Ora, gli anarchici, ed io con loro, hanno certamente evoluto, ed è verosimile che continueranno
ad evolvere, fino a quando resteranno un partito vivo capace di profittare dei dettami della scienza e
dellesperienza e di adattarsi alle variabili contingenze della vita. Ma io nego assolutamente che noi
abbiamo evoluto o stiamo evolvendo verso il "socialismo marxista".
E credo, al contrario, che uno dei caratteri più notevoli e più generali della nostra evoluzione sia
lesserci sbarazzati dei pregiudizi marxisti, che al principio del movimento avevamo troppo
leggermente accettati e che sono stati la causa dei nostri più gravi errori.
LAvanti! è probabilmente vittima di una illusione.
Se esso crede realmente ciò che a più riprese ha detto sullanarchismo, che cioè lanarchismo è
lopposto del socialismo, e se continua a giudicare di noi dalle falsificazioni e dalla calunnie con cui,
seguendo lesempio della condotta di Marx verso Bakunin, si sono disonorati i marxisti tedeschi,
allora è certo che, ogni qualvolta degnerà di leggere uno scritto nostro o di ascoltare un nostro
discorso, avrà la grata sorpresa di scoprire una "evoluzione" dellanarchismo verso il socialismo, che
per lAvanti! pare sia quasi una cosa stessa col marxismo.
Ma chiunque ha una conoscenza anche superficiale delle idee e della storia nostra, sa che
lanarchismo fin dal suo nascere fu niente altro che la conseguenza, lintegrazione dellidea socialista,
e quindi non poteva e non può evolvere verso il socialismo cioè verso sè stesso.
Gli errori stessi, gli spropositi, i delitti, detti e commessi da anarchici, servono a provare la
natura sostanzialmente socialista dellanarchismo, così come la patologia di un organismo serve a
meglio comprendere i suoi caratteri e le sue funzioni fisiologiche.
Che cosa vera in quello che io dissi al Ciancabilla, che potesse giustificare la conclusione
dellAvanti!?
Noi abbiamo certamente con i socialisti democratici molte idee comuni, ed abbiamo soprattutto
comune il sentimento che ci anima e sprona a combattere per lavvenimento di una società di liberi
ed uguali... quantunque ci pare che il loro sistema porti poi logicamente alla negazione della libertà
e delleguaglianza.
Noi mettiamo a base fondamentale del nostro programma labolizione della proprietà privata e
lorganizzazione della produzione a vantaggio di tutti e fatta col concorso di tutti - il che è, o
dovrebbe essere, il caposaldo di ogni specie di socialismo. E noi pensiamo che, essendo i lavoratori
i maggiori sofferenti della società attuale ed i più direttamente interessati a mutarla, e trattandosi di
instaurare una società in cui tutti siano lavoratori, bisogna che la nuova rivoluzione sia
principalmente opera della classe lavoratrice organizzata e cosciente dellantagonismo irreduttibile
fra glinteressi suoi e quelli della classe borghese - concetto che è merito massimo di Marx lavere
formulato, propagato e fatto quasi molla motrice di tutto il socialismo moderno.
Ma in tutto questo lAvanti! mal potrebbe parlare di evoluzione, poichè si tratta di propositi e
convinzioni che fanno parte integrante dellanarchismo, e che gli anarchici propagarono sempre, e in
Italia già molti anni prima che vi esistessero i marxisti.
Per scoprire dunque se davvero noi abbiamo evoluto verso il socialismo democratico, che
lAvanti! chiama, molto discutibilmente, socialismo marxista, bisogna ricercare quali sono le
differenze che ci dividono e ci hanno sempre divisi dai socialisti democratici.
Non è il caso di discutere le teorie economiche e storiche di Marx, le quali a me (che del resto
ho competenza scarsissima) sembrano in parte erronee ed in parte consistenti solo nellesprimere in
termini astrusi e far sembrare strane e recondite delle verità che espresse in linguaggio comune
sono chiare, evidenti e note a tutti. I socialisti democratici hanno cessato da tempo di tenerne conto
nel loro programma pratico, e, se non erro, stanno per rinunziarvi anche nel campo della scienza.
Limportante per noi, in quanto uomini di partito, è quello che i partiti fanno e vogliono fare - e
non già le idee teoriche dalle quali cercano, dopo il fatto, di spiegare e giustificare la loro azione.
Ora dunque, noi siamo in disaccordo ed in lotta con i socialisti democratici, perchè essi
vogliono trasformare la società presente per mezzo di leggi, e conservare anche nella società futura
il Governo, lo Stato, che diverrà secondo loro organo deglinteressi di tutti; mentre noi vogliamo che
la società si trasformi per lopera diretta del popolo e vogliamo completamente distrutto il
meccanismo dello Stato, che secondo noi resterà sempre un organo di oppressione e di
sfruttamento, e tenderà, per la sua stessa natura, alla costituzione di una società basata sul privilegio
e sullantagonismo della classe.
Possiamo aver torto o ragione, ma dove vede lAvanti! il segno che noi ci andiamo accostando
alla sua concezione autoritaria del socialismo?
Il partito dellAvanti!, essendo un partito autoritario, mira logicamente alla "conquista dei
pubblici poteri".
Abbiamo noi forse cessato di dirigere i nostri sforzi allo scopo di rendere inutili ed abolire i
pubblici poteri, cioè il governo? O forse abbiamo incominciato a prestar fede a quella burletta
dellimpossessarsi del governo per meglio distruggerlo, che van ripetendo certi socialisti troppo
ingenui... o troppo furbi?
Ben al contrario. A chi penetra a fondo nello studio dellanarchismo, sarà facile accorgersi come
nei primi tempi del movimento un forte residuo di giacobinismo e di autoritarismo sopravviveva in
noi, residuo che non oso dire sia assolutamente distrutto, ma che certamente si è andato e si va
sempre attenuando. Altra volta era opinione comune in mezzo a noi che la rivoluzione doveva
essere necessariamente autoritaria, e non era raro chi con strana contraddizione pensava si potesse
"fare lAnarchia per forza"; mentre oggi è convinzione generale degli anarchici che lanarchia non
può venire dallautorità, ma deve sorgere dalla lotta costante contro ogni imposizione, tanto in tempo
di lenta evoluzione, quanto in periodi tempestosamente rivoluzionari, e che nostro scopo deve
essere il fare in modo che la rivoluzione sia essa stessa e fin dal primo momento unattuazione delle
idee e dei metodi anarchici.
Il Partito dellAvanti! è un partito parlamentare sia riguardo agli scopi futuri, sia riguardo alla
tattica presente; e noi siamo invece avversari del parlamentarismo e come forma di costituzione
sociale e come mezzo attuale di lotta, al punto da considerare socialismo anarchico e socialismo
antiparlamentare come sinonimi, o quasi.
Ha forse lAvanti! osservato che sia diminuita in noi quellavversione contro il parlamentarismo
che è stata sempre una caratteristica del nostro partito? Abbiamo forse cessato dal consacrare buona
parte delle nostre forze a scalzare dallanimo dei lavoratori la nuova fede nei parlamenti e nei mezzi
parlamentari, che i socialisti democratici cercano di impiantarvi? È cessato forse lastensionismo di
essere quasi il segno materiale al quale riconosciamo i nostri compagni?
Ben al contrario. Al principio del movimento parecchi tra noi ammettevano ancora la
partecipazione alle elezioni amministrative, e più tardi in mezzo a noi sorse liniziativa della
candidatura Cipriani e fu da noi appoggiata. Oggi noi siamo tutti daccordo nel considerare le
elezioni amministrative tanto perniciose quanto quelle politiche e forse di più, e respingiamo, a
scanso di equivoci, anche le candidature protesta.
Dovè dunque levoluzione verso il socialismo marxista? (...)
c. Gli "sbandamenti" giustificati dellAvanti!28
LAvanti! del 22 corrente cortesemente risponde allarticolo da me pubblicato nellAgitazione del
14 sullevoluzione dellanarchismo; ma, secondo me, risponde male e fuori della questione.
Esso vuol dimostrare, in contraddittorio con me, che lanarchismo evolve verso il socialismo
democratico; ed invece si mette a sostenere che, in omaggio alla verità ed alla logica,
quellevoluzione dovrebbe avvenire ed avverrà.
Confondendo in tal modo ciò che è con ciò che si crede che dovrebbe essere e che sarà, ognuno,
il quale professa onestamente unidea e la ritiene conforme alla logica ed alla verità ed ha fede (cioè
forte speranza) nel suo trionfo, potrebbe sostenere che tutti gli altri evolvono verso di lui; il che poi
non cambierebbe le tendenze reali dei vari partiti ed i rapporti in cui si trovano luno verso laltro.
Io potrei limitarmi a constatare, il modo come lAvanti! ha schivata la questione e non aggiunger
altro, poichè non si trattava affatto di discutere i meriti relativi dei programmi socialista
democratico e socialista anarchico. Ma sarà bene seguire lAvanti! sul suo terreno e vedere se
davvero la verità sta dalla parte sua e la logica deve menar gli anarchici dove esso dice.
LAvanti! mi risponde su tre questioni: quella del modo, radicalmente diverso dal nostro, come i
socialisti democratici intendono attuare la trasformazione sociale; quella dello Stato nella società
futura; e quella delle elezioni.
Sulla prima questione io avevo detto che i socialisti democratici vogliono trasformare la società
presente per mezzo di leggi, e lAvanti! risponde che non è vero che essi vogliono servirsi soltanto
di leggi: io veramente il soltanto non ce lavevo messo; ma ce lavessi anche messo, non me ne
pentirei, poichè è noto che per i socialisti democratici ogni propaganda, ogni agitazione, ogni
organizzazione ha per scopo finale la conquista di poteri pubblici, vale a dire il potere di far le
leggi. E la Critica sociale, di cui lAvanti! non contesterà lautorevolezza, nel suo numero del 16
maggio, lamentando che "la lotta elettorale, che dovrebbe essere lindice dellazione e della forza del
partito, è diventata quasi essa sola questazione e questa forza", giunse a dire: "astrattamente,
metafisicamente, si può pensare che basti. Il proletariato poco importa che sappia, che capisca, che
voglia, che agisca esso stesso: basta che intuisca e che voti. Così a poco a poco diventerà
maggioranza e altri per lui trasformerà lo Stato a suo vantaggio". E se la Critica trovava che questa
verità astratta non è poi vera in concreto, era solo perchè il governo può mozzare nel pugno dei
socialisti larma del voto ed allora il partito non sarebbe in grado di opporre alcuna resistenza,
"neppure lo sciopero delle arti maggiori nei centri maggiori".
LAvanti! può dire, se così gli piace, che questo "non è vero" e che io conosco male e giudico
peggio il programma dei socialisti democratici; ma sta il fatto che gli anarchici convengono tutti, in
questa questione, nella stessa opinione che ho espresso io e credo di essere nel vero - dunque, niente
evoluzione nel senso che dice lAvanti!.
Sulla questione dello Stato, avendo io affermato che lo Stato sarà sempre organo di
sfruttamento, lAvanti! mi accusa di essere caduto in "un equivoco molto grosso" perchè ... "la
letteratura socialista (democratica) scientifica e popolare è tutta informata al concetto che, soppressi
gli antagonismi di classe, scompaiono le funzioni oppressive dello Stato". Questo è infatti una cosa
nota, ed io avevo già detto, nello stesso brano riportato dallAvanti!, che secondo i socialisti
democratici lo Stato diverrà, nella società futura organo degli interessi di tutti; ma è altrettanto noto
che gli anarchici pensano (ed è per questo che sono anarchici) che lo Stato non solo "è strumento di
oppressione in mano della classe dominante" ma costituisce esso stesso, col suo personale, una
classe privilegiata con i suoi interessi, le sue passioni, i suoi pregiudizi particolari, e che una società
in cui si fosse abolita la proprietà privata e conservato lo Stato sarebbe sempre una società basata
sullantagonismo deglinteressi, e presto vedrebbe risorgere nel suo seno, per opera e con la
protezione dello Stato, il privilegio economico con tutte le sue conseguenze.
Non è il caso di discutere a fondo questa questione, che lAgitazione ha già trattata e su cui dovrà
per certo ritornare continuamente, trattandosi della base stessa del programma anarchico. Importa
solo notare, per gli scopi della presente polemica, che se mai gli anarchici si convincessero che lo
Stato può diventare unistituzione benefica ed esistere utilmente in una società di liberi ed eguali,
allora non bisognerebbe già dire che lanarchismo ha evoluto verso il socialismo democratico, ma
semplicemente che gli anarchici si sono convinti che avevano torto e sono diventati socialisti
democratici. E questo non è.
Sulla questione infine dellastensione elettorale, lAvanti! ragiona in modo ancora più singolare.
Io avevo detto: "Noi cerchiamo nel movimento operaio la base della nostra forza e la garanzia
che la prossima rivoluzione riesca davvero socialista ed anarchica; e ci rallegriamo dogni
miglioramento che gli operai riescono a conquistare, perchè esso aumenta nella classe lavoratrice la
coscienza della sua forza, eccita nuovi bisogni e nuove pretese, ed avvicina il punto limite, dove i
borghesi non possono più cedere se non rinunziando ai loro privilegi, e quindi il conflitto violento
diventa fatale".
LAvanti! cita questo brano, ma sopprimendo le parole chio ho messo in corsivo, e ne cava delle
conclusioni che, se io mi fossi fermato là dove lAvanti! arresta la citazione, sarebbero perfettamente
giuste.
Voi propugnate, dice lAvanti!, la resistenza operaia nel campo economico per migliorare le
condizioni degli operai; ma siccome vi sono miglioramenti impossibili ad ottenersi mediante la
semplice resistenza ed ancor meno si può con la resistenza abolire il capitalismo, la logica vi
porterà necessariamente alla resistenza politica... che per lAvanti! è sinonimo di lotta elettorale.
LAvanti! non ha pensato (quantunque il passaggio da esso soppresso nella citazione delle mie
parole lo faceva chiaramente intendere) che la logica potrebbe portarci, e ci porta infatti, alla
rivoluzione.
Noi crediamo, per lo meno quanto lAvanti!, che lorganizzazione corporativa, la resistenza
economica e tutto quanto si può fare nel regime attuale, non può risolvere la questione sociale e
che, a parte gli effetti morali, appena serve ad assicurare ad una frazione del proletariato dei
miglioramenti che bisogna poi difendere con una lotta continua contro le insidie sempre rinascenti
dei padroni e siamo convinti che la libertà ed il benessere assicurati a tutti non si avranno se non
quando i lavoratori si saranno impossessati dei mezzi di produzione ed avranno avocato a loro
lorganizzazione della vita sociale, e che per far questo bisogna sbarazzarsi del potere che sta a
guardia del capitalismo e si arroga il diritto di sovranità su tutto e su tutti. Ma crediamo che la lotta
elettorale non vale a debellare il potere, e che se anche lo potesse, non farebbe che passarlo in mano
di altri senza nessun vantaggio sostanziale per il popolo; e perciò ci sforziamo di allontanare i
lavoratori da un mezzo illusorio e dannoso, ed affrettiamo coi voti e collopera il giorno in cui,
cresciuta a sufficienza la coscienza e la forza dei lavoratori, questi affermeranno coi fatti la ferma
decisione di non volere più essere nè sfruttati nè comandati, e prenderan possesso, direttamente e
non per delegati, della ricchezza e del potere sociale. Chè se poi questa determinazione dei
lavoratori comincerà a manifestarsi mediante il rifiuto del lavoro o il rifiuto del servizio militare o il
rifiuto di pagare i fitti ed i dazi, o la confisca popolare dei generi di consumo, o le barricate e le
bande armate, è questione che risolveranno le circostanze e che, comunque risoluta, menerà sempre
agli stessi risultati: il conflitto violento tra il vecchio mondo che si ostina a vivere ed il nuovo
mondo che vuol trionfare sulle rovine di quello.
LAvanti! a quel che pare ci ha completamente fraintesi: esso ha creduto che noi abbiam cessato
di essere rivoluzionari.
Ed invece noi crediamo più che mai nella necessità della rivoluzione; e non già nel senso
"scientifico" della parola, nel qual senso spesso si chiamano rivoluzionari anche i legalitari, ma nel
senso "volgare" di conflitto violento, in cui il popolo si sbarazza colla forza della forza che
lopprime, ed attua i suoi desideri fuori e contro tutta la legalità.
La nostra evoluzione si riduce a questo: che avendo visto che coi vecchi metodi la rivoluzione
non si faceva nè si avvicinava, abbiamo abbracciato metodi che ci sembrano più atti a prepararla ed
a farla.
I socialisti democratici credono che siamo in errore e quindi fanno bene a cercare di convertirci,
come noi cerchiamo di convertir loro; ma non diano per fatto quello che è un semplice desiderio,
non vendano la pelle dellorso prima che lorso sia in loro potere.
La Giustizia di Reggio Emilia in uno dei suoi ultimi numeri, riproducendo un passaggio
dellAgitazione, nel quale sinsiste sulla necessità di preparare e rendere possibile la rivoluzione
mediante lorganizzazione operaia e la piccola lotta quotidiana, si compiace che noi abbiamo
finalmente riconosciuto quello che i socialisti democratici hanno sempre predicato e praticato, e per
cui noi li abbiamo aspramente attaccati e vituperati.
Ciò non è esatto.
Le ragioni del nostro dissenso dai socialisti democratici sono state sempre quelle stesse di oggi.
Se li abbiamo combattuti con acrimonia non è stato già perchè essi si occupavano del movimento
operaio più di quello che facessimo noi, ma perchè essi cercavano e cercano di volgere quel
movimento a scopi che noi crediamo dannosi ai veri interessi del socialismo. Che anzi fra le cause
per cui gli anarchici hanno per lungo tempo guardato con sospetto le organizzazioni operaie non
decisamente rivoluzionarie, ed oggi ancora alcuni dei nostri non mettono nel propugnarle tutto il
necessario fervore, vi è, non ultima, quella che i propagandisti del socialismo democratico hanno
fatto e fanno tutto il possibile per discreditarle nellanimo nostro servendosene per farsi nominare
deputati.
Ed io mi sovvengo di essere stato, nel 1890 o 1891, trattato male dalla Giustizia (non dico chio
labbia trattata meglio) perchè Prampolini voleva che la manifestazione del Primo Maggio si facesse
invece la prima Domenica del mese, e gli amici di Reggio pubblicarono uno scritto mio per
protestare contro una proposta che levava alla manifestazione il suo significato e la sua importanza.
Ciò che prova che io ero in disaccordo colla Giustizia non già perchè quel giornale patrocinava la
resistenza operaia più che non facessero i miei amici, ma perchè esso tendeva, almeno a giudizio
mio, ad evirare il movimento operaio e lostacolava precisamente quando stava per prendere una via,
poco atta a favorire candidature al parlamento, ma ottima per abituare i lavoratori ad agire di
concerto e dar loro coscienza della propria forza.
Del resto, se gli anarchici hanno a volte ecceduto negli attacchi contro i socialisti democratici,
questi ve li hanno gravemente provocati, poichè invece di combatterci per quel che siamo, hanno
cercato sempre di presentarci sotto una falsa luce. E proprio La Giustizia si ostinò una volta nel
sostenere che gli anarchici non sono socialisti: cosa che procurò molto piacere a Napoleone
Colajanni, ma non fece certamente onore allo spirito di verità, che pur dordinario distingue, mi
compiaccio nel riconoscerlo, lorgano socialista di Reggio Emilia.
4. ELEZIONI E VOTAZIONI
a. "Anarchici" elezionisti29
Poichè non vi è e non vi può essere nessuna autorità che dia o tolga il diritto di dirsi anarchico,
siamo ben costretti di tanto in tanto di rilevare lapparizione di qualche convertito al
parlamentarismo che continua, almeno per un certo tempo, a dichiararsi anarchico.
Non troviamo niente di male, niente di disonorante nel cambiare di opinione, quando il
cambiamento è causato da nuove sincere convinzioni, e non da motivi dinteresse personale;
vorremmo però che uno dicesse francamente quello che è diventato e quello che ha cessato di essere
per evitare equivoci e discussioni inutili. Ma forse questo non è possibile, perchè chi cambia didee,
generalmente al principio non sa egli stesso dove andrà a parare.
Del resto quel che avviene a noi, avviene, ed in proporzioni assai maggiori, in tutti i partiti ed in
tutti i movimenti politici e sociali. I socialisti, per esempio, han dovuto soffrire che si dicessero
socialisti sfruttatori e politicanti di tutte le specie; ed i repubblicani sono pur costretti oggi a
sopportare che certi figuri venduti al partito dominante usurpino niente meno che il nome di
mazziniani.
Fortunatamente lequivoco non può durare a lungo. Ben presto la logica delle idee e la necessità
dellazione inducono i pretesi anarchici a rinunziare spontaneamente al nome e a mettersi nel posto
che loro si compete. Gli anarchici elezionisti che sono spuntati fuori in varie occasioni hanno tutti
più o meno rapidamente abbandonato lanarchismo, così come gli anarchici dittatoriali o
bolscevizzanti diventano presto bolscevichi sul serio, e si mettono al servizio del governo russo e
dei suoi delegati.
Il fenomeno si è riprodotto in Francia in occasione delle elezioni di questi giorni. Il pretesto è
lamnistia. "Migliaia di vittime gemono nelle prigioni e nei bagni penali; un governo di sinistra
darebbe lamnistia; è dovere di tutti i rivoluzionari, di tutti gli uomini di cuore il fare quello che si
può per fare uscire dalle urne i nomi di quegli uomini politici che, si spera, darebbero lamnistia".
Questa è la nota che domina nei ragionamenti dei convertiti.
In Italia fu lagitazione a favore di Cipriani prigioniero che servì di pretesto ad Andrea Costa per
trascinare gli anarchici romagnoli alle urne, ed iniziare così la degenerazione del movimento
rivoluzionario creato dalla prima Internazionale e finire col ridurre il socialismo ad un mezzo per
trastullare le masse ed assicurare la tranquillità della monarchia e della borghesia.
Ma veramente i francesi non hanno bisogno di venire a cercare gli esempi in Italia, poichè ne
hanno di eloquentissimi nella storia loro.
In Francia, come in tutti i paesi latini, il socialismo nacque, se non precisamente anarchico,
certamente antiparlamentare: e la letteratura rivoluzionaria francese dei primi dieci anni dopo la
Comune abbonda di pagine eloquenti, dovute fra le altre alle penne di Guesde e di Brousse, contro
la menzogna del suffragio universale e la commedia elettorale e parlamentare.
Poi, come Costa in Italia, i Guesde, i Massard, i Deville e più tardi lo stesso Brousse, furono
presi dalla fregola del potere, e forse anche dalla voglia di conciliare la nomea di rivoluzionari con
il quieto vivere ed i vantaggi piccoli e grandi che provengono a chi entra nella politica ufficiale, sia
pure come oppositore. Ed allora cominciò tutta una manovra per cambiare lindirizzo del
movimento, ed indurre i compagni ad accettare la tattica elettorale. Molto servì anche allora la nota
sentimentale: si voleva lamnistia per i comunardi, bisognava liberare il vecchio Blanqui che moriva
in prigione. E con questi cento pretesti, cento espedienti per vincere la ripugnanza che essi stessi, i
transfughi, avevano contribuito a far nascere nei lavoratori contro lelezionismo, e che daltronde era
alimentata dal ricordo ancora vivo dei plebisciti napoleonici e dei massacri perpetrati in giugno
1848 ed in maggio 1871 per il volere delle assemblee uscite dal suffragio universale. Si disse che
bisognava votare per contarsi, ma che si voterebbe per gli ineleggibili, per i condannati, o per le
donne o per i morti; altri propose di votare schede bianche o con un motto rivoluzionario; altri
voleva che i candidati rilasciassero nelle mani dei comitati elettorali delle lettere di dimissione per il
caso che fossero eletti. Poi quando la pera fu matura, cioè quando la gente si lasciò persuadere ad
andare a votare, si volle essere candidati e deputati sul serio: si lasciarono i condannati marcire in
prigione, si rinnegò lantiparlamentarismo, si disse peste dellanarchismo; e Guesde attraverso cento
palinodie finì ministro del governo dell"unione sacra", Deville divenne ambasciatore della
repubblica borghese, e Massard, credo, qualche cosa di peggio.
Noi non vogliamo mettere in dubbio preventivamente la buona fede dei nuovi convertiti tanto
più che tra essi ve nè un paio con cui abbiamo avuti vincoli damicizia personale. In generale queste
evoluzioni - o involuzioni che dir si voglia - sincominciano sempre in buona fede; poi, la logica
sospinge, lamor proprio vi si mischia, lambiente vince... e si diventa quello che prima ripugnava.
Forse in questa circostanza non avverrà nulla di quello che temiamo, perchè i neoconvertiti sono
pochissimi e ben poca è la probabilità chessi trovino larghe adesioni nel campo anarchico, e quei
compagni o ex-compagni rifletteranno meglio e riconosceranno il loro errore. Il nuovo governo che
sarà installato in Francia dopo il trionfo elettorale del blocco di sinistra, li aiuterà a persuadersi che
ben poca differenza vè tra esso e il governo precedente, non facendo niente di buono nemmeno
lamnistia - se la massa non limporrà con lagitazione. Noi cercheremo, dal nostro punto di vista, di
aiutarli ad intender ragione con qualche osservazione, che del resto non dovrebbe esser nuova per
chi aveva già accettata la tattica anarchica.
È inutile il venirci a dire, come fanno quei buoni amici, che un po di libertà vale meglio che la
tirannia brutale senza limite e freno, che un orario ragionevole di lavoro, un salario che permette di
vivere un po meglio delle bestie, la protezione delle donne e dei bambini sono preferibili ad uno
sfruttamento del lavoro umano fino ad esaurimento completo del lavoratore, che la scuola di Stato,
per cattiva che sia, è sempre migliore dal punto di vista dello sviluppo morale del fanciullo di quella
impartita dai preti e dai frati... Noi ne conveniamo volentieri: e conveniamo pure che vi possono
essere delle circostanze in cui il risultato delle elezioni, in uno Stato od in un Comune, può avere
delle conseguenze buone o cattive e che questo risultato potrebbe essere determinato dal voto degli
anarchici se le forze dei partiti in lotta fossero quasi uguali.
Generalmente si tratta di unillusione; le elezioni, quando queste sono tollerabilmente libere, non
hanno che il valore di un simbolo: mostrano lo stato dellopinione pubblica, che si sarebbe imposta
con mezzi più efficaci e risultati maggiori se non le si fosse offerto lo sfogatoio delle elezioni. Ma
non importa: anche se certi piccoli progressi fossero la conseguenza diretta di una vittoria elettorale,
gli anarchici non dovrebbero accorrere alle urne e cessare dal predicare i loro metodi di lotta.
Poichè non è possibile far tutto al mondo, bisogna scegliere la propria linea di condotta...
b. Lastratto rigorismo degli "intransigenti"30
Comincio a ricevere qualche giornale spagnuolo, che mi fa crescere la volontà di andare sul
posto, senza, ohimè! aumentarne la possibilità.
A proposito delle tue osservazioni sul fatto che la caduta della monarchia spagnuola fu
determinata da una manifestazione elettorale, ti dirò che è vero che tale fatto darà un certo credito
alla lotta elettorale e sarà certamente sfruttato dagli elezionisti nella loro propaganda e nelle
eventuali discussioni con noi, ma non infirma la nostra tesi, se fatti e teorie sono debitamente
esposti e compresi.
In realtà le elezioni che noi combattiamo, cioè quelle che servono a nominare dei governanti, o
tendono, nel periodo preparatorio, a discreditare e paralizzare lazione diretta delle masse, non sono
equiparabili al fatto spagnuolo. Le elezioni municipali spagnuole sono state lesplosione del
sentimento antimonarchico della popolazione, che ha profittato per manifestarsi della prima
occasione che si è presentata. La gente è corsa allurna come sarebbe corsa in piazza a fare una
dimostrazione se non avesse avuto paura delle fucilate della Guardia Civile.
Non è detto con ciò che le urne hanno decisa la situazione, poichè se il re non si fosse sentito
abbandonato dalle classi dirigenti e se fosse stato sicuro dellesercito, se ne sarebbe infischiato delle
elezioni ed avrebbe messo ordine alle cose con molte manette e qualche buon massacro.
Certamente sarebbe stato molto meglio se la monarchia fosse caduta in altro modo, in seguito
per esempio ad uno sciopero generale od uninsurrezione armata, perchè il fatto che il movimento
prese le forme elettorali influisce malamente sulla sua natura e sui suoi probabili sviluppi futuri; ma
insomma meglio così che nulla. Possiamo deplorare che non vi siano state forze sufficienti per far
trionfare i metodi nostri, ma dobbiamo rallegrarci che la gente cerchi, per una via qualsiasi, di
conquistare maggiore libertà e maggiore giustizia.
Ti ricordi quando Cipriani fu eletto deputato a Milano? Alcuni compagni furono scandalizzati
perchè io, dopo aver predicato lastensione, mi rallegrai poi del risultato dellelezione. Io dicevo, e
direi ancora, che poichè vi sono quelli che, sordi alla nostra propaganda, vanno a votare, è
consolante il vedere che essi votano per un Cipriani piuttosto che per un monarchico o un clericale -
non già per gli effetti pratici che la cosa può avere, ma per i sentimenti chessa rivela.
Questa delle elezioni è stata sempre una maledetta questione anche in mezzo a noi stessi, perchè
molti compagni danno estrema importanza al fatto materiale del voto e non capiscono la natura vera
della questione.
Per esempio, una volta a Londra una sezione municipale distribuì delle schede per domandare
agli abitanti del quartiere se volevano o no la fondazione di una biblioteca pubblica. Crederesti tu
che vi furono degli anarchici i quali, pur desiderando la biblioteca, non volevano rispondere sì,
perchè rispondere era votare?
E non vi erano, almeno a tempo mio, a Parigi e a Londra di quelli che trovavano anti-anarchico
lalzare la mano in un comizio per approvare lordine del giorno che esprimeva le loro idee?
Applaudivano gli oratori che sostenevano una data risoluzione, ma poi si rifiutavano di manifestare
la loro approvazione con unalzata di mano o con un sì, perchè gli anarchici non votano.
Ritornando alla Spagna, naturalmente la questione si posa differentemente a riguardo delle
elezioni per le Cortes Costituentes. Qui si tratta veramente di un corpo legislativo che gli anarchici
non debbono riconoscere ed alla cui elezione non possono partecipare. Naturalmente se Costituente
vi deve essere è preferibile chessa sia repubblicana e federalista anziché monarchica e accentratrice;
ma il compito degli anarchici resta quello di sostenere e mostrare che il popolo può e deve
organizzare da sè il nuovo modo di vita e non già sottoporsi alla legge. Ed io credo che si può
obbligare la Costituente ad essere il meno reazionaria possibile ed impedire chessa strozzi la
rivoluzione meglio agendo di fuori che standovi dentro.
Io cercherei di opporre alla Costituente dei Congressi permanenti (locali, provinciali, regionali,
nazionali) aperti a tutti, i quali, appoggiandosi sulle organizzazioni operaie, discuterebbero tutte le
questioni (espropriazione, organizzazione della produzione, ecc.) stabilirebbero rapporti volontari
fra le varie località e le varie corporazioni, consiglierebbero, spronerebbero, ecc.
Ma è meglio smettere. Tu riceverai questa mia quando forse la situazione sarà cambiata; ed io
riceverò la tua risposta quando vi sarà stato forse un altro cambiamento.
3. Gli anarchici e il movimento operaio
1. SINDACALISMO E MOVIMENTO SINDACALE
a. Il sindacalismo al congresso anarchico di Amsterdam31
La discussione sul sindacalismo e lo sciopero generale fu certamente, al Congresso
Internazionale Anarchico di Amsterdam, la più importante; ed è ben naturale, poichè si trattava di
una questione dinteresse pratico ed immediato, che ha il più grande valore sullavvenire del
movimento anarchico e sui suoi probabili risultati, e poichè precisamente su questa questione si
manifestò la sola differenza seria di opinione tra i congressisti, gli uni dando allorganizzazione
operaia ed allo sciopero generale unimportanza eccessiva considerandoli quasi la stessa cosa che
anarchismo e rivoluzione, gli altri insistendo sulla concezione integrale dellanarchismo e non
volendo considerare il sindacalismo che come un mezzo potente, ma daltra parte pieno di pericoli,
per avviare alla realizzazione della rivoluzione anarchica.
La prima tendenza fu rappresentata principalmente dal compagno Monatte, della Confédération
Générale du Travail di Francia, con un gruppo chei volle chiamare dei "giovani" malgrado le
proteste dei giovani, assai più numerosi, della tendenza opposta.
Monatte, nel suo notevole rapporto, ci parlò lungamente del movimento sindacalista francese,
dei suoi metodi di lotta, dei risultati morali e materiali ai quali è già arrivato, e finì col dire che il
sindacalismo è di per se stesso sufficiente come mezzo per compiere la rivoluzione sociale e
realizzare lanarchia.
Contro questultima affermazione insorsi energicamente. Il sindacalismo, io dissi, anche se si
abbiglia dellaggettivo rivoluzionario, non può essere che un movimento legale, un movimento di
lotta contro il capitalismo entro i limiti che il Capitalismo e lo Stato gli impongono.
Esso non ha dunque uscita, e non potrà ottenere nulla di permanente e di generale, se non
cessando di essere il sindacalismo, e promovendo non più il miglioramento delle condizioni dei
salariati e la conquista di qualche libertà, ma lespropriazione della ricchezza e la distruzione
radicale dellorganizzazione statale.
Io riconosco tutta lutilità, la necessità stessa, della partecipazione attiva degli anarchici al
movimento operaio, e non ho bisogno dinsistere per essere creduto, giacché sono stato dei primi a
dolermi dellattitudine disolamento superbo che presero gli anarchici dopo lo sfacimento dellantica
Internazionale, ed a spingere di nuovo i compagni sulla via che Monatte, dimenticando la storia,
chiama nuova. Ma ciò è utile alla sola condizione che si resti sopratutto anarchici e che non si cessi
di considerare tutto il resto dal punto di vista della propaganda e dellazione anarchiche.
Io non domando che i sindacati adottino un programma anarchico e siano composti di soli
anarchici. In questo caso sarebbero inutili, giacchè farebbero doppio ufficio con i gruppi anarchici,
e non avrebbero più la qualità che li rende cari agli anarchici, vale a dire quella dessere oggi un
campo di propaganda, e domani un mezzo per condurre la massa sulla via a farle prendere in mano
il possesso delle ricchezze e lorganizzazione della produzione per la collettività. Io voglio dei
sindacati largamente aperti a tutti i lavoratori, che cominciano a sentire il bisogno di unirsi ai loro
compagni per lottare contro i padroni; ma io conosco anche tutti i pericoli che presentano per
lavvenire dei gruppi fatti allo scopo di difendere, nella società attuale, degli interessi particolari, e
domando che gli anarchici che sono nei sindacati si diano per missione di salvaguardare lavvenire,
lottando contro la tendenza naturale di questi gruppi a divenire delle corporazioni chiuse, in
antagonismo con altri proletari anche più che con i padroni.
Forse la causa del malinteso si trova nella credenza, secondo me erronea benchè generalmente
accettata, che gli interessi degli operai sono solidali, e che, conseguentemente, basta che degli
operai si mettano a difendere i loro interessi e ad aspirare al miglioramento delle loro condizioni,
perchè siano naturalmente condotti a difendere gli interessi del proletariato contro il patronato.
La verità è, secondo me, ben differente. Gli operai subiscono, come tutti, la legge dantagonismo
generale che deriva dal regime della proprietà individuale; ed ecco perchè gli aggruppamenti di
interessi, rivoluzionari sempre al principio, finchè deboli e bisognosi della solidarietà degli altri,
divengono conservatori ed esclusivisti quando acquistano della forza, e con la forza, la coscienza
dei loro interessi particolari. La storia del tradunionismo inglese ed americano è là per dimostrare in
qual modo si è prodotta questa degenerazione del movimento operaio allorchè esso si è appartato
nella difesa degli interessi attuali.
È solamente in vista duna trasformazione completa della società che loperaio può sentirsi
solidale con loperaio, loppresso solidale con loppresso; ed è compito degli anarchici il tener sempre
vivo il fuoco dellideale e procurare di orientare più che possibile tutto il movimento verso le
conquiste dellavvenire, verso la rivoluzione, anche, ove occorra, a detrimento dei piccoli vantaggi
che può ottenere oggi qualche frazione della classe operaia, e che, del resto, non si ottengono il più
sovente che a spese di altri lavoratori e del pubblico consumatore.
Ma per poter adempiere questa funzione delementi propulsori nei sindacati, bisogna che gli
anarchici sinterdicano loccupazione dei posti e soprattutto dei posti pagati.
Un anarchico funzionario permanente e stipendiato dun sindacato è un uomo perduto come
anarchico.
Io non dico che talvolta non possa fare del bene; ma è un bene che potrebbero fare, al suo posto
e meglio di lui, uomini di idee meno avanzate, mentre lui per conquistare e mantenere il suo
impiego deve sacrificare le sue opinioni personali e fare spesso cose le quali non hanno altro scopo
se non di farsi perdonare la menda originale danarchico.
Daltra parte la questione è chiara. Il sindacato non è anarchico, ed il funzionario è nominato e
pagato dal sindacato: se egli fà opera danarchico, si mette in opposizione con quelli che pagano e
bentosto perde il suo posto od è causa della dissoluzione del sindacato; se, al contrario, compie la
missione per la quale è stato nominato, secondo la volontà della maggioranza, allora addio
anarchismo.
Osservazioni analoghe feci relativamente a quel mezzo dazione proprio del sindacalismo che è
lo sciopero generale. Noi dobbiamo accettare, dissi, e propagare lidea dello sciopero generale come
un mezzo assai agevole per cominciare la rivoluzione, ma non dobbiamo crearci lillusione che lo
sciopero generale potrà rimpiazzare la lotta armata contro le forze dello Stato.
È stato detto sovente che con lo sciopero gli operai potranno affamare i borghesi e costringerli a
cedere. Non saprei immaginare una più grande assurdità. Gli operai sarebbero già da gran tempo
morti di fame prima che i borghesi, i quali dispongono di tutti i prodotti accumulati, comincino a
soffrire seriamente.
Loperaio, che nulla possiede, non ricevendo più il suo salario dovrà a viva forza impadronirsi
dei prodotti: troverà i gendarmi, i soldati, i borghesi stessi che vorranno impedirglielo; e la
questione si dovrà bentosto risolvere a colpi di fucile, di bombe, ecc. La vittoria resterà a chi saprà
essere più forte. Prepariamoci dunque a questa lotta necessaria, anzichè limitarci a predicare lo
sciopero generale come una specie di panacea, che dovrà risolvere tutte le difficoltà. Per
conseguenza, anche come modo di cominciare la rivoluzione, lo sciopero generale non potrà essere
impiegato che in maniera assai relativa.
I servizi dalimentazione, ivi compresi naturalmente quelli dei trasporti delle derrate alimentari,
non ammettono una lunga interruzione: bisogna dunque rivoluzionariamente impadronirsi dei
mezzi per assicurare lapprovvigionamento anche prima che lo sciopero si sia, per sè stesso, svolto
in insurrezione. Prepararsi a fare ciò non può essere funzione del sindacalismo; questo può soltanto
fornire le schiere per compierlo.
Su tali questioni, così esposte da Monatte e da me, simpegnò una discussione interessantissima,
quantunque un po soffocata dalla mancanza di tempo e dalla necessità seccante di tradurre in
parecchie lingue. Si concluse proponendo diverse risoluzioni, ma non mi sembrò che le differenze
di tendenze siano state felicemente definite; occorre anzi molto acume per scoprirvele ed infatti la
maggior parte dei congressisti non ve ne scoprirono affatto e votarono egualmente le diverse
risoluzioni.
Questo non impedisce che due tendenze reali si siano manifestate, benchè la differenza esista
più nella previsione delle sviluppo futuro, che nelle intenzioni attuali delle persone. In effetti, sono
convinto che Monatte ed il gruppo dei "giovani" sono tanto sinceramente e profondamente
anarchici e rivoluzionari quanto non importa qual "vecchia barba". Essi si dorranno come noi degli
errori che si produrranno fra funzionari sindacalisti; soltanto, essi li attribuiranno a debolezze
individuali. E qui sta lerrore. Se si trattasse di colpe imputabili ad individui, il male non sarebbe
grande: i deboli spariscono subito ed i traditori sono subito conosciuti e messi nellimpossibilità di
nuocere. Ma ciò che rende il male serio, è che questo dipende dalle circostanze nelle quali i
funzionari sindacalisti si trovano. Io impegno i nostri amici anarchici sindacalisti a riflettervi, ed a
studiare le posizioni rispettive del socialista che diventa deputato e dellanarchico che diventa
funzionario del sindacato: forse il paragone non sarà inutile.
b. Gli anarchici e le leghe operaie32
Come abbiam detto altre volte, e come giova sempre ripetere, noi siamo partigiani convinti del
movimento operaio, o sindacale che voglia dirsi.
Esso mette i lavoratori in lotta contro gli sfruttatori, li abitua allazione collettiva, alla pratica
della solidarietà ed offre un terreno propizio alla propaganda delle nostre idee. Di più, esso dà il
mezzo per potere, in date circostanze, chiamare il popolo in piazza e realizzare una delle condizioni
essenziali per una insurrezione vittoriosa, e può sopperire poi alle prime necessità pratiche
dellindomani della vittoria
Ma non per questo noi siamo sindacalisti, se per sindacalismo sintende quella dottrina che vede
nel fatto solo del sindacato operaio una virtù speciale che deve automaticamente, quasi senza la
coscienza e la volontà degli operai associati, portare allemancipazione dal giogo capitalistico ed alla
costituzione di una nuova società.
Noi non crediamo a questa virtù rinnovatrice propria del sindacato - ed i fatti non confortano a
credervi.
I sindacati operai han servito e servono ai conservatori, ai preti, agli arrivisti di tutte le specie,
come possono servire ai rivoluzionari, e se tendenza propria, naturale, indipendente dalle influenze
esterne, extraeconomiche, essi hanno, è piuttosto quella di dividere la massa in corporazioni chiuse,
lottanti per interessi particolari in opposizione agli interessi della generalità.
I sindacati sorgono per resistere alle esigenze dei padroni, per reclamare dei miglioramenti, per
affermare un desiderio di emancipazione, ed è bene, ma non basta. Se un principio superiore di
giustizia per tutti non ispira gli associati, se al di sopra delle questioni dinteresse personale,
immediato, non vi sono delle aspirazioni ideali che spingono a sacrificare loggi per il domani, il
bene particolare per il bene generale, la lotta contro i padroni prende sempre, nella pratica, un
carattere come di concorrenza fra commercianti, e finisce in transazioni ed accomodamenti, che
creano forse nuovi privilegi per alcuni favoriti dalle circostanze, ma confermano la massa nella sua
servitù. E la difesa della "tariffa sindacale" diventa lotta contro gli altri lavoratori e contro il
pubblico in generale.
Quindi quando noi domandiamo che i sindacati siano neutri, cioè aperti a tutti i lavoratori senza
distinzioni di opinioni e di partiti, non è perchè crediamo che basti associarsi in vista della lotta
economica e che il resto verrà da sè , ma è semplicemente perchè solo con la neutralità politica e
religiosa si può raccogliere tutta la massa, o gran parte della massa, per i fini della propaganda e
dellazione rivoluzionaria. Vogliamo che i sindacati siano neutri, perchè non possiamo averli
anarchici. E anarchici non possiamo averli, perchè per questo bisognerebbe che tutta la massa fosse
anarchica, o altrimenti il sindacato si confonderebbe col gruppo anarchico, e lo scopo di raccogliere
gli arretrati per propagandarli ed allenarli alla lotta verrebbe a mancare.
Secondo noi dunque, il sindacato deve restar neutro, per poter restare aperto a tutti - ma nel suo
seno bisogna lavorare perchè esso diventi di fatto sempre più rivoluzionario, sempre più socialista,
sempre più anarchico. E perciò gli anarchici dovrebbero prendere parte attiva al movimento
operaio, favorire e promuovere la costituzione di sindacati e federazioni di sindacati, appoggiare e
provocare scioperi, ed essere sempre solidali cogli operai in qualunque lotta essi impegnino contro i
padroni e contro le autorità; ma dovrebbero farlo con criteri propri - cioè badando alle finalità
ulteriori più che al piccolo vantaggio immediato, agli effetti educativi più che agli effetti puramente
economici, e cercando di sviluppare e mantener vivo lo spirito di combattività contro i padroni ed il
sentimento di fratellanza e di solidarietà con tutti gli oppressi, siano essi organizzati o non
organizzati.
Gli anarchici dovrebbero anzitutto combattere contro la costituzione, nel seno del movimento
operaio di una classe di funzionari e di dirigenti che unirebbero collavere uno spirito e deglinteressi
opposti a quelli della massa, ed in ogni agitazione temerebbero per i loro salari e le loro posizioni -
e perciò dovrebbero cercare che il lavoro di amministrazione ridotto alla più semplice espressione,
sia fatto, per quanto è possibile, gratuitamente, da volontari che si sostituiscono e si alternano nelle
cariche sociali: o quando fosse necessario compensare chi vi dedica il suo tempo, che il compenso
non sia superiore al salario medio che guadagnano i lavoratori in quel dato mestiere, ed il personale
impiegato si rinnovelli il più sovente possibile.
Gli anarchici dovrebbero cercare che lorganizzazione avesse una vita attiva, con riunioni
generali e discussioni frequenti per impedire che il socio comune finisca col diventare un semplice
passivo contributore di quote.
Dovrebbero impedire che le leghe di resistenza si occupassero di mutuo soccorso, intraprese
cooperative ed altre mansioni che rifuggono naturalmente dai rischi della lotta e cointeressano in
certo modo il lavoratore al mantenimento dellordine vigente.
Dovrebbero combattere le alte quote e la costituzione di forti casse, che paralizzano
lorganizzazione e ne arrestano lo slancio colla paura di perdere il denaro. Le leghe dovrebbero, sì,
educare i soci ai sacrifizii anche pecuniarii, ma impiegare il ricavato nella lotta, nella propaganda in
opere di solidarietà senza accumulare.
Gli anarchici dovrebbero, primi nei rischi e nei sacrifizii, rifiutarsi assolutamente di servire da
intermediari coi padroni e colle autorità; ed in caso di sconfitta subirla, se non si può fare altrimenti
collanimo intento alla rivincita, e non mai accettarla come il risultato di un accordo che vi tiene
moralmente obbligati.
Dovrebbero combattere ogni contratto che lega i lavoratori per un dato tempo, e provocare in
essi uno stato danimo che fa loro sentire la loro vera condizione di schiavi costretti dalla forza,
anche quando apparentemente sembrano liberi contraenti.
Questa tattica, che ci pare indicata dal fine che gli anarchici si propongono, non è forse la più
adatta per la costituzione di associazioni, stabili, vaste e ricche. Ma noi non crediamo nellutilità ,
nella potenza reale di organizzazioni mastodontiche, che per la troppa mole non possono muoversi
e per il troppo denaro sviluppano istinti conservativi e bottegai.
Quello che importa è lo spirito di lotta, lo spirito di solidarietà, lo spirito di associazione. Se una
lega, una federazione si sfascia in conseguenza della lotta e delle persecuzioni, non fa nulla, quando
i suoi membri sono coscienti e le loro aspirazioni sussistono: essa è presto ricostituita appena è
passata la bufera. Una forte, solida organizzazione che non si muove per paura di sfasciarsi è un
peso morto, un ostacolo al progresso.
Nel caso che esistano più organizzazioni rivali, come è il caso ora in Italia con lUnione
Sindacale e la Confederazione del Lavoro, quale è il contegno che debbano tenere gli anarchici?
Secondo noi, gli anarchici debbono favorire quelle organizzazioni che più si accostano ai loro
metodi ed ai loro ideali, e stare, nei periodi di lotta attiva, con quelle che sono in lotta. Dal resto,
entrare in tutte le organizzazioni, in tutti gli aggruppamenti dove sia possibile farlo senza prendere
impegni contrari alle proprie convinzioni e dove si vede la probabilità di fare una propaganda utile
ed esercitare unazione feconda. Tenersi estranei il più possibile alle beghe personali, e spronare i
lavoratori ad agire da loro stessi senza bisogno di capi e soprattutto senza sposare gli odi e le
rivalità di coloro che posano a capi. Combattere lingerenza nelle organizzazioni operaie dei
politicanti e degli arrivisti che si vogliono far sgabello dei lavoratori per aprirsi una carriera nel
mondo borghese.
Vi sono degli anarchici che avversano ogni organizzazione per la lotta economica e se ne
tengono rigorosamente lontani. A noi pare una tattica sbagliata.
Certamente la lotta economica finché resta solo lotta economica, non può risolvere la questione
sociale.
I miglioramenti possibili in regime capitalista, se diventano generali, sono annullati dal gioco
stesso dei fattori economici, e quando si trattasse di attaccare nelle sue parti vitali il privilegio dei
proprietari, interverrebbe il potere politico a garantire colla forza brutale il mantenimento dellordine
legale.
Dunque la questione deve in definitiva risolversi sul terreno politico, cioè colla lotta contro il
governo. Se i lavoratori riusciranno ad abbattere il governo, il quale in ultima analisi non è che la
forza armata che sta a difesa del privilegio, potranno prender possesso della ricchezza sociale e
divenire veramente liberi. Se no, no.
Ma per abbattere il governo ed abbatterlo a scopo di emancipazione generale, bisogna avere con
noi quanta più massa è possibile, ed una massa quanto più è possibile cosciente dello scopo per cui
si deve fare la rivoluzione. E la massa non viene alle idee anarchiche così di botto, senza un
tirocinio più o meno graduale.
Bisogna dunque entrare in contatto colla massa, per sospingerla avanti ed averla con noi in
piazza, i giorni della lotta risolutiva. Le organizzazioni economiche ci sembrano uno dei mezzi
migliori di cui disponiamo.
Certo occorre nella preparazione dei mezzi non perdere di vista il fine. Ma occorre pure di non
trascurare, nella contemplazione astratta del fine, i mezzi atti a raggiungerlo.
2. NECESSITÀ E PROBLEMI DEL MOVIMENTO OPERAIO
a. Gli anarchici nel movimento operaio33
Lasciando da parte i conservatori ed i borghesi di tutte le categorie i quali, se sinteressano alle
associazioni operaie, è semplicemente nello scopo di far argine con linganno alla marea
emancipatrice che sale e servirsi come mezzo di asservimento di un movimento che per sua natura
dovrebbe essere movimento di liberazione, vi sono tra i riformatori sociali tre partiti (o scuole)
principali, che si trovano, o dovrebbero trovarsi, più o meno daccordo nelle piccole lotte quotidiane
per la difesa deglinteressi operai in regime borghese, ma si dividono radicalmente in quanto agli
scopi ultimi a cui vogliono condurre il movimento e quindi anche nel genere di propaganda che
fanno nel suo seno e nei tipi di organizzazione che preferiscono. Essi sono i socialisti, i sindacalisti
e gli anarchici, tutti e tre convinti che per emancipare i lavoratori ed instaurare un migliore ordine
sociale, bisogna abbattere il sistema capitalistico, ma divisi sulla concezione della società futura e
sulle vie per arrivarvi.
I socialisti, fra i quali comprendo anche la frazione che ora si intitola comunista, vogliono
diventare governo, non importa ora se con mezzi legali o con la violenza. Essi credono possedere la
ricetta per guarire tutti i mali e risolvere tutti i problemi sociali, e vogliono imporre quella loro
ricetta in nome di una pretesa maggioranza legalmente constatata o con la dittatura usurpata da
alcuni individui in nome del loro partito. Le masse debbono servire solamente per fornire i voti e le
braccia necessarie per mandare al potere i capi del partito, e tutta la tattica è diretta allo scopo di
sottomettere al partito le organizzazioni operaie. Perciò i dirigenti socialisti (e peggio se
"comunisti") delle organizzazioni si sottraggono il più possibile al controllo degli organizzati,
soffocano ogni autonomia ed ogni spirito diniziativa e col pretesto della disciplina nelle azioni
collettive educano gli operai allubbidienza passiva ai capi. In tal modo essi si foggiano larme per
andare al potere e preparano le masse a piegarsi docilmente sotto la fèrula del governo di domani.
I sindacalisti hanno delle concezioni più libertarie Essi vogliono rendere inutile lo Stato,
esautorarlo e distruggerlo mediante i sindacati che a poco a poco dovrebbero assorbire tutte le
funzioni della vita sociale. Naturalmente per questo è necessario che i mezzi di produzione (terra,
materie prime macchine, ecc.) fossero diventate proprietà collettiva dei sindacati, comunque
federati tra loro.
Non è qui il luogo di discutere questo programma; ma è certo che per attuarlo bisognerebbe
prima espropriare i detentori della ricchezza sociale, e siccome essi sono difesi dalla forza armata
dello Stato, bisognera vincere questa forza. E perciò i sindacalisti quantunque in teoria amino dire
che il sindacalismo basta a sè stesso, debbono poi nella pratica, o pensare ad impadronirsi dello
Stato, col voto o con la violenza, e diventano socialisti, o pensare a distruggerlo e diventano
anarchici.
Questa loro inconsistenza programmatica si rispecchia nella storia delle organizzazioni operaie
a tendenza sindacalista: presto o tardi si presentano le circostanze in cui dal terreno puramente
sindacale bisognò passare alla lotta politica propriamente detta, ed allora viene fuori la divergenza e
lincompatibilità tra i riformisti ed i rivoluzionari, i parlamentaristi e gli antiparlamentaristi, i
socialisti e gli anarchici, che si trovavano riuniti sotto il mantello di una mentita neutralità
sindacale. E allora cominciano le lotte intestine e le scissioni. Intanto, finchè lequivoco dura, si fa in
quelle organizzazioni opera dazione diretta, si lascia libertà di propaganda alle correnti più avanzate
e si abituano le masse ad una fierezza e ad una volontà di lotta che è ottimo tirocinio per preparare
alla rivoluzione. Noi anarchici non possiamo identificarci con quelle come con nessunaltra
organizzazione operaia, ma dobbiamo preferirne alle altre come il campo più adatto per estendere la
nostra influenza, incoraggiarle, parteciparvi in tutti i modi non contraddittori con le idee nostre,
senza per questo inibirci lentrata in qualsiasi altra organizzazione dove crediamo poter fare opera
utile di propaganda, di critica e di sprone. È quello che più o meno bene si è fatto finora; ora è
tempo, io credo, di concordare un piano più organico per poter agire con maggiore efficacia sul
movimento e meglio utilizzarlo ai nostri fini.
Le organizzazione operaie vivono in tali condizioni, subiscono necessità tali che la posizione
degli anarchici che vi lavorano dentro diventa difficile, e certe volte incompatibile sempre che dalla
predicazione teorica, dalla propaganda avveniristica bisogna passare alle misure pratiche richieste
dalla lotta effettiva.
Fatte per difendere gli interessi attuali, immediati degli operai in regime di proprietà privata e di
salariato, proponendosi di riunire il più gran numero possibile di lavoratori senza badare alle
differenze di opinioni religiose e politiche o alla mancanza di una qualsiasi opinione determinata,
dovendo attenuare gli effetti senza poter distruggere le cause della soggezione dei lavoratori, anche
quando nel programma hanno scritto labolizione del salariato e lemancipazione integrale, debbono
nella pratica quotidiana accettare il fatto del dominio e del profitto capitalistico e limitarsi e
rendere, mediante una continua resistenza, meno assoluto quel dominio ed assicurare al produttore
una meno scarsa parte del prodotto. In esso anche il più deciso rivoluzionario deve subire il metodo
riformista che è quello di conquistare poco a poco dei miglioramenti, che poi si perdono tutto dun
tratto quando le cause persistenti del male sociale, cioè il profitto e la concorrenza capitalistica,
menano alle ricorrenti crisi di disoccupazione e di concorrenza per il pane tra gli stessi salariati.
Poichè tutti i vantaggi del metodo rivoluzionario, buoni a mettere avanti per far comprendere la
necessità della rivoluzione, non hanno efficacia positiva se non quando la rivoluzione si fa. E la
rivoluzione non si può fare tutti i giorni!
Ma questo è il meno. Linconveniente più grave sta nel fatto degli interessi contrastanti tra le
diverse categorie di lavoratori e tra ciascuna categoria di produttori ed il pubblico dei consumatori.
Si suol dire che i proletari hanno un interesse comune nella lotta contro i padroni e quindi
debbono essere tutti solidali tra di loro - ed è vero se si tratta dellinteresse di abolire il patronato ed
instaurare una società in cui tutti lavorino per il maggior bene di ciascuno e di tutti. Ma non è punto
vero nella società attuale dove lindustriale ed il proprietario di terre per far salire i prezzi ed
assicurarsi un maggiore profitto e per poter inoltre mantenere bassi i salari, cercano di limitare la
produzione e causano la penuria dei prodotti e mancanza di lavoro.
Così si stabilisce un antagonismo spesso involontario ed inconscio, ma naturale e fatale tra chi
lavora e chi è disoccupato, tra chi ha un posto buono e sicuro e chi guadagna poco e sta sempre in
pericolo di essere licenziato, tra chi sa il mestiere e chi vuole impararlo, tra il maschio che ha il
monopolio della professione e la donna che si affaccia sul terreno della concorrenza economica, tra
lindigeno e limmigrato, tra lo specialista che vorrebbe proibire agli altri la sua specialità e gli altri
che non vogliono riconoscere il monopolio, e poi in generale tra categoria e categoria secondo che
glinteressi transitori o permanenti delluna contrastano cogli interessi dellaltra. Alcune categorie si
avvantaggiano della protezione doganale, altre ne soffrono; alcune desiderano certi interventi
dallautorità statali, certe leggi e certi regolamenti, mentre altre lottano in migliori condizioni se il
governo non si mischia dei loro affari.
Daltra parte esiste un antagonismo permanente fra ciascuna categoria di lavoratori e gli altri
lavoratori in quanto sono consumatori dei prodotti di quella. Ogni aumento di salario di una
categoria si traduce in un aumento di prezzo dei suoi prodotti e causa danno al pubblico, fino a
quando laumento dei salari di tutte le categorie ristabilisce lequilibrio e rende illusorio il benefizio
dellaumento.
Così avviene che tante organizzazioni operaie, sorte per iniziativa di pochi generosi con largo
spirito di solidarietà umana e fieri propositi di battaglia, si sono poi, a misura che son cresciute di
numero e di potenza, moderate, corrotte e trasformate in corporazioni chiuse, preoccupate solo
dellinteresse dei soci in opposizione ai non soci.
Aggiungiamo a tutto questo la burocrazia parassitaria che si sviluppa nel loro seno, i capi che
sinstallano alla dirigenza e manovrano come dei semplici politicanti per restarvi in permanenza, gli
scopi politici antiproletari o antilibertari a cui spesso sono fatti servire, i contatti ripugnanti ma
inevitabili colle autorità, e ci spiegheremo facilmente lantipatia e lostilità, che certi compagni, ora
credo ridotti a pochissimi, manifestano contro le organizzazioni operaie.
Ma è consigliabile, è utile, è possibile per gli anarchici restar fuori delle organizzazioni operaie,
o parteciparvi solo passivamente, semplicemente in quanto sono operai che hanno bisogno di
lavorare e non vogliono fare i crumiri?
A me sembra che sarebbe una sciocchezza, che ammonterebbe in pratica ad un tradimento della
causa rivoluzionaria, o più generalmente, della causa del progresso e della emancipazione umana.
Il movimento operaio è ormai uno dei fattori principali della storia di oggi e di quella del
prossimo domani, e disinteressarsene significherebbe mettersi fuori della vita reale, rinunziare ad
esercitare unazione sensibile sugli avvenimenti, lasciare che i socialisti, i comunisti, i clericali ed
altri partiti di governo difendendo o affettando di difendere glinteressi attuali degli operai, interessi
piccoli e transitori ma pur necessari a chi vive oggi, acquistino la fiducia delle masse e se ne
servano per arrivare al potere, con questo o con un altro regime, e mantenere il popolo nella
schiavitù.
Le organizzazioni operaie per la resistenza contro i padroni sono il mezzo migliore, forse lunico
accessibile a tutti, per entrare in contatto permanente colle grandi masse, farvi la propaganda delle
idee nostre, predisporle alla rivoluzione e spingerle o trascinarle in piazza per qualunque azione
preparatoria o definitiva. In esse gli oppressi ancora docili e sommessi siniziano alla coscienza dei
loro diritti e della forza che possono trovare nellaccordo coi compagni di oppressione: in esse
comprendono che il padrone è il loro nemico, che il governo, già ladro ed oppressore per la natura
sua, è sempre pronto a difendere i padroni, e si preparano spiritualmente al rovesciamento totale del
vigente ordine sociale.
Fuori delle associazioni operaie noi possiamo fare la propaganda orale e scritta, organizzare
gruppi di studio o dazione, pagare di persona in tutte le occasioni, ma resteremmo sempre impotenti
a dare un indirizzo nostro al corso degli eventi e dovremmo accodarci agli altri, offrirci agli altri, i
quali sfrutterebbero il nostro lavoro ed i nostri sacrifici per fini non nostri, anzi contrari ai nostri.
Daltronde, a causa del nostro programma, noi siamo più che qualunque altro partito interessati
ad un largo sviluppo del movimento operaio. Noi non vogliamo governare e vogliamo nel limite
delle nostre forze impedire che altri governino, cioè che impongano con la forza i propri piani ed i
propri sistemi di vita sociale. Noi vogliamo che la nuova società si sviluppi secondo il volere libero,
cangiante, progrediente delle masse (di cui naturalmente siamo parte anche noi) e per farlo è utile,
necessario che il giorno della rivoluzione vi sia un numero quanto più grande è possibile doperai
comunque organizzati, pronti a continuare la produzione, a stabilire le necessarie relazioni tra paese
e paese e tra categoria e categoria, provvedere alla distribuzione ed a tutti i bisogni della vita, senza
affidare a nessuno il potere di imporre con la forza delle "guardie rosse" i propri voleri ed i propri
interessi.
Dunque a parer mio, gli anarchici dovrebbero penetrare in tutte le organizzazioni operaie, farvi
propaganda acquistarvi influenza ed accettare in esse tutte le funzioni e tutte le responsabilità
compatibili con la loro qualità di anarchici.
La cosa non è senza pericoli daddomesticamento, di deviazione, di corruzione e molti dolorosi e
vergognosi esempi si possono citare contro la mia tesi.
Ma come fare? Se si vuole agire bisogna correre i rischi dellazione, che in questo caso sono
rischi morali, e diminuirli colla prescrizione di una linea di condotta ben determinata e con un
continuo mutuo controllo tra compagni.
Se vi sono dei compagni i quali considerano lanarchia come un ideale di perfezione individuale
e sociale che si realizzerà forse tra qualche migliaio danni, e credono che tutto quello che vè da fare
oggi sia il tenere la fiaccola accesa per il culto di pochi, essi hanno delle buone ragioni per tenersi
lontani dai contatti impuri e dalle posizioni compromettenti.
Ma la grande maggioranza degli anarchici ed in specie quelli aderenti allU.A.I.34 sono
dopinione se io non interpreto male il loro pensiero, che glindividui non si perfezionerebbero e
lanarchia non si realizzerebbe nemmeno fra qualche migliaio danni, se prima non si creasse per
mezzo della rivoluzione fatta dalle minoranze coscienti il necessario ambiente di libertà e di
benessere. Per questo vogliamo fare la rivoluzione al più presto possibile, e per farla abbiamo
bisogno di mettere a profitto tutte le forze utili e tutte le circostanze opportune cosi come la storia
ce le fornisce.
Le organizzazione operaie non possono essere composte di soli anarchici e non è desiderabile
che lo fossero, perchè allora sarebbero un inutile duplicato dei gruppi anarchici e mancherebbero al
loro scopo specifico. Gli anarchici che vi lavorano dentro non possono sempre condursi da
anarchici come non si può condursi da anarchici vivendo nella società attuale, ma vi possono
costituire dei gruppi anarchici che esercitino unazione di propulsione e di controllo e debbono
condursi da anarchici quanto più è possibile.
Vi sono in Italia varie grandi organizzazioni operaie. Noi dobbiamo lavorare e lottare in tutte
quante, perchè in tutte vi sono sfruttati che han bisogno di emanciparsi, in tutte si può far
propaganda e dar lesempio dellenergia e dello spirito di solidarietà. Dove è il caso, dobbiamo
preferire quelle che più si avvicinano a noi, ma non dobbiamo abbandonare le altre al monopolio
dei nostri avversari. E dobbiamo appoggiarci ed intenderci tra noi per il lavoro che facciamo nelle
varie organizzazioni e per latteggiamento da prendere e per lazione da svolgersi nelle varie
occasioni.
Perciò io proporrei che tutti gli anarchici che si trovano in grado di esercitare dellinfluenza nelle
organizzazioni operaie stabiliscano tra di loro unintesa permanente e si tengano in rapporti regolari
per agire daccordo.
b. La funzione del sindacato nella rivoluzione35
Il mio articolo recente su Sindacalismo e Anarchismo ha suscitato dei dubbi in alcuni compagni,
che pur sono daccordo sulla tesi generale chio sostenevo.
Uno di essi mi scrive:
"Visto che non salteremo a piè pari dalla società borghese a quella anarchica belle organizzata,
non potrebbero essere i sindacati - quelli dei mestieri utili, si capisce, non quelli dei marmisti o dei
gioiellieri! - gli organi per lo meno provvisori necessari a continuare lorganizzazione della
produzione e della distribuzione che dovrà continuare senza interruzione anche in periodo
rivoluzionario?"
Perfettamente. Ed appunto perchè sono convinto che i sindacati possono e debbono esercitare
una funzione utilissima, e forse necessaria, nel passaggio della società attuale alla società
ugualitaria, io vorrei che essi fossero giudicati al loro giusto valore e che si tenesse sempre presente
la loro naturale tendenza a diventare delle corporazioni chiuse intente solo a propugnare glinteressi
egoistici della categoria, o, peggio ancora, dei soli organizzati, per potere meglio combatterla ed
impedire che essi diventino degli organi di conservazione. Così come appunto perchè riconosco
lutilità grandissima che possono avere le cooperative nellabituare gli operai alla gestione dei loro
affari e del loro lavoro, e funzionare, allinizio della rivoluzione, quali organi già pronti per
lorganizzazione della distribuzione dei prodotti e servire come centri di attrazione intorno a cui si
potrà raccogliere la massa della popolazione, io combatto lo spirito bottegaio che tende
naturalmente a svilupparsi in esse e vorrei che esse fossero aperte a tutti, che non dessero alcun
privilegio ai loro soci e soprattutto che non si trasformassero come avviene spesso, in vere società
anonime capitalistiche che impiegano e sfruttano dei salariati e speculano sui bisogni del pubblico.
Secondo me, cooperative e sindacati, tali quali sono in regime capitalistico, non portano
naturalmente, per loro forza intrinseca, alla emancipazione umana (è questo il punto controverso),
ma possono produrre il male o il bene, essere organi oggi di conservazione o trasformazione
sociale, servire domani la reazione o la rivoluzione, secondo che si limitino alla loro funzione
propria di difensori degli interessi attuali dei soci, o siano animati e travagliati dallo spirito
anarchico, che fa loro dimenticare glinteressi in omaggio agli ideali. E per spirito anarchico intendo
quel sentimento largamente umano che aspira al bene di tutti, alla libertà ed alla giustizia per tutti,
alla solidarietà, ed allamore fra tutti, e che non è dote esclusiva degli anarchici propriamente detti,
ma anima tutti gli uomini di cuore buono e dintelligenza aperta.
Per sè stesso il movimento operaio, mirando alla protezione deglinteressi attuali dei lavoratori e
più specialmente dei membri di ciascun sindacato, tende naturalmente a diminuire la concorrenza
sul mercato del lavoro per poter meglio resistere alle pretese dei padroni, ad ostacolare lentrata di
nuovi soci alle organizzazioni arrivate ad un certo limite di potenza, a fare del lavoro qualificato e
meglio pagato un privilegio degli organizzati, a creare insomma una nuova classe privilegiata, un
nuovo ceto interessato ad intendersela coi padroni, a diventare complice dello sfruttamento
capitalistico, colla compartecipazione agli utili, collazionariato operaio, ecc, a danno della grande
massa dei diseredati, condannati ai lavori puramente manuali e divenuti servi delle macchine e poco
più che pezzi di macchine.
Questo può non accadere se vi è spirito di ribellione nella massa, e se una luce ideale illumina
ed eleva quegli operai meglio dotati e più favoriti dalle circostanze che sarebbero in grado di
costituire la nuova classe privilegiata. Ma è indubitato che se si resta sul terreno della difesa
deglinteressi attuali che è il terreno proprio dei sindacati, poichè gli interessi non sono armonici nè
possono armonizzarsi in regime capitalistico, la lotta tra i lavoratori è un fatto naturale e può anche
in certe circostanze e fra certe categorie diventare più accanita che tra lavoratori e sfruttatori.
Per convincersene basta osservare quello che sono le maggiori organizzazioni operaie nei paesi
in cui vi è molta organizzazione e poca propaganda, o tradizione rivoluzionaria
c. L'illusione dello sciopero generale36
Lo "sciopero generale" è certamente unarma potente di lotta nelle mani del proletariato ed è, o
può essere, un modo ed unoccasione per determinare una radicale rivoluzione sociale.
Eppure io mi domando se lidea dello sciopero generale ha fatto più male che bene alla causa
della rivoluzione!
In realtà io credo che nel passato il male abbia superato il bene; e che oggi potrebbe essere il
contrario, cioè potrebbe lo sciopero generale essere veramente un mezzo efficace di trasformazione
sociale solo se fosse inteso e praticato in modo diverso da quello che usavano i vecchi sciopero-
generalisti.
Nei primi tempi del movimento socialista, e specialmente in Italia ai tempi della prima
Internazionale, quando era fresca ancora la memoria delle lotte mazziniane ed erano vivi in gran
parte gli uomini che avevano combattuto per "lItalia", nelle file garibaldine e che si trovavano
disillusi ed indignati per lo scempio che monarchici e capitalisti facevano dellItalia vera, si
comprendeva chiaramente che il regime sostenuto dalle baionette non poteva essere abbattuto se
non convertendo in difensori del popolo una parte dei soldati e vincendo in lotta armata le forze di
polizia e quella parte di soldati restata fedele alla disciplina.
E perciò si cospirava, cioè si faceva propaganda attiva tra i soldati, si cercava di armarsi, si
preparavano piani di azione militare.
I risultati, a dir vero, erano meschini, perchè si era in pochi, perchè gli scopi sociali per i quali si
voleva fare la rivoluzione erano misconosciuti e respinti dalla generalità, perchè insomma "i tempi
non erano maturi".
Ma la volontà della preparazione insurrezionale vi era e trovava poco a poco il mezzo di
realizzarsi, la propaganda incominciava ad estendersi e portare i suoi frutti; "i tempi maturavano",
in parte per opera diretta dei rivoluzionari e più per levoluzione economica che acuiva il conflitto, e
sviluppava la coscienza del conflitto, tra lavoratori e padroni, e che i rivoluzionari mettevano a
profitto.
Le speranze della rivoluzione sociale crescevano, e sembrava certo che, tra lotte, persecuzioni,
tentativi più o meno "inconsulti" e sfortunati, soste e riprese di attività febbrile, si arriverebbe, in un
tempo non troppo lontano, a determinare lo scoppio finale e vittorioso, che doveva abbattere il
regime politico ed economico vigente ed aprire le vie ad una più libera evoluzione verso nuove
forme di convivenza sociale, basate sulla libertà di tutti, la giustizia per tutti, la fratellanza e la
solidarietà fra tutti.
Ma poi, a frenare limpulso volontaristico della gioventù socialista (allora si chiamavano
socialisti anche gli anarchici) venne il marxismo coi suoi dogmi e col suo fatalismo. E
disgraziatamente con le sue apparenze scientifiche (si era in piena ubriacatura scientificista) il
marxismo illuse, attrasse e sviò anche la più parte degli anarchici.
I marxisti incominciarono a dire che la rivoluzione viene, ma non si fa", che il socialismo
verrebbe necessariamente per il "fatale andare" delle cose, e che il fattore politico (che è poi la
forza, la violenza messa a servizio deglinteressi economici) non ha importanza e che il fatto
economico determina tutta quanta la vita sociale. E così la preparazione insurrezionale fu trascurata
e praticamente abbandonata.
Di passaggio noterò che quei marxisti che disprezzavano tanto la lotta politica, quando essa era
lotta tendenzialmente insurrezionale, decisero poi che la politica era il mezzo principale e quasi
esclusivo per far trionfare il socialismo non appena intravidero la possibilità di andare al
parlamento e di dare alla lotta politica il significato restrittivo di lotta elettorale; e si sforzarono con
questo di spegnere nelle masse ogni entusiasmo per lazione insurrezionale.
In questo stato di cose ed in questa disposizione generale degli spiriti fu lanciata lidea dello
sciopero generale, che fu accolta entusiasticamente da quelli che non avevano fiducia nellazione
parlamentare e vedevano aperta una nuova e promettente via allazione popolare.
Il guaio però fu che i più videro nello sciopero generale non un mezzo per trascinare le masse
allinsurrezione, cioè allabbattimento violento del potere politico ed alla presa di possesso della
terra, degli strumenti di produzione e di tutta la ricchezza sociale, ma vi videro un sostituto
dellinsurrezione, un modo per "affamare la borghesia" e farla capitolare senza colpo ferire.
E poichè è fatale che il comico ed il grottesco si mescolino sempre anche nelle cose più serie vi
furono di quelli che cercavano delle erbe e delle "pillole" capaci di sostenere indefinitamente il
corpo umano senza mangiare per indicarle ai lavoratori e metterli in grado di aspettare, in un
pacifico digiuno, che i borghesi venissero a chiedere scusa e perdono.
Ecco perchè ritengo che lidea dello sciopero generale ha fatto danno alla rivoluzione. Ora spero
e credo che lillusione di far capitolare la borghesia per fame sia completamente sparita e se un poco
ne era restata i fascisti si sono incaricati di dissiparla.
Lo sciopero generale di protesta, o per appoggiare delle rivendicazioni economiche o politiche,
compatibili col regime, se fatto in momento propizio, quando governo e padroni trovano opportuno
cedere subito per paura di peggio, può giovare. Ma bisogna non dimenticare che bisogna mangiare
tutti i giorni e che, se la resistenza si prolunga solo per parecchi giorni, bisogna o piegarsi
ignominiosamente al giogo padronale, o insorgere... anche se il governo o le forze irregolari della
borghesia non prendono liniziativa della violenza.
Dal che si deduce che uno sciopero generale sia in vista di una soluzione definitiva, sia per
scopi transitori, deve essere fatto con la disposizione, e la preparazione, di risolvere la questione
colla forza.
3. IL SINDACATO COME MEZZO DI LOTTA E DI EDUCAZIONE RIVOLUZIONARIA E
COME NUCLEO FUTURO DI RIORGANIZZAZIONE SOCIALE
a. L'organizzazione sindacale oggi e domani37
...Noi abbiamo sempre compreso la grande importanza del movimento operaio e la necessità per
gli anarchici di esserne parte attiva e propulsiva. E spesso è stato per liniziativa di compagni nostri
che si sono costituiti aggruppamenti operai più vivi e più progressivi.
Abbiamo sempre pensato che il sindacato è , oggi, un mezzo perchè i lavoratori incomincino a
comprendere la loro posizione di schiavi, a desiderare lemancipazione e ad abituarsi alla solidarietà
con tutti gli oppressi nella lotta contro gli oppressori - e domani servirà come primo nucleo
necessario alla continuità della vita sociale ed alla riorganizzazione della produzione senza padroni
e parassiti.
Ma abbiamo sempre discusso, e spesso dissentito, sui modi come lazione anarchica doveva
esplicarsi nei rapporti collorganizzazione dei lavoratori.
Bisognava entrare nei sindacati, o restarne fuori, pur prendendo parte a tutte le agitazioni e
cercare di dar loro il carattere più radicale possibile e mostrarsi primi nellazione e nei pericoli?
E soprattutto, se dentro dei sindacati, bisognava o no assumere cariche direttive e quindi
prestarsi a quelle transazioni, quei compromessi, quegli accomodamenti, a quei rapporti con le
autorità e coi padroni, a cui debbono adattarsi, per volere degli stessi lavoratori e per il loro
interesse immediato, nelle lotte quotidiane quando non si tratta di fare la rivoluzione, ma di ottenere
dei miglioramenti o difendere quelli già conseguiti?
Nei due anni che seguirono la pace e fino alla vigilia del trionfo della reazione per opera del
fascismo noi ci trovammo in una singolare situazione.
La rivoluzione sembrava imminente, e vi erano infatti tutte le condizioni materiali e spirituali
perchè essa fosse possibile e necessaria.
Ma noi anarchici mancavamo di gran lunga delle forze occorrenti per fare la rivoluzione con
metodi e uomini esclusivamente nostri: avevamo bisogno delle masse, e le masse erano bensì
disposte allazione, ma non erano anarchiche. Daltronde una rivoluzione fatta senza il concorso delle
masse, anche se fosse stata possibile, non avrebbe potuto metter capo che ad una nuova
dominazione, la quale anche se esercitata da anarchici sarebbe sempre stata la negazione
dellanarchismo, avrebbe corrotto i nuovi dominatori e sarebbe finita colla restaurazione dellordine
statale e capitalistico.
Ritrarsi dalla lotta, astenersi perchè non potevamo fare proprio come avremmo voluto, sarebbe
stato un rinunziare ad ogni possibilità presente o futura, ad ogni speranza di sviluppare il
movimento nella direzione da noi desiderata - e rinunziarvi non solo per quella volta, ma per
sempre, poichè non si avranno mai masse anarchiche prima che la società sia trasformata
economicamente e politicamente, e la stessa situazione si ripresenterà tutte le volte che le
circostanze renderanno possibile un tentativo rivoluzionario.
Occorrerà dunque a qualunque costo acquistare la fiducia delle masse, mettersi in posizione di
poterle spingere in piazza e per questo appariva utile conquistare nelle organizzazione operaie
cariche direttive. Tutti i pericoli daddomesticamento e di corruzione passavano in secondo luogo, e
daltronde si supponeva che non avrebbero avuto il tempo di realizzarsi. Quindi si venne alla
conclusione di lasciare a ciascuno la libertà di regolarsi secondo le circostanze e come meglio
credeva, a condizione di non dimenticare mai di essere anarchico e di farsi sempre guidare
dallinteresse superiore della causa anarchica.
Ma ora, dopo le ultime esperienze, e vista la situazione attuale che non ammette connubi
transitori e domanda un ritorno rigoroso ai principi per trovarsi meglio preparati e più
profondamente convinti nelle prossime evenienze, mi pare che convenga ritornare sulla questione e
vedere se sia il caso di modificare la tattica su questo punto importantissimo della nostra attività.
Spero che il Congresso vorrà esaminare la questione collattenzione che merita. Secondo me,
bisogna entrare nei sindacati, perchè standone fuori se ne appare nemici, la nostra critica è guardata
con sospetto e nei momenti di agitazione saremmo considerati come intrusi e male accetto sarebbe
il nostro concorso.
Parlo, sintende, dei veri sindacati composti di lavoratori liberamente associati per difendere i
loro interessi contro i padroni e contro il governo; e non già dei sindacati fascisti, spesso reclutati a
suon di bastonate e colla minaccia della fame, i quali sono unarma di governo ed un tentativo per
meglio sottomettere i lavoratori alle esigenze padronali. Bisogna entrare nei sindacati ed esercitarvi
opera di propulsione, per dare loro un carattere sempre più libertario e vigilare e criticare e
combattere le possibili debolezze e defezioni dei dirigenti.
Ed in quanto a sollecitare ed accettare noi stessi il posto di dirigenti credo che in linea generale
ed in tempi calmi è meglio evitarlo. Però credo che il danno ed il pericolo non stia tanto nel fatto di
occupare un posto direttivo - cosa che in certe circostanze può essere utile ed anche necessaria - ma
nel perpetuarsi in quel posto. Bisognerebbe, secondo me, che il personale dirigente si rinnovasse il
più spesso possibile, sia per abilitare un più gran numero di lavoratori alle funzioni amministrative,
sia per impedire che il lavoro dorganizzazione diventi un mestiere ed induca quelli che lo compiono
a portare nelle lotte operaie la preoccupazione di non perdere limpiego. E tutto questo non solo
nellinteresse attuale della lotta e delleducazione dei lavoratori, ma anche e maggiormen-te in vista
dello svolgimento della rivoluzione dopo che la rivoluzione sarà iniziata.
A giusta ragione gli anarchici si oppongono al comunismo autoritario, il quale suppone un
governo, che, volendo dirigere tutta la vita sociale e mettere lorganizzazione della produzione e la
distribuzione delle ricchezze sotto gli ordini di funzionari suoi, non può non produrre la più esosa
tirannia e la paralizzazione di tutte le forze vive della società.
Ma questa espropriazione e questa distribuzione non possono, in pratica, essere fatte
tumultuariamente, dalla massa anche se sindacata, senza produrre uno sperpero esiziale di ricchezze
ed il sacrificio dei più deboli per opera dei più forti e brutali; e anche meno si potrebbero in massa
stabilire gli accordi fra le diverse località e gli scambi fra le diverse corporazioni di produttori.
Bisognerebbe dunque provvedere per mezzo di deliberazioni prese in assemblee popolari ed
eseguite da gruppi ed individui o spontaneamente offertisi o regolarmente delegati.
Ora, se vè un ristretto numero dindividui che per lunga abitudine sono considerati capi dei
sindacati, se vi sono segretari permanenti ed organizzatori ufficiali, saranno essi che
automaticamente si troveranno. incaricati di organizzare la rivoluzione, ed essi avranno tendenza a
considerare come intrusi ed irresponsabili quelli che vorranno prendere delle iniziative indipendenti
da loro, e vorranno imporre, sia pure colle migliori intenzioni la loro volontà - magari con la forza.
Ed allora il regime sindacalista diventerebbe presto la stessa menzogna e la stessa tirannia che è
diventata la cosiddetta dittatura del proletariato.
Il rimedio a questo pericolo e la condizione perchè la rivoluzione riesca veramente
emancipatrice stanno nel formare un gran numero dindividui capaci di iniziativa e di opere pratiche,
nellabituare le masse a non abbandonare la causa di tutti nelle mani di qualcuno e a delegare,
quando delegazione è necessaria, solo per incarichi determinati e per tempo limitato. Ed a creare
una siffatta situazione ed un siffatto spirito è mezzo efficacissimo il sindacato se organizzato e
vissuto con metodi veramente libertari.
b. Lunità sindacale38
Si sente oggi da molti il bisogno di arrivare all"Unità sindacale", vale a dire di fondere insieme
in un solo grande organismo le varie organizzazioni operaie che, pur avendo comune lo scopo della
difesa e dellattacco contro lo sfruttamento capitalistico, sono state finora divise ed in lotta tra di loro
a causa di differenze nei fini ultimi che si propongono e nei mezzi di lotta preferiti, e spesso,
purtroppo, per ambizioni di capi e rivalità di reclutamento. E già qualche risultato pratico sulla via
dellunione è stato raggiunto, come è la fusione dellUnione Italiana del Lavoro e di qualche
organizzazione bianca del Cremonese e del Bergamasco colla Confederazione Generale del Lavoro.
Io, anche se dovessi su questo punto trovarmi in disaccordo con qualche compagno
particolarmente affezionato ad una speciale organizzazione benemerita del proletariato italiano e
più affine alle idee ed ai metodi anarchici, mi auguro che il movimento fusionista continui e
progredisca fino ad abbracciare tutti quei lavoratori che in un grado qualunque ed in un qualsiasi
modo sentono lingiustizia di cui sono vittime nellattuale società, che vogliono lottare contro i
padroni per il miglioramento e per lemancipazione e che, comprendendo limpotenza in cui si trova
il lavoratore isolato, cercano nella solidarietà coi loro compagni di classe la forza di cui hanno
bisogno. E vorrei che i nostri compagni accettassero e magari si facessero antesignani di questa
tendenza, che rappresenta poi lintimo desiderio di quel gran numero di lavoratori che si sentono
fratelli con tutti quelli che lavorano e soffrono con loro e non comprendono le ragioni di certe
divisioni e spesso, a causa di quelle divisioni, si appartano sfiduciati e disgustati - non già, sintende,
perchè gli anarchici indulgano ai metodi dei dirigenti della Confederazione generale, ma perchè
cerchino di far trionfare colla propaganda e collesempio i metodi che credono migliori e soprattutto
fraternizzino colle masse organizzate nella Confederazione e facciano in modo, per quel che da loro
dipende, che tutti i lavoratori siano uniti e solidali nella lotta Contro i padroni.
È certo che la divisione della parte eletta del proletariato tra diverse organizzazioni rivali ed
ostili fa sciupare in lotte intestine quelle forze che dovrebbero essere tutte impiegate nelleducazione
e nella lotta contro il nemico comune, come è certo che quella divisione fu una delle cause precipue
per cui il proletariato fu sconfitto e sottoposto ad un rincrudimento di oppressione, proprio quando
sembrava che fosse alla vigilia della vittoria. Quindi è urgente che tutti coloro che vogliono
sinceramente e senza mire personali lelevazione dei lavoratori e lumana emancipazione, facciano il
possibile per giungere alla desiderata unione. E naturalmente noi saremmo fieri se i compagni
nostri, gli anarchici, si distinguessero per il loro zelo in questopera salutare.
Senonchè i partiti politici, i quali del resto sono stati spesso gli originatori ed i primi animatori
del movimento sindacale, vollero servirsi delle associazioni operaie come campo di reclutamento e
come strumenti pei loro fini speciali di rivoluzione o di conservazione sociale. Quindi le divisioni
tra la classe operaia organizzata in vari raggruppamenti sotto lispirazione dei vari partiti. Quindi il
proposito di coloro che vogliono lunità proletaria di sottrarre i sindacati alla tutela dei partiti
politici.
Però in questo affermato proposito di sottrarsi allinfluenza dei partiti politici, di "escludere la
politica dai sindacati" si nasconde un equivoco ed una menzogna.
Se per politica sintende ciò che riguarda lorganizzazione dei rapporti umani e più specialmente i
rapporti liberi o coatti tra cittadini e lesistenza o meno dì un "governo" che assommi in sè i pubblici
poteri e si serva della forza sociale per imporre la propria volontà e difendere glinteressi di sè stesso
e della classe da cui emana, è evidente che essa politica entra in tutte le manifestazioni della vita
sociale, e che unorganizzazio-ne operaia non può essere realmente indipendente dai partiti se non
diventando essa stessa un partito.
Infatti, oggi stesso che tanto si parla di unità, vediamo che la Confederazione generale, mentre
si dichiara autonoma da tutti i partiti politici, tende a diventare essa stessa "partito del lavoro", cioè
un partito politico con i suoi scopi ed i suoi metodi particolari, che nel suo caso sarebbero metodi
principalmente parlamentari. Come del resto, a parte le questioni di parole, fu in realtà sempre un
partito lUnione Sindacale Italiana, come partiti o appendici, "masse di manovra" di partiti sono
lUnione Italiana del Lavoro e le Organizzazioni bianche
È vano dunque sperare, e per me sarebbe male il desiderare, che la politica sia esclusa dai
sindacati, poichè ogni questione economica di qualche importanza diventa automaticamente una
questione politica ed è sul terreno politico, cioè colla lotta tra governati e governanti che si dovrà
risolvere in definitiva la questione dellemancipazione dei lavoratori e della libertà umana.
Ed è naturale, è chiaro, che debba essere così.
Quindi necessariamente le organizzazioni operaie debbono proporsi una linea di condotta di
fronte allazione attuale o potenziale dei governi...
Ora, come fare a mantenere lunità quando vi sono quelli che vogliono servirsi della forza
dellassociazione per andare al governo, e quelli che credono che ogni governo è necessariamente
oppressore e nefasto e quindi vogliono avviare quella stessa associazione alla lotta contro ogni
istituzione autoritaria presente o futura? Come tenere insieme socialdemocratici, "comunisti" di
Stato e anarchici?
Ecco il problema. Problema che si può eludere in certi momenti, in occasione di una lotta
concreta che riunisce tutti, o almeno una grande massa, in un interesse ed un desiderio comuni, ma
che risorge sempre e non è facile risolvere fino a che esistono condizioni di violenza e diversità di
opinione sul modo di resistere alla violenza.
Ma allora, quale è la via di uscita di queste difficoltà, e quale è la condotta che in questa
questione dovrebbero tenere gli anarchici?
Per me il rimedio sarebbe: intesa generale e solidarietà nelle lotte puramente economiche;
autonomia completa degli individui e dei vari raggruppamenti nelle lotte politiche.
Ma è possibile vedere a tempo dove la lotta economica diventa lotta politica? E vi sono lotte
economiche importanti che lintervento del governo non renda politiche fin dallinizio?
In ogni modo noi anarchici dovremmo portare la nostra attività in tutte le organizzazioni per
predicarvi lunione fra tutti i lavoratori, la tolleranza reciproca, lautonomia dei vari aggruppamenti,
il decentramento la libertà diniziativa, nel quadro comune della solidarietà contro i padroni.
E non far gran caso se la mania di accentramento e di autoritarismo degli uni, e linsofferenza
degli altri ad ogni anche ragionevole disciplina mena a nuovi frazionamenti. Poichè, se
lorganizzazione dei lavoratori è una necessità primordiale per le lotte di oggi e per le realizzazioni
di domani, non ha grande importanza lesistenza e la durata di questa o di quella determinata
organizzazione. Lessenziale è che si sviluppi nei singoli lo spirito dorganizzazione il senso della
solidarietà, la convinzione della necessità dì cooperazione fraterna per combattere loppressione e
realizzare una società in cui tutti possano godere di una vita veramente umana.
4. Le idee ed i fatti
1. LA CRISI ATTUALE DELLANARCHISMO NEL MOVIMENTO SOCIALE
a.Via e mezzi39
Sono ormai quarantanni che le idee anarchiche han preso consistenza di ideale completo di
demolizione e ricostruzione sociale; quarantanni che gli anarchici predicano e lottano e soffrono;
quarantanni che i più devoti tra loro languono per le prigioni o lasciano la vita sui patiboli.
Sono i risultati in proporzione del tempo decorso, degli sforzi e dei sacrifici fatti?
La nostra critica ha trionfato di tutti i sofismi con cui si pretende giustificare il sistema sociale
attuale: il nostro pensiero ha agito sulla letteratura e sulla scienza; le nostre previsioni
sullevoluzione delle istituzioni e dei partiti si vanno verificando, a riprova della giustezza delle
nostre idee: lopera nostra, o il bisogno di opporsi allopera nostra, ha spinto in avanti gli altri partiti,
o ne ha limitato la regressione; il nostro numero è cresciuto. Ma è la nostra influenza sul
movimento sociale proporzionata al valore delle nostre idee, alla somma di energie spese e di
sacrifici fatti, o anche semplicemente alla nostra, per quanto scarsa forza numerica?
Certamente no!
Nel corso degli anni molte occasioni si sono presentate in cui avremmo potuto affermarci
efficacemente, ed esse ci han sempre trovati impreparati, disorganizzati, incerti, capaci solo di
proteste senza portata o di sacrifici quasi inutili.
Recentemente il governo dItalia impegnò il paese in una guerra infame, e non potemmo opporre
nessuna valida resistenza e dovemmo assistere impotenti allo spettacolo doloroso di un popolo che
dimentica i suoi più vitali interessi e le sue più nobili tradizioni, che rinnega ogni sentimento di
giustizia e di libertà e si fa strumento volenteroso in mano ai suoi oppressori per conquistar loro, fra
la strage e le devastazioni, nuovi sudditi da sfruttare ed opprimere.
Ed oggi che la massa incomincia a rinsavire ed il momento sarebbe propizio per raccogliere le
nostre forze, iniziare una larga e sistematica propaganda e prepararci per poter mettere a profitto gli
eventi che maturano, oggi ancora noi restiamo impotenti ed inerti, perchè divisi ed indecisi sul da
farsi; o, almeno, gli sforzi che già fanno tanti compagni devoti sono ancora impari al bisogno ed
alle possibilità, e perciò noi, con questo giornale, veniamo ad aggiungervi i nostri.
Occorre indagare le ragioni del nostro insuccesso, e portarvi rimedio.
Certamente, grandi sono le forze che dobbiamo combattere ed abbattere, immensi i pregiudizi
che dobbiamo sradicare, le energie che dobbiamo scuotere; ed era naturale che le illusioni di rapidi,
immediati successi che animavano i primi assertori dellanarchismo si dileguassero al contatto delle
dure realtà della vita.
Ma oltre i ritardi, le oscillazioni, glinsuccessi causati dalle fatali lentezze dellevoluzione sociale,
vi sono state, secondo noi, errori e deficienze nostre, che avrebbero potuto essere evitate se
avessimo avuto una più chiara concezione della via da percorrere, una più coerente attività, una
maggiore resistenza contro le mille cause di deviazione...
Noi siamo nel regime attuale, la minoranza ribelle: una minoranza che è convinta che il male
dipenda dalle basi stesse della costituzione sociale e che vuole perciò la distruzione radicale di tutto
il sistema.
Noi dobbiamo dunque suscitare nel popolo la coscienza dei suoi diritti e della sua forza,
dobbiamo svelare tutti gli errori, le menzogne, le ingiustizie che formano il fondamento della
società presente, dobbiamo sforzarci di propagare, pur tra gli ostacoli e le difficoltà dellambiente, il
nostro ideale di libertà, di giustizia, di solidarietà umana; dobbiamo favorire tutto ciò che può
servire ed educare e migliorare glindividui; ma non dobbiamo mai dimenticare che, in ultima
analisi, la società presente si regge sulla forza brutale, sulla forza delle baionette e dei cannoni, e
che è solo con la forza che si potrà risolvere la grande vertenza.
È vero che la società attuale sarebbe, se la borghesia fosse più intelligente e meno gretta,
suscettibile di miglioramento. Molte sofferenze sono inutili e dannose aglinteressi dei dominatori, e
quindi possono essere alleviate anche in regime autoritario e capitalistico. E noi siamo lieti di ogni
cambiamento che venga a lenire i dolori dei lavoratori, aumentando nello stesso tempo la forza di
resistenza e di attacco. Ma, preoccupati sopratutto dellavvenire, volendo fare la rivoluzione e non
farci distributori di palliativi, noi non sapremmo lottare per i piccoli miglioramenti se non in modo
ed in limiti tali che essi non servano ad addormentare il popolo e a menomare la capacità
rivoluzionaria nostra.
Questa necessità dellinsurrezione che deriva logicamente dal genere di rivoluzione che
vogliamo fare e dalla natura dellideale cui aspiriamo, fu chiaramente intuita ed affermata nei primi
tempi della propaganda e dellazione anarchica. E conformemente ad essa agirono i primi anarchici,
quando lidea nostra, pur nuova e povera di seguaci, riuscì ad imporsi allattenzione del pubblico e fu
la speranza degli oppressi, il terrore degli oppressori.
I successi naturalmente non sempre rispondevano alle speranze che lentusiasmo giovanile aveva
fatto nascere nellanimo degli audaci, che, in pochi e senza mezzi, osavano continuamente sfidare in
tutti i modi i governi ed i padroni. Ma intanto lidea si propagava, la tattica si perfezionava, e tra
lalternarsi di subiti entusiasmi e transitori scoraggiamenti, si andava verso il giorno in cui il partito
anarchico, conquistata a sè la parte più cosciente dei lavoratori, e profittando di una crisi politica ed
economica come quelle che fatalmente si producono in una società in cui tutti gli interessi sono
antagonistici, avrebbero potuto, anche col concorso occasionale di altri partiti propensi ad insorgere
per i loro fini particolari, spingere le masse alla lotta, disfare le forze opprimenti dello Stato, metter
mano sullarca santa della proprietà individuale, e cominciare così la rivoluzione sociale.
Ma a questo punto, sopravvenne una deviazione che fu fatale a tutto il movimento. Una parte
importante di rivoluzionari, quelli che volevano come gli anarchici la socializzazione della
ricchezza, ma non accettavano il loro programma antistatale ed aspiravano alla conquista dei poteri
governativi, comprendendo forse che una lotta condotta con metodi illegali sarebbe probabilmente
riuscita contraria alla costituzione di un nuovo regime autoritario, si avvisarono di entrare nelle vie
della legalità ed adottare la lotta elettorale come mezzo precipuo di azione. E con essi si unirono
molti, anche venuti dagli anarchici, che erano stanchi di una lotta che presentava molti pericoli e
poche speranze di immediate soddisfazioni personali, e furono felici di mascherare con pretesti
speciali la loro stanchezza od il loro tradimento.
E tutti costoro, che costituirono il partito socialista democratico, una volta entrati nella via
elettorale e parlamentare, scesero rapidamente di transazione in transazione, e divennero ben tosto
un elemento di conservazione, e furono e sono spesso la migliore difesa dellordine borghese contro
gli scoppi sempre possibili della collera popolare.
Daltra parte molti anarchici, vedendo che le masse seguivano più volentieri quella che sembrava
la via più facile e che meglio rispettava la loro energia, perdettero fede nella possibilità
dellinsurrezione e, o restarono sfiduciati ed inerti, o cercarono per altre vie la realizzazione dei loro
ideali, che pur non possono realizzarsi, nè in tutto nè in parte, se prima non si è abbattuto il regime
vigente. Mentre coloro che conservavano chiaro il concetto del fine da raggiungere, e dei metodi
che esso fine domanda ed impone, furono impotenti ad arrestare lo sfacelo.
E così non solo non potemmo più determinare delle correnti dopinione a noi favorevoli, ma
quando si sono presentati dei fatti, di fronte ai quali ci conveniva prender partito, siamo restati
disorientati, incerti, divisi.
Ma tutto questo è il passato, ed a noi ciò che importa è lavvenire.
Bisogna rimettersi allopera con lenergia, lentusiasmo, lo spirito di sacrificio che già furono doti
caratteristiche degli anarchici. Bisogna riaffermare i nostri ideali e la nostra tattica, e spargerne
largamente la conoscenza fra le masse. Bisogna far sentire la nostra azione in tutte le manifestazioni
della vita sociale. Bisogna coordinare tutte le nostre attività allo scopo che ci prefiggiamo: la
rivoluzione per lanarchia e pel comunismo.
b. Insurrezionismo o evoluzionismo?40
È vecchio tema quello di rivoluzione e evoluzione, continuamente discusso, e continuamente
rinascente, a causa sopratutto dellequivoco prodotto dal vario significato che si può dare alle due
parole. La parola evoluzione a volte si prende nel senso generico di cambiamento ed allora afferma
un fatto generale della natura e della storia sul quale si può discutere dal punto di vista della
scienza, ma che non è messo in dubbio da nessuno nel campo della sociologia; a volte si prende nel
senso di cambiamento lento, graduale, regolato da leggi fisse nel tempo e nello spazio, che esclude
ogni salto, ogni catastrofe, ogni possibilità di esser affrettato o ritardato e sopratutto di essere
violentato e diretto dalla volontà umana in un senso o nellaltro, ed allora essa vuole contrapporsi
alla parola ed allidea di rivoluzione.
E la parola rivoluzione essa pure, secondo che meglio torna alla tesi che si vuol sostenere, ora si
prende nel senso di cambiamento radicale, profondo delle istituzioni sociali ed in quel senso tutti -
meno forse i religiosi i quali credono che le cose sono quali sono per volontà di Dio e saran sempre
così - tutti possono dirsi rivoluzionari solo che usino la prudenza di rimandare a tempi lontanissimi
(a tempi maturi, come dicono) lattuazione dei cambiamenti auspicati; ed ora si prende nel senso di
cambiamento violento, fatto per forza contro le forze conservatrici ed allora implica lotta materiale,
insurrezione armata, con il corteggio di barricate, bande armate, sequestro dei beni della classe
contro cui si combatte; sabotaggio dei mezzi di comunicazione, ecc. E perciò si è discusso e si torna
a discutere senza mai arrivare ad intendersi (o non intendersi) in modo chiaro e definitivo...
Noi, in presenza di certe idee che si sono manifestate nel campo nostro e che potrebbero essere
il germe di una nuova deviazione (da aggiungersi al parlamentarismo al cooperativismo
alleducazionismo ecc.), e produrre un nuovo arresto del nostro rinascente movimento crediamo
bene mettere ancora una volta in discussione il vecchio argomento, e per essere più chiari, invece di
contrapporre rivoluzione ed evoluzione, diremo insurrezione ed evoluzione e ciò non tanto nella
speranza di metter tutti daccordo, quanto col desiderio di evitare confusioni e distinguere bene tra
coloro che la rivoluzione la vogliono fare oggi, domani, il più presto possibile insomma, e quindi
vogliono lavorare a prepararla, e quelli che predicando che la rivoluzione la dovranno fare i nostri
figli o i nostri nipoti, inducono la gente, sia pure involontariamente, a cercar di cavare il più che si
può dalle circostanze attuali, a non pensare più ad una rivoluzione oramai rimandata alle
generazioni future e quindi a trovarsi sorpresi ed impreparati quando capitano le occasioni.
La questione è questa.
Per produrre un cambiamento politico-sociale è egli necessario che il regime vigente sia
esaurito e che nella coscienza di tutti, o almeno della maggioranza, si sia formato un desiderio ed un
concetto chiaro della specie di cambiamento da produrre? Ed è possibile che in un dato regime
sociale, si formi una coscienza universale favorevole al cambiamento fondamentale di detto
regime?
O non è vero piuttosto che ogni regime, nato per imposizione forzata sulle masse, ricalcitranti
forse ma incapaci di azione collettiva e cosciente con scopi predeterminati, tende a consolidarsi e
farsi accettare, correggendo i suoi difetti, compensando nel miglior modo possibile i mali che
produce e creando una mentalità pubblica adatta al suo mantenimento; e quindi è tanto più forte
quanto più ha durato? Non è egli vero che le rivoluzioni, i progressi di tutte le specie, si fanno per
opera di minoranze, spesso sparute, che alterando di fatto (colla forza quando si tratta di istituzioni
che colla forza negano alle minoranze il diritto di agire) le condizioni ambientali, e utilizzando gli
istinti oscuri, i bisogni incoscienti delle masse, le trascinano con loro e le incamminano sopra una
via novella?
I marxisti, che tanta influenza hanno avuto, e tanta nefasta, sulle tendenze del socialismo
contemporaneo han cullato i malcontenti ed i ribelli collidea che il sistema capitalista portava in sè i
germi di morte, e colla concentrazione della ricchezza il numero sempre più piccolo di persone e
colla miseria crescente menava fatalmente alla trasformazione sociale
E gli educazionisti daltro lato, han creduto e credono ancora che a forza di propagar listruzione,
di predicare il libero pensiero, la scienza positiva, ecc., di istituire università popolari e scuole
moderne, si possa distruggere nelle masse il pregiudizio religioso, la soggezione morale al dominio
statale, la credenza dei diritti sacrosanti delle proprietà, e rendere così insopportabile a tutti, e
quindi incapace di reggersi, il regime di menzogna dingiustizia e di oppressione che si mira a
distruggere.
E ora si aggiunge il sindacalismo dottrinario il quale pretende che lorganizzazione operaia, il
sindacato conduca per sua virtù propria automaticamente, alla distruzione del salariato e dello Stato.
Ora, sta avvenendo invece che il capitalismo si allarga e si rafforza; ed i marxisti, rinunciando
in pratica se non in teoria ai dogmi della scuola, si danno a predicare e favorire riforme che, quando
fossero possibili, non farebbero che consolidare il capitalismo stesso, mitigandone gli effetti
omicidi, e sostituendo alla lotta di classe un accordo tra lavoratori e capitalisti che renderebbe più
stabili e più sicure le condizioni degli uni e degli altri e tenderebbe ad evitare quei conflitti dai quali
potrebbe nascere la rivoluzione. E dove il capitalismo individuale si mostra impotente a garantire la
stabilità sociale, cioè la perpetuazione del privilegio, già sta per essere sostituito dal capitalismo di
Stato, in cui i privilegiati invece di capitalisti si chiamerebbero funzionari ed il popolo di lavoratori
sarebbe ridotto a gregge, forse un po meglio pasciuto, forse un po meno esposto alle alee della
disoccupazione e della vecchiaia ma più schiavo che in regime capitalista.
Da un altro lato il movimento operaio, a misura che si allarga e si normalizza tende a
salvaguardare glinteressi immediati come si può mediante gli accordi coi padroni, e, peggio ancora,
tende a creare privilegi e quindi rivalità di categorie ed a preparare un quarto stato, una nuova
classe di privilegiati che lascerebbe sotto di sè la grande massa più oppressa e più incapace di
riscossa che mai.
E gli educazionisti debbono pur vedere quanto sono impotenti i loro sforzi generosi, paralizzati
dalla scarsezza dei mezzi, dalle persecuzioni, o quanto meno dallopposizione sorda dei poteri
pubblici, e sopratutto dallinfluenza dellambiente; e debbono con gran dolore e grande disillusione
osservare come loscurantismo, clericale e laico, tiene trionfalmente il campo contro il progredire e
il propagarsi della scienza.
Non vè dunque, secondo noi, da illudersi, finché durano le condizioni economiche e politiche
attuali, di poter elevare sensibilmente la coscienza delle masse e trasformare lambiente in modo da
renderlo atto alla realizzazione dei nostri ideali.
Ma il mondo non resta immobile per questo.
Fortunatamente vè in ogni tempo ed in ogni luogo delle minoranze che sfuggono, in un grado
più o meno grande, allinfluenza dellambiente e sono capaci di rivolta morale, che poi si trasforma in
rivolta di fatto e può trionfare quando le circostanze si prestano e le minoranze sparse sappiano
intendersi e concorrere allopera comune.
E se lo scopo fosse una semplice rivoluzione politica, un semplice cambiamento di governo, o
anche un cambiamento più profondo ma fatto per opera di governo, linsurrezione trionfante di
queste minoranze basterebbe ad attuarne il programma, come è bastato nelle rivoluzioni passate e
contemporanee. Ma noi vogliamo una rivoluzione profonda, che trasformi tutte le condizioni della
vita, che metta tutto il popolo, cioè tutti glindividui che formano il popolo, in grado di concorrere
direttamente alla costituzione delle nuove forme di convivenza sociale, e perciò dallinsurrezione noi
non ci aspettiamo, non possiamo aspettarci, lattuazione immediata e generale delle nostre idee, ma
solo la creazione di circostanze più favorevoli alla nostra propaganda ed alla nostra azione, il
principio insomma della nostra Rivoluzione. E questo noi potremo conseguire, poichè, quando il
governo attuale sarà abbattuto da una insurrezione, quando non avremo più contro tutte le forze
dello Stato, che si sommano nella forza materiale dellesercito e della polizia, anche se gli altri
partiti che avranno concorso allinsurrezione mirano, come certamente mireranno, alla costituzione
di nuovi governi, di nuovi organismi autoritari ed oppressivi noi non prometteremo al popolo di
fare il suo bene, ma lo spingeremo a farselo da sè stesso, a prendere possesso della ricchezza, a
esercitare di fatto la libertà conquistata, in modo che esso popolo senta immediatamente i vantaggi
della rivoluzione e sia interessato al suo trionfo e stia, almeno in parte, con noi per opporsi al nuovo
giogo sotto cui lo si vorrebbe mettere.
Praticamente: dovunque in Italia si è fatto della propaganda con una certa attività ed una certa
costanza si è riusciti a cavar fuori dei nuclei anarchici più o meno numerosi. Sperare che questi
nuclei abbiano ad ingrossare indefinitamente fino a comprendere tutta quanta la popolazione di
ciascuna località, o la più gran parte di essa, sarebbe andare incontro ad una sicura disillusione.
Ogni località contiene, in date circostanze, un numero limitato dindividui più o meno suscettibili di
comprendere e far sue le nostre aspirazioni quindi più grande è la propaganda che si è fatta in un
posto e più difficili sono i progressi ulteriori.
Ma noi siamo lungi di aver raccolti, anche nelle località più lavorate, tutti gli elementi
disponibili e di averli coltivati quando è possibile - e quel che è più, vi è in Italia un numero infinito
di località, vi sono intere regioni, in cui la propaganda anarchica non è mai penetrata. Perciò la
rivoluzione, ma una rivoluzione in cui sia ben marcata limpronta anarchica, può apparire oggi
difficile o impossibile. Ma se noi lavoreremo con attività e costanza, se intensificheremo la nostra
propaganda nei luoghi dove già esistiamo se faremo tutto il possibile per penetrare, di vicino a
vicino, nei paesi dove siamo ancora ignorati, noi potremo presto coprire gran parte dItalia di una
rete di gruppi anarchici capaci dintesa e dazione concentrata. E allora, se avremo la volontà ferma
di fare la rivoluzione, di farla noi, di farla oggi, allora le occasioni non mancheranno... e se
mancheranno le creeremo.
2. LA SETTIMANA ROSSA
a. La rivoluzione in Italia. La caduta della monarchia sabauda41
Non sappiamo ancora se vinceremo, ma è certo che la rivoluzione è scoppiata e va
propagandosi.
La Romagna è in fiamme, in tutta la regione da Terni ad Ancona il popolo è padrone della
situazione. A Roma il governo è costretto a tenersi sulle difese contro gli assalti popolari; il
Quirinale è sfuggito, per ora, allinvasione della massa insorta, ma è sempre minacciato.
A Parma, a Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli agitazione e conflitti.
E da tutte le parti giungono notizie, incerte, contraddittorie, ma che dimostrano tutte che il
movimento è generale e che il governo non può porvi riparo.
E dappertutto si vedono agire in bella concordia repubblicani, socialisti, sindacalisti ed
anarchici.
La monarchia è condannata. Cadrà oggi, o cadrà domani ma cadrà sicuramente e presto.
È il momento di mettere in opera tutta la nostra energia, tutta la nostra attività.
Qualunque debolezza, qualunque esitazione sarebbe oggi non solo vigliaccheria, ma una
sciocchezza.
Allopera tutti, con tutte le forze disponibili.
La necessità del momento.
Poichè lo sciopero di protesta si è sviluppato in rivoluzione bisogna provveder alle necessità
della rivoluzione.
E prima di tutto (dopo lattacco e la difesa contro le forze governative) bisogna provvedere
allalimentazione della cittadinanza.
Bisogna che nessuno manchi di pane che nessun bambino manchi di latte, che gli ospedali siano
forniti di tutto loccorrente.
Perciò le Camere del lavoro, le organizzazioni operaie ed i comitati di volontari prendano le
misure necessarie perchè il servizio di approvvigionamento e di distribuzione proceda regolarmente
e sufficientemente.
Noi non intendiamo, ora, abolire la proprietà individuale. ma pretendiamo che i proprietari, i
negozianti, i venditori di tutte le specie non abusino della circostanza per strozzare la popolazione e
pretendiamo che si provveda per conto del municipio, per conto della collettività a coloro che sono
sprovveduti di ogni mezzo per comprare il necessario.
Il dazio è abolito, per volontà della popolazione, bisogna che questabolizione vada a vantaggio
di tutti, e non già a profitto dei negozianti. La roba deve essere venduta al prezzo di prima, meno
importo del dazio.
Provvedano a questo i Cittadini stessi per mezzo della Camera del Lavoro, delle varie
associazioni e dei comitati rionali di volontari.
Ora non è più il caso di preoccuparsi se un barbiere, per esempio, ha servito o no un cliente, o se
un trattore ha aperto o no la sua bottega. Ora non è più sciopero, è rivoluzione; e bisogna
provvedere alle due prime necessità della rivoluzione: la difesa armata e lalimentazione del popolo
Ciascuno faccia quello che può, non si sciupi la roba, nè il pane, nè le munizioni.
E si badi di non abusare di bevande alcoliche; perchè è tempo di tenere la testa a posto.
Il tradimento.
Si è fatto correr la voce che la Confederazione Generale del Lavoro ha ordinato la cessazione
dello sciopero.
La notizia manca di ogni prova, ed è probabile sia stata inventata e propagata dal governo collo
scopo di gettare il dubbio in mezzo ai lavoratori ed arrestarne lo slancio magnifico.
Ma fosse anche vera, essa non servirebbe che a marchiare dinfamia coloro che avrebbero tentato
il tradimento.
La Confederazione Generale del Lavoro non sarebbe ubbidita. Già si annunzia che le Camere
del Lavoro di Milano e di Bologna si sono rivoltate agli ordini. La Camera del Lavoro di Ancona è
autonoma. LUnione Sindacale Italiana certamente non mancherà il suo dovere. I ferrovieri hanno
quasi completamente arrestato il servizio, e le linee sono state manomesse in modo che non è
possibile al governo di ripararle nel breve tempo che gli resta di vita.
E poi, ancora una volta, ora non si tratta più di sciopero, ma di RIVOLUZIONE.
Il movimento incomincia adesso, e ci vengono a dire di cessarlo!
Abbasso gli addormentatori! Abbasso i traditori! Evviva la rivoluzione!
b. E ora?42
Ora... continueremo. Continueremo più che mai pieni dentusiasmo fatto di volontà, di speranza,
di fede. Continueremo a preparare la rivoluzione liberatrice, che dovrà assicurare a tutti la giustizia,
la libertà, il benessere. Se il governo e la borghesia simmaginano di aver vinto la rivoluzione e
daverla domata, saccorgeranno un giorno quanto mai è grande il loro errore. Questa volta non han
vinto che uno scoppio spontaneo dindignazione popolare: non hanno avuto che un piccolo saggio
della collera che van seminando nella-nimo dei lavoratori. Sentiranno unaltra volta il basta
formidabile del proletariato, che porterà fine al regime.
Le nostre intenzioni erano modeste. Appena allinizio della nostra preparazione, quando non
ancora erano sparite le ultime tracce dellubriacatura libica e il risveglio del popolo italiano era,
nella più gran parte del paese, solo da poco incominciato, noi non pensavamo certamente di poter
fare la rivoluzione con i comizi ed i cortei del giorno dello Statuto. Noi intentavamo soltanto di far
sentire al governo la necessità di far liberare le vittime militari (Masetti, Moroni, Fioravanti e gli
altri) e di abolire le compagnie di disciplina. La stupida proibizione dei comizi ed il feroce eccidio
di Villa Rossa spinsero le cose ben oltre le nostre intenzioni e le nostre speranze. Senza intesa,
senza preparazione, tutta Italia insorse indignata, ed in molte parti lo sciopero generale di protesta
assunse subito aspetto di rivolta aperta contro le istituzioni dello Stato. Ed il movimento si andava
allargando ed intensificando e nessuno può dire dove sarebbe finito, se in sul bel principio non
fosse venuto a fermarlo quellordine della Confederazione Generale del Lavoro, che se fu un
segnalato servizio reso al governo, fu perciò stesso il più nero tradimento perpetrato contro il
proletariato italiano. Chi vorrà potrà dire ormai che la rivoluzione è impossibile e che linsurrezione
popolare è roba da quarantotto? Estendete ad una gran parte dItalia - e la cosa si va facendo quasi
diremo da sè - lo stato danimo dei lavoratori di Romagna e delle Marche, e linsurrezione scoppia e
trionfa spontaneamente per unoccasione qualsiasi.
La lezione di questi giorni agitati non deve andar perduta. Noi abbiamo visto che le masse sono
sensibili e disposte alla lotta. Abbiamo visto che le differenze di scuole, di tendenze, di partito non
impediscono unazione comune per uno scopo comune, e che lo sciopero generale è ottimo mezzo
per incominciare un movimento rivoluzionario, ma che non può continuare come sciopero senza
stancare la popolazione e ridurla alla fame; e che perciò lastensione dal lavoro deve ben presto
cambiarsi in lavoro fatto a favore della collettività, ed in organizzazione della raccolta e
distribuzione dei generi di consumo a beneficio di tutti. Abbiamo visto che gli avvenimenti
impreveduti danno quel che possono dare, ma che per riuscire bisogna prepararsi metodicamente
secondo piani preordinati. Ed abbiamo visto ancora che le occasioni possono capitare quando uno
meno se lo aspetta, e che perciò bisogna star pronti sempre. Tutto quanto non sarà stato visto
inutilmente.
E che cosa farà il governo? Vè che parla di biechi propositi di repressione, e non mancano
giornali che spingono il governo su quella via, e designano specialmente noi ai suoi colpi. Non
crediamo che il governo vorrà aumentare il discredito delle istituzioni violando le leggi fatte per
sorreggerle. Poichè è bene si sappia, noi, pur essendo nemici delle leggi, per misura di prudenza e
finchè siamo i più deboli cerchiamo di non esporci alle loro sanzioni. Noi vogliamo fare la
rivoluzione e la prepariamo; ma la prepariamo alla luce del sole, colla propaganda scritta e orale,
suscitando nelle masse la coscienza dei loro diritti e delle loro forze ed ispirando loro lideale di una
civiltà superiore, e cercando di mettere pace e concordia fra i proletari ed affratellarli nella lotta
contro il nemico comune, E tutto questo, per quanto profondamente sovversivo nel fine, è anche
perfettamente legale. In ogni modo noi stiamo a vedere quel che faranno e ci regoleremo in
conseguenza. Il governo si trova in una tragica posizione. O ci lascia tranquilli e noi continueremo
tranquillamente lopera nostra, o si abbandona a persecuzioni, e farà più propaganda in nostro favore
di quella che potremo mai fare noi stessi. Il regime è condannato, e non si salva più, nè con le
blandizie nè con i rigori. Solamente la rivoluzione sarà tanto meno violenta, il trapasso alla nuova
società tanto meno doloroso, quanto meno violenta sarà la resistenza.
c. Movimenti stroncati43
Settimana Rossa - Corre in certi ambienti la leggenda chio sia stato lorganizzatore della
"Settimana Rossa" del 1914. Grande onore per me, ma purtroppo non meritato!
La "Settimana Rossa" non fu un movimento preparato e voluto, ma avvenne impensatamente
per la reazione spontanea di un popolo fiero ad una provocazione insensata e sanguinosa della forza
pubblica.
Le cose andarono così.
Da parecchio tempo i partiti sovversivi e specialmente gli anarchici ed i sindacalisti si agitavano
per ottenere la liberazione di Masetti e labolizione delle Compagnie di disciplina. Conferenze e
comizi si moltiplicavano; ma gli effetti erano scarsi ed il governo non dava segni di cedere. Si
cercava qualche altro modo di manifestazione più clamoroso, che potesse scuotere lopinione
pubblica ed impressionare le autorità. In un comizio in Ancona un militare (che non nomino perchè
non so se ora ne avrebbe piacere) lanciò una proposta che fu accolta con entusiasmo. Siccome si
avvicinava la prima domenica di giugno, in cui il mondo ufficiale commemora "la concessione"
dello Statuto Albertino con riviste militari, ricevimenti reali e prefettizi, noi, diceva il proponente,
dovremmo impedire o almeno disturbare la festa; convochiamo per il giorno dello Statuto comizi e
cortei in tutte le città dItalia ed il governo sarà costretto a tenere le truppe consegnate in quartiere o
occupate in servizio di pubblica sicurezza e le riviste non potranno farsi.
Lidea, fatta sua dal periodico Volontà che stampavamo allora in Ancona, fu sostenuta e
propagata con calore, e quando giunse la prima domenica di giugno, attuata in molte città. Le riviste
non si fecero: la manifestazione era riuscita, e noi non avremmo per allora spinte le cose più oltre,
anche perchè andava maturando in Italia un movimento generale e non avevamo interesse a
spendere le nostre forze in tentativi isolati. Ma la stupidaggine e la brutalità della polizia disposero
altrimenti.
In Ancona la mattina le truppe erano restate consegnate e non vera stato nulla di grave. Nel
pomeriggio vi fu un comizio nel locale dei repubblicani a Villa Rossa, e dopo che ebbero parlato
oratori dei vari partiti e spiegato le ragioni della manifestazione, la folla incominciò ad uscire. Ma
alla porta cera la polizia che intimava di sciogliersi e ritirarsi, mentre poi cordoni di carabinieri
chiudevano tutte le strade per le quali si poteva andar via ed impedivano il passaggio. Ne nacque un
conflitto; i carabinieri fecero fuoco ed ammazzarono tre giovani.
Immediatamente i tram cessarono di circolare, tutti i negozi si chiusero e lo sciopero generale si
trovò attuato senza che ci fosse bisogno di deliberano e proclamarlo. Lindomani ed i giorni
susseguenti Ancona si trovò in stato dinsurrezione potenziale. Dei negozi darmi furono
saccheggiati, delle partite di grano furono requisite, una specie dorganizzazione per provvedere ai
bisogni alimentari della popolazione si andava abbozzando. La città era piena di truppa, navi da
guerra si trovavano nel porto, ma lautorità pur facendo circolare grosse pattuglie, non osava
reprimere, evidentemente perchè non si sentiva sicura dellobbedienza dei soldati e dei marinai.
Infatti soldati e marinai fraternizzavano col popolo; le donne, le impareggiabili donne anconetane,
carezzavano i soldati, distribuivano loro vino e sigarette, li inducevano a mischiarsi colla folla; qua
e là degli ufficiali erano sputacchiati e schiaffeggiati in presenza delle loro truppe e i soldati
lasciavano fare e spesso incoraggiavano con cenni e con parole. Lo sciopero prendeva ogni giorno
più il carattere di insurrezione, e già dei proclami dicevano chiaramente che non si trattava più di
sciopero e che bisognava riorganizzare sopra nuove basi la vita cittadina.
Intanto il movimento si era propagato con rapidità fulminea nelle Marche e nelle Romagne e già
si estendeva in Toscana ed in Lombardia. Lo stato danimo dei lavoratori era propizio ad un
cambiamento di regime. Laccordo tra i partiti rivoluzionari sera fatto da sè, e, malgrado che i
Pirolini e i Chiesa e i Pacetti correvano in automobile per deprecare il movimento, i lavoratori
repubblicani lottavano in bellarmonia cogli anarchici e con la parte rivoluzionaria dei socialisti.
Si stava per passare agli atti risolutivi. Lo sciopero a tendenza insurrezionale si estendeva. I
ferrovieri si apprestavano a prendere in mano la direzione del servizio per impedire le dislocazioni
di truppe e non far viaggiare che i treni utili per il movimento insurrezionale. La rivoluzione stava
per farsi, per impulso spontaneo delle popolazioni, e con grandi probabilità di successo.
Certamente noi si sarebbe in quel momento attuata lanarchia e nemmeno il socialismo, ma si
sarebbero levato di mezzo molti ostacoli e si sarebbe aperto il periodo di libera propaganda, di
libera esperimentazione, e sia pure di lotte civili, in capo al quale noi vediamo rifulgere il trionfo
del nostro ideale.
Ma tutto ad un tratto, quando maggiori erano le speranze, la direzione della Confederazione
generale del lavoro con telegramma circolare dichiara finito il movimento ed ordina la cessazione
dello sciopero. E così le masse che agivano nella fiducia di prender parte ad un movimento
generale, furono disorientate; ciascuna località vide naturalmente che era impossibile resistere da
sola, e il movimento cessò.
3. LA GRANDE SPERANZA
a. Lalleanza rivoluzionaria44
Il nostro A.F. lamentava in un numero recente i dissidi sorti a Milano fra anarchici e socialisti e
faceva, magari forzando un po troppo la nota, un caldo appello alla concordia di fronte al nemico
comune.
Poi, noi richiamavamo lattenzione dei repubblicani sopra una sconcia nota poliziesca apparsa
nel giornale Liniziativa, e ancora una volta mostravamo desiderio di concordia e di cooperazione
con i repubblicani che la repubblica la vogliono fare sul serio e la intendono come un regime di
giustizia e di libertà.
Tutto questo ha dato sui nervi del nostro buono e feroce n. g., il quale ci piglia bellamente in
giro per i nostri "amorosi sensi" e ci domanda: "A che cosa deve condurre l"abbracciamoci" coi
socialisti e coi repubblicani? Alla rivoluzione? Per la dittatura di Lazzari o per la repubblica di
Pirolini?".
Spieghiamoci chiaro.
Umanità Nova è lorgano di tutti gli anarchici e quindi nelle sue colonne hanno diritto di città
tutte le manifestazioni del pensiero anarchico, anche di quelli che considerano lanarchia come un
bel sogno, forse irrealizzabile, o realizzabile solo quando la presente corrotta umanità avrà dato
luogo, non si sa per quale processo di generazione spontanea, alla nuova umanità, dotata in tutti ed
in ciascuno dei suoi membri delle più mirifiche virtù.
Ma i redattori ordinari di Umanità Nova, e fra essi colui che funge ora da direttore, sono dei
rivoluzionari, vale a dire credono che ogni albero non può dare che i frutti che comporta la sua
natura, che la società capitalistica e statale tende inevitabilmente a ridurre le masse proletarie alla
miseria economica ed allabbiezione morale, e che per poter creare un ambiente sociale nel quale sia
possibile il libero sviluppo dellindividuo e linizio di una nuova civiltà, di una nuova e migliore
umanità, è necessario prima di tutto abbattere colla forza lordine di cose vigenti, profittando delle
crisi a cui è soggetto il regime capitalistico e della volontà fattiva delle minoranze coscienti e
ribelli.
È quindi naturale che noi consideriamo le questioni principalmente dal punto di vista
dellinteresse rivoluzionario, lasciando ai nostri collaboratori - anarchici più veri e maggiori - il
compito di vigilare alla purezza della dottrina.
Del resto, queste discussioni sullutilità e sulla necessità della rivoluzione sono oramai oziose. La
rivoluzione cè e cammina verso la sua crisi risolutiva. Che non lo veggano i governi e le classi
privilegiate (ma è poi vero che non lo vedono?) si spiega facilmente con la tradizionale cecità dei
governanti alla vigilia della loro caduta. Che ci siano degli anarchici - e fra i più nutriti di studi
storici e sociologici che non lo veggono neppure loro, può spiegarsi con altre ragioni che non
importa ora ricercare; in ogni modo, questo non altera il fatto: la rivoluzione sagita e freme e sta per
scoppiare.
Se non scoppiasse, vorrebbe dire che le forze contrastanti nel seno stesso del movimento si
sarebbero neutralizzate ed avrebbero dato modo alla reazione di ricacciarci indietro e di vivere
ancora fino alla prossima crisi.
Può esservi tra gli avversari del regime borghese chi non comprende come oggi linteresse
supremo è quello di salvare la rivoluzione?
Ma la rivoluzione perchè? Per la dittatura di Lazzari, per la repubblica di Pirolini?
Lasciamo andare. Pirolini si ricorderà che per fare la repubblica bisogna cacciare il re solamente
quando il re se ne sarà già andato; e il buon Lazzari è troppo vecchio per farci paura.
Vi sono pericoli maggiori che n. g. forse conosce e disdegna enumerare; ma vogliamo noi, per
paura che la rivoluzione non riesca quale noi la vorremmo, sottometterci indefinitamente alla
dittatura borghese? Certamente la prossima rivoluzione, la rivoluzione imminente, non sarà
anarchica se non in proporzione del nostro numero, del nostro valore, della nostra preparazione.
E noi, perchè essa sia più anarchica possibile, dobbiamo moltiplicare i nostri sforzi,
intensificare la nostra propaganda, consolidare le nostre organizzazioni penetrare maggiormente in
mezzo alle masse e cercare di spingerle il più possibile nella nostra direzione
Ma con tutto questo, è certo che noi non istituiremo da un giorno allaltro lanarchia su tutto il
globo terracqueo.
Lanarchia non si fa per forza: volerlo, sarebbe la più balorda delle contraddizioni. Lanarchia
trionferà in tutta la sua pienezza quando tutti saranno anarchici. E siccome nelle condizioni attuali è
impossibile che tutti diventino anarchici è condizione previa del trionfo dellanarchia la rivoluzione
che rompe violentemente lo stato di cose attuale e rende possibile lavvento delle masse a condizioni
tali che le rendano capaci di comprendere ed attuare lanarchia.
Quello che si può e si deve fare per forza è lespropriazione dei capitalisti e la messa a
disposizione di tutti dei mezzi di produzione e di tutta la ricchezza sociale; e, naturalmente
labbattimento del potere politico che sta a difesa della proprietà. Quello che potremo e dovremo
difendere, anche con la forza, è il nostro diritto alla libertà completa di organizzazione autonoma ed
alla esperimentazione dei metodi nostri. Il resto verrà col progressivo estendersi delle nostre idee in
mezzo alle masse.
Tutto questo non possiamo farlo da noi soli, perchè non siamo forti abbastanza - e non sarebbe
nemmeno desiderabile che lo facessimo da soli, perchè allora verremmo fatalmente a trovarci nella
posizione di governanti e mancheremmo ai nostri scopi specifici. Di più, siccome la vita economica
non ammette interruzioni e bisogna mangiare tutti i giorni, dove e quando noi fossimo incapaci di
provvedere con le forze nostre allapprovvigionamento ed agli altri più urgenti bisogni, dovremmo
essere felici che altri lo facesse per noi, riserbando a noi stessi la funzione di critica, di controllo e
di propulsione.
La rivoluzione, per essere veramente emancipatrice non deve essere lopera particolare di una
scuola o di un partito, ma deve essere opera della massa, di quanto più massa è possibile.
Comprende ora n. g. perchè noi facciamo appello a tutti i lavoratori al disopra di ogni
distinzione di partito? Comprende perchè i borghesi, che la rivoluzione temono, si sforzano per
dipingerci nemici dei socialisti?. Comprende perchè quei capi socialisti e repubblicani che non
vogliono nè il socialismo nè la repubblica cercano di boicottarci?
Noi siamo convinti che tutti i lavoratori ribelli, malgrado le differenze di denominazioni e di
diversi quadri in cui militano, hanno in fondo gli stessi sentimenti, lo stesso desiderio ardente di
emancipazione umana. E noi ci sentiamo fratelli con tutti e vogliamo lottare il più possibile
daccordo con tutti.
Se attacchiamo spesso e volentieri certi dirigenti socialisti è perchè li vediamo sempre lavorare
contro la rivoluzione, ed i più interessati a mandarli via quali traditori del socialismo sono proprio i
socialisti veri e sinceri.
Se attacchiamo certi capi repubblicani è perchè sappiamo che la repubblica non la vogliono
fare, perchè li abbiamo visti mandare al macello i loro ingenui seguaci mentre essi restavano a casa
per trescare nella Reggia e nei ministeri, per far quattrini e per fare la spia; e di quei capi, che han
macchiato e tradito la loro bandiera, i repubblicani sinceri sono i più interessati a sbarazzarsi.
Ci riflettano i lavoratori socialisti e repubblicani e vedranno da che parte stanno i loro amici e i
loro nemici.
b. Le due vie: riforme e rivoluzione45
Tutta la cosiddetta legislazione sociale, tutte le misure statali intese a "proteggere" il lavoro ed
assicurare ai lavoratori un minimo di benessere e di sicurezza e così pure tutti i mezzi adoperati da
capitalisti intelligenti per legare loperaio alla fabbrica con premi, pensioni ed altri benefizi, quando
non sono una menzogna ed una trappola, sono un passo verso questo stato servile che minaccia
lemancipazione dei lavoratori ed il progresso dellumanità.
Salario minimo stabilito per legge; limitazione legale della giornata di lavoro; arbitrato
obbligatorio; contratto collettivo di lavoro avente valore giuridico; personalità giuridica delle
associazioni operaie; misure igieniche nelle fabbriche prescritte dal governo; assicurazioni statali
per le malattie, la disoccupazione, le disgrazie sul lavoro; pensioni per la vecchiaia;
compartecipazione agli utili, ecc. ecc., sono tutte misure per far sì che i proletari restino sempre
proletari ed i proprietari sempre proprietari: tutte misure che danno ai lavoratori (quando lo danno)
un po di benessere e dì sicurezza, ma li privano di quel po di libertà che hanno, e tendono a
perpetuare la divisione degli uomini in padroni e servi.
Certamente è bene, aspettando la rivoluzione - e serve anche a renderla più facile - che i
lavoratori cerchino di guadagnare di più e di lavorare meno ore ed in migliori condizioni; è bene
che i disoccupati non muoiano di fame; che i malati ed i vecchi non siano abbandonati. Ma questo,
ed altro, i lavoratori possono e debbono ottenerlo da loro stessi, con la lotta diretta contro i padroni,
mediante le loro organizzazioni collazione individuale e collettiva, sviluppando in ciascun
individuo il sentimento di dignità personale e la coscienza dei suoi diritti.
I doni dello Stato, i doni dei padroni sono frutti avvelenati che portano con loro i semi della
servitù. Bisogna respingerli.
Riconosciuto che tutte le riforme, le quali lascian sussistere la divisione degli uomini in
proprietari e proletari e quindi il diritto in alcuni di vivere sul lavoro degli altri, non potrebbero, se
ottenute ed accettare come benefiche concessioni dello Stato e dei padroni che attenuare la
ribellione degli oppressi contro gli oppressori e condurre alla costituzione di uno stato civile in cui
lumanità sarebbe definitivamente divisa in classi dominanti e classi soggette, non resta altra
soluzione che la rivoluzione: una rivoluzione radicale che abbatta tutto lorganismo statale, che
espropri i detentori della ricchezza sociale e metta tutti quanti gli uomini sullo stesso piede
duguaglianza economica e politica.
Questa rivoluzione deve essere necessariamente violenta, quantunque la violenza sia per sè
stessa un male. Deve essere violenta perchè sarebbe una follia sperare che i privilegiati
riconoscessero il danno e lingiustizia dei loro privilegi e si decidessero a rinunziarvi
volontariamente. Deve essere violenta perchè la transitoria violenza rivoluzionaria è il solo mezzo
per metter fine alla maggiore e perpetua violenza che tiene schiava la grande massa degli uomini.
Vengano pure le riforme se possono venire. Esse possono essere di beneficio momentaneo e
servire a stimolare nelle masse sempre maggiori desideri e maggiori pretese, se i proletari serbano
vivo il sentimento che i padroni ed i governanti sono i nemici, che tutto ciò che cedono è strappato
loro dalla forza o dalla paura della forza e sarebbe presto ritirato se la paura cessasse. Chè se invece
le riforme fossero raggiunte per accordi e collaborazione tra dominati e dominatori, non servirebbe
che a ribadire le catene che legano i lavoratori al carro dei parassiti.
Del resto oggi il pericolo che le riforme addormentino le masse e riescano a consolidare e
perpetuare lorganizzazione borghese pare superato. Non vi sarebbe che il tradimento cosciente di
coloro, che colla predicazione socialista sono riusciti ad acquistare la fiducia dei lavoratori, che
potrebbe dar loro valore.
La cecità della classe dirigente e levoluzione naturale del sistema capitalista accelerata dalla
guerra han fatto si che qualsiasi riforma accettabile dai proprietari è impotente a risolvere la crisi
che travaglia il paese.
Dunque la rivoluzione simpone, la rivoluzione viene.
Ma come si deve fare, come si deve svolgere questa rivoluzione?
Naturalmente bisogna principiare con latto insurrezionale che spazzi via lostacolo materiale, le
forze armate del governo, che si oppone a qualunque trasformazione sociale.
Per linsurrezione è... necessario prepararvisi il meglio che si può, moralmente e materialmente;
ed è necessario sopratutto di profittare di tutti i moti spontanei di popolo e cercare di generalizzarli
e trasformarli in movimenti risolutivi, per evitare il pericolo che, mentre, i partiti si preparano, la
forza popolare si esaurisca in fatti isolati.
Ma dopo linsurrezione vittoriosa, dopo che il governo è caduto, che cosa bisogna fare?
Noi, gli anarchici, vorremmo che in ciascuna località i lavoratori, o più propriamente quella
parte dei lavoratori che ha maggiore coscienza e maggiore spirito diniziativa, pigliasse possesso di
tutti gli strumenti di lavoro, di tutta la ricchezza, terra, materie prime, case, macchine, generi
alimentari, ecc., ed abbozzasse il meglio possibile la nuova forma di vita sociale. Vorremmo che i
lavoratori della terra che oggi lavorano per dei padroni non riconoscessero più alcun diritto ai
proprietari e continuassero ed intensificassero il lavoro per conto loro, entrando in rapporti diretti
cogli operai delle industrie e dei trasporti per lo scambio dei prodotti; che gli operai delle industrie,
ingegneri e tecnici compresi, pigliassero possesso delle fabbriche e continuassero ed
intensificassero il lavoro per conto proprio e della collettività, trasformando subito tutte quelle
fabbriche che oggi producono cose inutili o dannose in produttrici delle cose che più urgono per
soddisfare i bisogni del pubblico; che i ferrovieri continuassero ad esercitare le ferrovie ma per il
servizio della collettività; che comitati di volontari o di eletti dalla popolazione pigliassero
possesso, sotto il controllo diretto della massa, di tutte le abitazioni disponibili per alloggiare il
meglio che per il momento si potesse, tutti i più bisognosi; che altri comitati, sempre sotto il
controllo diretto delle masse, provvedessero allapprovvigionamento ed alla distribuzione dei generi
di consumo; che tutti gli attuali borghesi siano messi nella necessità di confondersi nella folla di
coloro che furono proletari e lavorare come gli altri per godere gli stessi benefici degli altri. E tutto
questo, subito, nel giorno stesso o nellin-domani immediato dellinsurrezione vittoriosa, senza
aspettare ordini di comitati centrali o di altre qualsiasieno autorità.
Questo è quel che vogliono gli anarchici, ed è poi quello che naturalmente avverrebbe se la
rivoluzione deve essere davvero una rivoluzione sociale e non ridursi ad un semplice cambiamento
politico, che dopo qualche convulsione riporterebbe le cose allo stato di prima. Poichè, o si leva
subito alla borghesia il potere economico o questa ripiglierebbe in breve anche il potere politico che
linsurrezione le avrebbe strappato. E per poter levare alla borghesia il potere economico, bisogna
organizzare immediatamente un nuovo assetto economico basato sulla giustizia e sulleguaglianza. I
bisogni economici, almeno i più essenziali, non ammettono interruzioni e bisogna soddisfarli
subito. I "comitati centrali" o non fanno nulla o fanno quando non cè più bisogno dellopera loro.
c. Il censimento dei rivoluzionari46
...È completamente erroneo che per abbattere il capitalismo bisogna aspettare che i milioni di
cattolici siano diventati liberi pensatori, e che gli operai siano tutti (o in maggioranza) organizzati
per la lotta di classe.
Non equivochiamo. È una verità assiomatica, lapalissiana, che la rivoluzione non si può fare se
non quando vi sono forze sufficienti per farla. Ma è una verità storica che le forze che determinano
levoluzione e le rivoluzioni sociali non si calcolano coi bollettini del censimento.
I cattolici resteranno numerosi come sono, e magari aumenteranno, fino a quando vi sarà una
classe, potente di ricchezza e di scienza interessata a tenere la massa nella schiavitù intellettuale per
potere meglio dominarla. Gli operai non saranno mai tutti organizzati e le loro organizzazioni
saranno sempre soggette a disfarsi o a degenerare fino a quando la miseria, la disoccupazione, la
paura di perdere il posto, il desiderio di migliorare di condizioni alimenteranno la rivalità tra operai
e daranno modo ai padroni di profittare di tutte le circostanze, di tutte le crisi per mettere gli operai
in concorrenza gli uni contro gli altri. E gli elettori resteranno sempre montoni per definizione
anche se qualche volta accade loro di tirar delle cornate.
È cosa provata che date certe condizioni economiche, dato un certo ambiente sociale, le
condizioni intellettuali e morali della massa restano sostanzialmente le stesse e, fino a quando un
fatto esterno, un fatto idealmente o materialmente violento non viene a modificare quellambiente, la
propaganda, leducazione, listruzione restano impotenti e non riescono ad agire che sopra quel
numero dindividui che, in forza di privilegi naturali o sociali, possono vincere lambiente in cui sono
costretti a vivere. Ma quel piccolo numero, quella minoranza cosciente e ribelle che ogni ordine
sociale partorisce in conseguenza delle stesse ingiustizie cui la massa è soggetta, agisce come
fenomeno storico e basta, è sempre bastato, a far progredire il mondo.
Ogni nuova idea, ogni nuova istituzione, ogni progresso ed ogni rivoluzione è stata sempre
lopera di minoranze. È nostra aspirazione, è nostro scopo quello di far assurgere tutti quanti gli
uomini a fattori effettivi, a forze coscienti della vita sociale; ma per riuscire a questo scopo occorre
dare a tutti i mezzi di vita e di sviluppo, e perciò bisogna abbattere, con la violenza poichè non si
può fare altrimenti, la violenza che questi mezzi nega ai lavoratori.
Naturalmente il "piccolo numero", la minoranza, deve essere sufficiente, e ci giudica male chi
pensa che noi vorremmo fare uninsurrezione al giorno senza tener conto delle forze in contrasto e
delle circostanze favorevoli o meno.
Noi abbiamo potuto fare, abbiamo fatto realmente, in tempi oramai remoti dei minuscoli moti
insurrezionali che non avevano alcuna probabilità di successo. Ma allora eravamo davvero in
quattro gatti, volevamo obbligare il pubblico a discuterci ed i nostri tentativi erano semplicemente
dei mezzi di propaganda.
Ora non si tratta più dinsorgere per far propaganda: ora possiamo vincere, quindi vogliamo
vincere, e non facciamo tentativi se non quando ci pare di poter vincere. Naturalmente possiamo
ingannarci e, per ragione di temperamento, possiamo credere il frutto maturo quando ancora è
acerbo; ma confessiamo la nostra preferenza per coloro che vogliono fare troppo presto contro
quegli che vogliono sempre aspettare, che lasciano di proposito passare le migliori occasioni, e per
paura di cogliere un frutto acerbo lasciano tutto marcire.
Insomma noi siamo perfettamente daccordo con "La Giustizia" quando insiste sulla necessità di
fare molta propaganda e di sviluppare il più possibile le organizzazioni proletarie di lotta; ma ci
stacchiamo recisamente da essa quando pretende che per agire bisogna aspettare di avere attirato a
noi la maggioranza di quella massa inerte che non sarà convertita se non dai fatti, che non accetterà
la rivoluzione se non dopo che la rivoluzione sarà iniziata.
d. Movimenti stroncati47
Loccupazione delle fabbriche - I metallurgici cominciarono il movimento per questioni di
tariffe. Si trattava di uno sciopero di nuovo genere. Invece di abbandonare le fabbriche, restarvi
dentro senza lavorare, e farvi guardia notte e giorno perchè i padroni non potessero far la serrata.
Ma era il 1920. Tutta lItalia proletaria fremeva di febbre rivoluzionaria, e presto la cosa cambiò
di carattere Gli operai pensarono che era il momento di impossessarsi definitivamente dei mezzi di
produzione Si armarono per la difesa, trasformarono molte fabbriche in vere fortezze ed
incominciarono ad organizzare la produzione per loro conto, I padroni cacciati o dichiarati in stato
darresto... Era il diritto di proprietà abolito di fatto, la legge violata in tutto ciò che serve a difendere
lo sfruttamento capitalistico; era un nuovo regime, un nuovo modo di vita sociale che sinaugurava.
Ed il governo lasciava fare, perchè si sentiva impotente ad opporsi; lo ha confessato più tardi
scusandosi in parlamento della mancata repressione.
Il movimento si allargava e tendeva ad abbracciare altre categorie; qua e là i contadini
occupavano le terre. Era la rivoluzione che incominciava e si sviluppava in un modo, direi quasi,
ideale.
I riformisti naturalmente vedevano la cosa di mal occhio, e cercavano di farla abortire. Lo stesso
Avanti! non sapendo a che santi votarsi, tentò di far passare noi per pacifisti, perchè in Umanità
Nova avevamo detto che se il movimento si estendeva a tutte le categorie, se operai e contadini
avessero seguito lesempio dei metallurgici, cacciando i padroni e prendendo possesso dei mezzi di
produzione, la rivoluzione si sarebbe fatta senza spandere una goccia di sangue.
Ma non serviva.
La massa era con noi; eravamo sollecitati a recarci nelle fabbriche a parlare, incoraggiare,
consigliare, ed avremmo dovuto dividerci in mille per soddisfare tutte le richieste. Dovunque
andavamo erano i discorsi nostri quelli che gli operai applaudivano, ed i riformisti dovevano
ritirarsi o camuffarsi.
La massa era con noi, perchè noi interpretavamo meglio i suoi istinti, i suoi bisogni, i suoi
interessi.
Eppure, bastò il lavoro subdolo della gente della Confederazione Generale del Lavoro ed i suoi
accordi con Giolitti, per far credere ad una specie di vittoria mediante la truffa del controllo operaio
ed indurre gli operai a lasciare le fabbriche, proprio nel momento in cui maggiori erano le
possibilità di riuscita.
Ho citato due casi, ed avrei potuto citarne altri: il movimento del caro-viveri, lo sciopero di
Torino e del Piemonte nellinverno del 1920, gli scioperi di Milano, ecc.; ed arriverei sempre alle
stesse constatazioni.
In piazza, nellazione, la massa è con noi e disposta ad agire; ma poi nel più bello si lascia
abbindolare, sì ferma scorata e disillusa, e noi ci troviamo sempre vinti ed isolati.
Perchè? Secondo me gli è perchè siamo disorganizzati, o non abbastanza organizzati.
Gli altri hanno i mezzi di trasmettere rapidamente dappertutto le notizie, vere o false, che
convengono per influire sullopinione ed indirizzare lazione nel senso che vogliono. Per mezzo delle
loro leghe, sezioni, federazioni, disponendo di fiduciari in tutti i centri, di indirizzi sicuri, ecc., essi
possono lanciare un movimento quando serve ai loro fini ed arrestano quando quei fini sono
raggiunti. E per stroncare qualsiasi movimento hanno un mezzo semplicissimo: quello di far
credere in ogni località che tutto sia finito e che bisogna pensare a salvare il salvabile
Le situazioni chio ho descritto si riprodurranno certamente in Italia e forse a breve scadenza.
Vogliamo ancora trovarci nello stato dimpreparazione impotenti ad opporci efficacemente alle
manovre degli addormentatori ed a cavare da una data situazione rivoluzionaria tutto il maggior
frutto chessa può dare?
4. UNORGANIZZAZIONE ED UN PROGRAMMA
a. L'Unione Anarchica Italiana48
A quanto ho detto sulla questione dellorganizzazione operaia mi sia permesso aggiungere
qualche parola sullorganizzazione degli anarchici comè intesa dallUnione Anarchica Italiana.
LUnione Anarchica Italiana è una federazione di gruppi autonomi uniti per aiutarsi
reciprocamente nella propaganda e nellattuazione di un programma liberamente accettato. Essa
tiene periodicamente dei Congressi, e tra un Congresso e laltro è rappresentata da una Commissione
di Corrispondenza che è nominata dal Congresso e varia ogni volta di personale e di sede. Le
deliberazioni dei Congressi non sono impegnative se non per quei gruppi che le accettano dopo
averne preso cognizione; e per questa ragione il modo di rappresentanza, qualunque esso sia, non ha
importanza, non potendo dar luogo a ingiustizie e sopraffazioni. Ogni gruppo, od ogni particolare
federazione di gruppi manda i delegati che può qualunque sia il numero dei suoi componenti, senza
inconvenienti poichè il Congresso non fa leggi obbligatorie per tutti, ma serve come indicazione
delle varie opinioni: e lopinione dominante si concreta in deliberazioni che sono poi sottoposte ai
gruppi e hanno sempre valore di consigli e suggerimenti.
La Commissione di corrispondenza serve a facilitare le relazioni tra i gruppi, a procurare alle
iniziative di ciascuno lappoggio degli altri ed a rendere più facile unazione concertata. Ma non ha
nessuna autorità e nessun mezzo per imporre la propria volontà.
Ciascun gruppo e ciascun individuo corrisponde, se crede, direttamente cogli altri senza passare
per il tramite della Commissione di corrispondenza: ciascuno è libero di stampare quello che crede,
di prendere le iniziative che può, di fare insomma tutto ciò che vuole nellinteresse della causa
comune. Unico vincolo il programma generale, la cui accettazione è condizione necessaria per
entrare nellUnione.
Questi principi sono accettati da tutti i membri dellUnione poichè costituiscono il patto che li ha
uniti. E coloro che, per ignoranza o per fini inconfessabili tentano di far credere che lUnione
Anarchica Italiana sia unorganizzazione autoritaria dicono cosa contraria al vero.
LUnione non intende avere il monopolio dellorganizzazione anarchica. Ogni anarchico può
restare isolato od unirsi in altre Organizzazioni. LUnione è felice dogni attività anarchica esercitata
dentro e fuori del suo seno, ed è disposta a dare e ricevere aiuti a tutti e da tutti, sempre che si tratti
di cose che non contraddicano il suo programma.
b. Il programma comunista anarchico49
Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva
organizzazione sociale, e che gli uomini volendo e sapendo, possono distruggerli.
La società attuale è il risultato delle lotte secolari che gli uomini han combattuto tra di loro. Non
comprendendo i vantaggi che potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà, vedendo
in ogni altro uomo (salvo al massimo i più vicini per vincoli di sangue) un concorrente ed un
nemico, han cercato di accaparrare, ciascun per sè, la più grande quantità di godimenti possibili,
senza curarsi degli interessi degli altri.
Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere ed in vario modo
sottoporre ed opprimere i vinti.
Fino a che luomo non fu capace di produrre di più di quello che bastava strettamente al suo
mantenimento, i vincitori non potevano che fugare e massacrare i vinti ed impossessarsi degli
alimenti da essi raccolti.
Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dellagricoltura un uomo potè produrre più di ciò
che gli occorreva per vivere, i vincitori trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù e farli
lavorare per loro.
Più tardi, i vincitori si accorsero che era più comodo, più produttivo e più sicuro sfruttare il
lavoro altrui con un altro sistema: ritenere per sè la proprietà esclusiva della terra e di tutti ì mezzi
di lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli spogliati, i quali poi non avendo mezzi di vivere, erano
costretti a ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi volevano.
Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di ogni specie, invasioni,
guerre, ribellioni, repressioni, concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la difesa, e di
vincitori unitisi per loffesa, si è giunti allo stato attuale della società in cui alcuni detengono
ereditariamente la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la gran massa degli uomini, diseredata di
tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi proprietari.
Da questo dipendono lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, e tutti i mali
che dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione. Da questo, la costituzione di una classe
speciale (governo), la quale, fornita di mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e
difendere i proprietari contro le rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza che ha, per
creare a sè stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua supremazia anche la stessa classe
proprietaria. Da questo, la costituzione di unaltra classe speciale (il clero), la quale con una serie di
favole sulla volontà di Dio, sulla vita futura, ecc., cerca dindurre gli oppressi a sopportare
docilmente loppressione, ed al pari del Governo oltre di fare gli interessi dei proprietari, fa anche i
suoi propri. Da questo, la formazione di una scienza ufficiale che è, in tutto ciò che può servire
aglinteressi dei dominatori, la negazione della scienza vera. Da questo, lo spirito patriottico, gli odi
di razza, le guerre, e le paci armate talvolta più disastrose delle guerre stesse. Da questo, lamore
trasformato in tormento o in turpe mercato. Da ciò lodio più o meno larvato, la rivalità, il sospetto
fra tutti gli uomini, lincertezza e la paura per tutti.
Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente cambiare. E poichè tutti questi mali derivano dalla
lotta fra gli uomini, dalla ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro tutti, noi
vogliamo rimediarvi sostituendo allodio lamore, alla concorrenza la solidarietà, alla ricerca
esclusiva del proprio benessere la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla oppressione ed
allimposizione la libertà, alla menzogna religiosa e pseudoscientifica la verità. Dunque:
1) Abolizione della proprietà privata della terra, delle materie prime e degli strumenti di lavoro,
perchè nessuno abbia il mezzo di vivere sfruttando il lavoro altrui, e tutti, avendo garantiti i mezzi
per produrre e vivere, siano veramente indipendenti e possano associarsi agli altri liberamente; per
linteresse comune e conformemente alle proprie simpatie.
2) Abolizione del Governo e di ogni potere che faccia la legge e la imponga agli altri: quindi
abolizione... di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti, polizie, magistratura, ed ogni qualsiasi
istituzione dotata di mezzi coercitivi.
3) Organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni e federazioni di produttori e
consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei componenti, guidati dalla scienza e
dallesperienza e liberi da ogni imposizione che non derivi dalle necessità naturali, a cui ognuno,
vinto dal sentimento stesso della necessità ineluttabile, volontariamente si sottomette.
4) Garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli ed a tutti coloro che sono
impotenti a provvedere a loro stessi.
5) Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono sotto il manto della
scienza. Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi più elevati.
6) Guerra alle rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione delle frontiere: fratellanza fra tutti
i popoli.
7) Ricostruzione della famiglia in quel modo che risulterà dalla pratica dellamore, libero da ogni
vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso
Ma non basta desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero bisogna impiegare i mezzi
adatti al suo conseguimento. E questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano, necessariamente, dal
fine cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta; giacchè ingannandosi sulla scelta dei mezzi,
non si raggiungerebbe il fine propostosi, ma un altro, magari opposto che sarebbe conseguenza
naturale, necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non va dove
vuole, ma dove lo porta la strada percorsa.
Occorre dunque, dire quali sono i mezzi che, secondo noi, conducono allo scopo prefissoci, e
che noi intendiamo adoperare.
Il nostro ideale non è di quelli il cui conseguimento dipende dallindividuo considerato
isolatamente. Si tratta di cambiare il modo di vivere in società, di stabilire tra gli uomini rapporti di
amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello sviluppo materiale, morale e intellettuale, non
per un dato partito, ma per tutti quanti gli esseri umani - e questo non è cosa che si possa imporre
colla forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi mediante il libero
consentimento di tutti.
Nostro primo compito quindi deve essere quello di persuadere la gente.
Bisogna che noi richiamiamo lattenzione degli uomini sui mali che soffrono e sulla possibilità
di distruggerli. Bisogna che suscitiamo in ciascuno la simpatia pei mali altrui ed il desiderio vivo
del bene di tutti...
E quando saremo riusciti a far nascere nellanimo degli uomini il sentimento di ribellione contro
i mali ingiusti ed inevitabili di cui si soffre nella società presente, ed a far comprendere quali sono
le cause di questi mali e come dipenda dalla volontà umana leliminarli; quando avremo ispirato il
desiderio vivo, prepotente, di trasformare la società per il bene di tutti, di coloro che li han
preceduti nella convinzione, si uniranno e vorranno, e potranno, attuare i comuni ideali.
Sarebbe - lo abbiam già detto - assurdo ed in contraddizione col nostro scopo di voler imporre la
libertà, lamore fra gli uomini, lo sviluppo integrale di tutte le facoltà umane, per mezzo della forza.
Bisogna dunque contare sulla libera volontà degli altri, e la sola cosa che possiamo fare è quella di
provocare il formarsi ed il manifestarsi di detta volontà. Ma sarebbe però egualmente assurdo e
contrario al nostro scopo lammettere che coloro i quali non la pensano come noi cimpediscano di
attuare la nostra volontà, sempre che essa non leda il loro diritto ad una libertà uguale alla nostra.
Libertà dunque per tutti di propagare ed esperimentare le proprie idee, senza altro limite che
quello che risulta naturalmente dalleguale libertà di tutti.
Ma a questo si oppongono - e si oppongono colla forza brutale - coloro che sono i beneficiari
degli attuali privilegi e dominano e regolano tutta la vita sociale presente...
Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di opporre la forza alla forza.
Risulta da quanto abbiamo detto che noi dobbiamo lavorare, per risvegliare negli oppressi il
desiderio vivo di una radicale trasformazione sociale, e persuaderli che unendosi, essi hanno la
forza di vincere; dobbiamo propagare il nostro ideale e preparare le forze morali e materiali
necessarie a vincere le forze nemiche, e ad organizzare la nuova società. E quando avremo la forza
sufficiente dobbiamo, profittando delle circostanze favorevoli che si producono o creandole noi
stessi, fare la rivoluzione sociale, abbattendo, colla forza, il governo, espropriando, colla forza, i
proprietari; mettendo in comune i mezzi di vita e di produzione, ed impedendo che nuovi governi
vengano ad imporre la loro volontà e ad ostacolare la riorganizzazione sociale fatta direttamente
dagli interessati.
Tutto questo però è meno semplice di quello che potrebbe a prima giunta parere.
Noi abbiamo da fare cogli uomini quali sono nellattuale società, in condizioni morali e materiali
disgraziatissime; e cinganneremo pensando che basta la propaganda per elevarli a quel grado di
sviluppo intellettuale e morale che è necessario allattuazione dei nostri ideali.
Tra luomo e lambiente sociale vi è unazione reciproca. Gli uomini fanno la società come essa è
e la società fa gli uomini come essi sono, e da ciò risulta una specie di circolo vizioso. Per
trasformare la società bisogna trasformare gli uomini e per trasformare gli uomini bisogna
trasformare la società...
Fortunatamente la società attuale non è stata formata dalla volontà illuminata di una classe
dominante, che abbia potuto ridurre tutti i dominati a strumenti passivi ed incoscienti dei suoi
interessi. Essa è il risultato di mille lotte intestine, di mille fattori naturali ed umani agenti
casualmente senza criteri direttivi; e quindi non vi sono divisioni nette nè tra gli individui nè tra le
classi.
Infinite sono le varietà di condizioni materiali; infiniti i gradi di sviluppo morale ed intellettuale;
e non sempre - diremmo quasi molto raramente - il posto che uno occupa in società corrisponde alle
sue facoltà ed alle sue aspirazioni. Spessissimo alcuni individui cadono in condizioni inferiori a
quelle a cui sono abituati, ed altri, per circostanze eccezionalmente favorevoli, riescono ad elevarsi
a condizioni superiori a quelle in cui sono nati. Una parte notevole del proletariato è già arrivata ad
uscire dallo stato di miseria assoluta, abbrutente, o non ha mai potuto esservi ridotta; nessun
lavoratore, o quasi nessuno si trova nello stato di incoscienza completa, di completa acquiescenza
alle condizioni che gli fanno i padroni. E le stesse istituzioni, quali sono state prodotte dalla storia,
contengono delle contraddizioni organiche che sono come dei germi di morte, i quali sviluppandosi
producono la dissoluzione dellistituzione e la necessità della trasformazione.
Da ciò la possibilità del progresso; ma non la possibilità di portare, per mezzo della propaganda,
tutti gli uomini al livello necessario perchè vogliano e facciano lanarchia, senza unanteriore
graduale trasformazione dellambiente.
Il progresso deve camminare contemporaneamente, parallelamente negli individui e
nellambiente; dobbiamo profittare di tutti i mezzi di tutte le possibilità, di tutte le occasioni che ci
lascia lambiente attuale, per agire sugli uomini e sviluppare la loro coscienza ed i loro desideri;
dobbiamo utilizzare tutti i progressi avvenuti nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare
ed imporre quelle maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che meglio servono ad aprire
la via a progressi ulteriori
Noi non dobbiamo aspettare dì poter fare lanarchia ed intanto limitarci alla semplice
propaganda. Se facessimo così, presto avremmo esaurito il campo; avremmo convertiti cioè, tutti
quelli che nellambiente sono suscettibili di comprendere ed accettare le nostre idee e la nostra
ulteriore propaganda resterebbe sterile; o se delle trasformazioni dambiente elevassero nuovi strati
popolari alla possibilità di ricevere idee nuove, ciò avverrebbe senza lopera nostra, forse contro
lopera nostra e quindi con pregiudizio delle nostre idee.
Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue frazioni, pretenda, imponga,
prenda da sè tutti i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man mano che giunge a desiderarle
ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre tutto intero il nostro programma e lottando
sempre per la sua attuazione integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre
di più fino a che non ha raggiunto lemancipazione completa...
Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento delluomo
sulluomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino
tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di
fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo
possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza.
E per raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che i mezzi di produzione
siano a disposizione di tutti, e che nessun uomo, o gruppo di uomini possa obbligare gli altri a
sottostare alla sua volontà nè esercitare la sua influenza altrimenti che con la forza della ragione e
dellesempio.
Dunque, espropriazione dei detentori del suolo e del capitale a vantaggio di tutti, abolizione del
governo...
c. Organizzatori ed antiorganizzatori50
Noi conosciamo bene tutte le deficienze del giornale e, sempre pronti a lasciare il nostro posto a
chi fosse giudicato dai compagni più adatto di noi, accettiamo intanto con piacere e gratitudine tutti
i suggerimenti che ci pervengono, quantunque il più delle volte non possiamo utilizzarli, sia per
incapacità nostra (noi non possiamo farci più intelligenti e migliori scrittori di quello che siamo), sia
per le difficoltà tecniche e materiali fra le quali ci dibattiamo. E riceviamo con rispetto anche le
critiche che ci sembrano ingiustificate; ma pretendiamo che non si calunnino le nostre intenzioni,
non si travisino i fatti, non si alteri il nostro pensiero, non ci si faccia dire quello che non abbiamo
detto e non si affetti di ignorare quello che diciamo continuamente.
Siccome nel movimento anarchico vi è una notevole frazione "individualista" o
"antiorganizzatrice" o "antipartitista", gli amici-nemici di Umanità Nova si affannano a dire che noi
formiamo, o vorremmo formare, una specie di corporazione chiusa, intollerante, dogmatica; che
vogliamo fare di Umanità Nova lorgano esclusivo dell"Unione Anarchica Italiana" (la quale
sarebbe poi, secondo gli stessi, unorganizzazione autoritaria, accentrata, con mire dittatoriali, ecc.);
e che noi cestiniamo sistematicamente tutti gli scritti che non corrispondono alla "nostra" tendenza.
Ma qual è questa "nostra" tendenza?
Io che scrivo sono partigiano dellorganizzazione operaia e dellorganizzazione nel partito, vale a
dire che, pigliando il nome "partito" nel senso vero dinsieme di tutti coloro che "parteggiano" e
lottano per la stessa causa, io credo utile che gli anarchici si uniscano in una o più organizzazioni,
transitorie o permanenti, locali o generali, secondo le circostanze e gli scopi immediati o definitivi
che si vogliano raggiungere, per coordinare gli sforzi e fare quelle cose a cui non basterebbero le
forze deglindividui isolati. E conseguentemente sono aderente allUnione Anarchica Italiana, nonchè
ad altri aggruppamenti che si propongono lavori speciali che non entrano nel compito generale
dellUnione.
Però nella redazione di Umanità Nova non tutti la pensano allo stesso modo, nè tutti aderiscono
allUnione Anarchica Italiana; e vè anche chi si dichiara individualista ed antiorganizzatore.
Ciononostante, troviamo modo di andare daccordo, perchè pensiamo che si può servire la causa con
metodi e mezzi differenti, purchè luno non cerchi di annientare gli sforzi dellaltro.
Per conto mio non vi è differenza sostanziale, differenza di principi tra "individualisti" e
"comunisti anarchici", tra "organizzatori" e "antiorganizzatori"; e si tratta più che altro di questioni
di parole e di malintesi, inaspriti ed ingigantiti da questioni personali. Lasciando da parte oggi la
questione dellindividualismo" perchè ne ho trattato recentemente rispondendo ad "un compagno
venuto dallAmerica", vi è forse tra gli anarchici chi è contrario in massima ad ogni organizzazione
operaia? Si può essere avversi a questo o a quel modo di organizzazione, e gli anarchici tutti non
possono non criticare tutte le organizzazioni esistenti ed anche tutte quelle possibili nellattuale
ambiente sociale; si può combattere lillusione sindacalista che le organizzazioni operaie bastano per
sè sole a risolvere la questione sociale, e noi labbiamo combattuta più di ogni altro - ma non credo
che vi siano degli anarchici i quali vorrebbero veder sparire ogni organizzazione operaia e ritornare
i lavoratori alle condizioni di un secolo fa, quando essi non contavano nulla come lavoratori, e se si
battevano lo facevano per conto ed al comando dei borghesi senza alcuna coscienza di classe e
senza altre speranze di miglioramento che quella che basavano sulla bontà dei governi e dei
padroni. Nè credo che vi sia qualcuno che vorrebbe veder ridotto il vasto movimento operaio, che
travaglia il mondo, alla sola esistenza di sparuti gruppi rivoluzionari, che sarebbero impotenti a fare
qualsiasi cosa importante se non potessero appoggiarsi a quella parte della massa che nelle
associazioni ha acquistato una coscienza di classe. Se minganno, allora lo dicano, e discuteremo.
Ed in quanto allorganizzazione o alle organizzazioni nel senso del partito, vi è forse chi
vorrebbe che gli anarchici restassero isolati gli uni dagli altri?
Certamente che no. Ed infatti meno qualche raro pensatore (possibile più che reale) il quale può
isolarsi materialmente dai suoi contemporanei e cercare la necessaria cooperazione intellettuale dei
suoi simili nella parola stampata, non vè nessuno che possa fare le minima cosa senza associarsi,
unirsi con altri. Anche i fatti più caratteristicamente individuali domandano lintesa intima di
parecchi! Non chiede tutta unorganizzazione la pubblicazione di un giornale? o una qualsiasi opera
di propaganda e deducazione alquanto importante? o la preparazione di una azione risolutiva?
Non potendo dir altro, gli avversari del "partito" si scagliano contro lorganizzazione
"permanente", senza pensare che unorganizzazione è fatta per durare fino a che dura la ragione per
la quale è stata fatta; e che come vi sono dei fatti speciali da compiere in breve che richiedono
unintesa temporanea, così ve ne sono degli altri come quello della lotta per lanarchia, che
domandano unintesa permanente, la quale cambia gradualmente nei suoi componenti, che poco a
poco muoiono, o restano vittime, o si stancano e sono sostituiti dai giovani sopravvenuti, ma non ha
nessuna ragione per prescrivere volontariamente un limite di tempo alla sua esistenza. O quando
sorganizza la pubblicazione di un giornale, non si fa come se questo giornale dovesse viver sempre?
Oppure dicono che essi sono contro un "partito" autoritario, accentrato, che nega e soffoca
liniziativa dei singoli. E chi dice il contrario? Non stiamo continuamente predicando alla gente che
bisogna agire, senza aspettare ordini di capi? che la disciplina deve consistere nella fedeltà ai propri
impegni e nellobbligo morale di appoggiare i compagni nelle azioni che si approvano, e non già nel
fare quello che uno non vuol fare, o peggio ancora nel non fare quello che uno crede buono ed utile
di fare? E non diciamo continuamente che le risoluzioni di congressi e di comitati non obbligano
che coloro che le accettano e fino a quando non hanno lealmente dichiarato di non accettarle più?
Ma un partito può degenerare e diventare autoritario. È vero... se non e composto di anarchici
coscienti; e per questo noi (e come noi lUnione Anarchica Italiana e qualunque altra organizzazione
anarchica) non possiamo che fare la propaganda anarchica. Possono dire che noi non la facciamo
continuamente nei nostri scritti, nelle nostre conferenze, nelle nostre conversazioni e lettere private?
Ma realmente, dato lo spirito degli anarchici, il pericolo non è quello che un "partito anarchico"
diventi autoritario, ma piuttosto quello chesso non giunga a prendere consistenza e non renda quindi
quella somma dazione che gli anarchici potrebbero dare se solamente sapessero armonizzare e
sommare il loro entusiasmo, il loro coraggio, il loro spirito di sacrificio. E questo è provato dalla
storia di tutte le organizzazioni e tentativi di organizzazioni che gli anarchici han fatto in tutto il
mondo da quando esiste un movimento anarchico...
d. Lo spontaneismo e l'organizzazione51
I compagni del periodico anarchico L'Adunata dei Refrattari, di Newark, negli Stati Uniti,
hanno nel dicembre passato ripubblicato in volume la serie di brillanti articoli con cui Luigi
Galleani rispondeva, circa 20 anni or sono, a F.S. Merlino, il quale aveva affermato, in unintervista
con Cesare Sobrero, che lanarchismo era morto, o moribondo. Ed hanno fatto opera buona, poichè
sarebbe stato un peccato davvero che quel lavoro fosse andato dimenticato e perduto.
In sostanza è una esposizione chiara, serena, eloquente del comunismo anarchico, secondo la
concezione kropotkiniana: concezione, che io personalmente trovo troppo ottimista, troppo
facilona, troppo fidente nelle armonie naturali, ma che non resta meno per questo il contributo più
grande che sia stato dato finora alla propagazione dellanarchismo.
Non starò ad esporre le tesi sostenute dal Galleani, perchè sono in generale le stesse idee che noi
tutti abbiamo sempre professate e propagate ed anche perchè si tratta di un lavoro tanto sostanzioso
e conciso che mal si presta ai riassunti ed agli estratti, ed è così bene scritto che a toccarlo si rischia
di sciuparlo.
Noterò soltanto un punto di dissenso apparente ed uno di dissenso reale.
Il dissenso apparente sta nella questione dellorganizzazione - non dellorganizzazione operaia
intorno alla quale io sono, come sanno i lettori di questa rivista, quasi completamente daccordo col
Galleani - ma dellorganizzazione propria degli anarchici come partito, come insieme di uomini che
vogliono la stessa cosa e che hanno interesse ad unire e coordinare i loro sforzi. Galleani fa una
critica severa quanto giusta di una supposta organizzazione autoritaria, che è una cosa
completamente diversa da quella che gli anarchici organizzatori predicano e, quando possono,
praticano. Ma è una questione di parola. Se invece di dire organizzazione si dicesse associazione,
intesa, unione o altra parola simile, Galleani sarebbe certamente il primo a riconoscere che gli sforzi
isolati e discordanti sono impotenti a raggiungere lo scopo. Infatti egli aveva creato in America,
intorno a Cronaca Sovversiva, tuttuna accolta di consensi e di cooperazioni che, se mai, aveva
proprio il difetto autoritario di dipendere troppo dallimpulso di una sola persona.
Il punto di dissenso reale è un altro, ed è grave perchè può influenzare tutta lazione pratica degli
anarchici oggi e, più ancora, nei giorni di crisi storiche.
Galleani dice:
"Noi non possiamo offrire della città libera e felice che qualche magnifico profilo disegnato
dalla speranza, dalla fantasia e da qualche logica e positiva induzione, piuttosto che da una realtà
matematica e sicura. Non possiamo daltronde, senza arbitrio e senza ridicolo, erigerne larchitettura
severa e completa. La più ideale delle costruzioni potrebbe parere meschina, forse anche grottesca
ai nostri nepoti che la casa dovrebbero abitare, e la casa sapranno farsi da sè adeguata ai loro
bisogni, rispondere al loro gusto, degna dellera più progredita e delle superiori civiltà in cui saranno
chiamati a vivere".
E sta benissimo Ma poi aggiunge:
"Il nostro compito è più modesto ed anche più perentorio: dobbiamo lasciare ad essi (ai nipoti)
il terreno sgombro dalle fosche ruine, dalle turpi galere, dai privilegi esosi, dai monopoli rapaci,
dagli eunuchi rispetti umani, dai convenzionalismi bugiardi, da pregiudizi avvelenati tra cui ci
aggiriamo povere ombre in pena; dobbiamo lasciare ad essi sgombra la terra dalle chiese, dalle
caserme, dai tribunali, dai lupanari e soprattutto dallignoranza e dalla paura che li custodiscono
assai più fedelmente che non le sanzioni del codice e i gendarmi".
Qui appare lidea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli
anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri lopera di ricostruzione. Ed è
idea nefasta.
La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzione. Sarebbe, per esempio,
ridicolo, e mortale se si facesse davvero, il volere distruggere tutti i forni malsani, tutti i mulini
antieconomici, tutte le culture arretrate rimettendo ai posteri la cura di cercare ed applicare metodi
migliori per coltivare il grano, far la farina e cuocere il pane. E così per la maggior parte delle
istituzioni sociali, che compiono male qualche funzione necessaria, ma la compiono; e non possono
esser distrutte se non sostituendole con qualche cosa di meglio.
Non si tratta di prescrivere la linea da seguire ai posteri, i quali profitteranno degli sforzi e delle
esperienze nostre e faranno, cè da sperarlo, molto meglio di quello che sapremmo far noi. Si tratta
di quello che dobbiamo e dovremo far noi, se non vogliamo lasciare il monopolio dellazione pratica
ad altri, che indirizzerebbero il movimento verso orizzonti opposti ai nostri. Quindi necessità di
studi e di preparazione per poter realizzare il più possibile delle nostre idee a mano a mano che si
opera la demolizione.
Questo, almeno, per chi pensa, come me, che lanarchia sia una cosa da fare, e non
semplicemente da sognare.
e. Individualismo e organizzazione52
La risposta di Adams al mio articolo del n. 13 mi fa vedere chio non riuscii a bene esprimere il
mio pensiero, e minduce quindi ad aggiungere qualche schiarimento.
Io dissi che "nei loro moventi morali e nei loro fini ultimi anarchismo individualista e
anarchismo comunista sono la stessa cosa o quasi".
A questa mia affermazione si può opporre, lo so, mille testi e non pochi fatti di sedicenti
anarchici individualisti i quali dimostrerebbero che tra anarchici individualisti ed anarchici
comunisti vi è addirittura un abisso morale che li divide. Ma io nego che quella specie di
individualisti possa includersi tra gli anarchici, malgrado chessi amino chiamarsi tali.
Se anarchia significa non governo, non dominio, non oppressione delluomo sulluomo come mai
può chiamarsi anarchico, senza mentire a se stesso ed agli altri, uno che vi dice francamente che per
soddisfare il suo Io opprimerebbe gli altri senza scrupolo alcuno e senza altro limite che quello
segnatogli dalla sua forza? Egli può essere un ribelle, perchè si trova in posizione doppresso e lotta
per diventare oppressore, come altri più nobili ribelli lottano per distruggere ogni genere
doppressione; ma anarchico non può esser di certo. Egli è un aspirante borghese, un aspirante
tiranno che, impotente a realizzare da sè e per le vie legali i suoi sogni di dominio e di ricchezza si
accosta agli anarchici per sfruttarne la solidarietà morale o materiale.
La questione, secondo me, non è dunque tra "comunisti" e "individualisti", ma tra anarchici e
non anarchici. Ed è stato grande torto il nostro, o almeno di molti di noi, quello di discutere certo
preteso "individualismo anarchico" come se fosse davvero una tra le varie tendenze dellanarchismo,
invece di combatterlo come una delle tante maschere dellautoritarismo.
Ma, dice Adams "se si leva allanarchismo individualista tutto ciò che non è anarchico non cè
più anarchismo individualista di sorta". E qui non siamo daccordo.
Moralmente lanarchismo basta a se stesso: ma per tradursi nei fatti ha bisogno di forme concrete
di vita materiale, ed è la preferenza di una forma allaltra che differenzia luna dallaltra le vane
scuole anarchiche.
Comunismo, individualismo, collettivismo, mutualismo e tutti i programmi intermedi ed
eclettici non sono, nel campo anarchico, che il modo creduto migliore per realizzare nella vita
economica la libertà e la solidarietà, il modo creduto più rispondente a giustizia ed a libertà di
distribuire tra gli uomini i mezzi di produzione ed i prodotti del lavoro.
Bakunin era anarchico, ed era collettivista, nemico fiero del comunismo perchè in esso vedeva
la negazione della libertà e quindi della dignità umana. E con Bakunin e lungo tempo dopo di lui
furono collettivisti (proprietà collettiva del suolo, delle materie prime e degli strumenti di lavoro, e
attribuzione del prodotto integrale del lavoro a ciascun produttore, detratta la quota parte necessaria
per i carichi sociali) quasi tutti gli anarchici spagnoli, che pur erano tra gli anarchici più coscienti e
più conseguenti.
Altri per la stessa ragione di difesa e garanzia della libertà si dichiararono individualisti e
vogliono che ciascun abbia in proprietà individuale la parte che gli spetta dei mezzi di produzione e
quindi la libera disposizione dei prodotti del suo lavoro.
Altri escogita sistemi più o meno complicati di mutualità. Ma insomma è sempre la ricerca di
una più sicura garanzia della libertà che forma la caratteristica degli anarchici e li divide in scuole
diverse.
Noi crediamo che la distribuzione dei mezzi di produzione naturali e la determinazione del
valore di scambio delle cose necessarie in qualunque sistema fuori del comunismo, mal si
potrebbero attuare senza lotte e senza ingiustizie che poi potrebbero finire colla costituzione di
nuove forme dautorità e di governi. Ma daltra parte non ci nascondiamo il pericolo che un
comunismo voluto applicare prima che ne sia ben radicato il desiderio e la coscienza e più
largamente che non lo permettano le condizioni obiettive della produzione e dei rapporti sociali
meni al sorgere di una burocrazia parassitaria che accetterebbe tutto nelle sue mani e diventerebbe il
peggiore dei governi.
E perciò noi restiamo comunisti nel sentimento o nellaspirazione, ma vogliam lasciare libero
campo alla sperimentazione di tutti i modi di vita che si possono immaginare e desiderare.
Per noi è necessario ed è sufficiente che tutti abbiano piena libertà e che nessuno possa
monopolizzare i mezzi di produzione e vivere del lavoro altrui.
Adams poi parla della necessità di "un movimento anarchico organizzato, omogeneo,
continuativo e collegato per unazione comune di lotta e di rivendicazione" e dice che la nostra
propaganda a fatti deve consistere "non nellaspettare ad agire, muoversi, organizzarsi, ecc, che tutti
quelli che si dicono anarchici siano daccordo su quello che si deve fare, ma nel fare subito, noi
stessi, tutti quanti siamo daccordo, secondo il nostro programma teorico e tattico senza astenercene
per uno sciocco timore durtare le suscettibilità dei dissenzienti delle varie frazioni o tendenze".
Ed io convengo perfettamente con lui; ma mi pare chegli si sbagli quando pensa che se quello
chegli desidera non si è fatto finora, o si è fatto poco e male, sia la colpa degli "individualisti".
Secondo me la colpa è di uno stato danimo degli anarchici che li ha fatti riluttanti ad ogni piano
pratico di azione e che deriva da errori teorici propagati fin dalle origini del nostro movimento. E
questi errori dipendono da una specie di provvidenzialismo naturale, che ha fatto credere che le
vicende umane avvengono automaticamente, naturalmente, senza preparazione, senza
organizzazione, senza piani preconcetti. Come molti di noi credono che la rivoluzione verrà da sè,
quando i tempi saranno maturi, per opera spontanea della massa, così credono pure che dopo la
rivoluzione la spontaneità popolare basterà a tutto e che non vè bisogno di prevedere e di preparare
nulla. E questa è la ragione dei mali che Adams lamenta, e non già gli "individualisti" che dopo
tutto sono sempre stati in mezzo a noi una scarsissima minoranza, generalmente senza credito e
senza influenza.
Non sono stati glindividualìsti che hanno inventata la massima, secondo me diametralmente
opposta al vero, che "lanarchia è lordine naturale"!
5. IL GOVERNO RIVOLUZIONARIO E LA DITTATURA DEL PROLETARIATO
a. La dittatura del proletariato53
Carissimo Fabbri,
...Sulla questione che tanti si preoccupa, quella della dittatura del proletariato, mi pare che
siamo fondamentalmente daccordo.
A me sembra che su questa questione lopinione degli anarchici non potrebbe esser dubbia, ed
infatti prima della rivoluzione bolscevista non era dubbia per nessuno. Anarchia significa non-
governo e quindi a maggior ragione non-dittatura, che è governo assoluto senza controllo e senza
limiti costituzionali.
Ma quando è scoppiata la rivoluzione bolscevista parecchi nostri amici hanno confuso ciò che
era rivoluzione contro il governo preesistente, e ciò che era nuovo governo che veniva a
sovrapporsi alla rivoluzione per frenarla e dirigerla ai fini particolari di un partito - e quasi quasi si
sono dichiarati bolscevisti essi stessi.
Ora, i bolscevisti sono semplicemente dei marxisti, che sono onestamente e conseguentemente
restati marxisti, a differenza dei loro maestri e modelli, i Guesde, i Plekanoff, gli Hyndmann, gli
Scheidemann, i Noske, ecc, ecc., che han fatto la fine che tu sai. Noi rispettiamo la loro sincerità,
ammiriamo la loro energia, ma come non siamo stati mai daccordo con loro sul terreno teorico, non
sapremmo solidarizzarci con loro quando dalla teoria si passa alla pratica.
Ma forse la verità è semplicemente questa: che i nostri amici bolscevizzanti collespressione
"dittatura del proletariato" intendono semplicemente il fatto rivoluzionario dei lavoratori che
prendono possesso della terra e degli strumenti di lavoro e cercano di costituire una società, di
organizzare un modo di vita in cui non vi sia posto per una classe che sfrutti ed opprima i
produttori.
Intesa così, la "dittatura del proletariato" sarebbe il potere effettivo di tutti i lavoratori intenti ad
abbattere la società capitalistica, e diventerebbe lanarchia non appena fosse cessata la resistenza
reazionaria e nessuno più pretendesse di obbligare con la forza la massa ad ubbidirgli ed a lavorare
per lui. Ed allora il nostro dissenso non sarebbe più che una questione di parole. Dittatura del
proletariato significherebbe dittatura di tutti, vale a dire non sarebbe più dittatura, come governo di
tutti non è più governo, nel senso autoritario, storico, pratico della parola.
Ma i partigiani veri della "dittatura del proletariato" non la intendono così, e ce lo fanno ben
vedere in Russia. Il proletariato naturalmente centra come centra il popolo nei regimi democratici,
cioè semplicemente per nascondere lessenza reale della cosa. In realtà si tratta della dittatura di un
partito, o piuttosto dei capi di un partito; ed è dittatura vera e propria, coi suoi decreti, colle sue
sanzioni penali, coi suoi agenti esecutivi e soprattutto colla sua forza armata, che serve oggi anche a
difendere la rivoluzione dai suoi nemici esterni, ma che servirà domani per imporre ai lavoratori la
volontà dei dittatori, arrestare la rivoluzione, consolidare i nuovi interessi che si vanno costituendo
e difendere contro la massa una nuova classe privilegiata.
Anche il generale Bonaparte servì a difendere la rivoluzione francese contro la reazione
europea, ma nel difenderla la strozzò. Lenin, Trotski e compagni sono di sicuro dei rivoluzionari
sinceri, così come essi intendono la rivoluzione, e non tradiranno; ma essi preparano i quadri
governativi che serviranno a quelli che verranno dopo per profittare della rivoluzione ed ucciderla.
Essi saranno le prime vittime del loro metodo, e con loro, io temo, cadrà la rivoluzione. È la storia
che si ripete: mutatis mutandis, è la dittatura di Robespierre che porta Robespierre alla ghigliottina
e prepara la via a Napoleone.
Queste sono le mie idee generali sulle cose di Russia. In quanto ai particolari le notizie che
abbiamo sono ancora troppo varie e contraddittorie per potere arrischiare un giudizio. Può anche
darsi che molte cose che ci sembrano cattive siano il frutto della situazione e che nelle circostanze
speciali della Russia non fosse possibile fare diversamente di quello che hanno fatto. È meglio
aspettare, tanto più che quello che noi diremmo non può avere nessuna influenza sullo svolgimento
dei fatti in Russia, e potrebbe in Italia essere male interpretato e darci laria di far eco alle calunnie
interessate della reazione.
Limportante è quello che dobbiamo fare noi - siamo sempre lì, io sto lontano ed impossibilitato
a fare la parte mia...
b. Il governo rivoluzionario dei socialisti54
Passiamo ora alla questione di quello che intendiamo fare dopo linsurrezione vittoriosa.
Questa è la questione essenziale, poichè è il nostro modo di ricostruire che costituisce
propriamente lanarchismo e che ci distingue dai socialisti. Linsurrezione, i mezzi per distruggere
sono cosa contingente, e a rigore si potrebbe essere anarchici anche essendo pacifisti, come si può
essere socialisti essendo insurrezionisti.
Si è detto che gli anarchici sono antistatalisti ed è giusto: ma che cosa è lo Stato? Stato è parola
soggetta a cento interpretazioni, e noi preferiamo adoperare parole chiare che non dan luogo ad
equivoci.
Malgrado la cosa possa sembrar nuova a chi non ha penetrato il concetto fondamentale
dellanarchismo, la verità è che i socialisti sono dei violenti, mentre noi siamo contrari ad ogni
violenza, salvo quando essa ci è imposta, per ragion di difesa, dalla violenza altrui. Siamo per la
violenza oggi perchè è il mezzo necessario per abbattere la violenza borghese; saremmo per la
violenza domani se ci si volesse imporre violentemente un modo di vita che non ci convenisse. Ma
il nostro ideale, lanarchia, è una società fondata sul libero accordo delle libere volontà dei singoli.
Siamo contro lautorità perchè lautorità è violenza, in pratica, di pochi contro i molti; ma saremmo
contro lautorità lo stesso, se essa fosse, secondo lutopia democratica, la violenza della maggioranza
contro la minoranza.
I socialisti sono dittatoriali o parlamentari.
La dittatura, sintitoli pure dittatura del proletariato, è il governo assoluto di un partito, o
piuttosto dei capi di un partito che impongono a tutti il loro speciale programma, quando non siano i
loro speciali interessi. Essa si annunzia sempre provvisoria, ma, come ogni potere, tende sempre a
perpetuarsi e ad ingrandire il proprio potere, e finisce o col provocare la ribellione o col consolidare
un regime di oppressione.
Noi anarchici non possiamo non essere avversari di ogni e qualsiasi dittatura. I socialisti, che
preparano gli animi a subire la dittatura, pensino almeno ad assicurarsi che al potere vadano i
dittatori che essi desiderano, giacchè, se il popolo è disposto ad ubbidire, cè sempre pericolo che
ubbidisca ai più abili, cioè ai più malvagi.
Resta il parlamento, la democrazia...
Noi, anche nella migliore ed utopistica ipotesi che i corpi eletti riescano a rappresentare la
volontà della maggioranza, non potremmo mai riconoscere nella maggioranza il diritto dimporre la
propria volontà alla minoranza per mezzo della legge, cioè per mezzo della forza bruta.
Ma vuol dire questo che noi non vogliamo organizzazioni coordinazione, divisione e
delegazione di funzioni?
Niente affatto. Noi comprendiamo tutta la complessità della vita civile e non vogliamo
rinunziare a nessuno dei vantaggi della civiltà; ma vogliamo che tutto, anche le necessarie
limitazioni di libertà, sia il risultato del libero accordo, in cui la volontà di ciascuno non è violentata
dalla forza altrui, ma è temperata dallinteresse che tutti hanno ad accordarsi, nonchè dai fatti
naturali indipendenti dalla volontà umana.
Lidea della libera volontà sembra spaventare i socialisti. Ma, in tutto ciò che dipende dagli
uomini, non è sempre la volontà che decide? E perchè allora la volontà degli uni piuttosto che degli
altri? E chi deciderebbe della volontà che ha diritto a prevalere? La forza brutale? quella che
sarebbe riuscita ad assicurarsi un corpo di poliziotti abbastanza forte?
Noi crediamo che si potrà raggiungere laccordo ed arrivare al miglior modo di convivenza
sociale solo se nessuno può imporre la volontà sua colla forza, e ciascuno quindi dovrà cercare, per
necessità di cose oltre che per impulso di spirito fraterno, il modo di conciliare i desideri propri con
quelli degli altri. Un maestro di scuola, mi si passi lesempio, che abbia il diritto di bastonare i
discepoli e si fa ubbidire colla sferza, risparmia ogni lavoro intellettuale per comprendere lanimo
dei fanciulli a lui affidati ed alleva dei selvaggi; un maestro invece che bastonare non può o non
vuole cerca di farsi amare e ci riesce.
Noi siamo comunisti; ma il comunismo imposto dai birri, no. Questo comunismo non solo
violerebbe la libertà che ci è cara, non solo non riuscirebbe a produrre effetti benefici perchè gli
mancherebbe il cordiale concorso delle masse e dovrebbe contare solo sullazione sterile e
perniciosa dei burocrati, ma condurrebbe certamente alla ribellione, la quale, essendo per le
circostanze anti-comunista, rischierebbe di finire in una restaurazione borghese.
Questa differenza di programma tra noi ed i socialisti ci farà nemici lindomani della
rivoluzione, ed indurrà gli anarchici, che probabilmente saranno in minoranza, a preparare una
nuova insurrezione violenta contro i socialisti?
Non necessariamente.
Lanarchia, labbiamo ripetuto spesso, non si fa per forza e noi non potremmo voler imporre agli
altri le nostre concezioni, senza cessare di essere anarchici, Ma noi anarchici vorremo vivere
anarchicamente per quanto le circostanze esteriori e le capacità nostre ce lo permetteranno.
Se i socialisti ci lasceranno libertà di propaganda, di organizzazione, di sperimentazione; se non
vorranno obbligarci colla forza ad ubbidire alle loro leggi quando noi sapessimo vivere
ignorandole, allora non vi sarà nessuna ragione di conflitto violento.
Una volta conquistata la libertà ed assicuratoci il diritto di disporre dei mezzi di produzione, noi
contiamo, per il trionfo dellAnarchia, solo sulla superiorità delle nostre idee. Ed intanto potremmo
concorrere tutti, ciascuno coi metodi suoi, al bene comune. Chè se invece i governanti socialisti
volessero con la forza dei poliziotti, sottoporre i recalcitranti alloro dominio, allora... sarebbe la
lotta.
c. La ricetta dei comunisti55
Al contrario degli anarchici vi sono molti rivoluzionari i quali non hanno fiducia nellistinto
costruttivo nelle masse, credono di avere essi la ricetta infallibile per assicurare la felicità
universale, temono la possibile reazione, temono forse più la concorrenza di altri partiti ed altre
scuole di riformatori sociali, e vogliono perciò impossessarsi del potere e sostituire al governo
"democratico" di oggi un governo dittatoriale.
Dittatura dunque: ma chi sarebbero i dittatori? Naturalmente, pensano essi, i capi del loro
partito. Dicono ancora per abitudine contratta o per desiderio cosciente di evitare le spiegazioni
chiare, "dittatura del proletariato" ma questa è una burletta oramai sfatata.
Ecco come si spiega Lenin, o chi per lui (vedi "Avanti!" del 20 luglio 1920):
"La dittatura significa labbattimento della borghesia per opera di unavanguardia rivoluzionaria
(questa è la rivoluzione e non già la dittatura), in contrasto con la concezione che sia anzitutto
necessario ottenere una maggioranza nelle elezioni. Per mezzo della dittatura si ottiene la
maggioranza non già per mezzo della maggioranza la dittatura". (E sta bene; ma se è una minoranza
che, impossessatasi del potere, deve poi conquistare la maggioranza è una menzogna il parlare di
dittatura del proletariato. Il proletariato è evidentemente la maggioranza).
"La dittatura significa limpiego della violenza e del terrore" (Per opera di chi e contro chi?
Poichè si suppone la maggioranza ostile e non può trattarsi, nel concetto dittatoriale di folla
scatenata che prende nelle sue mani la cosa pubblica, evidentemente la violenza ed il terrore
dovranno essere praticati contro tutti coloro che non si piegano ai voleri dei dittatori per mezzo di
sgherani al servizio di essi dittatori).
"La libertà di stampa e di riunione equivarrebbe ad autorizzare la borghesia ad avvelenare
lopinione pubblica." (Dunque dopo lavvento della dittatura "del proletariato" che dovrebbe essere la
totalità dei lavoratori, vi sarà ancora una borghesia che invece di lavorare avrà i mezzi di
avvelenare "lopinione pubblica" ed una opinione pubblica da avvelenare estranea a quei proletari
che dovrebbero costituire la dittatura? Vi saranno dei censori onnipotenti che giudicheranno di
quello che si può o non si può stampare e dei questori a cui bisognerà domandare il permesso per
tenere un comizio. Inutile dire quale sarebbe la libertà lasciata a chi non è ligio ai dominatori del
momento).
"Soltanto dopo la espropriazione degli espropriatori, dopo la vittoria, il proletariato attirerà a sè
le masse della popolazione che prima seguiva la borghesia". (Ma ancora una volta che cosa è questo
proletariato che non è la massa che lavora? Proletariato non significa dunque chi non ha proprietà
ma chi ha certe date idee ed appartiene ad un dato partito?).
Lasciamo dunque questa falsa espressione di dittatura del proletariato atta a produrre tanti
equivoci e discutiamo della dittatura quale essa è veramente, cioè il governo assoluto di uno o più
individui i quali, appoggiandosi su di un partito o su di un esercito, simpadroniscono della forza
sociale ed impongono "colla violenza e col terrore" la loro volontà.
Quale sarà questa volontà dipende dalla specie di persone che allatto pratico riusciranno ad
impossessarsi del potere. Nel caso nostro si suppone che sarà la volontà dei comunisti e quindi una
volontà ispirata al desiderio del bene di tutti.
È già una cosa molto dubbia, poichè generalmente gli uomini meglio dotati delle qualità
necessarie per arraffare il potere non sono i più sinceri ed i più devoti alla causa pubblica; e se si
predica alle masse la necessità di sottomettersi ad un nuovo governo non si fa che spianare la via
agli intriganti ed agli ambiziosi.
Ma supponiamo pure che i nuovi governanti, i dittatori che dovrebbero realizzare gli scopi della
rivoluzione siano dei veri comunisti, pieni di zelo, convinti che dallopera loro, dallenergia loro
dipenda la felicità del genere umano. Sarebbero degli uomini sul tipo dei Torquemada e dei
Robespierre che, a fine di bene, in nome della salute privata o pubblica, soffocherebbero ogni voce
discorde, distruggerebbero ogni alito di vita libera e spontanea: e poi, impotenti a risolvere i
problemi pratici da loro sottratti alla competenza degli interessati, dovrebbero per amore e per forza
lasciare il posto ai restauratori del passato.
La grande giustificazione della dittatura sarebbe lincapacità delle masse e la necessità di
difendere la rivoluzione dai tentativi reazionari.
Se davvero le masse fossero armento bruto incapace di vivere senza il bastone del pastore, se
non vi fosse già una minoranza sufficientemente numerosa e cosciente capace di trascinare le masse
colla predicazione e collesempio, allora comprenderemmo meglio i riformisti, i quali temono la
sollevazione popolare e silludono di potere poco a poco, a forza di piccole riforme,che sono poi
piccoli rammendi, minare lo Stato borghese e preparare le vie al socialismo; comprenderemmo
meglio gli educazionisti che non valutando abbastanza linfluenza dellambiente sperano di poter
cambiare la società cambiando prima tutti gli individui; non potremmo comprendere affatto i
partigiani della dittatura, che vogliono educare ed elevare le masse "colla violenza e col terrore" e
dovrebbero elevare a primi fattori di educazione i gendarmi ed i censori.
In realtà nessuno potrebbe istituire la dittatura rivoluzionaria se prima il popolo non avesse fatta
la rivoluzione, mostrando così a fatti la sua capacità di farla; ed allora la dittatura non farebbe che
sovrapporsi alla rivoluzione, sviarla, soffocarla ed ucciderla.
In una rivoluzione politica in cui si mira solo a buttar giù il governo lasciando in piedi tutta
lorganizzazione sociale esistente, può una dittatura impossessarsi del potere, mettere i suoi uomini
al posto dei funzionari scacciati ed organizzare dallalto il nuovo regime. Ma in una rivoluzione
sociale, dove sono rovesciate tutte le basi della convivenza sociale, dove la produzione
indispensabile deve essere ripresa subito per conto e vantaggio dei lavoratori, dove la distribuzione
deve essere immediatamente regolata secondo giustizia, la dittatura non potrebbe far nulla, O il
popolo provvederebbe da sè nei diversi comuni e nelle diverse industrie, o la rivoluzione sarebbe
fallita.
Forse in fondo i partigiani della dittatura (e già alcuni lo dicono apertamente) non desiderano
subito che una rivoluzione politica, vale a dire che vorrebbero senzaltro impossessarsi del potere e
poi gradualmente trasformare la società per mezzo di leggi e di decreti. In tal caso essi avrebbero
probabilmente la sorpresa di vedere al potere ben altri che loro stessi; e in tutti i casi dovrebbero
prima dogni altra cosa pensare a organizzare la forza armata (i poliziotti) necessaria ad imporre il
rispetto delle loro leggi. Intanto la borghesia che sarebbe restata sostanzialmente la detentrice della
ricchezza, superato il momento critico dellira popolare, preparerebbe la reazione, riempirebbe la
polizia di propri agenti, sfrutterebbe il disagio e la disillusione di coloro che si aspettavano
limmediata realizzazione del paradiso terrestre... e ripiglierebbe il potere o attirando a sè i dittatori,
o sostituendoli con uomini suoi.
Quella paura della reazione, addotta a giustificazione del regime dittatoriale dipende appunto
dal fatto che si pretende fare la rivoluzione lasciando sussistere ancora una classe privilegiata in
condizione di poter riprendere il potere.
Se invece sincomincia con lespropriazione completa, allora borghesi non ve ne sarà più; e tutte
le forze vive del proletariato, tutte le capacità esistenti saranno impiegate nellopera di ricostruzione
sociale.
Del resto, in un paese come lItalia (per applicare il già detto al paese in cui svolgiamo la nostra
attività), in un paese come lItalia, dove le masse sono pervase da istinti libertari e ribelli, dove gli
anarchici rappresentano una forza considerevole, più che per le loro organizzazioni, per linfluenza
che possono esercitare, un tentativo di dittatura non potrebbe essere fatto senza scatenare la guerra
civile tra lavoratori e lavoratori e non potrebbe trionfare se non per mezzo della più feroce tirannia.
Allora, addio comunismo!
Non vè che una via possibile di salvezza: la Libertà.
d. Bolscevismo e anarchismo56
Dopo circa due anni da quando fu scritto, il libro di Luigi Fabbri a proposito della rivoluzione
russa conserva tutta la sua freschezza e resta il lavoro più completo e più organico che io conosca
sullargomento. Anzi gli avvenimenti posteriori che si sono svolti in Russia sono venuti a
confermare il valore del libro dando unulteriore e più evidente conferma sperimentale alle
deduzioni che il Fabbri cavava dai fatti allora conosciuti e dai principi generali sostenuti dagli
anarchici.
Materia del libro è un caso particolare del vecchio eterno conflitto tra libertà e autorità che ha
riempito di sè tutta la storia passata e travaglia più che mai il mondo contemporaneo, e dalle cui
vicende dipende la sorte della rivoluzione in atto e di quelle che stanno per venire.
La rivoluzione russa si è svolta con lo stesso ritmo di tutte le rivoluzioni passate. Dopo un
periodo ascendente verso una maggiore giustizia ed una maggiore libertà, che è durato fino a
quando lazione popolare attaccava ed abbatteva i poteri costituiti, è sopravvenuto, non appena un
nuovo governo è riuscito a consolidarsi, il periodo della reazione, lopera, a volte lenta e graduale, a
volte rapida e violenta, del nuovo potere, intesa a distruggere quanto più è possibile delle conquiste
della Rivoluzione e a stabilire un ordine che assicuri la permanenza al potere della nuova classe
governante e difenda gli interessi dei nuovi privilegiati e di quelli tra i vecchi che sono riusciti a
sopravvivere alla tormenta.
In Russia, grazie a circostanze eccezionali il popolo abbatté il regime zarista, costruì per libera e
spontanea iniziativa i suoi sovieti (che furono comitati locali di operai e contadini, rappresentanti
diretti dei lavoratori e sottoposti al controllo immediato degli interessati), espropriò gli industriali
ed i grandi proprietari fondiari ed incominciò ad organizzare sulla base delluguaglianza e della
libertà e con criteri di giustizia, sia pure relativa, la nuova vita sociale.
Così la Rivoluzione si andava sviluppando e, compiendo il più grandioso esperimento sociale
che la storia ricordi si apprestava a dare al mondo lesempio di un grande popolo che mette in opera
per sforzo proprio tutte le sue facoltà, e raggiunge la sua emancipazione ed organizza la sua vita
conformemente ai suoi bisogni, ai suoi istinti, alla sua volontà, senza la pressione di una forza
esteriore che lo inceppi e lo costringa a servire gli interessi di una casta privilegiata.
Disgraziatamente però, tra gli uomini che maggiormente contribuirono a dare il colpo decisivo
al vecchio regime, vi erano dei fanatici dottrinari, ferocemente autoritari perchè fermamente
convinti di possedere "la verità" e di avere la missione di salvare il popolo il quale, secondo la loro
opinione non poteva salvarsi se non per le vie indicate da loro. Costoro, profittando del prestigio
che dava loro la parte presa nella rivoluzione e soprattutto della forza che veniva loro dalla propria
organizzazione, riuscirono ad impossessarsi del potere, riducendo allimpotenza gli altri, ed in specie
gli anarchici, che avevano contribuito alla rivoluzione quanto e più di loro, ma non potettero
opporsi validamente alla loro usurpazione, perchè disgregati senza intese preventive, quasi senza
alcuna organizzazione.
Da allora la rivoluzione era condannata.
Il nuovo potere, come è nella natura di tutti i governi, volle assorbire nelle sue mani tutta la vita
del paese e sopprimere ogni iniziativa, ogni movimento che sorgesse dalle viscere popolari. Creò in
sua difesa prima un corpo di pretoriani, poi un esercito regolare ed una potente polizia che uguagliò
e superò in ferocia e mania liberticida quella stessa del regime zarista. Costituì uninnumere
burocrazia; ridusse i sovieti a puri strumenti del potere centrale o li sciolse colla forza delle
baionette; soppresse con la violenza, spesso sanguinaria ogni opposizione; volle imporre il
programma sociale agli operai e ai contadini riluttanti, e così scoraggiò e paralizzò la produzione.
Difese bensì con successo il territorio russo dagli attacchi della reazione europea, ma non riuscì con
questo a salvare la rivoluzione poichè laveva strozzata esso stesso, pur cercando di difendere le
apparenze formali. Ed ora si sforza di farsi riconoscere dai governi borghesi, di entrare con loro in
rapporti cordiali, di ristabilire il sistema capitalistico... insomma di seppellire definitivamente la
rivoluzione. Così tutte le speranze che la rivoluzione russa aveva suscitate nel proletariato mondiale
saranno state tradite. La Russia non tornerà certo allo stato di prima, Poichè una grande rivoluzione
non passa mai senza lasciar tracce profonde, senza scuotere ed innalzare lanimo popolare e senza
creare delle nuove possibilità per lavvenire. Ma i risultati ottenuti resteranno ben inferiori a quello
che avrebbero potuto essere e si sperava che fossero, ed enormemente sproporzionati alle
sofferenze patite ed al sangue versato.
Noi non vogliamo troppo approfondire la ricerca delle responsabilità. Certo molta colpa del
disastro spetta alle direttive autoritarie che si dettero alla rivoluzione; molta colpa spetta anche alla
singolare psicologia dei governanti bolscevichi, che pur sbagliando e riconoscendo e confessando i
loro errori, restano sempre convinti lo stesso dessere infallibili e vogliono sempre imporre con la
forza le loro mutevoli e contraddittorie volontà. Ma è altrettanto, o più vero ancora, che quegli
uomini si sono trovati alle prese con difficoltà inaudite e che forse molto di quello che a noi sembra
errore e malvagità, fu leffetto ineluttabile della necessità.
E perciò noi volentieri ci asterremmo dal dare un giudizio, lasciando che giudichi più tardi la
storia serena ed imparziale, se è vero che una storia serena ed imparziale sia mai possibile. Ma vè in
Europa tutto un partito che è abbacinato dal mito russo e vorrebbe imporre alle prossime rivoluzioni
gli stessi metodi bolscevichi che hanno uccisa la rivoluzione russa; ed è urgente quindi mettere in
guardia le masse in generale, ed i rivoluzionari in specie, contro il pericolo dei tentativi dittatoriali
dei partiti bolscevizzanti. E il Fabbri ha reso un segnalato servizio alla causa mostrando allevidenza
la contraddizione che vè tra dittatura e rivoluzione.
Largomento principe di cui si servono i difensori della dittatura che si continua a chiamare
dittatura del proletariato, ma è poi in realtà - ormai tutti ne convengono - dittatura dei capi di un
partito sopra tutta quanta la popolazione, largomento principe, dico, è la necessità di difendere la
rivoluzione contro i tentativi interni di restaurazione borghese e contro gli attacchi che verrebbero
dai governi esteri, se il proletariato dei loro paesi non sapesse tenerli in rispetto facendo, o almeno
minacciando di fare, esso stesso la rivoluzione appena lesercito fosse impegnato in una guerra.
Non vè dubbio che bisogna difendersi; ma dal sistema che si adopera nella difesa dipende in
gran parte la sorte della rivoluzione. Che se per vivere si dovesse rinunziare alle ragioni ed agli
scopi della vita, se per difendere la rivoluzione si dovesse rinunziare alle conquiste che sono lo
scopo primo della rivoluzione, allora varrebbe meglio essere vinti onoratamente e salvare le ragioni
dellavvenire, anzichè vincere tradendo la propria causa.
La difesa interna bisogna assicurarla distruggendo radicalmente tutte le istituzioni borghesi e
rendendo impossibile ogni ritorno al passato.
È vano il volere difendere il proletariato contro i borghesi mettendo questi in condizioni
dinferiorità politica. Fino a che vi sarà gente che ha e gente che non ha, quelli che hanno finiranno
sempre col burlarsi delle leggi; anzi, appena svaniti i primi bollori popolari, sono essi che andranno
al potere e faranno le leggi.
Vane le misure di polizia, che possono ben servire ad opprimere, ma non serviranno mai per
liberare.
Vano, e peggio che vano micidiale, il cosiddetto terrore rivoluzionario. Certo è tanto grande
lodio, il giusto odio, che gli oppressi covano nellanimo loro, sono tante le infamie commesse dai
governi e dai signori, sono tanti gli esempi, di ferocia che vengono dallalto, tanto il disprezzo della
vita e delle sofferenze umane che ostentano le classi dominanti, che non cè da meravigliarsi se in un
giorno di rivoluzione la vendetta popolare scoppia tremenda ed inesorabile. Noi non ce ne
scandalizzeremmo e non cercheremmo di frenarla se non con la propaganda, poichè il volerla
frenare altrimenti porterebbe alla reazione. Ma è certo, secondo noi, che il terrore è un pericolo e
non già una garanzia di successo per la rivoluzione. Il terrore in generale colpisce i meno
responsabili; mette in valore i peggior elementi, quelli stessi che avrebbero fatto i birri e i carnefici
sotto il vecchio regime e sono felici di sfogare, in nome della rivoluzione, i loro cattivi istinti e
soddisfare sordidi interessi.
E questo se si tratta del terrore popolare esercitato direttamente dalle masse contro i loro
oppressori diretti. Chè se poi il terrore dovesse essere organizzato da un centro, fatto per ordine di
governo per mezzo della polizia e dei tribunali cosiddetti rivoluzionari, allora esso sarebbe il mezzo
più sicuro per uccidere la rivoluzione e sarebbe esercitato, più che a danno dei reazionari, contro gli
amanti di libertà che resistessero agli ordini del nuovo governo ed offendessero gli interessi dei
nuovi privilegiati.
Alla difesa, al trionfo della rivoluzione si provvede interessando tutti alla sua riuscita,
rispettando la libertà di tutti e levando a chiunque non solo il diritto, ma la possibilità di sfruttare il
lavoro altrui.
Non bisogna sottomettere i borghesi ai proletari, ma abolire borghesia e proletariato assicurando
a ciascuno la possibilità di lavorare nel modo che vuole e mettendo tutti gli uomini validi
nellimpossibilità di vivere senza lavorare.
Una rivoluzione sociale, che dopo aver vinto sta ancora in pericolo di essere sopraffatta dalla
classe spossessata è una rivoluzione che si è arrestata a mezzo cammino; e per assicurarsi la vittoria
non ha che da andare sempre più avanti sempre più in fondo.
Resta la questione della difesa contro il nemico di fuori.
Una rivoluzione che non vuol finire sotto i talloni di un soldato fortunato non può difendersi che
per mezzo di milizie volontarie, facendo in modo che ogni passo fatto dagli stranieri sul territorio
insorto li faccia cadere in un tranello, cercando di offrire tutti i vantaggi possibili ai soldati mandati
per forza e trattando senza pietà gli ufficiali nemici che vengono volontariamente. Si deve
organizzare il meglio possibile lazione guerresca; ma è essenziale evitare che coloro i quali si
specializzano nella lotta militare esercitino, in quanto militari, una qualsiasi azione sulla vita civile
della popolazione.
Noi non neghiamo che dal punto di vista tecnico più un esercito è retto autoritariamente e più ha
probabilità di vittoria, e che il concentramento di tutti i poteri nelle mani di uno solo - se capita che
questuno sia un genio militare - costituirebbe un grande elemento di successo. Ma la questione
tecnica non ha che una importanza secondaria - e se per rischiare una sconfitta da parte dello
straniero si dovesse rischiare di uccidere noi stessi la rivoluzione, si servirebbe molto male la causa.
Lesempio della Russia serva a tutti.
Il farsi mettere il freno nella speranza di essere meglio guidati non può condurre che alla
schiavitù. Tutti i rivoluzionari studino il libro di Fabbri. È necessario per esser bene preparati ad
evitare gli errori in cui sono caduti i Russi.
6. LALLUVIONE FASCISTA
a. Analisi di un errore57
Dico la mia opinione sui bisogni del nostro movimento nellora attuale. I compagni
giudicheranno ed agiranno con quella disciplina anarchica che non è lubbidienza ai voleri di altri,
ma spontanea coerenza con le proprie convinzioni.
Quando tornai in Italia, nelle circostanze che tutti conoscono, la rivoluzione era allordine del
giorno. Proletariato, borghesia, governo, partiti, tutti vivevano nella speranza o nel timore di una
prossima, imminente sollevazione popolare, dalla quale poteva risultare un radicale cambiamento
negli ordini politici ed economici. Ma, come sempre, occorreva la spinta iniziale per determinare il
movimento ed occorreva lintesa di nuclei coscienti e fattivi per indirizzare detto movimento a scopi
determinanti ed impedire che esso si esaurisse in disordini inutili e sanguinosi, senza risultati
tangibili e duraturi.
La situazione era urgente. Lo stato di tensione spirituale in cui si trovavano le masse non poteva
durare a lungo; il governo o la borghesia sarebbero usciti dallo stato di depressione morale e
dimpotenza materiale in cui erano caduti, e difatti già incominciavano ad apprestare i mezzi di
repressione; nè le condizioni economiche, colle crescenti esigenze dei lavoratori e la progressiva
diminuzione della produzione, potevano ammettere il prolungarsi di una condizione di ansia e di
incertezza che impediva al capitalismo di funzionare mentre non permetteva il lavoro libero,
associato, senza sfruttamento padronale, che avrebbe dovuto risolvere il problema.
Il partito socialista che comprendeva allora anche coloro che poi si sono costituiti in partito
comunista, e che era di gran lunga il più forte tra i partiti anticostituzionali, cercava di procrastinare
nella convinzione, o col pretesto, che il tempo lavorava per noi, che ogni giorno passato aumentava
la probabilità di vittoria.
A me sembrava il contrario, e perciò desideravo che quel che si poteva fare si facesse subito.
La storia passata non mispirava soverchia fiducia nella capacità e soprattutto nella volontà
rivoluzionaria dei dirigenti socialisti, e daltra parte come anarchico non potevo non avere le
peggiori prevenzioni contro il regime burocratico e dittatoriale che, in caso dì vittoria, i socialisti
avrebbero tentato dimporci.
Ma come fare? Noi eravamo troppo poco numerosi per potere, con qualche probabilità di
successo, prendere da soli liniziativa dellazione; e pure bisognava fare il possibile perchè la
situazione tanto eccezionalmente favorevole alla rivoluzione non andasse miseramente sciupata!
Perciò io fui tra i più caldi fautori del "fronte unico" che fu uno sforzo per trascinare allazione
coloro che, avendo promesso la rivoluzione, gli uni per scopi sporcamente elettorali, gli altri per un
transitorio entusiasmo provocato dai fatti di Russia, non potevano decentemente confessare che essi
la rivoluzione non la volevano, perchè, a non parlare che delle ragioni oneste, non la credevano
possibile.
I fatti mi hanno dato torto. Il "fronte unico" non era stato voluto realmente che dagli anarchici e
quando venne il momento di agire si sfasciò miseramente.
Il modo come si strozzò il magnifico movimento, che poteva ben essere risolutivo
delloccupazione delle fabbriche, la fine vergognosa dellagitazione pro vittime politiche cessata non
appena furono arrestati i membri anarchici del comitato mostrarono quanto torto avevamo avuto
fidando nel concorso degli "affini".
Noi dicemmo parole dure, gridammo al tradimento; ed avevamo ragione se consideriamo le
promesse che i socialisti avevano fatto alle masse, se ci ricordiamo il modo come essi soffocavano
ogni agitazione promettendo la rivoluzione sicura a breve scadenza. LAvanti!, per esempio, per
indurre gli operai a lasciare tranquillamente le fabbriche assicurava che la rivoluzione si sarebbe
fatta "tra poche settimane"!
Ma se trascuriamo i modi poco leali e guardiamo il fondo delle cose, se consideriamo il tipo di
organizzazione adottato dai socialisti ed il personale che costituisce la loro classe dirigente, e
principalmente la maniera come essi concepiscono il divenire rivoluzionario, allora dovremo
convenire che non furono essi i traditori, ma noi glingenui.
b. Che fare?58
"Che fare?" è la domanda che con più o meno forza tormenta sempre lanimo di tutti gli uomini
lottanti per un ideale e che risorge imperiosa nei momenti di crisi, quando un insuccesso, una
disillusione spinge al riesame della tattica seguita, alla critica degli errori eventuali, ed alla ricerca
di mezzi più efficaci. E ben fa il compagno Outcast a rimettere la questione sul tappeto ed invitare i
compagni a riflettere ed a decidere sul da farsi.
La situazione oggi è per noi difficile ed in certe regioni addirittura disastrosa. Ma insomma chi
era anarchico resta anarchico, e, se da una parte siamo indeboliti dalle molteplici sconfitte, abbiamo
guadagnato dallaltra una preziosa esperienza, che aumenterà in seguito la nostra efficienza, se poco
poco sappiamo farne tesoro. Le defezioni, del resto rare, che si sono prodotte nel campo nostro in
fondo ci giovano perchè ci hanno sbarazzato di elementi deboli ed infidi.
Che fare dunque?
Non mintratterrò dellagitazione fatta allestero contro la reazione italiana. Certamente tutto ciò
che serve a far conoscere al proletariato mondiale le vere condizioni dItalia e le infamie inaudite
che sono state commesse e continuano a commettersi dagli scherani della borghesia per soffocare e
distruggere ogni movimento emancipatore, non può che giovare. Già leggiamo di un comizio
internazionale di protesta contro il fascismo che ha avuto luogo a New York il 18 corrente - siam
sicuri che i nostri amici e quanti han senso di libertà e di giustizia faranno tutto quello che possono
in America, Inghilterra, Francia, Spagna, ecc.
Ma a noi interessa soprattutto quello che si deve fare qui in Italia, perchè siamo noi che
dobbiamo farlo, e perchè, se è bene tener conto di tutte le forze ausiliarie, è essenziale però non
contare troppo sugli altri e cercare la salute in noi stessi, nellopera nostra.
Noi in questi ultimi anni ci siamo accostati per unazione pratica ai diversi partiti davanguardia e
ne siamo usciti sempre male. Dobbiamo per questo isolarci, rifuggire dai contatti impuri, e non
muoverci o tentare di muoverci se non quando potremo farlo con le sole nostre forze ed in nome del
nostro programma integrale?
Io non lo credo.
Poichè la rivoluzione non possiamo farla da soli, cioè poichè non possiamo colle nostre sole
forze attirare e spingere allazione le grandi masse necessarie alla vittoria, e poichè anche aspettando
un tempo illimitato le masse non potranno diventare anarchiche prima che la rivoluzione sia
incominciata, e noi resteremo necessariamente una minoranza relativamente piccola fino al giorno
in cui potremo cimentare le nostre idee nella pratica rivoluzionaria, negare il nostro concorso agli
altri ed aspettare per agire di essere in grado di farlo da soli, sarebbe in pratica, e malgrado le parole
grosse ed i propositi radicali, un fare opera addormentatrice ed impedire che sincominci colla scusa
di volere con un salto arrivare di botto alla fine.
So bene - se non lo sapessi da lungo tempo lo avrei appreso recentemente - che salvo individui e
gruppi che mordono il freno della disciplina dei partiti autoritari e vi restano colla speranza che i
loro capi un qualche giorno si decideranno ad ordinare lazione generale noi, gli anarchici, siamo i
soli a volere la rivoluzione davvero, ed a volerla il più presto possibile Ma so anche che le
circostanze sono spesso più forti della volontà degli individui e che una volta o laltra, se i nostri
cugini dei vari lati non vorranno morire ignominiosamente come partiti e fare omaggio alla
monarchia di tutte le loro idee e di tutte le loro tradizioni, di tutti i loro sentimenti migliori,
dovranno decidersi a rischiare la lotta finale. Oggi potrebbero anche esservi spinti dalla necessità di
difendere la loro libertà, i loro beni, la loro vita.
Noi dovremmo quindi essere sempre disposti a secondare chi vuole agire, anche se questo
implica il rischio di essere poi lasciati soli e traditi.
Ma nel dare agli altri il nostro concorso, o meglio nel cercare sempre di utilizzare le forze degli
altri e profittare di tutte le possibilità di azione, noi dobbiamo restare sempre noi stessi, e metterci in
grado di far sentire la nostra influenza e contare almeno in proporzione delle nostre forze reali.
E per questo importa intendersi, collegarsi, organizzarsi nel modo più efficace possibile.
Altri, per fini che non vogliamo qualificare continui pure a svisare e calunniare i nostri scopi.
Tutti i compagni che vogliono fare davvero, giudicheranno che cosa convenga loro di fare.
In questo momento, come in tutti i periodi di depressione e di stasi, siamo afflitti da una
recrudescenza di bizantinismo; e vè chi si diverte a discutere se siamo un partito o un movimento,
se bisogna unirsi in unioni o federazioni e mille altre simili sciocchezze; forse sentiremo dire
unaltra volta che "i gruppi non debbono avere nè segretario nè cassiere, ma debbono incaricare un
compagno di custodire il denaro". I bizantini son capaci di tutto; ma gli uomini fattivi lascino
cuocere nel loro brodo quelli in buona fede e soprattutto quelli in cattiva fede, e pensino a fare.
Ciascuno faccia quello che gli pare, con chi gli pare, ma faccia.
Nessun uomo di buona fede e di buon senso negherà che per agire con efficacia bisogna
intendersi, unirsi, organizzarsi.
Oggi la reazione tende a soffocare ogni movimento pubblico, e naturalmente il movimento
tende a "nascondersi sotto terra", come dicevano i russi.
Ritorniamo alla necessità dellorganizzazione segreta, e sia.
Ma lorganizzazione segreta non può esser tutto e non può comprendere tutti.
Noi abbiamo bisogno di mantenere e di accrescere il nostro contatto colle masse, abbiamo
bisogno di cercare nuovi proseliti facendo la più ampia propaganda possibile, abbiamo bisogno di
serbare nel movimento tutti quegli elementi che non sono adatti per unorganizzazione segreta e
quelli che per essere troppo conosciuti rischierebbero di comprometterla. Non bisogna dimenticare
che i membri più utili per unorganizzazione segreta sono quelli di cui gli avversari non sanno le
idee, e che possono lavorare senza essere sospettati.
Non bisogna dunque, secondo me, disfare nulla di quello che esiste. Bisogna aggiungervi
dellaltro: e questaltro sia fatto in modo che risponda ai bisogni del momento. Non si aspetti
liniziativa degli altri: che ciascuno prenda le iniziative che crede nella sua località, nel suo
ambiente, e cerchi poi, colle dovute precauzioni, di collegare la propria alle altrui iniziative per
arrivare a quellintesa generale che è necessaria per unazione che valga. Siamo, è vero, in un
momento di depressione. Ma oggi la storia cammina veloce: apprestiamoci per i prossimi
avvenimenti.
c. La fallita ricerca di alleanze59
...Noi abbiamo sempre ricercata lalleanza di tutti quelli che vogliono fare la rivoluzione per
potere abbattere la forza materiale del comune nemico, ma abbiamo sempre altamente proclamato
che questa alleanza doveva durare solo il tempo dellatto insurrezionale, e che subito dopo o magari,
se possibile e necessario, durante la stessa insurrezione cercheremmo di attuare le idee nostre
opponendoci alla costituzione di qualsiasi governo, di qualsiasi centro autoritario, e trascinando le
masse alla presa di possesso immediata di tutti i mezzi di produzione e di tutta la ricchezza sociale
ed allorganizzazione diretta della nuova vita sociale conformemente al grado di sviluppo ed alla
volontà delle stesse masse nelle varie località.
Purtroppo i partiti sovversivi autoritari italiani han mostrato di non avere capacità e voglia di
fare la rivoluzione e dureranno a non potere e non volere farla sino a quando saranno affetti dalla
lue parlamentaristica. Ma ciò non impedisce che noi, non potendo fare la rivoluzione da soli,
dobbiamo spiare tutte le occasioni che potrebbero, magari contro la volontà dei capi, determinare
un movimento insurrezionale.
E daltra parte, se anche vedessimo la possibilità di fare da soli una insurrezione vittoriosa, non
dovremmo noi - poichè il nostro scopo non è fare un colpo di mano per impossessarci del potere,
ma è quello di suscitare tutte le energie popolari ad iniziare lera della libera evoluzione - non
dovremmo noi far appello a tutti i partiti sovversivi, a tutte le organizzazioni proletarie per cercare
di trascinare nel movimento tutta la massa che sta divisa tra i vari partiti e le varie organizzazioni?
Noi non vogliamo "aspettare che le masse diventino anarchiche per fare la rivoluzione", tanto
più che siamo convinti che esse non lo diventeranno mai se prima non si abbattino violentemente le
istituzioni che le tengono in schiavitù. E siccome noi abbiamo bisogno del concorso delle masse, sia
per costituire una forza materiale sufficiente, sia per raggiungere il nostro scopo specifico di
combattimento radicale dellorganismo sociale per opera diretta delle masse, noi dobbiamo
accostarci ad esse, prenderle come sono, e come parti di esse spingerle il più avanti che sia
possibile. Questo, sintende, se vogliamo davvero lavorare per lattuazione pratica dei nostri ideali e
non già contentarci di predicare al deserto per la semplice soddisfazione del nostro orgoglio
intellettuale.
d. Mussolini al potere60
I lavoratori non seppero opporre la violenza alla violenza perchè erano stati educati a credere
nella legalità, e perchè, anche quando ogni illusione era diventata impossibile e glincendi e gli
assassini si moltiplicavano sotto lo sguardo benevolo delle autorità, gli uomini in cui avevano
fiducia predicarono loro la pazienza, la calma, la bellezza e la saggezza di farsi battere
"eroicamente" senza resistere - e perciò furono vinti ed offesi negli averi, nelle persone, nella
dignità, negli affetti più sacri.
Forse, quando tutte le istituzioni operaie erano state distrutte, le organizzazioni sbandate, gli
uomini più invisi e considerati più pericolosi, uccisi o imprigionati o comunque ridotti
allimpotenza, la borghesia ed il governo avrebbero voluto mettere un freno ai nuovi pretoriani che
oramai aspiravano a diventare i padroni di quelli che avevano serviti. Ma era troppo tardi. I fascisti
oramai sono i più forti ed intendono farsi pagare ad usura i servizi resi. E la borghesia pagherà,
cercando naturalmente di ripagarsi sulle spalle del proletariato.
In conclusione, aumentata miseria, aumentata oppressione.
In quanto a noi, non abbiamo che da continuare la nostra battaglia, sempre pieni di fede, pieni di
entusiasmo.
Noi sappiamo che la nostra via è seminata di triboli, ma la scegliemmo coscientemente e
volontariamente, e non abbiamo ragione per abbandonarla. Così sappiano tutti coloro i quali han
senso di dignità e pietà umana e vogliono consacrarsi alla lotta per il bene di tutti, che essi debbono
essere preparati a tutti i disinganni, a tutti i dolori, a tutti i sacrifici.
Poichè non mancano mai di quelli che si lasciano abbagliare dalle apparenze della forza ed
hanno sempre una specie di ammirazione segreta per chi vince, vi sono anche dei sovversivi i quali
dicono che "i fascisti ci hanno insegnato come si fa la rivoluzione".
No, i fascisti non ci hanno insegnato proprio nulla.
Essi hanno fatto la rivoluzione, se rivoluzione si vuol chiamare, col permesso dei superiori ed in
servizio dei superiori.
Tradire i propri amici, rinnegare ogni giorno le idee professate ieri, se così conviene al proprio
vantaggio, mettersi al servizio dei padroni, assicurarsi lacquiescenza delle autorità politiche e
giudiziarie, far disarmare dai carabinieri i propri avversari per poi attaccarli in dieci contro uno,
prepararsi militarmente senza bisogno di nascondersi, anzi ricevendo dal governo armi, mezzi di
trasporto ed oggetti di casermaggio, e poi esser chiamato dal re e mettersi sotto la protezione di
dio... è tutta roba che noi non potremmo e non vorremmo fare. Ed è tutta roba che noi avevamo
preveduto che avverrebbe il giorno in cui la borghesia si sentisse seriamente minacciata.
Piuttosto lavvento del fascismo deve servire di lezione ai socialisti legalitari, i quali credevano,
e ahimè! credono ancora, che si possa abbattere la borghesia mediante i voti della metà più uno
degli elettori, e non vollero crederci quando dicemmo loro che se mai raggiungessero la
maggioranza in parlamento e volessero - tanto per fare delle ipotesi assurde - attuare il socialismo
dal parlamento, ne sarebbero cacciati a calci nel sedere.
e. I nostri propositi61
Anarchici, noi restiamo anarchici malgrado tutto e malgrado tutti.
Noi siamo stati vinti in quel periodo di lotta che si è chiuso colla "presa di Roma" dellottobre
1922. Ma non sarà una sconfitta, del resto prevedibile, che ci farà rinunziare alla lotta, nè alla
speranza e certezza di vincere. Non vi rinunzieremo nemmeno per cento, mille sconfitte, poichè
sappiamo che nei progressi umani è stato sempre a forza di perdere che sè finito col vincere.
Invece, noi studieremo le ragioni che furono causa del nostro insuccesso per trovarci meglio
preparati ad agire con risultati migliori quando circostanze nuove ci richiameranno allazione
pratica.
Quali furono i nostri errori? Quali le nostre deficienze? Quale la nostra parte di responsabilità
nella sconfitta?
A parte le questioni tecniche di organizzazione e di preparazione, che non vanno trattate in
questo luogo, gli anarchici, o almeno il più degli anarchici, han creduto le cose molto più facili di
quello che realmente sono, e si sono beatamente cullati in una specie di provvidenzialismo, che ha
fatto creder loro che bastano un ideale luminoso ed uno spirito eroico perchè poi tutto si
accomodasse da sè. Han creduto nella "spontaneità delle masse", nell"ordine naturale" ed in altri
miti creati dal desiderio ed anche da pigrizia intellettuale... e la "natura" è restata sorda e cieca come
sempre, e le masse hanno ondeggiato da un polo allaltro secondo che le spingeva ora lillusione di
un facile paradiso, ora la speranza dì qualche meschino vantaggio materiale, ora lo scoraggiamento
e la livida paura.
No! le cose non si accomodano da sè, e le masse, fino a che non saranno illuminate, sono
materia bruta, buona, secondo che i coscienti ed i volenti le guidano, per ogni opera bella come per
ogni mostruosità.
In fondo, resta sempre vero il proverbio che "il mondo è di chi se lo piglia", cioè favorisce gli
uni o gli altri, cammina avanti o indietro secondo glimpulsi che riceve. Ma a volerselo pigliare si è
in molti e per scopi vani e contrastanti. Bisogna quindi che si tenga conto di tutte le forze operanti
per dirigerne la risultante il più possibile verso la propria meta.
Sapere quello che si vuole, misurare quello che si può, ed invece di perdersi nei sogni, preparare
un programma pratico applicabile mano mano alle questioni che giornalmente si presentano e non
già buono solo per quando lanarchia sarà fatta. Ecco quello che occorre.
Santo è lideale; ma esso non si realizza da sè per "leggi storiche" o per interventi provvidenziali.
Cè una via, o piuttosto ci sono delle vie per giungere allideale, e queste vie noi ci proponiamo
specialmente di studiare.
In alto i cuori.
I tempi sono tristi, e dalle parole che dicono alcuni nostri collaboratori in questo primo numero
spira una certa aria di pessimismo. Ma non importa. Il pessimismo, quando non è vile adattamento,
quando è coscienza delle difficoltà, serve a meglio temprare gli animi alla lotta.
La grandezza degli ostacoli sia la misura dello sforzo che tutti dobbiamo fare.
f. Dopo uneventuale trionfo insurrezionale62
Io non parlerò del modo come può essere combattuta ed abbattuta la tirannia che oggi opprime
il popolo italiano. Qui noi ci proponiamo di fare semplicemente opera di chiarificazione delle idee e
di preparazione morale in vista di un avvenire, prossimo o lontano, perchè non ci è possibile far
altro. E del resto, quando credessimo giunto il momento di una più fattiva azione... ne parleremmo
anche meno.
Mi occuperò dunque solo, e ipoteticamente, dellindomani di una insurrezione trionfante e dei
metodi di violenza che alcuni vorrebbero adoperare per "fare giustizia" ed altri credono necessari
per difendere la Rivoluzione contro le insidie dei nemici.
Mettiamo da parte "la giustizia", concetto che è servito sempre di pretesto a tutte le oppressioni,
a tutte le ingiustizie e che spesso non significa altro che vendetta. Lodio ed il desiderio di vendetta
sono sentimenti irrefrenabili che loppressione naturalmente risveglia ed alimenta; ma se essi
possono rappresentare una forza utile a scuotere il giogo, sono poi una forza negativa quando si
tratta di sostituire alloppressione non unoppressione novella, ma la libertà e la fratellanza fra gli
uomini. E perciò noi dobbiamo sforzarci di suscitare quei sentimenti superiori che attingono
lenergia nel fervido amore del bene, pur guardandoci dallo spezzare limpeto, fatto di fattori buoni e
cattivi, necessario a vincere. Lasciamo che la massa agisca come la passione la spinge, se per
meglio indirizzarla occorresse metterle un freno che si tradurrebbe in una nuova tirannia - ma
ricordiamoci sempre che noi anarchici non possiamo essere nè dei vendicatori, nè dei "giustizieri".
Noi vogliamo essere dei liberatori e dobbiamo agire come tali per mezzo della predicazione e
dellesempio.
Occupiamoci della questione più importante, che è poi la sola cosa seria messa innanzi, in
questargomento, dai miei critici: la difesa della rivoluzione.
Vi sono ancora molti che sono affascinati dallidea del "terrore". Ad essi sembra che ghigliottina,
fucilazioni, massacri, deportazioni, galera ("forca e galera" mi diceva recentemente un comunista
dei più noti) siano armi potenti ed indispensabili della rivoluzione, e trovano che se tante
rivoluzioni sono state sconfitte e non han dato il risultato che se ne aspettava è stato a causa della
bontà, della "debolezza" dei rivoluzionari, che non hanno perseguitato, represso, ammazzato
abbastanza.
È un pregiudizio corrente in certi ambienti rivoluzionari, che ha origine dalla rettorica e dalle
falsificazioni storiche degli apologisti della Grande Rivoluzione francese e che è stato rinvigorito in
questi ultimi anni dalla propaganda dei bolscevichi. Ma la verità è proprio lopposto; il terrore è
sempre stato strumento di tirannia. In Francia servì alla bieca tirannia di Robespierre e spianò la via
a Napoleone ed alla susseguente reazione. In Russia han perseguitato ed ucciso anarchici e
socialisti, han massacrato operai e contadini ribelli, ed han stroncato insomma lo slancio di una
rivoluzione che poteva davvero aprire alla civiltà unera novella.
Coloro che credono nella efficacia rivoluzionaria, liberatrice della repressione e della ferocia
hanno la stessa mentalità arretrata dei giuristi i quali credono che si possa evitare il delitto e
moralizzare il mondo per mezzo di pene severe.
Il terrore, come la guerra, risveglia i sentimenti atavici belluini ancora mai coperti da una
vernice di civiltà, e porta ai primi posti gli elementi peggiori che sono nella popolazione. E piuttosto
che servire a difendere la rivoluzione serve a discreditarla, a renderla odiosa alle masse e, dopo un
periodo di lotte feroci, mette capo necessariamente a quello che oggi chiamerebbero
"normalizzazione", cioè alla legalizzazione e perpetuazione della tirannia. Vinca una parte o laltra,
si arriva sempre alla costituzione di un governo forte, il quale assicura agli uni la pace a spese della
libertà ed agli altri il dominio senza troppi pericoli.
So bene che gli anarchici terroristi (quei pochi che vi sono) respingono ogni terrore organizzato,
fatto per ordine di un governo da agenti prezzolatì, e vorrebbero che fosse la massa che
direttamente mettesse a morte i suoi nemici. Ma questo non farebbe che peggiorare la situazione. Il
terrore può piacere ai fanatici, ma conviene soprattutto ai veri malvagi avidi di denaro e di sangue.
E non bisogna idealizzare la massa e figurarsela tutta composta di uomini semplici, che possono
bensì commettere degli eccessi, ma sono sempre animati da buone intenzioni. I birri ed i fascisti
servono i borghesi, ma escono dal seno della massa!
Il fascismo ha accolto molti delinquenti e così ha, fino ad un certo punto, purificato
preventivamente lambiente in cui si svolgerà la rivoluzione; ma non bisogna credere che tutti i
Dumini e tutti i Cesarino Rossi siano fascisti. Vi sono di quelli che per una ragione qualsiasi non
hanno voluto o non han potuto diventare fascisti; ma sono disposti a fare in nome della
"rivoluzione" quello che i fascisti fanno in nome della "patria". E daltronde, come gli scherani di
tutti i regimi sono stati sempre pronti a mettersi al servizio dei nuovi regimi e diventarne i più
zelanti strumenti, così i fascisti di oggi si affretteranno domani a dichiararsi anarchici, o comunisti o
quel che si voglia, pur di continuare a fare i prepotenti e sfogare i loro istinti malvagi E se non
potranno nei loro paesi perchè conosciuti e compromessi, andranno a fare i rivoluzionari altrove e
cercheranno di emergere mostrandosi più violenti, più "energici" degli altri e trattando da moderati,
da codini, da "pompieri" da contro-rivoluzionari quelli che la rivoluzione concepiscono come una
grande opera di bontà e di amore.
Certamente la rivoluzione va difesa e sviluppata con logica inesorabile; ma non si deve e non si
può difenderla con mezzi che contraddicono ai suoi fini.
Il grande mezzo di difesa della rivoluzione resta sempre quello di togliere ai borghesi i mezzi
economici del dominio, di armare tutti (fino a quando non si possa indurre tutti a gettare le armi
come giocattoli inutili e pericolosi) e di interessare alla vittoria tutta la grande massa della
popolazione.
Se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere.
g. Repubblica "democratica"?63
Si afferma che, mutata la situazione attuale, si farà la repubblica. E sia! Conveniamo anche noi
che, non potendo noi per mancanza di consensi e di forze sufficienti, instaurare oggi la libera
federazione delle comunità anarchiche, la sola soluzione pratica immediata del problema politico è
la repubblica.
Ma che specie di repubblica sarà quella che dovrà governarci e, naturalmente, opprimerci e
sfruttarci?
Giuseppe Mazzini diceva, ed i repubblicani ripetono approvando: "Largomento continuamente
ripetuto che per fondare la repubblica si richiedono anzi tutto repubblicani e virtù repubblicane,
somma a dire che leducazione repubblicana deve darsi dalle monarchie e, in altri termini, che la
fede in un principio deve insegnarsi dal principio contrario. Le repubbliche si formano appunto per
creare, con leducazione repubblicana, i repubblicani".
Ma allora chi farà questa repubblica che dovrà creare i repubblicani?
Il popolo per mezzo del suffragio universale?
Il popolo, nella sua stragrande maggioranza non è repubblicano, e non può esserlo perchè,
secondo lo stesso Mazzini, è stato educato dalla monarchia ad un principio contrario. Perciò si potrà
ben fare una repubblica come se ne son fatte tante in America ed in Europa per la mancanza di
pretendenti monarchici abbastanza forti e prestigiosi e per altre circostanze politiche; ma sarà, al
pari di tutte le altre esistenti, una repubblica fondata, come le monarchie, sui privilegi di pochi e
sulla miseria e lignoranza dei molti, non già quella repubblica vagheggiata dal Mazzini, che
dovrebbe creare repubblicani e virtù repubblicane.
Infatti la repubblica esiste da secoli in Svizzera, esiste da oltre un secolo nelle Americhe, da
cinquantacinque anni in Francia, e in nessun luogo vediamo un popolo repubblicano nel senso
elevato che Mazzini dava alla parola. Dappertutto domina il capitalismo, dappertutto durano gli
stessi mali che si lamentano nelle monarchie, dappertutto urge sempre il pericolo della reazione e la
minaccia di un fascismo nazionale.
Lesperienza storica degli ultimi centocinquanta anni smentisce tutte le speranze poste nel
suffragio universale e nel governo popolare. La democrazia, intesa come strumento di liberazione e
di giustizia, ha fatto fallimento dovunque e sempre; essa non ha fatto che illudere il popolo con la
parvenza di una bugiarda sovranità, ha tradito la volontà della stessa maggioranza ed ha sostituito
lonnipotenza di una piccola oligarchia di capitalisti e di politicanti a quella dei re e degli imperatori.
Per emanciparsi bisogna essere capaci e degni di emancipazione, e per arrivare a quella capacità
ed a quella dignità bisogna prima essere emancipati. Come si esce da questo circolo vizioso?
Esclusa la monarchia, più o meno costituzionale, escluso il cosiddetto governo della
maggioranza (democrazia), non restano altri modi di reggimento politico che la dittatura e
lanarchia.
Forse nel pensiero intimo di Mazzini era la dittatura ("la dittatura dei migliori"), che avrebbe
dovuto educare il popolo alle virtù repubblicane e fondare la vera repubblica. Ma nè Mazzini, nè
quelli che egli avrebbe giudicati migliori, avevano le qualità che occorrono per conquistare ed
esercitare la dittatura. Uomini di fede e dalta moralità, sacerdoti di unidea, inceppati dai più nobili
scrupoli, essi avrebbero potuto, se i tempi fossero stati propizi, fondare forse una religione ed una
chiesa, ma certamente non avrebbero potuto dominare uno Stato e resistere allassalto deglinteressi
contrari. Di ben altra stoffa e ben meno pura, sono fatti i dittatori!
Esempi contemporanei ci dispensano dal fare una critica estesa del sistema dittatoriale. Esso,
senza parlare delle difficoltà pratiche che lo rendono impotente a risolvere i problemi sociali, è la
negazione della libertà e delliniziativa, e quindi non può dare quelleducazione che si acquista solo
collesercizio della libertà. Perciò noi siamo decisamente avversi - ed in questo crediamo avere
consenzienti i repubblicani - ad ogni dittatura, sia che si presenti apertamente come dominio di uno
o pochi individui, sia che si nasconda dietro la maschera di un partito o di una classe.
Resta lanarchia.
Ma se lanarchia non può farsi subito perchè la grande massa non la comprende e non la vuole?
Certo lanarchia qual regime generale applicato in tutti i luoghi ed a tutte le funzioni della vita
sociale non può farsi domani; ma può sempre farsi, quando vi sia libertà sufficiente, in quei luoghi
ed in quelle categorie dove si trovano anarchici forti abbastanza per applicare le loro idee.
Dunque, non governo di uno, di pochi o di molti, non governo della maggioranza, ma libertà per
tutti di fare quello che sono capaci di fare, senza ledere leguale libertà degli altri.
Ed in fondo è così, con spirito e con metodi essenzialmente, anche se incoscientemente,
anarchici, per libera iniziativa di individui e di aggruppamenti volontari, che il mondo ha
progredito, che la civiltà è andata faticosamente costituendosi. I governi, autocratici o democratici,
monarchici o repubblicani sono stati sempre fattori di conservazione e di reazione, sempre difensori
dei privilegi stabiliti, sempre ostacolo al progresso; e si è andato avanti solo quando, ed in quanto,
delle forze, intellettuali e materiali, sono riuscite a sfuggire alla pressione governativa.
Il problema dunque è di conquistare almeno un minimo di libertà, indispensabile ad ogni
progresso.
In Italia avremo la repubblica, e noi contribuiremo al suo trionfo concorrendo ad abbattere
lostacolo comune che preclude il cammino a noi ed ai repubblicani; ma non diventeremo
repubblicani per questo. Noi profitteremo delle circostanze per rinforzare la nostra compagine, per
allargare la nostra propaganda e mireremo sempre allimmediata espropriazione dei capitalisti, come
condizione preliminare di ogni vera libertà.
Io non sono repubblicano, perchè repubblica significa democrazia, cioè, nel senso più genuino
della parola, governo della maggioranza. Ed io sono contrario al governo della maggioranza come
al governo della minoranza - anche lasciando da parte la questione, pure importantissima, del modo
come fatalmente, in qualunque regime elettoralistico, si fabbrica una maggioranza e se ne falsifica
la opinione.
Perciò sono anarchico.
Gli aggettivi "sociale", "federalista" ecc. appiccicati alla parola repubblica mi sono sempre
sembrati una burletta. Vi possono essere dei repubblicani socialisti, come ve ne possono essere
borghesi o clericali, dei repubblicani unitari e accentratori, come dei repubblicani federalisti e
discentratori, i quali potranno fare la propaganda per far votare le leggi che loro piacciono. Ma la
repubblica resta la repubblica, cioè una forma di governo a cui dà sostanza la volontà di quelli che
riescono a farsi passare come rappresentanti della maggioranza - e se la sua proclamazione non sarà
preceduta da una profonda rivoluzione sociale che distrugga nel fatto il privilegio economico, essa
sarà necessariamente capitalistica e accentratrice, e forse anche clericale.
Un governo repubblicano, come qualsiasi altro governo, tende innanzi tutto a consolidare e ad
allargare il suo potere; ed il solo limite alle sue invasioni contro la libertà dei singoli, individui o
collettività, sta nella resistenza che si riesce ad opporgli.
Il compito degli anarchici, poichè non possono per mancanza di forza e di consensi fare
lanarchia dappertutto, è di creare alimentare, organizzare quella resistenza, rifiutare per conto loro
qualsiasi contributo obbligatorio allo Stato (servizio militare, pagamento dimposte, ecc.) e
reclamare e pretendere per loro e per quelli che con loro consentono, piena libertà e libero accesso
ai mezzi di produzione.
h. Perchè voglio rimanere in Italia64
Non voglio abbandonare lItalia, sebbene, malgrado lapparenza di libertà che mi è concessa, io
sia prigioniero come se fossi chiuso in una cella o in una tomba. Tutti i miei movimenti sono
sorvegliati; i poliziotti non mi lasciano un momento; la corrispondenza è censurata; se ricevo una
visita, se qualcuno, per la strada, mi rivolge la parola o mi saluta, se vado a trovare un amico,
inchieste e rapporti seguono immediatamente compromettendo spesso le persone con le quali sono
in relazione.
È una situazione intollerabile e ne soffro assai.
Può darsi che, essendo in Francia, io abbia lopportunità, insieme con te e coi nostri compagni,
tra i rifugiati e proscritti italiani, numerosissimi a Parigi, di fare un lavoro più utile. Come tu dici,
potrei spendervi, ai fini della nostra propaganda, il bisogno dattività che mi tormenta.
Ciò nonostante, non voglio allontanarmi da Roma. Mussolini non è immortale; il regime
abominevole che la dittatura fascista impone allItalia non può più durare a lungo; un giorno verrà e
presto, forse, in cui questo regime odioso crollerà. Ebbene, io voglio essere qui. Quasi tutti gli amici
nostri sono carcerati o proscritti Quando avverrà il crollo del fascismo, rientreranno in massa e con
tanto più ardore alla lotta, quanto più a lungo ne saranno stati, loro malgrado, lontani; ma non
conosceranno abbastanza bene la situazione: saranno poco o male informati sul corso degli
avvenimenti, sulla mentalità delle masse popolari, sui centri di agitazione antifascista e sulle
possibilità di azione rivoluzionaria, ed avranno necessariamente di quelle esitazioni, di quelle
mancanze daudacia, di quegli eccessi di temerità, di quegli errori tattici che possono riuscire fatali
ai movimenti rivoluzionari.
Ebbene! Io sarò qui. So bene che non ci sono uomini indispensabili ma in determinate
circostanze, ce ne sono degli utilissimi ed io spero che il giorno in cui, scosso il giogo dittatoriale e
debellato il virus fascista, il proletariato dItalia ritornerà allo spirito di rivolta e al senso della
libertà, io spero che quel giorno la mia presenza e la mia lunga esperienza non saranno inutili.
Comprendi, ora, per quali gravi ragioni, e malgrado il dispiacere che ne provo, ricuso di
abbandonare il posto, di vigilanza oggi e di lotta domani, che gli eventi mi assegnano?
5. Alla ricerca dellanarchismo: problemi da approfondire
1. IL GRADUALISMO ANARCHICO
a. La rivoluzione in pratica65
Noi vogliamo fare la rivoluzione al più presto possibile, profittando di tutte le occasioni che si
possono presentare. Meno un piccolo numero di "educazionisti", i quali credono nella possibilità di
elevare le masse alle idealità anarchiche prima che siano cambiate le condizioni materiali e morali
in cui esse vivono e quindi rimettono la rivoluzione a quando tutti saranno capaci di vivere
anarchicamente, gli anarchici sono tutti daccordo in questo desiderio di rovesciare al più presto
possibile i regimi vigenti: anzi spesso sono essi soli quelli che mostrano una reale volontà di farlo.
Del resto, rivoluzioni ne sono avvenute, ne avvengono e ne avverranno indipendentemente dalla
volontà e dallazione degli anarchici; e poichè gli anarchici non sono che una piccolissima
minoranza della popolazione e lanarchia non è cosa che si possa fare per forza, per imposizione
violenta di alcuni, è chiaro che le rivoluzioni passate e quelle prossime future non sono state e non
potranno essere rivoluzioni anarchiche.
In Italia due anni or sono la rivoluzione stava per scoppiare e noi facemmo tutto quello che
potemmo per farla scoppiare, e trattammo da traditori del proletariato i socialisti ed i confederali
che, in occasione dei moti contro il caro-vita, degli scioperi del Piemonte, della sommossa di
Ancona, delloccupazione delle fabbriche, arrestarono lo slancio delle masse e salvarono il
traballante regime monarchico.
Che cosa avremmo fatto se la rivoluzione fosse scoppiata davvero?
Che cosa faremo nella rivoluzione che scoppierà domani?
Che cosa han fatto, che cosa avrebbero potuto e dovuto fare i nostri compagni nelle recenti
rivoluzioni avvenute in Russia, in Baviera, in Ungheria ed altrove?
Noi non possiamo far lanarchia, o almeno lanarchia estesa a tutta una popolazione ed a tutti i
rapporti sociali perchè finora nessuna popolazione è anarchica, e non possiamo accettare un altro
regime senza rinunziare alle nostre aspirazioni e perdere ogni ragion di essere in quanto anarchici.
E allora che cosa possiamo e dobbiamo fare?
Questo era il problema messo in discussione a Bienne, e questo è il problema che maggiormente
interessa nel momento attuale, così gravido di possibilità, quando ci potremmo trovare
improvvisamente di fronte a situazioni tali che cimpongano di agire subito e senza esitazione o di
sparire dal campo della lotta dopo di aver facilitata la vittoria agli altri.
Non si trattava di dipingere una rivoluzione quale noi la vorremmo, una vera rivoluzione
anarchica quale sarebbe possibile se tutti, o almeno la grande maggioranza degli uomini abitanti un
dato territorio fossero anarchici. Si trattava invece di cercare quello che di meglio si potrebbe fare
in favore della causa anarchica in un rivolgimento sociale quale può avvenire nella realtà presente.
I partiti autoritari hanno un programma determinato e vogliono imporlo colla forza; perciò
aspirano ad impossessarsi del potere, non importa se con mezzi legali od illegali, e quindi
trasformare la società a modo loro, mediante una nuova legislazione. E da questo dipende il fatto
che essi, rivoluzionari a parole e spesso anche nelle intenzioni, esitano poi a fare la rivoluzione
quando le occasioni si presentano; essi non sono sicuri della acquiescenza sia pure passiva, della
maggioranza, non hanno forza militare sufficiente per far eseguire i loro ordini su tutto il territorio,
mancano di uomini devoti competenti in tutte le infinite branche dellattività sociale... e sono quindi
indotti a rinviare sempre lazione a più tardi, fino a quando la sommossa popolare non li spinga
quasi riluttanti al governo, dove poi vorrebbero restare indefinitivamente, e perciò cercano di
frenare, sviare, arrestare la rivoluzione che li ha innalzati.
Noi al contrario abbiamo bensì un ideale per il quale combattiamo, che vorremmo veder
realizzato, ma non crediamo che un ideale di libertà, di giustizia, di amore possa realizzarsi per
mezzo della violenza governativa. Noi non vogliamo andare al potere e non vogliamo che nessuno
vi vada. Se non possiamo impedire, per mancanza di forza, che governi esistano e si costituiscano,
noi ci sforziamo e ci sforzeremo perchè questi governi restino o diventino più deboli che sia
possibile, e perciò siamo sempre pronti ad agire quando si tratta di abbattere o di indebolire un
governo, senza troppo (dico troppo e non punto) preoccuparci di quello che verrà dopo.
Per noi la violenza non serve e non può servire che a respingere la violenza e quando invece è
adoperata per raggiungere dei fini positivi, o fallisce completamente, o riesce a stabilire
loppressione e lo sfruttamento degli uni sugli altri.
La costituzione di una società di liberi, ed il suo progressivo miglioramento non può essere che
il risultato della libera evoluzione; ed il nostro compito di anarchici è appunto quello di difendere,
di assicurare la libertà dellevoluzione.
Abbattere, o concorrere ad abbattere il potere politico, qualunque esso sia, con tutta la sequela
di forze repressive che lo sostengono; impedire, o cercare dimpedire che si costituiscano nuovi
governi e nuove forze repressive, e in tutti i casi non riconoscere mai alcun governo e restare
sempre in lotta contro di esso e reclamare, e pretendere potendo anche colla forza, il diritto di
organizzarci e vivere come ci pare ed esperimentare le forme sociali che ci sembrano migliori,
sempre, sintende, che non ledano leguale libertà degli altri: ecco la nostra missione.
Fuori di questa lotta contro limposizione governativa che genera e rende possibile lo
sfruttamento capitalistico; quando avessimo spinto ed aiutato la massa del popolo ad impossessarsi
della ricchezza esistente e specialmente dei mezzi di produzione, quando fossimo arrivati al punto
che nessuno possa imporre agli altri con la violenza la propria volontà e nessuno possa colla forza
sottrarre agli altri il prodotto del loro lavoro, noi non potremmo più che agire mediante la
propaganda e lesempio.
Distruggere le istituzioni i meccanismi, le organizzazioni sociali esistenti? Certamente, se si
tratta distituzioni repressive, ma esse in fondo non sono che piccola cosa nella complessità della
vita sociale. Polizia, esercito, carcere, magistratura, cose potenti per il male, non esercitano che una
funzione parassitaria. Sono altre le istituzioni e le organizzazioni che, bene o male, riescono ad
assicurare la vita allumanità; e queste istituzioni non si possono utilmente distruggere se non
sostituendole con qualche cosa di meglio.
Lo scambio delle materie prime e dei prodotti, la distribuzione delle sostanze alimentari, le
ferrovie, le poste e tutti i servizi pubblici esercitati dallo Stato o dai privati, sono stati organizzati in
modo da servire interessi monopolistici e capitalistici, ma rispondono ad interessi reali della
popolazione. Non possiamo disorganizzarli (e del resto non ce lo permetterebbe la popolazione
interessata) se non riorganizzandoli in modo migliore. E questo non si può fare in un giorno; nè,
allo stato delle cose, noi abbiamo le capacità necessarie a farlo. Felicissimi dunque se, aspettando
che possano farlo gli anarchici, lo facciano altri, magari con criteri diversi dai nostri.
La vita sociale non ammette interruzioni, e la gente vuol vivere il giorno della rivoluzione, il
giorno dopo, e sempre.
Guai a noi, guai allavvenire delle nostre idee, se noi dovessimo assumere la responsabilità di
una distruzione insensata che compromettesse la continuità della vita!
Discutendo di queste materie fu sollevata a Bienne la questione del danaro questione grave
quanto altre mai.
Dabitudine nel campo nostro si risolve semplicisticamente la questione dicendo che il danaro si
deve abolire. E sta bene, se si tratta di una società anarchica, o di una ipotetica rivoluzione da fare
di qui a cento anni, sempre nellipotesi che le masse possano diventare anarchiche e comuniste
prima che una rivoluzione abbia cambiate radicalmente le condizioni in cui vivono.
Ma oggi la questione è ben altrimenti complicata.
Il danaro è mezzo potente di sfruttamento e di oppressione; ma è anche il solo mezzo (fuori
della più tirannica dittatura, o del più idillico accordo) escogitato finora dallintelligenza umana per
regolare automaticamente la produzione e la distribuzione.
Per ora, forse più che preoccuparsi dellabolizione del denaro, bisognerebbe cercare un modo
perchè il denaro rappresenti davvero lo sforzo utile fatto da chi lo possiede.
Ma veniamo alla pratica immediata, che è la questione che veramente si discuteva a Bienne.
Figuriamoci che domani avvenga una insurrezione vittoriosa. Anarchia o non anarchia, bisogna
che la popolazione continui a mangiare ed a soddisfare a tutti i bisogni primordiali. Bisogna che le
grandi città siano approvvigionate più o meno come dabitudine.
Se i contadini e i carrettieri, ecc., si rifiutano di fornire i generi che sono nelle loro mani ed i
loro servizi gratuitamente, senza riceverne il danaro che essi sono abituati a considerare ricchezza
reale, che cosa si fa?
Obbligarli colla forza? allora non solo addio anarchia, ma addio ogni qualsiasi rivolgimento per
il meglio. La Russia insegni.
Dunque?
Ma, rispondono generalmente i compagni, i contadini comprenderanno i vantaggi del
comunismo o almeno della permuta diretta tra merce e merce.
Sta benissimo; ma non certo in un giorno, e la gente non può restare senza mangiare nemmeno
un giorno.
Io non ho inteso proporre delle soluzioni.
Intendo piuttosto richiamare lattenzione dei compagni sopra problemi gravissimi, di fronte ai
quali ci troveremo nella realtà di domani.
b. anarchia e anarchismo66
Il mio ultimo articolo sullargomento ha attirato lattenzione di parecchi compagni e mi ha
procurato osservazioni e domande numerose.
Forse non fui abbastanza chiaro; forse anche disturbai le abitudini mentali di alcuni che più di
tormentarsi il cervello amano adagiarsi sulle formule tradizionali e sono infastiditi da tutto ciò che li
costringe a pensare.
In ogni modo io cercherò di spiegarmi meglio, contento se coloro a cui quello che dico sembra
alquanto eretico vorranno intervenire nella discussione e concorrere a determinare un programma
pratico di azione, che possa servirci di guida nei prossimi rivolgimenti sociali.
I nostri propagandisti si sono finora occupati principalmente della critica della società attuale e
della dimostrazione della desiderabilità e della possibilità di un nuovo ordinamento sociale fondato
sul libero accordo, in cui tutti potessero trovare, nella fratellanza e nella solidarietà e colla più
completa libertà, le condizioni per il massimo sviluppo materiale, morale ed intellettuale. Essi
cercavano anzitutto dinfiammare gli animi colla concezione di quello stato di perfezione individuale
e sociale che altri chiama utopia e noi chiamiamo ideale, e compivano opera buona e necessaria,
perchè stabilivano la mèta verso la quale debbono tendere i nostri sforzi; ma erano (eravamo)
deficienti e presso che incuranti nella ricerca delle vie e dei mezzi che a quella mèta possono
condurci. Ci occupammo molto della necessità di distruggere radicalmente le cattive istituzioni
sociali, ma non prestammo sufficiente attenzione a quello che bisognava fare, o lasciar fare, di
positivo, nellatto e nellimmediato indomani della distruzione perchè la vita deglindividui e della
società potesse continuare nel miglior modo possibile, pensando, o agendo come se pensassimo, che
le cose si sarebbero accomodate da loro stesse, per legge naturale, senza il cosciente intervento
della volontà per indirizzare gli sforzi verso lo scopo prefisso. Ed a questo si deve probabilmente
linsuccesso relativo dellopera nostra.
È tempo oramai di guardare il problema della trasformazione sociale in tutta la sua vasta
complessità e cercare di approfondire il lato pratico della questione. La rivoluzione potrebbe
avvenire domani, e noi dobbiamo metterci in grado di agire nel suo seno colla più grande efficacia
possibile.
Poichè in questo transitorio momento la trionfante reazione cimpedisce di fare molto per
allargare la propaganda in mezzo alle masse, utilizziamo il tempo per approfondire e chiarificare le
nostre idee sul da farsi, intanto che cerchiamo di affrettare coi voti e collopera il momento di agire e
di attuare.
Io mettevo a base delle mie osservazioni due principi.
Primo: Lanarchia non si fa per forza. Il comunismo anarchico, applicato in tutta la sua ampiezza
e portante tutti i suoi benefici effetti, non è possibile se non quando grandi masse di popolo, che
abbracciano tutti gli elementi necessari ad attuare una civiltà superiore alla presente, lo
comprendano e lo vogliano. Si possono concepire dei gruppi selezionati, i cui membri vivano tra di
loro e con gruppi consimili in rapporti di volontaria e libera comunanza, e sarà bene che ve ne siano
e dovrà essere compito nostro il costituirne, per la sperimentazione e per lesempio; ma questi
gruppi non saranno ancora la società comunista anarchica e saranno piuttosto casi di devozione e di
sacrificio in favore della causa, fino a quando non saranno riusciti a conglobare tutta o gran parte
della popolazione. Non si tratterà dunque, lindomani della rivoluzione violenta, se rivoluzione
violenta deve essere, di attuare il comunismo anarchico, ma di avviarsi verso il comunismo
anarchico.
Secondo: la conversione delle masse allanarchia ed al comunismo - e nemmeno al più blando
dei socialismi - non è possibile fino a che durano le attuali condizioni politiche ed economiche. E
siccome queste condizioni, che mantengono i lavoratori in schiavitù, per il beneficio dei privilegiati,
sono mantenute e perpetuate per mezzo della forza brutale, è necessario cambiarle violentemente
per lopera dellazione rivoluzionaria di minoranze coscienti. Dunque, se è ammesso il principio che
lanarchia non si fa per forza, senza la volontà cosciente delle masse, la rivoluzione non può essere
fatta per attuare direttamente ed immediatamente lanarchia, ma piuttosto per creare le condizioni
che rendano possibile una rapida evoluzione verso lanarchia.
È stata spesso ripetuta la frase: "La rivoluzione sarà anarchica o non sarà". Laffermazione può
sembrare molto "rivoluzionaria", molto "anarchica"; ma in realtà è una sciocchezza quando non è
un mezzo peggiore dello stesso riformismo per paralizzare le buone volontà ed indurre la gente a
star tranquilla, a sopportare in pace il presente, aspettando il paradiso futuro.
Evidentemente, "la rivoluzione anarchica" o sarà anarchica o non sarà. Ma non vi sono state
rivoluzioni nel mondo, quando non ancora si concepiva la possibilità in una società anarchica? E
non ve ne saranno più fino a quando le masse non saranno convertite allanarchismo? E poichè non
riusciamo a convertire allanarchismo le masse abbrutite dalle condizioni in cui vivono, dobbiamo
rinunziare ad ogni rivoluzione ed acconciarci a vivere in regime monarchico-borghese?
La verità è che la rivoluzione sarà quello che potrà essere, ed è nostro compito affrettarla il più
possibile e sforzarci perchè essa sia il più radicale possibile.
Ma intendiamoci bene.
La rivoluzione non sarà anarchica, se come è purtroppo il caso, le masse non saranno
anarchiche. Ma noi siamo anarchici, dobbiamo restare anarchici ed agire come anarchici, prima,
durante e dopo della rivoluzione.
Senza gli anarchici, senza lopera degli anarchici, se gli anarchici aderissero ad una qualsiasi
forma di governo e ad una qualsiasi costituzione cosiddetta di transazione, la prossima rivoluzione
invece di segnare un progresso della libertà e della giustizia ed un avviamento verso la liberazione
integrale dellumanità, darebbe luogo a nuove forme di oppressione e di sfruttamento forse peggiori
delle attuali, o nella migliore ipotesi non produrrebbe che un miglioramento superficiale, in gran
parte illusorio e completamente sproporzionato allo sforzo, ai sacrifici, ai dolori di una rivoluzione,
quale quella che si annunzia per un avvenire più o meno prossimo.
Nostro compito dopo aver concorso ad abbattere il regime attuale è quello di impedire, o
cercare dimpedire, che si costituisca un nuovo governo; o non riuscendovi, lottare almeno perchè il
nuovo governo non sia unico, non accentri nelle sue mani tutto il potere sociale, resti debole e
vacillante, non riesca a disporre di sufficiente forza militare e finanziaria, e sia riconosciuto ed
ubbidito il meno possibile. In tutti i casi, noi anarchici non dobbiamo mai parteciparvi, mai
riconoscerlo e restare in lotta contro di esso come siamo in lotta contro il governo attuale.
Noi dobbiamo restare in mezzo alle masse, spingerle allazione diretta, alla presa di possesso
degli strumenti di produzione ed allorganizzazione del lavoro e della distribuzione dei prodotti,
alloccupazione degli ambienti abitabili, allesecuzione dei servizi pubblici senza aspettare
deliberazioni od ordini di autorità superiori - e a questopera noi dobbiamo concorrere con tutte le
nostre forze, e per questo cercare fin da ora dì acquistare quante più cognizioni cè possibile.
Ma se dobbiamo essere intransigenti nellopposizione contro tutti gli organi di compressione e di
repressione contro tutto ciò che tende ad ostacolare colla forza la volontà popolare e la libertà delle
minoranze, noi dobbiamo ben guardarci dal distruggere quelle cose e disorganizzare quei servizi
utili non possiamo sostituire in modo migliore.
Noi dobbiamo ricordarci che la violenza, necessaria purtroppo per resistere alla violenza, non
serve per edificare niente di buono: che essa è la nemica naturale della libertà, la genitrice della
tirannia e che perciò deve essere contenuta nei limiti della più stretta necessità.
La rivoluzione serve, è necessaria, per abbattere la violenza dei governi e dei privilegiati; ma la
costituzione di una società di liberi non può essere che leffetto della libera evoluzione. Ed alla
libertà dellevoluzione, continuamente minacciata fino a che esisterà negli uomini sete di dominio e
di privilegi, gli anarchici debbono vegliare.
c. Gradualismo e realismo67
...A parte lodiosità della parola, che è stata abusata e discreditata dai politicanti, lanarchismo è
stato sempre e non potrà mai essere altro che riformista. Noi preferiamo dire riformatore per evitare
ogni possibile confusione con coloro che sono ufficialmente classificati come "riformisti" e
vogliono con piccoli e spesso illusori miglioramenti rendere più sopportabile e quindi consolidare il
regime attuale, oppure silludono in buona fede di potere eliminare i lamentati mali sociali
riconoscendo e rispettando, in pratica se non in teoria, le fondamentali istituzioni politiche ed
economiche che di quei mali sono la causa ed il sostegno. Ma insomma è sempre di riforme che si
tratta, e la differenza essenziale sta nel genere di riforma che si vuole e nel modo come si crede di
poter raggiungere la nuova forma cui si aspira.
Rivoluzione significa, nel senso storico della parola, riforma radicale delle istituzioni,
conquistata rapidamente per mezzo della insurrezione violenta del popolo contro il potere ed i
privilegi costituiti; e noi siamo rivoluzionari ed insurrezionisti perchè vogliamo non già migliorare
le istituzioni attuali ma distruggerle completamente, abolendo ogni dominio delluomo sulluomo ed
ogni parassitismo sul lavoro umano; perchè vogliamo far questo il più presto possibile e perchè
siamo convinti che le istituzioni nate dalla violenza, si sostengono colla violenza e non cederanno
che ad una violenza sufficiente.
Ma la rivoluzione non si può fare quando si vuole. Dovremo noi restare inerti, aspettando che i
tempi maturino da loro?
E anche dopo uninsurrezione vittoriosa, potremo noi di punto in bianco realizzare tutti i nostri
desideri e passare come per miracolo dallinferno governativo e capitalistico al paradiso del
comunismo libertario, che è la completa libertà dellindividuo nella voluta solidarietà dinteressi con
gli altri uomini?
Queste sono illusioni che possono allignare in mezzo agli autoritari i quali considerano la massa
come materia bruta alla quale chi possiede il potere può dare, a forza di decreti e con laiuto dei
fucili e delle manette, limpronta che vuole.
Ma non hanno presa in mezzo agli anarchici. Noi abbiamo bisogno del consenso della gente, e
quindi dobbiamo persuadere colla propaganda e collesempio, dobbiamo educare e cercare di
modificare lambiente in modo che leducazione possa raggiungere un numero sempre più grande di
persone.
Tutto è graduale nella storia come nella natura. Come la diga cede dun tratto (cioè
rapidissimamente, ma sempre condizionata dal tempo) o perchè lacqua si è andata accumulando
fino a superare con la sua pressione la resistenza oppostagli, oppure per il disgregarsi progressivo
delle molecole che ne compongono il materiale, così le rivoluzioni scoppiano per il crescere delle
forze che aspirano alla trasformazione sociale fino al punto sufficiente per abbattere il governo
esistente e per lindebolimento crescente, per ragioni interne, delle forze di conservazione.
Siamo riformatori oggi in quanto cerchiamo di creare le condizioni più favorevoli ed il
personale più cosciente e più numeroso che si può per menare a bene una insurrezione di popolo;
saremo riformatori domani, ad insurrezione trionfante e a libertà conquistata, in quanto cercheremo,
con tutti i mezzi che la libertà consente, cioè con la propaganda, con lesempio, con la resistenza
anche violenta contro chiunque volesse coartare la nostra libertà, cercheremo, dico, di conquistare
alle nostre idee un numero sempre più grande di adesioni.
Ma non riconosceremo mai - ed in questo il nostro "riformismo" si distingue da certo
"rivoluzionarismo" che va ad affogarsi nelle urne elettorali di Mussolini o di altri - non
riconosceremo mai le istituzioni, prenderemo o conquisteremo le riforme possibili con lo spirito
con cui si va strappando al nemico il terreno occupato per procedere sempre più avanti, e resteremo
sempre nemici di qualsiasi governo, sia quello monarchico di oggi, sia quello repubblicano o
bolscevico di domani.
d. Il possibilismo anarchico68
Nelle polemiche che sorgono tra gli anarchici sulla tattica migliore per giungere o avvicinarsi
alla realizzazione dellanarchia - e sono polemiche utili, anzi necessarie, quando sono ispirate alla
mutua tolleranza ed alla mutua fiducia e non trascendono in odiose questioni personali - avviene
sovente che gli uni in tono di rimprovero chiamano gli altri gradualisti e questi respingono la
qualifica come se fosse uningiuria.
Ed intanto il fatto è che, nel senso proprio della parola, gradualisti siamo tutti, e tutti, sia pure in
modi diversi, dobbiamo esserlo per la logica stessa dei nostri principi.
È vero che certe parole, specialmente in politica, cambiano continuamente di significato e
spesso ne assumono uno contrario a quello originale, logico e naturale.
Gioverebbe mettere un freno a questo sistema di usare le parole in un senso diverso dal loro
proprio, che è fonte di tante confusioni e tanti malintesi. Ma chi potrebbe riuscirvi, specie quando il
cambiamento è prodotto dallinteresse che hanno i politicanti a coprire con buone parole i loro fini
malvagi?
Potrebbe darsi dunque che la parola gradualista, applicata agli anarchici, finisse collindicare
davvero quelli che colla scusa di fare le cose gradualmente, a misura che diventano possibili,
finiscono col non muoversi più o col muoversi in una direzione opposta a quella che conduce
allanarchia. E allora bisognerebbe respingere il nome; ma la cosa resterebbe vera lo stesso, cioè che
tutto nella natura e nella vita procede a gradi e che, applicando al caso nostro, lanarchia non può
venire che poco a poco.
Lanarchismo, dicevo, deve essere necessariamente gradualista.
Si può concepire lanarchia come la perfezione assoluta, ed è bene che quella concezione resti
sempre presente alla nostra mente, quale faro ideale che guida i nostri passi. Ma è evidente che
quellideale non può raggiungersi dun salto, passando di botto dallinferno attuale al paradiso
agognato.
I partiti autoritari, quelli cioè che credono morale ed espediente imporre colla forza una data
costituzione sociale, possono sperare (vana speranza del resto!) che, quando si saranno impossessati
del potere, potranno a forza di leggi, decreti... e gendarmi sottoporre tutti e durevolmente al loro
volere.
Ma una tale speranza ed un tale volere non sono concepibili negli anarchici, i quali non
vogliono nulla imporre salvo il rispetto della libertà e contano per la realizzazione dei loro ideali
sulla persuasione e sui vantaggi sperimentati della libera cooperazione.
Ciò non significa che io creda (come a scopo polemico mi ha fatto dire un giornale riformista
poco informato o poco scrupoloso) che per fare lanarchia bisogna aspettare che tutti siano anarchici.
Io credo al contrario - e perciò sono rivoluzionario - che nelle condizioni attuali solo una piccola
minoranza favorita da circostanze speciali possa arrivare a concepire lanarchia, e che sarebbe una
chimera lo sperare nella conversione generale se prima non si cambia lambiente, nel quale
prosperano lautorità ed il privilegio. Ed appunto per questa credo che bisogna, appena è possibile,
cioè appena si sia conquistata la libertà sufficiente e vi sia in un dato luogo un nucleo di anarchici
abbastanza forte per numero e capacità da bastare a sè stesso ed irradiare intorno a sè la propria
influenza, bisogna, dico, organizzarsi per applicare lanarchia o quel tanto di anarchia che diventa
mano a mano possibile.
Poichè non si può convertire la gente tutta in una volta e non si può isolarsi per necessità di vita
e per linteresse della propaganda bisogna cercare il modo di realizzare quanto più di anarchia è
possibile in mezzo a gente che non è anarchica o lo è in gradi diversi.
Il problema dunque non è se bisogna o no procedere gradualmente, ma quello di cercare quale è
la via che più rapidamente e più sinceramente conduce allattuazione dei nostri ideali.
Oggi in tutti i paesi del mondo la via è preclusa dai privilegi conquistati attraverso una lunga
storia di violenze e di errori, da certe classi, che oltre la supremazia intellettuale e tecnica che deriva
loro da quei privilegi, dispongono per difendere la loro posizione della forza bruta assoldata nelle
classi soggette e ne usano, quando occorre, senza scrupoli e senza limite. Perciò è necessaria una
rivoluzione, la quale distrugga lo stato di violenza nel quale oggi si vive e renda possibile la
pacifica evoluzione verso sempre maggiore libertà, maggiore giustizia, maggiore solidarietà
Quale dovrebbe essere la tattica degli anarchici prima, durante e dopo la rivoluzione?
Quello che sarebbe necessario fare prima della rivoluzione per prepararla ed attuarla la censura
forse non lo lascerebbe dire; ed in ogni modo è sempre un argomento che si tratta male in presenza
del nemico. Ci sarà però lecito il dire che bisogna restare sempre se stessi, propagare ed educare il
più possibile, fuggire ogni transazione col nemico e tenersi pronti, almeno spiritualmente, per
afferrare tutte le occasioni che si possono presentare.
Durante la rivoluzione?
Incominciamo col dire che la rivoluzione non la possiamo fare noi soli; e non sarebbe, a parte la
questione della forza materiale, nemmeno desiderabile il farla da soli; perchè se non si mettono in
movimento tutte le forze spirituali del paese e con esse tutti glinteressi e tutte le aspirazioni palesi o
latenti che stanno nel popolo, la rivoluzione sarebbe un aborto. E nel caso, poco probabile, che
vincessimo da soli, ci troveremmo nellassurda posizione o di imporsi, comandare, costringere gli
altri e quindi cessare di essere anarchici ed uccidere la rivoluzione stessa col nostro autoritarismo,
oppure di "fare per viltade il gran rifiuto", cioè ritrarci indietro e lasciare che altri profitti dellopera
nostra per scopi opposti ai nostri.
Bisognerebbe dunque agire di conserva con tutte le forze progressiste esistenti, con tutti i partiti
davanguardia ed attirare nel movimento, sommuovere, interessare le grandi masse, lasciando che la
rivoluzione, della quale noi saremmo un fattore fra gli altri, produca quello che può produrre.
Ma non per questo dovremmo rinunziare al nostro scopo specifico: al contrario dovremmo
tenerci ben uniti tra noi e ben distinti dagli altri per combattere in favore del nostro programma:
abolizione del potere politico ed espropriazione dei capitalisti. E se, nonostante i nostri sforzi,
riuscissero a costituirsi nuovi poteri che vogliono ostacolare liniziativa popolare ed imporre il loro
volere, noi dovremmo non parteciparvi, non riconoscerli mai cercare che il popolo rifiuti loro i
mezzi per governare, cioè i soldati e le contribuzioni, fare in modo chessi restino deboli... fino al
giorno in cui si potrà abbatterli del tutto. In tutti i casi reclamare ed esigere, magari colla forza, la
nostra piena autonomia ed il diritto ed i mezzi per organizzarci a modo nostro ed esperimentare i
metodi nostri.
E dopo la rivoluzione, cioè dopo la caduta del potere esistente ed il trionfo definitivo delle forze
insorte?
Qui entra veramente in campo il gradualismo.
Bisogna studiare tutti i problemi pratici della vita: produzione, scambio, mezzi di
comunicazione relazioni fra gli aggruppamenti anarchici e quelli che vivono sotto unautorità, tra
collettività comunistiche e quelli che vivono in regime individualistico, rapporti tra città e
campagna, utilizzazione a vantaggio di tutti delle forze naturali e delle materie prime, distribuzione
delle industrie e delle colture secondo le condizioni naturali dei vari paesi, istruzione pubblica, cura
dei fanciulli e deglimpotenti, servizi igienici e medici, difesa contro i delinquerti comuni e quelli
più pericolosi, che tentassero ancora di sopprimere la libertà degli altri a vantaggio di individui o di
partiti, ecc, ecc. E dogni problema preferire quelle soluzioni che non solo sono economicamente più
convenienti, ma che rispondono meglio al bisogno di giustizia e di libertà e lasciano più aperta la
via ai futuri miglioramenti, Nel caso, anteporre la giustizia, la libertà, la solidarietà ai vantaggi
economici.
Non bisogna proporsi di tutto distruggere credendo che poi le cose si aggiusteranno da loro. La
civiltà attuale è frutto di una evoluzione millenaria ed ha risolto in qualche modo il problema della
convivenza di milioni e milioni di uomini, spesso affollati sopra territori ristretti, e quello della
soddisfazione di bisogni sempre crescenti e sempre più complicati. I suoi benefici sono diminuiti - e
per la gran massa quasi annullati - dal fatto che levoluzione si è compiuta sotto la pressione
dellautorità e nellinteresse dei dominatori; ma se si toglie lautorità ed il privilegio, restano sempre i
vantaggi acquisiti, i trionfi delluomo sulle forze avverse della natura lesperienza accumulata dalle
generazioni estinte, le abitudini di socievolezza contratte nella lunga convivenza e negli
esperimentati benefici del mutuo appoggio - e sarebbe stolto, e del resto impossibile, rinunziare a
tutto questo.
Noi dobbiamo dunque combattere lautorità ed il privilegio, ma profittare di tutti i benefici della
civiltà; e nulla distruggere di quanto soddisfi, sia pur malamente, ad un bisogno umano se non
quando abbiamo qualche cosa di meglio da sostituirvi.
Intransigenti contro ogni imposizione ed ogni sfruttamento capitalistico, noi dovremo essere
tolleranti con tutte le concezioni sociali che prevalgono nei vari raggruppamenti umani, purchè non
ledano la libertà ed il diritto uguale degli altri; e contentarci di progredire gradualmente a misura
che si eleva il livello morale degli uomini e crescono i mezzi materiali ed intellettuali di cui dispone
lumanità - facendo, questo sintende, il più che possiamo - con lo studio, il lavoro, la propaganda,
per affrettare levoluzione verso ideali sempre più alti.
Io ho qui sopra prospettato dei problemi più che delle soluzioni; ma credo di avere esposto
succintamente i criteri che debbono guidarci nella ricerca e nellapplicazione delle soluzioni, le quali
saranno certamente varie e variabili a seconda delle circostanze ma dovranno sempre uniformarsi,
per quanto dipende da noi, ai principi basilari dellanarchismo: nessun comando delluomo sulluomo,
nessuno sfruttamento delluomo da parte delluomo.
Ai compagni tutti il compito di pensare, studiare, prepararsi - e farlo sollecitamente ed
intensamente, perchè i tempi sono "dinamici" ed occorre tenersi pronti per ciò che può accadere.
2. GRADUALISMO. CHIARIMENTI, DIVERGENZE ED ERRORI
a. Rimasticature autoritarie69
Dalle scarse notizie che accidentalmente arrivano fino a me, rilevo che vi sono alcuni compagni
che si sono rimessi a sostenere che per far trionfare lanarchia sarà necessario, quando scoppierà la
rivoluzione, obbligare la gente a fare a modo nostro, fino a quando essa si sarà convinta che noi
abbiamo ragione e farà spontaneamente quello che al principio le faremo fare per forza. Insomma
assumere la funzione di governo.
Sintende che il governo che vorrebbero costituire quei singolari anarchici dovrebbe essere una
cosa blanda e provvisoria, dovrebbe governare il meno possibile e durare pochissimo: ma anche
ridotto ai minimi termini dovrebbe sempre essere un governo, cioè un gruppo di uomini che si
attribuiscono la facoltà dimporre al popolo le proprie idee... ed i propri interessi.
E questo per essere pratici, per aderire alla realtà, ecc. Sembra sentire i discorsi che facevano i
guerraioli quando predicavano la guerra per distruggere la guerra!
La cosa non è nuova. Durante tutto il corso del nostro movimento vi sono stati deglindividui
che, pur dicendosi anarchici anzi più anarchici degli altri, hanno espresso concetti e propositi ultra
autoritari: soppressione per i nostri avversari delle libertà elementari di parola, stampa, riunione,
ecc.; lavoro forzato sotto il comando di soprastanti anarchici; fanciulli strappati alle famiglie per
educarli anarchicamente; polizia rossa, armata rossa, terrore rosso. E per quanto sia evidente la
contraddizione tra lidea di libertà che è lanima dellanarchismo, e lidea di coercizione, pure a
rifletterci bene non vè di che troppo meravigliarsi. Nati e cresciuti in una società in cui ognuno è
costretto a comandare o essere comandato, influenzati da una tradizione millenaria doppressione e
di servitù, non avendo altro mezzo per emanciparsi che quello di ricorrere alla violenza, per
abbattere la violenza che ci opprime, è difficile pensare e sentire da anarchici, è difficile soprattutto
concepire e rispettare il limite che separa la violenza che è giusta e necessaria difesa dei propri
diritti, dalla violenza che è violazione di diritti altrui. E perciò vè sempre chi ricade
nellautoritarismo e per arrivare allanarchia vuole agire come agiscono i governi, vuole insomma
essere governo.
Naturalmente le intenzioni sono sempre buone; siamo anarchici sì, essi dicono, ma siccome le
masse sono tanto arretrate bisogna spingerle avanti colla forza. Qualche cosa come insegnare ad
uno a camminare legandogli le gambe!
Io non voglio qui dilungarmi su questo errore di voler educare la gente alla libertà, alliniziativa
ed alla fiducia in se stessa per mezzo della coercizione. Nè voglio insistere sul fatto che chi sta al
governo ci vuol restare, sia pure col sincero proposito di fare il bene, e quindi prima di tutto pensa a
costituire un partito o una classe di cointeressati ed una forza armata fedele e disciplinata per tenere
a freno i ricalcitranti; cose che accadrebbero ai governanti "anarchici" come agli altri, sia perchè
sono una necessità della situazione, sia perchè noi anarchici non siamo poi di tanto migliori della
comune umanità. Questo menerebbe a ripetere tutte le ragioni che lanarchismo oppone
allautoritarismo, ragioni che quei compagni, i quali, a quanto mi si dice non sono dei novellini,
debbono conoscere al pari di me.
Voglio solo far notare, che, come avviene spessissimo, quelli che più si vantano di essere pratici
e di non perdersi nei sogni, sono poi quelli che più sognano cose impossibili.
Infatti, è chiaro che per impossessarsi del governo e non esporci ad un fiasco sicuro che ci
discrediterebbe e cimpedirebbe per molto tempo ogni azione utile, bisognerebbe disporre di una
forza numerica e di una capacità tecnica sufficienti. Noi probabilmente non avremo al principio
della prossima rivoluzione, quella forza e quella capacità, ma, supposto che lavessimo, che bisogno
ci sarebbe allora di farsi governo e mettersi sopra una via che necessariamente ci condurrebbe verso
una mèta opposta a quella che vogliamo raggiungere? Essendo così forti, noi potremmo facilmente
mettere la gente sulla buona via per mezzo della propaganda e dellesempio, e sviluppare e difendere
la rivoluzione con metodo perfettamente anarchico, cioè col concorso volontario ed entusiasta della
massa interessata al suo trionfo.
Questo per quelli che intendessero impossessarsi del governo come anarchici per fare lanarchia,
o almeno indirizzare la rivoluzione verso lanarchia. Che se si volesse andare al governo insieme coi
partiti autoritari, i quali mirerebbero innanzi tutto a soffocare liniziativa popolare e ad assicurare lo
sviluppo e la permanenza delle istituzioni governative, allora sarebbe il caso di defezione pura e
semplice, e conservare il nome danarchici sarebbe una menzogna e un inganno. Col risultato che,
dopo di aver messo le nostre forze al servizio dei nuovi dominatori ed averli aiutati a consolidarsi al
governo, non appena non si avrebbe più bisogno di noi, saremmo ignominiosamente scacciati e
resteremmo impotenti e disonorati.
Invece, pur minoranza come siamo, restando in mezzo alle masse per spingerle ad abbattere
lautorità politica ed il privilegio economico e ad organizzare da loro stesse la nuova vita sociale e
dandone noi stessi lesempio, in grande o in piccolo secondo le forze che potremo raccogliere nelle
varie località e nelle varie corporazioni operaie, senza prendere responsabilità che non possiamo
assolvere, noi potremo dare alla rivoluzione un carattere profondamente rinnovatore e preparare la
via per il trionfo dellanarchia integrale.
Non riusciremo forse ad impedire la costituzione di un nuovo governo, ma potremo impedire
chesso diventi forte e tirannico ed obbligarlo a rispettare, per noi e per quelli che si unirebbero a
noi, la massima libertà possibile ed il diritto alluso gratuito dei mezzi necessari alla produzione.
In ogni caso, anche vinti, daremo un esempio fecondo di risultati concreti in un prossimo
avvenire.
b. L'errore del "tutto e subito"70
Voglio esprimere la mia opinione sulla causa per la quale alcuni compagni, certamente sinceri e
pieni di ardore per il trionfo dellanarchia, sono indotti a rimettere in discussione le basi stesse
dellanarchismo.
Fenomeni simili si producono in tutti i partiti allindomani di una sconfitta, e non vi sarebbe
nulla di strano che lo stesso avvenisse in mezzo a noi. Ma a me pare che, nel caso nostro, questa
ricerca affannosa di vie novelle, piuttosto che la conseguenza di nuove e più ardite e più vere
concezioni, sia leffetto della persistenza di vecchie illusioni che quei compagni, malgrado la lunga
esperienza, sperano ancora di poter realizzare immediatamente, come lo si sperava agli inizi del
movimento.
Sessanta e più anni or sono noi pensavamo che lanarchia ed il comunismo potessero sorgere
come conseguenza diretta, immediata di uninsurrezione vittoriosa. Non si tratta, dicevamo, di
giungere un giorno allanarchia e al comunismo, ma di cominciare la rivoluzione sociale
collanarchia e col comunismo. Bisogna, ripetevamo nei nostri manifesti, che la sera del giorno
stesso in cui saranno vinte le forze governative ciascuno possa soddisfare pienamente i suoi bisogni
essenziali, sentire senzaltro ritardo i benefici della rivoluzione.
Era insomma lidea che, accettata un po più tardi da Kropotkin, fu da lui popolarizzata e quasi
fissata come programma definitivo dellanarchismo.
Secondo noi bastava distruggere gli ostacoli materiali, cioè sconfiggere la forza armata che
difendeva i proprietari, e tutto sarebbe andato da sè.
E badavamo soprattutto a perfezionare il nostro ideale, facendoci lillusione che la massa ci
seguisse, anzi credendo di non essere che glinterpreti deglistinti profondi di essa massa.
Eravamo in pochi, ma avevamo una fiducia illimitata sullefficacia della propaganda. Il nostro
ragionamento in proposito era dei più ingenui: se, noi pensavamo, essendo in dieci a far propaganda
in un mese siamo diventati venti, ora che siamo in venti in un altro mese diventeremo quaranta, e
poi da quaranta ottanta e così di seguito. Raddoppiando il numero di mese in mese presto avremo
avuto la forza necessaria per fare la rivoluzione.
La rapida organizzazione dei corpi di mestiere e lo spirito di solidarietà tra gli oppressi in lotta
per lemancipazione avrebbero risolte tutte le difficoltà. LAssociazione Internazionale dei Lavoratori
(la Prima Internazionale) che stava allora nel suo più florido periodo, sembrava già pronta per
sostituire la sua organizzazione a quella della società borghese.
Data questa idea, è chiaro che ci doveva sembrare che lanarchia stesse per sorgere subito,
spontaneamente, per la volontà e la capacità di tutta la popolazione, o almeno della parte cosciente e
attiva della popolazione, appena fosse liberata dalla forza bruta che la teneva soggetta.
Ma collandar del tempo lo studio e più la dura esperienza ci mostrarono che molte delle nostre
convinzioni erano effetto del nostro desiderio e delle nostre speranze e non corrispondevano ai fatti
reali...
Stando così le cose, che cosa bisognava fare? Abbandonare la lotta, diventare scettici ed
indifferenti, o rinunziare allanarchia ed aderire ad un partito autoritario?
Alcuni lo fecero; ma i più tra noi, quelli che avevano nellanimo "il fuoco sacro" furono
compresi più che mai della nobiltà e della grandezza della missione che gli anarchici si erano data.
Essi restarono convinti che laspirazione alla libertà integrale (quello che potrebbe chiamarsi lo
spirito anarchico) è stata sempre la causa di ogni progresso individuale e sociale, e che invece tutti i
privilegi politici ed economici (che sono poi i diversi aspetti di una stessa oppressione) se non
trovano nellanarchismo più o meno cosciente un ostacolo sufficiente, tendono a respingere indietro
lumanità verso la più fosca barbarie. Essi compresero che lanarchia non poteva venire che
gradualmente, a misura che la massa arriva a concepirla e desiderarla; ma che non verrebbe mai se
mancasse la spinta di una minoranza più o meno coscientemente anarchica, che agisce in modo da
preparare lambiente necessario.
Restare anarchici, agire da anarchici in tutte le possibili circostanze restava il dovere da noi
liberamente scelto ed accettato.
Ho detto più sopra che, secondo me, i cosiddetti revisionisti, ancora sotto linfluenza dei
pregiudizi dellanarchismo primitivo, silludono di poter fare il comunismo e lanarchia dun colpo
solo; ma siccome comprendono anchessi che la massa è ancora impreparata, cadono nellassurdo di
volerla preparare coi metodi autoritari. Lo dicono poco chiaramente, credo anzi che essi stessi non
se ne rendano conto esatto, ma il fatto mi sembra questo: essi vorrebbero fare il comunismo
rimandando la libertà a più tardi, e vorrebbero educare il popolo alla libertà per mezzo della
tirannia.
A me pare, e credo che questa sia oramai lopinione di quasi tutti gli anarchici, che la rivoluzione
non può cominciare col comunismo, o sarebbe, come la Russia, un comunismo da convento, da
caserma e da galera, peggiore dello stesso capitalismo. Essa deve attuare subito quello che si può,
ma non più di quello che si può; basterebbe per cominciare attaccare con tutti i mezzi possibili
lautorità politica ed il privilegio economico, disciogliere lesercito e tutti i corpi di polizia, armare
tutta quanta la popolazione, requisire a vantaggio di tutti le sostanze alimentari e provvedere alla
continuità dellapprovvigionamento e spingere le masse, soprattutto spingere le masse ad agire senza
aspettare ordini dallalto. E badare a non distruggere se non quello che si può sostituire con qualche
cosa di migliore. Poi si procederà verso lorganizzazione del comunismo volontario o quelle altre
forme, probabilmente varie e multiple, di convivenza sociale che i lavoratori, illuminati
dallesperienza, preferiranno.
Se gli anarchici volessero assumere da soli la funzione di governo (cosa del resto che non
avrebbero la forza di fare), o, peggio ancora, volessero unirsi ai partiti autoritari per dettar leggi e
regole obbligatorie, non farebbero che tradire se stessi e la rivoluzione. Allora essi, invece di
spingere verso lanarchia colla propaganda e collesempio, contribuirebbero, volenti o nolenti, a
strappare al popolo quelle conquiste chesso avrebbe fatte nel periodo insurrezionale: farebbero
insomma quello che han fatto sempre tutti i governi.
e. Un governo di "anarchici"?71
...Dunque Pardaillan è daccordo con me e con tutti gli anarchici nel "respingere assolutamente"
un governo che sia quello che generalmente sintende per governo e che è stato ed è ogni governo
esistito ed esistente, cioè un organo che fa la legge e la impone a tutti mediante la forza materiale.
Solamente egli ha un debole per la parola governo e per conservarla, pur restando anarchico,
vorrebbe cambiarne il significato.
Egli mi domanda: "Possono gli anarchici, senza cessare di esser tali, concepire un governo che
non abbia il significato antilibertario del solito governo?"
Rispondo: Si. Se io, per esempio, cambio il significato della parola carnefice, posso benissimo
concepire un carnefice dallanimo buono e sensibile che non farebbe male una mosca; o se do alla
parola sedia il significato di lampada elettrica posso benissimo concepire una sedia che mi faccia
lume.
Ma a che servirebbe rivoluzionare in tal modo il dizionario? Evidentemente ad intenderci meno
che mai.
E perchè il Pardaillan, il quale vorrebbe che gli anarchici costituissero una forza capace
dinfluire potentemente sul corso degli eventi, non esita a porsi in contrasto con la massa degli
anarchici e creare nuovi ragioni di scissione e quindi di debolezze per la fisima di chiamare governo
quello che non sarebbe governo?
Egli ragiona così: Il popolo è abituato ad essere governato ed ubbidisce al governo qualunque
esso sia; può in certi momenti abbattere un dato governo, ma lo fa con lidea di vederlo sostituito da
un governo migliore. Chi è più svelto ad occupare il posto lasciato vuoto dal governo caduto e dire
il governo sono io è subito riconosciuto ed ubbidito. Facciamo in modo dessere noi i primi a dire il
governo siamo noi e potremo fare non lanarchia, ma quel tanto di bene che si potrà, ed intanto
toglieremo ai politicanti la possibilità di sfruttare la situazione.
Mi perdoni il compagno Pardaillan, se glielo dico un po ruvidamente: il suo ragionamento ed il
suo proposito mi sembrano tanto ingenui da raggiungere quasi linfantilità, poichè certamente non
sarebbe cosa seria il dirsi governo e non fare quello che deve fare un governo e che la gente aspetta
da esso, cioè dare degli ordini e farli eseguire per mezzo della polizia, dellesercito, dei magistrati e
dei carcerieri.
Pardaillan dice che ha limpressione (non so da dove ricavata) che io, accettando la proposta di
dare un significato libertario alla parola governo per servircene noi a modo nostro, sia già disposto
a cercare insieme a loro (i revisionisti) il modo migliore per impedire a questo governo di diventare
quello che assolutamente non deve essere.
Ma se il governo sarà composto di anarchici, chi sincaricherebbe di tenerli nei limiti
assegnatigli da Pardaillan? Non potrebbero essere che gli anarchici che non sono al governo, vale a
dire che gli anarchici dovrebbero trattare il governo formato dai loro compagni come tratterebbero
qualunque altro governo. E allora?
No: sarà colpa del mio modo di esprimermi, ma Pardaillan mi ha compreso proprio a rovescio.
Io credo - gioco di parole a parte - che noi non potremmo diventare governo se non in combutta
coi partiti autoritari e dopo che gli anarchici avessero perduto quellardente desiderio di libertà per
tutti, che forma la loro specifica ragion dessere. E credo che se per singolarissime circostanze noi
riuscissimo a sembrare governo, presto vorremmo essere governo sul serio, e non saremmo migliori
degli altri.
Ma supponiamo pure che riuscissimo ad impadronirci del governo ed avere a nostra
disposizione le forze dello Stato senza avere prima cessato di essere anarchici, e supponiamo che
riuscissimo a resistere allinfluenza corruttrice della nuova posizione e restassimo intenti solo a
garantire la libertà di tutti ed a promuovere il bene generale, che cosa ne risulterebbe?
Il popolo, dice Pardaillan, è abituato ad esser governato e se abbatte un governo è sempre pronto
ad accettarne un altro. È vero; ma questo popolo accettando un governo aspetta che esso governi,
cioè che emani ordini e decreti e mandi dappertutto i suoi funzionari per farli eseguire. Se gli ordini
non vengono, se non vengono le nuove autorità con i relativi gendarmi, allora o il popolo fa da sè
ed in questo caso entrerebbe nella via dellanarchismo, o accetta un altro governo che governi
davvero.
Mi pare che Pardaillan fraintenda completamente, se non lo scopo supremo degli anarchici,
certo lattuale compito loro nel movimento sociale.
Il nostro compito è quello di spingere il popolo a reclamare e prendersi tutte le libertà possibili e
a provvedere da sè ai propri bisogni senza aspettare gli ordini di una qualsiasi autorità. Nostro
compito è quello di dimostrare linutilità e la dannosità del governo, provocando ed incoraggiando,
colla predicazione e con lazione, tutte le buone iniziative individuali e collettive...
In conclusione, Pardaillan vorrebbe impossessarsi del governo per impedire che se ne
impossessassero gli altri. Io penso al contrario che se governo vha da essere, se cioè noi fossimo
impotenti ad impedire che si formi un nuovo governo, sarebbe preferibile che lo formino gli
autoritari anzichè gli "anarchici". Un governo di autoritari potrebbe trovare un freno
nellopposizione degli anarchici ed esaurirsi a misura che il popolo impara ad organizzarsi e fare da
sè. Ma di un governo di "anarchici" chi ce ne libererebbe?...
Si rassicurino i compagni "revisionisti". Noi siamo tuttaltro che "dogmatici" Noi siamo
travagliati come loro dalla ricerca del meglio; noi sappiamo come loro che cè tante idee da rivedere,
tanti problemi da approfondire; ed accogliamo con simpatia qualunque opinione sulla nostra
condotta passata, qualunque critica,qualunque proposta anche contrarie alle opinioni nostre per
vedere ciò che se ne può cavare in pro della causa comune. Ma siamo e vogliamo restare anarchici,
e gli scritti dei "revisionisti" fanno limpressione - parlo per me personalmente - che si voglia fare
unevoluzione verso metodi autoritari. Di qui la scissione ed il tono aspro della polemica.
Vi sono quattro problemi che, secondo me, sono per gli anarchici di tutti i paesi i problemi
massimi dellora presente:
1. Concorrere allinsurrezione con tutte le forze rivoluzionarie progressiste senza lasciarsi assorbire
e dominare dai partiti più numerosi, più ricchi e meglio organizzati;
2. Utilizzare le organizzazioni operaie per la demolizione e la ricostruzione pur evitando i mali ed i
pericoli del sindacalismo;
3. Assicurare lalimentazione del popolo senza lintervento di un potere centrale che, avendo il
monopolio delle cose di prima necessità, diventerebbe il peggiore e più potente dei tiranni;
4. Provvedere allarmamento di tutta la popolazione: cosa indispensabile perchè se qualcuno
(individuo, partito o classe) avesse il monopolio della forza armata, egli sarebbe in fin dei conti il
dominatore di tutto e di tutti.
Il mio voto è che si lavori tutti alla soluzione - teorica e pratica - di questi problemi, senza
escludere naturalmente gli altri cento problemi che altri potrà formulare.
Se potremo trovarci tutti daccordo tanto meglio; e se no faccia ciascuno a suo modo tutto quello
che può.
Il campo della lotta è immenso; cè posto per tutte le buone volontà.
d. Il rovescio dela medaglia: l'attendismo dei compagni spagnoli72
Roma, 9giugno 1931
...In quanto alla corrispondenza dalla Spagna pare anche a me che quei compagni non si
rendono un conto chiaro di quello che stanno facendo i governi di Madrid e di Barcellona, i quali, al
pari dogni governo, cercano innanzi tutto di consolidarsi al potere appoggiandosi su vecchi e nuovi
privilegi. Sorti da un movimento popolare debbono mostrarsi più liberali del regime decaduto, ma
fatalmente, per necessità desistenza e per istinto di comando, faranno tutto il possibile per
ostacolare lo sviluppo della rivoluzione.
Secondo me, bisognerebbe profittare di questi primi tempi di debolezza e di disorganizzazione
governative, per strappare allo Stato ed al capitalismo il più che si può. Più tardi la Costituente ed il
potere esecutivo cercheranno di ritogliere al popolo i vantaggi ottenuti, e non rispetteranno che
quelle conquiste popolari che stimeranno troppo pericoloso attaccare.
Trovo veramente troppo esageratamente ottimista il dire che la "libertà politica non è limitata da
nessuna autorità" quando sappiamo che la guardia civile (che corrisponde ai nostri carabinieri) e
stata conservata e leggiamo che qua e là in tutta la Spagna, da Sevilla a San Sebastiano, si spara
sulla folla e si proclamano stati dassedio. Il fatto di aver permesso un comizio in un teatro di
Barcellona prova solo che il governo non lo ha creduto pericoloso, o non si è sentito abbastanza
forte per impedirlo.
Il compito dei rivoluzionari sarebbe quello di profittare della presente debolezza del governo
per imporgli la dissoluzione dei corpi di polizia, larmamento generale della popolazione, la
demolizione del Castello di Montjuich, ecc.
Non sono poi nemmeno daccordo con quei compagni dell"Ufficio libertario di corrispondenza"
nel pensare che la situazione, dal nostro punto di vista e per gli scopi nostri, sia più favorevole in
Catalogna che nelle altre parti della Spagna.
Il proletariato catalano, secondo lidea che me ne feci nelle due volte che sono stato in quei
paesi, è il proletariato più cosciente, più serio, più avanzato che vi sia nel mondo. Metto quindi in
lui le più grandi speranze; ma mi pare che se in Catalogna si può fare più facilmente che altrove una
radicale rivoluzione politica, vi sono invece maggiori difficoltà per raggiungere lemancipazione
economica, senza la quale le libertà politiche finiscono col non contar nulla e sparire. E credo che la
difficoltà viene proprio dal grande sviluppo industriale del paese.
A causa dellindustria la massa degli operai catalani si trova legata alla borghesia da una certa
solidarietà dinteressi. Se cessa lesportazione, se si disorganizza il commercio (e ciò non potrebbe
non avvenire in caso di rivoluzione economica) loperaio della città catalana resta senza lavoro e non
mangia. Quindi una rivoluzione economica non si potrebbe fare che sopra vasta scala, quando il
proletariato delle città e quello delle campagne di molta parte della Spagna agissero daccordo. Con
energia ed unione, gli operai catalani potrebbero, io credo, fin da ora costringere i padroni a dar
lavoro a tutti (cioè a dividere fra tutti il lavoro che cè), e pagare salari sufficienti per una vita
decente; ma non potrebbero sopprimere completamente i padroni, i quali hanno in mano non solo
gli strumenti di lavoro, che si possono toglier loro con facilità, ma anche lorganizzazione dello
scambio colle altre regioni della Spagna e dellestero, che è più difficile sostituire da un giorno
allaltro.
Invece in altre regioni, e specialmente al Sud, in Andalusia, la situazione mi sembra più
favorevole. Là la massa vive coi prodotti della campagna, e vive male perchè il più dei prodotti è
portato via dai proprietari ed inoltre grandi estensioni di terre sono lasciate incolte. I lavoratori
andalusi, che hanno spirito ribelle ed aspirano da secoli al possesso della terra, potrebbero occupare
le terre incolte e coltivarle per loro conto, e nello stesso tempo impedire ai proprietari delle terre
coltivabili di asportare e mandare via i prodotti. Sarebbe lespropriazione pura e semplice, e non si
avrebbe da resistere che ai tentativi di repressione militari, i quali sarebbero impotenti di fronte ad
un movimento di una certa importanza.
Ma io parlo da lontano e posso facilmente sbagliarmi. In ogni modo mi pare che la situazione
spagnuola presenta infinite possibilità e dà la speranza che il movimento possa svilupparsi e metter
capo ad una vera rivoluzione sociale.
Io pagherei non so che per poter andare in Spagna e mi arrabbio per la mia impotenza. Sono
sempre sotto gli occhi dei poliziotti e non posso fare un passo senza averli attorno...
Roma, 7 marzo 1932
...Sono stato quasi due mesi senza sapere nulla dalla Spagna. Solo da qualche giorno ricomincio
a ricevere dei giornali di Spagna e vado apprendendo quello che è avvenuto in questi ultimi tempi.
Peccato! quale situazione è stata sciupata! Ma forse cè ancora da sperare.
Sono così incompletamente e male informato che non oso esprimere una opinione decisa sulla
condotta dei compagni spagnoli: sono essi che stanno sul posto, sono essi che hanno la
responsabilità morale e materiale, e quindi sono essi che debbono decidere. Nullameno mi pare di
poter dire che gli anarchici ed i sindacalisti spagnoli non seppero profittare delloccasione che
offriva loro la rivoluzione del 14 aprile con il susseguente entusiasmo popolare. Secondo me fu un
errore grandissimo il rimettersi a fare degli scioperi per limitati miglioramenti economici, come
quelli che si fanno in tempi tranquilli. Quello era il tempo della lotta politica; non già sintende nel
senso in cui generalmente i compagni spagnoli prendono la parola politica; ma nel senso di lotta
contro il potere politico. Bisognava armarsi, esigere la dissoluzione della Guardia Civica e degli
altri corpi di polizia, obbligare i padroni (se per il momento non si poteva abolirli) a dar lavoro a
tutti i disoccupati, ecc. In ogni modo, disertare le urne e restare in posizione daperta ostilità contro
il Governo di Madrid e quello della Generalidad di Catalogna. E come sarebbe stato bello, almeno
quale atto simbolico, la demolizione del Castello di Montjuich...
3. I PROBLEMI DELLA RICOSTRUZIONE
a. La nostra "mania ricostruttoria"73
...Ci si accusa di "mania ricostruttoria"; si dice che parlare di "indomani della rivoluzione",
come facciamo noi, è una frase che non significa nulla perchè la rivoluzione è un profondo
cambiamento di tutta la vita sociale, che è già cominciata e che durerà secoli e secoli.
Tutto questo è un semplice equivoco di parole. Se si piglia la rivoluzione in quel senso, essa è
sinonimo di progresso, è sinonimo di vita storica, che attraverso mille vicende metterà capo, se i
nostri desideri si realizzano, al trionfo totale dellanarchia in tutto quanto il mondo. Ed in quel senso
era un rivoluzionario Bovio e sono rivoluzionari anche Treves e Turati e magari lo stesso
dAragona. Quando ci mettete di mezzo i secoli, ognuno vi concederà tutto quello che volete.
Ma quando noi parliamo di rivoluzione, quando di rivoluzione parla il popolo, come quando si
parla di rivoluzione nella storia sintende semplicemente insurrezione vittoriosa.
Le insurrezioni saranno necessarie fino a che vi saranno dei poteri che colla forza materiale
costringeranno le masse allobbedienza; ed è probabile, purtroppo, che di insurrezioni se ne
dovranno fare parecchie prima che si sia conquistato quel minimo di condizioni indispensabili
perchè sia possibile levoluzione libera e pacifica e lumanità possa camminare senza lotte cruente ed
inutili sofferenze verso i suoi alti destini.
Ma ora dobbiamo occuparci della prossima insurrezione, che come ogni insurrezione non potrà
durare che un breve tempo, prepararci a quello che dobbiamo fare mentre essa dura e nel suo
immediato indomani per trarne il massimo profitto possibile in favore dei nostri ideali.
Poichè non possiamo e non vogliamo imporre le nostre idee a nessuno ed in fin dei conti se la
gente crede necessario un governo noi non possiamo impedire che se lo faccia e se lo goda, noi
dobbiamo reclamare per noi e per coloro che riusciremo ad attirare nella nostra orbita, il diritto ai
mezzi di lavoro e la piena libertà di non riconoscere il governo costituito; e questa libertà siamo
disposti a difendere, potendo, anche colle armi.
Ma se non riconosciamo il governo bisogna pure che troviamo un modo di vivere per liberi
accordi, senza governo, nonchè un modo per mantenere le necessarie relazioni economiche colle
masse che ad un governo stanno sottoposte.
Noi abbiamo sempre reclamata la libertà di propaganda e di esperimentazione. Che cosa
esperimenteremmo se non avessimo qualche idea concreta da mettere in pratica? Noi fidiamo per la
propagazione delle nostre idee, in periodo insurrezionale e post-insurrezionale, sulla efficacia
dellesempio, ma quali esempi potremmo dare se non sapessimo che cosa fare? Se non riusciamo a
vivere meglio degli altri, come potremmo sperare che le masse accettassero i metodi nostri? Se un
governo intelligente, conoscendo la nostra incompetenza, la nostra impreparazione, ci facesse il tiro
birbone di lasciarci per un momento la libertà che noi reclamiamo, che figura faremmo se non
sapessimo come organizzare una vita sociale rispondente ai nostri ideali?
La nostra missione di anarchici, secondo alcuni, sarebbe solo quella di distruggere. Ma mentre
distruggiamo dobbiamo pur vivere, cioè consumare; vorremo noi che gli altri lavorassero e
producessero per provvedere ai nostri bisogni, mentre noi ci dedichiamo allopera geniale del
distruggere?
E poi, distruggere che cosa? Una volta distrutta la forza brutale che ci opprime, non si distrugge
più se non quello che si sostituisce con qualche cosa di meglio.
Io non credo negli schemi logici, direi quasi nelle fantasticherie storico-filosofiche di Vico e di
Ferrari, le quali del resto non si applicano realmente che alle forme più appariscenti, ma meno
sostanziali della vita sociale. Non vè generazioni che distruggono e generazioni che edificano. La
vita è un tutto inscindibile, e la distruzione e la creazione sono atti contemporanei. Vi sono soltanto
periodi in cui si crea e si distrugge rapidamente, ed altri in cui si crea e si distrugge meno
rapidamente...
b. Lo sviluppo delle idee e la loro applicazione alle attuali contingenze74
Ho limpressione, sia per quello che appare nei vani nostri periodici in Italia e fuori, sia per
quello che i compagni ci mandano e che resta in gran parte impubblicato per mancanza di spazio o
per soverchia insufficienza di composizione, ho limpressione, dico, che non siamo ancora riusciti a
far comprendere a tutti gli scopi che ci proponiamo con questa pubblicazione.
Vè infatti chi, interpretando a modo suo il nostro espresso desiderio di praticità e di
realizzazione, crede che noi intendiamo "iniziare un processo revisionista dei valori dellanarchismo
teorico" e, secondo le proprie tendenze e le proprie preferenze teme, o spera, che noi si voglia
rinunziare, in pratica, se non in teoria, alle nostre concezioni rigorosamente anarchiche.
Non vè da tanto.
In realtà noi non crediamo, come qualcuno ci ha fatto dire, che vi sia "antinomia tra teoria e
pratica". Crediamo invece che in generale la teoria è vera solo se è confermata dalla pratica, e che
nel caso nostro se non si può fare subito lanarchia non è già per deficienza della teoria, ma perchè
non tutti sono anarchici, e gli anarchici non hanno ancora la forza di conquistare almeno la loro
libertà e di imporne il rispetto.
Insomma noi restiamo fermi nelle idee che fin dallorigine sono state lanima del movimento
anarchico e non abbiamo proprio nulla da rinnegare. Diciamo questo non a titolo di merito, poichè
se credessimo di essere nel passato caduti in errore sentiremmo il dovere di confessarlo e di
correggerci; ma lo diciamo perchè è un fatto. E chi conosce gli scritti di propaganda sparsi un po
dappertutto dai fondatori di questa rivista ben difficilmente riuscirebbe a trovare una sola
contraddizione tra quello che diciamo ora e quello che dicevamo già più di cinquantanni or sono.
Non è dunque di "revisione" che si tratta, ma di sviluppo delle idee e della loro applicazione alle
contingenze attuali.
Quando le idee anarchiche erano una novità che meravigliava e sbalordiva e non si poteva che
far la propaganda in vista di un lontano avvenire e gli stessi tentativi insurrezionali ed i processi
volontariamente provocati ed affrontati non servivano che a richiamare lattenzione pubblica a scopo
di propaganda, poteva bastare la critica della società attuale e lesposizione dellideale a cui si
aspirava. Anche le questioni di tattica non erano in fondo che questioni sui mezzi migliori per
propagare le idee e preparare glindividui e le masse alle agognate trasformazioni.
Ma oggi i tempi sono più maturi, le circostanze sono cambiate, e tutto fa credere che, in un
tempo che potrebbe essere imminente ma che certo non è molto lontano, ci troveremo nella
possibilità e nella necessità di applicare le teorie ai fatti reali e mostrare che non solo abbiamo più
ragione degli altri per la superiorità del nostro ideale di libertà, ma anche perchè le nostre idee ed i
nostri metodi sono i più pratici per il raggiungimento del massimo di libertà e di benessere possibile
allo stato attuale della civilizzazione.
La stessa reazione imperversante e trepida mantiene il paese in uno stato di equilibrio instabile
che lascia aperta la via a tutte le speranze come a tutte le catastrofi. E gli anarchici possono da un
momento allaltro esser chiamati a mostrare il loro valore e ad esercitare sugli avvenimenti una
pressione che potrà a prima giunta non essere preponderante, ma che sarà tanto più grande quanto
maggiore sarà il loro numero e la loro capacità morale e tecnica.
Necessità quindi di approfittare di questo periodo transitorio, che non può essere se non di
calma preparazione, per mettere insieme il più possibile di forze morali e materiali e tenersi pronti
per tutto quello che potrà avvenire.
Il fatto che non bisogna perder di vista è questo: noi siamo una minoranza relativamente
piccola, e resteremo tale fino al giorno in cui un cambiamento nelle circostanze esteriori -
condizioni economiche migliorate e libertà aumentata - non metterà le masse in condizioni di potere
meglio comprenderci e noi in posizione di potere esplicare praticamente lopera nostra.
Ora, le condizioni economiche non miglioreranno sensibilmente e stabilmente e la libertà non
aumenterà seriamente fino a che vigerà il sistema capitalistico e lorganizzazione statale che sta a
difesa del privilegio. Quindi il giorno in cui per cause che sfuggono in gran parte alla nostra volontà
ma che esistono e dovranno produrre i loro effetti, lequilibrio sarà rotto e scoppierà la rivoluzione,
noi ci troveremo come ora in esigua minoranza tra le varie forze in conflitto.
Che cosa dovremo fare?
Disinteressarsi del movimento sarebbe un suicidio morale per ora e per sempre, poichè senza
lopera nostra, senza lopera di quelli che vogliono spingere la rivoluzione fino alla trasformazione
totale di tutti gli ordinamenti sociali, fino allabolizione di tutti i privilegi di tutte le autorità, la
rivoluzione finirebbe senza aver nulla trasformato dessenziale, e noi ci troveremmo nelle stesse
condizioni dora. In unaltra futura rivoluzione saremmo sempre piccola minoranza e dovremmo
ancora disinteressarci del movimento, e cioè rinunziare alla ragione stessa della nostra esistenza che
è quella di combattere sempre per la diminuzione (fino a che non si potrà conseguire labolizione
completa) dellautorità e del privilegio - almeno per noi che crediamo che la propaganda,
leducazione non possa, in ogni dato ambiente sociale, che raggiungere un numero limitato
dindividui, e che occorre cambiare le condizioni ambientali prima che sia possibile lelevazione
morale di un nuovo strato dindividui.
Che fare dunque?
Provocare, se ci è possibile, noi stessi il movimento, parteciparvi in ogni modo con tutte le
nostre forze, imprimervi il carattere più libertario e più egualitario che per noi si potrà, appoggiare
tutte le forze di progresso, difendere il meglio quando non si può raggiungere lottimo; ma
conservare sempre ben distinto il nostro carattere di anarchici che non vogliono il potere, e mal
sopportano che altri lo prenda.
Vè tra gli anarchici - noi diremmo tra sedicenti anarchici - chi pensa che, non essendo le masse
capaci ora di organizzarsi anarchicamente e di difendere la rivoluzione con metodi anarchici,
dovremmo noi stessi impossessarci del potere ed "imporre lanarchia con la forza". (La frase, come
sanno i nostri lettori, è stata pronunziata letteralmente, in tutta la sua crudezza).
Io non starò a ripetere qui che chi crede nella potenza educativa della forza brutale e nella
libertà promossa e sviluppata per opera dei governi, può essere tutto quello che vuole, potrebbe
anche aver ragione contro di noi, ma certamente non può dirsi anarchico se non mentendo a se
stesso ed agli altri...
e. Il pericolo dell'interruzione rivoluzionaria75
A proposito della recensione chio feci nel numero 9 di "Pensiero e Volontà" del libro di
Galleani La fine dellanarchismo? il compagno Benigno Bianchi mi scrive:
"Credo che non ti rincrescerà se ti scrivo per richiamare la tua attenzione su un tuo periodo che
potrebbe provocare malintesi incresciosi. Intendo parlare del secondo capoverso delle parole del
Galleani riportate nel tuo articolo.
"In detto passo il Galleani dice della necessità di sgombrare ai nepoti il terreno dai pregiudizi,
dai privilegi, dalle chiese, dalle galere, dalle caserme, dai lupanari, ecc. È perciò necessario
distruggere e non costruire.
"Tu rispondi candidamente che sarebbe ridicolo, e mortale se si facesse davvero, il voler
distruggere tutti i forni malsani, tutti i mulini anti-economici, tutte le culture arretrate rimettendo ai
posteri la cura di cercare ed applicare metodi migliori per coltivare il grano, per fare la farina e
cuocere il pane.
"O buon Errico, il cuocere il pane, in un modo o nellaltro è indispensabile, come è necessario
coltivare il grano e macinarlo ed il voler distruggere questi mezzi come altri consimili, più che
lessere ridicolo è vera pazzia!
"Quindi queste cose si rinnoveranno, si trasformeranno si perfezioneranno; ma non vorrai mica
rinnovare e perfezionare le galere, le chiese, le caserme, i lupanari e nemmeno i monopoli ed i
privilegi di cui parlava il Galleani.
"A me pare che il paragone non regga e conseguentemente cade tutto lordito dellarticolo critico
in parola. La serietà della Rivista e lautorità della tua parola mal sopportano questi stiracchiamenti
polemici".
Naturalmente le osservazioni del compagno Bianchi non mi rincrescono punto. Al contrario, io
la ringrazio di avermi fornito loccasione di ritornare sopra una questione chio considero di vitale
importanza per lo sviluppo e la riuscita del nostro movimento.
Lasciamo da parte Galleani. Se lho male interpretato egli può dirlo meglio di chiunque altro, ed
io sono sempre pronto a fare ammenda. Discutiamo largomento in sè.
Lesempio del pane da me citato pare al Bianchi uno stiracchiamento polemico: a me invece
sembra calzante. Io ho labitudine (non so se è un pregio o un difetto) di cercare sempre esempi
elementari, semplici, direi anche grossolani, perchè essi scartano tutti gli artifici retorici e mettono a
nudo il nocciolo delle questioni.
I mezzi per fare il pane sono indispensabili, quindi, dice il Bianchi, sarebbe pazzia pensare alla
loro distruzione anzichè al loro perfezionamento. Ma il pane non è la sola cosa indispensabile - io
dico anzi che sarebbe molto difficile trovare una qualsiasi istituzione attuale, anche fra le peggiori,
anche le galere, i lupanari, le caserme, i privilegi, i monopoli, che non risponda direttamente o
indirettamente ad un bisogno sociale e che sia possibile distruggere realmente e permanentemente
se non si sostituisce con qualche cosa che soddisfi meglio il bisogno che lha generata.
Non mi domandate, diceva un compagno, che cosa sostituiremo al colera: questo è un male, ed
il male bisogna distruggerlo e non sostituirlo. È vero, ma il guaio è che il colera perdura e ritorna se
non si sostituiscono condizioni igieniche migliori a quelle che permettono il sorgere ed il propagarsi
dellinfezione.
Il pane è una cosa necessaria, siamo daccordo. Ma la questione del pane è più complessa di
quello che può sembrare a chi vive in un piccolo centro agricolo e magari produce egli stesso il
grano necessario alla sua famiglia. Fornire il pane a tutti e un problema che abbraccia tutta quanta
lorganizzazione sociale; il modo di possedere e di lavorare la terra, i mezzi di scambio, i trasporti,
limportazione del grano se quello che si produce nel paese è insufficiente, la distribuzione tra i vari
centri abitati e poscia tra i singoli consumatori; vale a dire implica le soluzioni da dare alle
questioni della proprietà, del valore, della moneta, del commercio, ecc. Oggi la produzione e la
distribuzione del pane si fa in modo che i lavoratori restano sfruttati ed umiliati, i consumatori
restano derubati, e a spese dei produttori e dei consumatori prospera tutto un esercito di parassiti.
Noi vogliamo invece che il pane si produca e si distribuisca per il maggior bene di tutti, senza
sciupio di forze e di materiale, senza oppressione di alcuno, senza parassitismi, con giustizia e con
bontà; e dobbiamo cercare il modo di realizzare la nostra aspirazione o quanto più è possibile, in un
dato momento, di quella nostra aspirazione i nipoti faranno certamente meglio di noi; ma noi
dobbiamo fare come sappiamo e possiamo - e farlo subito, il giorno stesso della crisi, poichè, se per
linterruzione del servizio ferroviario, o le manovre dei padroni mugnai e fornai, o loccultamento del
prodotti, i grandi centri venissero a mancare di pane (e altre cose di prima necessità) la rivoluzione
sarebbe perduta e trionferebbe la reazione sotto forma di restaurazione, e sotto forma di dittatura.
Distruggiamo i monopoli, daccordo. Ma i monopoli, quando non siano quelli dei bottoncini da
camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone,
trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si
distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nellatto stesso che si mandano
via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che
avveniva sotto di loro.
Bisogna abolire le galere, questi tetri luoghi di pena e di corruzione dove, mentre i detenuti
gemono, i guardiani si fanno il cuore duro e diventano peggiori dei guardati: daccordo. Ma quando
si scopre un satiro che stupra e strazia dei corpicini di povere bimbe bisogna pur provvedere a
metterlo in stato di non poter nuocere, se non si vuole chegli faccia altre vittime e finisca poi
collessere linciato dalla folla. Ci penseranno i futuri? No, dobbiamo pensarci noi, perchè questi fatti
avvengono oggi Nel futuro, speriamo, i progressi della scienza ed il mutato ambiente sociale
avranno rese impossibili quelle mostruosità.
Distruggere i lupanari, questa turpe vergogna umana, vergogna più per chi ne sta fuori che per
le disgraziate che vi stanno dentro: certamente. Ma il lupanare si riformerà subito, pubblico o
clandestino, sempre che vi saranno donne che non trovano lavoro adatto e vita conveniente. Quindi
necessità di unorganizzazione del lavoro in cui vi sia posto per tutti, e unorganizzazione del
consumo in modo che tutti possano soddisfare i loro bisogni.
Abolire il gendarme, questuomo che protegge con la forza tutti i privilegi ed è il simbolo
vivente dello Stato: daccordissimo. Ma per potere abolirlo permanentemente e non vederlo
ricomparire sotto altro nome ed altra uniforme, occorre saper vivere senza di esso, cioè senza
violenza, senza sopraffazioni senza ingiustizie, senza privilegi.
Abolire lignoranza: daccordo. Ma evidentemente bisogna prima istruire ed educare, e prima
ancora creare condizioni sociali, che permettano a tutti di profittare delleducazione e dellistruzione.
"Lasciare ai nepoti una terra senza privilegi, senza chiese, senza tribunali, senza lupanari, senza
caserme, senza ignoranza, senza stolide paure". Sì, questo è il nostro sogno e per realizzare questo
sogno noi combattiamo. Ma questo significa lasciar loro una nuova organizzazione sociale, nuove e
migliori condizioni morali e materiali. Non si può sgomberare il terreno e lasciarlo nudo, se su di
esso debbono vivere degli uomini: non si può distruggere il male senza sostituirvi il bene, o almeno
qualche cosa che sia meno male.
Non si tratta dimporre niente ai nepoti. È da sperare, ripeto, chessi faranno meglio di noi; ma
noi dobbiamo fare oggi quel che sappiamo e possiamo, per vivere noi, e per lasciare ai nepoti
qualche cosa di più che belle parole e vaporose aspirazioni.
È uno stato danimo che, malgrado molta propaganda in contrario, persiste ancora in parecchi
compagni e che, secondo me, sarebbe urgente cambiare.
La convinzione, che è anche la mia, della necessità di una rivoluzione per eliminare le forze
materiali che stanno a difendere il privilegio e ad impedire ogni reale progresso sociale, ha fatto sì
che molti han dato importanza esclusiva al fatto insurrezionale senza pensare a quello che bisogna
fare perchè una insurrezione non resti uno sterile atto di violenza a cui poi verrebbe a rispondere un
altro atto di violenza reazionaria. Per questi compagni tutte le questioni pratiche, le questioni di
organizzazione, il modo di provvedere al pane quotidiano sono oggi questioni oziose: sono cose,
essi dicono che si risolveranno da sè, o le risolveranno i posteri.
Ricordo il 1920, quando ero incaricato della direzione di "Umanità Nova". Era lepoca in cui i
socialisti cercavano dimpedire la rivoluzione, e purtroppo vi riuscirono, dicendo che, in caso di
movimento insurrezionale, le comunicazioni collestero sarebbero interrotte e che saremmo morti
tutti di fame per mancanza di grano: vi fu perfino chi disse che la rivoluzione non si poteva fare
perchè in Italia non si produce caucciù! Io, preoccupato della questione essenziale
dellalimentazione e convinto che la deficienza di grano si poteva compensare utilizzando tutte le
terre disponibili per la cultura di piante e semi nutritivi a rapido sviluppo, pregai il nostro
compagno dottor Giovanni Rossi, agronomo provetto, di scrivere una serie di articoli con nozioni
pratiche di agricoltura dirette appunto allo scopo che avevamo in vista. Il Rossi gentilmente lo fece.
Era cosa evidentemente utilissima ma era cosa pratica e perciò non piacque a tutti. Vi fu un
compagno, irritato perchè io gli avevo rifiutato linserzione non so più se di una poesia o di una
novella, il quale mi disse bruscamente: "Già, tu preferisci che in "Umanità Nova" si parli di aratri,
di fagioli, di cavoli e simili sciocchezze!"
Ed un altro compagno, che la pretendeva allora a superanarchico, tirava incoscientemente la
conseguenza logica di quello stato danimo. Messo colle spalle al muro in una discussione, come
quella che facciamo adesso mi rispose: "Ma queste sono cose che non mi riguardano. A provvedere
il pane ed il resto ci debbono pensare i dirigenti".
E la conclusione è proprio questa: o alla riorganizzazione sociale ci pensiamo tutti, ci pensano i
lavoratori da loro stessi e ci pensano subito, mano mano che vanno distruggendo il vecchio, e si
avrà una società più umana, più giusta, più aperta ai progressi futuri; o ci penseranno "i dirigenti" e
avremo un nuovo governo, che farà quello che han fatto sempre i governi, cioè farà pagare alla
massa gli scarsi e cattivi servizi che rende, togliendole la libertà e lasciandola sfruttare da parassiti e
privilegiati di tutte le specie.
d. La sicurezza pubblica76
Il mio articolo del n. 10 Demoliamo e poi? ha lasciato perplesso qualche compagno, forse
perchè scuoteva delle vecchie abitudini mentali, o forse piuttosto perchè io non sviluppai
abbastanza il mio pensiero e riuscii oscuro.
Cercherò di spiegarmi meglio.
Cè, per esempio, il compagno Salvatore Carrone il quale immagina nientedimeno! chio, dopo o
durante la rivoluzione, vorrei conservare provvisoriamente gendarmi, tribunali, galere, e tutto
lapparato repressivo dello Stato; e getta il suo grido dallarme contro questo che ci lascerebbe nel
circolo vizioso: la reazione che provoca la rivoluzione e la rivoluzione che sbocca in una nuova
reazione. E giustamente osserva che "la rivoluzione può essere guidata da uomini di cuore, di buon
senso e volenterosi di fare il bene, ma a poco a poco attorno a questi buoni sinfiltrano torbidi
elementi che avendo una vasta rete daccoliti sparsi nella nazione, accerchiano i buoni e fatalmente li
spodestano, o questi per reggersi al potere tradiscono la rivoluzione, adoperando per la bisogna
appunto il gendarme, e il tribunale coi suoi accessori".
Perfettamente daccordo, ed io non ho mai detto cosa diversa.
Io dico che per abolire il gendarme e tutte le istituzioni sociali malefiche bisogna sapere che
cosa vogliamo sostituirvi, non in un domani più o meno lontano, ma subito, il giorno stesso della
demolizione. Non si distrugge, realmente e permanentemente, se non quello che si sostituisce; e
rimandare a più tardi la soluzione dei problemi che si presentano collurgenza della necessità
sarebbe dare alle istituzioni che si pretende abolire il tempo di rifarsi della scossa ricevuta ed
imporsi di nuovo, forse con altri nomi, ma certo colla stessa sostanza.
Le nostre soluzioni potranno essere accettate da una parte sufficiente della popolazione ed
avremo fatto lanarchia, o un passo verso lanarchia; o potranno non essere comprese ed accettate e
allora la nostra opera servirà per propaganda, e poserà innanzi al grande pubblico il programma del
prossimo avvenire. Ma in ogni caso delle soluzioni nostre dobbiamo averle: soluzioni provvisorie,
rivedibili, e correggibili sempre al lume dellesperienza, ma necessarie se non vogliamo subire
passivamente le soluzioni degli altri, limitandoci alla poco proficua funzione dì brontoloni incapaci
ed impotenti.
A proposito di gendarmi io citavo il caso del satiro e dicevo della necessità di provvedere a
metterlo nellimpossibilità di nuocere.
Il Carrone sembra propendere per il linciaggio. È una soluzione primitiva, selvaggia, che
ripugna alla mentalità moderna, ma è una soluzione; e varrebbe sempre meglio che la beata fiducia
che quelle cose, fatta la rivoluzione, non avverranno più, o il magro espediente di rimandare il
problema ai nepoti. Senonchè avverrebbe come è sempre avvenuto in casi simili (ed anche
recentemente a Roma ed altrove) che la folla irritata, commossa, non sapendo con chi prendersela,
si scagli chi sa su quanti poveri diavoli indicati al suo furore da donne rese isteriche dallo sdegno e
dalla paura. E allora la gente calma invocherebbe lintervento della polizia, di una qualsiasi polizia
professionale... che a sua volta molesterebbe molti innocenti e dabitudine non riuscirebbe a trovare
il colpevole.
Che cosa bisognerebbe dunque fare?
Persuadere la gente che la sicurezza pubblica, la difesa della incolumità e della libertà di
ciascuno deve essere affidata a tutti; che tutti debbono vigilare, che tutti debbono mettere allindice
il prepotente ed intervenire in difesa del debole, che i compaesani, i vicini, i compagni di lavoro
debbono alloccorrenza farsi giudici e, nei casi estremi, come quello in discussione, affidare chi è
riconosciuto colpevole alla custodia ed alla cura di un manicomio, aperto sempre al controllo del
pubblico. Ed in ogni caso evitare che la difesa contro i delinquenti diventi una professione e serva
di pretesto alla costituzione di tribunali permanenti e di corpi armati, che diventerebbero presto
strumenti di tirannide.
Ma insomma questa della delinquenza non è che una questione secondaria, per quanto sia la
prima che si affaccia alla mente di coloro a cui si parla per la prima volta dellinutilità e della
nocuità del governo. Nessuno pretenderà che qualche satiro o qualche prepotente sanguinano
possano arrestare il corso della rivoluzione!
Limportante, limmediatamente urgente è lorganizzazione della vita materiale, la soddisfazione
cioè dei bisogni primordiali ed il lavoro che a quei bisogni deve provvedere. Poichè quello che non
riusciremo noi a fare ed a far fare con metodi nostri sarà fatto necessariamente da altri con metodi
autoritari.
Lanarchia non si realizzerà se non quando si saprà vivere senza autorità, ed in quelle
proporzioni in cui si riuscirà a fare a meno dellautorità.
Ma ciò non vuoi dire che bisogna, come il Carrone pensa o crede chio pensi, "aiutare in caso di
rivoluzione il partito più affine colla speranza che questo faccia meno reazione durante lopera
nostra di sostituire il bene al male".
Noi possiamo avere rapporti di cooperazione coi partiti non anarchici finché abbiamo con loro
un nemico comune da combattere e che non potremmo abbattere da soli; ma dal momento che un
partito va al potere e diventa governo, noi non possiamo avere con lui che rapporti di nemico a
nemico.
Certamente noi abbiamo interesse, finchè esiste un governo, che questo sia il meno oppressivo,
cioè il meno governo possibile. Ma la libertà, anche una libertà relativa, non si ottiene da un
governo aiutandolo. Si ottiene solo facendogli sentire il pericolo di troppo comprimere.
4. IL RUOLO DEL MOVIMENTO ANARCHICO
a. Revisionismo anarchico?77
...Premetto che di "atti di contrizione" non ne ho fatto alcuno. Io potrei facilmente documentare
che quello che dico adesso sono andato dicendolo da anni; e se ora vinsisto di più ed altri vi fa più
attenzione di prima si è perchè i tempi sono più maturi, in quanto lesperienza ha persuasi molti, i
quali prima si pascevano di quel beato ottimismo kropotkiniano, che io solevo chiamare
"provvidenzialismo ateo", a scendere dalle nuvole e tener calcolo delle cose quali sono, tanto
differenti da quelle che si vorrebbe che fossero.
Ma lasciamo questi ricordi storici dinteresse personale, e veniamo alla questione generale ed
attuale.
Noi di questa rivista, al pari di altri compagni in altre pubblicazioni nostre, non abbiamo per
nulla preteso di avere bella e pronta la soluzione infallibile ed universale di tutti i problemi che ci si
affacciano alla mente; ma, riconosciuta la necessità di un programma pratico, adattabile alle varie
circostanze che possono presentarsi nello svolgersi della vita sociale prima, durante e dopo la
rivoluzione, abbiamo invitato tutti i compagni che hanno delle idee da esporre e delle proposte da
fare a concorrere alla elaborazione di detto programma. Quindi, quelli che trovano che tutto è
andato bene finora e che bisogna continuare come per il passato, non hanno che da difendere il loro
punto di vista; mentre gli altri che daccordo con noi pensano che bisogna prepararsi
intellettualmente e materialmente alla funzione pratica spettante agli anarchici, anzichè aspettare
passivamente il verbo nostro dovrebbero cercare di dare essi stessi il loro contributo al dibattito che
li interessa.
Per conto mio, io credo che non vi sia "una soluzione" ai problemi sociali, ma mille soluzioni
diverse e variabili, come è diversa e variabile, nel tempo e nello spazio, la vita sociale.
In fondo, tutte le intuizioni, tutti i progetti, tutte le utopie sarebbero egualmente buone a
risolvere il problema, cioè a contentar la gente, se tutti gli uomini avessero gli stessi desideri e le
stesse opinioni e si trovassero nelle stesse condizioni. Ma questa unanimità di pensiero e questa
identità di condizioni sono impossibili e a dir vero non sarebbero nemmeno desiderabili; e perciò
nella nostra condotta attuale e nel nostro progetto davvenire dobbiamo tener presente che non
viviamo, e non vivremo neppure domani in un mondo popolato da soli anarchici: invece siamo e
saremo ancora per lungo tempo una minoranza relativamente piccola. Isolarsi non è generalmente
possibile, e qualora lo fosse sarebbe a detrimento della missione che ci siamo dati, nonchè del
nostro benessere personale. Bisogna dunque trovare il modo di vivere in mezzo ai non anarchici nel
modo il più anarchico possibile e con il maggior vantaggio possibile per la propaganda e per
lattuazione delle nostre idee.
Noi vogliamo fare la rivoluzione, perchè crediamo nella necessità di un cambiamento radicale,
che non può essere pacifico a causa della resistenza dei poteri costituiti, negli ordinamenti politici
ed economici vigenti per creare un nuovo ambiente sociale che renda possibile quellelevamento
morale e materiale delle masse che la propaganda, leducazione, è impotente a produrre nelle
circostanze attuali, ma non potremmo fare una rivoluzione esclusivamente "nostra" appunto perchè
siamo piccola minoranza, perchè non abbiamo il consenso delle masse e non vorremmo, anche
potendolo, imporre con la forza la volontà nostra per non andare contro i fini che ci proponiamo.
Dunque, per uscire dal circolo vizioso, dobbiamo contentarci di fare una rivoluzione il più "nostra"
che sia possibile, favorendo e partecipando, moralmente e materialmente, ad ogni movimento
diretto nel senso della giustizia e della libertà e maggiore giustizia. E questo non significa
"accodarci" agli altri partiti, ma spingerli avanti e mettere le masse in presenza dei vari metodi
affinché possano giudicare e scegliere. Potremo essere abbandonati, traditi, come ci è avvenuto altre
volte; ma bisogna ben correrne il rischio se non si vuoi restare praticamente inattivi e rinunziare ad
apportare la forza delle nostre idee e della nostra azione nel corso della storia.
Altra osservazione... Il socialismo nel senso largo; della parola, laspirazione al socialismo si
presenta quale problema di distribuzione in quanto è lo spettacolo della miseria dei lavoratori di
fronte allagiatezza ed al lusso dei parassiti e la rivolta morale contro la patente ingiustizia sociale
che hanno spinto i sofferenti e tutti gli uomini di cuore a ricercare ed immaginare dei modi migliori
di convivenza sociale. Ma la realizzazione del socialismo - sia esso anarchico o autoritario,
mutualista o individualista, ecc. - è eminentemente problema di produzione. Quando la roba non cè,
è vano cercare il miglior modo di distribuirla, e se gli uomini sono ridotti a contendersi il tozzo di
pane, i sentimenti di amore e di fratellanza si trovano in gran pericolo di cedere il passo alla lotta
brutale per la vita.
Oggi fortunatamente i mezzi di produzione abbondano. La meccanica, la chimica, lagraria, ecc,
hanno centuplicata la potenza produttiva del lavoro umano. Ma bisogna lavorare, e per lavorare
utilmente bisogna sapere: sapere come si deve lavorare e come si può economicamente organizzare
il lavoro.
Se gli anarchici vogliono agire efficacemente fra la concorrenza dei diversi partiti bisogna che
si approfondiscano, ciascuno nel ramo in cui si sente più adatto, nello studio di tutti i problemi
teorici e pratici del lavoro utile.
Ancora. Noi non siamo più in tempi ed in paesi in cui bastava ad una famiglia un pezzo di terra,
una vanga, un pugno di semi, una vacca ed un po di galline per vivere soddisfatta. Oggi i bisogni si
sono moltiplicati e complicati in modo enorme. Lineguale distribuzione naturale delle materie
prime obbliga ogni agglomerazione duomini ad avere rapporti internazionali. La stessa densità della
popolazione rende, nonchè miserabile, assolutamente impossibile la vita delleremita, se fossero
molti ad avere di quei gusti.
Noi abbiamo bisogno di ricevere i prodotti di tutto il globo, noi vogliamo la scuola, la ferrovia,
la posta, il telegrafo, il teatro, la pubblica igiene, il libro, il giornale, ecc.
Tutto questo, che è il frutto della civiltà, bene o male funziona: funziona a vantaggio
principalmente delle classi privilegiate, ma funziona; ed i benefici possono con relativa facilità
essere estesi a tutti, quando fosse abolito il monopolio della ricchezza e del potere.
Vogliamo noi distruggerlo?
O siamo in grado di organizzarlo subito in modo migliore?
La vita sociale, specialmente la vita economica non ammette interruzione. Bisogna mangiare
ogni giorno, bisogna ogni giorno alimentare i fanciulli, i malati, glimpotenti; e vi sarebbe anche chi
dopo aver fatto le schioppettate durante la giornata vorrebbe la sera andare al cinema. Per
provvedere a questi bisogni improrogabili - lasciamo stare il cinema - vi è tutta unorganizzazione
commerciale, che compie male, ma in qualche modo compie la sua funzione. Bisogna
evidentemente utilizzarla, togliendole quanto più è possibile del suo carattere sfruttatore ed
accaparratore.
È tempo di finirla con quella retorica - poichè non si tratta che di retorica - che voleva
compendiare tutto il programma anarchico nel famoso "demoliamo".
Demoliamo, sì, o cerchiamo di demolire, ogni tirannia, ogni privilegio. Ricordiamoci però, che
governo e capitalismo sono solamente delle superstrutture che tendono a restringere i benefizi della
civiltà ad un piccolo numero dindividui, e che per abolirli non occorre rinunziare a nessuno dei
prodotti dellingegno e del lavoro umano. E quindi è ben più quello che bisogna conservare di quello
che bisogna distruggere.
In quanto a noi non dobbiamo distruggere se non quello che possiamo sostituire con cosa
migliore. Ed intanto lavorare in tutti i rami per migliorarci e migliorare: rifiutandoci sintende ad
accettare ed esercitare qualunque funzione coercitiva.
Ho gettato giù qualche osservazione. Altre ne farò quando capiterà loccasione.
I compagni le tengano nel conto che credono, e se pare loro che ne valga la pena, ne facciano
argomento di discussione.
Ma per carità, non aspettino da noi la formula magica.
Noi non siamo e non vogliamo parere dei padri eterni.
b. La funzione degli anarchici78
Vi è in una sezione del nostro movimento un gran fervore di discussioni sui problemi pratici che
la rivoluzione dovrà risolvere.
Ed è questo un gran bene e di ottimo augurio, anche se le soluzioni proposte finora non sono nè
abbondanti nè soddisfacenti.
È passato il tempo in cui si pensava che linsurrezione bastasse a tutto, e che una volta vinti
lesercito e la polizia ed abbattuti tutti i poteri costituiti, il resto, che era poi lessenziale, verrebbe da
sè.
Siamo dunque daccordo nel pensare che oltre il problema di assicurare la vittoria contro le forze
materiali dellavversario vi è anche il problema di far vivere la rivoluzione dopo la vittoria. Siamo
daccordo che una rivoluzione la quale producesse il caos non sarebbe vitale.
Ma non bisogna esagerare: non bisogna credere che noi si debba e si possa fin dora trovare una
soluzione ideale per tutti i possibili problemi. Non bisogna voler troppo prevedere e troppo
determinare, altrimenti invece di preparare lanarchia faremmo dei sogni irrealizzabili oppure
cadremmo nellautoritarismo e, coscientemente o no, ci proporremmo di agire come un governo che
in nome della libertà e della volontà popolare sottopone il popolo al proprio dominio.
Mi accade infatti di leggere le più strane cose: strane se si considera che sono scritte da
anarchici.
Un compagno, ad esempio, dice che "le folle avrebbero ragione dinveire contro di noi se dopo
di averle invitate ai dolorosissimi sacrifici di una rivoluzione si dicesse loro: fate ciò che la volontà
vi suggerisce, raggruppatevi, producete convivete come meglio vi aggrada".
Ma come! non abbiamo noi sempre detto alle folle che non debbono aspettarsi il bene nè da noi
nè da altri, che il bene debbono conquistarselo da loro stesse e che avranno solo quello che
sapranno prendere e conserveranno solo quello che sapranno difendere? È giusto e naturale che noi,
iniziatori e propulsori e parte della massa noi stessi, dobbiamo cercare di spingere il movimento
nella direzione che ci sembra migliore e perciò essere preparati il più possibile per le cose che si
debbono fare, ma resta sempre fondamentale il principio che la decisione spetta alla libera volontà
degli interessati.
Leggo pure: "Creeremo un regime che se non sia del tutto libertario abbia limpronta nostra e
soprattutto dia adito alla progressiva attuazione dei nostri postulati".
Che cosa è questo? Un piccolo governo, bono bono, che avrà cura di suicidarsi al più presto per
far luogo allanarchia!!!
Ma non eravamo già daccordo nel pensare che ogni governo ha tendenza non a suicidarsi, ma a
perpetuarsi e diventare sempre più dispotico, e che missione degli anarchici è quella di combattere,
anche se obbligati a subirlo, qualunque regime non fondato sulla libertà piena e intera? E non
dicevamo anche che gli anarchici al potere non potrebbero fare diversamente dagli altri?
Un altro compagno, tra quelli che più si preoccupano della necessità di avere un "piano" e che
in sostanza non spera che nei sindacati operai, dice:
"A rivoluzione trionfata, si affidi alla classe lavoratrice - già da noi precedentemente educata a
questa grande funzione sociale - la gestione di tutti i mezzi di produzione, di trasporto, di scambio,
ecc.".
Già da noi precedentemente educata a questa grande funzione sociale! Ma tra quanti secoli quel
compagno vuol fare la invocata rivoluzione? E almeno bastassero i secoli! Ma il fatto è che non si
educa la massa se essa non si trova nella possibilità e nella necessità di fare da sè, e che
lorganizzazione rivoluzionaria dei lavoratori, utile e necessaria finchè si vuole, non può estendersi e
durare indefinitamente: arrivata ad un certo punto, se non sbocca nellazione rivoluzionaria, o il
governo la strozza, o essa da se stessa si corrompe o si sfascia - e bisogna ricominciare da capo.
Come è vero che gli uomini "pratici" sono spesso i più ingenui utopisti!
Ma tutta questa discussione non saprebbe forse alquanto di accademia se nel caso concreto si
trattasse di un paese in cui la libera organizzazione dei lavoratori è distrutta ed interdetta, la libertà
di stampa, di riunione, di associazione soppresse ed i propagandisti anarchici, socialisti, comunisti,
repubblicani sono o rifugiati allestero, o relegati nelle isole, o chiusi in prigione, o messi altrimenti
in condizioni di non poter nè parlare, nè muoversi e quasi neppure respirare?
Si può ragionevolmente sperare che il prossimo rivolgimento, in un paese ridotto nelle
condizioni descritte, sarà la rivoluzione sociale in tutto il senso ampio e profondo che noi diamo
alla parola? Non sembra che oggi il possibile e lurgente sia piuttosto la riconquista delle condizioni
necessarie alla propaganda e allorganizzazione?
A me sembra che la ragione per cui si veggono tante difficoltà e si cade in tante incertezze e
contraddizioni si è che o si vuole fare lanarchia senza anarchici, o perchè si crede che la propaganda
basti a convertire allanarchia tutta o gran parte della popolazione prima che le condizioni ambientali
siano radicalmente mutate.
Vi è chi suol dire che "la rivoluzione sarà anarchica o non sarà". Ancora una di quelle frasi
deffetto che guardate in fondo o non dicono nulla o dicono uno sproposito. Infatti, se sintende dire
che la rivoluzione quale la vorremmo noi deve essere anarchica, si fa una vera tautologia, cioè un
giro di parole che non spiega nulla, come se si dicesse, per esempio, la carta bianca deve essere
bianca. Se poi sintende dire che non vi può essere altra rivoluzione che quella anarchica, allora si
dice uno sproposito perchè vi sono stati e certamente vi saranno ancora nella vita delle società
umane dei movimenti che, cambiando radicalmente le condizioni esistenti danno una nuova
direzione alla storia successiva, e perciò meritano il nome di rivoluzioni. Ed io non saprei
ammettere che tutte le rivoluzioni passate pur non essendo anarchiche siano state inutili, nè che
saranno inutili quelle future che non saranno ancora anarchiche. Anzi inclino a credere che il
trionfo completo dellanarchia, piuttosto che per rivoluzione violenta, verrà per evoluzione,
gradualmente, quando una precedente o delle precedenti rivoluzioni avranno distrutti i più grossi
ostacoli militari ed economici, che si oppongono allo sviluppo morale delle popolazioni, allaumento
della produzione fino al livello dei bisogni e dei desideri e allarmonizzazione deglinteressi
contrastanti.
In ogni modo, se teniamo conto delle nostre scarse forze e delle disposizioni prevalenti tra le
masse e se non vogliamo prendere per realtà i nostri desideri, dobbiamo aspettarci che la prossima,
forse imminente, rivoluzione non sarà anarchica, e perciò quello che più urge è di pensare a quello
che possiamo e dobbiamo fare in una rivoluzione in cui non saremo che una minoranza
relativamente piccola e mal armata.
Alcuni compagni, forse suggestionati ancora dalle vanterie socialiste e dalle illusioni che fece
nascere la rivoluzione russa, credono che il compito degli autoritari sia più facile del nostro perchè
essi hanno un "piano"; impossessarsi del potere e imporre con la forza i loro sistemi.
Ciò non è vero. Il desiderio di afferrare il potere socialisti e comunisti ce lhanno certamente, ed
in date circostanze possono riuscirci. Ma i più intelligenti tra loro sanno bene che stando al potere
potrebbero bensì tiranneggiare il popolo e sottoporlo ad esperimenti capricciosi e pericolosi,
potrebbero sostituire alla borghesia attuale una nuova classe privilegiata, ma il socialismo non
potrebbero farlo, il "piano" non potrebbero applicarlo. Come si può mai distruggere una società
millenaria e fondare una nuova e migliore società con decreti fatti da pochi uomini ed imposti colle
baionette! Ed è questa la ragione onesta (delle altre meno confessabili ragioni non voglio
occuparmi) è questa la ragione onesta per la quale in Italia socialisti e comunisti negarono il loro
concorso ed impedirono la rivoluzione quando cera la possibilità di farla. Essi sentivano che non
avrebbero potuto dominare la situazione ed avrebbero dovuto o lasciar libero il campo agli
anarchici o farsi strumenti della reazione. Nei paesi poi dove al potere ci sono andati si sa quello
che hanno fatto.
Il compito nostro, se solamente avessimo la forza materiale per sbarazzarci della forza materiale
che ci opprime, sarebbe di molto più facile, perchè noi non pretendiamo dalla massa se non quello
che la massa è capace e vogliosa di fare, limitandoci a fare tutto quello che possiamo per
svilupparne la capacità e la volontà.
Dobbiamo guardarci però dal diventare noi stessi meno anarchici perchè la massa non è capace
danarchia. Se la massa vorrà un governo, noi probabilmente non potremo impedire che un nuovo
governo si formi, ma non dovremo meno per questo fare il possibile per persuadere la gente che il
governo è inutile e dannoso e per impedire che il nuovo governo simponga anche a noi ed a quelli
che non lo vogliono. Noi dovremo adoperarci perchè la vita sociale, e specialmente la vita
economica, continui e migliori senza lintervento del governo, e perciò dobbiamo essere preparati il
più possibile pei problemi pratici della produzione e della distribuzione, ricordandoci daltronde che
i più adatti ad organizzare il lavoro sono quelli che lo fanno, ciascuno nel proprio mestiere.
Noi dovremo cercare di essere parte attiva, e se possibile preponderante, nellatto insurrezionale.
Ma, abbattute le forze repressive che servono a tenere il popolo nella schiavitù, disfatti lesercito, la
polizia, la magistratura, ecc., armata tutta la popolazione perchè possa opporsi ad ogni ritorno
offensivo della reazione, indotti i volonterosi a prendere in mano lorganizzazione della cosa
pubblica ed a provvedere, con criteri di giustizia distributiva, ai bisogni più urgenti servendosi con
parsimonia delle ricchezze esistenti nelle varie località, dovremo adoperarci perchè si eviti ogni
sperpero e si rispettino e si utilizzino quelle istituzioni, quei costumi, quelle abitudini, quei sistemi
di produzione, di scambi, dassistenza che compiono, sia pure in modo insufficiente e cattivo, delle
funzioni necessarie, cercando bensì di far sparire ogni traccia di privilegio, ma guardandoci dal
distruggere ciò che non si può ancora sostituire con qualche cosa che risponda meglio al bene di
tutti. Spingere gli operai ad impossessarsi delle fabbriche, federarsi tra loro e lavorare per conto
delle collettività, e così spingere i contadini ad impossessarsi delle terre e dei prodotti usurpati dai
signori ed intendersi cogli operai pei necessari scambi.
Se non potremo impedire la costituzione di un nuovo governo, se non potremo abbatterlo
subito, dovremo in tutti i casi negargli ogni concorso. Negare il servizio militare, negare il
pagamento delle imposte. Non ubbidire per principio, resistere fino allultima estremità ad ogni
imposizione delle autorità e rifiutarsi assolutamente ad accettare qualunque posto di comando.
Se non potremo abbattere il capitalismo, dovremo esigere per noi e per tutti quelli che vogliono
il diritto alluso gratuito dei mezzi di produzione necessari per una vita indipendente.
Consigliare quando avremo consigli da dare, insegnare se sappiamo più degli altri; dar lesempio
della vita per libero accordo; difendere, anche colla forza, se è necessario e se è possibile, la nostra
autonomia contro qualunque pretesa governativa... ma comandare mai.
Cosi non faremo lanarchia, perchè lanarchia non si fa contro la volontà della gente, ma almeno
la prepareremo.
e. La libera sperimentazione79
La presente, incerta, tormentata, instabile situazione politico-sociale dellEuropa e del mondo,
che dà luogo a tutte le speranze ed a tutti i timori, rende più che mai urgente il bisogno di tenersi
pronti per i più o meno prossimi, ma immancabili rivolgimenti. E perciò si ravviva la discussione,
del resto sempre attuale, del modo come adattare le nostre aspirazioni ideali alla realtà contingente
dei vari paesi, e passare dalla predicazione ideale alla pratica realizzazione.
E, come è naturale in un movimento quale è il nostro, che non riconosce autorità di uomini e di
testi ed è tutto fondate sulla libera critica, varie sono le opinioni e varia la tattica seguita.
Così, alcuni dedicano tutta la loro attività a perfezionare predicare lideale, senza poi troppo
guardare se sono compresi e seguiti e se quellideale sia o non applicabile nello stato attuale della
mentalità popolare e delle esistenti risorse materiali Essi, più o meno esplicitamente ed in gradi che
variano da persona a persona, restringono il compito degli anarchici, oggi alla demolizione degli
attuali istituti oppressivi e repressivi, domani alla vigile sorveglianza contro il costituirsi di nuovi
governi e nuovi privilegi, trascurando tutto il resto, che è poi il grave, ineluttabile ed improrogabile
problema della riorganizzazione sociale sopra basi libertarie. Essi credono, per quel che riguarda i
problemi di ricostruzione, che tutto si accomodi da sè, spontaneamente, senza preparazione
precedente e senza piani prestabiliti, grazie ad una mitica capacità creativa della massa, o in forza di
una pretesa legge naturale per la quale, non appena eliminata la violenza statale ed il privilegio
capitalistico, gli uomini diventerebbero tutti buoni ed intelligenti, sparirebbero subito gli
antagonismi dinteressi, e labbondanza, la pace, larmonia regnerebbero sovrane nel mondo.
Altri invece, animati soprattutto dal desiderio di essere, o sembrare pratici, preoccupati dalle
prevedibili difficoltà della situazione allindomani della rivoluzione, consci della necessità di
conquistare ladesione del grosso pubblico, o almeno di vincerne le ostili prevenzioni causate
dallignoranza dei nostri propositi, vorrebbero formulare un programma, un piano completo di
riorganizzazione sociale, che rispondesse a tutte le difficoltà e potesse soddisfare quelli che, con
frase tradotta dallinglese, han preso a chiamare "luomo della strada", cioè luomo qualunque che non
ha partito preso, non ha idee determinate, giudica a volta a volta secondo che è ispirato dalle
passioni e dagli interessi del momento.
Da parte mia, credo che gli uni e gli altri hanno la loro parte di ragione e la loro parte di torto; e
che, se non fosse la malaugurata tendenza allesagerazione ed allesclusivismo, le due opinioni
potrebbero contemperarsi e completarsi luna con laltra per adeguare la nostra condotta alle esigenze
dellideale ed alle necessità della situazione, e raggiungere cosi la massima efficienza pratica, pur
restando strettamente fedeli al nostro programma di libertà e giustizia integrali.
Negligere tutti i problemi di ricostruzione, o prestabilire piani completi ed uniformi sono due
errori, due eccessi, che per vie diverse menerebbero alla nostra sconfitta in quanto anarchici ed al
trionfo di nuovi o vecchi regimi autoritari. La verità sta nel mezzo.
È assurdo il credere che, abbattuti i governi ed espropriati i capitalisti, "le cose si
accomoderanno da sè", senza lazione di uomini che abbiano unidea preconcetta sul da farsi e si
mettano subito allopera per farlo. Forse ciò potrebbe accadere - e magari sarebbe preferibile che
così accadesse - se si avesse tempo di aspettare che la gente, tutta la gente, trovasse modo, provando
e riprovando, di soddisfare nel miglior modo i propri bisogni e i propri gusti, daccordo con i bisogni
e con i gusti degli altri. Ma la vita della società, come la vita degli individui non ammette
interruzioni. Lindomani immediato della rivoluzione anzi il giorno stesso dellinsurrezione, bisogna
provvedere allalimentazione ed agli altri bisogni urgenti della popolazione, e quindi occorre
assicurare la continuazione della produzione necessaria (pane, ecc.), il funzionamento dei principali
servizi pubblici (acqua, trasporti, elettricità, ecc.) e lo scambio ininterrotto tra le città e le
campagne.
Più tardi le maggiori difficoltà spariranno: il lavoro organizzato direttamente da coloro che
realmente lavorano diventerà facile ed attraente; labbondanza della produzione renderà inutile ogni
calcolo sul rapporto tra prodotti fatti e prodotti consumati e ciascuno potrà davvero "prendere nel
mucchio" quello che gli piace; le mostruose agglomerazioni cittadine si dissolveranno, la
popolazione si distribuirà razionalmente su tutto il territorio abitabile, ed ogni località, ogni
raggruppamento, pur conservando ed aumentando a benefizio di tutti tutte le comodità fornite dalle
grandi imprese industriali e pur restando legato a tutta lumanità per sentimento di simpatia e di
solidarietà umane, potrà in generale bastare a sè stesso e non essere afflitto dalle opprimenti e
dispendiose complicazioni della vita economica attuale. Ma queste, e mille altre belle cose che si
possono immaginare, riguardano lavvenire, mentre ora urge pensare al modo di vivere oggi, nella
situazione che la storia ci ha tramandata e che la rivoluzione, cioè un atto di forza, non potrà
cambiare radicalmente, da un giorno allaltro, come con un colpo di bacchetta magica. E poichè,
bene o male, bisogna vivere, se noi non sapremo o non potremo fare il necessario, lo faranno altri
con scopi e risultati opposti a quelli a cui miriamo noi.
Non bisogna trascurare "luomo della strada", che è poi in tutti i paesi la grande maggioranza
della popolazione, e senza il cui concorso non vè emancipazione possibile; ma non bisogna neppure
fare troppo affidamento sulla sua intelligenza e sulla sua capacità diniziativa.
Luomo ordinario, "luomo della strada", ha molte ottime qualità, ha immense potenzialità che
danno sicura speranza chesso potrà un giorno formare lumanità ideale che noi vagheggiamo; ma
esso ha intanto un grave difetto che spiega in gran parte il sorgere ed il persistere delle tirannie:
esso non ama pensare, ed anche nei suoi conati di emancipazione segue sempre più volentieri chi gli
risparmia la fatica di pensare e prende su di sè la responsabilità di organizzare, dirigere... e
comandare. Esso, purchè non lo si disturbi troppo nelle sue abitudini, è soddisfatto se altri pensa per
lui e gli dice quello che deve fare anche se a lui non resta che il dovere di lavorare e di ubbidire.
Questa debolezza, questa tendenza della folla ad aspettare e seguire gli ordini di chi si mette alla
sua testa, ha mandato a male tante rivoluzioni e continua ad essere il pericolo che minaccia le
rivoluzioni prossime future.
Se la folla non fa da sè e subito, bisogna bene che provvedano al necessario gli uomini di buona
volontà, capaci di iniziativa e di decisione. Ed è in questo, cioè nel modo di provvedere alle
necessità urgenti, che dobbiamo distinguerci nettamente dai partiti autoritari.
Gli autoritari intendono risolvere la questione costituendosi in governo ed imponendo colla
forza il loro programma. Essi possono anche essere in buona fede e credere sinceramente di fare il
bene di tutti, ma in realtà, ostacolando la libera azione popolare, non riuscirebbero ad altro che a
creare una nuova classe privilegiata interessata a sostenere il nuovo governo, ed in sostanza a
sostituire una tirannia con unaltra.
Gli anarchici devono bensì sforzarsi di rendere il meno faticoso possibile il passaggio dallo stato
di servitù a quello di libertà , fornendo al pubblico il più possibile didee pratiche ed immediatamente
applicabili, ma debbono guardarsi bene dallincoraggiare quellinerzia intellettuale e quella tendenza
a lasciare fare agli altri ed ubbidire, che abbiamo lamentate.
La rivoluzione, per riuscire veramente emancipatrice, dovrà svolgersi liberamente in mille modi
diversi, corrispondenti alle mille diverse condizioni morali e materiali degli uomini doggi per la
libera iniziativa di tutti e di ciascuno. E noi dovremo suggerire e realizzare il più possibile quei
modi di vita che meglio corrispondono ai nostri ideali, ma soprattutto dobbiamo sforzarci di
suscitare nelle masse lo spirito diniziativa e labitudine di fare da sè.
Noi dobbiamo evitare anche le apparenze del comando, ed agire colla parola e con lesempio
come compagni tra compagni; e ricordandoci che a voler troppo forzare le cose nel senso nostro e
far trionfare i nostri piani, correremmo il rischio di tarpare le ali alla rivoluzione ed assumere noi
stessi, più o meno inconsciamente, quella funzione di governo, che tanto deprechiamo negli altri.
E come governo noi non varremmo certamente meglio degli altri. Forse anche saremmo più
pericolosi per la libertà, perchè convinti fortemente di aver ragione e di fare il bene, saremmo
inclini, da veri fanatici, a considerare quali contro-rivoluzionari e nemici del bene tutti quelli che
non pensassero ed agissero come noi.
Chè se poi quello che gli altri fanno non fosse quello che vorremmo noi, la cosa non avrebbe
importanza, sempre che fosse salvaguardata la libertà di tutti. Ciò che veramente importa è che la
gente faccia come vuole, perchè non vi sono conquiste assicurate se non quelle che il popolo fa coi
propri sforzi, non vi sono riforme definitive se non quelle reclamate ed imposte dalla coscienza
popolare.
1 Dalla Prefazione a M. NETTLAU, Bakunin e lInternazionale in Italia, Ginevra, Il Risveglio,
1928.
2 Su M. Bakunin, Malatesta così scriveva in "Pensiero e volontà", Roma, 1 luglio 1926:
"Io fui bakunista, come lo furono tutti i miei compagni di quelle, ahimè! ormai lontane
generazioni. Oggi - e già da lunghi anni - non mi direi più tale.
"Le idee si sono sviluppate e modificate. Oggi trovo che Bakunin fu, nelleconomia politica e
nellinterpretazione della storia, troppo marxista; trovo che la sua filosofia si dibatteva, senza
possibilità duscita, nella contraddizione tra la concezione meccanica delluniverso e la fede
nellefficacia della volontà sui destini delluomo e dellumanità. Ma tutto questo importa poco. Le
teorie sono concetti incerti e mutabili; e la filosofia, fatta generalmente dipotesi campate sulle
nuvole, ha in sostanza poca o nessuna influenza sulla vita. E Bakunin resta sempre, malgrado tutti i
possibili dissensi, il nostro grande maestro ed il nostro forte ispiratore.
"Di lui è sempre viva la critica radicale del principio dautorità e dello Stato che lo incarna; viva
è sempre la lotta contro le sue menzogne, le due forme colle quali sì opprimono e si sfruttano le
masse: quella democratica e quella dittatoriale; e viva è la confutazione magistrale di quel falso
socialismo chegli chiamava addormentatore, e che mira, cosciente o incoscientemente, a
consolidare il dominio dalla borghesia addormentando i lavoratori con vane riforme. E vivi sono
soprattutto lodio intenso contro tutto ciò che degrada ed umilia luomo e lamor illimitato per la
libertà, per tutta la libertà".
3 Titolo originale: "Pietro Kropotkin. Ricordi e critiche di un vecchio amico", in Studi Sociali,
Montevideo, 15 aprile 1931.
4 Titolo originale "Un po di teoria", in "En-Dehors", Parigi, 17 agosto 1892.
5 La lettera inviata alla Pezzi a Firenze da Londra il 29 aprile1892 (rintracciata in C.P.C.
dellA.C.S.R , Fascicolo E. Malatesta, ora in L. GESTRI, , "Dieci lettere inedite di Cipriani,
Malatesta e Merlino", in Movimento operaio e socialista, XVII (1971), pp.325-27.
6 "Un peu de théorie", apparso nell'"En-Dehors" del 21 agosto 1891 e ripubblicato più volte in
opuscolo.
7 In Cause ed effetti. 1898-1900, n. u., Londra, sett. 1900.
8 Titolo originale Errori e rimedi. Schiarimenti, in LAnarchia, n. u., Londra, agosto 1896.
9 In Umanità Nova, Roma, 12 luglio 1922.
10 Titolo originale Questioni rivoluzionarie, in La Révolte, Parigi, 10 ottobre 1890. Si tratta di una
lettera assai più ampia: la prima parte è riprodotta nel paragrafo successivo
11 "LArt.248", Ancona, 4 febbraio 1894.
12 Titolo originale Il compito degli anarchici, in "La Questione Sociale", Paterson, sett-ott. 1899.
AI suo rientro in Europa, Malatesta lanciava da Londra, sempre nel 1899, un breve opuscolo
largamente diffuso in Italia, clandestinamente, dal titolo Aritmetica elementare. In realtà esso era un
"appello a tutti gli uomini di progresso" contro la monarchia: mirava cioè allunione di tutti i partiti
antimonarchici invitando allinsurrezione, senza pregiudiziale alcuna per i principi che ciascun
partito professava e senza impegni circa quanto ciascuno di essi avrebbe creduto di dover fare dopo
la caduta della monarchia. La parte sostanziale dellopuscolo venne ripubblicata insieme ad altro
scritto del 1920 di Malatesta e ad un saggio del 1920 di E. Molinari, sotto il titolo Contro la
monarchia / Le due vie / I fattori economici pel successo della rivoluzione sociale, Ginevra, Il
Risveglio, 1932.
13 Lettera a N. Converti, Londra 10 marzo 1896.
14 Titolo originale Lorganizzazione, in "L'Agitazione" di Ancona, 4 giugno 1897.
15 Brevi e insignificanti correzioni di forma furono apportate da Malatesta al testo originale
dellarticolo, apparso sulla "Agitazione" di Ancona dell11 giugno 1897, sotto il titolo
Lorganizzazione. Il testo corretto venne poi pubblicato insieme al precedente articolo in E.
MALATESTA, Organizzazione e L. FABBRI, Libera sperimentazione, Montevideo, Studi Sociali,
1950, da cui lho tratto.
16 Da Un progetto di organizzazione anarchica in "Il Risveglio", Ginevra 1-15 ottobre 1927.
Larticolo venne scritto in polemica con la Plateforme di organisation de lUnion générale des
anarchistes (Projet) pubblicata da un "gruppo di anarchici russi allestero", fra i quali Makno. Il
progetto insisteva fra laltro sulla "necessità" della "responsabilità collettiva", come presupposto
basilare di unorganizzazione anarchica efficiente: una "necessità" in cui Malatesta scorgeva una
deviazione autoritaria.
17 Ibidem.
18 E. MALATESTA, La politica parlamentare nel movimento socialista, Londra, 1890 (opuscolo).
I titoli dei paragrafi sono di Gino Cerrito.
19 Lettera datata Londra (per ingannare la polizia, giacchè Malatesta era già in Ancona), in
"L'Agitazione", 14 marzo 1897.
20 In "L'Agitazione", 14 marzo 1897.
21 In "L'Agitazione", 28 marzo 1897
22 In "L'Agitazione" 19 aprile 1897.
23 In "L'Agitazione" 25 aprile 1897.
24 In "L'Agitazione" 19 agosto 1897.
25 In "L'Agitazione" 23 dicembre 1897. Titolo originale Problemi di oggi e di domani. In un
precedente articolo, pubblicato nel n. del 2 dicembre 1897, Malatesta sostiene che nessuno può
precisare le forme dell'avvenire e che la questione è del modo e dei mezzi con cui alla futura società
si vuole pervenire.
A tal proposito chiede a Merlino di rispondere "ad una domanda alla quale nessun socialista
democratico" ha voluto darmi una risposta esplicita. Io vorrei sapere, se, nell'opinione sua, quel tal
governo o parlamento che egli crede necessario alla vita sociale, dovrà avere a sua disposizione una
forza armata. Nel caso che no, allora davvero che la differenza tra noi sarebbe poca cosa, poichè io
sopporterei di buona grazia un governo... che non potrebbe obbligarmi a nulla". A questa domanda
Merino risponde nel n. del 16 dicembre 1897 con un articolo dal titolo Uso ed abuso della forza, in
cui sostiene che l'uso della forza dovrà essere riservato ai casi estremi dai cittadini all'uopo chiamati
e non dalle istituzioni "come già in Inghilterra e negli Stati Uniti". In altri termini Merlino cerca di
eludere la domanda, oppure crede realmente che la "guardia nazionale" sia espressione della libera
volontà della popolazione tutta e non abbia nulla a che fare con il governo.
26 Titolo originale Unintervista, fatta a Malatesta da G. Ciancabilla allora redattore dell"Avanti!" e
poi anarchico. Lintervista venne pubblicata sull"Avanti!" del 3 ottobre 1897. Ciancabilla per non
denunciare la presenza di Malatesta in Ancona, finge di averlo intervistato "in una piccola stazione
di provincia, tra larrivo e la partenza di un treno".
27 Titolo originale Conferma, in "LAgitazione", 14 ottobre 1897.
28 Titolo originale "Chiarimento" in LAgitazione del 28 ottobre 1897.
29 In "Pensiero e Volontà", 15 maggio 1924.
30 Dalla lettera a Luigi Fabbri datata Roma 18 maggio 1931, poi pubblicata in "Studi Sociali" del
30 settembre 1932.
31 In "Almanacco della Rivoluzione", Paterson, N.J., 1907, pp. 19-22.
32 In "Volontà", Ancona, 20 settembre 1913.
33 In Umanità Nova, Roma, 26, 27 e 28 ottobre 1921.
34 LUnione Anarchica Italiana fu costituita al congresso di Bologna dell1-4 Luglio 1920. Essa
adottava la dichiarazione dei principi formulata da Malatesta e più volte ristampata con il titolo Il
nostro programma o Programma Comunista Anarchico. Il congresso faceva seguito a quello di
Firenze del 12-14 Aprile 1919, che aveva costituito lUnione Comunista-Anarchica Italiana.
35 In Umanità Nova, 13 Aprile 1922. Malatesta richiama qui larticolo pubblicato nel numero del 6
aprile 1922.
36 Titolo originale Lo sciopero generale, in Umanità Nova, 7 giugno 1922.
37 Titolo originale La condotta degli anarchici nel movimento operaio (Rapporto al Congresso
Anarchico Internazionale di Parigi del 1923) In "Fede", Roma, 30 settembre 1923.
38 In "Pensiero e Volontà", 16 febbraio-16 marzo 1925.
39 Titolo originale Quel che vogliamo In "Volontà", 8 giugno 1913.
40 In Volontà, 1 novembre 1913.
41 Manifesto degli anarchici al popolo, pubblicato in "Volontà" del 17 giugno 1914, probabilmente
scritto da Malatesta. Nel supplemento al n. 17 di "Volontà" dellaprile 1914, gli anarchici anconetani
avevano indirizzato un manifesto ai socialisti riuniti a congresso nazionale nella loro città, Il
manifesto, scritto certamente da Malatesta, invitava i socialisti a porsi su una piattaforma
rivoluzionaria insieme con gli anarchici, a "tornare alle origini", a smetterla con le posizioni
equivoche ed a schierarsi contro lo Stato e fuori dello Stato.
42 Articolo non firmato, ma di Malatesta, In "Volontà", 20 giugno 1914.
43 In "Umanità Nova", 28 giugno 1922.
44 In "Umanità Nova", 13 marzo 1920.
45 In "Umanità Nova", 12 agosto 1920.
46 Titolo originale La "fretta" dei rivoluzionari"in "Umanità Nova", Roma, 6 settembre 1921
(polemica con il socialista "La Giustizia" di Reggio E.).
47 In "Umanità Nova", 28 giugno 1922. Il "pezzo" qui riportata era preceduto da due pagine sulla
"settimana rossa" riprodotta nel precedente paragrafo.
48 Titolo originale La condotta degli anarchici nel movimento sindacale cit. e già in parte riportato,
in "Fede", 30 settembre 1923.
49 Il programma era stato già pubblicato a puntate nella "Questione Sociale" di Patterson del 1899
ed era stato poi raccolto in opuscolo dal gruppo socialista-anarchico "LAvvenire" di New London,
Connecticut, nel 1903 e ripubblicato a Patterson nel 1905. Nelledizione del 1920 proposta al
congresso e da esso pienamente accettata, Malatesta aveva apportato alcune modifiche. Il
programma è ancor oggi adottato dalla Federazione Anarchica Italiana, nonostante il mutamento dei
tempi e delle condizioni obiettive e nonostante il mutamento del patto federale organizzativo della
FAI.
Del programma si riproducono qui alcune parti, dal momento in cui le altre sarebbero una
ripetizione di "pezzi" già riportati o che si riproducono nelle pp. seguenti.
50 In "Umanità Nova", 20 giugno 1922.
51 Titolo originale La fine dell'anarchismo di Luigi Galleani, In "Pensiero e Volontà", 1 giugno
1926.
52 Titolo originale Nota allarticolo "Individualismo anarchico" di Adams, In Pensiero e Volontà, 1
agosto 1924. L'Adams aveva polemizzato con lart. pubblicato da Malatesta nel n. del periodico del
1 luglio 1924.
53 Lettera a Luigi Fabbri sulla "Dittatura del proletariato" (premessa al libro "Dittatura e
Rivoluzione"), datata Londra 30 luglio 1919, in "Volontà" Ancona, 16 agosto 1919 e apparsa poi
come prefazione al vol. di L. Fabbri, Dittatura e Rivoluzione, Ancona, 1921.
54 Titolo originale Gli anarchici e i socialisti, in Umanità Nova, 1 maggio 1920.
55 Titolo originale Le due vie: libertà o dittatura In "Umanità Nova", 15 agosto 1920.
56 Titolo originale A proposito del libro "Dittatura e Rivoluzione" di L. Fabbri, Ancona 1921, in
"Libero Accordo", Roma 7 novembre 1923. L'art. è la prefazione dell'ed. spagnola del vol. di
Fabbri, pubblicata a Buenos Aires nel 1923 ma fu scritto da Malatesta nel luglio 1922.
57 Titolo originale Ricominciando: il compito dell'ora presente, in "Umanità Nova" Roma, 21
agosto 1921.
58 In "Umanità Nova", 26 agosto 1922.
59 Titolo originale Discorrendo di rivoluzione, in "Umanità Nova", 25 novembre 1922.
60 Ibidem
61 In "Pensiero e Volontà", 1 gennaio 1924.
62 In "Pensiero e Volontà", 1 ottobre 1924.
63 Titolo originale Repubblica?, in "Pensiero e Volontà", 16 ottobre 1925.
64 Lettera a G. Damiani da Roma nel 1926. Malatesta era stato ed era sollecitato da diversi ad
abbandonare il paese. La lettera, apparsa nella "Adunata dei Refrattari" del 28 agosto 1932, spiega i
motivi del suo rifiuto.
65 In "Umanità Nova", 7 ottobre 1922. Larticolo è parte della relazione delle discussioni del
Convegno Internazionale Anarchico di Bienne (Svizzera) tenuto in occasione del cinquantenario del
congresso antiautoritario di Saint-Imier del settembre 1872.
66 Titolo originale Ancora sulla rivoluzione in pratica, in "Umanità Nova", 14 ottobre 1922.
67 Titolo originale Anarchismo e riforme, in Pensiero e Volontà, 1 marzo 1924.
68 Titolo originale Gradualismo, in Pensiero e Volontà, 1 ottobre 1925.
69 In Il Risveglio, 1 maggio 1931.
70 Titolo originale A proposito di revisionismo, in "LAdunata dei Refrattari", 1 agosto 1931.
71 Titolo originale Un governo che non è governo, in "LAdunata dei Refrattari", 26 dicembre 1931.
72 La lettera del 9giugno 1931, indirizzata al "Carissimo Adolfo" in "LAdunata dei Refrattari", 20
agosto 1932; quella del 7 marzo 1932, indirizzata ad A.Borghi, in E.MALATESTA, scritti scelti,
Napoli, 1954, pp.230-232
73 Titolo originale Discorrendo di Rivoluzione in "Umanità Nova", 25 novembre 1922.
74 Titolo originale Intorno al "nostro" anarchismo, in "Pensiero e Volontà", 1 aprile 1924.
75 Titolo originale Demoliamo e poi?, in "Pensiero e Volontà", 16 giugno 1926. Larticolo fa
seguito alla recensione di Malatesta al libro di Luigi Galleani, riprodotta nel capitolo precedente,
sotto il titolo L'antiorganizzazione degli adunatisti.
76 Titolo originale E poi?, in "Pensiero e Volontà", 1 agosto 1926.
77 Titolo originale A proposito di "revisionismo anarchico", in "Pensiero e Volontà", 1 maggio
1924.
78 Titolo originale Gli anarchici nel momento attuale, in "Vogliamo", Biasca, giugno 1930.
79 Titolo originale Questione di tattica, in "Almanacco Libertario pro vittime politiche", Ginevra,
1931.
Livros Grátis
( http://www.livrosgratis.com.br )
Milhares de Livros para Download:
Baixar livros de Administração
Baixar livros de Agronomia
Baixar livros de Arquitetura
Baixar livros de Artes
Baixar livros de Astronomia
Baixar livros de Biologia Geral
Baixar livros de Ciência da Computação
Baixar livros de Ciência da Informação
Baixar livros de Ciência Política
Baixar livros de Ciências da Saúde
Baixar livros de Comunicação
Baixar livros do Conselho Nacional de Educação - CNE
Baixar livros de Defesa civil
Baixar livros de Direito
Baixar livros de Direitos humanos
Baixar livros de Economia
Baixar livros de Economia Doméstica
Baixar livros de Educação
Baixar livros de Educação - Trânsito
Baixar livros de Educação Física
Baixar livros de Engenharia Aeroespacial
Baixar livros de Farmácia
Baixar livros de Filosofia
Baixar livros de Física
Baixar livros de Geociências
Baixar livros de Geografia
Baixar livros de História
Baixar livros de Línguas
Baixar livros de Literatura
Baixar livros de Literatura de Cordel
Baixar livros de Literatura Infantil
Baixar livros de Matemática
Baixar livros de Medicina
Baixar livros de Medicina Veterinária
Baixar livros de Meio Ambiente
Baixar livros de Meteorologia
Baixar Monografias e TCC
Baixar livros Multidisciplinar
Baixar livros de Música
Baixar livros de Psicologia
Baixar livros de Química
Baixar livros de Saúde Coletiva
Baixar livros de Serviço Social
Baixar livros de Sociologia
Baixar livros de Teologia
Baixar livros de Trabalho
Baixar livros de Turismo