Download PDF
ads:
L' anarchia ; Il nostro programma
Malatesta, Errico
TITOLO: L' anarchia ; Il nostro programma
AUTORE: Malatesta, Errico
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: "L' anarchia ; Il nostro programma",
di Errico Malatesta;
Collezione: I tascabili Datanews;
Datanews editrice;
Roma, 1997
CODICE ISBN: 88-798-1018-9
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 13 settembre 2005
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Informazione non disponibile
REVISIONE:
Paolo Alberti, [email protected]
ads:
Livros Grátis
http://www.livrosgratis.com.br
Milhares de livros grátis para download.
L'ANARCHIA
IL NOSTRO PROGRAMMA
di
ERRICO MALATESTA
L'anarchia
L'Anarchia è parola che viene dal greco, e significa propriamente senza governo: stato di un popolo
che si regge senza autorità costituite, senza governo.
Prima che tale organamento incominciasse ad essere considerato come possibile e desiderabile da
tutta una categoria di pensatori, e fosse preso a scopo da un partito, che è ormai diventato uno dei
più importanti fattori delle moderne lotte sociali, la parola anarchia era presa universalmente nel
senso di disordine, confusione; ed è ancor oggi adoperata in tal senso dalle masse ignare e dagli
avversari interessati a svisare la verità.
Noi non entreremo in disquisizioni filologiche, poiché la questione non è filologica, ma storica. Il
senso volgare della parola non misconosce il suo significato vero ed etimologico; ma è un derivato
di quel senso, dovuto al pregiudizio che il governo fosse organo necessario della vita sociale, e che
per conseguenza una società senza governo dovesse essere in preda al disordine, ed oscillare tra la
prepotenza sfrenata degli uni e la vendetta cieca degli altri.
L'esistenza di questo pregiudizio e la sua influenza nel senso che il pubblico ha dato alla parola
anarchia, si spiega facilmente.
L'uomo, come tutti gli esseri viventi, si adatta e si abitua alla condizione in cui vive, e trasmette per
eredità le abitudini acquisite. Così, essendo nato e vissuto nei ceppi, essendo l'erede di una lunga
progenie di schiavi, l'uomo, quando ha incominciato a pensare, ha creduto che la schiavitù fosse
condizione essenziale della vita, e la libertà gli è sembrata cosa impossibile. In pari modo, il
lavoratore, costretto per secoli e quindi abituato ad attendere il lavoro, cioè il pane, dal buon volere
del padrone, ed a vedere la sua vita continuamente alla mercé di chi possiede la terra ed il capitale,
ha finito col credere che sia il padrone che dà da mangiare a lui, e vi domanda ingenuamente come
si potrebbe fare a vivere se non vi fossero i signori.
Così uno, il quale fin dalla nascita avesse avuto le gambe legate e pure avesse trovato modo di
camminare alla men peggio, potrebbe attribuire la sua facoltà di muoversi precisamente a quei
legami, che invece non fanno che diminuire e paralizzare l'energia muscolare delle sue gambe.
Se poi agli effetti naturali dell'abitudine s'aggiunga l'educazione data dal padrone, dal prete, dal
professore, ecc., i quali sono interessati a predicare che i signori ed il governo sono necessari; se si
aggiunga il giudice ed il birro, che si forzano di ridurre al silenzio chi pensasse diversamente e
fosse tentato a propagare il suo pensiero, si comprenderà come abbia messo radice, nel cervello
poco coltivato della massa laboriosa, il pregiudizio della utilità, della necessità del padrone e del
governo.
Figuratevi che all'uomo dalle gambe legate, che abbiamo supposto, il medico esponesse tutta una
teoria e mille esempi abilmente inventati per persuaderlo che colle gambe sciolte egli non potrebbe
né camminare, né vivere; quell'uomo difenderebbe rabbiosamente i suoi legami e considererebbe
ads:
nemico chi volesse spezzarglieli.
Dunque, poiché si è creduto che il governo fosse necessario e che senza governo non si potesse
avere che disordine e confusione, era naturale e logico che anarchia, che significa assenza di
governo, suonasse assenza di ordine.
Né il fatto è senza riscontro nella storia delle parole.
Nelle epoche e nei paesi, in cui il popolo ha creduto necessario il governo di un solo (monarchia), la
parola repubblica, che è il governo dei più, è stata usata appunto nel senso di disordine e di
confusione: e questo senso si ritrova ancora vivo nella lingua popolare di quasi tutti i paesi.
Cambiate l'opinione, convincete il pubblico che il governo non solo non è necessario, ma è
estremamente dannoso, ed allora la parola anarchia, appunto perché significa assenza di governo,
vorrà dire per tutti: ordine naturale, armonia dei bisogni e degl'interessi di tutti, libertà completa
nella completa solidarietà.
Hanno dunque torto coloro che dicono che gli anarchici hanno malamente scelto il loro nome,
perché questo nome è erroneamente inteso dalle masse e si presta ad una falsa interpretazione.
L'errore non dipende dalla parola, ma dalla cosa; e le difficoltà che incontrano gli anarchici nella
propaganda non dipendono dal nome che si danno, ma dal fatto che il loro concetto urta tutti
gl'inveterati pregiudizi, che il popolo ha sulla funzione del governo, o, come pur si dice, dello Stato.
* * *
Prima di procedere è bene spiegarsi su quest'ultima parola, la quale, a parer nostro, è davvero causa
di molti malintesi.
Gli anarchici, e noi fra loro, ci siamo serviti e ci serviamo ordinariamente della parola Stato,
intendendo per essa tutto quell'insieme d'istituzioni politiche, legislative, giudiziarie, militari,
finanziarie, ecc. per le quali sono sottratte al popolo la gerenza dei propri affari, la direzione della
propria condotta, la cura della propria sicurezza, e sono affidate ad alcuni che, o per usurpazione o
per delegazione, si trovano investiti del diritto di far le leggi su tutto e per tutti e di costringere il
popolo a rispettarle, servendosi all'uopo della forza di tutti.
In questo caso la parola Stato significa governo, o, se si vuole, è l'espressione impersonale, astratta
di quello stato di cose, di cui il governo è la personificazione: e quindi le espressioni abolizione
dello Stato, Società senza Stato, ecc. rispondono perfettamente al concetto che gli anarchici
vogliono esprimere, di distruzione di ogni ordinamento politico fondato sull'autorità, e di
costituzione di una società di liberi ed uguali, fondata sull'armonia degli interessi e sul concorso
volontario di tutti al compimento dei carichi sociali.
Però la parola Stato ha molti altri significati, e fra questi alcuni che si prestano all'equivoco,
massime quando essa si adopera con uomini, cui la triste posizione sociale non ha dato agio di
abituarsi alle delicate distinzioni del linguaggio scientifico, o, peggio ancora, quando si adopera con
avversari in mala fede che hanno interesse a confondere e non voler comprendere.
Cosi la parola Stato si usa spesso per indicare una data società, una data collettività umana, riunita
sopra un dato territorio e costituente quello che si dice un corpo morale, indipendentemente dal
modo come i membri di detta collettività sono aggruppati e dai rapporti che corrono tra di loro. Si
usa anche semplicemente come sinonimo di società. È a causa di questi significati della parola
Stato, che gli avversari credono, o piuttosto fingono di credere che gli anarchici intendono abolire
ogni connessione sociale, ogni lavoro collettivo e ridurre gli uomini all'isolamento, cioè ad una
condizione peggio che selvaggia.
Per Stato s'intende pure l'amministrazione suprema di un paese, il potere centrale, distinto dal
potere provinciale o comunale; e per questo altri credono che gli anarchici vogliono un semplice
discentramento territoriale, lasciando intatto il principio governativo, e confondono così l'anarchia
col cantonalismo e col comunalismo.
Stato significa infine condizione, modo di essere, regime di vita sociale, ecc. e perciò noi diciamo,
per esempio, che bisogna cambiare lo stato economico della classe operaia, o che lo stato anarchico
è il solo stato sociale fondato sul principio di solidarietà, ed altre frasi simili, che in bocca a noi, che
poi in altro senso diciamo di voler abolire lo Stato, possono a prima giunta sembrare barocche o
contraddittorie.
Per dette ragioni noi crediamo che varrebbe meglio adoperare il meno possibile l'espressione
abolizione dello Stato e sostituirla con l'altra più chiara e più concreta abolizione del governo.
In ogni modo è quello che faremo nel corso di questo lavoretto.
* * *
Abbiamo detto che l'anarchia è la società senza governo.
Ma è possibile, è desiderabile, è prevedibile la soppressione dei governi? Vediamo. Che cosa è il
governo? La tendenza metafisica (che è una malattia della mente, per la quale l'uomo, dopo di avere
per processo logico astratto da un essere le sue qualità, subisce una specie di allucinazione che gli fa
prendere l'astrazione per un essere reale), la tendenza metafisica, diciamo, che malgrado i colpi
della scienza positiva, ha ancora salde radici nella mente della più parte degli uomini
contemporanei, fa sì che molti concepiscono il governo come un ente morale, con certi dati attributi
di ragione, di giustizia, di equità, che sono indipendenti dalle persone che stanno al governo. Per
essi il governo, e più astrattamente ancora lo Stato, è il potere sociale astratto; è il rappresentante,
astratto sempre, degl'interessi generali; è l'espressione del diritto di tutti, considerato come limite
dei diritti di ciascuno. E questo modo di concepire il governo è appoggiato dagli interessati, cui
preme che sia salvo il principio di autorità, e sopravviva sempre alle colpe ed agli errori di coloro
che si succedono nell'esercizio del potere.
Per noi, il governo è la collettività dei governanti; ed i governanti - re, presidenti, ministri, deputati,
ecc. - sono coloro che hanno la facoltà di fare delle leggi per regolare i rapporti degli uomini tra di
loro, e farle eseguire; di decretare e riscuotere l'imposta; di costringere al servizio militare; di
giudicare e punire i contravventori alle leggi; di sottoporre a regole, sorvegliare e sanzionare i
contratti privati; di monopolizzare certi rami della produzione e certi servizi pubblici, o, se
vogliono, tutta la produzione e tutti i servizi pubblici; di promuovere o ostacolare lo scambio dei
prodotti; di far la guerra o la pace con governanti di altri paesi, di concedere o ritirare franchigie,
ecc., ecc. I governanti in breve, sono coloro che hanno la facoltà, in grado più o meno elevato, di
servirsi della forza sociale, cioè della forza fisica, intellettuale ed economica di tutti, per obbligare
tutti a fare quello che vogliono essi. E questa facoltà costituisce, a parer nostro, il principio
governativo, il principio di autorità.
Ma quale è la ragion d'essere del governo?
Perché abdicare nelle mani di alcuni individui la propria libertà, la propria iniziativa? Perché dar
loro questa facoltà di impadronirsi, con o contro la volontà di ciascuno, della forza di tutti e
disporne a loro modo? Sono essi tanto eccezionalmente dotati da potersi, con qualche apparenza di
ragione, sostituire alla massa e fare gli interessi, tutti gli interessi degli uomini meglio di quello che
saprebbero farlo gli interessati? Sono essi infallibili ed incorruttibili al punto da potere affidare, con
un sembiante di prudenza, la sorte di ciascuno e di tutti alla loro scienza e alla loro bontà?
E quand'anche esistessero degli uomini di una bontà e di un sapere infiniti, quand'anche, per
un'ipotesi che non si è mai verificata nella storia e che noi crediamo impossibile a verificarsi, il
potere governativo fosse devoluto ai più capaci ed ai più buoni, aggiungerebbe il possesso del
governo qualche cosa alla loro potenza benefica, o piuttosto la paralizzerebbe e la distruggerebbe
per la necessità, in cui si trovano gli uomini che sono al governo, di occuparsi di tante cose che non
intendono, e sopra tutto di sciupare il meglio della loro energia per mantenersi al potere, per
contentare gli amici, per tenere a freno i malcontenti e per domare i ribelli?
E ancora, buoni o cattivi, sapienti o ignari che siano i governanti, chi è che li designa all'alta
funzione? Si impongono da loro stessi per diritto di guerra, di conquista, o di rivoluzione? Ma
allora che garanzia ha il pubblico che essi s'ispireranno all'utilità generale? Allora è pura questione
di usurpazione, ed ai sottoposti, se malcontenti, non resta che l'appello alla forza per scuotere il
giogo. Sono scelti da una data classe, o da un partito? E allora certamente trionferanno gl'interessi e
le idee di quella classe o di quel partito, e la volontà e gl'interessi degli altri saranno sacrificati.
Sono eletti a suffragio universale? Ma allora il solo criterio è il numero, che certo non è prova né di
ragione, né di giustizia, né di capacità. Gli eletti sarebbero coloro che meglio sanno ingarbugliare la
massa; e la minoranza, che può anche essere la metà meno uno, resterebbe sacrificata. E ciò senza
contare che l'esperienza ha dimostrato l'impossibilità di trovare un meccanismo elettorale, pel quale
gli eletti siano almeno i rappresentanti reali della maggioranza.
Molte e varie sono le teorie, con cui si è tentato spiegare e giustificare l'esistenza del governo. Però
tutte sono fondate sul preconcetto, confessato o no, che gli uomini abbiano interessi contrari, e che
vi sia bisogno di una forza esterna, superiore, per obbligare gli unì a rispettare gl'interessi degli
altri, prescrivendo ed imponendo quella regola di condotta, con cui gli interessi in lotta siano il
meglio possibile armonizzati, ed in cui ciascuno trovi il massimo di soddisfazione col minimo di
sacrifici possibili.
Se, dicono i teorici dell'autoritarismo, gli interessi, le tendenze, i desiderii di un individuo sono in
opposizione con quelli di un altro individuo o magari di tutta quanta la società, chi avrà il diritto e la
forza di obbligare l'uno a rispettare gli interessi dell'altro? Chi potrà impedire al singolo cittadino di
violare la volontà generale? La libertà di ciascuno, essi dicono, ha per limite la libertà degli altri;
ma chi stabilirà questi limiti e chi li farà rispettare? Gli antagonisti naturali degli interessi e delle
passioni creano la necessità del governo, e giustificano l'autorità, che interviene moderatrice nella
lotta sociale, e segna i limiti dei diritti e dei doveri di ciascuno.
Questa è la teoria; ma le teorie per essere giuste debbono esser basate sui fatti e spiegarli e si sa
bene come in economia sociale troppo spesso le teorie s'inventano per giustificare i fatti, cioè per
difendere il privilegio e farlo accettare tranquillamente da coloro che ne sono le vittime.
Guardiamo piuttosto ai fatti.
In tutto il corso della storia, così come nell'epoca attuale, il governo, o è la dominazione brutale,
violenta, arbitraria di pochi sulle masse, o è uno strumento ordinato ad assicurare il dominio ed il
privilegio a coloro che, per forza, o per astuzia, o per eredità, hanno accaparrato tutti i mezzi di vita,
primo tra essi il suolo, e se ne servono per tenere il popolo in servitù e farlo lavorare per loro conto.
In due modi si opprimono gli uomini: o direttamente colla forza bruta, colla violenza fisica; o
indirettamente sottraendo loro i mezzi di sussistenza e riducendoli così a discrezione. Il
primo modo è l'origine del potere, cioè del privilegio politico; il secondo è l'origine della proprietà,
cioè del privilegio economico. Si può anche sopprimere gli uomini agendo sulla loro intelligenza e
sui loro sentimenti, il che costituisce il potere religioso, o universitario; ma come lo spirito non
esiste se non in quanto risultante delle forze materiali, così la menzogna ed i corpi costituiti per
propagarla non hanno ragion d'essere se non in quanto sono la conseguenza dei privilegi politici ed
economici, ed un mezzo per difenderli e consolidarli.
Nelle società primitive, poco numerose e dai rapporti sociali poco complicati, quando una
circostanza qualsiasi ha impedito che si stabilissero delle abitudini, dei costumi di solidarietà, o ha
distrutti quelli che esistevano e stabilito la dominazione dell'uomo sull'uomo, i due poteri politico
ed economico si trovano raccolti nelle stesse mani, che possono anche essere quelle di un uomo
solo. Coloro che colla forza han vinti ed impauriti gli altri, dispongono delle persone e delle cose
dei vinti, e li costringono a servirli, a lavorare per loro ed a fare in tutto la loro volontà.
Essi sono nello stesso tempo proprietari, legislatori, re, giudici e carnefici.
Ma coll'ingrandirsi delle società, col crescere dei bisogni, col complicarsi dei rapporti sociali,
diventa impossibile l'esistenza prolungata di un tale dispotismo. I dominatori, e per sicurezza e per
comodità e per l'impossibilità di fare altrimenti, si trovano nella necessità da una parte di
appoggiarsi sopra una classe privilegiata, cioè sopra un certo numero d'individui cointeressati nel
loro dominio, e dall'altra di lasciare che ciascuno provveda come può alla propria esistenza,
riservandosi per loro il dominio supremo, che è il diritto di sfruttare tutti il più possibile, ed è il
modo di soddisfare la vanità di comando. Così all'ombra del potere, per la sua protezione e
complicità, e spesso a sua insaputa e per cause che sfuggono al suo controllo, si sviluppa la
ricchezza privata, cioè la classe dei proprietari. E questi, concentrando a poco a poco nelle loro
mani i mezzi di produzione, le fonti vere della vita, agricoltura, industria, scambi, ecc. finiscono col
costituire un potere a sé, il quale, per la superiorità dei suoi mezzi, e la grande massa d'interessi che
abbraccia, finisce sempre col sottomettere più o meno apertamente il potere politico, cioè il
governo, e farne il proprio gendarme.
Questo fenomeno si è riprodotto più volte nella storia. Ogni volta che, con l'invasione o con
qualsiasi impresa militare, la violenza fisica, brutale ha preso il disopra di una società, i vincitori
hanno mostrato tendenza a concentrare nelle proprie mani governo e proprietà. Però sempre, la
necessità per il governo di conciliarsi la complicità di una classe potente, le esigenze della
produzione, l'impossibilità di tutto sorvegliare e tutto dirigere, ristabilirono la proprietà privata, la
divisione dei due poteri, e con essa la dipendenza effettiva di chi ha in mano la forza, i governi, da
chi ha in mano le sorgenti stesse della forza, i proprietari. Il governante finisce sempre, fatalmente,
coll'essere il gendarme del proprietario.
Ma mai questo fenomeno si era tanto accentuato quanto nei tempi moderni. Lo sviluppo della
produzione, l'estendersi immenso dei commerci, la potenza smisurata che ha acquistato il denaro, e
tutti i fatti economici provocati dalla scoperta dell'America, dall'invenzione delle macchine, ecc.
hanno assicurato tale supremazia alla classe capitalistica, che essa, non contenta più di disporre
dell'appoggio del governo, ha voluto che il governo uscisse dal proprio seno. Un governo che traeva
la sua origine dal diritto di conquista (diritto divino, dicevano i re ed i loro preti) per quanto
sottoposto dalle circostanze alla classe capitalistica, conservava sempre un contegno altero e
disprezzante verso i suoi antichi schiavi ora arricchiti, e aveva delle velleità d'indipendenza e di
dominazione. Quel governo era bensì il difensore, il gendarme dei proprietari, ma era di quei
gendarmi che si credono qualche cosa, e fanno gli arroganti colle persone che debbono scortare e
difendere, quando non le svaligiano ed ammazzano alla prima svolta di strada; e la classe capitalista
se ne è sbarazzata o se ne va sbarazzando, con mezzi più o meno violenti, per sostituirlo con un
governo scelto da essa stessa, composto di membri della sua classe, continuamente sotto il suo
controllo, e specialmente organizzato per difendere la classe contro le possibili rivendicazioni dei
diseredati.
Di qui l'origine del sistema parlamentare moderno.
Oggi il governo, composto di proprietarie e di gente a loro ligia, è tutto a disposizione dei
proprietarii, e lo è tanto che i più ricchi spesso disdegnano di farne parte. Rotschild non ha bisogno
di essere né deputato, né ministro; gli basta tenere alla sua dipendenza deputati e ministri.
In molti paesi il proletariato ha nominalmente una partecipazione più o meno larga all'elezione del
governo. È una concessione che la borghesia ha fatto, sia per avvalersi del concorso popolare nella
lotta contro il potere reale e l'aristocrazia, sia per distogliere il popolo dal pensare ed emanciparsi
col dargli un'apparenza di sovranità.
Però, che la borghesia lo prevedesse o no quando per la prima volta concedeva al popolo il diritto al
voto, il certo è che quel diritto si è mostrato affatto irrisorio, e buono solo a consolidare il potere
della borghesia col dare alla parte più energica del proletariato la speranza illusoria di arrivare al
potere.
Anche col suffragio universale, e, potremmo dire, specialmente col suffragio universale, il governo
è restato il servo e il gendarme della borghesia. Che se fosse altrimenti, se il governo accennasse a
divenire ostile se la democrazia potesse mai essere altro che una lustra per ingannare il popolo, la
borghesia minacciata nei suoi interessi s'affretterebbe a ribellarsi, ed adopererebbe tutta la forza e
tutta l'influenza che le viene dal possesso della ricchezza, per richiamare il governo alla funzione di
semplice suo gendarme.
In tutti i tempi e in tutti i luoghi qualunque sia il nome che piglia il governo, qualunque sia la sua
origine e la sua organizzazione, la sua funzione essenziale è sempre quella di opprimere e sfruttare
le masse, di difendere gli oppressori e gli sfruttatori; ed i suoi organi principali, caratteristici,
indispensabili sono il birro e l'esattore, il soldato ed il carceriere, ai quali si aggiunge
immancabilmente il mercante di menzogne, prete o professore che sia, stipendiato o protetto dal
governo per asservire gli spiriti e farli docili al giogo.
Certamente a queste funzioni primarie, a questi organi essenziali del governo altre funzioni ed altri
organi si sono aggiunti lungo il corso della storia. Ammettiamo puranco che mai o quasi ha potuto
esistere, in un paese alquanto civilizzato, un governo che oltre le funzioni oppressive e spogliatrici,
non se ne attribuisse altre utili o indispensabili alla vita sociale. Ma ciò non infirma il fatto che il
governo è di sua natura oppressivo e spogliatore, e che è, per l'origine e la posizione sua, fatalmente
portato a difendere e rinforzare la classe dominante; anzi lo conferma ed aggrava.
Il governo infatti si piglia la briga di proteggere, più o meno, la vita dei cittadini contro gli attacchi
diretti e brutali; riconosce e legalizza un certo numero di diritti e doveri primordiali e di usi e
costumi senza di cui è impossibile vivere in società; organizza e dirige certi esercizii pubblici, come
posta, strade, igiene pubblica, regime delle acque, bonifiche, protezioni delle foreste, ecc., apre
orfanotrofi ed ospedali, e si compiace spesso di atteggiarsi, solo in apparenza s'intende, a protettore
e benefattore dei poveri e dei deboli. Ma basta osservare come e perché esso compie queste
funzioni, per riscontrarvi la prova sperimentale, pratica che tutto quello che il governo fa è sempre
ispirato dallo spirito di dominazione, ed ordinato a difendere, allargare e perpetuare i privilegi
propri, e quelli della classe di cui egli è il rappresentante ed il difensore.
Un governo non può reggersi a lungo senza nascondere la sua natura dietro un pretesto di utilità
generale; esso non può far rispettare la vita dei privilegiati senza darsi l'aria di volerla rispettata in
tutti; non può far accettare i privilegi di alcuni senza fingersi custode del diritto di tutti.
"La legge" dice Kropotkin, e s'intende coloro che han fatta la legge, cioè il governo, "ha utilizzato i
sentimenti sociali dell'uomo per far passare insieme ai precetti di morale che l'uomo accettava, degli
ordini utili alla minoranza degli sfruttatori, contro di cui egli si sarebbe ribellato".
Un governo non può volere che la società si disfaccia, poiché allora verrebbe meno a sé ed alla
classe dominante il materiale da sfruttare; né può lasciare ch'essa si regga da sé senza intromissioni
ufficiali, poiché allora il popolo si accorgerebbe ben presto che il governo non serve se non a
difendere i proprietarii che l'affamano, e si affretterebbe a sbarazzarsi del governo e dei proprietarii.
Oggi di fronte ai reclami insistenti e minacciosi del proletariato, i governi mostrano la tendenza ad
intromettersi nelle relazioni tra padroni ed operai; con ciò tentano di deviare il movimento operaio,
e di impedire, con qualche ingannevole riforma, che i poveri prendano da loro stessi tutto quello
che spetta loro, cioè una parte di benessere eguale a quella di cui godono gli altri.
Bisogna inoltre tenere in conto, da una parte che i borghesi, cioè i proprietarii, stanno essi stessi
continuamente a farsi la guerra ed a mangiarsi tra loro; e dall'altra parte che il governo, per quanto
uscito dalla borghesia e servo e protettore di essa, tende, come ogni servo ed ogni protettore, ad
emanciparsi ed a dominare il protetto. Quindi quel giuoco d'altalena, quel barcamenarsi, quel
concedere e ritirare, quel cercare alleati tra il popolo, contro i conservatori, e tra i conservatori
contro il popolo, che è la scienza dei governanti, e che fa illusione agli ingenui ed ai neghittosi, i
quali stanno sempre ad aspettare che la salvezza venga loro dall'alto.
Con tutto questo il governo non cambia natura. Se si fa regolatore e garante dei diritti e dei doveri
di ciascuno, esso perverte il sentimento di giustizia: qualifica reato e punisce ogni atto che offende o
minaccia i privilegi dei governanti e dei proprietari, e dichiara giusto, legale, il più atroce
sfruttamento dei miserabili, il lento e continuo assassinio morale e materiale, perpetrato da chi
possiede a danno di chi non possiede. Se si fa amministratore dei servizi pubblici, esso mira ancora
e sempre agli interessi dei governanti e dei proprietarii, e non si occupa degli interessi della massa
lavoratrice se non in quanto è necessario perché la massa consenta a pagare. Se si fa istitutore, esso
inceppa la propagazione del vero, e tende a preparare la mente ed il cuore dei giovani, perché
diventino o tiranni implacabili, o docili schiavi, secondo la classe a cui appartengono. Tutto nelle
mani del governo diventa mezzo per sfruttare, tutto diventa istituzione di polizia, utile per tenere il
popolo a freno.
E doveva esser così. Se la vita degli uomini è lotta tra uomini vi sono naturalmente vincitori e
perdenti, ed il governo che è il premio della lotta, ed un mezzo per assicurare ai vincitori i risultati
della vittoria e perpetuarli, non andrà certo mai in mano a coloro che avranno perduto, sia che la
lotta avvenga sul terreno della forza fisica o intellettuale, sia che avvenga sul terreno economico. E
coloro i quali hanno lottato per vincere, cioè per assicurarsi condizioni migliori degli altri, per
conquistare privilegi e dominio, non se ne serviranno certo per difendere i diritti dei vinti, ed
imporre dei limiti all'arbitrio proprio ed a quello dei loro amici e partigiani.
Il governo, o, come dicono, lo Stato giustiziere, moderatore della lotta sociale, amministratore
imparziale degli interessi del pubblico, è una menzogna, è un'illusione, un'utopia, mai realizzata e
mai realizzabile.
Se davvero gl'interessi degli uomini dovessero essere contrarii gli uni agli altri, se davvero la lotta
fra gli uomini fosse legge necessaria delle società umane e la libertà di uno dovesse trovare un
limite nella libertà degli altri, allora ciascuno cercherebbe sempre di far trionfare gli interessi
proprii su quelli degli altri, ciascuno tenterebbe di allargare la propria libertà a scapito della libertà
altrui, e si avrebbe un governo, non già perché sia più o meno utile alla totalità dei membri di una
società averne uno, ma perché i vincenti vorrebbero assicurarsi i frutti della vittoria, sottoponendo
solidamente i vinti, e liberarsi dal fastidio di star continuamente sulla difesa, incaricando di
difenderli degli uomini, specialmente addestrati al mestiere di gendarmi. Allora l'umanità sarebbe
destinata a perire, o a dibattersi perennemente tra la tirannide dei vincitori e la ribellione dei vinti.
Ma per fortuna più sorridente è l'avvenire dell'umanità, perché più mite è la legge che la governa.
Questa legge è la solidarietà.
L'uomo ha, come proprietà fondamentali, necessarie, l'istinto della propria conservazione, senza del
quale nessun essere vivo potrebbe esistere, e l'istinto della conservazione della specie, senza cui
nessuna specie avrebbe potuto formarsi e durare. Egli è spinto naturalmente a difendere l'esistenza
ed il benessere di se stesso e della propria progenitura, contro tutto e tutti.
Due modi trovano in natura gli esseri viventi per assicurarsi l'esistenza e renderla più piacevole:
uno è la lotta individuale contro gli elementi e contro gli altri individui della stessa specie o di
specie diversa; l'altro è il mutuo appoggio, la cooperazione, che può anche chiamarsi l'associazione
per la lotta contro tutti i fatti naturali contrari all'esistenza, allo sviluppo ed al benessere degli
associati.
Non occorre indagare in queste pagine, e noi potremmo per ragione di spazio, quanta parte hanno
rispettivamente nell'evoluzione del regno organico questi due principii della lotta e della
cooperazione.
Ci basterà constatare come nell'umanità la cooperazione (forzata o volontaria) sia diventata il solo
mezzo di progresso, di perfezionamento, di sicurezza; e come la lotta - resto atavico - sia diventata
completamente inetta a favorire il benessere degli individui, e produca invece il danno di tutti, e
vincitori e perdenti.
L'esperienza, accumulata e tramandata dalle generazioni successive, ha insegnato all'uomo che,
unendosi agli altri uomini, la sua conservazione è più assicurata ed il suo benessere ingrandito.
Così, in conseguenza della stessa lotta per l'esistenza, combattuta contro la natura ambiente e contro
individui della stessa sua specie, si è sviluppato negli uomini l'istinto sociale, che ha completamente
trasformato le condizioni della sua esistenza. In forza di esso l'uomo potette uscire dall'animalità,
salire a potenza grandissima ed elevarsi tanto al disopra degli altri animali, che i filosofi spiritualisti
han creduto necessario inventare per lui un'anima immateriale ed immortale.
Molte cause concorrenti han contribuito alla formazione di questo istinto sociale, che, partendo
dalla base animale dell'istinto della conservazione della specie (che è l'istinto sociale ristretto alla
famiglia naturale) è arrivato ad un grado eminente in intensità ed in estensione, e costituisce ormai
il fondo stesso della natura morale dell'uomo.
L'uomo, comunque uscito dai tipi inferiori dell'animalità, essendo debole e disarmato per la lotta
individuale contro le bestie carnivore, ma avendo un cervello capace di grande sviluppo, un organo
vocale atto ad esprimere con suoni diversi le varie vibrazioni cerebrali, e delle mani specialmente
adatte per dar forma voluta alla materia, dovette sentire ben presto il bisogno ed i vantaggi
dell'associazione; anzi si può dire che solo allora potette uscire dall'animalità quando divenne
sociale, ed acquistò l'uso della parola, che è nello stesso tempo conseguenza e fattore potente della
sociabilità.
Il numero relativamente scarso della specie umana, rendendo meno aspra, meno continua, meno
necessaria la lotta per l'esistenza tra uomo ed uomo, anche al di fuori dell'associazione, dovette
favorire molto lo sviluppo dei sentimenti di simpatia e lasciar tempo che l'utilità del mutuo
appoggio si potesse scoprire ed apprezzare.
Infine la capacità acquistata dall'uomo, grazie alle sue qualità primitive applicate in cooperazione
con un numero più o meno grande di associati, di modificare l'ambiente esterno ed adattarlo ai
propri bisogni; il moltiplicarsi dei desiderii che crescono coi mezzi di soddisfarli e diventano
bisogni; la divisione del lavoro che è conseguenza della sfruttamento metodico della natura a
vantaggio dell'uomo, han fatto sì che la vita sociale è diventata l'ambiente necessario dell'uomo,
fuori del quale esso non può vivere, e, se vive, decade allo stato bestiale.
E, per l'affinarsi della sensibilità col moltiplicarsi dei rapporti, e per l'abitudine impressa nella
specie dalla trasmissione ereditaria per migliaia di secoli, questo bisogno di vita sociale, di scambio
di pensieri e di affetti tra uomo e uomo è diventato un modo di essere necessario del nostro
organismo, si è trasformato in simpatia, amicizia, amore, e sussiste indipendentemente dai vantaggi
materiali che l'associazione produce, tanto che per soddisfarlo si affrontano spesso sofferenze di
ogni genere ed anche la morte.
Insomma i vantaggi grandissimi che l'associazione apporta all'uomo; lo stato d'inferiorità fisica,
affatto proporzionato alla sua superiorità intellettuale, in cui egli si trova di fronte alle bestie se
resta isolato; la possibilità per l'uomo di associarsi ad un numero sempre crescente d'individui ed in
rapporti sempre più intimi e complessi fino ad allargare l'associazione a tutta l'umanità ed a tutta la
vita, e forse più di tutto la possibilità per l'uomo di produrre, lavorando in cooperazione cogli altri,
più di quello che gli occorre per vivere, ed i sentimenti affettivi che da tutto questo derivano, han
dato alla lotta per l'esistenza umana un carattere affatto diverso dalla lotta che si combatte in
generale dagli altri animali.
Quantunque oggi si sa - e le ricerche dei moderni naturalisti ce ne apportano ogni giorno nuove
prove - che la cooperazione ha avuto ed ha nello sviluppo del mondo organico una parte
importantissima che non sospettavano coloro che volevano giustificare, ben a sproposito del resto,
il regno della borghesia colle teorie darwiniane, pure il distacco tra la lotta umana e la lotta animale
resta enorme, e proporzionale alla distanza che separa l'uomo dagli altri animali.
Gli altri animali combattono, o individualmente, o più spesso in piccoli gruppi fissi o transitorii,
contro tutta la natura, compresi gli altri individui della loro stessa spese. Gli stessi animali più
sociali, come le formiche, le api, ecc., sono solidali tra gli individui dello stesso formicaio o dello
stesso alveare, ma sono o in lotta, o indifferenti verso le altre comunità della loro specie. La lotta
umana invece tende ad allargare sempre più l'associazione tra gli uomini, a solidarizzare i loro
interessi, a sviluppare il sentimento di amore di ciascun uomo per tutti gli uomini, a vincere e
dominare la natura esterna coll'umanità e per l'umanità.Ogni lotta diretta a conquistare dei vantaggi
indipendentemente dagli altri uomini o contro di essi, contraddice alla natura sociale dell'uomo
moderno e tende a respingerlo verso l'animalità.
La solidarietà, cioè l'armonia degli interessi e dei sentimenti, il concorso di ciascuno al bene di tutti
e di tutti al bene di ciascuno, è lo stato in cui solo l'uomo può esplicare la sua natura e raggiungere il
massimo sviluppo ed il massimo benessere possibile. Essa è la meta verso cui cammina l'evoluzione
umana; è il principio superiore che risolve tutti gli antagonismi attuali, altrimenti insolubili, e fa sì
che la libertà di ciascuno non trovi il limite, ma il complemento, anzi le condizioni necessarie di
esistenza, nella libertà degli altri.
"Nessun individuo", diceva Michele Bakunin, "può riconoscere la sua propria umanità né per
conseguenza realizzarla nella sua vita, se non riconoscendola negli altri e cooperando alla sua
realizzazione per gli altri. Nessun uomo può emanciparsi altrimenti che emancipando con lui tutti
gli uomini che lo circondano. La mia libertà è la libertà di tutti, poiché io non sono realmente libero,
libero non solo nell'idea ma nel fatto, se non quando la mia libertà e il mio diritto trovano la loro
conferma e la loro sanzione nella libertà e nel diritto di tutti gli uomini miei uguali".
"M'importa molto ciò che sono tutti gli altri uomini, perché, per quanto indipendente io sembri o mi
creda per la mia posizione sociale, fossi pure Papa, Czar, Imperatore o anche primo ministro, io
sono incessantemente il prodotto di ciò che sono gli ultimi tra loro: se essi sono ignoranti,
miserabili, schiavi, la mia esistenza è determinata dalla loro schiavitù. Io, uomo illuminato od
intelligente, per esempio, sono - se è il caso - stupido per la loro stupidaggine; io coraggioso sono
schiavo per la loro schiavitù; io ricco tremo dinanzi alla loro miseria; io privilegiato impallidisco
innanzi alla loro giustizia. Io che voglio esser libero, non lo posso, perché intorno a me tutti gli
uomini non vogliono ancora esser liberi, e non volendolo, divengono contro di me degli strumenti
di oppressione".
La solidarietà dunque è la condizione nella quale l'uomo raggiunge il massimo grado di sicurezza e
di benessere; e perciò l'egoismo stesso, cioè la considerazione esclusiva del proprio interesse spinge
l'uomo e le società umane verso la solidarietà; o, per meglio dire, egoismo ed altruismo
(considerazione degli interessi altrui) si confondono in un solo sentimento, come si confondono in
uno l'interesse dell'individuo e l'interesse della società.
Sennonché l'uomo non poteva d'un tratto solo passare dall'animalità all'umanità, dalla lotta brutale
tra uomo e uomo, alla lotta solidale di tutti gli uomini affratellati contro la natura esteriore.
Guidato dai vantaggi che offre l'associazione e la conseguente divisione del lavoro, l'uomo evolveva
verso la solidarietà; ma la sua evoluzione incontrò un ostacolo che l'ha deviata e la devia ancora
dalla mèta. L'uomo scoprì che poteva, almeno fino ad un certo punto e per i bisogni materiali e
primitivi che allora solamente sentiva, realizzare i vantaggi della cooperazione sottomettendo a sé
gli altri uomini invece di associarseli; e, siccome erano ancora potenti in lui gl'istinti feroci ed
antisociali ereditati dalle bestie progenitrici, egli costrinse i più deboli a lavorare per lui, preferendo
la dominazione alla associazione. Forse anche, nella più parte dei casi, fu sfruttando i vinti che
l'uomo imparò per la prima volta a comprendere i benefizi dell'associazione, l'utile che l'uomo
poteva ricavare dall'appoggio dell'uomo.
Così la constatazione dell'utilità della cooperazione, che doveva condurre al trionfo della solidarietà
in tutti i rapporti umani, mise capo invece alla proprietà individuale ed al governo, cioè allo
sfruttamento del lavoro di tutti da parte di pochi privilegiati.
Era sempre l'associazione, la cooperazione, fuori della quale non v'è più vita umana possibile; ma
era un modo di cooperazione, imposto e regolato da pochi nel loro interesse particolare.
Da questo fatto è derivata la grande contraddizione, che riempie la storia degli uomini, tra la
tendenza ad associarsi ed affratellarsi per la conquista e l'adattamento del mondo esteriore ai
bisogni dell'uomo, e per la soddisfazione dei sentimenti affettivi, e la tendenza a dividersi in tante
unità separate ed ostili quanti sono gli aggruppamenti determinati da condizioni geografiche, quante
sono le posizioni economiche, quanti sono gli uomini che sono riusciti a conquistare un vantaggio e
vogliono assicurarselo ed aumentarlo, quanti sono quelli che sperano conquistare un privilegio,
quanti sono quelli che soffrono di un'ingiustizia o di un privilegio e si ribellano e vogliono
redimersi.
Il principio del ciascun per sé, che è la guerra di tutti contro tutti, è venuto nel corso della storia a
complicare, a deviare, a paralizzare la guerra di tutti contro la natura per il maggior benessere
dell'umanità, che solo può avere esito completo fondandosi sul principio tutti per uno e uno per
tutti.
Immensi sono stati i mali che ha sofferto l'umanità per questo intromettersi della dominazione e
dello sfruttamento in mezzo all'associazione umana. Ma malgrado l'oppressione atroce cui sono
state sottomesse le masse, malgrado la miseria, malgrado i vizi, i delitti, la degradazione che la
miseria e la schiavitù producono negli schiavi e nei padroni, malgrado gli odii accumulati, malgrado
le guerre sterminatrici, malgrado l'antagonismo degl'interessi artificialmente creato, l'istinto sociale
ha sopravvissuto e si è sviluppato. La cooperazione restando sempre la condizione necessaria
perché l'uomo potesse lottare con successo contro la natura esteriore, restò pure come causa
permanente dell'avvicinamento degli uomini e dello svilupparsi del sentimento di simpatia tra gli
uomini. L'oppressione stessa delle masse ha affratellati gli oppressi fra loro; ed è stato solo in forza
della solidarietà più o meno cosciente e più o meno estesa, che esisteva fra gli oppressi, che questi
han potuto sopportare l'oppressione e che l'umanità a resistito alle cause di morte che si sono
insinuate in mezzo ad essa.
Oggi lo sviluppo immenso che ha preso la produzione, il crescere di quei bisogni che non possono
soddisfarsi se non col concorso di gran numero di uomini di tutti i paesi, i mezzi di comunicazione,
l'abitudine dei viaggi, la scienza, la letteratura, i commerci, le guerre stesse, hanno stretto e vanno
sempre più stringendo l'umanità in un corpo solo, le cui parti, solidali tra loro, possono solo trovare
pienezza e libertà di sviluppo nella salute delle altre parti e del tutto.
L'abitante di Napoli è tanto interessato alla bonifica dei fondaci della sua città, quanto al
miglioramento delle condizioni igieniche delle popolazioni delle sponde del Gange, di dove gli
viene il colera. Il benessere, la libertà, l'avvenire di un montanaro perduto fra le gole degli
Appennini, non solo dipendono dallo stato di benessere o di miseria in cui si trovano gli abitanti del
suo villaggio. non solo dipendono dalle condizioni generali del popolo italiano, ma dipendono pure
dallo stato dei lavoratori in America o in Australia, dalla scoperta che fa uno scienziato svedese,
dalle condizioni morali e materiali dei Cinesi, dalla guerra o dalla pace che si fa in Africa, da tutte
insomma le circostanze grandi e piccine che in punto qualunque del mondo agiscono sopra un
essere umano.
Nelle condizioni attuali della società. questa vasta solidarietà che unisce insieme tutti gli uomini è
in gran parte incosciente, poiché sorge spontanea dall'attrito degli interessi particolari, mentre gli
uomini si preoccupano punto o poco degli interessi generali. E questa è la prova più evidente che la
solidarietà è legge naturale dell'umanità, che si esplica e s'impone malgrado tutti gli ostacoli.
malgrado tutti gli antagonismi creati dall'attuale costituzione sociale.
D'altra parte le masse oppresse, che non si sono mai completamente rassegnate all'oppressione ed
alla miseria, e che oggi più che mai si mostrano assetate di giustizia, di libertà, di benessere,
incominciano a capire che esse non potranno emanciparsi se non mediante l'unione, la solidarietà
con tutti gli oppressi, con tutti gli sfruttati del mondo tutto. Ed esse capiscono pure che condizione
imprescindibile della loro emancipazione è il possesso dei mezzi di produzione, del suolo e degli
strumenti di lavoro, e quindi l'abolizione della proprietà individuale. E la scienza, l'osservazione dei
fenomeni sociali, dimostra che questa abolizione sarebbe di utile immenso agli stessi privilegiati, se
solo volessero rinunziare al loro spirito di dominazione e concorrere con tutti al lavoro per il
benessere comune.
Ora dunque, se un giorno le masse oppresse si rifiuteranno di lavorare per gli altri, se leveranno ai
proprietari la terra e gli strumenti di lavoro o vorranno adoperarli per conto e profitto proprio, cioè
di tutti, se esse non vorranno più subire dominazione né di forza brutale, né di privilegio
economico, se la fratellanza fra i popoli, il sentimento di solidarietà umana rafforzato dalla
comunanza d'interessi avrà messo fine alle guerre ed alle conquiste, quale ragione di esistere
avrebbe più un governo?
Abolita la proprietà individuale, il governo che è il suo difensore, deve sparire. Se sopravvivesse
esso tenderebbe continuamente a ricostituire, sotto una forma qualsiasi, una classe privilegiata ed
oppressiva.
E l'abolizione del governo, non significa, non può significare il disfacimento della connessione
sociale. Bene al contrario, la cooperazione che oggi è forzata, che oggi è diretta al vantaggio di
pochi, sarebbe libera, volontaria e diretta al vantaggio di tutti; e perciò diventerebbe tanto più
intensa ed efficace.
L'istinto sociale, il sentimento di solidarietà si svilupperebbe al più alto grado: e ciascun uomo
farebbe tutto quello che può per il bene degli altri uomini, tanto per soddisfare ai suoi sentimenti
affettivi, quanto per beninteso interesse.
Dal libero concorso di tutti, mediante l'aggrupparsi spontaneo degli uomini secondo i loro bisogni e
le loro simpatie, dal basso all'alto, dal semplice al composto, partendo dagli interessi più immediati
per arrivare a quelli più lontani e più generali, sorgerebbe un'organizzazione sociale, che avrebbe
per scopo il maggior benessere e la maggiore libertà di tutti, abbraccerebbe tutta l'umanità in
fraterna comunanza e si modificherebbe e migliorerebbe a seconda del modificarsi delle circostanze
e degli insegnamenti dell'esperienza.
Questa società di liberi, questa società di amici è l'anarchia.
* * *
Noi abbiamo finora considerato il governo quale è, quale deve necessariamente essere, in una
società fondata sul privilegio, sullo sfruttamento e l'oppressione dell'uomo da parte dell'uomo,
sull'antagonismo degl'interessi, sulla lotta intrasociale, in una parola sulla proprietà individuale.
Abbiamo visto come lo stato di lotta, lungi dall'essere una condizione necessaria della vita
dell'umanità, è contrario agli interessi degli individui e della specie umana; abbiamo visto come la
cooperazione. la solidarietà è legge del progresso umano, ed abbiamo conchiuso che abolendo la
proprietà individuale ed ogni predominio, il governo perde ogni ragione di essere e si deve abolire.
"Però (ci si potrebbe dire) cambiato il principio su cui è fondata oggi l'organizzazione sociale,
sostituita la solidarietà alla lotta, la proprietà comune alla proprietà individuale, il governo
cambierebbe natura ed invece di essere il protettore ed il rappresentante degli interessi di una
classe, sarebbe, poiché classi non ve ne sono più, il rappresentante degli interessi di tutta la società.
Esso avrebbe missione di assicurare e regolare, nell'interesse di tutti, la cooperazione sociale,
compiere i servizi pubblici d'importanza generale, difendere la società dai possibili tentativi diretti a
ristabilire il privilegio, e prevenire e reprimere gli attentati, da chiunque commessi, contro la vita, il
benessere e la libertà di ciascuno.
Vi sono nella società delle funzioni troppo necessarie, che richiedono troppa costanza, troppa
regolarità, per poter essere lasciati alla libera volontà degl'individui, senza pericolo di vedere andare
ogni cosa a soqquadro.
Chi organizzerebbe e chi assicurerebbe, se non vi fosse un governo, i servizi di alimentazione, di
distribuzione, d'igiene, di posta, telegrafo, ferrovie, ecc? Chi curerebbe l'istruzione popolare? Chi
intraprenderebbe quei grandi lavori di esplorazioni, di bonifiche, d'intraprese scientifiche, che
trasformano la faccia della terra, e centuplicano le forze dell'uomo?
Chi veglierebbe alla conservazione ed all'aumento del capitale sociale per tramandarlo arricchito e
migliorato all'umanità avvenire?
Chi impedirebbe la devastazione delle foreste, lo sfruttamento irrazionale e quindi l'impoverimento
del suolo?
Chi avrebbe mandato di prevenire e reprimere i delitti, cioè gli atti antisociali?
E quelli che, mancando alla legge di solidarietà, non volessero lavorare? E quelli che spargessero
l'infezione in un paese, rifiutandosi di sottomettersi alle regole igieniche riconosciute utili dalla
scienza? E se vi fossero di quelli che, matti o no, volessero bruciare il raccolto, o violare i bambini,
o abusare sui più deboli della loro forza fisica?
Distruggere la proprietà individuale e abolire i governi esistenti, senza poi ricostruire un governo
che organizzasse la vita collettiva ed assicurasse la solidarietà sociale, non sarebbe abolire i
privilegi e portare sul mondo la pace ed il benessere; ma sarebbe distruggere ogni vincolo sociale,
respingere l'umanità verso la barbarie, verso il regno del ciascuno per sé, che è il trionfo della forza
brutale prima, del privilegio economico dopo".
Queste sono le obbiezioni che ci oppongono gli autoritarii anche quando sono socialisti, cioè
quando vogliono abolire la proprietà individuale ed il governo di classe che ne deriva.
Rispondiamo.
Prima di tutto non è vero che cambiate le condizioni sociali, il governo cambierebbe di natura e di
funzione. Organo e funzione sono termini inseparabili. Levate ad un organo la sua funzione, e, o
l'organo muore o la funzione si ricostituisce. Mettere un esercito in un paese in cui non ci siano né
ragioni, né paure di guerra interna o esterna, ed esso provocherà la guerra, o, se non ci riesce, si
disfarà. Una polizia dove non ci siano delitti da scoprire e delinquenti da arrestare, provocherà,
inventerà i delitti ed i delinquenti, o cesserà di esistere.
In Francia esiste da secoli un'istituzione, oggi aggregata all'amministrazione delle foreste, la
lupatteria (louveterie) i cui ufficiali hanno incarico di provvedere alla distruzione dei lupi ed altre
bestie nocive. Nessuno sarà meravigliato apprendendo che è appunto a causa di questa istituzione
che i lupi esistono ancora in Francia, e nelle stagioni rigorose vi fanno strage. Il pubblico si occupa
poco di lupi, perché vi sono i lupattieri che vi debbono pensare; ed i lupattieri fanno sì la caccia,ma
la fanno intelligentemente, risparmiando i nidi e dando tempo alla riproduzione, per non rischiare di
distruggere una specie così interessante. I contadini francesi infatti hanno poca fiducia in questi
lupattieri, e li considerano piuttosto come i conservatori dei lupi. E si capisce: che farebbero i
"luogotenenti di lupatteria" se non vi fossero più lupi?
Un governo, cioè un numero di persone incaricato di far le leggi ed abilitato a servirsi della forza di
tutti per obbligare ciascuno a rispettarle, costituisce già una classe privilegiata e separata dal
popolo. Esso cercherà istintivamente, come ogni corpo costituito, di allargare le sue attribuzioni di
sottrarsi al controllo del popolo, di imporre le sue tendenze e di far predominare i suoi interessi
particolari. Messo in una posizione privilegiata, il governo già si trova in antagonismo colla massa,
dalla cui forza dispone.
Del resto un governo anche volendo, non potrebbe contentar tutti, se pur riuscisse a contentar
qualcuno. Dovrebbe difendersi contro i malcontenti, e quindi dovrebbe cointeressare una parte del
popolo per esserne appoggiato. E così ricomincerebbe la vecchia storia della classe privilegiata che
si costituisce colla complicità del governo, e che, se questa volta non s'impossesserebbe del suolo,
accapparrerebbe certo delle posizioni di favore, appositamente create, e non sarebbe meno
oppressiva né meno sfruttatrice della classe capitalistica.
I governanti, abituati ai comando, non vorrebbero ritornare nella folla, e se non potessero
conservare il potere nelle loro mani, si assicurerebbero almeno delle posizioni privilegiate per
quando dovranno passarlo in mano di altri. Userebbero di tutti i mezzi che ha il potere, per far
eleggere a loro successori gli amici loro, ed esserne poscia a loro volta appoggiati e protetti. E così
il governo passerebbe e ripasserebbe nelle stesse mani, e la democrazia, che è il preteso governo di
tutti, finirebbe, come sempre, in oligarchia, che è il governo di pochi, il governo di una classe.
E che oligarchia strapotente, oppressiva, assorbente sarebbe mai quella che avrebbe a suo carico,
cioè a sua disposizione, tutto il capitale sociale, tutti i servizi pubblici, dall'alimentazione alla
fabbricazione dei fiammiferi, dalle università ai teatri d'operette!!!
Ma, supponiamo pure che il governo non costituisse già da sé una classe privilegiata, e potesse
vivere senza creare intorno a sé una nuova classe di privilegiati e restando il rappresentante, il
servo, se si vuole, di tutta la società. A che servirebbe esso mai? In che cosa ed in che modo
aumenterebbe esso la forza, l'intelligenza, lo spirito di solidarietà, la cura del benessere di tutti e
dell'umanità futura, che in un dato momento si trovano esistenti in una data società?
È sempre la vecchia storia dell'uomo legato, che essendo riuscito a vivere malgrado i ceppi, crede di
vivere a causa dei ceppi. Noi siamo abituati a vivere sotto di un governo, che accaparra tutte quelle
forze, quelle intelligenze, quelle volontà, che può dirigere ai suoi fini; ostacola, paralizza, sopprime
quelle che gli sono inutili od ostili, e ci immaginiamo che tutto ciò che si fa nella società si fa per
opera del governo, e che senza governo non ci sarebbe più nella società né forza, né intelligenza, né
buona volontà. Così (lo abbiamo già detto) il proprietario che s'è impossessato della terra la fa
coltivare per il suo profitto particolare, lasciando al lavoratore lo stretto necessario perché esso
possa e voglia continuare a lavorare, ed il lavoratore asservito pensa che non potrebbe vivere senza
il padrone, come se questi creasse la terra e le forze della natura.
Che cosa può aggiungere di suo il governo alle forze morali e materiali che esistono in una società?
Sarebbe esso per caso come il Dio della Bibbia che crea dal nulla?
Siccome nulla si crea nel mondo che suol chiamarsi materiale, così nulla si crea in questa forma più
complicata del mondo materiale che è il mondo sociale. E perciò i governanti non possono disporre
che delle forze che esistono nella società, meno quelle grandissime che l'azione governativa
paralizza e distrugge, e meno le forze ribelli, e meno tutto ciò che si consuma negli attriti,
necessariamente grandissimi in un meccanismo così artifizioso. Se qualche cosa ci mettono del
loro, è come uomini e non come governanti che possono farlo. E di quelle forze, materiali e morali,
che restano a disposizione del governo, solo una parte piccolissima riceve una destinazione
realmente utile alla società. Il resto, o è consumato in attività repressiva per tenere a freno le forze
ribelli, o è altrimenti stornato dallo scopo di utilità generale ed adoperato a profitto di pochi ed a
danno della maggioranza degli uomini.
Si è fatto un gran discorrere sulla parte che hanno rispettivamente, nella vita e nel progresso delle
società umane, l'iniziativa individuale e l'azione sociale; e si è riuscito, coi soliti artifizii del
linguaggio metafisico, ad imbrogliare talmente le cose, che poi sono apparsi audaci coloro i quali
hanno affermato che tutto si regge e cammina nel mondo umano per opera dell'iniziativa
individuale. In realtà è questa una verità di senso comune, che appare evidente non appena si cerca
di rendersi conto delle cose che le parole significano. L'essere reale è l'uomo, è l'individuo: la
società o collettività - e lo Stato o governo che pretende rappresentarla - se non sono vuote
astrazioni, non possono essere che aggregati d'individui. Ed è nell'organismo di ciascun individuo
che hanno necessariamente origine tutti i pensieri e tutti gli atti umani, i quali, da individuali,
diventano pensieri ed atti collettivi quando sono o si fanno comuni a molti individui. L'azione
sociale, dunque, non è né la negazione, né il complemento dell'iniziativa individuale, ma è la
risultante delle iniziative, dei pensieri e delle azioni di tutti gli individui che compongono la società:
risultante che, posta ogni altra cosa eguale, è più o meno grande secondo che le singole forze
concorrono allo stesso scopo, o sono divergenti od opposte. E se invece, come fanno gli autoritarii,
per azione sociale s'intende l'azione governativa, allora essa è ancora la risultante di forze
individuali, ma solo di quegli individui che fanno parte del governo, o che per la loro posizione
possono influire sulla condotta del governo.
Quindi, nella contesa secolare tra libertà ed autorità, o, in altri termini, tra socialismo e stato di
classe, non è questione veramente di alterare i rapporti tra la società e l'individuo; non è questione
di aumentare l'indipendenza individuale a scapito dell'ingerenza sociale, o questa a scapito di
quella. Ma si tratta piuttosto di impedire che alcuni individui possano opprimere altri; di dare a tutti
gli individui gli stessi diritti e gli stessi mezzi di azione; e di sostituire l'iniziativa di pochi, che
produce necessariamente l'oppressione di tutti gli altri. Si tratta insomma, sempre e poi sempre, di
distruggere la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in modo che tutti siano
interessati al benessere comune, e le forze individuali, invece di esser soppresse o di combattersi ed
elidersi a vicenda, trovino la possibilità di uno sviluppo completo, e si associno insieme per il
maggior vantaggio di tutti.
Da quanto abbiamo detto risulta che l'esistenza di un governo, anche se fosse, per seguire la nostra
ipotesi, il governo ideale dei socialisti autoritarii, lungi dal produrre un aumento delle forze
produttive, organizzatrici e protettrici della società, le diminuirebbe immensamente, restringendo
l'iniziativa a pochi, e dando a questi pochi il diritto di tutto fare, senza potere, naturalmente, dar loro
il dono di tutto sapere.
Infatti, se levate nella legislazione e nell'opera tutta di un governo tutto ciò che è inteso a difendere i
privilegiati e che rappresenta la volontà dei privilegiati stessi, che cosa vi resta che non sia il
risultato dell'attività di tutti? "Lo Stato ", diceva Sismondi, "è sempre un potere conservatore che
autentica, regolarizza, organizza le conquiste del progresso" (e la storia aggiunge che le dirige a
profitto proprio e della classe privilegiata) "non mai le inaugura. Esse hanno sempre origine dal
basso, nascono dal fondo della società, dal pensiero individuale, che poi si divulga, diventa
opinione, maggioranza, ma deve sempre incontrare sui suoi passi e combattere nei poteri costituiti
la tradizione, la consuetudine, il privilegio e l'errore".
Del resto per comprendere come una società possa vivere senza governo, basta osservare un pò a
fondo nella stessa società attuale, e si vedrà come in realtà la più gran parte, la parte essenziale della
vita sociale, si compie anche oggi al di fuori dell'intervento governativo, e come il governo non
interviene che per sfruttare le masse, per difendere i privilegiati, e per il resto viene a sanzionare,
ben inutilmente, tutto quello che s'è fatto senza di lui, e spesso, malgrado e contro di lui. Gli uomini
lavorano, scambiano, studiano, viaggiano, seguono come l'intendono le regole della morale e
dell'igiene, profittano dei progressi della scienza e dell'arte, hanno rapporti infiniti tra di loro, senza
che sentano bisogno di qualcuno che imponga loro il modo di condursi. Anzi sono appunto quelle
cose in cui il governo non ha ingerenza, che camminano meglio, che dan luogo a minori
contestazioni e si accomodano, per la volontà di tutti, in modo che tutti ci trovino utile e piacere.
Né il governo è più necessario per le grandi imprese e per quei servizi pubblici che richiedono il
concorso regolare di molta gente di paesi e condizioni differenti. Mille di queste imprese sono oggi
stesso, l'opera di associazioni di privati, liberamente costituite, e sono, a confessione di tutti, quelle
che meglio riescono. Né parliamo delle associazioni di capitalisti, organizzate a scopo di
sfruttamento, quantunque esse pure dimostrino la possibilità e la potenza della libera associazione, e
come essa può estendersi fino ad abbracciare gente di tutti i paesi ed interessi immensi e
svariatissimi. Ma parliamo a preferenza di quelle associazioni che, ispirate dall'amore per propri
simili, o dalla passione della scienza, o anche semplicemente dal desiderio di divertirsi e di farsi
applaudire, meglio rappresentano gli aggruppamenti quali saranno in una società in cui, abolita la
proprietà individuale e la lotta intestina fra gli uomini, ciascuno troverà il suo interesse
nell'interesse di tutti, e la sua migliore soddisfazione nel far il bene, e piacere agli altri. Le società e
i congressi scientifici, l'associazione internazionale di salvataggio, l'associazione della Croce Rossa,
le Società geografiche, le organizzazioni operaie, i corpi di volontari che accorrono al soccorso in
tutte le grandi calamità pubbliche, sono esempi, tra mille, di questa potenza dello spirito di
associazione che si manifesta sempre quando si tratta di un bisogno o di una passione veramente
sentita, e non manchino i mezzi. Ché, se l'associazione volontaria non copre il mondo e non
abbraccia tutti i rami dell'attività materiale e morale, si è a causa degli ostacoli messi dai governi,
degli antagonismi creati dalla proprietà privata, e dell'impotenza e dell'avvilimento, in cui
l'accaparramento della ricchezza da parte di pochi riduce la gran maggioranza degli uomini.
Il governo s'incarica, per esempio, del servizio delle poste, delle ferrovie, ecc. Ma in che cosa aiuta
realmente questi servizi? Quando il popolo, messo in grado di poterne godere, sente il bisogno di
questi servizi, pensa ad organizzarli, e gli uomini tecnici non hanno bisogno di un brevetto
governativo per mettersi al lavoro. E più il bisogno è generale ed urgente, più abbonderanno i
volontari per compierlo. Se il popolo avesse facoltà di pensare alla produzione ed alla
alimentazione, oh! non temete ch'egli si lasci morire di fame aspettando che un governo abbia fatte
delle leggi in proposito. Se governo vi dovesse essere, esso sarebbe ancora costretto di aspettare che
il popolo abbia prima di tutto organizzato, per poi venire con delle leggi a sanzionare ed a sfruttare
quello che era già fatto. È dimostrato che l'interesse privato è il gran movente di tutte le attività:
ebbene, quando l'interesse di tutti sarà l'interesse di ciascuno (e lo sarà necessariamente se non
esiste la proprietà individuale) allora tutti agiranno, e se le cose si fanno adesso che interessano a
pochi, tanto più e tanto meglio si faranno quando interesseranno a tutti. E si capisce a stento come
vi sia della gente che crede che l'esecuzione ed il regolare andamento dei servizi pubblici
indispensabili alla vita sociale, siano meglio assicurati se fatti per gli ordini di un governo, anziché
direttamente dai lavoratori, che, o per propria elezione, o per accordi cogli altri, han prescelto quel
genere di lavoro e lo eseguiscono sotto il controllo immediato di tutti gl'interessati.
Certamente in ogni grande lavoro collettivo v'è bisogno di divisione di lavoro, di direzione tecnica,
di amministrazione, ecc. Ma malamente gli autoritari giocano sulle parole per dedurre la ragion di
essere del governo dalla necessità, ben reale, di organizzare il lavoro. Il governo, è bene ripeterlo, è
l'insieme degl'individui che hanno avuto o si son preso il diritto ed i mezzi di far le leggi e di
forzare la gente ad ubbidire; l'amministratore, l'ingegnere, ecc., sono invece uomini che ricevono o
si assumono l'incarico di fare un dato lavoro e lo fanno. Governo significa delegazione di potere,
cioè abdicazione della iniziativa e della sovranità di tutti nelle mani di alcuni; amministrazione
significa delegazione di lavoro, cioè incarico dato e ricevuto, scambio libero di servigi fondato
sopra liberi patti. Il governo è un privilegiato, poiché ha il diritto di comandare agli altri e di servirsi
delle forze degli altri, per far trionfare le sue idee ed i suoi desideri particolari; l'amministratore, il
direttore tecnico, ecc., sono lavoratori come gli altri, quando, s'intende, lo siano in una società in cui
tutti hanno mezzi uguali di svilupparsi e tutti siano o possano essere ad un tempo lavoratori
intellettuali e manuali, e non vi restino altre differenze fra gli uomini che quelle derivanti dalla
diversità naturale delle attitudini, e tutti i lavoratori, tutte le funzioni diano un diritto eguale a
godere dei vantaggi sociali. Non si confonda la funzione governativa con la funzione
amministrativa, che sono essenzialmente diverse, e che, se oggi si trovano spesso confuse, è solo a
causa del privilegio economico e politico.
Ma affrettiamoci a passare alle funzioni, per le quali il governo è considerato, da tutti coloro che
non sono anarchici, come veramente indispensabile: la difesa esterna ed interna di una società, vale
a dire la guerra, la polizia e la giustizia.
Aboliti i governi e messa la ricchezza sociale a disposizione di tutti, presto spariranno tutti gli
antagonismi tra i vari popoli e la guerra non avrà più ragione di esistere. Diremo inoltre che nello
stato attuale del mondo, quando la rivoluzione si farà in un paese, se non troverà eco sollecito,
dappertutto troverà certo tanta simpatia che nessun governo oserà mandare le truppe all'estero col
rischio di vedersi scoppiare la rivoluzione in casa. Ma ammettiamo pure che i governi dei paesi non
ancora emancipati volessero e potessero tentare di rimettere in servitù un popolo libero; avrà questo
bisogno di un governo per difendersi? Per far la guerra ci vogliono uomini che abbiano le
cognizioni geografiche e tecniche necessarie, e soprattutto masse che vogliono battersi. Un governo
non può aumentare la capacità degli uni, né la volontà ed il coraggio delle altre. E l'esperienza
storica ci insegna come un popolo che voglia davvero difendere il proprio paese sia invincibile: ed
in Italia si sa da tutti come, innanzi ai corpi di volontari (formazione anarchica) crollino i troni e
svaniscano gli eserciti regolari, composti d'uomini forzati od assoldati
E la polizia? E la giustizia? Molti s'immaginano che se non vi fossero carabinieri, poliziotti e
giudici ognuno sarebbe libero di uccidere, di stuprare, di danneggiare gli altri a suo capriccio; e che
gli anarchici, in nome dei loro principi, vorrebbero rispettata quella strana libertà, che viola e
distrugge la libertà e la vita degli altri. Quasi credono che noi, dopo avere abbattuto il governo e la
proprietà individuale, lasceremmo poi ricostruire tranquillamente l'uno e l'altra, per rispetto alla
libertà di coloro che sentissero il bisogno di essere governanti e proprietarii. Strano modo davvero
d'intendere le nostre idee!... è vero che così riesce più facile sbarazzarsi con una scrollata di spalle,
dell'incomodo di confutarle.
La libertà che noi vogliamo, per noi e per gli altri, non è la liberta assoluta, astratta, metafisica, che
in pratica si traduce fatalmente in oppressione del debole; ma è la libertà reale, la liberta possibile,
che è la comunanza cosciente degli interessi, la solidarietà volontaria. Noi proclamiamo la massima
FA QUEL CHE VUOI, ed in essa quasi riassumiamo il nostro programma, perché - ci vuol poco a
capirlo - riteniamo che in una società armonica, in una società senza il governo e senza proprietà,
ognuno VORRÀ QUEL CHE DOVRÀ.
Ma se, o per le conseguenze, dell'educazione ricevuta dalla presente società o per malore fisico, o
per qualsiasi altra causa, uno volesse fare del danno a noi ed agli altri, noi ci adopereremmo, se ne
può essere certi, ad impedirglielo con tutti i mezzi a nostra portata. Certo, siccome noi sappiamo
che l'uomo è la conseguenza del proprio organismo e dell'ambiente cosmico e sociale in cui vive;
siccome non confondiamo il diritto sacro della difesa col preteso assurdo diritto di punire; e
siccome nel delinquente, cioè in colui che commette atti antisociali, non vedremmo già lo schiavo
ribelle, come avviene al giudice di oggi, ma il fratello ammalato e necessitoso di cura, così noi non
metteremmo odio nella repressione, ci sforzeremmo di non oltrepassare la necessità della difesa, e
non penseremmo a vendicarci ma a curare, a redimere l'infelice con tutti i mezzi che la scienza ci
insegnerebbe. In ogni modo, comunque l'intendessero gli anarchici (ai quali potrebbe accadere
come a tutti i teorici di perder di vista la realtà, per correr dietro ad un sembiante di logica) è certo
che il popolo non intenderebbe lasciare attentare impunemente al suo benessere ed alla sua libertà,
e, se la necessità si presentasse, provvederebbe a difendersi contro le tendenze antisociali di alcuni.
Ma per farlo, a che serve della gente che faccia il mestiere di far le leggi; e dell'altra gente che viva
cercando ed inventando contravventori alle leggi? Quando il popolo riprova davvero una cosa e la
trova dannosa, riesce ad impedirla sempre, meglio che non tutti i legislatori, i birri ed i giudici di
mestiere. Quando nelle insurrezioni il popolo ha voluto, ben a torto del resto, far rispettare la
proprietà privata, l'ha fatta rispettare come non avrebbe potuto un esercito di birri.
I costumi seguono sempre i bisogni ed i sentimenti della generalità; e sono tanto più rispettati
quanto meno sono soggetti alla sanzione della legge, perché tutti ne veggono ed intendono la utilità,
e perché gl'interessati, non illudendosi sulla protezione del governo, pensano a farli rispettare da
loro. Per una carovana che viaggia nei deserti dell'Africa, la buona economia dell'acqua è questione
di vita o di morte per tutti: e l'acqua in quelle circostanze diventa cosa sacra e nessuno si permette
di sciuparla. I cospiratori hanno bisogno del segreto, ed il segreto è serbato, o l'infamia colpisce chi
lo viola. I debiti di giuoco non sono garantiti dalla legge, e tra i giocatori è considerato e considera
se stesso disonorato chi non li paga.
È forse a causa dei gendarmi che non si uccide più di quello che si fa? La maggior parte dei comuni
d'Italia non veggono i gendarmi che di tratto in tratto; milioni di uomini vanno per i monti e le
campagne, lontani dall'occhio tutelare dell'autorità, in modo che si potrebbe colpirli senza il
menomo pericolo di pena: eppure non sono meno sicuri di coloro che vivono nei centri più
sorvegliati. E la statistica dimostra come il numero dei reati risente a pena l'effetto delle misure
repressive, mentre varia rapidamente col variare delle condizioni economiche e dello stato
dell'opinione pubblica.
Le leggi punitive, del resto, non riguardano che i fatti straordinari, eccezionali. La vita quotidiana si
svolge al di fuori della portata del codice ed è regolata, quasi inconsciamente, per tacito e volontario
assenso di tutti, da una quantità di usi e costumi, ben più importanti alla vita sociale che gli articoli
del codice penale, o meglio rispettati, quantunque completamente privi di ogni sanzione che non sia
quella naturale della disistima in cui incorrono i violatori, e del danno che dalla disistima deriva.
E quando avvenissero tra gli uomini delle contestazioni, l'arbitrato volontariamente accettato, o la
pressione dell'opinione pubblica non sarebbero forse più atti a far aver ragione a chi l'ha, anzi che
una magistratura irresponsabile, che ha il diritto di giudicare su tutto e su tutti, ed è necessariamente
incompetente e quindi ingiusta?
Come il governo in genere non serve che per la protezione delle classi privilegiate, così la polizia e
la magistratura non servono che per la repressione di quei reati che non sono considerati tali dal
popolo, e solo offendono i privilegi del governo e dei proprietari. Per la vera difesa sociale, per la
difesa del benessere e della libertà di tutti, non v'è nulla di più pernicioso che la formazione di
queste classi che vivono col pretesto di difendere tutti, si abituano a considerare ogni uomo come
una selvaggina da mettere in gabbia, vi colpiscono senza saper perché, per l'ordine d un capo, quali
sicari incoscienti e prezzolati.
* * *
Ebbene sia, dicono alcuni: l'anarchia può essere una forma perfetta di convivenza sociale, ma noi
non vogliamo fare un salto nel buio. Diteci dunque dettagliatamente come sarà organizzata la vostra
società. E qui segue tutta una serie di domande, che sono molto interessanti se si tratta di studiare i
problemi che s'imporranno alla società emancipata, ma che sono inutili, o assurde, o ridicole se si
pretende averne da noi una soluzione definitiva. Con quali metodi si educheranno i bambini? Come
si organizzerà la produzione? Ci saranno ancora delle grandi città, o la popolazione si distribuirà
egualmente su tutta la superficie della terra? E se tutti gli abitanti della Siberia vorranno passar
l'inverno a Nizza? E se tutti vorranno mangiare pernici e bere vino del Chianti? E chi farà il
minatore o il marinaio? E chi vuoterà i cessi? E i malati saranno assistiti a domicilio o all'ospedale?
E chi stabilirà l'orario delle ferrovie? E come si farà se a un macchinista vengan le coliche mentre il
treno sta in marcia?... E così di seguito fino a pretendere che noi possedessimo tutta la scienza e
l'esperienza di là da venire, e che, in nome dell'anarchia, prescrivessimo agli uomini futuri a che ora
debbono andare a letto, e quali giorni si debbono tagliare i calli.
Veramente se i nostri lettori aspettano da noi una risposta a queste domande, o almeno a quelle tra
esse che sono veramente serie ed importanti, che sia più che la nostra opinione personale di questo
momento, vuol dire che siamo mal riusciti nel nostro scopo di spiegar loro che cosa è l'anarchia.
Noi non siamo più profeti degli altri: e se pretendessimo dare una soluzione ufficiale a tutti i
problemi che si presenteranno nella vita della società futura, noi intenderemmo l'abolizione del
governo in un senso strano davvero. Noi ci dichiareremmo governo, e prescriveremmo, a mo' dei
legislatori religiosi, un codice universale pei presenti e pei futuri. Fortuna che, non avendo noi roghi
e prigioni per imporre la nostra Bibbia, l'umanità potrebbe ridere impunemente di noi e delle nostre
pretese!
Noi ci preoccupiamo molto di tutti i problemi della vita sociale, e per l'interesse della scienza e
perché facciam conto di vedere l'anarchia attuata e di concorrere come potremo all'organizzazione
della nuova società. Abbiamo quindi le nostre soluzioni, che, secondo i casi, ci appaiono definitive
o transitorie e ne diremmo qui qualche cosa, se non cel vietasse lo spazio. Ma il fatto che noi oggi,
coi dati che possediamo, pensiamo in un dato modo sopra una data questione, non vuol dire è così
che si farà in avvenire. Chi può prevedere le attività che si svilupperanno nell'umanità quando essa
sarà emancipata dalla miseria e dall'oppressione, quando non vi saranno più schiavi né padroni, e la
lotta contro gli altri uomini, e gli odii ed i rancori che ne derivano, non saranno più una necessità
dell'esistenza? Chi può prevedere i progressi della scienza, i nuovi mezzi di produzione, di
comunicazione, ecc.?
L'essenziale è questo: che si costituisca una società in cui non sia possibile lo sfruttamento e la
dominazione dell'uomo sull'uomo; in cui tutti abbiano la libera disposizione dei mezzi di esistenza,
di sviluppo e di lavoro, e tutti possano concorrere, come vogliono e sanno all'organizzazione della
vita sociale. In tale società tutto sarà fatto necessariamente nel modo che meglio soddisfaccia ai
bisogni di tutti, date le cognizione e le possibilità dei, momento; e tutto si trasformerà in meglio, a
seconda che crescano le cognizioni ed i mezzi.
In fondo, un programma che tocca le basi della costituzione sociale non può far altro che indicare
un metodo. Ed è il metodo quello che soprattutto differenzia i partiti e determina la loro importanza
nella storia. A parte il metodo, tutti dicono di volere il bene degli uomini e molti lo vogliono
davvero; i partiti spariscono e con essi sparisce ogni azione organizzata e diretta ad un finte
determinato. Bisogna dunque soprattutto considerare l'anarchia come un metodo.
I metodi dai quali i diversi partiti, non anarchici, si aspettano e dicono di aspettarsi, il maggior bene
di ciascuno e di tutti, si possono ridurre a due, quello autoritario e quello così detto liberale. Il
primo, affida a pochi la direzione della vita sociale e mette capo allo sfruttamento ed all'oppressione
della massa da parte di pochi. Il secondo s'affida alla libera iniziativa degli individui e proclama, se
non l'abolizione, la riduzione del governo al minimo di attribuzioni possibile, però siccome rispetta
la proprietà individuale ed è tutto fondato sul principio del ciascun per sé e quindi della concorrenza
fra gli uomini, la sua libertà non è che la libertà pei forti, pei proprietari, di opprimere e sfruttare i
deboli, quelli che non hanno nulla; e, lungi dai produrre l'armonia, tende ad aumentare sempre più
la distanza tra i ricchi ed i poveri, e mette capo esso pure allo sfruttamento ed alla dominazione cioè
all'autorità. Questo secondo metodo, cioè il liberalismo in teoria è una specie di anarchia senza
socialismo, e perciò non è che una menzogna, poichè la libertà non è possibile senza l'eguaglianza,
e l'anarchia vera non può esistere fuori della solidarietà, fuori del socialismo. La critica che i liberali
fanno del governo, si riduce a volergli levare un certo numero di attribuzioni e chiamare i capitalisti
a contendersele, ma non può attaccare le funzioni repressive che formano la sua essenza; poiché
senza il gendarme il proprietario non potrebbe esistere, e anzi la forza repressiva del governo deve
sempre crescere, a misura che crescono per opera della libera concorrenza la disarmonia e la
disuguaglianza.
Gli anarchici presentano un metodo nuovo; l'iniziativa libera di tutti ed il libero patto, dopo che,
abolita rivoluzionariamente la proprietà individuale, tutti sono stati messi in condizione eguale di
poter disporre delle ricchezze sociali. Questo metodo, non lasciando adito alla ricostituzione della
proprietà individuale, deve condurre, per la via della libera associazione, al trionfo completo del
principio di solidarietà.
Così considerate le cose, si vede che tutti i problemi che si mettono avanti per combattere le idee
anarchiche, sono invece un argomento in favore dell'anarchia, perché questa sola indica la via per la
quale essi possono trovare sperimentalmente quella soluzione che corrisponde meglio ai dettami
della scienza ed ai bisogni ed ai sentimenti di tutti.
Come si educheranno i bambini? Non lo sappiamo. E poi? I genitori, i pedagogisti, e tutti coloro
che s'interessano alle sorti delle nuove generazioni, si riuniranno, discuteranno, s'accorderanno o si
divideranno in diverse opinioni, e metteranno in pratica i metodi che crederanno i migliori. E colla
pratica quel metodo, che davvero è migliore, finirà coi trionfare.
E così per tutti i problemi che si presenteranno.
* * *
Risulta da quello che abbiamo detto finora, che l'anarchia, quale l'intende il partito anarchico, e
quale solo può essere intesa, è basata sul socialismo. Anzi se non fossero quelle scuole socialiste,
che scindono artificiosamente l'unità naturale della questione sociale e ne considerano solo qualche
parte staccata, e se non fossero gli equivoci coi quali si cerca d'intralciare la via alla rivoluzione
sociale, noi potremmo dire addirittura che anarchia è sinonimo di socialismo, poiché l'una e l'altro
significano l'abolizione della dominazione e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sia che
vengano esercitati mediante la forza della baionette sia mediante l'accaparramento dei mezzi di
vivere.
L'anarchia, al pari del socialismo, ha per base, per punto di partenza, per ambiente necessario
l'eguaglianza di condizioni; ha per faro la solidarietà; e per metodo la libertà. Essa non è la
perfezione, essa non è l'ideale assoluto che, come l'orizzonte, si allontana sempre a seconda che ci
avanziamo; ma è la via aperta a tutti i progressi, a tutti i perfezionamenti, fatti nell'interesse di tutti.
* * *
Assodato che l'anarchia è il modo di convivenza sociale che solo lascia aperta la via al
raggiungimento del maggior bene possibile degli uomini, poiché essa sola distrugge ogni classe
interessata a tenere oppressa e misera la massa; assodato che l'anarchia è possibile e poiché in realtà
non fa che sbarazzare l'umanità di un ostacolo, il governo, contro cui ha dovuto sempre lottare per
avanzare nel suo penoso cammino, gli autoritarii si ritirano nelle loro ultime trincee; dove sono
rinforzati da molti che pur essendo caldi amatori di libertà e di giustizia, han paura della libertà, e
non sanno decidersi ad immaginare un'umanità che viva e cammini senza tutori e senza pastori, e,
incalzati dalla verità, domandano pietosamente che si rimetta la cosa al più tardi, al più tardi
possibile.
Ecco la sostanza dagli argomenti che in questo punto della discussione ci vengono opposti.
Questa società senza governo, che si regge per mezzo della cooperazione libera e volontaria; questa
società, che s'affida in tutto all'azione spontanea dagl'interessi ed è tutta fondata sulla solidarietà e
sull'amore, è certamente, essi dicono, un ideale bellissimo ma, come tutti gli ideali, sta nelle nuvole.
Noi ci troviamo in una umanità che ha sempre vissuto divisa in oppressi ed oppressori; e se questi
sono pieni dello spirito di dominazione ed hanno tutti i vizii dei tiranni, quelli sono rotti al
servilismo ed hanno i vizii anche peggiori che produce la schiavitù. Il sentimento della solidarietà è
lungi dall'essere dominante tra gli uomini attuali, e se è vero che gli uomini sono e diventano
sempre più solidali tra loro, è anche vero che quello che più si vede e più lascia l'impronta sul
carattere umano è la lotta per l'esistenza, che ciascuno combatte quotidianamente contro tutti, è la
concorrenza che incalza tutti, operai e padroni, e fa che ogni uomo diventi il lupo dell'altro uomo.
Come mai potranno questi uomini, educati, in una società basata sull'antagonismo delle classi e
degli individui, trasformarsi d'un tratto e divenire capaci di vivere in una società in cui ciascuno farà
quel che vorrà, e dovrà, senza coercizione esterna, per impulso della propria natura, volere il bene
degli altri? E con che coraggio, con che senno affidereste voi le sorti della rivoluzione, le sorti della
umanità, ad una turba ignorante, anemizzata della miseria, abbrutita dal prete, che oggi sarà
stupidamente sanguinaria, e domani si farà goffamente raggirare da un furbo, o piegherà
servilmente il collo sotto il calcagno del primo uomo d'armi che oserà farsi padrone? Non sarà più
prudente avviarsi all'ideale anarchico passando per una repubblica democratica o socialista? Non
sarà necessario un governo educatore, composto dei migliori, per preparare le generazioni ai destini
futuri?
Anche queste obiezioni non avrebbero ragion di essere se noi fossimo riusciti a farci capire ed a
convincere i lettori in quello che abbiamo detto più avanti; ma in ogni modo, anche a costo di
doverci ripetere, sarà bene rispondervi.
Noi ci troviamo sempre di fronte al pregiudizio che il governo sia una forza nuova, sorta non si sa
di dove, che aggiunga per se stesso qualche cosa alla somma delle forze e delle capacità di coloro
che lo compongono e di coloro che gli ubbidiscono. Invece tutto ciò che si fa nell'umanità, si fa
dagli uomini; ed il governo, come governo, non ci mette di suo che la tendenza a far di tutto un
monopolio a favore di un dato partito o di una data classe, e la resistenza contro ogni iniziativa che
sorge fuori della sua consorteria.
Abolire l'autorità, abolire il governo non significa distruggere le forze individuali e collettive che
agiscono nell'umanità, né le influenze che gli uomini esercitano a vicenda gli uni su gli altri:questo
sarebbe ridurre l'umanità allo stato di ammasso di atomi staccati ed inerti, cosa che è impossibile, e
che, se mai fosse possibile, sarebbe la distruzione di ogni società, la morte dell'umanità. Abolire
l'autorità, significa abolire il monopolio della forza e dell'influenza; significa abolire quello stato di
cose per cui la forza sociale, cioè la forza di tutti, è stata strumento del pensiero, della volontà, degli
interessi di un piccolo numero d'individui, i quali, mediante la forza di tutti, sopprimono, a
vantaggio proprio e delle proprie idee, la libertà di ciascuno; significa distruggere un modo di
organizzazione sociale col quale l'avvenire resta accaparrato, tra una rivoluzione e l'altra, a profitto
di coloro che sono stati i vincitori di un momento.
Michele Bakunin in uno scritto pubblicato nel 1872, dopo aver detto che i grandi mezzi d'azione
dell'Internazionale erano la propaganda delle sue idee e l'organizzazione dell'azione naturale dei
suoi membri sulle masse, aggiunge:
"A chiunque pretendesse che un'azione così organizzata sarebbe un attentato contro la libertà delle
masse, un tentativo di creare un nuovo potere autoritario, noi risponderemmo ch'egli non è che un
sofista ed uno sciocco. Tanto peggio per quelli che ignorano la legge naturale e sociale della
solidarietà umana, al punto da immaginare che un'assoluta indipendenza mutua degl'individui e
delle masse sia una cosa possibile, o almeno desiderabile. Desiderarla significa volere la distruzione
della società, poiché tutta la vita sociale non è altra cosa che questa indipendenza mutua, incessante
degli individui e delle masse.
Tutti gli individui, siano pure i più intelligenti ed i più forti, anzi soprattutto i più intelligenti ed i
più forti, ne sono, in ogni istante della loro vita, nello stesso tempo i produttori ed i prodotti. La
stessa libertà di ogni individuo non è che la risultante, riprodotta continuamente, di questa massa
d'influenze materiali, intellettuali e morali, esercitate sopra di lui da tutti gli individui che lo
circondano dalla società in mezzo a cui egli nasce, si sviluppa e muore. Volere sfuggire a questa
influenza, in nome di una libertà trascendentale, divina, assolutamente egoista e bastante a se stessa,
è la tendenza al non essere; volere rinunziare ad esercitarla sugli altri, significa rinunciare ad ogni
azione sociale, all'espressione perfino dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, e si risolve pure nel
non-essere Questa indipendenza, tanto vantata dagl'idealisti e dai metafisici, e la libertà individuale,
concepita in questo senso, sono dunque il niente.
"Nella natura, come nella società umana, che non è altra cosa che questa stessa natura, tutto ciò che
vive, non vive che alla condizione suprema d'intervenire, nel modo più positivo e tanto
potentemente quanto lo comporta la sua natura, nella vita degli altri. L'adozione di questa influenza
mutua sarebbe la morte. E quando noi rivendichiamo la libertà delle masse, non pretendiamo per
nulla abolire nessuna delle influenze naturali che individui o gruppi d'individui esercitano su di
esse: ciò che noi vogliamo è l'abolizione delle influenze artificiali, privilegiate, legali, ufficiali".
* * *
Certamente, nello stato attuale dell'umanità, quando la grande maggioranza degli uomini, oppressa
dalla miseria ed istupidita dalla superstizione, giace nell'abbiezione, le sorti umane dipendono
dall'azione di un numero relativamente scarso d'individui; certamente non si potrà da un momento
all'altro far sì che tutti gli uomini si elevino al punto da sentire il dovere, anzi il piacere di regolare
tutte le proprie azioni in modo che ne derivi agli altri il maggior bene possibile. Ma se oggi le forze
pensanti e dirigenti dell'umanità sono scarse, non è una ragione per paralizzarne ancora una parte e
per sottoporne molte ad alcune di esse. Non è una ragione per costituire la società in modo che,
grazie all'inerzia che producono le posizioni assicurate, grazie alla eredità, al protezionismo, allo
spirito di corpo, ed a tutta quanta la meccanica governativa, le forze più vive e le capacità più reali
finiscono col trovarsi fuori del governo e quasi prive d'influenza sulla vita sociale; e quelle che
giungono al governo, trovandosi spostate dal loro ambiente, ed interessate anzitutto a restare al
potere, perdano ogni potenza di fare e solo servano di ostacolo agli altri.
Abolita questa potenza negativa che è il governo, la società sarà quello che potrà essere, ma tutto
quello che potrà essere, date le forze e le capacità del momento. Se vi saranno uomini istruiti e
desiderosi di spandere l'istruzione, essi organizzeranno le scuole e si sforzeranno per far sentire a
tutti l'utile ed il piacere d'istruirsi. E se questi uomini non vi fossero o fossero pochi, un governo
non potrebbe crearli; solo potrebbe, come infatti avviene oggi, prendere quei pochi, sottrarli al
lavoro fecondo, metterli a redigere regolamenti che bisogna imporre coi poliziotti, e da insegnanti
intelligenti e passionati farne degli uomini politici, cioè degli inutili parassiti, tutti preoccupati
d'imporre le loro fisime e di mantenersi al potere.
Se vi saranno medici ed igienisti, essi organizzeranno il servizio di sanità. E se non vi fossero, il
governo non potrebbe crearli; solo potrebbe, per il sospetto, troppo giustificato, che il popolo ha
contro tutto ciò che viene imposto, levar credito ai medici esistenti, e farli massacrare come
avvelenatori quando vanno a curare i colerosi. Se vi sono ingegneri, macchinisti, ecc.
organizzeranno le ferrovie. E se non vi fossero, ancora una volta il governo non potrebbe crearli.
La rivoluzione, abolendo il governo e la proprietà individuale, non creerà forze che non esistono;
ma lascerà libero campo all'esplicazione di tutte le forze, di tutte le capacità esistenti, distruggerà
ogni classe interessata a mantenere le masse nell'abbrutimento, e farà in modo che ognuno potrà
agire ed influire in proporzione della sua capacità, e conformemente alle sue passioni ed ai suoi
interessi.
E questa è la sola via per la quale le masse possano elevarsi, poiché è solo colla libertà che uno
s'educa ad esser libero, come è solo lavorando che uno può imparare a lavorare. Un governo,
quando non avesse altri inconvenienti, avrebbe sempre quello di abituare i governati alla
soggezione, e di tendere a diventare sempre più opprimente e farsi sempre più necessario.
D'altronde, se si vuole un governo che debba educare le masse ed avviarle all'anarchia, bisogna pure
indicare quale sarà l'origine, il modo di formazione di questo governo.
Sarà la dittatura dei migliori? Ma chi sono i migliori?
E chi riconoscerà loro questa qualità? La maggioranza sta d'ordinario attaccata a vecchi pregiudizii,
ed ha idee ed istinti già sorpassati da una minoranza meglio favorita; ma fra le mille minoranze che
tutte credono di aver ragione, e tutte possono averla in qualche parte, da chi e con qual criterio si
sceglierà, per mettere la forza sociale a disposizione di una di esse, quando solo l'avvenire può
decidere fra le parti in litigio? Se pigliate cento partigiani intelligenti della dittatura, voi scoprirete
che ciascuno di loro crede che egli dovrebbe, se non essere proprio il dittatore, o uno dei dittatori,
almeno trovarsi molto vicino alla dittatura. Dunque dittatori sarebbero coloro che, per una via o per
un'altra, riuscissero ad imporsi; e, coi tempi che corrono, si può esser sicuri che tutte le loro forze
sarebbero impiegate nella lotta per difendersi contro gli attacchi degli avversarii, lasciando in
dimenticanza ogni velleità educatrice, se mai ne avessero avute.
Sarà invece un governo eletto a suffragio universale, e quindi l'emanazione più o meno sincera del
volere della maggioranza? Ma se voi considerate questi bravi elettori come incapaci di provvedere
da loro stessi ai propri interessi, come mai essi sapranno scegliersi i pastori che debbono guidarli e
come potranno risolvere questo problema di alchimia sociale, di far uscire l'elezione di un genio dal
voto di una massa di imbecilli? E che ne sarà delle minoranze che pur sono la parte più intelligente,
più attiva, più avanzata di una società?
Per risolvere il problema sociale a favore di tutti non vi è che un mezzo: scacciare
rivoluzionariamente i detentori della ricchezza sociale, mettere tutto a disposizione di tutti, e
lasciare che tutte le forze, tutte le capacità, tutte le buone volontà esistenti fra gli uomini agiscano
per provvedere ai bisogni di tutti.
Noi combattiamo per l'anarchia e per il socialismo, perché crediamo che l'anarchia ed il socialismo
si debbano attuare subito, vale a dire che si deve nell'atto stesso della rivoluzione scacciare il
governo, abolire la proprietà ed affidare i servizi pubblici, che in quel caso abbracceranno tutta la
vita sociale, all'opera spontanea, libera, non ufficiale, non autorizzata di tutti gl'interessati e di tutti i
volenterosi.
Vi saranno certamente difficoltà ed inconvenienti; ma essi saranno risoluti, e solo potranno
risolversi anarchicamente, cioè mediante l'opera diretta degli interessati ed i liberi patti.
Noi non sappiamo se alla prossima rivoluzione trionferanno l'anarchia ed il socialismo; ma
certamente se dei programmi cosiddetti di transazione trionferanno, sarà perché noi, per questa
volta, saremo stati vinti, e mai perché avremo creduto utile lasciare in vita una parte del mal
sistema, sotto cui geme l'umanità.
In ogni modo avremo sugli avvenimenti quell'influenza che ci verrà dal nostro numero, dalla nostra
energia, dalla nostra intelligenza e dalla nostra intransigenza. Anche se sarem vinti, la nostra opera
non sarà stata inutile, poiché più saremo stati decisi a raggiungere l'attuazione di tutto il nostro
programma, e meno proprietà e meno governo vi sarà nella nuova società. E avrem fatto opera
grande, perché il progresso umano si misura appunto dalla diminuzione del governo e dalla
diminuzione della proprietà privata.
E se oggi cadremo senza piegar bandiera, possiamo esser sicuri della vittoria di domani.
Il nostro programma
Noi non abbiamo novità da dire.
La propaganda non è, e non può essere, che la ripetizione continua, instancabile di quei principii,
che debbono servirci di guida nella condotta che dobbiamo seguire nelle varie contingenze della
vita.
Ripeteremo dunque, con parole più o meno differenti, ma con fondo costante, il nostro vecchio
programma socialista-anarchico-rivoluzionario.
* * *
Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva
organizzazione sociale; e che gli uomini, volendo e sapendo, possono distruggerli.
La società attuale è il risultato delle lotte secolari che gli uomini han combattuto tra di loro. Non
comprendendo i vantaggi che potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà, vedendo
in ogni altro uomo (salvo al massimo i più vicini per vincoli di sangue) un concorrente ed un
nemico, han cercato di accaparrare, ciascun per sé, la più grande quantità di godimenti possibili,
senza curarsi degli interessi degli altri.
Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere, ed in vario modo
sottoporre ed opprimere i vinti.
Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di più di quello che bastava strettamente al suo
mantenimento, i vincitori non potevano che fugare o massacrare i vinti ed impossessarsi degli
alimenti da essi raccolti.
Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura un uomo potette produrre più di ciò
che gli occorreva per vivere, i vincitori trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù e farli
lavorare per loro.
Più tardi, i vincitori si avvisarono che era più comodo, più produttivo e più sicuro sfruttare il lavoro
altrui con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà esclusiva della terra e di tutti i mezzi di
lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli spogliati, i quali poi, non avendo mezzi di vivere, erano
costretti a ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi volevano.
Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di ogni specie, invasioni, guerre,
ribellioni, repressioni, concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la difesa, e di vincitori
unitisi per l'offesa, si è giunti allo stato attuale della società, in cui alcuni detengono ereditariamente
la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la grande massa degli uomini, diseredata di tutto, è
sfruttata ed oppressa dai pochi proprietari.
Da questo dipende lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, e tutti i mali che
dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione, deperimento fisico, abbiezione morale,
morte prematura. Da questo, la costituzione di una classe speciale (il governo), la quale, fornita di
mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e difendere i proprietari contro le
rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza che ha, per creare a sé stessa dei privilegi e
sottomettere, se può, alla supremazia anche la stessa classe proprietaria. Da questo, la costituzione
di un'altra classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole sulla volontà di Dio, sulla vita
futura, ecc. cerca d'indurre gli oppressi a sopportare docilmente l'oppressore, ed al pari del governo,
oltre di fare gli interessi dei proprietari, fa anche i suoi propri. Da questo, la formazione di una
scienza officiale che è, in tutto ciò che può servire agli interessi dei dominatori, la negazione della
scienza vera. Da questo, lo spirito patriottico, gli odii di razza, le guerre e le paci armate, più
disastrose delle guerre stesse. Da questo, l'amore trasformato in turpe mercato. Da ciò l'odio più o
meno larvato, la rivalità, il sospetto fra tutti gli uomini, l'incertezza e la paura per tutti.
Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente cambiare. E poiché tutti questi mali derivano dalla
ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro tutti, noi vogliamo rimediarvi
sostituendo all'odio l'amore, alla concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio
benessere la cooperazione ed all'imposizione la libertà, alla menzogna religiosa e pseudoscientifica
la verità.
Dunque:
1. Abolizione della proprietà privata della terra, delle materie prime e degli strumenti di lavoro,
perché nessuno abbia il mezzo di vivere sfruttando il lavoro altrui, e tutti avendo garantiti i mezzi
per produrre e vivere, siano veramente indipendenti e possano associarsi agli altri liberamente, per
l'interesse comune e conformemente alle proprie simpatie.
2. Abolizione del governo e di ogni potere che faccia la legge e la imponga agli altri: quindi
abolizione di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti, polizie, magistratura, ed ogni qualsiasi
istituzione dotata di mezzi coercitivi.
3. Organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni e federazioni di produttori e di
consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei componenti, guidati dalla scienza e
dall'esperienza e liberi da ogni imposizione che non derivi dalle necessità naturali, a cui ognuno,
vinto dal sentimento stesso della necessità ineluttabile, volontariamente si sottomette.
4. Garentiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli, ed a tutti coloro che sono impotenti
a provvedere a loro stessi.
5. Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono sotto il manto della scienza.
Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi più elevati.
6. Guerra al patriottismo. Abolizione delle frontiere; fratellanza fra tutti i popoli.
7. Ricostruzione della famiglia, in quel modo che risulterà dalla pratica dell'amore libero da ogni
vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso.
Questo il nostro ideale.
* * *
Abbiamo esposto a sommi capi qual è lo scopo che vogliamo raggiungere, quale l'ideale pel quale
lottiamo.
Ma non basta desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero bisogna impiegare i mezzi adatti al
suo conseguimento. E questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano, necessariamente, dal fine cui si
mira e dalle circostanze nelle quali si lotta; giacché, ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si
raggiungerebbe il fine propostosi, ma un altro, magari opposto, che sarebbe conseguenza naturale,
necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non va dove vuole, ma
dove lo porta la strada percorsa.
Occorre, dunque, dire quali sono i mezzi che, secondo noi, conducono allo scopo prefissoci, e che
noi intendiamo adoperare.
Il nostro ideale non è di quelli il cui conseguimento dipende dall'individuo considerato
isolatamente. Si tratta di cambiare il modo di vivere in società, di stabilire tra gli uomini rapporti di
amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello sviluppo materiale, morale e intellettuale, non
per un individuo solo, non per i membri di una data classe o di un dato partito, ma per tutti quanti
gli esseri umani, - e questo non è cosa che si possa imporre colla forza, ma deve sorgere dalla
coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi mediante il libero consentimento di tutti.
Nostro primo compito quindi deve esser quello di persuader la gente.
Bisogna che noi richiamiamo l'attenzione degli uomini sui mali che soffrono e sulla possibilità di
distruggerli. Bisogna che suscitiamo in ciascuno la simpatia pei mali altrui ed il desiderio vivo del
bene di tutti.
A chi-ha fame e freddo noi mostreremo come sarebbe possibile, e facile, assicurare a tutti la
soddisfazione dei bisogni materiali. A chi è oppresso e vilipeso, noi diremo come si può vivere
felicemente in una società di liberi e di uguali, a chi è tormentato dall'odio e dal rancore noi
additeremo la via per raggiungere, amando i propri simili, la pace e la gioia del cuore.
E quando saremo riusciti a far nascere nell'animo degli uomini il sentimento di ribellione contro i
mali ingiusti ed inevitabili di cui si soffre nella società presente, ed a far comprendere quali sono le
cause di questi mali e come dipenda dalla volontà umana l'eliminarli; quando avremo ispirato il
desiderio vivo, prepotente, di trasformare la società per il bene di tutti, allora i convinti per impulso
proprio e per la spinta di coloro che li han preceduti nella convinzione, si uniranno e vorranno, e
potranno attuare i comuni ideali.
Sarebbe - lo abbiam già detto - assurdo ed in contradizione col nostro scopo il voler imporre la
libertà, l'amore fra gli uomini, lo sviluppo integrale di tutte le facoltà umane per mezzo della forza.
Bisogna dunque contare sulla libera volontà degli altri, e la sola cosa che possiamo fare è quella di
provocare il formarsi ed il manifestarsi di detta volontà. Ma sarebbe però egualmente assurdo e
contrario al nostro scopo l'ammettere che coloro i quali non la pensano come noi c'impediscano di
attuare la nostra volontà, sempre che essa non leda il loro diritto ad una libertà eguale alla nostra.
Libertà, dunque, per tutti di propagare ed esperimentare le proprie idee, senza altro limite che
quello che risulta naturalmente dall'eguale libertà di tutti.
* * *
Ma a questo si oppongono - e si oppongono colla forza brutale - coloro che sono i beneficiari degli
attuali privilegi e dominano e regolano tutta la vita sociale presente.
Essi hanno in mano tutti i mezzi di produzione, e quindi sopprimono, non solo la possibilità di
esperimentare nuovi modi di convivenza sociale, non solo il diritto dei lavoratori di vivere
liberamente col proprio lavoro, ma anche lo stesso diritto all'esistenza, ed obbligano chi non è
proprietario a lasciarsi sfruttare ed opprimere se non vuole morire di fame.
Essi hanno polizie, magistrature, eserciti, creati appositamente per difendere i loro privilegi; e
perseguitano, incarcerano, massacrano coloro che oggi tengono sottoposti.
Lasciando da parte l'esperienza storica (la quale dimostra che mai una classe privilegiata si è
spogliata, in tutto o in parte, dei suoi privilegi, e mai un governo ha abbandonato il potere se non vi
è stato obbligato dalla forza), bastano i fatti contemporanei per convincere chiunque che la
borghesia ed i governi intendono impiegare la forza materiale per difendersi, non solo contro
l'espropriazione totale, ma anche contro le più piccole pretese popolari, e son pronti sempre alle più
atroci persecuzioni, ai più sanguinosi massacri.
Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di opporre la forza alla forza.
* * *
Risulta da quanto abbiam detto che noi dobbiamo lavorare per risvegliare negli oppressi il desiderio
vivo di una radicale trasformazione sociale, e persuaderli che, unendosi, essi hanno la forza di
vincere; dobbiamo propagare il nostro ideale e preparare le forze morali e materiali necessarie a
vincere le forze nemiche, e ad organizzare la nuova società. E quando avrem la forza sufficiente,
dobbiamo, profittando delle circostanze favorevoli che si producono o creandole noi stessi, fare la
rivoluzione sociale, abbattendo, colla forza, il governo; espropriando, colla forza, il governo;
espropriando, colla forza, i proprietari; mettendo in comune i mezzi di vita e di produzione: ed
impedendo che nuovi governi vengano a imporre la loro volontà e ad ostacolare la riorganizzazione
sociale fatta direttamente dagli interessati.
* * *
Tutto questo però è meno semplice di quello che potrebbe a prima giunta parere.
Noi abbiamo da fare cogli uomini quali sono nell'attuale società, in condizioni morali e materiali
disgraziatissime; e ci inganneremmo pensando che basta la propaganda per elevarli a quel grado di
sviluppo intellettuale e morale che è necessario alla attuazione dei nostri ideali.
Tra l'uomo e l'ambiente sociale vi è un'azione reciproca. Gli uomini fanno la società come essa è, e
la società fa gli uomini come essi sono e da ciò risulta una specie di circolo vizioso: per trasformare
la società bisogna trasformare gli uomini, e per trasformare gli uomini bisogna trasformare la
società.
La miseria abbrutisce l'uomo e per distruggere la miseria bisogna che gli uomini abbiano coscienza
e volontà. La schiavitù educa gli uomini ad essere schiavi, e per liberarsi dalla schiavitù v'è bisogno
di uomini aspiranti a libertà. L'ignoranza fa sì che gli uomini non conoscano le cause dei loro mali e
non sappiano rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza bisogna che gli uomini abbiano il tempo ed il
modo d'istruirsi.
Il governo abitua la gente a subìre la legge ed a credere che la legge sia necessaria alla società: e per
abolire il governo bisogna che gli uomini siano persuasi della sua inutilità e del suo danno.
Come uscire da questo circolo vizioso?
Fortunatamente la società attuale non è stata formata dalla volontà illuminata di una classe
dominante che abbia potuto ridurre tutti i dominati a strumenti passivi ed incoscienti dei suoi
interessi. Essa è il risultato di mille lotte intestine, di mille fattori naturali ed umani agenti
casualmente senza criteri direttivi; e quindi non vi sono divisioni nette né tra gli individui né tra le
classi.
Infinite sono le varietà di condizioni materiali; infiniti i gradi di sviluppo morale ed intellettuale; e
non sempre - diremmo quasi molto raramente - il posto che uno occupa in società corrisponde alle
sue aspirazioni. Spesso alcuni cadono in condizioni inferiori a quelle a cui sono abituati, ed altri per
circostanze eccezionalmente favorevoli, riescono ad elevarsi a condizioni superiori a quelle in cui
sono nati. Una parte notevole del proletariato è già arrivata ad uscire dallo stato di miseria assoluta,
abbrutente, o non ha mai potuto esservi ridotta; nessun lavoratore, o quasi nessuno, si trova nello
stato d'incoscienza completa, di completa acquiescenza alle condizioni che gli fanno i padroni. E le
stesse istituzioni, quali sono state prodotte dalla storia, contengono delle contradizioni organiche
che sono come dei germi di morte, i quali sviluppandosi producono la dissoluzione dell'istituzione e
la necessità della trasformazione. Da ciò la possibilità del progresso; - ma non la possibilità di
portare, per mezzo della propaganda, tutti gli uomini al livello necessario perché vogliano e
facciano l'anarchia, senza un'anteriore graduale trasformazione dell'ambiente.
Il progresso deve camminare contemporaneamente, parallelamente negli individui e nell'ambiente.
Dobbiamo profittare di tutti i mezzi, di tutte le possibilità, di tutte le occasioni che ci lascia
l'ambiente attuale, per agire sugli uomini e sviluppare la loro coscienza ed i loro desideri; dobbiamo
utilizzare tutti i progressi avvenuti nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare ed imporre
quelle maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che meglio servono ad aprir la via a
progressi ulteriori.
Noi non dobbiamo aspettare di poter fare l'anarchia, ed intanto limitarci alla semplice propaganda.
Se facessimo così, presto avremmo esaurito il campo; avremmo convertiti, cioè, tutti quelli che
nell'ambiente attuale sono suscettibili di comprendere ed accettare le nostre idee, e la nostra
ulteriore propaganda resterebbe sterile, o se delle trasformazioni d'ambiente elevassero nuovi strati
popolari alla possibilità di ricevere idee nuove, ciò avverrebbe senza l'opera nostra, forse contro
l'opera nostra, e quindi con pregiudizio delle nostre idee.
Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue varie frazioni, pretenda, imponga,
prenda da sé, tutti i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, mano mano che giunge a desiderarle
ed ha la forza d'imporle: e, propagando sempre tutto intero il nostro programma e lottando sempre
per la sua attuazione integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più,
fino a che non ha raggiunto l'emancipazione completa.
* * *
L'oppressione che più direttamente preme sui lavoratori, e che è la causa principale di tutte le
soggezioni morali e materiali cui i lavoratori sottostanno, è l'oppressione economica, vale a dire lo
sfruttamento che i padroni ed i commercianti esercitano su di loro, grazie all'accaparramento di tutti
i grandi mezzi di produzione e di scambi.
Per sopprimere radicalmente e senza pericolo di ritorno questa oppressione, occorre che il popolo
tutto sia convinto del diritto che esso ha all'uso dei mezzi di produzione, e che attui questo suo
diritto primordiale espropriando i detentori del suolo e di tutte le ricchezze sociali e mettendo quello
e queste a disposizione di tutti.
Ma si può ora stesso metter mano a questa espropriazione? Si può oggi passare direttamente, senza
gradi intermedi, dall'inferno in cui si trova ora il proletariato, al paradiso della proprietà comune?
La prova che il popolo non è ancora capace di espropriare i proprietari sta nel fatto che non li
espropria.
Che cosa bisogna fare nel mentre che arrivi il giorno dell'espropriazione?
Compito nostro è quello di preparare il popolo, moralmente e materialmente, a questa necessaria
espropriazione; e di tentarla e ritentarla, ogni volta che una scossa rivoluzionaria ce ne presenta
l'occasione, fino al trionfo definitivo. Ma in che modo possiamo preparare il popolo? In che modo
preparare le condizioni che rendono possibile, non solo il fatto materiale dell'espropriazione, ma
l'utilizzazione, a vantaggio di tutti, della ricchezza comune?
Abbiamo detto antecedentemente che la sola propaganda, parlata o scritta, è impotente a
conquistare alle nostre idee tutta quanta la grande massa popolare. Occorre una educazione pratica,
la quale sia a volta a volta causa ed effetto di una graduale trasformazione dell'ambiente. Occorre
che a mano a mano che si sviluppano nei lavoratori il senso di ribellione contro le ingiuste ed inutili
sofferenze di cui son vittime, ed il desiderio di migliorare le loro condizioni, essi, uniti e solidali tra
loro, lottino per il conseguimento di quel che desideriamo.
E noi, e come anarchici e come lavoratori, dobbiamo provocarli ed incoraggiarli alla lotta e lottare
con loro.
Ma sono possibili, in regime capitalistico, questi miglioramenti? Sono essi utili, dal punto di vista
della futura emancipazione integrale dei lavoratori?
Qualunque siano i risultati pratici della lotta per i miglioramenti immediati, l'utilità principale sta
nella lotta stessa. Con essa gli operai imparano ad occuparsi dei loro interessi di classe, imparano
che il padrone ha interessi opposti ai loro e che essi non possono migliorare le loro condizioni, ed
anche meno emanciparsi, se non unendosi e diventando più forti dei padroni. Se riescono ad
ottenere quello che vogliono, staranno meglio: guadagneranno di più, lavoreranno meno, avranno
più tempo e più forza per riflettere alle cose che loro interessano, e sentiranno subito desideri
maggiori, bisogni maggiori. Se non riescono, saran condotti a studiare le cause dell'insuccesso ed a
riconoscere la necessità di maggiore unione, di maggiore energia, e comprenderanno infine che a
vincere sicuramente e definitivamente occorre distruggere il capitalismo. La causa della
rivoluzione, la causa dell'elevamento morale del lavoratore e della sua emancipazione non possono
che guadagnare dal fatto che i lavoratori si uniscono e lottano per i loro interessi.
Ma, ancora una volta, è possibile che i lavoratori riescano nell'attuale stato di cose, a migliorare
realmente le loro condizioni?
Ciò dipende dal concorso di una infinità di circostanze.
Malgrado ciò che dicono alcuni, non esiste una legge naturale (legge dei salari), la quale determina
la parte che va al lavoratore sul prodotto del suo lavoro; o se legge si vuol formulare, essa non
potrebbe essere che questa: il salario non può scendere normalmente al disotto di quel tanto che è
necessario alla vita, né può normalmente salire tanto da non lasciare nessun profitto al padrone. E
chiaro che nel primo caso gli operai morrebbero e quindi non riscuoterebbero più salario, e nel
secondo i padroni cesserebbero dal far lavorare e quindi non pagherebbero più salari. Ma tra questi
due estremi impossibili vi sono una infinità di gradi, che vanno dalle condizioni quasi animalesche
di gran parte dei lavoratori agricoli fino a quelle quasi decenti degli operai dei buoni mestieri nelle
grandi città. Il salario, la lunghezza della giornata e tutte le altre condizioni del lavoro sono il
risultato della lotta tra padroni e lavoranti, Quelli cercano di dare ai lavoranti il meno che possono e
di farli lavorare fino a esaurimento completo; questi cercano, o dovrebbero cercare, di lavorare il
meno e guadagnare il più che possono. Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche essendo
scontenti, non sanno opporre valida resistenza ai padroni, sono presto ridotti a condizioni
animalesche di vita; dove invece essi hanno un concetto alquanto elevato del modo come
dovrebbero vivere degli esseri umani, e sanno unirsi e, mediante il rifiuto di lavoro e la minaccia
latente o esplicita di rivolta, imporre rispetto ai padroni, là essi sono trattati in modo relativamente
sopportabile. In modo che può dirsi che il salario, dentro certi limiti, è quello che l'operaio (non
come individuo, s'intende, ma come classe) pretende.
Lottando dunque, resistendo contro i padroni, i lavoratori possono impedire, fino ad un certo punto,
che le loro condizioni peggiorino ed anche ottenere dei miglioramenti reali. E la storia del
movimento operaio ha già dimostrato questa verità.
Bisogna però non esagerarsi la portata di questa lotta combattuta tra operai e padroni sul terreno
esclusivamente economico. I padroni posson cedere, e spesso cedono, innanzi alle esigenze operaie
energicamente espresse fino a quando non si tratti di pretese troppo grosse; ma quando gli operai
incominciassero (ed è urgente che incomincino) a pretendere un tale trattamento che assorbirebbe
tutto il profitto dei padroni e riuscirebbe così ad un'espropriazione indiretta, è certo che i padroni
appellerebbero il governo a loro soccorso e cercherebbero di costringere colla violenza gli operai a
restare nella loro posizione di schiavi salariati.
Ed anche prima, ben prima, che gli operai potessero pretendere di ricevere in compenso del loro
lavoro l'equivalente di tutto ciò che han prodotto, la lotta economica diventa impotente a continuare
a produrre il miglioramento delle condizioni dei lavoratori.
Gli operai producono tutto e senza di loro non si può vivere: quindi sembrerebbe che rifiutando il
lavoro essi potessero imporre tutto ciò che vogliono. Ma l'unione di tutti i lavoratori, anche di un sol
mestiere, anche di un sol paese, è difficile ad ottenere; ed all'unione degli operai si oppone l'unione
dei padroni. Gli operai vivono alla giornata e se non lavorano presto mancano di pane, mentre i
padroni dispongono, mediante il danaro, di tutti i prodotti già accumulati, e quindi possono
tranquillamente aspettare che la fame abbia ridotti a discrezione i loro salariati. L'invenzione o
l'introduzione di nuove macchine rende inutile l'opera di un gran numero di operai ed accresce il
grande esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a qualunque condizione.
L'immigrazione apporta subito nei paesi dove gli operai riescano a star meglio, delle folle di
lavoratori famelici che, volendo o no, offrono ai padroni il modo di ribassare i salari. E tutti questi
fatti, derivanti necessariamente dal sistema capitalistico, riescono a controbilanciare il progresso
della coscienza e della solidarietà operaia: spesso camminano più rapidamente di questo progresso e
lo arrestano e lo distruggono. Presto dunque si presenta per gli operai che intendono emanciparsi, o
anche solo di migliorare seriamente le loro condizioni, la necessità di difendersi contro il governo,
la necessità di attaccare il governo, il quale, legittimando il diritto di proprietà e sostenendolo colla
forza brutale, costituisce una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere colla forza se non
si vuole restare indefinitamente nello stato attuale e peggio.
Dalla lotta economica bisogna passare alla lotta politica, cioè alla lotta contro il governo; ed invece
di opporre ai milioni dei capitalisti gli scarsi centesimi a stento accumulati dagli operai bisogna
opporre ai fucili ed ai cannoni, che difendono la proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà
trovare per vincere la forza con la forza.
* * *
Per lotta politica intendiamo la lotta contro il governo. Governo è l'insieme di quegli individui che
detengono il potere, comunque acquistato, di far la legge ed imporla ai governati, cioè al pubblico.
Conseguenza dello spirito di dominio e della violenza con cui alcuni uomini si sono imposti agli
altri, esso è nello stesso tempo creatore e creatura del privilegio e suo difensore naturale.
Erroneamente si dice che il governo compie oggi la funzione di difensore del capitalismo, ma che
abolito il capitalismo esso diventerebbe rappresentante e gerente degli interessi generali. Prima di
tutto il capitalismo non si potrà distruggere se non quando i lavoratori, cacciato il governo,
prendano possesso della ricchezza sociale ed organizzano la produzione ed il consumo,
nell'interesse di tutti, da loro stessi, senza aspettare l'opera di un governo, il quale, anche a volerlo
non sarebbe capace di farlo.
Ma v'è di più: se il capitalismo fosse distrutto e si lasciasse sussistere un governo, questo, mediante
la concessione di ogni sorta di privilegi, lo creerebbe di nuovo, poiché non potendo contentar tutti,
avrebbe bisogno di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione
legale e materiale che ne riceve.
Per conseguenza, non si può abolire il privilegio e stabilire solidamente e definitivamente la libertà
e l'eguaglianza sociale se non abolendo il governo - non questo o quel governo, ma l'istituzione
stessa del governo.
Però, in questo come in tutti i fatti d'interesse generale, più che in qualunque altro occorre il
consenso della generalità; e perciò dobbiamo sforzarci di persuadere la gente che il governo è
inutile e dannoso, e che si può vivere meglio senza governo.
Ma, come abbiamo già ripetuto, la sola propaganda è impotente a convincere tutti - e se noi
volessimo limitarci solo a predicare contro il governo, aspettando, altrimenti inerti, il giorno in cui
il pubblico sarà convinto della possibilità ed utilità di abolire completamente ogni specie di
governo, quel giorno non verrebbe mai.
Sempre predicando contro ogni specie di governo, sempre reclamando la libertà integrale, noi
dobbiamo favorire tutte le lotte per le libertà parziali, convinti che nella lotta s'impara a lottare, e
che incominciando a gustare un po' di libertà si finisce col volerla tutta. Noi dobbiamo essere
sempre col popolo, e quando non riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno cominci a
pretender qualche cosa; e dobbiamo sforzarci perché apprenda, poco o molto che voglia, a volerlo
conquistare da sé, e tenga in odio ed in disprezzo chiunque sta o vuole andare al governo.
Poiché il governo tiene oggi il potere di regolare, mediante le leggi, la vita sociale ed allargare o
restringere la libertà dei cittadini, noi non potendo ancora strappargli questo potere, dobbiamo
cercare di diminuirglielo, e di obbligarlo a farne l'uso meno dannoso possibile. Ma questo lo
dobbiamo fare stando sempre fuori e contro il governo, premendo su di lui mediante l'agitazione
della piazza, minacciando di prendere per forza quello che si reclama. Mai dobbiamo accettare una
qualsiasi funzione legislativa, sia essa generale o locale, poiché facendo così diminuiremmo
l'efficacia della nostra azione e tradiremmo l'avvenire della nostra causa.
* * *
La lotta contro il governo si risolve, in ultima analisi, in lotta fisica, materiale.
Il governo fa la legge. Esso dunque deve avere una forza materiale (esercito e polizia) per imporre
la legge, poiché altrimenti non vi ubbidirebbe che chi vuole ed essa non sarebbe più legge, ma una
semplice proposta che ciascuno è libero di accettare e di respingere. Ed i governi questa forza
l'hanno e se ne servono per potere con leggi fortificare il loro dominio e fare gli interessi delle classi
privilegiate, opprimendo e sfruttando i lavoratori.
Limite all'oppressione del governo è la forza che il popolo si mostra capace di opporgli.
Vi può essere conflitto aperto o latente, ma conflitto v'è sempre; poiché il governo non si arresta
innanzi al malcontento ed alla resistenza popolare se non quando sente il pericolo dell'insurrezione.
Quando il popolo sottostà docilmente alla legge, o la protesta è debole e platonica, il governo fa i
comodi suoi senza curarsi dei bisogni popolari; quando la protesta diventa viva, insistente,
minacciosa, il governo, secondo che è più o meno illuminato, cede o reprime. Ma sempre si arriva
all'insurrezione, perché se il governo non cede, il popolo finisce col ribellarsi; e se il governo cede,
il popolo acquista fiducia in sé e pretende sempre di più, fino a che l'incompatibilità tra la libertà e
l'autorità diventa evidente e scoppia il conflitto violento.
È necessario dunque prepararsi moralmente e materialmente perché allo scoppio della lotta violenta
la vittoria resti al popolo.
* * *
L'insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace per l'emancipazione popolare, poiché il popolo,
scosso il giogo, diventa libero di darsi quelle istituzioni che egli crede migliori, e la distanza che
passa tra la legge, sempre in ritardo, ed il grado di civiltà a cui è arrivata la massa della
popolazione, è varcata d'un salto. L'insurrezione determina la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi
delle forze latenti accumulate durante la precedente evoluzione.
Tutto sta in ciò che il popolo è capace di volere.
Nelle insurrezioni passate il popolo, inconscio delle ragioni vere dei suoi mali, ha voluto sempre
molto poco, e molto poco ha conseguito.
Che cosa vorrà nella prossima insurrezione?
Ciò dipende in parte dalla nostra propaganda e dall'energia che noi sapremo spiegare.
Noi dovremo spingere il popolo ad espropriare i proprietari e mettere in comune la roba, ed
organizzare la vita sociale da sé stesso, mediante associazioni liberamente costituite, senza aspettare
gli ordini di nessuno e rifiutando di nominare o riconoscere qualsiasi governo, qualsiasi corpo che
pretenda al diritto di far la legge ed imporre agli altri la sua volontà.
E se la massa del popolo non risponderà all'appello nostro, noi dovremo - in nome del diritto che
abbiamo di esser liberi anche se gli altri vogliono restare schiavi e per l'efficacia dell'esempio -
attuare da noi quanto più potremo delle nostre idee, e non riconoscere il nuovo governo, e mantener
viva la resistenza, e far sì che i comuni dove le nostre idee saranno simpaticamente accolte
respingano ogni ingerenza governativa e si ostinino a voler vivere a modo loro.
Noi dovremo, sopratutto, opporci con tutti i mezzi alla ricostruzione della polizia e dell'esercito, e
profittare dell'occasione propizia per eccitare i lavoratori allo sciopero generale con quelle maggiori
pretese che a noi riesca d'indurli ad avere.
E comunque vadano le cose, continuare sempre a lottare, senza un istante di interruzione, contro i
proprietari e contro i governanti, avendo sempre in vista l'emancipazione completa, economica,
politica, morale, di tutta quanta l'umanità.
* * *
Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo;
noi vogliamo che gli uomini, affratellati da una solidarietà cosciente e voluta, cooperino tutti
volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire
a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il medesimo benessere possibile, il massimo
possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza.
E per raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che i mezzi di produzione siano a
disposizione di tutti, e che nessun uomo, o gruppo di uomini possa obbligare gli altri a sottostare
alla sua volontà, né esercitare la sua influenza altrimenti che con la forza della ragione e
dell'esempio.
Dunque: espropriazione dei detentori del suolo e del capitale a vantaggio di tutti; ed abolizione del
governo.
Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda dell'ideale; organizzazione delle forze popolari;
lotta continua, pacifica o violenta secondo le circostanze, contro il governo e contro i proprietari per
conquistare quanto più si può di libertà e di benessere per tutti.
Livros Grátis
( http://www.livrosgratis.com.br )
Milhares de Livros para Download:
Baixar livros de Administração
Baixar livros de Agronomia
Baixar livros de Arquitetura
Baixar livros de Artes
Baixar livros de Astronomia
Baixar livros de Biologia Geral
Baixar livros de Ciência da Computação
Baixar livros de Ciência da Informação
Baixar livros de Ciência Política
Baixar livros de Ciências da Saúde
Baixar livros de Comunicação
Baixar livros do Conselho Nacional de Educação - CNE
Baixar livros de Defesa civil
Baixar livros de Direito
Baixar livros de Direitos humanos
Baixar livros de Economia
Baixar livros de Economia Doméstica
Baixar livros de Educação
Baixar livros de Educação - Trânsito
Baixar livros de Educação Física
Baixar livros de Engenharia Aeroespacial
Baixar livros de Farmácia
Baixar livros de Filosofia
Baixar livros de Física
Baixar livros de Geociências
Baixar livros de Geografia
Baixar livros de História
Baixar livros de Línguas
Baixar livros de Literatura
Baixar livros de Literatura de Cordel
Baixar livros de Literatura Infantil
Baixar livros de Matemática
Baixar livros de Medicina
Baixar livros de Medicina Veterinária
Baixar livros de Meio Ambiente
Baixar livros de Meteorologia
Baixar Monografias e TCC
Baixar livros Multidisciplinar
Baixar livros de Música
Baixar livros de Psicologia
Baixar livros de Química
Baixar livros de Saúde Coletiva
Baixar livros de Serviço Social
Baixar livros de Sociologia
Baixar livros de Teologia
Baixar livros de Trabalho
Baixar livros de Turismo