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Saggi di naturali esperienze fatte nellAccademia del Serenissimo Principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia:
Lorenzo Magalotti
Magalotti, Lorenzo
TITOLO: Saggi di naturali esperienze
fatte nellAccademia del Serenissimo
Principe Leopoldo di Toscana
e descritte dal Segretario
di essa Accademia: Lorenzo Magalotti
AUTORE: Magalotti, Lorenzo
TRADUTTORE:
CURATORE: Falqui, Enrico
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: Saggi di naturali esperienze fatte
nellAccademia del Serenissimo Principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal
Segretario di essa Accademia: Lorenzo
Magalotti
Ristampa integrale illustrata a cura
di Enrico Falqui
Edizioni numerate per sé e per pochi
di Colombo in Roma 1947
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 5 dicembre 2004
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
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ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Paolo Alberti, [email protected]
REVISIONE:
Catia Righi, [email protected]
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SAGGI
di
NATURALI ESPERIENZE
fatte nellAccademia del Serenissimo
Principe Leopoldo di Toscana
e descritte dal Segretario
di essa Accademia:
Lorenzo Magalotti
SAGGI DI NATURALI ESPERIENZE
FATTE
NELLACCADEMIA DEL CIMENTO
AL SERENISSIMO
FERDINANDO II
GRAN DUCA DI TOSCANA
Serenissimo Signore,
Il pubblicar con le stampe i primi saggi delle naturali esperienze, che per lo spazio di molti anni
si sono fatte nella nostra Accademia sotto lassistenza e la protezione continua del Serenissimo
Principe Leopoldo Fratello di V. A., è una cosa stessa che recar nuova testimonianza a quelle
regioni del mondo, dove la virtù più risplende, dellalta munificenza dellA. V., e richiamare verso di
lei a nuovi sensi di gratitudine i veri amatori delle bellarti e delle scienze più nobili. A noi tanto
maggiormente si conviene leccitare gli animi nostri a più devoto riconoscimento, quanto più
dappresso ci siamo trovati a godere de vigorosi influssi della sua benefica mano: mentre, e con
laura del patrocinio, e con linvito della sua intelligenza e del suo proprio genio e diletto, e
soprattutto con lonore della sua presenza, talora trasferendosi nellAccademia e talora chiamandola
ne suoi reali appartamenti, ha dato a quella nome e fervore, ed insieme accrescimento a progressi de
nostri studi. Queste considerazioni assai di leggieri ci fanno comprendere quanto sia dovuto il
consacrare alleccelso nome dellA. V. questo primo parto delle nostre applicazioni; già che non può
nascer cosa da noi, in cui V. A. abbia parte più grande, e per conseguenza sia più da offerirsele, e
che più saccosti a meritar la fortuna del suo generoso aggradimento. Vero è che per la
soprabbondanza di tanti e sì segnalati favori non proviamo passione maggiore che di vederci sì
strettamente obbligati allA. V.: non perché noi non portiamo volentieri il peso di sì care e di sì
pregiate obbligazioni, ma perché solo vorremmo poterle offerire alcuna cosa che sua non fosse;
onde ci potessimo almeno lusingare daverle reso un debole contraccambio, da sapersene da V. A.
qualche grado alla nostra elezione, e non da riconoscerlo tutto da sé medesima e dalla necessità. Ma
egli è forza per ora appagarsi daver nel cuore così giusti e dovuti sentimenti; poiché il frutto di
queste nuove filosofiche speculazioni è sì fortemente radicato nella protezione di V. A., che non
solamente quello che produce oggi la nostra Accademia, ma tutto ciò che matura nelle scuole più
famose dEuropa, e che verrà successivamente ne secoli avvenire, sarà non meno propriamente
dovuto allA. V. come dono della sua beneficenza; poiché fintanto che risplenderanno il Sole, i
Pianeti e le stelle, e fintanto che ci sarà il Cielo rimarrà memoria gloriosa di chi contribuì tanto con
la virtù de suoi felicissimi auspici a sì nuovi e sì stupendi scoprimenti, e ad aprire una via non
battuta per linvestigazione meno fallace del vero. Pure in tanta penuria di che offerire, alcuna cosa
ci somministra la finezza della nostra ossequiosa gratitudine. Questa si è la gioia con la quale
sopportiamo la nostra povertà, mentre tutta ridonda in abbondanza di V. A.; la quale avendo già
fatto suo quanto di nuovo, di buono e di grande si troverà mai nella ricchezza delle scienze, ha
snervato in altrui ogni sforzo di corrisponderle. Tanto, e non più, siamo in grado di poter offerire
allA. V., alla quale pieni di riverenza e dossequio, supplicandola della sua continuata protezione,
preghiamo da Dio somma prosperità e grandezza.
Di V. A. Serenissima
Firenze, lì 14 Luglio 1667.
Umilissimi Servitori
GLI ACCADEMICI DEL CIMENTO.
IL SAGGIATO SEGRETARIO.
PROEMIO
A LETTORI
Primogenita infra tutte le creature della divina sapienza fu senzalcun dubbio lIdea della verità,
al cui disegno si tenne sì strettamente il maestro eterno nella fabbrica delluniverso, che niuna cosa
venne a formare, la quale avesse in sé pur minima lega di falso. Ma luomo poscia, nella
contemplazione di sì alta e di sì perfetta struttura, destando in sé una troppo mal misurata vaghezza
di comprenderne lammirabile magistero, e di tutte ritrovar le misure e le proporzioni dun sì
bellordine, nel voler troppo altamente internarsi nel vero, venne a creare un numero indefinito di
falsi. Né altra ne fu la cagione se non che, volendosi egli vestir quelle penne che la natura non volle
dargli, forse per paura di non esser una volta da lui scoperta nella preparazione delle sue più
stupende fatture, cominciò su quelle a levarsi; e tutto che oppresso dal peso del material corpo,
facendo forza in su lali, per innalzarsi più alto che non conduce la scala delle sensibili cose, tentò
quivi di fissarsi in un lume, che ricevuto negli occhi non è più quello, ma smontando sintorbida e
muta colore. Ecco per qual maniera dallumano ardimento provennero i primi semi delle false
opinioni; dalle quali non è perciò che rimanga punto offuscata la chiarezza delle belle creature di
Dio, o chelle restino per alcun modo viziate dal commercio di esse; imperciocché elle si rimangon
tutte nellignoranza delluomo, dovhanno la radice loro; mentre, adattando egli impropriamente le
cagioni agli effetti, non toglie a questi o a quelle la verità del loressere, ma forma in sé medesimo
dellaccoppiamento loro una falsa scienza. Non è però che la sovrana beneficenza di Dio, nellatto
chegli crea le nostranime, per avventura non lasci loro così a un tratto dare unocchiata, per così
dire, allimmenso tesoro della sua eterna sapienza, adornandole, come di preziose gemme, de primi
lumi della verità: e che sia l vero, noi le veggiamo delle notizie serbare in loro, che non potendole
aver apprese di qua, forzè pur dire chelle ce labbiano arrecate daltronde. Ma egli accade bene per
nostra sventura che queste gioie finissime, secondo che malamente sattengono nelle legature
dellanima troppo tenera ancora, subito che ella cade nel terreno abitacolo, e si rinvolge in quel
fango, escono di presente dalle lor commessure e sintridono, onde non le vaglion più nulla,
finatantoché per assiduità di sollecito studio non le vien fatto di ritornarle a lor luoghi. Or questo è
appunto quello che lanima va tentando nellinvestigazione delle naturali cose; e a ciò bisogna
confessare che non vha miglior mano di quella della geometria, la quale dando alla bella prima nel
vero, ne libera in un subito da ognaltro più incerto e faticoso rintracciamento. Il fatto è, chella ci
conduce un pezzo innanzi nel cammino delle filosofiche speculazioni, ma poi ella ci abbandona in
sul bello: non perché la geometria non cammini spazi infiniti, e tutta non trascorra luniversità
dellopere della natura, secondo che tutte obbediscono alle matematiche leggi onde leterno
intendimento con liberissimo consiglio le governa e le tempera, ma perché noi di questa sì lunga e
sì spaziosa via per anche non le tenghiamo dietro che pochi passi. Or quivi dove non ci è più lecito
metter piede innanzi, non vi ha cui meglio rivolgersi che alla fede dellesperienza; la quale, non
altrimenti di chi varie gioie sciolte e scommesse cercasse di rimettere ciascuna per ciascuna al suo
incastro, così ella adattando effetti a cagioni e cagioni ad effetti, se non di primo lancio, come la
geometria, tanto fa che «provando e riprovando» le riesce talora di dar nel segno. Conviene però
camminar con molto riguardo, che la troppa fede nellesperienza non ci faccia travedere e ninganni;
essendoché alle volte, prima chella ci mostri la verità manifesta, dopo levati que primi velami delle
falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze ingannevoli channo sembianza di vero, e sì lo
somigliano: e sono queste que lineamenti indistinti che traspaion fuori da quegli ultimi veli che la
bella effigie della verità ricuoprono più da presso; per la finezza de quali apparisce taloro lucidata sì
al vivo, caltri direbbe: ellè del tutto scoperta. Quivi adunque fa di mestieri lintendersi da maestro
delle maniere del vero e del falso, e usare dellultima perspicacia del proprio giudizio, per discerner
bene sellè o non è ; il che per poter far meglio, non vè dubbio che bisognerebbe aver veduto alcuna
volta la verità svelata; ed è questo un vantaggio che hanno solamente coloro che degli studii della
geometria hanno preso qualche sapore. Non è per tanto meno giovevole del tentar nuove
esperienze, il ricercare tra le già fatte se alcuna se ne ritrovi che abbia in qualunque modo
contraffatta la purissima faccia della verità. Perloché è stata mira della nostra Accademia, oltre a
quello che è sovvenuto a noi, di sperimentare anche di quelle cose, per giovevole curiosità o per
riscontro, che sono state fatte o scritte da altri; pur troppo veggendosi, che sotto questo nome
desperienza piglian piede e saccreditano sovente gli errori. E ciò fu appunto quello che mosse da
prima la mente perspicacissima e infaticabile del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana; il
quale per riposo degli assidui maneggi e delle sollecite cure che gli arreca il grado di sua alta
condizione, prende a stancar lintelletto su per lerto cammino delle più nobili cognizioni. Essendo
stato pertanto assai facile al sublime intendimento dellA. S. di comprendere, come il credito de
grandi autori nuoce il più delle volte agli ingegni i quali, o per soverchia fidanza o per reverenza a
quel nome, non ardiscono revocare in dubbio ciò che da quelli autorevolmente si presuppone,
giudicò dover esser opera del suo grandanimo il riscontrare con più esatte e più sensate esperienze
il valore delle loro asserzioni, e conseguitane la riprova o l disinganno, farne un sì desiderabile e sì
prezioso dono a chiunque è più ansioso degli scoprimenti del vero. Questi prudenti dettami del
Serenissimo Nostro Protettore, abbracciati con la dovuta venerazione e stima dallAccademia, non
hanno avuto per mira il farsi censori indiscreti dellaltrui dotte fatiche, o presuntuosi dispensatori di
disinganni e di verità; ma è stato principale intendimento di dar motivo ad altri di riscontrare altresì
con somma severità le medesime esperienze, nel modo che talora abbiamo preso ardire di far noi
dellaltrui; benché nel dar fuori questi primi saggi ce ne siamo per lo più astenuti, a fine daccreditar
maggiormente con questo dovuto riguardo verso di chi che sia, la sincerità de nostri disappassionati
e rispettosi sentimenti. Anzi per dare il suo pieno a così nobile e giovevole intraprendimento,
niunaltra cosa ci vorrebbe, che una libera comunicazione di diverse adunanze sparse, come oggi
sono, per le più illustri e più cospicue regioni dEuropa; le quali con listessa mira di giugnere a fini
sì rilevanti, aprendosi a vicenda un sì profittevol commercio, andassero luna laltra colla medesima
libertà ricercando per quanto si può, e partecipandosi il vero. Per quello che attiene a noi,
concorreremo a questopera con somma schiettezza e ingenuità: di che ci sia argomento, nel
rapportare laltrui esperienze laverne sempre citati gli autori, per quante sono stati a nostra notizia; e
spesse volte aver liberamente confessato essercene sovvenute molte, che poi non ci è riuscito con la
medesima felicità di condurre a fine. Ma per riprova soprognaltra evidente dellaperta sincerità del
nostro procedere, abbiasi da tutti la libertà con la quale abbiamo sempre partecipato le cose
medesime a chiunque passando per queste medesime parti, o per atto di gentilezza, o per pregio di
letteratura. o per incentivo di nobile curiosità abbia mostrato desiderio dassaporarne qualche
notizia; e ciò fino da primi tempi della nostra Accademia istituita dellanno 1657, ne quali furono
ritrovate, se non tutte, la maggior parte di quelle delle quali al presente si stampano questi saggi. Se
poi egli avverrà, che tra quelle che noi diamo fuori per nostre se ne ritrovi alcuna prima o poi
immaginata e pubblicata da altri, ciò non fia mai per nostra colpa: imperciocché non potendo noi
saper tutto né veder tutto, non si dee maravigliare alcuno che sia del riscontro de nostri intelletti con
que degli altri, siccome noi in verità non ci maraviglieremo punto del riscontro di que degli altri co
nostri. Non vorremmo già che alcuno si persuadesse aver noi presunzione di mettere in luce
unopera consumata, o per lo meno una perfetta orditura duna grande storia sperimentale; ben
conoscendo che altro tempo e altre forze a cotanta impresa vengon richieste; di che ciascuno si può
accorgere dal titolo medesimo che le abbiamo dato solamente di Saggi; i quali né meno averemmo
mai pubblicati, senza i gagliardi stimoli avuti da persone degne che noi sacrificassimo alle loro
amorevoli istanze il rossore di metter alle stampe principî così imperfetti. Resta per ultimo, che
avanti dognaltra cosa ci protestiamo, di non voler imprender mai brighe con alcuno, entrando in
sottigliezza di dispute o in picca di contradizioni: e se talora per far passaggio da una ad unaltra
esperienza, o per qualunque altro rispetto, si sarà dato qualche minimo cenno di cosa specolativa,
ciò si pigli pur sempre come concetto o senso particolare di Accademici, ma non mai
dellAccademia; della quale unico istituto si è di sperimentare e narrare. Conciosiacosaché tale si fu
nostro primo intendimento, e di quellalto Signore che colla sua singolar protezione e sommo sapere
ce ne fe prender la via, e al cui savio e prudente consiglio sè da noi puntualmente e regolatamente
ubbidito.
DICHIARAZIONE
DALCUNI STRUMENTI PER CONOSCER LALTERAZIONI DELLARIA
DERIVANTI DAL CALDO E DAL FREDDO
Utilissima cosa è, anzi necessaria nelluso delle naturali esperienze, laver esatta notizia de
mutamenti dellaria. Imperciocché assorbendone ella dentro l suo seno le cose tutte, e sopra di esse
dalla sovrana altezza di sua regione piombandosi, tutte sotto l torchio dellaria gemono, ed alle
strette più o meno gagliarde che ricevon da essa, o respirano o maggiormente oppresse rimangono.
Così nelle canne del voto a diversi stati di quella salza o sabbassa largentovivo, mentre, al parer
dacuni, secondo la varia tempera chellha dal Sole o dallombra, dal caldo o dal freddo, sì come
anche per essere aperta e libera, o ingombrata da nuvoli o gravata di nebbia, si fa più rara o più
densa, e sì più leggera o pesante; onde con varia forza premendo il sottoposto argento, lo costrigne
a più o men sollevarsi dentro la canna immersavi. È adunque necessario, sì per questa esperienza
della quale in primo luogo ampiamente verrà trattato, sì per altre che nel proseguimento del
presente libro si narreranno, avere strumenti tali, onde possiamo assicurarci che ci dicano il vero
non solo delle massime alterazioni dellaria, ma segli è possibile eziandio delle minime differenze.
Diremo pertanto di quegli che hanno servito a noi; de quali ancorché ne sieno andati a questora in
diverse parti dEuropa, onde a molti oramai non giugneranno nuovi, in ogni modo può essere che si
ritrovi alcuno che ne desideri più minuta notizia, se non intorno alluso, che troppo facilmente si
comprende, almeno intorno al modo e alla maestria di lavorargli.
Sia il primo strumento quello che viene espresso nella prima figura.(1) Serve questo, sì come gli
altri, per conoscer le mutazioni del caldo e del freddo dellaria, e dicesi comunemente Termometro.
Egli è tutto di cristallo finissimo lavorato per opera di quegli artefici i quali, servendosi delle
proprie gote per mantice, tramandano il fiato per un organo di cristallo alla fiamma duna lucerna; e
quella, o intera o in varie linguette divisa, di mano in mano dove richiede il bisogno di lor lavoro
spirando, vengono a formar opere di cristallo delicatissime e maravigliose. Noi un tal artefice
chiamiamo il Gonfia. A lui dunque sapparterrà di formar la palla dello strumento duna tal capacità e
grandezza, e dattaccarvi un cannello in tal misura di vano, che riempiedolo fin a un certo segno del
suo collo con acquarzente, il semplice freddo della neve e del ghiaccio non basti a condensarla sotto
i 20 gradi del cannellino; come per lo contrario, la massima attività de raggi solari eziandio nel cuor
della state non abbia forza di rarefarla sopra gli 80 gradi. Il modo dempierlo sarà con arroventar la
palla, e poi subito tuffar la bocca del cannellino aperta nellacquarzente, si che vada a poco a poco
succiandola. Ma perché è difficile, se non affatto impossibile, di cavar tutta laria per via di
rarefazione, e per ogni poca che ve ne resti la palla rimane scema, si potrà finir dempiere con un
imbuto di cristallo che abbia il collo ridotto ad unestrema sottigliezza. Ciò sotterrà quando la pasta
del cristallo è rovente, poiché allora si tira in fila sottilissime dentro accanalate e vote, comè
manifesto a chi di lavorare il cristallo ha notizia. Con un simile imbuto adunque si potrà finir
dempiere il Termometro, introducendo nel cannellino il suo sottilissimo collo, e spingendovi dentro
colla forza del fiato il liquore, o risucciandone se fosse troppo. È ancora da avvertire che i gradi
sopra l cannello vengano segnati giusti; e però bisogna scompartirlo tutto colle seste diligentemente
in dieci parti uguali, segnando le divisioni con un bottoncino di smalto bianco. Poi si segneranno gli
altri gradi di mezzo con bottoncini di vetro o di smalto nero; e questo scompartimento si potrà fare
a occhio, essendoché lesercizio, studio e industria dellarte insegna da per sé stessa a ragguagliare gli
spazi, e a ben aggiustare la divisione; e chi vha fatto la pratica suole sbagliar di poco. Come queste
cose son fatte, e col cimento del Sole e del ghiaccio sè aggiustata la dose dellacquarzente, allora si
serra la bocca del cannello col sigillo detto volgarmente dErmete, cioè con la fiamma, ed è fatto il
Termometro.
Luso di pigliare acquarzente per questi strumenti, più tosto che acqua naturale, è primieramente
a cagione chellè più gelosa, cioè sente prima di quella le minime alterazioni del freddo e del caldo,
e più presto per entro sé ricevendole, per la sua gran leggierezza incontanente si move. In secondo
luogo lacqua naturale, per nobile e pura che sia, in processo di tempo fa sempre qualche residenza o
posatura di fecce che a poco a poco imbratta il cristallo ed offusca la sua chiarezza; dove il
sottilissimo spirito del vino, o acquarzente che dir vogliamo, si mantien sempre bella, e non vien
mai a perder quel fiore di limpidezza con esso il qual si riserra. Anzi per questo stesso, chellè così
chiara e cristallina, e non riesce così a prima vista discernere il confine tra essa e l collo voto dello
strumento, sè talvolta usato di tignerla con infusione di chermisì o di quella lagrima, che
comunemente sangue di drago si chiama: ma essendosi osservato che per leggiera e sfumata che sia
la tinta, nondimeno il cristallo non acquista niente, e in capo di qualche tempo macchiandosi viene a
farsi maggiore la confusione, quindi è che sè in oggi dismessa lusanza di colorirla, non richiedendo
altro ladoperarla così chiara e limpida che aguzzare un poco più gli occhi per riguardarla.
Rimarrebbe da dire di moltaltre operazioni e squisitezze di lavorare alla lucerna; ma si come in
questa materia è troppo difficile spiegarsi in carta, così è affatto impossibile impararlo in iscritto:
che però bisogna avere il Gonfia mediocremente istrutto; essendoché larte con la lunga pratica da
per sé stessa saffina.
Il secondo strumento (2) non è altro che una copia del primo fatta in piccolo, non essendo tra di
loro altra differenza se non che, posti nello stesso ambiente, quello cammina alquanto più di questo.
Quello è diviso in 100 gradi, questo in 50; quello ne maggiori stridori del nostrinverno si riduce a
17 e a 16 gradi, questo ordinariamente a 12 e 11, e per somma stravaganza un anno è arrivato a 8 e
un altro a 6. Per lo contrario poi, dove il primo ne di più affannosi, e nelle maggiori vampe della
nostra state esposto al Sole in sul mezzo giorno non passa gli 80 gradi, questo secondo o non
passerà o passerà di poco i 40. La regola poi di fabbricargli in modo che osservino tal
corrispondenza, non sacquista altrimenti che con la pratica, la quale insegna proporzionar talmente
la palla al cannello e l cannello alla palla, ed aggiustar in modo la dose dellacquarzente, che non
isvarino sregolatamente la loro operazione.
Il terzo (3) è ancor egli una copia del primo, ma fatta in grande. Però viene a esser più geloso e
veloce di quello ben quattro volte, benché spartito in 300 gradi. La sua struttura è la stessa degli
altri due; ma, come sè detto, la maestria del lavorare non si può insegnar per regole, volendo esser
pratica e lunghissima esperienza, provando e riprovando, scemando e crescendo or il corpo alla
palla ora l vano al cannello ora la quantità dellacquarzente, finché si dia nel segno. Ed un Artefice
famosissimo in questo mestiero che serviva il Serenissimo Granduca soleva dire, che gli dava ben
lanimo di fabbricare due o tre e quanti Termometri si fosser voluti da 50 gradi, i quali circondati
dallo stesso ambiente camminassero sempre del pari, ma non già di que da 100, e molto meno di
que da 300, essendoché in maggior palla ed in maggior lunghezza di collo più facilmente si trovano
delle disuguaglianze; ed ogni minimo errore che venga fatto nel lavorargli è abile a far apparire in
essi grandissime disorbitanze, e ad alterare la proporzione dugualità charebbe a esser infra di loro.
Il quarto Termometro (4) col cannello a chiocciola, anchegli si fabbrica nellistessa maniera
degli altri. Vero è chei non entra nella medesima scala di proporzione, essendo impossibile
mantenergli il lunghissimo collo da per tutto uguale e della medesima grossezza e misura di vano:
mentre avendosi per necessità del torcerlo a farlo passare e ripassar più volte sopra la fiamma, non
può far di meno, quando la pasta del cristallo è rinvenuta per infuocamento, di non ischiacciarsi in
alcuni luoghi e ristrignersi, ed in altri di rilassarsi e gonfiare. Facciasi per tanto la palla di gran
tenuta, ed il prolisso collo si pieghi in facili e spesse rivolte, e di soave salita, perché occupi minore
altezza che sia possibile, e sia meno soggetto al brandire ed al pericolo di spezzarsi. Abbia ancora in
cima unaltra pallina vota e serrata a fuoco, la quale sia ricettacolo allaria del cannello, dovella possa
rifuggirsi da quello sforzo che n lei fa lacqua nel sollevarsi; acciò, altrimenti fatta forte contro della
stessa acqua dalla strettezza del sito, non avesse a contrastarle il passo, ed a spezzarsi il vaso. In sì
fatto modo saverà un Termometro talmente sdegnoso, e per così dire dun senso così squisito, che la
fiammella duna candela che gli asoli punto dattorno sarà abile a metter in fuga lacquarzente in esso
racchiusa. Il qual effetto si parrà tanto maggiormente, quanto sarà più ampia la palla: che però
facciasi pur grande a piacimento, e senza osservare altra regola; essendo fatto questo strumento più
tosto per una bizzarria e per curiosità di veder correre lacqua le decine di gradi, mossa dal semplice
appressamento dellalito, che per dedurne giuste ed infallibili proporzioni del caldo e del freddo.
Il quinto strumento (5) è ancor egli un Termometro, ma più pigro e infingardo di tutti gli altri.
Poiché dove quegli, per ogni poco che laria si stemperi, veggonsi subito alterare, questaltro non è
tanto veloce, ed a moverlo vi vuol altro che minime ed insensibili differenze. Nulladimeno, perché
di questi ancora nè andati in diverse parti dentro e fuori dItalia, si dirà brevemente in questo luogo
della loro fabbrica.
Volendosi formare un tale strumento si piglierà un vaso di vetro pieno di finissima acquarzente
fortissimamente agghiacciata, e in essa simmergerà un Termometro di cento gradi. Si metteranno
ancora nella medesimacqua molte palline di cristallo lavorate alla lucerna, dentro vote, ma però
tutte alla fiamma perfettissimamente sigillate. Queste per laria channo in sé doveranno tenersi a
galla in sullacqua; e se per sorte, alcuna un po più grave in ispezie di essa ne discendesse al fondo,
si cavi fuora, e sur una piastra di piombo con ismeriglio fine tanto si vada arrotando dalla parte del
gambo, che torni più leggiera e galleggi. Allora, cavato il vaso fuori del ghiaccio, si porterà in una
stanza laria della quale sia stata riscaldata notabilmente da fuochi, acciò la freddissimacqua riceva
ugualmente per ogni parte la tempera del calore. Così di man in mano chella sandrà riscaldando e
per la rarefazione acquistando leggierezza, quelle palline, che nel più intenso grado del freddo a
gran pena in lei si reggevano a galla, saranno le prime a muoversi nverso l fondo, e nello stesso
tempo lacqua del Termometro si vedrà salire. Quella pallina dunque che sabbatterà a scendere
quando l Termometro è a gradi venti, si contrassegni per la prima, cioè per la più grave, essendo
ella discesa quando lacqua era ancora assai fredda, e nulla o pochissimo temperata. Quella che
calerà essendo lacqua del Termometro a gradi trenta sarà la seconda, a gradi quaranta la terza, a
cinquanta la quarta, a sessanta la quinta, ed a settanta la sesta, che sarà lultima e la più leggiera;
onde si saranno prese sei palle a scala di uguali differenze, cioè di gradi dieci in dieci. Ed ecco in
qual maniera vien a esser questo Termometro più grossolano degli altri; poiché ciascuna di queste
palle che salga o che scenda, vuol dir gradi dieci nel Termometro di cento gradi, e gradi quattro in
circa di quel di cinquanta, e in quel di trecento sopra quaranta gradi. Scelte che saranno le sei
palline (le quali tornerà bene che siano di vetro o di cristallo colorato per meglio distinguerle in
mezzo allacqua), si potranno chiudere in un bocciuolo di cristallo con acquarzente dentro,
ermeticamente sigillato, avvertendo a non finirlo dempiere, acciò rimanga campo allacqua da
rarefarsi quando il sopravvegnente calore della stagione la costringa a ciò fare. Se poi il caldo della
stanza non fosse da tanto di far salire il Termometro a settanta gradi, saiuterà con mettere il vaso di
vetro in bagno dacqua tiepida, con rinfonderne della bollente finché fa di bisogno, acciò
lacquarzente in esso contenuta non si riscaldi più da una parte che dallaltra, ma pigli, sì come
dicemmo, la tempera soavemente e più ragguagliata che sia possibile.
DICHIARAZIONE
DUN ALTRO STRUMENTO CHE SERVE PER CONOSCERE
LE DIFFERENZE DELLUMIDO NELLARIA
Veduto degli strumenti che servono a riconoscer lalterazioni che riceve laria dal caldo e dal
freddo, conseguentemente è da vedere di alcun altro che possa dimostrarci quelle che le vengono
semplicemente dallumido. E comeché sieno molti e vari quelli che in altri tempi sono stati
immaginati da diversi ingegni, noi un solo ne apporteremo; del quale avvegnaché ne sia stato
ultimamente scritto da altri, nondimeno essendo egli nato in questa corte daltissimo e reale
intendimento, per ritornare, come suol dirsi, in sul nostro, diremo alcuna cosa intorno allinvenzione
ed alluso di esso.
Egli è un tronco (6) di cono formato di sughero, per di dentro voto e impeciato, e per di fuora
soppannato di latta. Dalla parte più stretta va inserito in una come lampana di cristallo, prodotta
ancor essa a foggia di cono, con punta assai aguzza e serrata. Preparato in questa forma lo
strumento, e collocato sul suo sostegno, sincomincia ad empiere per di sopra di neve o di ghiaccio
minutissimamente tritato, lacqua del quale averà l suo scolo per un canaletto fatto nella parte più
alta del cristallo, comapparisce nella figura. Quivi adunque il sottilissimo umido che è per laria,
invischiandosi a poco a poco al freddo del vetro, prima a modo di sottil panno lo vela, indi per
lavvenimento di nuovo umido in più grosse gocciole rammassato fluisce, e giù per lo dosso
sfuggevole del cristallo sdrucciolando, a mano a mano distilla. Siavi per tanto un bicchiere alto a
foggia di cilindro spartito in gradi, dove si riceva quellacqua che geme dallo strumento. Ora
evidentissima cosa è che, secondo che laria sarà più o meno incorporata dumido, la virtù del freddo
maggiore o minor copia dacqua ne distillerà, la quale in più spesse o in più rade gocciole cadendo
penerà più o meno a riempiere il luogo medesimo. Volendosi adunque far paragone dunaria con
unaltra, sosservi in quella che prima si vuol provare che parte di detto bicchiere in un determinato
spazio di tempo si riempia; e poi gettata via quellacqua, e trasportato lo strumento nel luogo la di
cui aria vuol paragonarsi con la prima, sosservi parimente in altrettanto tempo sin a che segno si
sarà ripieno il bicchiere. Così ritrovata la differenza dellumido che dalla prima alla seconda volta si
sarà condensato in acqua, si averà prossimamente quella che si ritrova tra lumido delle due arie
paragonate.
Potremo ancora, con esporre allaria questo strumento quando traggono venti, venire in
cognizione quali di essi sieno più pregni dumido; e quali più degli altri secchi ed asciutti. Così
abbiamo noi trovato che quando regnano venti Meridionali, allora il cristallo suda
dirottissimamente; imperocché laria è distemperatamente umida, forse per esser la maggior[1] parte
del mare a noi meridionale. Per la qual cagione adopera in essi per avventura il Sole
fortissimamente, e di que mari trae fuor vapori i quali si mischiano a venti: e ad una gran libecciata
è arrivato a fare fino in trentacinque e cinquanta gocciole al minuto dora. Una volta fra laltre
combattendo insieme venti Aquilonari e Libecci, con tempo assai nuvoloso, e che le nuvole
toccavano i monti, ottantaquattro se ne contarono nello stesso spazio di tempo; ma restando
superiori que che soffiavano da Tramontana, a poco a poco restò di sudare, e in poco più di
mezzora il cristallo era asciutto, non ostante che dentro vi fusse dimolta neve; e così si mantenne
per tutta la notte e tutto l seguente giorno che durarono a tirare i medesimi venti. Ancora quando
spirano Ponenti si è osservato mantenersi l vaso asciuttissimo. Vero è che di queste cose non si può
dare una certa regola, potendo elleno variare per moltissimi accidenti non solo della stagione e
dellaria, ma eziandio de luoghi e de paesi stessi, per ragion de quali i giudizzi di detti venti alcuna
fiata si mutano. E noi sappiamo che in certe Città e luoghi i venti Meridionali son più freddi che a
noi; conciossiacosaché abbiano monti pieni di neve dalla parte del mezzogiorno, onde i venti nel
passarvi sopra si volgono a freddo. Non per tanto lascerà il nostro strumento desser fedele a ciascun
paese dovegli venga posto in uso; ed allordinarie indicazioni delle nature di que venti si troverà
assai aggiustatamente rispondere con la sua operazione.
DICHIARAZIONE
DALCUNI ALTRI STRUMENTI ADOPERATI PER
MISURATORI DEL TEMPO
Per non andar molto lontano a cercar di quellesperienze nelle quali fa di bisogno lesatta misura
del tempo, come son quelle de Proietti e del Suono, una ve nè vicinissima; che è lantecedente, del
paragone dellumidità dellaria e de venti, la di cui riprova è il vedere la differenza dellumido che in
uguale spazio di tempo si distilla da diverse arie per mezzo del cristallo agghiacciato. Questa
differenza consiste alle volte in minuzie così piccole ed inarrivabili, che la giustezza de più squisiti
oriuoli non può mostrarle. Imperciocché o voglionsi pigliare i tempi da suono a suono, e gli orecchi
possono leggiermente ingannarsi, o dagli spazzi corsi dalla lancetta, e più che mai possono
ingannarsi gli occhi. Forza è dunque ricorrere a uno strumento il qual sia più sottile sminuzzatore
del tempo che non è il suono de quarti battuti dalloriuolo, e che non sono i minuti segnati dalla
lancetta, intorno alle quali cose il giudizio de sensi è tanto pericoloso derrare. Poiché (lasciato
andare gli errori che possono esser nella divisione della mostra o negli altri materiali strumenti),
della lancetta è difficile il giudicare sellè o sella non è per appunto in sul segno; e del suono bisogna
finalmente dire che nel tempo che loriuolo suona, di già quel tempo che vuol denotar quel suono è
passato. Noi abbiamo giudicato che questo più giusto strumento possa essere il Pendolo o Dondolo
che dir vogliamo, landare e l ritorno del quale contandosi per unintera vibrazione, non abbiamo
creduto che quando mai nel novero di molte vibrazioni una se ne sfallisca (che a chi vha un po di
pratica rade volte succede), arrivi quel piccolo svario a montar mai tanto quanto può importare un
errore che si faccia a regolarsi dalle sopraddette cose. Ma perché lordinario Pendolo a un sol filo in
quella sua libertà di vagare (qualunque se ne sia la cagione) insensibilmente va traviando dalla
prima sua gita, e verso l fine, secondo chei savvicina alla quiete, il suo movimento non è più per un
arco verticale, ma par fatto per una spirale ovata in cui più non possono distinguersi né noverarsi le
vibrazioni, quindi è che, solamente a fine di fargli tener fino allultimo listesso cammino, si pensò
dappender la palla a un fil doppio, i capi del quale fusser legati ciascuno da per sé lontani per breve
spazio ad un braccetto di metallo, come dimostra la settima figura. (7) Così attaccata la palla al filo
per un suo oncinetto viene a tirarlo e distenderlo col proprio peso in un triangolo isocele; poiché
trovandosi la palla libera sopra filo, quandanche nella sua prima vibrazione lo formasse scaleno, in
virtù del peso scorre subito al più infimo punto al quale ridur si possa, ed in esso poi si mantiene.
Da questo triangolo adunque vien regolato il movimento del pendolo, mentre (sia lecito servirsi di
questa similitudine) i fili che formano i lati di esso triangolo servono come di falsaredine alla palla,
acciò non si butti sur una mano più che su laltra, ma tenga sempre diritto il cammino per listessarco.
Vero è che non tutte quellesperienze alle quali sadopra il Pendolo richieggono listessa divisione di
tempo, essendoché ad alcune basti uno spartimento assai grossolano, qual suole aversi con le più
lunghe vibrazioni, ed altre vogliano uno sminuzzamento così sottile e fatto per vibrazioni così
affoltate luna allaltra e veloci, che a fatica locchio di chi le novera vi resiste. Onde per poter con
facilità scorciare ed allungare il triangolo secondo che fa di bisogno, senzaver ogni volta a sciorre e
rilegar su ad alto i capi del filo, vien aggiunto il braccetto inferiore anchegli di metallo, il qual va
infilato per una staffa quadra nellasta diritta dello strumento, in guisa da potere scorrere su e giù per
essa, e fermarsi con una vite dove si vuole. Questo secondo braccetto è segato per lo lungo della sua
grossezza e spaccato a modo di taglia, la quale rimettendosi o vero rannestandosi insieme per
mezzo di due altre viti, viene a strignere in mezzo i fili del maggior triangolo, lasciando la parte o
vero mensale superiore di quello immobile tra esso e l braccio di sopra. In questa maniera il
triangolo minore, che spunta dalla strettissima commessura delle due parti della taglia, e quella ha
per base, giuoca liberamente con le sue vibrazioni; le quali tanto verranno ad essere più frequenti
quanto più corta sarà legata la palla, e per conseguenza sarà men alto il triangolo.
Qui par luogo di dire, che lesperienza ci avea mostrato (come fu anche avvertito dal Galileo
dopo losservazione che prima dogni altro ei fece intorno allanno 1583 della loro prossima ugualità),
non tutte le vibrazioni del Pendolo correre in tempi precisamente tra loro uguali, ma quelle che di
mano in mano si accostano alla quiete, spedirsi in più breve tempo che non fanno le prime, come si
dirà a suo luogo. Per tanto in quellesperienze che richiedono squisitezza maggiore, e che sono di sì
lunga osservazione, che le minime disuguaglianze di tali vibrazioni dopo un gran numero arrivano a
farsi sensibili, fu stimato bene applicare il Pendolo alloriuolo (8) su landar di quello che prima
dogni altro immaginò il Galileo, e che dellanno 1649 messe in pratica Vincenzio Galilei suo
figliuolo. Così è necessitato il Pendolo dalla forza della molla o del peso a cader sempre dalla
medesima altezza; onde con iscambievol benefizio non solamente vengono a perfettamente
uguagliarsi i tempi delle vibrazioni, ma eziandio a correggersi in certo modo i difetti degli altri
ngegni di esso oriuolo. Noi per poterci valere dun tale strumento a diverse esperienze, le quali
vogliano il tempo più o meno sottilmente diviso, abbiam fatte varie palline di metallo infilzate in
sottilissimi fili dacciaio di diverse lunghezze, e tutti da inserirsi nella medesima madrevite secondo
l bisogno. Di questi il più corto compie la sua intera vibrazione in un mezzo minuto secondo dora,
chè la più minuta divisione che ci sia riuscito di fare; essendoché tutti gli altri più corti riescono così
veloci che gli occhi non gli posson seguire. E in fin qui basti aver detto di quegli strumenti che
vengono più spesso in uso nelle seguenti esperienze.
ESPERIENZE APPARTENENTI
ALLA NATURAL PRESSIONE
DELLARIA
È nota oramai per ogni parte dEuropa quella famosa esperienza dellargentovivo, che lanno 1643
si parò davanti al grande intelletto del Torricelli; e noto parimente è lalto e maraviglioso pensiero
chegli formò di essa, quandei ne prese a specular la ragione. Questa ei volle dire che fosse laria, la
quale aggravandosi sopra tutte le cose a lei sottoposte le costringa a uscire de loro luoghi ogni volta
chellabbiano spazio voto in cui rifuggirsi, e particolarmente i liquori, per la grande attitudine chegli
hanno a muoversi. Poiché i corpi solidi, come verbigrazia la ghiaia sarebbe, la rena e simiglievoli, o
pure le macíe de sassi maggiori, nel far forza per muovergli anzi sincastrano e stivansi insieme,
congegnandosi per sì fatto modo mercé della scabrosità e irregolarità delle lor parti, e sì serrandosi
in tutta la massa loro, che sattengono lun laltro e puntellansi, onde più duramente resistono alla
forza che tenta smuovergli. Ma al contrario i liquori, forse per lo liscio sfuggevole o per la rotondità
de lor minimi corpicelli o per altra figura che sabbiano inchinevole al moto, la qual mal posi e stia n
bilico, via via che premuti sono, cedono per ogni verso e sparpagliansi, a guisa che noi veggiamo
lacque da ogni minimo bruscolo che sopra vi caggia dirompersi, e ritirandosi dognintorno fargli ala,
per così dire, in ordinatissimi cerchi. E chi sa che da questo suo slegamento di parti non adivenga
chella di rado o non mai si fermi, anche ne suoi più appropriati ricetti, comeché alle volte si dipaia
stagnante; ondè chogni venticello lieve lincrespi e lagiti; e ne laghi eziandio che più fermi
rassembrano, quantunque la vista non laggiunga, pur mobile è lacqua, mentre la sua natura
dispostissima al moto, come dicemmo, la rende obbedientissima a ciechi ondeggiamenti dellaria la
quale sopra di essa non posa per avventura giammai. E questo non è più proprio dellacqua che degli
altri liquori, ne quali tutti, secondo alcuni, si par mirabilmente questa forza dellaria premente, in
particolare quande son colti in luogo, che da una parte della loro superficie abbiano spazio voto o
quasi voto in cui si possano ritirare. Poiché allora premendogli da una parte la confinante aria,
premuta anchessa da tante miglia daere ammassato, dallaltra ove non hanno ritegno e confinan col
voto il qual non gravita punto, te gli fa sollevare in alto, sin che il peso del liquor sollevato arrivi ad
agguagliare il peso dellaria premente dallaltra parte. Fassi questequilibrio con diversi liquidi a
diverse altezze, secondo che lesser più o men gravi in ispezie gli rende abili da minore o maggior
altezza a resistere alla forza e balía dellaria. Noi, comè la comune usanza e come anche praticò da
principio il Torricelli, ci siamo serviti dellargentovivo, come quello che sì maravigliosamente
pesando ci somministra una comoda operazione per fare il voto dentro al minore spazio in cui far si
possa con qualsivoglia altro fluido. Ciò che in tal maniera ci sia riuscito vedere, le seguenti
esperienze il dimostreranno.
ESPERIENZA
PER LA QUALE CADDE IN ANIMO AL TORRICELLI, SUO PRIMO INVENTORE,
CHE IL SOSTENERSI NEL VOTO LARGENTOVlVO ED OGNI ALTRO FLUIDO A
DETERMINATE ALTEZZE, POTESSE AVVENIRE DALLESTERNA NATURAL
PRESSIONE DELARIA
Sia la canna di cristallo (9) A B C lunga intorno a due braccia ed aperta solamente in C. Empiasi
per di quivi dargentovivo, e serrata o con applicarvi un dito o con vescica alquanto inumidita e
fortemente legata si capovolti e tuffisi leggiermente nellargento del vaso D E, e sapra. Scenderà
subito largento della canna per tutto lo spazio A F, dove arrivato col suo livello, dopo alcuni
libramenti si fermerà; ed il cilindro dargento sostenuto F B, che resta sopra la superficie dellargento
D E nella canna eretta alla medesima superficie stagnante, sarà daltezza in circa dun braccio e un
quarto. Questaltezza, quantunque pochissimo per esterni accidenti di calore e di freddo, e alquanto
più per le stagioni varie e stati diversi dellaria si sia osservata variare, come da una lunghissima
serie di nostre osservazioni manifestamente appare, tuttavia per essere tali variazioni assai piccole,
sarà da qui avanti denominata sempre dalla stessa misura dun braccio e un quarto, come la più
prossima di qualunque altra.
Lo spazio A F rimarrà voto daria, e ciò fia manifesto; imperciocché nellinclinare tutta la canna
A C, muovendola intorno al punto C come centro, vedrassi linterno livello F successivamente
muovere verso A, senza mai sormontare, anzi con rader sempre lorizzontal linea F G, prodotta dal
punto F, primo stato del mercurio nel sito perpendicolare della canna; la quale giunta che sia col
supremo suo punto A a toccar la F G, resterà piena dargentovivo, levatone qualche minima parte
verso A dove si riducon mai sempre sopra il livello dellargento sollevantesi, o aria della quale per
avventura egli è pregno, o altrinvisibili aliti che ne svaporano. Questo si vede manifestissimamente
ogni volta che nella canna sintroduce un po dacqua; la quale nel farsi il voto salendo sopra largento
discopre nel passaggio che fanno per lo suo mezzo que finissimi ribollimenti che da esso verso il
voto sinnalzano, come in altro luogo si narrerà.
La stessa vacuità daria sarà dimostrata dallacqua versata sopra largento D E; poiché nellestrarre
da esso la bocca C in modo che tuttavia rimanga nellacqua, piomberà subito largentovivo, levandosi
lacqua in capo ed empiedone tutta la canna, purché questa non ecceda laltezza di braccia diciassette
e mezzo in circa, alla quale, come altrove si dirà, suol sostenersi lacqua forse da quellistessa
potenza che sostiene a un braccio e un quarto largentovivo. E pure né anche in tal caso apparirà
verso la sommità della canna alcuna mole considerabile daria: conciossiacosaché quivi solamente si
ristringano quasi in invisibile spazio que tenuissimi aliti che sè detto levarsi dallargentovivo, o altre
materie sottili che in qualunque modo avessero potuto penetrarvi.
Su questo fondamento chiameremo da qui avanti per maggior brevità lo spazio A F, ed ogni
altro che sia lasciato in simili vasi dallargentovivo nel suo discendere, luogo o spazio voto, cioè
voto daria; per lo meno di quella che, non punto alterata dallo stato suo naturale, circonda la canna,
e stassi libera in sua regione. Non si presume già descluderne o l fuoco o la luce o letere o altre
sottilissime sustanze le quali, o in parte con finissimo spargimento di minimi spazzi vacui, o in tutto
quello spazio che si chiama voto empiendo, altri vi vogliono. Conciossiacosaché sia stato solamente
nostro intento discorrere sopra lo spazio pieno dargento, ed intendere la vera cagione del
maraviglioso libramento di quel peso, con animo di non imprender mai briga con glimpugnatori del
voto; che però essendosi a questo fine fatte molte esperienze sì di quelle che vengono riferite da
altri, come anche di quelle che sono state immaginate da nostri Accademici, ne verrà qui
fedelmente raccontato il successo, osservando sempre il nostro costume di storicamente narrare, e
di non defraudar mai glinventori di esse dellinvenzione e della lode.
ESPERIENZA
DEL ROBERVAL A FAVORE DELLA PRESSIONE
DELLARIA NE CORPI INFERIORI,
RISCONTRATA NELLA NOSTRA ACCADEMIA
Sia il vaso di cristallo (10) A, al di cui fondo B C forato in D sia annestata la canna D E due
braccia lunga. Posi sopra il foro il bicchier quadro F, ed il vaso A si chiuda col coperchio G H
parimente di cristallo. Questo abbia il beccuccio aperto H I, e sia forato in G, per dove passi il
cannello K L aperto di sotto e di sopra, ed alto anchegli due braccia o non minore dun braccio e un
quarto. Questo entri sì nel bicchiere ma non arrivi a toccargli il fondo, fermandolo in tale stato con
mastice o altra mestura a fuoco nel foro G del coperchio. Tal mestura, se sarà fatta con polvere di
matton pesto ridotta per lungo macinamento impalpabile e incorporata con trementina e pecegreca,
sarà attissima a stuccar vetri per modo che laria di fuora ne resti esclusa. Con questa similmente si
serri allintorno dove incastra col vaso il suddetto coperchio, e chiusa con vescica linferior bocca E,
per la superiore K sincominci a mescere argentovivo infintanto che traboccando il bicchiere F
ripiova sul fondo B C, e quindi pel foro D scenda a riempiere la canna ED, e finalmente tutto il vaso
A, avendo laria il suo sfogo dal beccuccio aperto H I. Il quale, arrivando a traboccarne largento, si
serri diligentemente con vescica in I, e si seguiti ad empiere tutto il cannello fino in K, e quivi
ancora si faccia traboccare per un poco, acciocché nel chiudere la suddetta bocca punto daria non vi
rimanga. Serrata questa, si fori laltra vescica che serra la bocca E sotto il livello stagnante M N
dellargentovivo dove sta immersa la canna, che da quella si voterà il cannello di sopra K L ed il
vaso A, rimanendo solamente pieno il bicchiere F e la parte O P della canna D E, che sarà un
braccio e un quarto sopra il livello M N. Diasi (ciò fatto) lingresso allaria con aprire o bucare la
vescica I, che subito precipiterà il cilindro dargento O P nel vaso inferiore, ed un altro Q R se ne
solleverà dallargento del bicchiere F dentro al cannello L K, uguale anchegli al primo O P, e però
daltezza dun braccio e un quarto; e questo non ricaderà infinattanto che aprendosi per di sopra in K,
non cada laria di fuora sopra di esso giù per la canna K L.
Se nello stesso vaso A si lascerà attaccata una vescichetta cavata diligentemente dallinteriora
dun pesce, avendone prima spremuta laria che in essa naturalmente ritrovasi, per modo che
pochissima ne rimanga tra le sue crespe, e legato con un filo strettissimamente il suo orificio, subito
che per labbassamento dellargentovivo la vescichetta rimarrà nel voto, quella pocaria rimasa in essa
farà gonfiarla; ed allora solamente si sgonfierà quando, aprendosi l vaso in K, potrà sopra
piombarsele laria di fuori.
Abbiamo ancora più manifestamente osservata tal dilatazione dellaria nel voto in un altro vaso,
(11) come A D B, serratavi dentro una vescica dagnello attorcigliata e quasi interamente sgonfia, in
questa manira. Sempia il vaso dargentovivo per la bocca D, e si serri con vescica, tenendosi in tanto
strettamente sigillata col dito linferior bocca E; dipoi immersa nellargentovivo del vaso F G si lasci
liberamente uscire largento. Gonfierassi allora la vescica C nel vaso A D B voto; e in tale stato si
manterrà sinché aprendo la bocca D, laria esterna non le venga sopra, la quale nello stesso tempo
farà precipitare nellinferior vaso F G il cilindro dargento sostenuto.
Parimente, se nel serrare la bocca D si lascerà su largento una piccola quantità di spuma fatta
con chiara duovo o sapone dibattuti con acqua, di mano in mano che il vaso A B sanderà votando,
laria imprigionata in quelle minutissime bolle tanto le gonfierà, che finalmente rompendo quel velo
sottilissimo che le circonda verrà a liberarsi e interamente separarsi dallacqua, la quale ripioverà su
largento, sciolta da quel finissimo spargimento daria che la legava in ispuma.
ESPERIENZE
APPORTATE DA ALCUNI CONTRO ALLA PRESSIONE DELLARIA,
E LORO RISPOSTA
Due furono lesperienze su le quali credettero alcuni de nostri Accademici poter fondare
argomento considerabile a disfavore della pressione dellaria ne corpi inferiori, e sì ritorle leffetto da
altri attribuitole del sostentamento de fluidi. Una fu col coprir il vaso (12) A e la sua canna con una
gran campana di cristallo B C D stuccata allintorno sopruna tavola. Si persuadevano adunque, che
se fosse vero che il peso di tutta la soprastante regione aerea pignesse largentovivo su per la canna,
e col peso di esso sequilibrasse, difendendosi quivi con largine del cristallo largentovivo stagnante
da così gran pressione, doverebbe linsensibil peso della pocaria rinchiusa sotto la campana rimanere
inabile a mantener largento a quella medesima altezza alla quale il momento di così vasta regione
daria lavea sospinto. Ma ciò non ostante si vedde questo non calar punto dalla sua solita altezza E
G.
Simile a questa fu la seconda prova, anzi listessa appunto, se non che maggiormente affinata.
Sempie dargentovivo un piccolo vasetto,(13) come A B (che fu questa prima volta senza il
beccuccio C D), ed attuffata in esso ancor pieno la canna E F, e in quella fatto al solito il voto, si
versò dal vasetto A B una piccolissima quantità dargento, onde pochissima fosse laria nello spazio
A H, la qual premesse il livello stagnante H G. Sovviò poi al peso e alla pressione dellaria esterna
con istuccare squisitamente con mestura a fuoco il vano circolare A, tra la bocca del vaso e la
canna. E pure né anche in tal caso, quando la mole dellaria premente era ridotta presso che a nulla,
apparve sensibile abbassamento nel cilindro dargento I F sotto la sua solita altezza.
Ma quelli che aderivano alla pressione dellaria, rispondevano a queste esperienze con dire, che i
narrati avvenimenti, anzi di contrariare, favorivano mirabilmente la loro opinione. Imperciocché la
cagione immediata che pigne, secondo loro, e violentemente sostiene largentovivo allaltezza dun
braccio e un quarto, non è altrimenti il peso di quella soprastante aria che si leva con la campana di
cristallo nella prima, e con la mestura a fuoco nella seconda esperienza; ma ben si leffetto di
compressione che fu prodotto da quel peso nellaria B C D della quarta, e nellA H della quinta
figura: onde non è maraviglia, che mantenendosi quella nel medesimo stato di compressione (comè
pur forza che si mantenga per la resistenza che in vece di tutto laltissimo tratto dellaria le fa lo
stucco o il cristallo), non iscemi laltezza dellargentovivo dalla solita sua misura.
E perché ancora si credea per alcuni che la forza di molla immaginata nellaria avesse tutta la
parte in questeffetto, si che senza di quella egli non potesse per alcun modo avvenire, vi fu chi tentò
insinuare il contrario con la seguente esperienza.
Preso lo stesso vaso A B con la sua canna E F prima di versarne punto dargento e di stuccarlo in
A, sommersolo in un gran vaso pieno dacqua K L M N, si vedde deprimere sensibilmente
largentovivo da A in G H e per lo contrario sollevarsi nella canna da I in O, ed importò tal
sollevamento intorno alla quattordicesima parte dellaltezza dellacqua E F: stuccata poi la bocca A,
onde la sola mole di acqua A G H premesse sopra largento, egli nulladimeno non perdé punto di
quellaltezza, che per lo peso di tutta lacqua soprastante E F avea nuovamente acquistata sopra il
primo livello I; e pure in tal caso lacqua rinchiusa A G H, non per forza di molla (dicevan quelli), la
qual per avventura non ha, ma per esser già stata spinta dal carico di tutta laltezza E F nel luogo
cedutole dallargentovivo nel sollevarsi da I in O, bada a tenervelo a forza e a contrastargli il ritorno.
Lo stesso appunto dicono accadere allaria.
Altri finalmente vollero vedere ciò che operasse la maggiore o minor dilatazione dellaria serrata
nello spazio A G H, facendone questa prova.
Aggiunsero allo stesso vaso A B il beccuccio C D, nel quale fermata una bocchetta di metallo
lavorata interiormente a vite, applicarono a quello una bocca di schizzatoio con sua madrevite
corrispondente. Con questo dunque, ogni volta che si fece attrazione dellaria A G H, attenuandosi la
rimanente si vedde abbassare il livello I; e per lo contrario maggiormente strignendola con
introduzione daria novella, il medesimo livello maggiormente innalzarsi.
Lo stesso parimente accadde per vicinanza di fuoco o di ghiaccio; perché ogni volta che serrata
la bocca C sappressava esteriormente allaria A G H il fuoco, largento saliva, e per esterno
strofinamento di ghiaccio calava; quasi nello stesso modo che per le contrarie operazioni dello
schizzatoio avveniva, si condensasse laria pel fuoco, e si dilatasse pel ghiaccio. Dalle quali cose
tutte più verisimilmente: parve loro di poter credere, non dal peso assolutamente, ma ben si dalla
compressione già cagionata dallo stesso peso nellinfime parti dellaria derivare tal sostentamento de
fluidi.
ESPERIENZA
PER RICONOSCERE SE LARIA VICINA ALLA SUPERFICIE TERRENA STIA COMPRESSA
DAL PESO DELLARIA SUPERIORE, E SE POSTA NEL VOTO IN SUA LIBERTÀ,
ANCORCHÉ NON ALTERATA DA NUOVO GRADO DI CALORE,
SI DILATI IN MAGGIORE SPAZIO, E QUANTO
Lingegnosa osservazione fatta dal Roberval della vescichetta daria che si distende nel voto
diede motivo ad alcuni di credere, dover esser determinato il segno, in fino al quale ha potenza di
ricrescer laria posta in sua libertà. Quindi parea loro assai verisimile, che in un dato vaso si potesse
assegnare uno spazio voto che bastasse allintero ricrescimento duna tal mole daria; onde tutte le
altre moli che fossero di quella maggiori, come quelle che più ampio spazio richieggono per
dilatarsi, dovessero più e più deprimere il cilindro dellargentovivo sotto lordinaria altezza dun
braccio e un quarto; e per lo contrario tutte quelle che fosser minori, standovi (diremmo noi) troppo
agiate, avessero a lasciar salire al solito suo confine largento. Lesperienza è tale.
Sia il vaso di cristallo (14) A B C che abbia la sua canna B C lunga due braccia ed aperta in C.
Sia inoltre il bicchier lungo D E F, il quale pieno dargentovivo sia vaso dimmersione alla canna B
C; ma vaso tale, che non solamente ella vi si possa immergere come laltre, ma possa bisognando
esservi ricevuta in tutto o in gran parte come in un fodero. Sia ancora un altro vaso (15) G H I, in
ogni sua parte simile, e per quanto si può uguale al primo A B C, e in esso fatto al solito il voto
sosservi laltezza K L ove in quel giorno sequilibra largento. Poi sempia dargentovivo il vaso A B C,
della XIV figura, per la bocca C fino in M, ed il rimanente spazio M C si lasci occupare allaria. Egli
è manifesto che turando col dito la bocca C e capovoltando il vaso, la piccola mole daria lasciata M
C salirà per entro largento a pigliar suo luogo in A. Si tuffi allora la bocca C sotto l livello D F, e
levato il dito si faccia il voto. Si ridurrà largento allaltezza P Q. Misurisi questa, e trovandosi uguale
allaltezza K L del vaso G H I, dove non è rimasta punto daria che possa alterarla, sarà segno che il
cilindro dargento P Q non è punto sforzato dalla piccola mole daria M C; imperocché allintera
dilatazione e al totale spiegamento di quella, lo spazio lasciato voto da A fino in P debbesser
soperchio. Vadasi ora a poco a poco profondando sotto largento D F la canna B C, si che via via
innalzandosi il livello P, come in R, si vada successivamente scemando lo spazio P B A lasciato
libero allaria; e si badi a profondare infinattanto che laltezza R Q non si vede incominciare a venir
minore della K L. E notisi che il punto R è termine fisso ed immutabile di tutte laltezze de cilindri
dargento uguali a K L, poiché tutti li susseguenti verso B, dependenti da più profonda immersione
di canna, si trova che vanno successivamente diminuendosi: onde pare che possa probabilmente
credersi il vano rimanente del vaso R B A rimaner tutto occupato dallaria dilatatasi, poiché dal
punto R in su si vede manifestamente che il cilindro dellargentovivo che le sta sotto patisce forza:
contrassegno evidente (al parer dalcuni) che la mole daria M C non vuol meno dello spazio A B R
per avere il suo pieno respiro. La misura di tale spazio, ed in conseguenza della dilatazione dellaria
M C, si averà in questo modo.
Figuriamoci esser queste cose accadute nel vaso A B C, ove laria M C abbia ottenuta nello
spazio A R la sua intera natural dilatazione. Si cerca quanto sia lo spazio M C occupato dallaria
naturalmente compressa, comparato allo spazio A R occupato[2] dalla medesima mole daria
dilatata. Ciò si troverà con una semplicissima operazione di pesar lacqua che capisce in M C e
quella che capisce in A R. Trovisi, verbigrazia, esser quella a questa come 1 a 174. Lo stesso
diremo dellaria, e che ella nel dilatarsi occupi 173 spazzi, oltre quello chelloccupa nello stato di sua
natural compressione.
Sia noto come avendo replicata questesperienza più volte e in diversi tempi, non sempre cè
tornata la medesima proporzione. Poiché da principio che noi la facemmo con unaltra invenzione di
vaso, benché loperazione fosse simile a questa, la proporzione ci tornò come di 1 a 209. Poi
essendoci serviti del presente strumento ci parve come di 1 a 182; e finalmente la terza volta, che
anche ci parve di farla più esatta dellaltre, fu, come abbiamo messo di sopra nel racconto, come di 1
a 174. Non ci arreca già maraviglia questa diversità, considerando che facendosi lesperienza sempre
con diverse arie qual più e qual meno compressa secondo la stagione più calda o più fresca, sì come
anche secondo i luoghi più alti o più bassi, è impossibile che si dilatino sempre a un modo, onde
abbiano a mantenersi fisse le proporzioni medesime.
Notisi, che la palla G H fu aggiunta alla semplice canna H I, acciò quellaria che in invisibili
moli stassi minutamente seminata per largentovivo, e che salendo nel voto lo fa gorgogliare nel suo
discendere, avesse campo in così gran vano dagiatamente distendersi, senzavere ad alterare con la
sua pressione la naturale altezza K L alla quale per sua natura doverebbe equilibrarsi largento.
ESPERIENZA
PROPOSTA PER FAR VEDERE CHE DOVE MANCHI LARIA PREMENTE LARGENTOVIVO
PIÙ NON SI SOSTIENE
Sia il cannello di vetro o di cristallo (17) A B minore di un b. e Œ. Si chiuda linferior bocca B
con vescica, e pieno dargentovivo per A vi simmerga una lancetta A C la quale, leggiermente
posando sopra la vescica del fondo, giunga con la sua estremità alla bocca A, e questa ancora si
serri con sua vescica.
Sia parimente unaltra canna D E maggiore dun b. e Πfabbricata in modo che dalla bocca E
possa facilmente turarsi con un dito, e dallaltra D sia capace di ricevere il cannello A B. Questo così
pieno dargentovivo vi sinserisca, avvertendo a introdurlo tanto addentro nel vano della canna, che
la sua bocca B rimanga sotto laltezza di un b. e Œ, presa dal livello stagnante dellargentovivo del
vaso F G verso D. Si saldi poi il suddetto cannello in D con mastice o stucco a fuoco, sì che ogni
spiraglio per cui potesse trapelar laria di fuori perfettamente si chiuda. Vadasi poi empiendo per E
dargento tutta la canna ED, e turata col dito la bocca E ed immersa nellargento F G, si faccia il voto
nella parte D H, sì che la bocca B del cannello B A rimanga tuttavia immersa nellargento H I.
Chiudasi nuovamente col dito la bocca E senza cavarla di sotto il livello F G, onde tolta la
comunicazione dellargento F G divenga la canna D E vaso dimmersione al cannello A B; allora
calcata esteriormente in A la lancetta A C, si sfondi la vescica del fondo B; che subito aperta, si
vedrà il cannello A E ancorché minore dun b. e Œ votarsi affatto del suo argento, al contrario di
quello che avverrebbe, se lo spazio voto D H fosse pieno daria; come per la seguente sperienza fia
manifesto.
ESPERIENZA
SIMILMENTE PROPOSTA PER RICONOSCERE SE, TOLTA LA PRESSIONE DELLARIA, I
FLUIDI SOSTENUTI RICASCHINO, E SE RESA TORNINO A SOLLEVARSI
Sia la canna di cristallo (18) A B lunga intorno a due braccia, e verso la parte superiore A
ermeticamente sigillata, sia tirato il beccuccio A C di tal sottigliezza che possa facilmente aprirsi
spuntandolo con le dita, e con la stessa facilità richiudersi alla fiamma duna candela. Sempia la
canna dargentovivo per la bocca B, la quale (sì come tutte laltre bocche di canne e di vasi simili che
servono a fare il voto) sia lavorata in modo con orlare o spianare il taglio de labbri, che si possa
sicuramente chiudere con le dita. Sia in oltre il cannello D E lungo per lappunto quanto la canna A
B, serrato ancor egli in D, ed aperto in E non circolarmente, cioè a tondo, ma con tagliatura
alquanto lunga, il quale pieno dargentovivo si metta come spada nel suo fodero dentro la canna A
B, larga in guisa che vi balli dentro. Serrata poi col dito la bocca B, si capovoltino le due canne, e al
solito immerse nellargento del vaso F G si lasci seguire il voto, il quale seguirà ugualmente in
amendue le canne livellandosi largentovivo nelluna e nellaltra di esse in H. Si riserri allora col dito
la bocca B della canna esteriore sotto l livello F G, onde largento B H più non comunichi con quel
del vaso F G, ma la canna A B così chiusa serva (come nellesperienza antecedente) di vaso al
cannello interno D E, la di cui bocca E mercé del suo taglio obbliquo rimane aperta. Ciò fatto si
spunti il beccuccio A C, che precipitando per esso laria sopra largento H circondante il cannello
interno D E e quello premendo, farà riempire incontanente tutto l cannello E D, purché nella canna
A B vi sia tantargento da riempirlo, ed il voto D H, come dicemmo, non sia maggiore dun br. e Œ.
E questa è esperienza facilissima a farsi, e da potersi replicar più volte con gran prestezza.
ESPERIENZA
PROPOSTA CON LO STESSO FINE DI RICONOSCERE SE LARIA OPERI NEL
SOSTENTAMENTO DEI FLUIDI
Sia unampolletta di cristallo (19) come A B C che abbia la bocca C così stretta, che piena di
qualsivoglia liquore ancorché volta allo ngiù ed aperta non versi. Questa sempia dargentovivo per
via di sottilissimo imbuto di cristallo, e sigillata con cera lacca o con mastice la bocca C, si metta in
un vaso (20) di vetro come D E, in modo che la suddetta bocca lo tocchi, ed il coperchio F si stucchi
diligentissimamente intorno allincastro con la mestura solita. Sempia poi per la bocca G tutto l vaso
D E dargento e si faccia il voto. Fatto chegli sarà saccosti per di fuori del suddetto vaso una
candeletta accesa alla bocca C, e vi si tenga infintanto che liquefatta la cera si dissigilli. Subito
aperta si vedrà lampolletta incominciare a versare e votarsi; ma introducendosi laria nel vaso D E
incontanente rimane.
Se in cambio dargentovivo sempierà lampolletta dolio, di vino o daltro liquore, tanto leffetto
sarà il medesimo.
ESPERIENZA
PER FAR VEDERE CHE NE VASI DARGENTOVIVO PIÙ ALTI DUN B. E Œ, PURCHÉ DI
BOCCA STRETTISSIMA, VOLTI ALLO NGIÙ NEL MEZZO DELLARIA, SI FA IL VOTO IN
TUTTO QUELLO SPAZIO CHE È SOPRA LALTEZZA DUN B. E Œ
Sia la canna di cristallo (21) A B di qualunque grossezza e lunghezza, purché questa non sia
minore dun b. e Œ, serrata in A ed aperta con sottilissimo foro in B. Sempia dargentovivo, e con la
bocca volta allo ngiù sappenda in aria a piombo. Si vedrà subito spicciar largento fuori di essa non a
gocciole ma con zampillo continuato, finché ridotto in C alla solita altezza dun b. Œ resterà di
versare.
ESPERIENZA
PROPOSTA PER FAR VEDERE PIÙ CHIARAMENTE, CHE DOVE MANCHI LA PRESSIONE
DELLARIA, VIEN MENO IL SOSTENTAMENTO DE FLUIDI, IN QUALUNQUE ALTEZZA
DI CANNA: E CHE TORNANDO LA MEDESIMA PRESSIONE, QUELLI TORNANO A
SOLLEVARSI
Sia il vaso di cristallo (22) A B alto intorno a due terzi di braccio, col sottilissimo beccuccio B
C aperto in C. Sempia dargentovivo per la bocca A D tutta la palla G F B, acciò che di mano in
mano che largento va livellandosi dentro al beccuccio con quel della palla, ne vada scacciando laria
che vi si ritrova, finché arrivato in C si chiuda il beccuccio alla fiamma. Sia ancora il sottil cannello
E F serrato in E e tagliato per lo traverso in F, alquanto minore dellaltezza interna del vaso A B.
Questo per la strettezza del vano e per esser minore dun b. e Œ si potrà calare pieno dargentovivo
nellaria del vaso A B, fino a tuffargli la bocca nellargento G B senza versarsi. Tuffato chegli sarà, si
riempia con acqua bollente il vaso A B facendolo traboccare; e poi sigillata la bocca A D con un
girello di cristallo tagliato alla sua misura e forato nel mezzo sottilmente col trapano, si copra con
vescica e leghisi strettamente. A poco a poco incomincerà a freddarsi lacqua, e freddandosi a
condensarsi; tanto che per lo suo condensamento rimarrà vota una parte del vaso come A I, e nel
tempo stesso sanderà votando fino a un certo segno il cannello E F, come in K, dove arrivato si
fermerà largento senza più discendere. Allora si buchi la vescica dovella si vede avvallare in sul
foro del cristallo, e subito allentrar dellaria si vedrà largento risalire con grandissima furia, e
riempiere tutto l cannello E F; il quale quandanche fosse più alto pure si riempierebbe mentre non
eccedesse laltezza dun b. e Œ.
Avvertasi che laltezza K L averebbe a essere (per quello che appresso si dirà) intorno alla
quattordicesima parte dellaltezza dellacqua M L. Pure, quando anche leccedesse, come il più delle
volte accade, ciò può avvenire per due cagioni. Una si è, che lacqua con la qual si riempie il vaso
non sia stata messa calda in maniera che il voto lasciato da essa nel condensarsi sia capace di
ricevere tutto largento che averebbe a uscire dal cannello E F, e così per ogni poco che nesca,
ripignendo in su lacqua, ritorna prima pieno il vaso, che quello possa essersi votato quanto
doverebbe. Laltra, che quando lo stesso voto sia tanto allargento del cannello, non sia tanto allaria
levatasi dallargento della palla o dallacqua del vaso, la qualaria richiedendo campo maggiore per
dilatarsi dello spazio voto A I, può talora far qualche forza in su lacqua, e conseguentemente
spignere dentro al cannello e sostenervi largento alquanto più di quello che per lo semplice peso e
pressione dellacqua si sosterrebbe.
ESPERIENZA
DI QUEL CHE OPERI NEL CILINDRO DELLARGENTOVIVO LA PRESSIONE DUN ALTRO
FLUIDO, AGGIUNTA A QUELLA DELLARIA
Sintenda fatto il voto nel cannello (23) A B C dentro l quale largentovivo per la semplice
pressione dellaria si regga in D, solita altezza dun b. e Œ. Mettasi poi dellacqua sopra il livello
stagnante E B, e si faccia alzare fino in A. Vedrassi il livello D sollevato in F, e sarà D F intorno
alla quattordicesima parte dellaltezza dellacqua A B: e ciò, perché al peso del cilindro dargento D F
si trova esser uguale il peso dun altro cilindro dacqua di base a lui uguale e dellaltezza A B. E se in
cambio dacqua il medesimo spazio A B sarà pieno dolio, largento si solleverà solo in G, se
dacquarzente in H; onde potremo, dalla proporzione dellaltezza del fluido A B circonfuso al
cannello, allaltezza del ricrescimento operato dal medesimo fluido nel cilindro dellargentovivo
sopra la prima altezza dun b. e Œ, avere la proporzione della gravità in ispezie del medesimo
argento con quella di ciascuno de fluidi.
Quindi poi assai facilmente si potranno dedurre anche quelle delle gravità in ispezie de
medesimi fluidi tra di loro.
Questo stesso ancora si potrà avere senzaltro voto, col semplice bicchier cilindrico (24) A B: nel
quale messo un poco dargentovivo, ed immersovi un sottil cannello come C D, aperto sotto e sopra,
infondendo poscia sopra il livello E F diversi fluidi e tutti a una medesima altezza, da vari alzamenti
dargento che quelli opereranno col proprio peso dentro l cannello, non solamente si potranno avere
le proporzioni delle loro gravità specifiche con esso argento, ma eziandio quelle che i medesimi
fluidi hanno respettivamente tra loro.
Avvertasi che in questa ed in altre simili esperienze, dove accade che i livelli dellargentovivo
così interni come esterni, o per la pressione di qualche fluido o per qualunque altra cagione mutino
altezza, anche le lettere nella figura dimostranti tali operazioni si deono sempre intendere
trasportarsi secondo il bisogno, e andar successivamente accompagnando i livelli dove essi di mano
in mano si trovano.
ESPERIENZA
PER LA QUAL SI DIMOSTRA CHE DOVE LARIA NON PREMA, NON SOLAMENTE CON
LARGENTOVIVO MA CON LACQUA ANCORA PUÒ FARSI IL VOTO IN QUALUNQUE
ALTEZZA DI CANNA, BENCHÉ MINORE DI QUELLA ALLA QUALE ELLÈ PER ALTRO
SOLITA DI SOSTENERSI
Sia il vaso di vetro A B di tenuta di sei libbre dacqua in circa, la di cui bocca A sia capace della
canna C D alta un braccio (25), (26) serrata in C ed aperta obliquamente in D. Abbia la medesima
canna intorno ad E, dove incomincia a sopravanzare al vaso A B, due cerchietti di vetro in
brevissima distanza tra loro, sicché la vescica F E G forata in E possa tra luno e laltro
fortissimamente legarsi. Sempia tutto l vaso A B dacqua calda quanto la può mai reggere, e la canna
C D della fredda, e infilata in essa dalla parte D una laminetta di vetro atta a chiudere la bocca del
vaso A, vi simmerga dentro, e arrovesciata in giù la vescica sincrespi e si leghi stretto intorno al
collo dello stesso vaso, con averne prima cavata laria dalle suddette crespe. Quivi nel raffreddarsi
lacqua, sandrà votando una parte del collo A I, e voterassi parimente (come nella precedente
esperienza) la canna per un tale spazio come C K, dove arrivata lacqua si fermerà senza più
muoversi, se nuovo esterno accidente di calore o di freddo a caso non lalterasse. Forata poi la
vescica, onde ritorni laria a premere sopra il livello dellacqua I L, tornerà la canna a riempiersi
comera prima.
Fu creduto per alcuni che il non ridursi da principio quando si fa il voto lacqua della canna allo
stesso livello di quel del vaso ( ogni volta che lo spazio voto A I sia capace di riceverla) potesse
venire dalla cagione accennata nellesperienza antecedente, cioè di quellaria la qual si leva dallacqua
e sale nello spazio voto, forse troppo angusto per lo di lei intero ricrescimento. Quindi pensarono
che facendosi questesperienza con vino, con olio, con acquarzente e con altri liquori, dal voto
maggiore o minore che rimanesse dentro la canna si potesse venire in cognizione di qual tra fluidi
abbia seminata più aria tra le sue parti.
ESPERIENZA
FATTA PRIMA IN FRANCIA E POI RISCONTRATA NELLA NOSTRA
ACCADEMIA, DONDE PARE CHE SI RITRAGGA PIÙ FORTE ARGOMENTO
PER LA PRESSIONE DELLARIA
Scrive il Pecquet nel libro delle sue nuove esperienze anatomiche essersi per molti osservato
che laltezza dellargentovivo dentro a vasi del voto si varia secondo i luoghi dove si fa lesperienza;
onde ne siti più rilevati è minore, maggiore ne più bassi e profondi, purché tale altezza sia molto
considerabile, come quella si è delle più alte montagne dAlvernia, in cima alle quali largento non si
dee reggere a un pezzo allordinaria misura. Ciò è stato detto accadere, imperocché laura più alta la
qual si ritrova in su gli eccelsi gioghi de monti, come quella che ha tanto meno carico sopra di sé, fa
un premer più languido, né ha fiato che vaglia a sostener largento a quellaltezza medesima alla
quale il più fondo aere delle valli e delle pianure più basse ha forza di sollevarlo. Cecché si sia della
verità di questa ragione, intorno alla quale non è ora nostro intendimento il discorrere, abbiamo
ancor noi osservato questo medesimo effetto in sur una delle più alte torri di Firenze che ha braccia
142 daltezza, come anche sopra diverse colline di quelle che la città coronano. Vedesi adunque
manifestamente che laltezza dellargentovivo si varia in diversi luoghi della torre o del poggio,
abbassandosi quanto più si va in alto e quanto più si scende innalzandosi, finché ridotto al piano si
libra alla solita sua misura; né per rendere assai sensibile questeffetto vè bisogno di maggiore
altezza che di cinquanta braccia.
Così fatta osservazione fece animo ad alcuni daversi a valere dun tale strumento per misuratore
esattissimo dello stato di compressione dellaria, credendosi che le varie altezze del cilindro
dargento (27) A B dovessero dimostrare senzalcun fallo il diverso premere chella fa sopra il livello
stagnante C D, mercé delle diverse altezze che ellha in sua regione. Ma dalle molte varietà e dagli
sregolati andamenti che in una lunga serie dosservazioni vi apparvero fu reso dubbio questo
pensiero: imperciocché lasciato questo strumento fermo ed immobile in uno stesso sito,
piccolissime, e rade volte maggiori di due o di tre gradi mostrava quelle variazioni che per la sola
diversa temperie di caldo e di freddo accadevano; e per lo contrario notabilissime ed oltre al
numero di dodici gradi erano talvolta quelle che da altre cagioni a noi ignote e non apparenti si
derivavano. Tuttavia per avere in altro modo più sicuro le notizie medesime, fu pensato alla
fabbrica degli appresso strumenti; ne quali, avvegnaché gli esterni accidenti del freddo e del caldo
possano molto per alterargli dalla loro retta e sincera operazione, non sono però questi talmente
inevitabili, che dallaccortezza del diligente osservatore non si possano leggermente schivare.
DESCRIZIONE DEGLI STRUMENTI
DIMOSTRATORI DELLE VARIE MUTAZIONI CHE ACCAGGIONO NELLO
STATO DI NATURAL COMPRESSIONE DELLARIA
PRIMO STRUMENTO
Scelgasi un cannel di cristallo il più uguale che trovar si possa, e alquanto più largo duna penna
ordinaria da scrivere, il qual si pieghi come A B C D, (28) sì che torni co suoi due rami A B, C D
tra di loro paralleli e di lunghezza appresso a poco uguale a quella che nella figura si rappresenta.
Questi con esatta diligenza si scompartiscano in gradi, per modo che i termini delle decine uguali
delluno e dellaltro tornino fra di loro a livello: la qual cosa per poter meglio fare di quel che riesce
co soliti bottoncini di smalto, si potranno sopra ciascuno di essi appiccare esteriormente con gomma
due striscette di cartapecora minutamente e per uguali intervalli divise in gradi; i quali
specchiandosi nel cristallo tralucano per la trasparenza di quello allocchio dellosservatore. Il ramo
C D si dilati a tromba nella bocca D, ed il ramo B A comunichi con una o più palle similmente di
cristallo, vote come E F, da tener moltaria, lultima delle quali vada a morire in un beccuccio assai
lungo come G H da sigillarsi alla fiamma, e perciò tirato allultima sottigliezza. Mettasi alquanto
dargentovivo per la bocca D, il quale, per esser di qua e di là aperto il vaso ed i rami A B, C D
grossi ugualmente, saccomoderà perfettamente a livello come in I K. Preparato così lo strumento si
porti a pié duna torre, dove si lasci stare per tanto spazio di tempo che laria dentro racchiusavi pigli
la tempera di quellambiente, e poi subito accostata una piccola fiammella in H si sigilli il beccuccio
con gran prestezza, perché laria delle palle dal nuovo sopravvegnente calor della fiamma non
salteri. Ciò fatto vi sia sulla torre chi tiri su lo strumento con uno spago al quale sia stato per prima
raccomandato, per non avervisi a rigirare intorno dopo chiuso il beccuccio, e condottolo in su la
cima più alta di quella, si faccia posare in piano come stava nel fondo. Quivi esaminata prima per
via duno squisito Termometro la temperie dellaria alta, e trovatala uguale a quella dellaria bassa,
sosservi che dove a pié della torre largento si livellava in I K, su la cima il livello I rimane
sensibilmente depresso come in L, ed il livello K alzato per altrettanto spazio come in M; mercé
(dicono) della più gagliarda e violenta pressione che esercita in I laria bassa trasportata in alto
dentro alle palle E F, in paragone di quella dellaria alta, onde il livello K è più soavemente premuto.
Ricordasi che ogni minima differenza di calore o di freddo che sia tra laria alta e la bassa, è
abile a far apparire svario ne livelli de duo rami A B, C D, e talora mostrare il contrario di quello
che averebbe a seguire attesa la sola operazione del diverso premere che fa laria. Imperciocché è
questo strumento una spezie di Termometro a aria, i quali per lo più riescono gelosissimi. Si scelga
impertanto quando si vorrà fare questesperienza lora della mattina in su lalba o altro tempo coperto,
per avere le due arie alta e bassa per quanto si può ugualmente temperate. Si guardi ancora a non
metter gran tempo dalla prima osservazione che si fa a pié della torre, alla seconda che si fa in su la
cima, e savverta che non si vuolaccostarsi allo strumento se non allora che debbono osservarsi i
gradi; la qual cosa si doverà fare speditamente, guardandosi dallalitarvi sopra sì che possano
riscaldarsi le palle; le quali quanto più saranno ricche di cristallo, tanto meglio difenderanno
dallimpressioni esterne laria di cui fanno conserva.
Tutte queste diligenze sono ancora da aversi nelluso de tre seguenti strumenti, essendo
ancheglino niente meno gelosi e sottoposti a mostrare i medesimi inganni di questo primo.
SECONDO STRUMENTO
Sia il vaso di cristallo A B (29) di tenuta di quattro libbre in circa, ed abbia il beccuccio C D
aperto. Dentro vi si metta tantargentovivo che basti a tenervi sotto la bocca E del sottil cannello E F
alto un mezzo braccio, ed aperto sotto e sopra, ma tagliato per lo traverso in E, e a tondo in F.
Questo diviso in gradi simmerga nellargento G H, e l vano chei si lascia intorno della bocca del
vaso A si stucchi con mastice o con altra mestura che tenga laria. Preparato in questa forma si porti
a pié della torre, e lasciata ridur laria di dentro alla tempera di quella di fuori si sigilli il beccuccio, e
tirisi con lo spago in su la cima di essa. Quivi fatto posare in piano, si troverà essersi largento
sollevato dentro al cannello per alcuni gradi come in I. Questo alzamento dicono seguir parimente
per la stessa cagione che nella descrizione del precedente strumento detto abbiamo: cioè perché
laria bassa rinchiusa nello spazio A C G H adopera con maggior forza sopra il livello armillare
dellargento circondante il cannello, che non fa laria alta premente per la bocca F sopra il livello I.
Quindi col sollevamento del piccolo cilindro I K seguir lequilibrio tra questi due momenti.
TERZO STRUMENTO
Sia la palla di cristallo A (30) dun terzo di braccio di diametro, ed abbia il collo B C lungo
intorno a due terzi, diviso minutamente in gradi, e alquanto più grosso che non apparisce nella
figura. Si metta nella palla tantacqua quanta ne può capire la metà del collo C D, e serrata col disco
la bocca C si tuffi nellacqua della vescichetta E F, alla quale impedisca nellempiersi la sua massima
sferica dilatazione un peso a discrizione attaccato in F. Piglinsi poi le pieghe della vescica e leghinsi
strettissimamente in E dintorno al collo B C, avvertendo nellatto di strignere a rinfonder acqua,
facendola traboccare, per assicurarsi in tal guisa di non chiudervi dentro aria la qual poscia in
qualunque modo alterandosi sconcerti e guasti la retta operazione dello strumento. Così ordinato il
tutto a pié della torre, sattacchi in G la palla allo spago mandato giù dalla cima, ed osservato il
grado in cui lacqua si livella, si tiri in alto; dove tornandosi ad osservare si troverà depressa per
alcuni gradi come in H, e più o meno secondo il presente stato dellaria e laltezza maggiore o minore
della torre.
Ciò nello stesso modo dicono accadere, per esser ivi circondata la vescica E F dallaria alta;
quindi non esser ella esteriormente armata di resistenza sufficiente per reggere a quello sforzo che
in lei fa laria bassa conservata in G D per dilatarsi, onde le bisogna cedere ed allargare linterna
capacità sua, la quale scende a riempiere la piccola mole dacqua H D.
QUARTO STRUMENTO
Sia la palla di cristallo A (31) col suo collo B C affatto simile a quello del terzo strumento, salvo
che nellesser aperta con sottilissimo beccuccio in D. Si leghi strettamente intorno alla bocca C del
collo C B la vescica E F, la quale abbia fermato nella legatura del fondo F un sottilissimo fil di
vetro o di rame, che passando per essa vescica trapassi nel collo B C della palla A, dove serva a
mostrare i gradi ne quali è diviso minutamente. Portato questo strumento a pié della torre, si sigilli
come gli altri in D, e si guardi il grado che disegna la punta o lancetta G. Sollevato poi su la
sommità si ritorni ad osservare, e troverassi la detta punta essere scorsa più alto di qualche grado.
Per render la ragione di tale effetto, considerano esser questo vaso pien daria bassa, la quale
secondo che trova una parte di esso meno solida del cristallo, anzi cedente e maravigliosamente atta
a distendersi comè la vescica E F, appena nel sollevarsi si sente allentar dintorno i ceppi della
compagna aria, che subito fa forza per riaversi e distendersi; e le riesce, facendo gonfiare alquanto
più la vescica. Or mentre questa per enfiamento va maggiormente adattandosi alla figura sferica, il
diametro E F in lei si fa minore, secondo che il fondo F si va di mano in mano innalzando. Quindi
anche lindice F G fermato in esso obbedendo al suo moto scorre più addentro nel collo B C, onde
viene a toccarne un grado più alto del grado G.
ESPERIENZE VARIE
FATTE NEL VOTO
Dalla serie delle narrate esperienze pareva oramai stabilito a bastanza il concetto del Torricelli,
del premer dellaria sopra le cose inferiori. Il che quantunque sia ardito e pieno di pericolo ad
asserire di quelle cose ove a nostrocchi alcun lampo di Geometria non risplende, pure né lardire è
mai sì degno di scusa, né l pericolo è più sicuro a schivarsi che allora che solamente per via di
molte e tutte concordi esperienze cammina nostro intelletto al conseguimento del suo desiderio; al
quale tuttoché alle volte non giunga, pure nellappressarsegli tanto quanto sappaga. Parendo adunque
da soprammentovati effetti aver guadagnato qualche ragionevole probabilità di sì fatta pressione, fu
giudicato che non sarebbe del tutto opera perduta landar vedendo con varie sperienze nel voto, se le
operazioni loro riuscisser contrarie o in qualche parte diverse da quelle chelle si mostrano
circondate dallaria.
ESPERIENZE
PER RICONOSCERE SE LE GOCCIOLE DE LIQUIDI, LIBERATE DALLA CIRCOSTANTE
PRESSIONE DELLARIA, PERDANO LA FIGURA SFERICA ALLA QUALE
NATURALMENTE SADATTANO
Attribuivasi per alcuni alla pressione dellaria quelleffetto che comunemente sosserva nelle
gocciole dellargentovivo e dogni altro fluido; le quali o schizzino o piovano per lo mezzo dellaria o
posino sopra un corpo asciutto tirano sempre al rotondo. Vollero per tanto vederle nel voto,
immaginandosi poter di leggieri avvenire che alcuna diversità notabile vi sosservasse. Ma la stessa
esperienza chiarì che la cagione di tal effetto era altra che la pressione. Poiché fatto l voto nel vaso
A B, (32) e voltata la chiavetta che apre la palla C, lacqua o largentovivo conservati in essa,
cadendo a gocciole sopra alcune foglie di cavolo serratevi con quel fior di rugiada con cui si
colgono, si stanno quivi così rotonde come se fossero in su la pianta. Similmente, o si costipi od
assottiglisi laria del vaso A (33) per via dello schizzatoio B C, le gocciole dacqua o dargentovivo
spruzzate sopra l suo fondo, dalla solita lor figura non salterano.
ESPERIENZA
DI CIÒ CHE OPERI IL CALDO E L FREDDO APPLICATO
ESTERIORMENTE AGLI SPAZI VOTI
Leghisi una vescica come A B C sotto la palla D, (34) e fatto in essa il voto sarrovesci n su, sì
che venga a fasciarla. Dipoi con una verghetta di cristallo, o con altra simil cosa che non si torca, si
pigli dal livello stagnante E F laltezza giusta del cilindro dargento G H; il che fatto, sempia la
vescica con acqua calda. Di lì a poco tornandosi a misurare, si troverà alquanto depresso il detto
cilindro sotto la prima altezza. Fatta questa osservazione, scolisi lacqua calda; e lasciato ridur
largento al suo primo stato in H, se ne metta della fredda mischiata con ghiaccio trito e con sale, e
poco dopo tornandosi nello stesso modo a misurare si troverà il cilindro notabilmente alzato.
Qui non tralasceremo di dire che lacqua calda da noi adoprata a questesperienza riduceva il
Termometro di cinquanta gradi a quarantotto, abbassandosi per tal calore largento una
cenquaranzeesima parte della sua altezza, e una cinquantottesima alzandosi per la fredda, nella
quale il medesimo Termometro veniva a gradi undici e mezzo.
Se poi nella palla D sintrodurrà un po daria, questa benché per la dilatazione chella conseguisce
nel voto divenga rarissima, in ogni modo prestissimo imbevendo il calore ed il freddo fa sì, col suo
rarefarsi e ristringersi, che le mutazioni che fa largento di salire e di scendere son più veloci e
maggiormente sensibili.
ESPERIENZA
PER VENIR IN CHIARO SE LARIA SIA QUELLA LA QUALE, SERVENDO DI FOGLIA
ALLA SUPERFICIE POSTERIORE DUNA LENTE DI CRISTALLO, RIFLETTA QUELLA
SECONDA IMMAGINE A ROVESCIO PIÙ OFFUSCATA E LANGUIDA, CHE VAPPARISCE,
DUN LUME O DALTRO OGGETTO CHE VI SI SPECCHI, COME CREDETTE IL KEPLERO
Si fermi con[3] lo stucco a fuoco una lente di cristallo come A B (35) su la bocca del vaso A C,
la qual bocca abbia lorlo alquanto arrovesciato in fuora e spianato, acciò la lente vi si possa stuccar
su facilmente nel suo dintorno. Ripieno poscia il vaso dargentovivo si faccia il voto, e fatta buia la
stanza saccosti una candeletta accesa alla lente e sosservi, che nello stesso modo vi si vedranno le
due solite immagini. Una più piccola ma vivissima e sempre diretta, ed è quella che viene dalla
superficie convessa esterna. Laltra maggiore ma sempre più abbacinata e languida e l più delle volte
a rovescio, la quale avvegnaché per lo voto fatto manchi alla superficie concava interna della lente
la foglia immaginata dellaria, non per questo si perde.
Noi nel fare questesperienza abbiamo sempre usato di finir dempier la canna con tre o quattro
dita dacquarzente. Poiché questa nel rivoltarsi il vaso per fare il voto salendo per mezzo
dellargentovivo alla sommità di esso, lava e terge mirabilmente la lente da ogni appannamento che
vi potesse lasciar su largento; del qual poi savesse a dire che le potesse servir di foglia in vece
dellaria. Ma ciò non ostante (come sè detto) lapparenza delle due immagini è la medesima, e nel
tornarsi a riempier il voto daria non vi fa minima differenza.
ESPERIENZE
PER RICONOSCERE SE ALLAMBRA ED ALLE ALTRE SUSTANZE ELETTRICHE
SI RICHIEGGA IL MEZZO DELLARIA PERCHÉ ATTRAGGANO
Sia un gran vaso di grosso vetro (36) come A B C, capace nella sua parte superiore A B di
muovervi e adoperarvi dentro una mano. Abbia questo tre bocche A, C e D E. La bocca A si lasci
aperta, la C si chiuda con vescica e sappoggi su un fardel di cotone o altro piumaccetto morbido
galleggiante in sullargento della catinella F G, perché il gran peso dellargento che dee reggere non
facesse spiccar lorlo dove la legatura sattiene o troncar la canna. La bocca D E fatta a misura di
ricevere una mano, abbia in giro un orlo o risalto di vetro, intorno al quale si leghi e stringasi
fortemente una gran vescica aperta da due bande come D E H I. Per questa sintroduca la mano nel
vaso, tenendo in pugno un pezzuol dambra gialla della più nobile, avendo prima accomodato in esso
vaso un leggierissimo dondolo di carta o di paglia in luogo che torni comodo il presentargli lambra,
dopo di averla strofinata e riscaldata sulla striscetta di panno K, incollata per di dentro in sul vetro.
Leghisi poi la vescica dalla parte H I alquanto sopra la snodatura del polso, acciocché l moto alla
mano rimanga libero nel vaso; e sia il luogo dove sha a fare la legatura armato dun braccialetto di
cuoio fortissimamente serrato alla carne, sul quale oltre alla legatura saldissima si possa intorno
intorno stuccar sul braccio lorlo della vescica. Ciò fatto sempia tutto l vaso dargentovivo per la
bocca A, procurando nellempierlo che le grinze e crespe della vescica vengano tutte piene,
acciocché laria se nesca quanto più mai si può. Pieno chei sarà chiudasi parimente con vescica la
bocca A, e sciolta sotto il livello F G la legatura di sotto, si dia luscita allargento per far il voto.
Allora recatasi lambra in su le dita e stropicciata forte sul panno K si presenti alla carta o alla paglia
sospesa, e veggasi se come fa nellaria quivi ancora la tiri.
Questesperienza è riuscita a noi poco felicemente; imperocché sempre chella sè fatta, laria è
penetrata sì presto a riempiere il voto, che non è stato mai possibile larrivare a vedere ciò che
lambra vi sabbia operato. Facendo poi riflessione qualapertura o spiraglio potessesser quello che in
un subito metteva così gran copia daria, considerammo chei non potessessere altrove che nella
legatura del braccio. Ma perché questo, senza ricever notabile offesa spezialmente nelle vene e nel
sangue, non poteva strignersi davvantaggio, fu in quel cambio adoperato un legnetto (37) come L M
con una pallottola dambra in cima. Legata dunque la vescica dalla medesima parte H I tra due risalti
N O del legnetto, si tornò ad empiere il vaso dargentovivo e rifar il voto. Egli è ben vero che con
tutta questa nuova forma di sperimentare nulla si ottenne; conciossiacosaché quantunque laria
penetrasse più lentamente (che ad ogni modo vi volle entrare), nondimeno la pressione dellaria
esterna facea rientrare in dentro in sì fatto modo la vescica, che, portandone questa seco il legnetto,
lambra veniva a trapassar di tanto il panno che non vi si potea riscaldar sopra, mentrera impossibile
ritirare il legnetto e muoverlo innanzi e ndietro, come sarebbe stato bisogno, infinattanto che
finendosi dempiere il vaso daria, quella di dentro non si ragguagliava con laria di fuora.
Ma pure desiderando noi di cavare alcun frutto da questa esperienza, pensammo ad un altro
vaso (38) come A B C, persuadendoci di poter con esso più facilmente ovviare così al trapelar
dellaria, come alla difficultà di muovere innanzi e ndietro il legnetto. Sempié dunque dargentovivo
il suddetto vaso per la bocca A, avendo prima serrata laltra C, ed appoggiatala sul piumaccetto
come nellesperienza antedecente sinsegnò di fare. Indi legata intorno al legnetto la vescica A B C si
tuffò quello sotto largento della bocca A (vedi figura XXXIX) sì che lambra venisse a posar in B
sur un pezzetto di panno come laltro attaccato al vetro. Messi poi sullargento parecchi minuzzoli di
paglia minutissimamente trita, si mandò giù la vescica legandola immediatamente sotto la rivolta
della bocca A. Fatto il voto sincominciò a scaldar lambra in sul panno con muover per di fuora in
qua e n là il manico del legnetto, ed a presentarla quando si credea già calda or a questo or a quel
minuzzolo, che nella caduta dellargento rimanevano sparsi per la palla, ma non si vedde mai che
alcuno ne venisse tirato.
Avvertasi però che non è da starsene in conto alcuno a questesperienza, né da attribuire
assolutamente tal effetto alla mancanza dellaria, della quale in questo vaso ancora o poco o assai
sempre ne penetrò; né mai sapemmo strigner in guisa le legature che ella per occultisime vie non vi
trapelasse. Ciò forse avviene per lo moto che debbe farsi in questesperienza nel riscaldar lambra,
essendo per così dire impossibile che in quello non sallentino e prestino le legature, per lo meno di
tanto quanto basta alla sottilissimaria per penetrarvi. Fu anche osservato come dopo che si fu
ripieno daria il vaso, né anche a strofinar lambra in sul panno B, avvegnacché arrotandovela su con
gran forza, volle tirare: cosa che da principio fece sospettare che dallargentovivo stesso si lasciasse
alcuna spezie di feccia in sul panno, sì che poi strofinatavi lambra ne ricevesse un leggero
appannamento il quale turasse linvisibili bocche di quelle vie ondesce la virtù sua. Il qual sospetto
tanto più crebbe, quanto che già sapevamo trovarsi alcuni liquori de quali bagnata lambra e tutte
laltre gioie di simigliante virtù dotate ricusan dattrarre. Ma essendosi poi veduto che la
medesimambra arrotata sur un altro panno lavato e rilavato in argentovivo tirava tuttavia con gran
forza, si credé che il panno del vaso potesse per avventura nuocerle con lumidità della gomma
inzuppata nellattaccarlo. Fu perciò messa in cambio di panno una striscetta di camoscio appiccata
con cera lacca a fine di sfuggire linzuppamento dellumido; ma questa diligenza ancora fu vana,
poiché o voto o pieno daria che si fosse il vaso, lambra non tirò mai; che è quanto possiamo con
verità dire dunesperienza tentata per tante vie inutilmente.
ESPERIENZA
PER RICONOSCERE QUAL SAREBBE IL MOTO DELLINVISIBILI
ESALAZIONI DEL FUOCO NEL VOTO
Essendo noi già per via daltre sperienze venuti in chiaro, il caldo del fuoco non muoversi per
ogni verso ugualmente, ma più per allo nsù che per qualunque altra parte incomparabilmente
diffondersi, fu chi considerò poter per lo contrario avvenire che in uno spazio voto venisse
osservata qualche varietà dalla quale trar si potessero assai ferme conghietture de principi eziandio
del natural movimento di esso fuoco, e ciò per via dun tale strumento.
Sia una canna (40) come A B di due braccia, dentralla quale (essendo ancor aperta in A) si cali
un Termometro di cinquanta gradi a capo allo n giù, fatto in modo dalla parte dovegli è sigillato,
chei si possa reggere in sul risalto che fa indentro la strozzatura C D dalla canna fatta apposta per
questo effetto. E perché nel mettersi largentovivo non abbia il Termometro a scorrere, e urtando
nella palla di quello che si dee mettere di sopra, a rompersi lun e laltro, si raccomandi a un filo il
qual fatto riuscire per la bocca B serva a poterlo reggere quando si capovolta la canna per empierla.
Accomodato il primo si metta laltro, ma talmente compagno che vada con esso a capello, e questo,
nel sigillarsi ermeticamente la bocca A, si fermi in essa colla medesima pasta del cristallo infocato.
Preparato in questa maniera lo strumento, si metta largentovivo e si faccia il voto, avvertendo a far
rimanere la strozzatura C D sopra il braccio e l quarto, acciocché il Termometro che su vi posa non
resti sepolto sotto largento, ma con tutti i suoi gradi rimanga libero allosservatore. Fermata la canna
immobile, in questo stato si mandi gran copia di calore nello spazio voto con due palle di ferro
roventi, (41) tenute in ugual distanza da essa canna, ma in disuguale dalle palle de due Termometri,
de quali alquanto più vicine doveranno tenersi al più basso, acciocché il calore chè sempre levato in
alto dallaria venga in tal modo più ugualmente distribuito. Noi, dopo aver moltissime volte replicata
questesperienza, altro non possiamo dire se non che veramente il Termometro di sopra sente più il
caldo di quel di sotto. Egli è il vero che la differenza è assai piccola in agguaglio di quella che vi si
osserva quando la canna è piena daria; poiché dove allora è talvolta arrivata infino a cinque gradi,
nel voto non ha passato i due. Né pare ad alcuni che debba essere altrimenti, mentre laria chè
dintorno alle palle riscaldandosi più nella parte più alta viene a riscaldar maggiormente il
Termometro più a lei vicino.
ESPERIENZE
DEL MOTO DEL FUMO NELLO SPAZIO VOTO
Nella palla del vaso (42) A B sattacchi una[4] pastiglia nera o altro bitume di colore scuro, in
cui il fuoco agevolmente sapprenda. Dipoi fatto il voto si procuri daccenderla allo splendor del Sole
con lo specchio ardente. Vedrassi subito levare il fumo, il quale in vece di sollevarsi comè suo
solito appena staccato dalla pastiglia discende, formando comun zampillo di fonte la sua parabola.
Data laria e tornato ad eccitare il fumo, si leva subito in alto verso la sommità della palla. Ora
essendosi in questa fatte moltesperienze che non richiedevano fabbrica di vaso particolare, come le
più dellaltre narrate infinquì, sarà ben fatto, a fine di sfuggir lunghezza nel racconto di esse, dopo
una brevissima descrizione del vaso e delle sue misure (non bastando lampiezza della carta a
formarne la figura in grande, come per maggior chiarezza si fa dalcunaltre cose che al medesimo
vaso appartengono) il dir minutamente del modo che abbiamo tenuto per comodamente servircene e
con facilità. Così altri ancora desideroso di vedere e riscontrar con le sue la verità delle nostre
esperienze potrà valersene, per lo meno infintanto che non ne sovvenga un altro più sicuro e più
facile.
È adunque il vaso (43) A B di cristallo la di cui bocca A C sporge in fuora con arrovesciatura
piana. Tre dita è il vano di essa e quattro laltezza del collo A D. Il diametro della palla D E è un
terzo di braccio, e laltezza della canna E B intorno a due braccia. Chiudesi linferior bocca B con
vescica, e posatala soprun guancialetto di cuoio messo a galleggiare in su largento duna catinella,
sincomincia ad empiere il vaso. Ma perché nel mescer largentovivo per la bocca A C (44) cadendo
dirottamente giù per la canna rimarrebbe presa gran copia daria tra linterna parete di essa e largento
medesimo, per ciò sadopra il sottilissimo imbuto A B C (45) parimente di cristallo, ed alto quanto
tutto il vaso; avvertendo a mantener sempre pieno il suo corpo A B, acciocché il collo B C non
abbia mai a riempiersi daria. Così vien a crescer nel vaso placidamente largento scacciandone[5] a
mano a mano laria col quieto sollevamento del suo livello. Finito dempiere si copre la bocca A C
(46) con una piastra di vetro un po colma, e questa con vescica legata forte con spago incerato sotto
la rivolta della stessa bocca. Applicate poi le palme delle mani di qua e di là per di sotto alla palla,
si solleva tanto, che levato il guancialetto di sotto alla bocca B, beva nellargentovivo. Allora sciolto
il cappio della legatura largento medesimo opera sì col suo peso che finisce daprirla, per lo che
liberamente uscendo vien fatto il voto.
Quando poi sabbiano a metter nella palla di quelle cose che non possono ricoprirsi dargento, o
perché per esso non si spargano, come i liquori che si mettono nel vasetto (47) A, o perché non
vaffoghin dentro, come sarebbono gli animali, sogliamo lasciar tantaria nel collo A D quanta serve
al vasetto o allanimale che vi si vuol rinchiudere, la qualaria dopo fatto il voto dilatandosi nel vano
di sì gran palla divien sì rara, che per così dire è come sella non vi fosse, non impedendo in verun
conto, mercé della sua estrema sottigliezza, alcuno di quegli effetti che si desidera dosservare.
Quando poi vi si vuol metter de pesci non vi si lascia aria, né meno sempie tutta la palla
dargento, ma vi si mette tantacqua che soprastando, fatto il voto, al cilindro sostenuto venga ad
empiere intorno alla metà di essa palla, onde i pesci vi si possan muovere e sì guizzare. Avendoci
altre volte voluto metter degli animaletti piccoli, come lucertole, mignatte e simili, (48) abbiamo
serrata con essi una piccola palla di cristallo massiccio formata a spicchi, la quale nel farsi il voto
portata a galla sopra largento venisse loro a chiudere limboccatura E della canna, ondavessero a
rimanere dentralla palla per esser più comodamente osservati.
Tutte queste notizie parranno a taluno per avventura superflue; ma quegli che nello
sperimentare sono di lunga mano ammaestrati, e sanno per prova le difficultà che sincontrano nel
fare unesperienza, per glimpedimenti che reca talvolta il solo uso de materiali strumenti, anzi
gradiranno che disprezzare queste minuzie; delle quali è incredibile a dirsi quanto sia il frutto e
quanto considerabile il perdimento di tempo che per esse viene a schivarsi.
ESPERIENZA
DEL SUONO NEL VOTO
Sospeso un sonaglio allo stesso filo in luogo della pastiglia, dopo fatto il voto incominciammo a
crollar gagliardo la palla, e quello si fece sentire dello stesso tuono come se dentro la palla vi fosse
aria naturale, o se vi fu alcuna differenza, di certo ella non fu osservabile. Vero è che in
questesperienza bisognerebbe che lo strumento sonoro (impossibil cosa) non communicasse per
alcun verso col vaso, poiché altrimenti non può dirsi di certo se venga quivi formato il suono dalla
rarissimaria e dagli aliti svaporati nel voto dallargentovivo, o vero dallintronamento che dalle
percosse del metallo mediante il filo riceve il vaso, e conseguentemente laria esterna che lo
circonda.
Fu pensato per tanto a far questesperienza, con uno strumento da fiato, come quello che
concepisce il tremore, non come il sonaglio dalla percossa, ma dallempito che fa laria in uscirne. E
perché sarebbe riuscito troppo difficile se non affatto impossibile il mettere un tale strumento in
quel voto che può farsi con largentovivo, ci risolvemmo a serrarlo in un vaso laria del quale si
cavasse per attrazione, secondo che ultimamente ha con mirabil felicità praticato il Boile per uso
delle sue bellissime e nobilissime esperienze; tra le quali sovvennegli ancor questa, tuttoché allora
non la mettesse in pratica per mancamento dartefice atto a fabbricarne lordigno. Perché se bene in
tal maniera non riesce forse di votar così perfettamente i vasi come si votano con largentovivo, in
ogni modo sarriva ad assottigliar tanto quellaria, che dalla manifesta variazione che si vede apparire
in quegli effetti, i quali dependono veramente dalla di lei ordinaria pressione, diventa poi assai
facile il formar giudizio di quel che farebbero nel perfetto voto. Noi diremo quello che ci è riuscito
osservare, protestandoci di riferirlo più per dar a divedere il modo col quale abbiamo pensato di far
questesperienza, che per quello che ci sia riuscito cavarne di certo e dinfallibile, potendo più tosto
dire daverla abbozzata che fatta.
Fecesi dunque un organetto, (49) come A B C D, a una sola canna co mantici in piedi,
comunicanti col suo portavento cavato nella grossezza della stessa base B C. Questo chiudemmo in
una scatoletta di rame F, (50) e introducemmo per la bocchetta G il manubrio H I (vedi fig. XLIX)
impernandolo in K su la colonnetta o sostegno K L, dopo averlo inserito nellanello M saldato a un
ferruzzo. Questo passando di qua e di là ne fondi forati de suddetti mantici, e quegli abbracciando
con sua rivolta, con mover poi in qua e n là il manubrio, or luno or laltro di essi sapre e si serra,
mandandosi in cotal modo il fiato alla canna. Dipoi preso un girello di cuoio sottile forato nel
mezzo, e fatta passare pel foro la bocchetta G gliela legammo intorno, e ripreso il giro esteriore di
detto cuoio addosso al manubrio e quivi fortemente legato, si venne a far sì che rimanesse serrato il
passo allaria, e per la morbidezza e vegnenza del cuoio libero il moto necessario per mandare in qua
e n là il manubrio suddetto. Così aggiustato il tutto e saldato squisitamente con mestura a fuoco
lincastro del coperchio E, cominciammo a votar laria della scatoletta con uno schizzatoio inserito a
vite nella bocchetta di sopra N, (51) chiudendo a ogni cavata la chiavetta O, acciocché nello
schizzar fuori per lanimella P (col ripignere in giù lo stantuffo) laria attratta, non potesse la
medesima rientrar nella scatoletta, e render vana la fatica del votatore. In capo a molte attrazioni,
quando la rimanente aria fu divenuta sì rara che il cuoio della bocchetta G tutto si rintanava nel
vano di essa, e che la forza dun robustissimuomo nel tirar su lo stantuffo veniva meno,
incominciammo a dimenare in qua e n là il manubrio per tramandar alla canna la sottilissimaria[6]
de mantici, e udirne il suono. Ma la verità si è chei non ci parve punto diverso non solamente da
quello che si forma nella medesima scatoletta serrata piena daria di stato naturale, ma né anche da
quello che vi si formò dopo avervi cacciata e stivatavi grandissima quantità daria col medesimo
schizzatoio. Adunque (dissero alcuni come da scherzo) o laria non ha che far col suono, o ella vale
in qualunque stato ad ugualmente produrlo.
La figura LII mostra più in grande lanimella P fatta per dar esito allaria che di mano in mano si
cava dalla scatoletta.
ESPERIENZA
DELLOPERAZIONE DELLA CALAMITA NEL VOTO
Attaccato un ago allo stesso filo del sonaglio e mostratagli esteriormente la calamita, ne venne
dalla medesima distanza dalla qual venne poiché la palla fu ripiena daria.
ESPERIENZA
DEL SOLLEVAMENTO DE FLUIDI NEL VANO DE CANNELLINI
SOTTILISSIMI DENTRAL VOTO
Tra gli altri effetti della pressione dellaria è stato da alcuni annoverato anche quello del
sollevarsi che fanno quasi tutti i fluidi dentro a cannelli strettissimi che in essi simmergono.
Dubitano questi che quel sottilissimo cilindro daria che giù pel cannello preme, verbigrazia in su
lacqua, operi più debolmente la sua pressione, per lo contrasto che gli fa nel discendere il gran
toccamento chegli ha con la superficie interna dellangustissimo vaso. Dove per lo contrario a
giudizio loro quellaria, che liberamente preme in su lampia superficie dellacqua circonfusa al
medesimo cannello, lasciandosi andare sopra di essa con tutta sua forza, ne solleva tanta dentro al
cannello, che poi tra l momento premente dellacqua sollevata e quello, tal qual egli è, della
languidissima pressione interna, se ne compone uno uguale a quello dellaria esteriore. Noi per aver
alcun lume della verità di questo discorso cercammo di vedere quel che seguisse nel voto di tal
effetto.
Fu per tanto preparata la solita palla come abbiamo detto farsi per mettervi dentro i pesci, cioè
con la metà superiore piena dacqua. Quivi simmerse il sottilissimo cannello A B aperto sotto e
sopra, infilato in un bottoncino voto di cristallo saldatogli con mestura allintorno, e contrappesato in
modo che lo reggesse ritto in su lacqua. Serrata poi come sè detto la bocca A C, (53) fatto il voto e
fermata lacqua intorno alla metà della palla, il cannellino rimase eretto sul livello di essa dal
bottone in su, entrovi lacqua fino in C. Turata poi col dito linferior bocca del vaso, perché la
sopravvegnente aria non lo votasse, saperse la bocca A C per vedere se precipitando laria in su
lacqua, da questo maggiore e sì violento impulso ella facesse alcuna sorte di variazione nel suo
primo livello C. Ma il fatto fu chella non si mosse.
Dubitavasi tuttavia dopo questesperienza che il bagnamento ricevuto da tutta la superficie
interna del cannellino, quando tutto simmerse nellacqua avanti di fare il voto, servisse come di
glutine al sottilissimo cilindro dacqua C B, ondegli anzi per appiccamento che per forza di
pressione esterna vi si reggesse. Imperò fu risoluto che prima si dovesse assottigliare e distendere
laria del vaso in cui voleva farsi questesperienza, acciocché la prima immersione venissa farsi con
laria già dilatata e rara e col cannello asciutto, onde in esso non savesse ad innalzare altracqua che
quella, cui la debol pressione della tenuissimaria fosse stata valevole a sollevare. Quindi poi nel
ridursi laria al suo stato naturale, e sì anche artifizialmente comprimendola si pensò di vedere qual
variazione facesse lacqua dentro al cannello.
Fu però preso un vaso di grosso vetro, (54) come A B C. Quivi si messe il cannellino A D, e
serrata la bocca A con vescica, si messe il vaso a giacere; onde il suo collo A E stando
orizzontalmente, orizzontalmente reggesse ancora il cannellino A D. In tale stato del vaso, si messe
del vin rosso (per meglio vederne il livello nel cannellino) per bocca F sin che si livellasse in G H,
usando nel metterlo tal diligenza, che la bocca D del cannello non ne venisse bagnata. Ciò fato si
messe la bocca duno schizzatoio a vite nella sua madre di metallo saldata nella bocca F, e fatta con
esso più volte gagliarda attrazione, si raddrizzò il vaso, onde il vino livellato prima in G H si livellò
in B C, rimanendovi immersa la bocca D. Per essa dunque fu subito sollevato il vino come sarebbe
in F, e fu tal sollevamento uguale a quello che sarié stato nellaria naturalmente compressa; poiché
non solamente lasciatala ridurre al suo stato naturale con aprir la bocca F, ma cacciatavene a forza
con lo schiziatoio, onde la vescica A divenne durissima a comprimersi, non si vedde che il vino
acquistasse quantè la grossezza dun capello sopra la prima altezza, alla quale nella prima esperienza
laria del vaso rarissima lavea sospinto.
Fu anche fatta unaltra esperienza ed è questa. Nella solita palla si messe un sifone, (55) come A
B C D, sospeso in modo che dopo fatto il voto rimanesse nel mezzo della palla diretto, e pieno
dargentovivo. Osservato adunque il grado al qual rimaneva largento nel ramo più stretto A B,
poiché fu dato ladito allaria non se ne vedde partire. Questesperienza si replicò moltissime volte, e
leffetto ci tornò sempre il medesimo.
Quelli finalmente che avevano per certissimo effetto della pressione dellaria il sostentamento de
fluidi a determinate altezze, vollero pur vedere se laria che preme sopra i loro livelli stagnanti,
quando sia costretta a passar per lambicco dun sottilissimo cannello ed abbia a condursi per esso a
premere, indebolisca di tanto che sarrivi ad osservare scemamento sensibile nellaltezza del fluido
da essa in tal maniera premuto. Ciò secondo loro averebbavuto verisimilmente a succedere, mentre
venendo a perdere e a indebolirsi lun de momenti, ne veniva per necessaria conseguenza[7] che
laltro dovesse preponderare, alterando il primo equilibrio.
Si prese dunque una canna (56) come A B C D, la cui altezza A B era due braccia e la rivolta B
C un mezzo, tirata a quellestrema sottigliezza e maggiore che si rappresenta nella figura. Questa,
che aperta era in A e in D, sincomincìò ad empier dargentovivo per la bocca A, finche nella rivolta
B C D giugnesse largento in D, dove arrivato sigillossi alla fiamma il beccuccio C D. Poi finita
dempier la canna fino in A, si serrò al solito con vescica, e spuntato il beccuccio D incominciò a
stillarne largento assai stentatamente, al contrario di quel chei fa quando laria lincalza per laltra
parte, in vece della qualaria nella presente canna A B non veraltro che il voto il qual sandava a
mano a mano facendo verso A, onde largento non era spinto fuori con altro momento che con
quello della propria altezza sopra il braccio e un quarto preso da C verso A. Arrivato chegli fu in F,
a quella medesima altezza sopra il livello C, alla quale in quello stesso giorno fu osservato reggersi
in unaltra canna immersa in un vaso assai ampio, restò subito di versare. Allora tenendosi la canna
eretta allorizzonte, col sollevarla e abbassarla gentilmente si fece sì che largento di essa concepisse
moto; per lo che vibrandosi con reciprochi abbassamenti e risalimenti in ambedue i rami, in
ciascuno di quei ritorni dalla parte della rivolta B C D veniva ad uscirne fuori un poco dal
beccuccio D; sì che fermata la canna e ridotto alla quiete largento, rimase vota di esso una parte del
cannellino come G C D. Quivi adunque laria premente in G, avvegnaché colata per langustissimo
canale D C G, non perdé tanto della sua forza che sarrivasse a scorgere alcun sensibile
abbassamento nel cilindro F G. Onde da tutte questesperienze e da qualchaltra di simil sorta, che
ora non è tempo di raccontare, parve ad alcuni di poter fermare, che questopinione del premer più
languido che fa laria per gli angustissimi seni, presa così assolutamente non sia per sé sola bastante
a spiegar questi ed altri simili effetti, ma credono che per lo meno alcunaltra cagione debba
unitamente concorrervi.
ESPERIENZA
DELLACQUA NEL VOTO
La gentile osservazione fatta dal Boile del bollimento dellacqua tiepida nel voto, ci rendé
oltrammodo curiosi non solamente di vedere un sì belleffetto e maraviglioso, ma eziandio ci aperse
lintelletto e ci fece venir desiderio di far la medesimesperienza con acqua naturale e con acqua
ridotta col ghiaccio alla maggior freddezza che potesse ricevere senza venire a congelamento.
Si messe per tanto nel vasetto A rappresentato nella figura XLVII dellacqua naturale non
alterata dal grado di sua temperie ordinaria. In essa dopo fatto il voto apparve una pioggia di
bollicelle minutissime le quali, avvegnaché in gran copia fossero, venivano però assai rade, e lacqua
non ne perdeva sua trasparenza. Era il movimento loro per allo in sù, finché allentando a poco a
poco la pioggia, lacqua ritornò quieta comera prima.
Lacqua tiepida subito fatto il voto incominciò furiosamente a bollire verso la sommità del
vasetto, gorgogliando come fa la caldaia quando leva più alto il bollore. Aperta la palla e cavatone
fuori il vasetto non parve che da tal bollimento se le fosse accresciuto calore.
Lacqua fredda fece quattro o cinque minutissime bolle, e poi fermossi senza far altra variazione.
Avvertasi che allingresso dellaria esterna sì la pioggia delle bollicelle nellacqua naturalmente
temperata, come il bollore nellacqua tiepida restarono immantenente.
ESPERIENZA
DELLA NEVE NEL VOTO
Si messe la prima volta un pezzuol di neve assai piccolo del quale, sceso largento, a gran pena si
rivedde altro che lacqua. Ci parve strana tanta velocità di struggersi; onde per meglio chiarirci se ne
replicò lesperienza con un altro pezzo maggiore formato rozzamente in cilindro e della maggior
grossezza e lunghezza che potesse entrar nella palla. In questa dunque (comella fu piena
dargentovivo) si volle mettere il cilindro di neve, pignendolo a forza sotto largento. Ma essendo non
so come scappato in mano a chi limmergeva e sì ritornato a galla, si vedde che in quel solo atto
dimmergerlo largento navea mangiata una gran parte, lacqua della quale si vedeva tornare a galla
sopral medesimo argento. Così ci accorgemmo che quel che aveva strutto sì velocemente il
piccolissimo pezzuol di neve nella prima esperienza era stato largento e non altrimente il voto, sì
come pareva a prima vista. Rituffato adunque il suddetto cilindro, serrato il vaso e fatto il voto, quel
poco davanzo si vedde liquefare con la stessa lentezza che suol far nellaria.
Questesperienza fu fatta in tempo di state, onde la neve non era solla (così diciamo a Firenze
della neve quandella fiocca e avanti dellagghiacciare), ma era della calcata e pigiata nelle conserve.
ESPERIENZA
DEL RISOLVIMENTO DELLE PERLE E DEL CORALLO NEL VOTO
Anche questesperienza abbiamo imparata dal Boile, ed è in questa maniera.
Le perle e l corallo (comognun sa) nellaceto stillato si solvono. Fassi però questoperazione
nellaria con gran lentezza, e consiste in un finissimo scioglimento di bollicelle minutissime le quali
da corpi delle perle e del corallo medesimo si veggono sollevare. Queste però non vengono così
folte che la trasparenza dellaceto per esse salteri, e particolarmente dal corallo, il quale ove non sia
finissimamente polverizzato si risolve più a stento. Più tenere son le perle, onde la copia delle
bollicelle in esse è maggiore. Noi lun e laltro separatamente volemmo veder nel voto, e vedemmo
da ambedue venir sì spessa la suddetta pioggia, che laceto levatone tutto in ischiuma traboccò dal
vasetto, il quale perciò pareva pieno di latte o di neve bianchissima. In questo si dié ladito allaria
per la quale si dileguò subitamente la spuma, e laceto riavuta la sua natural trasparenza tornò ad
operar come prima.
Qui non tralasceremo daccennare un effetto incidentemente osservato in questo risolvimento, ed
è che le perle mentre che si fondono scoppiano in una o più vescichette daria, le quali dovendo
naturalmente salire si portan seco attaccate le medesime perle. Ma subito che tali vescichette
emergono dallaceto urtando nellaria crepano, ed il lor velo in un finissimo spruzzo dispergesi.
Quindi le perle ricadono, mentre nello stesso tempo altre scoppiando in nuove vescichette
rinnalzansi. E così n tutto l tempo chelle vanno distemperandosi, si vede lor fare in su e ngiù per
laceto un flusso e reflusso continuo.
RACCONTO
DEGLI ACCIDENTI VARI DI DIVERSI ANIMALI MESSI NEL VOTO
Infin dal tempo che il Torricelli inventò la prima esperienza dellargentovivo, ebbe anche
pensiero di rinchiudere nello spazio voto diversi animali, per osservare in essi il moto, il volo, il
respiro ed ognaltro accidente che quivi patissero. Vero è che non avendo egli per allora strumenti a
proposito per questa prova, si contentò di farla comei potette. Imperò i piccoli e delicati animaletti
oppressi dallo stesso argento, per entro il quale conveniva loro salire per condursi alla sommità del
vaso, dopo rivoltato ed immerso, vi giugnevano per lo più morti o spiranti, onde non si potea ben
discernere se dal soffogamento dellargentovivo o dalla privazione dellaria si ricevessero maggiore
offesa. E ciò fu perché o non gli sovvenne o chei non sardì ad aprire i fondi de vasi, diffidando forse
della sufficienza delle legature, per riserrargli in guisa che tenessero laria spintavi dal proprio peso:
tanto più che distratto poco dopo linvenzione di talesperienza da altre applicazioni le quali tutto a sé
lo chiamavano, non ebbe tempo di mettersi dattorno a questa per maggiormente affinarla; come
forse avrié fatto se la troppo sollecita morte non ne lavesse impedito per sempre. Assicurati noi
dunque che la forza dellaria non era così violenta, che le mesture, gli stucchi e le vesciche
fortemente legate a bastanza non le resistessero, abbiamo usato i vasi aperti dalluna e dallaltra parte,
come sè veduto infinquì, e come finalmente abbiamo fatto in questo. Diremo per tanto degli
accidenti osservati in diversi animali racchiusi in questo vaso, che sono i seguenti.
Una Mignatta per più dunora chella vi stette si mantenne viva e sana, liberamente muovendosi
come sella fosse nellaria. Lo stesso fece una Lumaca di quelle spogliate; né fu in esse osservata una
minima cosa dalla quale si potesse argumentare che la privazione dellaria facesse lor nulla.
Due Grilli vi si mantennero per lo spazio dun quarto dora vivacissimi, muovendosi sempre ma
non saltando. Allentrar dellaria spiccaron salti.
Una Farfalla, o chellavesse patito innanzi nel venir brancicata con le mani mettendola nel vaso,
o si patisse poi per la privazione dellaria, certa cosa è che appena fatto il voto parve priva di
movimento, scorgendosi a gran fatica un tromolìo languidissimo nelle sue ali. Sventolaron bene
allentrar dellaria, ma non si poté ben discernere se lanimale o l vento se le muvesse. Indi a poco
cavata dal vaso si trovò morta.
Evvi una spezie di Mosche più grosse dellaltre dette volgarmente Mosconi, i quali volando
fanno ronzìo per laria col frullar dellale. Uno di questi, che dopo chiuso nel vaso continuava a
ronzare assai forte, subito che fu fatto il voto abbandonandosi interamente si lasciò ir come morto, e
le stridenti ale si tacquero. Veduto ciò se gli diede subito laria alla quale si riebbe un poco
muovendosi. Fu però tardo il rimedio, poiché appena cavato si morì.
Una Lucertola come si ritrovò nel voto subito si mostrò inferma, e poco dopo chiudendo gli
occhi parvesser morta. Ci accorgemmo poi che a volta a volta rifiatava, vedendosi in quello
gonfiare sotto le gambe davanti di qua e di là dal casso del petto. Durò così per lo spazio di sei
minuti dora in circa, dopo il qual tempo perduto apparentemente il respiro tornò a parer morta.
Allora se le dette laria, per la qual si riebbe così bene, che aperto poco dopo il vaso ne saltò fuori e
fuggissi. Ripresa poi e tornata a chiudersi unaltra volta, tornò novellamente inferma, ma di lì a poco
aperta novellamente rivisse. Rimessavi da ultimo per la terza[8] volta, in picciolora (che dovettesser
per lo spazio di dieci minuti) dopo alcuno avvolgimento, come se veleno avesse preso, saricò il
ventre, e abbandonatasi affatto cadde morta in sul vetro.
Unaltra Lucertola in più breve tempo patì gli stessi avvolgimenti o moti convulsivi. Ebbe talora
un poca di requie, e come se in quella ripigliasse lena e vigore si provò più volte ad inarpicarsi su
per la parete interna del vaso. Quindi a poco ritornarono i primi accidenti con isconci stravolgimenti
di bocca ed enfia- mento docchi, quasi volessero schizzarle fuori di testa. Indi si buttò supina, e in
tale stato dopo alcuni boccheggiamenti morì. Fu poi osservato che per le parti dabbasso e per bocca
avea fatto getto, onde il ventre nera divenuto vincido e smunto.
Unaltra che avea cominciato a patire i medesimi accidenti, soccorsa con veloce rimedio daria
tosto guarì.
Un uccelletto appena era fatto il voto che incominciò subito a boccheggiare e quasi ansimando
ricercar laria e barcollando dibatter lali e la coda. Resagli laria dopo un mezzo minuto dora, quando
parea vicino a morire parve così ad un tratto riaversi, ma fra pochi momenti chiuse gli occhi e morì.
Un Calderugio e poi un altro, avvegnaché prestissimo si soccoresser con laria non si fu a tempo.
Tanto è veloce loffesa insanabile che questi gentili animaletti ricevono dalla privazione di essa.
La morte quasi repentina di questi uccelli potrebbe a prima vista parer contraria allesperienza
del Boile, il qual racconta essergli campata unAllodola (benché ferita in unala) nei recipiente votato
daria infino a dieci minuti dora; ed una Passera presa alla pania esserne campata sette, in capo a
quali essendo paruta morta, soccorsa con laria fresca rinvenne; e che poi tornatala a chiudere e
ricominciato a votare il vaso, in termine di cinque minuti morisse. Ma chi farà riflessione a modi
diversi di far il voto nelluno e nellaltro vaso saccorgerà che queste due esperienze anzi che
contrariarsi saccordano mirabilmente; conciossiacosaché dove in quello laria per succedevoli
attrazioni con lentissimi e poco meno che insensibili acquisti assottigliasi, in questo per la
velocissima scesa dellargentovivo è subito ridotta a quellultimo grado di rarità e sottigliezza, al
quale quando laria è giunta, non dee più fare per la loro respirazione. E forse chi prima di far il voto
avesse inclinato il nostro vaso per modo, che la bocca A C della palla fosse venuta sotto laltezza
dun braccio e Œ, presa dalla perpendicolare che cade da essa bocca sopra l piano del livello
stagnante dellargentovivo, e in tale stato avesse aperta linferior[9] bocca B, sollevandolo poi e
riducendolo a poco a poco allo stato perpendicolare, averebbe osservato i medesimi effetti riferiti
dal Boile; mentre dovendo passar quellaria per tutti i gradi di rarità successivamente maggiore e
maggiore (a similitudine di quello che segue nel votamento del suo recipiente), non sarebbe
divenuta sì presto inutile alla respirazione de sopraddetti animali.
Un Granchio tenero da principio si mosse, poi savvilì, e tra poco si vide incominciare a basire.
Statosi così alquanto come infingardito o più tosto rattratto, non se gli vedendo far altro moto si
dette laria. A questa si riscosse, onde incominciò lentamente a muoversi, ma cavato del vaso stette
poco a morire.
Un Ranocchio si stordì prestissimo, e gonfiò tutto notabilmente: venendo laria con subiti salti
mostrò di riaversi.
Si serrarono unaltra volta insieme dentro allo stesso vaso un Granchio duro e un Ranocchio.
Quanto al Granchio si vedde muovere sinalla fine che dovettesser per una buona mezzora, né fece
altra mutazione che di gonfiar forse un poco. Il Ranocchio allincontro passati dieci minuti in ogni
sua parte fu veduto sconciamente enfiare, quindi spiegò due vesciche assai grandi di qua e di là dal
muso; e vomitando grandissima copia di bava per bocca, la quale spalancata stavasi e ripiena dalla
lingua stessa e da altre vescichette e membrane tutte sformatamente enfiate, si stette sempre
immobile in tale stato. Introdotta laria sgonfiò in un tratto, restando sformato e smunto con ultima e
paurosa magrezza, a tal chei fu giudicato essere stato il doppio più grosso allora chei si messe nel
vaso. Quando si cavò era morto. Era ben vivo il Granchio (come di sopra sè detto), ma sestese a
pochi momenti questo suo vivere.
Un altro Ranocchio gonfiò anchegli deformemente, e dopo chegli ebbe gettata roba per bocca e
fatta grandissima bava, ritornato a vedere a capo duna mezzora si trovò morto. Allentrar dellaria
divenne ancor esso sparuto e smunto come laltro divenuto era. Apertogli da un diligente Notomista
il torace, da principio non se gli trovavano i polmoni, tanto erano raggricchiati in sé stessi per
votamento daria. Pure soffiando per un fil di paglia in quel meato chegli hanno sotto la lingua per
pigliar fiato, si dispiegarono; onde si vedde, che la maggior parte dellaria che vera dentro quando
lanimale fu rinchiuso, era venuta fuori a goder il benefizio di dilatarsi nello spazio voto senza
lesione alcuna de suddetti vasi, perocché gonfiati non isfiatavano.
Si serrarono ancora alcuni Pescetti vivacissimi con sufficiente acqua, i quali subito fatto il voto
si videro notabilmente gonfiare e quasi stramortiti venirne con la pancia allaria. Più volte fecer
forza di rimettersi con la schiena per di sopra, ma e non riuscì loro, poiché ritornavan sempre
supini. Laria finalmente li fece dar in fondo, dove senza potersi mai più riavere si morirono.
Appresso sparandone uno in paragone dun altro tagliato vivo e che non era stato nel voto, in quello
ricercando linteriora si trovò affatto sgonfia la vescichetta dellaria, in questo era ritondetta e soda
come ordinariamente suolesser quella di tutti i pesci..
A un Barbio assai grandicello gonfiarono stranamente gli occhi, e il medesimo voltato supino,
distendendo lale come intirizzate, spalancando le orecchie ed enfiandosi in tutto il corpo ne venne
in sul fil dellacqua. Tentò più volte con guizzi diversi e con forze maggiori di ritornare alla sua
giacitura, ma non potette. Passati sei minuti dora, essendo sopravvenuta laria, gli occhi incontanente
si disenfiarono, e quantunque il torace ritornasse alla sua giusta misura, fu nondimeno costretto a
dar in fondo sempre boccheggiando senza mai più potersi riavere a galla. Cavato in altracqua indi a
poco morì. Aperto si trovò la sua vescichetta tutta raggrinzata, a segno che maggiore e più turgida
parve esser quella dun altro pesce sparato vivo, ben cinque volte di lui minore.
UnAnguilla vi stette un gran pezzo senzammortirsi né perder punto di sua vivezza. Ma
finalmente in termine dunora morì anchella, e la sua vescica fu trovata sgonfia come quella degli
altri pesci.
Un altro Barbio stato similmente nel voto e medicato prestissimo con laria per gran ventura
nuscì vivo. Questo ci venne voglia di mettere in un vivaio doverano degli altri pesci, e lacqua alta
più dun braccio e mezzo. Quivi adunque, o fosse caso che gli tornasse comodo il far così, o sì
veramente necessità impostagli dal passato accidente per lo sgonfiarsi della vescica, egli è certo che
in tutto il tempo chei visse (che fu intorno a un mese) per molto che se gli desse la caccia
spaventandolo e agitando lacqua, non fu mai veduto sollevarsi come facevano gli altri pesci, ma
sempre andarsene terra terra notando con la pancia rasente il fondo. La sua vescica dopo morto a
vederla era gonfia come suolesser naturalmente, ma assai men dura a comprimprsi che non son
quelle degli altri pesci.
Una vescica dun altro pesce assai grosso serrata così gonfia comella ne fu cavata, nel farsi il
voto non fece mutazione alcuna. Saperse imperciò il vaso, stimandosi che nientaltro potesse ritrarsi
da talesperienza, se non che la tunica la qual veste internamente la suddetta vescica fosse dun panno
sì forte, che la forza dellaria la qual vi si ritrova naturalmente non fosse da tanto a squarciarlo. Ma
laria di fuori non fu prima entrata, che la vescica rimase sgonfia né più né meno in quella stessa
maniera chella si ritrova ne pesci fatti morir nel voto. (57) Manifesto segnale, che la maggior parte
dellaria della vescichetta o aprendo o stracciando lanimella dalcuno invisibil meato se nera uscita,
mentre ogni minima quantità che ve ne rimanga, col ricrescer chella fa nel voto, serve a mantener
sufficientemente gonfia la vescichetta allo stesso segno di prima, come in quella del Roberval si
vede accadere.
Per veder poi in che modo laria uscisse da queste vesciche, se per alcuno meato fattovi dalla
natura o apertovi dalla propria forza dellaria, (58) si cavò unaltra vescica da un altro pesce con ogni
possibil diligenza, lestremità della quale si legarono strettamente con fili di seta, immaginando che
se meato vi fosse in una di quelle potesse essere; questa messa nel voto rimase gonfia siccome laltra
rimasa era, ma sopravvenendo laria di fuori la fece sgonfiar nello stesso modo; onde per ritrovar la
via che laria di dentro sera aperta per poterne uscire, si fece in essa un picciol foro, tanto che vi si
potesse insinuare lorifizio dun cannellino di cristallo, il qual messovi, se gli legarono sopra i
dintorni del foro fatto, e lasciate le due stremità senza sciorre, si dette il fiato pel cannellino.
Questo, imperocché in molta copia era, gonfiava bensì la vescica, ma nello stesso tempo nusciva dal
piccolo squarcetto A (che dovettesser quello che fece laria di dentro per uscire), al quale
accostandosi una candeletta accesa si vedeva muover sensibilmente la fiamma. Ma riguardandosi in
esso più attentamente allora che la vescica per gagliardo enfiamento si distendeva, non era né meno
sì piccolo che sfuggisse locchio di chi losservava.
Veduto in tal modo, che laria non avea trapelato per le legature fatte, mentre per uscirne fuori
lera convenuto far novella rottura, si volle vedere se anche in corpo a pesci che muoiono dentro al
voto nesca in simigliante guisa, cioè strappando la gentil membrana della vescichetta loro, o pure da
qualche occulto meato sfiatando. (59) Tratta però diligentemente di corpo a una Lasca morta nel
voto la sua vescica, si forò nella parte più aguzza, ed inseritovi un cannello nello stesso modo che
nellaltra sera fatto, si gonfiò con gran forza, ed ella tenne benissimo il fiato. Prova assai bella per
trarne chiaro argomento che laria senza rompere sa tuttavia ritrovare alcun passo cui la debolezza
non giugne degli occhi nostri. Quindi fu pensato a far sì che lacqua medesima ce lo discoprisse: per
lo che fatta cavare unaltra vescica da un pesce vivo e sano sinvolse in un brandello di rete, e quella
aggravata di conveniente peso si messe al solito in acqua, sotto alla quale essendo rimasta, fatto il
voto si veddero uscire per la parte aguzza molte gallozzole daria, onde parve di poter
verisimilmente credere esser quivi il meato naturale che la trasmette. (60) Aperto il vaso laria la
fece sgonfiar come laltre.
Desiderandosi finalmente di vedere che via tenga laria della vescica per uscir di corpo a
medesimi pesci, cioè se per le orecchie o per bocca, si rinvolse una Lasca nella stessa rete,
acciocché trattenuta in fondo dal peso attaccatole avesse per necessità a rimaner sottacqua. Fattosi
dunque il voto, se le vedde fare grandissima copia daria per bocca, la quale veniva in grossissime
bolle, nello stesso modo che sera veduta uscire dalla vescica sommersa.
Qui doveva essere il fine di questesperienze, ma essendo sovvenuto, mentre si stampavano
questi medesimi fogli, a un nostro Accademico di facilitar notabilmente il modo di servirsi di
questultimo vaso, non lasceremo di dirlo; tanto più che avendolo noi sperimentato ce lo ritroviamo
assai comodo per luso di fare il voto. Consiste linvenzione in aggiungnere alla canna B E della
figura XXXIV la rivolta B F G; poiché mettendosi al modo ordinario largentovivo per la bocca A
C, arrivato chegli è in G si serra quivi e si seguita ad empire fino in A C. Dopo di che serrato al
solito basta aprire la bocca G, che senzaltra immersione se ne va per quella tutto largento che
sopravanza allaltezza dun b. e Πpresa dal livello G verso E. E notisi che la palla G F serve a ritener
largento ne reciprochi andamenti e riandamenti chei fa ne due rami della canna prima di fermarsi,
per limpeto conceputo nello scendere. Questo è quanto per ora intorno alla natural pressione
dellaria e suoi vari effetti.
ESPERIENZE
INTORNO AGLI ARTIFICIALI
AGGHIACCIAMENTI
Fra le stupende operazioni della natura fu sempre avuto in grandissimo pregio quellammirabil
lavoro, ondella rimuovendo lacqua dalla sua fluidità la lega e ferma insieme, donandole soliditade e
durezza. Questopera, quantunque ella sabbia tutto giorno davanti agli occhi, ha nondimeno dato in
ogni tempo, al pari dellaltre più nascoste e più rare, ampia materia di sottilissime speculazioni
aglingegni degli uomini: mentre si considera che dove il fuoco sciolto in velocissime faville,
cacciandosi per le commessure più fitte delle pietre e de metalli medesimi, gli apre, liquefà e
riducegli in acqua; il freddo per lo contrario (che più meravigliosa cosa è) i liquori più fluidi invetra
e rassoda, convertendogli in gelata neve ed in ghiaccio, che poi, ad ogni tiepido fiato che valiti
dintorno, acque correnti e fuse novellamente divengono. Anzi (che più stupore narreca) vedesi con
sì violenta forza operare il freddo nellagghiacciamento de fluidi, che penetrando non che ne vetri
fino per locculte vie de metalli, non altrimenti che nelle sotterranee e profonde mine il rabbioso
fuoco scoppia con empito e sapre furiosamente ogni via, così anche l freddo nellatto del congelare i
chiusi vasi di grossissimo cristallo rompe, quegli doro più schietto sottiglia e distende e finalmente
strappa, e quelli di crudo bronzo gettati spezza; e di grossezza tale che se per carico di peso morto
schiantar si dovessero, forse e senza forse vi vorrebbero migliaia e migliaia di libbre. Sul
fondamento adunque dello strano passaggio che fanno lacque e i più di tutti gli altri liquori nel
congelare, non è mancato chi creda che dove il freddo lavora colà nelle sue miniere co materiali più
propri, arrivi a condizionar le acque purissime a ricever così fatta tempera, che e le formi eziandio
in rocche durissime di cristalli ed in gioie di vari colori, secondo la varia tintura che possono dar
loro i fumi de minerali vicini, e sino arrivino allinvincibil saldezza dello stesso diamante. E Platone
fu di questo parere, che da rimasugli dellacque, ondei credeva nel segreto della terra crearsi loro, il
diamante singenerasse: che perciò nel Timeo ramo delloro vien nominato il diamante da quel
Divino Filosofo. Intorno poi alla ragione dellagghiacciare sono andati in ogni tempo variamente
speculando glingegni, se ciò veramente nascesse da una sustanza propria e reale del freddo (che
positiva dalle scuole si chiama) la quale, sì come il fuoco e la luce nella miniera del Sole, così
anchella o nellaria, o nellacque o nel ghiaccio avesse sua particolar residenza, o in qualchaltro
luogo del Mondo se ne facesse conserva e tesoro; nel qual senso parrebbe forse che potessero
intendersi le parole del Divino Oracolo nelle sacre carte: «Entrastu forse ne tesori della neve, o i
tesori della grandine hai tu veduto?» o pure altro non fosse il freddo che una total privazione e
discacciamento del caldo. Questa ed altre curiose osservazioni da farsi sopra il magistero di cui si
val la Natura nel suo agghiacciare, sella ciò faccia strignendo o rarificando lacque e i liquori, se
lentamente e con tempo o vero con istantanea velocità gli trasmuti, cindusse a tentare
qualchesperienza per via dartifiziali agghiacciamenti procurati con forza estranea di ghiaccio e di
sali; credendo non doversi per questo alterare o in alcun modo variare il lavoro che suol far la
natura, quando senzaltro mezzo che col semplice e puro ghiaccio dellaria mena lacque a
congelamento.
Quanto finora abbiamo auto fortuna di vedere in soggetto così vasto e capace di tante e sì
continue osservazioni, si narra nelle seguenti esperienze.
ESPERIENZE
PER CONOSCER SE LACQUA SI DILATI NELLO AGGHIACCIARE
Fu opinione del Galileo che il ghiaccio fosse più tosto acqua rarefatta che condensata: poiché la
condensazione (dicegli) partorisce diminuzion di mole ed augumento di gravità, e la rarefazione
maggior leggerezza ed augumento di mole. Ma lacqua nellagghiacciarsi cresce di mole, e l ghiaccio
già fatto è più leggiero dellacqua standovi a galla, ecc.
Supposto questo, il che vien dimostrato apertamente dallesperienza, fummo curiosi di vedere
quel che lacqua sapesse fare quando si trovasse ristretta in un vaso dove non fosse un minimo
spazio da rarefarsi, e per di fuori avesse dognintorno il ghiaccio per congelarla; vedendosi
continuamente, in conformità del detto del Galileo, che lacqua tanto formata in ampie falde di
ghiaccio, quanto rotta in minimi pezzi di qualsivoglia grandezza e figura sta a galla sopra
allaltracqua; argomento infallibile, che nellatto del congelarsi, attesa tutta la mole che sagghiaccia,
se le arroge leggerezza, o sia per interponimento di minimi spazi vacui o per un minuto
permischiamento di particelle daria o daltra simil materia; le quali, non altrimenti che le puliche nel
cristallo e nel vetro, così si scorgono per entro il ghiaccio sperandolo allaria chiara, dove più fitte e
dove più rade, che a romperlo poi sottacqua in minutissime schegge si veggono scapparne fuori in
gran novero.
PRIMA ESPERIENZA
Preso per tanto un vaso (61), di sottil piastra dargento con due coperchi a vite, di quei che
sadopran la state a congelare i sorbetti ed altre bevande, lempiemmo dacqua raffreddata col
ghiaccio e lo mettemmo a ghiacciare. La diligenza di freddar lacqua avanti fu usata perché
ponendovela in istato di qualche minima rarefazione non venisse nel primo raffreddamento a
strignersi, e in cotal guisa ad acquistar campo dove rarefarsi nellagghiacciare. Quando poi
credemmo che il ghiaccio esterno potesse aver operato il suo effetto, cavammo fuori il vaso, ed
aperto il primo coperchio chera colmo, trovammo il secondo essere scoppiato e tutto coperto duna
sottil crosta di ghiaccio, secondo che lacqua era venuta fuora spintavi da quella che sera rarefatta
dentro al vaso nel congelarsi. Né si può dire che tale scoppiamento potesse procedere non altrimenti
dal rarefarsi, ma più tosto dal condensarsi dellacqua nellagghiacciare; mentre essendo violentata
dalla virtù del freddo a restrignersi in minore spazio; essa per paura di lasciar voto il luogo, di cui
andava a mano a mano ritirandosi, era sempre venuta serrandosi addosso il coperchio, finché non
potendo quello distendersi maggiormente era venuto a schiantarsi. Non ha luogo dico un simil
discorso; poiché in tal caso averemmo auto a trovare il coperchio affossato in dentro, dove lo
trovammo sforzato in fuori, e di piano chegli era, vedemmo esser divenuto colmo notabilmente e
colma osservammo la superficie del ghiaccio ritrovato nel vaso. Di più gli orli dellapertura erano
arrovesciati in fuora; onde si raccoglie che grandissimo dovessesser limpeto con cui fu fatta, e
maggiore sarebbe stato ancora se si fosse congelata maggior quantità dacqua di quella che si
congelò, avendo noi ritrovato che rotto quel primo velo quasi tutto il rimanente era fluido.
SECONDA ESPERIENZA
Veduto che la forza dellagghiacciamento era superiore alla resistenza di questo primo vaso,
pensammo a far una palla dargento (62) ma di getto grossa quantuna piastra e di figura ovata, fatta
da aprire e serrar nel mezzo con una vite, e con unaltra nella bocchetta fattale in cima del collo,
secondo apparisce nella figura. Serrata dunque e stretta gagliardamente dentruna morsa la vite del
mezzo lempiemmo dacqua, e chiusa diligentemente ancora dallaltra banda la mettemmo nel
ghiaccio asperso di sale, di dove avendola cavata di lì a poco la ritrovammo perfettamente salda.
Apertala nel mezzo cavammo fuori lanima di ghiaccio, ma di ghiaccio assai tenero e men
trasparente del ghiaccio ordinario, e forse alquanto più denso e serrato di esso, poiché messo in
acqua non ci parve che galleggiasse tanto quanto quello suol fare, pescando a giudizio di tutti
alquanto più a fondo. Nel mezzo aveva una cavità capace duna grossa mandorla senza la scorza.
Questesperienza fu da noi replicata parecchie volte e sempre ci tornò la medesima.
TERZA ESPERIENZA
Si maravigliavano alcuni di questo impensato accidente parendo loro a prima vista che non
solamente contrariasse il detto del Galileo, ma quel che maggior cosa è, la stessa esperienza,
vedendosi pure che per denso e pesante che ci paresse questo ghiaccio in agguaglio di quello che sa
far laria senzaltro magistero che del suo freddo naturale, bisogna pur che fosse più leggiero
dellacqua, mentre finalmente o poco o assai pur vi stava a galla. E tanto meno arrivavano a
potersene dar pace quanti e vedevano quel voto che sempre si ritrovò nel mezzo della palla
dellacqua congelata: onde parea necessario il dire che tutta lacqua, che fluida era bastante a
riempier la palla, agghiacciata si ristrignesse in tanto minor luogo quantera il voto sud- detto. Fatti
per tanto accorti da tal manifesta disconvenienza dovervi essere alcuna fallacia, si posero ad
osservare con esattissima diligenza tutto il progresso di questo agghiacciamento. Per lo che cavando
a ogni poco la palla di sotto l ghiaccio, e attentamente riguardandola in ogni parte saccorsero dun
certo insensibil bollore che di quando in quando appariva dintorno alla vite del mezzo, indizio
manifesto che lacqua (tanta era la forza della rarefazione) trapelava per le spire di essa. Incerate per
tanto le suddette spire, si tornò a riempier la palla, (63) e posta di nuovo nel ghiaccio, ancorché
spessisime volte se ne cavasse, non si vedeva più quel bollimento, né sudiva fischiare come laltra
volta avea fatto; è ben vero che quando si cavò fuori dopo seguito lagghiacciamento era aperta,
avendo lenergia del freddo nel rarefare scavalcato dinsieme le viti, come può vedersi nella figura
(64) Replicata lesperienza più volte mostrò sempre il medesimo effetto, e rifatta in unaltra palla di
bronzo con vite più lunga il doppio di quella dargento fece sempre il medesimo giuoco.
QUARTA ESPERIENZA
Per isfuggire le difficultà che portano seco le viti, facemmo fare alcune palle di cristallo (65, 66)
grosse un mezzo dito, e queste ripiene dacqua e sigillate alla fiamma ponemmo ad agghiacciare.
Leffetto non fu punto diverso da quello del primo vaso fatto di piastra, poiché tutte creparono in
diversi modi; a quali spiccandosi di netto il collo; quali per lirregolarità della figura o per
linegualità del cristallo scoppiando da un lato, e quali per tutto il loro corpo minutamente
fendendosi. E fu notato che il distaccamento del collo seguiva allora principalmente che
sotterrandosi tutta la palla nel ghiaccio lacqua di esso collo, come in minor quantità, era la prima a
fermarsi, e forse a inclinare nella piegatura il cristallo. Quindi poi nellagghiacciarsi il rimanente
dellacqua facendo sforzo per ogni parte, o perché trovasse quella del collo già indebolita, o perché
lacqua agghiacciata in esso le servisse di bietta o di conio contro il vano interno del medesimo
collo, le riusciva facile il distaccarlo: il che non seguiva poi quando la parte superiore della palla si
lasciava scoperta e affatto fuori del ghiaccio. E quanto si fosse limpeto di tal rarefazione si può
comprender da questo, che quando i colli non erano fitti allingiù, nel troncarsi volavano allaria fin
allaltezza di due e tre braccia, scagliando allintorno di molto ghiaccio di quello onde le palle erano
ricoperte.
QUINTA ESPERIENZA
Ci risolvemmo finalmente a far gettare una palla dottone (67) tutta dun pezzo della grossezza in
circa di due piastre, la quale non avesse altra apertura che da piede, ma in guisa da potersi serrare
con una saldissima e perfettissima vite. A fine poi di poterne cavar intera la palla del ghiaccio, vi
facemmo delicatamente accennare allintorno un graffio, sul quale subito seguito lagghiacciamento
rimettendola in sul torno si potesse segare. Questo però fece allacqua un giuoco mirabile poiché
quando volle agghiacciare si fece di quivi a schiantarla, valendosi di quella insensibil
disuguaglianza che quel leggerissimo taglio aveva indotto nella grossezza del metallo. Per lo che
rifattasi unaltra palla, (68) e senza punto indebolirla in alcuna parte messa nel ghiaccio scoppiò
nondimeno ancoressa come tutte laltre (che furon molte) in quel luogo che di man in mano dovette
tornar meglio allacqua il farle crepare.
SESTA ESPERIENZA
Si provò per ultimo con una palla (69) di finissimoro grossa quantè il profilo accennato nella
figura. Questa avendo retto a molti agghiacciamenti senza dare alcun segno di manifesta rottura, fu
da principio cagione di non piccola maraviglia; e già per alcuni si cominciava a ragionare se lo
spazio necessario alla rarefazione si fosse a sorte potuto cavare dalla grossezza del metallo, il quale
per lo sforzo dellacqua, mercé della sua morbidezza, sandasse sensibilmente comprimendo, in
quella guisa che per esser battuto lo stagno e largento e loro stesso si serrano maggiormente in tutta
la sostanza loro. Ma essendosi poi osservato che dove la palla da principio si reggeva in piedi per
essere alquanto schiacciata nel fondo, dopo che vi furon fatti i suddetti agghiacciamenti non si
reggeva più; ciascuno assai di leggieri poté chiarirsi di dove questo luogo sera cavato. E perché la
palla ci pareva assai ben ridotta alla perfetta figura sferica, a fine di meglio assicurarci (caso che nel
replicarvi altri agghiacciamenti non fosse crepata) sella si manteneva listessa o se pur andava
qualche poco crescendo, facemmo fare un cerchietto o filiera dottone la qual la capisse per appunto
nel suo maggior perimetro. Con questa dunque esaminandola ad ogni agghiacciamento si trovò
sempre più dilatarsi; mercé che il purissimo metallo per la dolcezza e vegnenza della sua pasta
veniva sempre più a distendersi e sottigliarsi. E forse se la palla fosse stata di getto sarebbe venuta
ancor più; ma essendo di due pezzi saldati insieme ad argento finalmente si roppe, e lo squarcio
principiato nellargento della saldatura tirò innanzi per loro ancora.
ESPERIENZA
PER MISURARE QUANTA SIA LA FORZA DELLA RAREFAZIONE
DELLACQUA SERRATA NELLO AGGHIACCIARSI
Per arrivare a questa misura fu pensato di far fabbricare una palla di metallo come laltre, ma
tonda; e secondo il nostro giudizio tanto più grossa che la forza della rarefazione non giugnesse a
romperla, e questa empierla dacqua, serrarla con la sua vite e metterla ad agghiacciare conforme al
solito. Così dunque fu fatto; e da principio trovammo che lacqua vi sagghiacciava senza
trasudamento e senza rottura apparente del metallo. Si rimesse per tanto la palla in sul torno, e
procurando di mantenerle il più che fosse possibile la similitudine della figura, se nandò levando
per tutto uniformemente per dir così una sottilissima sfoglia. Ciò fatto si rimesse nel ghiaccio con
dellaltracqua per la seconda volta, e né meno questa essendosi aperta quantunque si fosse
agghiacciata, si ritornò tante volte ad assottigliarla con insensibili detrazioni, finché se le vedde fare
un sottilissimo pelo. Questa medesima esperienza si replicò con tre palle, la più grossa delle quali
era secondo il profilo segnato nella figura. (70) Sì che ci parve di poter dire esser quella la massima
grossezza superata dalla rarefazione dellacqua serrata nellagghiacciarsi. Arrivatosi a questo, ci
venne voglia di ridur questa forza a quella dun peso morto; ed il modo di conseguirlo ci pareva che
fosse il far gettare della stessa pasta e crudezza di metallo un anello di grossezza uguale alla
grossezza della palla e di forma conica, e in questo inserire il suo mastio di ferro, talmente che
lesterna superficie di esso mastio combagiasse perfettamente con la superficie interna dellanello,
sopra del quale anello sopravanzasse tanto di detto mastio quanto fosse laltezza in circa del
medesimo anello. Questo così accomodato pensavano di collocarlo sopra una grossa tavola di pietra
forata a tondo nel mezzo a misura un pelo più larga del vano inferiore dellanello. Quivi poi era il
nostro pensiero dandar caricando il mastio per di sopra con peso morto, o pure daggravarlo per
sotto con appendere il medesimo peso a un oncino fabbricato nellasse di detto mastio, acciocché la
forza del peso, operando per la dirittura di quello, venisse a cacciar il mastio dentro lanello e sì a
sforzarlo più ugualmente; e come si fosse col peso ad un certo segno, badar ad aggiugner pezzuoli
di piombo infintanto che si trovasse quel peso minimo che schiantasse lanello. A fine poi
dassicurarci che la resistenza di quello a strapparsi non fosse fatta forte dal toccamento della sua
base su la scabrosità della pietra, avevamo coscetto di saldare intorno al foro della tavola una
piastra dacciaio brunita, e di smussare e di brunire altresì la base inferiore dellanello per ridurre in
cotal guisa il toccamento ad una mera circonferenza, e a quella levare ogni attacco di minima
resistenza ad aprirsi mediante la liscezza sfuggevole dellacciaio. Ma perché a superar la resistenza
duna tanta grossezza si sarebbe richiesto un peso immenso, si considerò che tanto si potea conseguir
listesso con esaminar le resistenze danelli assai più sottili ma ben di diverse grossezze ed altezze, e
con pesi morti molto più facili a maneggiarsi; perché venuti in cognizione, dopo replicate
esperienze, delle varie forze che allo strappamento di ciascuno di essi si richiedevano, si poteva
nello stesso modo ritrovare a un dipresso qual dovessesser il peso valevole a rompere quel primo
anello di grossezza uguale alla palla, e sì prossimamente aver la forza della rarefazione dellacqua
serrata nellagghiacciarsi.
Tale sarebbe stato il nostro concetto; ma essendosi poi osservato nel segar le palle scoppiate che
poco o assai sempre vi si ritrovava qualche difetto procedente dalla fusione, o di venti o di sfoglie
inducenti nel metallo varie disuguaglianze di resistenza, non ci siamo curati per ora sopra tali
incertezze di proseguir più avanti. Non per questo ci vogliamo adesso guardare di dir liberamente
qual sia stato il nostro pensiero, tuttoché non siamo per esso arrivati a quello che desideravamo.
Almeno servirà a far avvertiti gli altri a non mettersi per una strada da non poterne riuscire, e forse
ad eccitare glingegni o a trovar compenso alle difficoltà accennate o ad incamminarsi più
felicemente per altra via.
ESPERIENZE
PER MISURARE LA MASSIMA DILATAZIONE CHE RICEVE
LACQUA NELLAGGHIACCIARSI
PRIMA ESPERIENZA
Noi abbiamo fatto questesperienza in due modi: per via di misura e per via di peso. Quello per
via di misura è tale. Si procurò di scegliere un cannello di vetro tirato più uguale che fosse
possibile, e fattolo serrar da una parte lempiemmo dacqua fino alla metà, e lo ficcammo nella neve
tritata minutissimamente e incorporata col suo sale finché ghiacciasse. Paragonate poi laltezze del
cilindro fluido e del cilindro agghiacciato aventi la stessa base, trovammo quella a questa aver la
proporzione di 8 a 9.
SECONDA ESPERIENZA
Non ci parve che fosse da fidarsi di questa sola esperienza, giudicandosi poco men che
impossibile il trovar un cannel di vetro (che finalmente non è tirato con altra regola che col soffio
dellartefice) così perfettamente cilindrico, che tanto o quanto non abbia delle disuguaglianze
bastanti, ancorché minime, a render non così giuste le proporzioni che si pretendessero cavare
dallaltezze de cilindri dacqua in esso contenuti. Or per avere un vaso più regolare pigliammo in
quello scambio una canna da pistola, e la facemmo ritirar talmente per di dentro, che se le venisse a
dare quella più perfetta figura cilindrica alla quale per via di materiali strumenti si può arrivare. Di
poi la chiudemmo dalla parte del focone (serrato anchegli da una perfettissima vite) con una piastra
spianata dacciaio, e messevi da sei dita dacqua vi cacciammo dentro un cilindro di legno di bossolo
tornito a capello secondo la misura del vano della canna, e benissimo imbevuto dolio e sego perché
non avesse a inzupparsi. Come ve ne fu entrato tanto che la bocca ne rimanesse turata, voltammo la
canna sottosopra acciocché lacqua ricadesse tutta sulla base del cilindro, ed aperto il focone
cominciammo a calzarla sul medesimo cilindro fìntanto che non vedemmo lacqua schizzar fuori dal
focone. Allora lo richiudemmo con la sua vite; e raddrizzata la canna (avendo già segnato prima di
mettervi lacqua dove il piano della bocca di essa canna segava il cilindro di legno cacciato fino in
fondo) segnammo dove lo segava collacqua; il che fatto la stivammo nella neve rinforzata
gagliardamente di sale e spruzzata dacquarzente, la quale, come oramai ognun sa, fortifica
mirabilmente la virtù del ghiaccio nel congelare. Come vi fu stata lo spazio di 12 minuti in circa, il
segno che radeva la bocca sincominciò a vederlo sollevato quantè grossa una piastra, e in
brevissimo tempo salì la grossezza di due altre piastre, dopo di che non si mosse più, per molto che
si procurasse di crescer il freddo con rifonder neve e sale in gran quantità. Cavata finalmente la
pistola dopo una grossora, la trovammo così fredda che appena si poteva comportar in mano, onde
cimmaginammo chellavesse il ghiaccio dentro; di che ci fu maggior argomento il vedere che, aperto
il focone, a picchiar al muro il cilindro di legno non era possibile farlo andar più a dentro un
capello, e salvo alcune stille minutissime che uscirono dal medesimo focone, non si vedde che tra la
canna e l cilindro ne venisse su pure una gocciola; e tentatosi finalmente dal focone con uno spillo,
si sentiva il ghiaccio formato. Con tutto ciò non sapremmo che ce ne dire, potendo esser con tutte
queste cose che lacqua non si fosse agghiacciata in tutte le sue parti, del che non ci potevamo
chiarire per lopacità della canna. Può anchesser che lacqua avesse trapelato per la vite del focone,
onde scemata la di lei altezza nella canna, la base del cilindro fosse rimasta in asciutto. E finalmente
può essere che lacqua ricresca bene con sì gran proporzione quandellha campo libero da rarefarsi,
ma serrata in un vaso comera quivi faccia ancor essa comella può, agghiacciandosi con rarefazione
assai minore. È detto serrata: imperciocché il cilindro era talmente confitto dentro la canna per
linzuppamento ricevuto dallacqua fittasi per quel grandissimo impeto tra le vene del legno, non
ostante il difensivo dellolio che anche da poi che il ghiaccio fu strutto e lacqua uscita dal focone,
non fu mai possibile di cavarlo né con tenaglie né con morse, onde bisognò ricorrer al fuoco
abbruciandolo.
TERZA ESPERIENZA
Vedute le difficoltà che sincontravano a voler arrivar questa proporzione per via dellaltezza de
cilindri sopra la stessa base con la canna di metallo, ci voltammo allaltra del peso con una
trasparente di vetro, e pesata lacqua messavi per agghiacciare, e quella che si richiedeva per
riempier tutto lo spazio occupato dalla medesima dopo seguíto lagghiacciamento, trovammo, con
bilancia che tirava a 1/48 di grano, il peso di quella al peso di questa stare come 25 a 28 1/19:
proporzione niente o poco minore di quella prima trovata per via di misura di 8 a 9, che è la stessa
che di 25 a 28 1/8. Veduto dunque un così grande avvicinamento di tali proporzioni, per non
lusingarci col fatto tornammo per curiosità a replicar lesperienza per via di misura, e questa ci tornò
a dare la medesima prima proporzione di 8 a 9, con sicurezza che il peso non era variato punto;
perché essendosi tenuta chiusa la canna di vetro mentre si faceva lagghiacciamento, si trovò che
lacqua tanto agghiacciata quanto ritornata fluida dopo lo struggimento del ghiaccio, alle nostre
bilance si mantenne sempre dello stesso peso.
ESPERIENZE
INTORNO AL PROGRESSO DEGLI ARTIFIZIALI AGGHIACCIAMENTI,
E DE LORO MIRABILI ACCIDENTI
Il primo vaso di cui ci servimmo da principio a questesperienza fu una palla di cristallo (71) il
diametro della quale era intorno a un ottavo di braccio, con un collo lungo un braccio e mezzo in
circa, sottile e diviso minutamente in gradi. Dentro vi mettemmo dellacqua naturale, e la facemmo
arrivare intorno a una sesta parte del collo. Messa poi la palla nel ghiaccio col suo sale, conforme al
solito di quando si voglion fare agghiacciare i liquori, cominciammo ad osservare con
puntualissima attenzione tutti i movimenti dellacqua ponendo mente al suo livello. Già sapevamo
per innanzi (e lo sa ognuno) che il freddo da principio opera in tutti i liquori ristrignimento e
diminuzione di mole, e di ciò non solamente navevamo la riprova ordinaria dellacquarzente de
termometri, ma navevamo fatta esperienza nellacqua, nellolio, nellargentovivo ed in moltaltri fluidi.
Dallaltro canto sapevamo ancora, che nel passaggio che fa lacqua dallesser semplicemente fredda al
rimuoversi dalla sua fluidità e ricever consistenza e durezza con lagghiacciamento, non solo ritorna
alla mole chellaveva prima di raffreddarsi, ma trapassa ad una maggiore, mentre se le veggon
rompere vasi di vetro e di metallo con tanta forza. Ma qual poi si fosse il periodo di queste varie
alterazioni che in essa opera il freddo, questo non sapevamo ancora, né era possibile darrivarvi con
agghiacciarla dentro a vasi opachi, come quei dargento, dottone e doro, ne quali sera fin allora
agghiacciata: onde per non mancare di quella notizia, che parea esser lanima di tutte
questesperienze, ricorremmo al cristallo ed al vetro, sperando per la trasparenza della materia daver
presto ad assicurarci come la cosa andasse, mentre si poteva a ciascun movimento che fosse apparso
nellacqua del collo cavar subito la palla dal ghiaccio, e riconoscer in essa quali alterazioni gli
corrispondessero. Ma la verità si è che noi stentammo assai più che non ci saremmo mai dati ad
intendere, prima di poter rinvenire alcuna cosa di certo intorno a periodi di questi accidenti. E per
dirne più distintamente il successo, è da sapere che nella prima immersione che facevamo della
palla, subito che ella toccava lacqua del ghiaccio sosservava nellacqua del collo un piccolo
sollevamento, ma assai veloce, dopo il quale con moto assai ordinato e di mezzana velocità sandava
ritirando verso la palla, finché arrivata a un certo grado non proseguiva più oltre a discendere, ma si
fermava quivi per qualche tempo, a giudizio degli occhi, affatto priva di movimento. Poi a poco a
poco si vedea ricominciare a salire, ma con un moto tardissimo e apparentemente equabile, dal
quale senzalcun proporzionale acceleramento spiccava in un subito un furiosissimo salto, nel qual
tempo era impossibile tenerle dietro con locchio, scorrendo con quellimpeto, per così dire, in istante
le decine e le decine de gradi. E siccome questa furia cominciava in un tratto, così ancora in un
tratto finiva, imperciocché da quella massima velocità passava subito ad un altro ritmo di
movimento anchegli assai veloce, ma meno incomparabilmente di quello che lo precedeva, e con
esso proseguendo a salire si conduceva il più delle volte alla sommità del collo e ne traboccava. In
tutto l tempo che queste cose accadevano si vedeva alle volte venir su per lacqua de corpicelli aerei,
o fossero daltra più sottile sostanza, ora in maggiore ora in minor copia, e questa separazione non
cominciava se non dopo che lacqua avea cominciato a pigliar il freddo gagliardo, come se la virtù di
esso freddo avesse facoltà di cerner tali materie e di partirle dallacqua. Ora volendo noi cominciare
a vedere se tali alterazioni ritenesser tra loro alcuna spezie danalogia, cominciammo a replicare
agghiacciamenti, e appena strutto un ghiaccio, di bel nuovo rimettevamo ad agghiacciare, e lacqua
tornava ad agghiacciarsi con la medesima serie di alterazioni; le quali perocché non ritornavano da
una volta a unaltra ne medesimi punti o gradi del collo, cominciavamo a credere chelle non
avessero periodo fermo e stabile, come parea che ci persuadesse un certo barlume di ragione chelle
dovessero avere. Accadde intanto nel replicare questesperienze, che essendosi una volta
disavvedutamente lasciato agghiacciar lacqua della palla vicino al collo, secondo quello che sè detto
nella quarta esperienza degli agghiacciamenti, la palla si roppe; (72) onde rifattasene unaltra più
piccola, acciocché il freddo più presto e più agevolmente sinsinuasse per tutta lacqua, e cresciutole
il collo fino in due braccia perché non avesse a traboccare,[10] sempie dacqua fino a cento sessanta
gradi, e si pose nel ghiaccio. Quivi dunque osservando con attentissima diligenza, ritrovammo
primieramente, che tutti gli accidenti di scemare, di crescere, di quietare, di risalire, di correre, di
ritardarsi seguivano sempre ne medesimi punti del collo, cioè quando il livello dellacqua era a
medesimi gradi, purché nellatto di metterla nel ghiaccio savesse avvertenza chella fosse ridotta a
quel medesimo grado chellera quando si messe nel ghiaccio la volta antecedente, che lo stesso è
dire, alla medesima tempera di calore e di freddo; potendosi in tal caso considerar tutto il vaso
comun termometro gelosissimo per la gran capacità della palla e per lestrema sottigliezza del collo.
Messa questa notizia in sicuro, cominciammo a cercar di quella del tempo preciso dellagghiacciare;
onde per acquistarla andavamo cavando a ogni poco la palla dal ghiaccio, né per molto che si
spesseggiasse con tali osservazioni ci riuscì mai dosservar in essa un minimo venamento di gielo,
ma sempre o era tutta fluida o tutta agghiacciata. Quindi ci fu assai facile il conghietturare
brevissima doveresser lopera dellagghiacciamento, e che chi si fosse abbattuto a cavar la palla dal
ghiaccio in quellistante che lacqua pigliava quella velocissima fuga, assolutamente alcuna notabile
alterazione seguir in essa averia veduto. E perché col cavar e metter tante volte la palla nel ghiaccio
si veniva a sconcertarle tutto il periodo delle sue mutazioni, di nuovo lasciatala puntualmente
ridurre a quel primo segno, e messala nel ghiaccio, lappostammo a quel grado chellera solita di
concepire quel moto così impetuoso, e un mezzo grado innanzi chella varrivasse la cavammo fuori.
Allora riguardando con occhio continuo lacqua della palla, che per la trasparenza del cristallo
benissimo si riconosceva esser ancor tutta fluida e chiara, operando in essa (quantunque fuori del
ghiaccio) il conceputo freddo, come fu a quel punto, con velocità inarrivabile allocchio, anzi
impossibile a concepirsi con la mente, levatasi su pel collo con quel grandimpeto, e dentro la palla
perduta in un subito la trasparenza, e istantaneamente rimossa dal suo discorrimento, agghiacciò.
Né vi fu punto da dubitare sellera agghiacciata tutta, o se pure se lera formata esteriormente una
sottil crosta di ghiaccio: poiché osservammo benissimo che nello struggersi andava di man in mano
staccandosi dal cristallo e rimpicciolendosi la palla del ghiaccio, finché ridotta della grandezza duna
minutissima lente la perdemmo di vista in quellultimo liquefarsi. Assicurati finalmente, provando e
riprovando più volte listessa esperienza, come la cosa non andava altrimenti, e che da noi non si
pigliava equivoco, avemmo curiosità di veder lordine che tengono diversi liquidi nel congelarsi, gli
agghiacciamenti de quali per maggior brevità vengono registrati nelle seguenti tavole, nelle quali:
STATO NATURALE significa il grado, al quale arriva lacqua o altro liquore nel collo del vaso
avanti chei sia messo nel ghiaccio.
SALTO DELLIMMERSIONE è quel primo balzo che si vede fare allacqua in quel che la palla
tocca il ghiaccio. Questo (come per lesperienze che verranno appresso si farà rnanifesto) non
procede da alcuna alterazione intrinseca dellacqua[11], ma da cagioni estrinseche del vaso. Di qui è
che alle volte svaria qualche poco, onde porta qualche varietà nellaltre mutazioni per le quali passa
il liquore prima dagghiacciarsi. Ma come quello che tutto insieme è pochissimo, pochissimo ancora
è il suo svario, e minimo quello chegli opera nel restante delle susseguenti alterazioni.
ABBASSAMENTO denota il grado al quale dopo il suddetto salto dellimmersione si riduce
lacqua nel cominciare a pigliare il freddo.
QUIETE è il grado nel quale si trattien lacqua per qualche tempo, seguíto labbassamento, senza
alcun segno apparente di moto.
SOLLEVAMENTO è parimente il grado al quale dallinfimo punto dellabbassamento per via di
rarefazione si conduce lacqua con moto tardissimo ed apparentemente equabile, in tutto simile al
primo, col quale va ristrignendosi.
SALTO DELLAGGHIACCIAMENTO disegna il grado al quale viene scagliata lacqua con
massima velocità nel punto dellagghiacciarsi.
Si disse che dopo questa fuga lacqua non si para in un subito, ma seguita a sollevarsi con un
moto anchegli assai veloce, benché meno incomparabilmente di quello che lo precede. Di questo
strascico di moto non sè tenuto alcun conto, non derivando egli da altro che dal proseguimento della
rarefazione del gielo già fatto, o per meglio dire del ghiaccio abbozzato dentro la palla, di man in
mano chei va indurandosi dopo la furia di quel primo impeto. Si è chiamato gielo e abbozzamento
di ghiaccio, essendo egli (come abbiamo riconosciuto a romper le palle) da principio assai tenero e
simile al sorbetto quandè un po troppo serrato, poiché non è altro in sustanza che il primo fermarsi
de liquori. Quindi avviene che questa maniera dagghiacciamenti non chiarisce quanta sia lultima
rarefazione de fluidi fortemente agghiacciati, non potendosi, per salvar la palla dal rompersi, lasciar
che sagghiaccino interamente, e che il ghiaccio fatto acquisti la sua intera durezza.
Diremo ancora come per usare tutta la possibil diligenza averemmo voluto in ciascuno
agghiacciamento il riscontro del termometro e delloriuolo col pendolo, a fine di veder col
termometro con quali gradi di freddezza, e con loriuolo in che tempi accadesse a liquori ciascuna
delle sopraddette alterazioni: fu perciò nella stessa cantinetta tenuto a canto alla palla un
termometro di 400 gradi: (73) ma dallaver trovato grandissime disconvenienze sì ne gradi del
freddo mostrati dal termometro, sì negli spazi orari dati dalle vibrazioni del pendolo, ci
accorgemmo che limpossibilità dapplicar sempre tanto alla palla quanto al termometro le medesime
circostanze di ghiaccio e di freddo, per lirregolarità de pezzi del medesimo ghiaccio e per la varia
dose del sale, impossibile a distribuirsi sempre ugualmente nello stesso modo, averebbe sempre
tornata vana ogni nostra diligenza. E la ragione si è perché, trattandosi daver ad agghiacciar
artifizialmente un liquore, vuol esser neve o ghiaccio, i quali per triti e pesti che sieno e ridotti per
così dire in polvere, comegli hanno il sale si muran subito insieme e sindurano come sasso, onde
non è possibile distribuirli né a via né a verso dintorno a corpi de vasi, né assicurarsi che gli fascino
ugualmente per ogni parte. Pure, a fine dabbondare, si mette lun e laltro nelle tavole, cioè i gradi del
termometro e le vibrazioni del pendolo, lasciando al discreto giudizio di chi legge il valersi col
dovuto riguardo di tali notizie.
PRIMO AGGHIACCIAMENTO DELLACQUA DI FONTE
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 142 139 -
1 œ 6 23
Salto dellimm. 143œ 133 23
23œ 64 232
Abbassamento 120 69 255
- 20 75
Quiete 120 49 330
10 16 132
Sollevamento 130 33 462
36 - -
Salto dellaggh. 166 33 -
È da sapere che delle vibrazioni notate in questo e ne quattro seguenti agghiacciamenti nandava
65 al minuto.
SECONDO AGGHIACCIAMENTO DELLA STESSACQUA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 144 141œ -
2œ 23œ 25
Salto dellimm. 146œ 118 25
27 80 255
Abbassamento 119œ 38 280
- 10 135
Quiete 119œ 28 415
11œ 11 467
Sollevamento 131 17 882
39 - -
Salto dellaggh. 170 17 -
TERZO AGGHIACCIAMENTO DELLA MEDESIMA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 143 141œ -
2 16œ 23
Salto dellimm. 145 125 23
25œ 74 346
Abbassamento 119œ 51 369
- 7 196
Quiete 119œ 44 565
10 6 368
Sollevamento 129œ 38 933
39œ - -
Salto dellaggh. 169 38 -
Da questi tre esempi dellagghiacciamento di una medesimacqua si può vedere che, se bene lo
stato naturale dellacqua non fu tutta tre le volte allo stesso grado a capello, a cagione della sua
diversa temperie alterata da una volta a unaltra da accidenti estrinsechi di calore e di freddo, onde
tutte laltre alterazioni dellacqua non osservarono così precisamente i loro gradi, contuttociò
facendosi nel secondo e nel terzo agghiacciamento la riduzione dello stato naturale a gradi 42, e
così ritirando indietro col medesimordine tutti gli altri livelli, si vedrà chegli svariano da gradi
osservati nel primo agghiacciamento con differenze minime e quasi inosservabili.
PRIMO AGGHIACCIAMENTO DELLACQUA DI FIORI DI MORTELLA STILLATI IN
PIOMBO
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 145œ 141œ -
1œ 8œ 31
Salto dellimm. 147 133 31
38 83œ 316
Abbassamento 109 49œ 347
- 4œ 40
Quiete 109 45 387
16 19 1/3 538
Sollevamento 125 25 2/3 925
105 - -
Salto dellaggh. 230 25 2/3 -
SECONDO AGGHIACCIAMENTO DELLA STESSACQUA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 146 142 -
3œ 11 18
Salto dellimm. 149œ 131 18
41œ 96 442
Abbassamento 108 35 640
- 2œ 58
Quiete 108 32œ 518
18œ 13œ 809
Sollevamento 126œ 19œ 1327
106 - -
Salto dellaggh. 232 19œ
Nellesperienza de seguenti agghiacciamenti si mutò oriuolo, pigliandosene uno del quale
andavano per appunto 60 vibrazioni al minuto primo.
PRIMO AGGHIACCIAMENTO DELLACQUAROSA STILLATA IN PIOMBO
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 140œ 142 -
2œ 4 20
Salto dellimm. 143 138 20
27 88 331
Abbassamento 116 50 351
- 4 38
Quiete 116 46 389
11œ 20 356
Sollevamento 127 26 745
67 - -
Salto dellaggh. 194 26
SECONDO AGGHIACCIAMENTO DELLA STESSACQUA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 140œ 141 -
1 16 21
Salto dellimm. 142œ 125 21
27 86 333
Abbassamento 115œ 39 354
- 9œ 168
Quiete 115œ 29œ 522
11œ 11 735
Sollevamento 127 18œ 1257
67 - -
Salto dellaggh. 194 18œ -
PRIMO AGGHIACCIAMENTO DELLACQUA DI FIOR DARANCI STILLATA IN PIOMBO
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 137 142 -
2 12 14
Salto dellimm. 139 130 14
28 83œ 297
Abbassamento 111 46œ 311
- 2 64
Quiete 111 44œ 375
16 24 505
Sollevamento 127 20œ 880
123 - -
Salto dellaggh. 250 20œ -
Dalle tavole de secondi agghiacciamenti di tutti i sopraddetti liquori si può raccorre in quanto
più lungo tempo sagghiaccino la seconda volta della prima. Noi avendo fatta questosservazione ci
volemmo chiarire se ciò derivasse da cagione intrinseca de liquori dopo ricevuto il primo
agghiacciamento, o estrinseca del ghiaccio dopo passata quellaccessione di freddo recatagli dal sale.
Onde votata la cantinetta e rimessovi nuovo ghiaccio con sale si fece il
SECONDO AGGHIACCIAMENTO DELLA STESSACQUA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 137œ 142 -
2œ 22 29
Salto dellimm. 140 120 29
28œ 74 337
Abbassamento 111œ 46 366
- 2 18
Quiete 111œ 44 384
15œ 12œ 523
Sollevamento 127 31œ 907
121 - -
Salto dellaggh. 248 31œ -
Tanto che la differenza del tempo dalla prima alla seconda volta non si debbe attribuire ai
liquori ma bensì al ghiaccio, il quale per aver fatto di moltacqua, e forse per esser illanguidita
quellenergia di freddo che gli vien dal sale, ha bisogno di più lungo tempo per operare. E che sia l
vero, tutta la differenza dal primo al secondo agghiacciamento dellacqualanfa batte in un solo
minuto primo e 46 secondi, dove a non mutare il ghiaccio è talora arrivata a 7 29" e a 13 20", come
dal primo al secondo agghiacciamento dellacquarosa, e dal primo al terzo dellacqua di fonte si può
vedere. Che poi anche la piccola differenza di 1 46" trovata nel secondo agghiacciamento
dellacqualanfa fosse mera accidentale, e non derivata da alcuna renitenza a nuova congelazione,
acquistata nella prima dalla medesimacqua, lo chiarisce apertamente il secondo agghiacciamento
dellacqua di fravole, al quale essendosi parimente rinnovato il ghiaccio, si compié in 3 15" meno
del primo.
PRIMO AGGHIACCIAMENTO DELLACQUA DI FRAVOLE STILLATE A BAGNO
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 137 143 -
2 23 30
Salto dellimm. 139 120 30
28 83 405
Abbassamento 111 37 435
- 1 15
Quiete 111 36 450
15 17œ 538
Sollevamento 126 18œ 988
89 - -
Salto dellaggh. 215 18œ -
SECONDO AGGHIACCIAMENTO DELLA STESSACQUA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 139 143œ -
2 9 18
Salto dellimm. 141 134œ 18
27 92œ 402
Abbassamento 114 42 420
- 1 7
Quiete 114 41 427
15 20 446
Sollevamento 129 21 873
86 - -
Salto dellaggh. 215 21 -
Avvertasi che il salto dellagghiacciamento è più o meno alto, come anche più o men veloce in
diversi fluidi: e pare che in quelli che si congelan più forte sia più alto e più veloce ancora.
AGGHIACCIAMENTO DELLACQUA DI CANNELLA STILLATA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 139œ 141 -
1œ 7œ 13
Salto dellimm. 141 133œ 13
29œ 88œ 347
Abbassamento 111œ 45 360
- 6 60
Quiete 111œ 39 420
9 12 300
Sollevamento 120œ 27 720
Arrivata lacqua con quel tardissimo moto con cui sera sollevata dopo lo stato di quiete a gradi
120œ, in cambio di spiccare il salto non fece altro che mettersi a un tratto ad un altro moto alquanto
più veloce; il che avendo noi veduto, cavammo subito la palla del ghiaccio, e trovammo lacqua
rappresa in un gielo così gentile che appena veduta laria fu strutto.
È da notarsi che di questi ghiacci artifiziali altri nascon più teneri, come questo dellacqua di
cannella e quello dellacquarosa, altri più duri, come quelli dellacque di fior daranci e di fiori di
mortella, le quali finora ci pare che più dognaltro liquore nel primo istantaneo agghiacciamento
sindurino.
Si tralascia la replica di questo e de seguenti agghiacciamenti; essendosi potuta vedere a
bastanza la corrispondenza tra quelli di ciascun liquore negli esempi addotti.
AGGHIACCIAMENTO DELLACQUA DI NEVE STRUTTA
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 136œ 141 -
2œ 9 27
Salto dellimm. 139 132 27
28 80 318
Abbassamento 111 52 345
- 4 32
Quiete 111 48 377
5œ 8
Sollevamento 116œ 40
E quivi preso alquanto dacceleramento, benché lentissimo in comparazione di quello che
pigliano gli altri fluidi nel punto dellagghiacciare, incominciò a congelarsi rasente il vetro e
successivamente nelle parti più esterne, rappigliandosi di man in mano fin al centro del vaso sempre
con listessa lentezza di rarefazione, e sì di moto nel livello superiore. Questo gielo non era punto
uguale come gli altri, ma interrotto e razzato di vene disordinate e intrecciantisi per ogni verso.
Replicatasi la seconda esperienza tornò a capello come la prima, e ritornatasi a fare con listessacqua
dopo di aver bollito, non vi trovammo gran differenza.
AGGHIACCIAMENTO DELLACQUA DELLA FICONCELLA
Gradi del vaso - Differenze Vibrazioni - Differenze
Stato naturale 98 -
2 19
Salto dellimm. 100 19
29 269
Abbassamento 71 288
- 75
Quiete 71 363
12 453
Sollevamento 83 816
117
Salto dellaggh. 200 -
AGGHIACCIAMENTO DEL VIN ROSSO DI CHIANTI
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 141 141 -
2 4 15
Salto dellimm. 143 137 15
65œ 109œ 585
Abbassamento 77œ 27œ 600
- 4 95
Quiete 77œ 23œ 695
4 7œ 340
Sollevamento 81œ 15 1035
Da gradi 81œ saccelerò sensibilmente il moto del suo livello, agghiacciandosi a poco a poco nel
vaso senza fare altro moto.
AGGHIACCIAMENTO DEL MOSCADELLO BIANCO
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 140 139 -
2œ 7 16
Salto dellimm. 142œ 132 16
65œ 108 644
Abbassamento 77 24 660
Arrivato quivi senza punto fermarsi cominciò a risalire con moto alquanto più veloce di quello
con cui sè già più volte detto sollevarsi quei liquori, che agghiacciandosi in istante spiccano
altissimo il secondo salto. Cavato dal ghiaccio si trovò chavea cominciato a velare nelle parti più
esterne.
AGGHIACCIAMENTO DELLACETO BIANCO
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 141 140 -
2 14 11
Salto dellimm. 143 134 11
68 110 724
Abbassamento 75 24 735
4 5 440
Sollevamento 79 19 1175
194 -
Salto dellaggh. 273 19
Con minor velocità che non fanno lacque, e assai maggiore di quella onde salì il moscadello,
lacqua di cannella e laceto non distillato.
AGGHIACCIAMENTO DELLAGRO DI LIMONE
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.
Stato naturale 142 143
2 9
Salto dellimm. 144 134
160 102
Abbassamento 84 32
Arrivato a gradi 84 cominciò a risalire con moto lentissimo agghiacciandosi a poco a poco.
AGGHIACCIAMENTO DELLO SPIRITO DI VETRIOLO
Gradi del vaso - Differenze - Gradi del Term.- Diff.- Vibrazioni - Diff.
Stato naturale 140œ 140œ -
1œ 7œ 15
Salto dellimm. 142 133 15
52 95œ 405
Abbassamento 90 37œ 420
Non si fermò punto, ma condottosi con labbassamento a gradi 90, cominciò a risalire con moto
lentissimo ed uniforme, agghiacciandosi nellistesso tempo a luogo a luogo in diversi piani, come si
vede fare allacqua naturale messa in vasi di vetro ad agghiacciare al sereno.
AGGHIACCIAMENTO DELLOLIO
Gradi del vaso - Differenze
Stato naturale 140 18
Salto dellimm. 122
Abbassamento -
Si ridusse tutto nel corpo della palla dove si congelò senza una minima rarefazione. Quindi è
forse che lolio agghiacciato va a fondo nellolio fluido, dove tutti gli altri ghiacci fatti per
rarefazione galleggiano ne fluidi loro.
Lacquarzente si condensa maravigliosamente per freddo, ma poi non si rarefà né sagghiaccia.
ESPERIENZE
INTORNO AL GHIACCIO
NATURALE
Ancorché i ghiacci de quali abbiamo trattato finora siano stati chiamati da noi col nome
dartifiziali, questo non toglie che non sieno lavorati ancheglino dalla Natura totalmente di sua
mano. Ora lavorandone ella medesima con altra maestria e per avventura col semplice ingrediente
dellaria, volemmo vedere se ruscendone leffetto medesimo con diversi mezzi si riconoscesse
qualche varietà nel progresso delloperazione. E già che avevamo le mani in questa materia
procurammo di trarne qualchaltra notizia, come si vedrà dal seguente racconto.
PRIMA ESPERIENZA
Sè già detto nelle precedenti esperienze che i ghiacci artifiziali nellaccennata sorta di vasi
nascono da principio assai teneri, particolarmente in comparazione di quelli che si fanno allaria
dinverno, i quali benché non si fermino con tanta velocità cominciando da un sottilissimo velo e da
vene capillari e invisibili, nondimeno quelle vene e quei veli, toltane la fragilità che vien loro
dallestrema sottigliezza, son di materia più dura e per così dire dun ghiaccio più cristallino e
asciutto. È bene ammirabile stravaganza quella che per moltanni abbiamo veduta nellosservazione
de naturali agghiacciamenti. Poiché messa dellacqua attinta da una stessa fonte in diversi vasi, come
di terra, di metalli e di vetro; in bicchieri cupi ed in tazze sparse; altri scemi, altri colmi; altri chiusi,
altri aperti, come anche in varie maniere di guastade e di bocce, quali turate semplicemente col
cotone, e quali sigillate alla fiamma; tutti nello stesso luogo al sereno, anzi accostati lun allaltro
sopra una stessa tavola; quando sè agghiacciata prima la pocacqua della molta, quando la molta
prima della poca, e così nel rimanente, senzalcun riguardo alla forma o alla pienezza de vasi.
Quanto alla materia ci par di poter dire asseverantemente che la terra fa più presto de metalli e del
vetro. Del resto niunaltra cosa abbiamo ritrovato così costante come la perpetua irregolarità di tutti
gli accidenti; e fra laltre vi sono stati di que vasi, che allato a quelli che hanno agghiacciato in capo
a unora, sono stati tutta la notte quantella è lunga senza né pure incominciare a far velo. Di più o a
Tramontana o a Mezzogiorno o a Levante o a Ponente che lo stesso assortimento di vasi nella stessa
notte sia stato posto, da per tutto si sono osservate le medesime stravaganze, e così bene sono stati
alle volte i primi a gelare i vasi volti a Mezzogiorno come quelli che stavano a Tramontana, benché
il freddo a noi venga dordinario da quella parte; e così quei di Levante come quei di Ponente si son
vinti tra loro, ed hanno vinti quei di Tramontana e di Mezzogiorno, e sono stati vinti da essi.
Lordine poi di questi agghiacciamenti è bellissimo. Comincia lacqua di sopra a rappigliarsi in giro,
e da quel primo nastro di gielo che ricorre la circonferenza del vaso, comincia a mandare verso le
parti del mezzo alcuni sottilissimi fili, dopo i quali ne manda per tutta la sua profondità, e questi
indistintamente per ogni verso. A poco a poco si veggono i suddetti fili come schiacciarsi,
rimanendo però più grossi da una parte e più acuti e taglienti dallaltra a foggia di coltelli, dalle
costole de quali cominciano a scappar fuori altri fili sottilissimi ma fitti e spessi a guisa della piuma
o delle foglie della palma, e questi a quel primo ordito fanno per modo di dire un ripieno
scompigliato e confuso, finché crescendo per ogni parte il lavoro, si va compiendo la tela col totale
agghiacciamento dellacqua. La superficie poi di essa si vede tutta graffiata in varie diritture, comun
cristallo intagliato a bulino finissimo. Da principio la superficie di tutti questi ghiacci apparisce
piana, benché da ultimo, quando si perfeziona lagghiacciamento di tutta lacqua, diventi colma,
senza però ritenere alcuna figura regolare. Questeffetto fece sovvenire a qualcuno della prima
esperienza registrata sotto il titolo degli artifiziali agghiacciamenti; nella quale quel secondo
coperchio del vaso dargento si trovò scoppiato e tutto ricoperto duna sottile sfoglia di ghiaccio
formatasi dellacqua venuta fuori per la crepatura nellistante dellagghiacciamento. Ora nello stesso
modo vogliono dire che quella prima crosta che si fa della superficie dellacqua, sigillando più di
qualsivoglia coperchio co dintorni del vaso, lacqua che le riman sotto, quando si vuol agghiacciare,
non avendo campo dove rarefarsi rompa dovella può, e trovando per lo più meno resistenza nel
ghiaccio che ne lati del vaso, vinondi sopra e si raguni più in una parte che in unaltra, secondo
linclinazione de piani de quali si fende quel primo smalto nello scoppiare; che quivi poi in
progresso di tempo agghiacciandosi, anchella venga a formare quel po di rialto che sè detto di
sopra. È anche stato delle volte chellha rotto i vasi; il che (secondo loro) è potuto assai
verisimilmente accadere perché lacqua del fondo abbia penato tanto ad agghiacciarsi, che la crosta
di sopra si sia talmente ingrossata che sia divenuto più facile il romper il vaso che l coperchio. Ma
di queste cose non è possibile il darne regola, potendosi dare infiniti casi pe quali, o scoppi solo il
vaso o solo il coperchio o prima luno e poi laltro o lun e laltro insieme, secondo che portano gli
accidenti esterni dellaria e del freddo, della calma dellaria o de venti, luguaglianza o la difformità
della resistenza de vasi o linterna disposizione de medesimi liquori.
Avanti duscire di questo discorso non è da tacersi una bagattella osservata questanno, che per
bagattella che sia non lascia di far qualche giuoco allopinion di costoro. In un bicchiere posto la
sera al sereno trovammo la mattina che tutta lacqua sera agghiacciata, e in su la parte più elevata
della sua superficie aveva una punta di ghiaccio alta un dito, come una scheggia di cristal di monte
aguzza e sottile. Questa verisimilmente non fu altro che lacqua venuta fuori su la prima crosta
nellagghiacciamento del bicchiere, e quivi rimasta presa tra essa crosta e quel primo velo che di lei
fece il freddo nel cominciare ad agghiacciarla; il qual velo poi rompendo con impeto, e in
vicinissima disposizione a ricever lagghiacciamento, uscita in zampillo nella freddissimaria gelò in
quellistante senzaver tempo di ricadere.
SECONDA ESPERIENZA
Abbiamo anche provato ad agghiacciar lacqua nel voto fatto con largentovivo: e per farne
paragone con quello fatto nellaria mettemmo dellacqua in un vaso simile a quel del voto. Lasciatigli
così per tutta la notte trovammo la mattina tutte due lacque agghiacciate; con questa differenza
però, che il ghiaccio fatto nel voto ci parve più uguale e più duro e men trasparente e meno poroso
dellaltro; ed esaminandosi qual de due fosse più grave in ispecie, si trovò essere quel del voto. Il
modo di chiarircene fu col mettere due pezzetti de due ghiacci torniti a foggia di cilindro, e di mole
prossimamente uguale nellacquarzente, sulla quale infondendo vin rosso, vedemmo il ghiaccio fatto
nellaria sollevarsi dal fondo prima di quel del voto, e sollevato che fu, galleggiò sempre piu
leggiero e più snello secondo che il vino ninghiottiva assai meno dellaltro.
TERZA ESPERIENZA
Avendo noi messe ad agghiacciare in diverse caraffe dellacqua naturale stillata, in tutte abbiamo
trovato chella sagghiaccia più limpida e più trasparente dellacqua ordinaria. Solamente nel mezzo fa
quantè una nocciuola dun ghiaccio più opaco e più biancheggiante del rimanente, dintorno al quale
scappano per ogni verso come tante reste dun ghiaccio della medesima qualità. In somma, per darne
una perfettissima similitudine, pareva in ciascuna caraffa un riccio di castagno diacciato in un pezzo
di cristal di monte, in quella guisa che si veggon talora rimaste prese nellambra gialla o Mosche o
Lombrichi o Farfalle, o nel cristallo medesimo de fili derba o di paglia o altre materie.
QUARTA ESPERIENZA
Per veder lagghiacciamento dellacqua di mare mettemmo una sera due bicchieri pieni di essa al
sereno, in un tempo che il termometro di 50 gradi era a 9. In capo a unora trovammo che uno di
essi, che fu il più scemo, avea cominciato a diacciare, ma con modo alquanto differente da quel
dellacqua ordinaria, mentre in esso pareva che fossero state messe in gran copia scagliuole di talco
sottilissimamente sminuzzato. Queste toglievano la trasparenza allacqua e le davano una
debolissima consistenza qual ha il sorbetto che si piglia in gielo la state allorché mancandogli
esteriormente la neve si va struggendo. Di lì a poco tornatosi ad osservare si trovò alquanto più
fermo, secondo che la moltiplicazione delle scagliuole avea diminuite le parti fluide dellacqua. La
mattina era ancor più duro, benché non arrivasse a un pezzo alla durezza del ghiaccio ordinario,
mentre per ogni poco che sagitasse se nandava in acqua. La figura delle scaglie era lunghetta e
pochissimo larga, e tra esse verano tuttavia di moltissime parti fluide: quindi la massa era affatto
distaccata dal vaso girandosi in esso liberamente. La superficie era piana senza alcuna prominenza,
e in somma tutta la diversità consisteva in unorditura più rada ed in un ripieno assai più fine che
non è quello del ghiaccio ordinario.
QUINTA ESPERIENZA
È trita notizia quella che il ghiaccio non adopera più efficacemente colla sua freddezza che
sparso di qualche sale. Intorno a ciò abbiamo di più osservato che sopra ognaltro il sal armoniaco
invigorisce la sua virtù, mentre veduto abbiamo uguali quantità della medesimacqua dugual
temperie in vasi di vetro simili di figura, capacità e sottigliezza, circondati da ugual quantità di
ghiaccio polverizzato, onde ne rimanessero fasciati ugualmente, asperso il ghiaccio delluno col sal
armoniaco e laltro con ugual quantità di sal nitro non essersi agghiacciate in un medesimo tempo.
Poiché quando un termometro di 100 gradi immerso nellacqua che dovea gelarsi col nitro era a
gradi 7œ, un altro simile immerso in quella del sal armoniaco, postovi come laltro a g. 20, era già
sotto ai 5 e lacqua avea cominciato a velare.
Sè già detto in altre occasioni che non solamente i sali ma lacquarzente ancora ha forza daiutar
mirabilmente loperazione del ghiaccio, la quale se oltre allacquarzente saggiugnerà dì più il sale
diverrà efficacissima. Anche il zucchero fa qualche cosa, ma non molto in comparazione del sal
comune, del sal nitro e del sal armoniaco, che più degli altri ci riescono maravigliosi nellopera
dellagghiacciare.
SESTA ESPERIENZA
Messo del ghiaccio in vasi di diversi metalli per vedere dove si conservasse più, nulla se nè
cavato di certo. Pure se savesse a dire così in digrosso quello che par che risulti da un gran numero
dosservazioni si direbbe che assaissimo si conservi nel piombo, assai nello stagno, poco nel rame e
nel ferro, meno nelloro, e nellargento meno ancora. Non è già per questo che alle volte non se ne sia
andato prima quel dello stagno e del piombo che quel dellargento e delloro; però, come sè avvertito,
non è da starsene molto a questesperienza la qual si propone più tosto per dar motivo ad altri di
ritentarla per vie più sicure, che per dire alcuna cosa della quale ci abbiano resi certi le nostre
osservazioni.
SETTIMA ESPERIENZA
Scrive il Gassendo, ed è verissimo, che una lastra di ghiaccio spruzzata per di sopra
abbondantemente di sale sattacca fortissimo alla tavola dove posa. Noi volemmo fare il medesimo
col sal nitro, ma non ci riuscì di vedere alcun principio dattaccamento. Abbiamo bene osservato in
quelle attaccate col sal comune, che riesce assai più facile il distaccarle sollevandole
perpendicolarmente dal piano orizzontale, o mettendole a leva come si fa dunasse inchiodata per
isconficcarla, che spignendole parallele al medesimo piano. Del resto lacqua che per di sotto ne cola
è salata. La lastra dalla parte stata di sotto rimane opaca ed offuscata da una nuvoletta bianca
formata dinnumerevoli particelle di sale minutamente sciolte; e sperandola allaria chiara apparisce
scabrosa e con bel lavoro quasi a punta di diamante vagamente intagliata; ondè similissima al
cristallo di que bicchieri, che per lartifiziosa similitudine chegli hanno col diaccio si chiamano
volgarmente diacciati.
OTTAVA ESPERIENZA
Quellappannamento che fanno esteriormente i vetri ripieni dacqua fredda o di ghiaccio, alle
volte vi si giela sopra; e ciò accade quando il ghiaccio o la neve contenuta in essi vienalterata con
acquarzente o con sale. Allora parimente esalano un fumo nebbioso ed umido, che per lo più
apparisce derivar dal fondo de vasi, di dove muove un soffio daura gelata che, oltre al riconoscersi
sensibilmente ad appressarvi una mano, apparisce anche più manifesta dallagitazione che produce
in una fiammella di candela che vi saccosti.
Questa medesima esperienza labbiamo replicata col metter il ghiaccio asperso dacquarzente e di
sale in altri vasi, sì di figura come anche di materia diversi, per osservare se quella o questa
facessero alcuna diversità nel fumare; ed abbiamo veduto che in quanto alla materia non fa una
minima variazione, siano le tazze o di cristallo o di terra o di legno o di metalli o di gioie. In quanto
alla figura è paruto a noi che dove i bicchieri ed ogni sorta di vasi raccolti cominciano subito a
fumar di sotto, al contrario le tazze sparse prima di fumar dal fondo fumino per qualche breve
spazio di tempo gagliardamente per allinsù.
In una tazza doro sparsa osservammo un effetto che debbessere universale in ognaltro vaso,
benché in alcuni a cagione della figura si renda meno osservabile. Questo si è che, cessato il fumo,
quella crosta di ghiaccio incominciò a piovere a mo di rugiada un gielo finissimo, come polvere di
vetro pesto, e durò infinattanto che, risoluto il ghiaccio nella tazza, anche quel sottil panno
esteriormente gelato finì di liquefarsi.
Quel fumo che si dice levarsi dal ghiaccio pare assai diverso da quello che si produce da alcuna
cosa che arda; anzi egli è assai simile alla nebbia mattutina che si sollevi.
NONA ESPERIENZA
Ci venne voglia di sperimentare se uno specchio concavo esposto ad una massa di 500 libbre di
ghiaccio facesse alcun sensibil ripercuotimento di freddo in un gelosissimo termometro di 400
gradi, collocato nel foco della sua sfera. La verità è chei cominciò subito a discendere, ma per la
vicinanza del ghiaccio rimaneva dubbio qual freddo maggiormente lo raffreddarse, o il diretto o il
riflesso. Questo si tolse via col coprir lo specchio, e (qualunque se ne fosse la cagione) certa cosa è
che lacquarzente cominciò a risalire immediatamente. Con tutto ciò non ardiremmo affermar
positivamente che ciò non potesse allora derivare da altro che dalla mancanza del riverbero dello
specchio, non avendone noi prese tutte quelle riprove che sarebbe bisognato per ben assicurarsi
dellesperienza.
ESPERIENZE INTORNO A UN EFFETTO DEL CALDO E DEL FREDDO NUOVAMENTE
OSSERVATO CIRCA IL VARIARE LINTERNA CAPACITÀ DE VASI DI METALLO E DI
VETRO
Fu detto nellesperienze degli artifiziali agghiacciamenti che il primo moto che si vede fare a i
liquori contenuti ne vasi che sadoprano ad agghiacciare è un piccolo sollevamento chiamato quivi
salto dellimmersione, imperocchei succede in quellistante medesimo che il vaso arriva a toccare il
ghiaccio. È ora da sapere che il contrario avviene quando si tuffano nellacqua calda; poiché i livelli
de suddetti liquori sabbassano sensibilmente, e quasi pigliano un tempo per sollevarsi, come chi
vuole spiccare un salto, si veggon subito risalire al grado chegli occupavano prima dessere immersi
nellambiente caldo, e successivamente seguitare a innalzarsi, secondo che il calor conceputo seguita
egli a rarificargli, alleviargli e in alto mandargli. Così per lopposito, sollevati che sono in quel
primo attuffamento nellacqua fredda o nel ghiaccio, non solamente ritornano al grado donde si
partirono, ma sabbassano sotto di quello per molti gradi, finché, o dopo una lunga quiete, o senza
punto fermarsi, tutti (dallolio e dallacquarzente in fuori) risalgono fino a che ricevano il totale
agghiacciamento. Questo effetto veduto fece cader nellanimo a qualcuno dapplicargli una tal
cagione che poi diverse esperienze parve che mirabilmente favorissero. Il pensiero fu che
lapparenza di que subiti movimenti nellacqua e negli altri fluidi non derivi da alcuna intrinseca
alterazione di raro o di denso operata in quel punto nella loro natural temperie dalloppugnamento
delle qualità contrarie dellambiente esterno: il che col famoso vocabolo dAntiparistasi alcuni
spiegano; ma bensì (trattandosi in primo luogo dellabbassamento che segue nellimmergere i vasi
nellacqua calda) vogliono più tosto che ciò avvenga per lo ficcamento de volanti corpicelli del
fuoco che dallacqua svapora nellesterne porosità del vetro; i quali a guisa di tante biette
sforzandolo, ne vien necessariamente dilatata linterna capacità del vaso, anche prima che per
locculte vie dello stesso vetro si trasmettano nei liquor contenutovi; che il freddo poi ristrignendo
gli stessi pori faccia divenir misero il vaso alla mole dellacqua che vè dentro, prima che la mole
dellacqua ancor digiuna del nuovo freddo non si diminuisce. In somma che il vaso, come il primo
trovato dal caldo o dal freddo, dilatandosi o ristrignendosi anchegli il primo, sia la vera cagione
dellapparenza di salire o di scendere, secondo chei divien più ampio o più stretto al liquore ancor
vergine delle qualità dellambiente. Tale immaginazione ci fu anche resa più verisimile dalla
seguente esperienza.
ESPERIENZA
PER LA QUALE SI ARGOMENTA, CHE IN QUELLO ISTANTE CHE IL CALDO O L
FREDDO ESTERNO DILATA IL VASO O LO STRINGE, NON SIA PER ANCHE ALTERATA
LA NATURAL TEMPERIE DEL LIQUOR CHE VÈ DENTRO
Si chiusero in una palla di vetro (74) piena dacqua parecchie palline di smalto vote e sigillate
alla fiamma. Erano queste, mercé dellaria rinchiusavi, temperate tutte prossimamente alla gravità in
ispecie dellacqua, onde le gallegianti per ognalito di caldo discendevan per essa, e quelle di fondo
per ogni minima accessione di freddo si sollevavano. Sospeso in aria questo strumento e lasciate
prima quietar le palle, cominciammo a presentargli per di sotto catinelle dacqua ora calda ora
fredda mescolata con ghiaccio minutamente trito, e comecché per lapplicazione de diversi ambienti
sosservassero nel livello i soliti effetti dabbassarsi allentrata del bagno caldo e di sollevarsi a quella
del freddo, non si vide però mai nel tempo che tali effetti seguivano, che quando lacqua appariva
ristrignersi, le palle sommerse, si levassero a galla, né che quando la medesima parea rarefarsi
calassero a fondo le galleggianti; ma queste scendere e quelle innalzarsi allora solamente
osservavasi, quando lacqua dopo essersi abbassata al primo ingresso nel caldo ritornava a salire, e
dopo sollevata allentrar nel freddo tornava ad abbassarsi. Riprova in vero di qualche apparenza per
insinuar maggiormente che lacqua e così gli altri liquori, in quei primi movimenti non si muovono
per loro stessi, ma obbediscono meramente allalterazioni de vasi.
Si potrebbe tuttavia ancor dire che queste prime alterazioni procedano da mutazione intrinseca
de liquori, la quale benché sia tanta da apparire allocchio mediante un sottilissimo collo, non per
questo è bastante a manifestarsi nel mutato equilibrio delle palle; delle quali si può anche credere
che in quellistante comincino realmente a muoversi, benché in quel primo lentissimo distaccamento
dalla quiete locchio non lo comprenda.
A ciò si risponde che quella vera rarefazione e quel vero ristrignimento dellacqua che basta a
farla salire o discendere quel brevissimo tratto chella sale o discende allentrar nel ghiaccio o
nellacqua calda, è davanzo per isbilanciare anche apparentemente allocchio il primo equilibrio tra
essa e le palle. E che sia l vero, quando veramente lacqua salza o sabbassa per vera rarefazione o
per vero ristrignimento, le palle si veggon muovere un pezzo prima chellarrivi a que gradi a quali,
persistendo le medesime palle immobili, ella si conduce tuttavia nellistante delle prime immersioni.
Non dee già lo scoprimento di questo effetto renderci punto dubbia la fede de nostri termometri;
poiché tutto questo ristrignimento e tutta questa dilatazione ne vasi dunoncia e mezzo di tenuta, a
far assai, importerà da un grano: or veggasi a proporzione quel che possa importare in una palla
capace di pochi grani, quali saranno quelle de termometri da 50, che sono i più comodi, i più
sinceri, e per conseguenza i più adoprati a conoscer le alterazioni dellaria. Per far poi con diversi
modi manifesta al senso la verità di questaccidente, si fecero le infrascritte esperienze, le quali
fondate prima in su la teorica si confermarono dagli effetti.
PRIMA ESPERIENZA
CHE DIMOSTRA LALTERAZIONE DUNARMILLA DI BRONZO MESSA
NEL FUOCO E NEL GHIACCIO, SALVA LA SUA FIGURA
Si fece gettare unarmilla cilindrica di bronzo, (75) e fattala tornire si ridusse a incastrar per
lappunto in un mastietto (76) dello stesso metallo. Questa si messe nel fuoco per breve tempo, e
tornata a metter così calda nel suo mastio (77) vi ballava sensibilmente, essendo dilatata dal calore
in unarmilla simile ma tanto maggiore, che il dilatamento della sua superficie concava arrivò ad
essere di nove parti centesime del suo diametro. Stata chella fu un poco nel mastio, e riscaldatolo
del suo calore, tra il ricrescimento di questo e l ristrignimento di essa armilla di man in mano
chellandava raffreddandosi, non solamente tornarono a combagiar come prima, ma vennero
talmente a serrarsi insieme, che prima che affatto si raffreddassero vi volle forza notabile per
distaccarli. Il contrario poi accadeva con agghiacciar fortissimamente larmilla.
SECONDA ESPERIENZA
PER LA QUAL SI VEDE CHE NON SOLAMENTE PER INSINUAZION DI CALORE, MA PER
INZUPPAMENTO DUMIDO ANCORA PUÒ DILATARSI UN CORPO
Fu fatto un anello conico di legno di bossolo, (78) la di cui superficie concava era con
esattissima diligenza tornita e liscia. Fu parimente fabbricato un mastio o porzion conica dacciaio
lavorata al torno, (79) e con perfetto pulimento lustrata e divisa accuratamente in molti cerchi
paralleli alle basi. In essa dunque adattato il suddetto anello, sosservò a qual de cerchi segnati quivi
sadattasse quello della sua base. Cavatone poi e messo nellacqua, dopo esservi stato tre giorni interi,
ondellavesse auto campo di penetrare per tutta la sustanza del legno, vi si tornò a mettere, e
sosservò manifestamente che la superficie concava era dilatata, calando la base dellanello per
notabile spazio sotto il cerchio di prima.
Questanello si fece in due modi; (80) in uno savvertì che le fibre del legno venissero
perpendicolari, e nellaltro parallele a piani delle basi. Il primo nella dilatazione acquistata per
inzuppamento dellumido conservò perfettissima la figura circolare; laltro declinò ad elisse, e posto
nel mastio calò assai meno del primo.
Per lavorare gli anelli avvertasi a tor legno duro ed uguale, cioè non nodoso e non composto di
parti notabilmente difformi in durezza: e nel primo particolarmente, acciocché rigonfiate le fibre
per linzuppamento sarrivino luna laltra, e facendosi forza ne segua tanto maggiore e tanto più
sensibile lallargamento. È anche da avvertirsi a quello che si è detto nel principio di questo
racconto, che gli anelli siano stati tanto nellacqua chella sia penetrata per tutta la loro grossezza;
perché se vorranno adattarsi nel mastio bagnati leggiermente nellesterna superficie, leffetto apparirà
diverso, poiché caleranno notabilmente meno che asciutti. Siano dunque pregni e ben satolli
dumore, acciocché la loro dilatazione si paia più manifesta.
TERZA ESPERIENZA
CHE DISCOPRE PIÙ CHIARAMENTE LA FACILITÀ DEL CRISTALLO A STRIGNERSI E
DILATARSI PER VIRTÙ DI CALDO E DI FREDDO
Fu fatta (81) una ciambella vota di cristallo dun braccio di diametro con due imbuti, acciocché
mettendosi per uno un liquore, laria se ne potesse più comodamente uscire per laltro. Sopra questa
aggiustammo a tocca e non tocca con le sue estremità una croce formata di due verghette di smalto,
e poi empiendo la ciambella dacqua calda, secondo chellandava dilatandosi la vedevamo
sensibilmente allocchio andarsi discostando or dalluna or dallaltra delle verghette, imperciocché
non tutte vi sattenevano ugualmente; fintanto che rimosso da ciascuna il sostegno, restando in aria
la croce venne a cader sulla tavola dentro il giro della ciambella. Votata di poi lacqua calda e
messavi della scolatura di ghiaccio salato, vi si ritornò a metter su la croce, la quale non solamente
tornò a reggervisi, ma vi posava con più vantaggio di prima.
QUARTA ESPERIENZA
PER RICONOSCERE IL MEDESIMO EFFETTO DE METALLI
Si piegò una sottil piastra di stagno (82) a guisa di staffa, e si sospese in tal maniera che le sue
estremità stessero rasente il piano sottoposto, sul quale si segnarono due lineette dove appunto le
suddette estremità sarebbero andate a ferire se si fossero prolungate. Allora mettemmo su la
piegatura della staffa un carbone acceso, e riguardando attentamente a una delle punte vedevamo a
poco a poco scoprire la lineetta, ritirandosene quella per allindentro. E questo era in quel tempo che
dilatandosi dal calore solamente la superficie convessa della staffa, veniva a ristrignersi la concava;
ma quando fu penetrato (che fu in brevissimo tempo) per tutta la grossezza dello stagno, dilatandosi
tutto ugualmente, non solo si vedea la punta ritornare in su la lineetta, ma passar oltre di essa più o
meno secondo il differente grado del calore comunicato dal fuoco alla piegatura della staffa.
QUINTA ESPERIENZA
PER OSSERVARE PER VIA DEL SUONO UN SIMIL DILATAMENTO IN UNA STAFFA DI
VETRO
Accordammo una minugia tirata in una grossa staffa di vetro (83) allottava duna chitarra, ed
applicato il calore come a quella di stagno, finchei non fu arrivato alla superficie concava, il suono
diveniva più grave, secondo che ristrignendosi lapertura della staffa, per conseguenza sallentava la
corda; ma penetrato chei fu, la corda ne fu tirata talmente che il suono salì sopra la prima
accordatura.
SESTA ESPERIENZA
CHE DISCOPRE LO STESSO EFFETTO PIÙ CHIARAMENTE ALLOCCHIO
Sattaccò alla stessa corda (84) con un filo una pallina di piombo, e postale sotto una spera tanto
che di poco non la toccasse, sapplicò nel luogo solito il calore. Leffetto quanto alla staffa fu il
medesimo che nellaltre, poiché da principio ristrignendosi, la corda veniva a mollare, onde la
pallina toccava la spera, e da ultimo dilatandosi lapertura della medesima staffa tirava la corda, e la
pallina tornava a sollevarsi. Il contrario di questi effetti operava il ghiaccio posto in luogo del
carbone, ma assai meno sensibilmente a proporzione della sua minore attività in agguaglio del
fuoco.
SETTIMA ESPERIENZA
CHE DIMOSTRA GLI STESSI EFFETTI IN UNA MINUGIA DI RAME
Una palla di piombo attaccata a un filo di rame ricotto e pendente sopra una spera in
piccolissima distanza da essa arrivava a toccarla per ogni poco che si scaldasse il rame con
lappressamento duna candeletta accesa, e per ogni poco chei si strofinasse col ghiaccio se ne
ritirava.
Similmente due minugie dottone accordate allunisono sì che toccata luna risonasse laltra, si
disaccordavano ugualmente per accostare a una di esse un carboncello acceso o un pezzuol di
ghiaccio. Quello allentandola rendea più grave il suono, questo linacutiva tirandola maggiormente.
OTTAVA ESPERIENZA
CON LA QUALE DALLAPPARENZA DUN EFFETTO CONTRARIO SI CONFERMA CHE I
PRIMI MOVIMENTI DE LIQUORI NASCONO DALLA MUTATA CAPACITÀ DE VASI
NELLATTO DIMMERGERGLI IN DIVERSI AMBIENTI
Può talvolta accadere che nella prima immersione che si fa de vasi nellambiente caldo o freddo,
si scorga ne livelli de liquori che sono in essi effetto contrario a quello che sè narrato; cioè che si
sollevino immediatamente nellambiente caldo e sabbassino nel freddo; e questo succederà ogni
volta che i vasi saranno fatti su landare di quello che si rappresenta nella LXXXV figura. In questo
dunque subito chei toccherà lacqua calda si vedrà immantinente sollevare il liquore, perché negli
angoli laterali assai robusti e ricchi di vetro in paragon delle facce incavate, il fuoco operando prima
nella superficie esterna, ristrigne i detti angoli, come si vede nelle staffe di vetro dette di sopra; e
per conseguenza vien necessariamente a stirare la parte più sottile dellammaccature, le quali
parimente dilatandosi per allindentro, vengono in quel primo a ristrigner linterna capacità del vaso,
onde il liquore vien a sollevarsi nel cannello; scende egli poi a riempiere il nuovo spazio quando,
penetrato il calore per tutta la solidità del vetro, il vaso vien a ricrescere uniformemente,
riducendosi a una figura simile alla prima e più capace; e finalmente risale allor che ricevendo per
entro sé le particelle del fuoco incomincia a rarefarsi. È manifesto che lopposito avverrà pe l freddo,
militando contrariamente le stesse ragioni; e notisi che con la semplice compression della mano
fatta in due delle ammaccature opposte, si vede strigner la capacità del vaso, senza che il
sollevamento del liquore che segue immediatamente alla compressione possa in alcun modo
attribuirsi a rarefazione operata dal calor delle carni, poiché tornandosi a comprimere con due
pezzetti di ghiaccio tanto si solleva nella stessa forma.
Luso del seguente strumento (86) può facilmente comprendersi dalla semplice figura, non
essendo egli altro che una filiera dacciaio forata con diverse misure di cerchi, per iscandagliar in
essi i vari ricrescimenti che operano differenti gradi di calore, o nellistesso o in diversi anelli conici
di metallo.
NONA ESPERIENZA
PER FAR VEDERE CHE NON SOLAMENTE PER CALORE O PER INZUPPAMENTO
DUMIDO, MA PER FORZA DI PESO ANCORA SI PUÒ DILATARE UN VASO
Sadattarono due vasi di vetro, (87) uno porzion di cono e laltro di piramide, neglincastri duna
grossa tavola, e segnato esteriormente intorno a ciascuno di essi il segamento del piano di quella, si
cavaron fuori. Indi tornativi a rimetter pieni dargento vivo non ventravano al segno di prima,
secondo che la forza del peso gli distendeva.
ESPERIENZE
INTORNO ALLA COMPRESSIONE
DELLACQUA
Ancorché non sempre per lesperienza sarrivi alla verità, ciò non avviene perché il primo
concetto ideale dellesperienza non sia molte volte proporzionato a conseguirla, ma può talora
accadere dalle materiali sustanze e da corrottibili organi di cui è necessario valersi per porla in
pratica; i quali, benché per loro stessi non possano contaminare la purità delle teoriche speculazioni,
nondimeno per colpa della materia non sempre sadattano a secondarle. Non per questo però dee
riputarsi fallace la sperimental via nellinchiesta de naturali avvenimenti; perché se bene alle volte
non sarriva con essa a toccare il fondo della verità che primariamente si ricerca, vuol esser gran
cosa che non ne dia de barlumi o non discopra intorno ad essa la falsità di qualche contrario
supposto. Ciò appunto è accaduto a noi nel ricercare se lacqua patisca compressione come fa laria;
nel qual tentativo, quantunque per la fiacchezza degli strumenti di cristallo, resi per lo più necessari
dalla lor trasparenza, non siamo arrivati allintera cognizione del vero, siamo per lo meno
ammaestrati non potersi lacqua per massima forza comprimere, ed abbiamo imparato che una
violenza possente a ridurre una mole daria in uno spazio trenta volte minore di quel che prima
occupava, la medesima non solamente trenta ma cento e forse mille volte maggiore non ristrigne
una mole dacqua pur un capello o altro minore spazio osservabile, più di quel che richiede la sua
natural estensione. I modi che abbiamo tenuto per chiarircene sono i seguenti.
PRIMA ESPERIENZA
Sieno allestremità de due cannelli di cristallo (88) A B, A C due palle parimente di cristallo,
luna maggiore dellaltra. Empiansi ambedue questi vasi dacqua comune sino in D E, ed
annestandogli insieme alla lucerna savverta a lasciar libero nella saldatura il passaggio allaria, e a
tirar più lungo che sia possibile il beccuccio A F, il quale si lasci aperto. Di poi sapplichino a tutta
due le palle due bicchieri pieni di ghiaccio sminuzzato in cui rimangano sepolte, perché
ristrignendosi lacqua entri nel vano del cannello quella più aria che sia possibile. Anzi per meglio
caricarnelo si vada per un pezzo strofinando esteriormente con pezzuoli di ghiaccio tutto il sifone D
E, acciocché ristrignandosi di man in mano per opera del freddo laria che ventra dallorifizio F, ne
venga successivamente della nuova, sì che sigillandolo poi alla fiamma vi rimanga stivata e stretta.
Sigillato chei sarà si cavi di sotto l ghiaccio la palla B, e temperatala prima nellacqua tiepida, si tuffi
nella calda, e da ultimo nella bollente; seguitando però a tener sempre immersa la palla C nel
ghiaccio per trattener lacqua di essa in istato di massimo ristrignimento. Sia questo nel punto E,
oltre il quale cercherà di comprimerla il cilindro daria G E, ridotto allestrema densità dalla forza
dellacqua sormontata in G, per la rarefazione operata in lei dal calor dellacqua, che si suppone
bollire attualmente intorno alla palla B. Ora se lacqua patisce compressione doverà cedere di
qualche grado al cilindro daria premente, abbassandosi sotto il punto E; ma a noi è succeduto
altrimenti; perché quando lacqua in E è stata veramente ridotta allo stato del suo massimo
ristrignimento, la forza dellaria G E premente non ha guadagnato nulla, e innanzi ha fatto crepar il
fondo della palla C che ritirare un pelo il livello E. E quando, per accrescer maggior fermezza allo
strumento, abbiamo fatte le due palle di rame, nondimeno lacqua della palla C ha retto tra la
saldezza del metallo e l momento della forza premente con insuperabile resistenza in E, facendo più
tosto scoppiare il sifone il quale, per iscoprire glinterni movimenti dellacqua non si può far altro che
di cristallo, e sannesta perfettamente al rame col mastice o con la solita mestura a fuoco.
SECONDA ESPERIENZA
Sia un vaso di vetro (89) come A B, di tenuta intorno a sei libbre dacqua, e capace nella sua
bocca duna canna di cristallo rinforzata esteriormente con una fasciatura di piombo serratale
squisitamente allintorno per difenderla dallo scoppiare. Empiasi dacqua il vaso fino al livello C D,
ed immersavi la canna E F aperta sotto e sopra, si saldi nella bocca A col solito stucco, avvertendo a
fermarvela alquanto sollevata dal fondo F B, onde un liquore che in lei si versi possa liberamente
scolar nel vaso. Allora si cominci a mescere argentovivo giù per la canna, per la quale derivando
nel vaso, si leverà lacqua in capo, e sollevandola (poiché laria A D ha lesito per l beccuccio C H)
empirà interamente il vaso tutto, facendola spillare per lorifizio H; il qual serrisi allora con la
fiamma, notando nellistesso tempo a qual grado sia pervenuto largento col suo livello I K.
Infondendosi poi nuovo argento si finisca dempier la canna; che se lacqua per cotal forza vorrà
comprimersi di man in mano che laltezza va crescendo, si vedrà sollevare il livello I K, cedendo
lacqua per la compressione. Noi per un carico dottanta libbre dargento distese in braccia quattro di
canna (che tanto ne poté portare il nostro strumento senza fiaccarsi) non abbiam veduto acquistare
al livello I K dellargento quantè un capello, resistendo lacqua ostinatamente allenergia di quel gran
momento.
TERZA ESPERIENZA
Facemmo lavorar di getto una grande ma sottil palla dargento, (90) e quella ripiena dacqua
raffreddata col ghiaccio serrammo con saldissima vite. Di poi cominciammo a martellarla
leggiermente per ogni verso, onde ammaccato largento (il quale per la sua crudezza non comporta
dassottigliarsi e distendersi come farebbe loro raffinato o il piombo o altro metallo più dolce)
veniva a ristrignersi e scemare la sua interna capacità senza che lacqua patisse una minima
compressione; poiché ad ogni colpo si vedea trasudare per tutti i pori del metallo a guisa dargento
vivo il quale da alcuna pelle premuto minutamente sprizzasse.
Ecco quanto da queste tre esperienze abbiamo saputo raccorre. Se poi replicate le medesime
dentro a vasi di maggior resistenza, e se crescendo nella prima la rarefazione dellacqua e sì la
premente forza dellaria, nella seconda laltezza del cilindro dellargento vivo, e nellultima facendo
successivamente più e più ricca dargento la grossezza della palla, sarrivasse una volta a comprimer
lacqua, ciò non possiam noi dire. Questo è infallibile che lacqua in paragone dellaria resiste, per
così dire, per infinite volte più alla compressione; il che conferma ciò che sè detto da principio, che
quantunque lesperienza non giunga sempre allultima verità ricercata, vuol ben dir cattivo che alcun
piccolo lume non ne dimostri.
ESPERIENZE PER PROVARE
CHE NON VÈ LEGGEREZZA
POSITIVA
È antica e famosa quistione se quelle cose che leggiere comunemente si chiamano lo siano di lor
natura, e vadano di propria voglia allinsù, o vero non altro sia il loro salire che uno scacciamento
fatto di esse dalle cose più gravi; le quali avendo più vigore e più lena per discendere e posarsi più
abbasso, te le spremano (per così dire) e costringano a andare in alto. Questa dottrina, la quale più
particolarmente pare che abbia preso piede ne tempi moderni, non fu del tutto ignota agli antichi;
anzi da molti filosofi di que secoli, tra quali più apertamente da Platone nel Timeo, viene con
ragionevoli fondamenti asserita. E tantoltre ei savanza su l verisimile di tal suo concetto, che non
solamente vuole che le cose più gravi siano abili a scacciare insù le meno gravi, come fa laria il
fuoco, ma eziandio le più gravi, come lacqua sarebbe in agguaglio dellaria, qualunque volta ella sia
alleggerita per mescolamento del caldo. E questo appunto vuol egli insinuare colà nel sopraccitato
dialogo del Timeo quandegli dice, che scappando il fuoco dalle calde interiora della terra, perche
non ha riuscita nel voto, vien urtata laria a lui contigua, la quale non solamente non si lascia torre il
luogo da lui, anzi lo toglie a quelle moli umide che lo vestono, e via via le pigne e le innalza fin su
nella sede del fuoco; e ciò non per altro che per essere (mercé del congiugnimento di esso)
temperata di novella leggerezza la natural gravità di quegli umidi. Comunque ciò sia, in
confermazione di questopinione addurremo qui due sole esperienze, la forza delle quali compensa
per avventura la piccolezza del numero.
PRIMA ESPERIENZA
Sia il cilindro di legno A B C (91) la di cui base B C tocchi perfettamente il piano orizzontale D
E, e perché laria ambiente trapelando tra le due superficie non impedisca la squisitezza del
toccamento, sia foderato il cilindro nella sua base duna piastra di metallo spianata e lustrata bene,
ed unaltra simile ne sia impiombata sul piano; dove facendosi arginetti di cera o di creta intorno al
cilindro A B C, e dentro di essi versandosi argento vivo si faccia alzare in F, onde rimanga appunto
coperto e difeso dallingresso dellaria il giro del toccamento. Leghisi dipoi lestremità A al termine G
della bilancia G H di braccia uguali, il cui centro I, ed allaltro termine H sattacchi il peso L uguale
al peso assoluto del cilindro A B C. È manifesto al senso che per distaccare il cilindro A C dal
piano sottoposto non basta la forza del peso L, per lo che vadasi aggiugnendo nuovo e nuovo peso
al termine H, fintanto che i due pesi L ed M sollevino il cilindro A C resistente al sollevamento con
doppia forza, cioè con quella del proprio peso uguale ad L e con quella del toccamento o
repugnanza al voto o altra forza diversamente interpretata; la rimanente forza del peso M non
adeguerà solamente ma supererà la forza dellattaccamento delle dette superficie.
Misurata che si sarà tal forza (la quale nel nostro strumento batteva in tre libbre) mettasi il
cilindro A B C (92) in un vaso cilindrico N O P di legno o di terra cotta e vetriata, duguale altezza o
maggiore, e tanto vi si profondi che la base B C sunisca per toccamento con la base O P del vaso
anchessa coperta di sottil piastra di metallo o di vetro spianato e terso. Infondasi poi dellargento
vivo nel vaso N P, e salzi pure a qualsivoglia altezza fino a coprire il cilindro A B C, che questo
mai non si distaccherà. Ma stacchisi finalmente a mano la base B C dalla O P, e lascisi in libertà il
cilindro A C, chei si vedrà subito con grandimpeto levarsi a galla sopra largento.
Cercasi ora quanta sia questa forza sollevante che si suppone di leggerezza. Da noi fu trovata
così. Caricammo la base A del cilindro con un tal peso Q che bastasse a tirarlo a fondo e quivi
trattenerlo dal galleggiare: il qual peso nella nostra esperienza essendo stato intorno a cinque libbre,
tante concludemmo esser la misura della forza che si cercava. Si consideri ora che la resistenza allo
staccamento delle due basi non fu maggiore di tre libbre come si disse, e la forza della creduta
leggerezza nel cilindro si trovò di cinque: adunque in tal caso quella della leggerezza fu maggiore di
quella dellattaccamento. Tornandosi per tanto a considerare il cilindrico di legno A B attaccato con
la sua base B C alla base O P, vi sono due forze che lo contrastano; una di tre libbre che è
dellattaccamento la qual lo trattiene; laltra di cinque che è della leggerezza la qual vorrebbe
sollevarlo; doverebbe dunque la minor forza restar superata dalla maggiore e sì venir sollevato il
cilindro; ma ciò non segue, poiché egli non si distacca: pare adunque che debba dirsi che quel che lo
leva a galla sia altro che leggerezza.
SECONDA ESPERIENZA
Sia un vaso di legno come A B C D, (93) nella grossezza del di cui fondo sincavi al torno un
emisfero E F G perfettamente uguale a quello duna palla davorio H la qual vi sadatti nel suo
maggior perimetro E G. Empiasi poi tutto il vaso dargento vivo sì che tutta la palla vi si sommerga.
Par manifesto che, sostenuto il peso dellargento vivo dal fondo del vaso ed impeditogli lo scorrere
tra linferior convesso della palla ed il concavo di esso vaso dallo squisito toccamento di quella nella
circonferenza E G, non potrà, discendendo quivi, scacciarla con la sua circumpulsione, ma potrà
bene la natural leggerezza dellavorio, sella pur vi è , nel gravissimo ambiente di quellargento levarlo
a galla; ma ciò non si vede seguire, rimanendo la palla immobile nel suo incastro sotto qualsivoglia
altezza dargento vivo.
Né può replicarsi che labborrimento che ha la natura al voto (il qual doverebbe seguire nel
distaccamento dellemisferio della palla dal concavo del vaso) contrasti alla natural leggerezza di
essa palla leffetto suo; poiché fatto nel fondo dellistesso vaso un foro come F I pe l quale
insinuandosi laria possa riempiere quello spazio che dopo lo staccamento rimarrebbe voto,
nondimento la palla non si solleva.
E perché ancora si potrebbe dire che la palla toccata dallaria di sotto non è più leggiera ma
grave, serrisi di nuovo il foro e si dilati la cavità del caso come E L G, sì che solamente lorlo e
supremo cerchio E G resti uguale al cerchio massimo della palla, ma lemisferio E F G non più
sadatti al concavo E L G, come più chiaramente apparisce nel profilo della figura. (94) Riempiasi
allora dargento E L G, e sommergasi destramente la palla, finché il suo massimo cerchio sadatti
nellorlo di quellincavo, che quantunque ella non sia fortemente calcata nel supremo cerchio E G,
ma possa con minima ed insensibil forza girarvisi dentro, ricolmandosi tuttavia il vaso dargento
vivo non si muoverà.
Finalmente perché non sabbia a dubitare se quellargento che sappoggia sopra la palla calcandola
col suo peso la trattenga dal galleggiare, piglisi in cambio della palla H (95) un vaso di vetro A B C
D la cui superficie sia porzione di cono e adattisi dalla parte del suo minor cerchio nellorlo E F, che
circondato anchesso dargento vivo si tratterrà immobile. E per venir in chiaro se la tenace unione
immaginata tra l vetro e largento vivo, e la repugnanza della natura a permettere spazio voto siano
possenti a superare il momento della leggerezza del bicchiere A B C D, si misuri la forza di tale
attaccamento col tor via largento dintorno al vetro, e questo attaccato in G termine della bilancia G
H di braccia uguali, si vada aggiugnendo peso allaltro termine H, sin che il vetro si stacchi dallorlo
E F, e sia il peso I il quale fu a noi di una libbra: dipoi si riempia di nuovo il vaso dargento vivo, e
postovi a galleggiare il vetro si carichi (come nellaltra esperienza) di tanto peso che lo conduca
lentamente a fondo e ve lo trattenga. Sarà tal peso (che a noi fu intorno alle due libbre e mezzo)
misura esatta di quel momento che vien creduto derivarsi dalla leggerezza del vetro A B C D; sarà
dunque maggior di quello col quale si resiste al voto, che si ritrova esser di una libbra. Adunque se
la leggerezza è quella che fa galleggiare il vetro, avrebbe ad operare il suo effetto col distaccarlo,
imperocché la sua forza supera quella dellattaccamento che le resiste; ma non lo fa; pare adunque
che si confermi per questa seconda esperienza ancora quel che nellaltra si concludea, cioè che quel
che solleva la palla davorio e l vetro è altro che leggerezza.
ESPERIENZE
INTORNO ALLA CALAMITA
Conciossiacosaché le maravigliose operazioni della Calamita siano un largo pelago, dove per
molto che ci abbia dello scoperto, rimane verisimilmente assai più da scoprire; noi non siamo stati
finora cotanto arditi dingolfarci per esso, benissimo accorgendoci che il tentare in quello nuovi
ritrovamenti richiede un intero e lunghissimo studio, e quello non interrotto da altre speculazioni.
Non creda però alcuno che con queste due o tre osservazioni sopra tal maniera noi ci pavoneggiamo
daver arrecato qualche gran lume nella Filosofia Magnetica; imperocché pur troppo ci avveggiamo
esser queste notizie assai ordinarie e per avventura non del tutto nuove, come quelle che non sono
state prese di mira in una determinata applicazione di lavorare intorno alla Calamita, ma o sono
state rinvenute incidentemente o ricercate per fini particolari di qualche Accademico. Pure tali quali
elle sono non sè voluto tacerle, non avendo noi altro intendimento che di communicare, per poco
che sia, tutto quello che ci ha sembianza di vero.
PRIMA ESPERIENZA
PER VENIR IN CHIARO SE DAL FERRO O DALLO ACCIAIO IN FUORI VI SIA ALCUN
CORPO SOLIDO E FLUIDO, IL QUALE POSTO TRA L FERRO E LA CALAMITA RECHI
ALCUNA ALTERAZIONE, O NEGHI INTERAMENTE IL PASSO ALLA VIRTÙ SUA
Saccomodi da una parte della cassetta di legno A B C D una bussola, (96) incontro alla di cui
lancetta risguardante il punto E, si muova dalla parte opposta della cassetta la Calamita, la quale se
le venga lentamente appressando finché la lancetta cammini un grado, cioè venga da E in F. Fermisi
allora la Calamita, e nello spazio che riman voto nella cassetta tra lei e la bussola si mettano o vasi
di vetro con argento vivo o di legno pieni di rena o di limatura di metalli, purché non sia di ferro o
dacciaio, o solidi parallelepipedi fatti degli stessi metalli o di diverse pietre o di marmi, che sempre
si vedrà la lancetta trattenersi immobile nel punto F. Sempiano finalmente gli stessi vasi con
acquarzente e se le dia fuoco, che né meno il tratto di quella fiamma dissiperà quella virtù che
trattien la lancetta in F , e solo per una sottil laminetta di ferro o dacciaio, comè già noto, si vedrà
disciorsi e ritornare in E. E non solamente le suddette cose non rompono lattività magnetica, ma
avendo noi rammontati lun sopra laltro cinquanta piatti doro, vedemmo un ago messo in su lultimo
piatto per di sopra obbedire a moti duna Calamita mossa rasente il fondo di quel di sotto.
SECONDA ESPERIENZA
PER VEDER ANCHE PIÙ MINUTAMENTE SE LA VIRTÙ DELLA CALAMITA FACCIA
ALCUNA VARIAZIONE PASSANDO PER DIVERSI FLUIDI
Appendasi ad un sottil filo nellasse del vaso di cristallo A B (97) un ago tocco alla Calamita, e
nel fondo dello stesso vaso si collochi un cilindretto di piombo su la di cui suprema base siano due
punte dottone o daltro metallo che non sia ferro né acciaio, una fitta nel centro e laltra lontana
quantè grossa una piastra dalla prima. Dipoi saggiusti lago in modo che torni verticale a quella fitta
nel centro; e posta la Calamita in distanza tale che non lo muova, se gli vada accostando in maniera
che lo guardi sempre dirittamente col polo; della qual cosa per esser meglio certo, si vada
strisciando la pietra con una delle sue facce rasente il regoletto C D confitto nel mezzo dunassicella
posta a livello col piano che passa per le due punte delle quali, ancor quella che non è nel centro, si
volga in diritto al polo della Calamita. Accostandosi intanto questa allago, vi giugnerà finalmente
con la sua virtù, la quale esso sentendo comincerà lentamente a muoversi verso di essa: allora non si
ristia losservatore, ma la spinga più avanti con tardissimo moto finché, uscito lago di piombo,
sincontri con la seconda punta più prossima alla Calamita la qual subito si fermi, e segnisi sul
regoletto quella distanza che fu tra la pietra e lago allorché la punta di questo fu sopra E. Rimuovasi
poscia la Calamita, e circonfusa allago acqua naturale, se gli ritorni ad accostar nello stesso modo,
tirando avanti tanto chei ritorni sulla punta E, e segnata questa distanza ancora si voti lacqua, ed in
suo luogo mettendosi nel vaso diversi liquidi si piglino le distanze dalle quali, fatta la medesima
applicazione di Calamita, nè tratto lago. Da queste adunque apparirà come la virtù magnetica né si
frange né sinvigorisce dalla diversità de fluidi pe quali ella penetra; attrae bensì da varie distanze,
ma ciò fa ella secondo che il mezzo più leggiero o più grave alleggerisce più o meno lago che per
entro vi nuota, onde la stessa forza e virtù lo muove più da lontano o dappresso; mentre sosserva
che le diverse distanze da cui egli si fa incontro alla Calamita hanno fra loro la proporzione
reciproca della gravità in ispecie de fluidi, cioè degli alleggerimenti dellistessago. Quindi tra i
liquori cimentati fu massima la distanza da cui fu tratto nellacqua salsa, minore nellacqua ordinaria,
meno nellacquarzente e minima nel comun mezzo dellaria.
Avvertasi che a replicar questesperienza in diversi tempi potrebbe accadere che queste distanze
da una volta a unaltra si variassero, ma è da considerare se ciò possa nascer da accidenti estrinseci,
come sarebbe la diversa temperie dellaria, lago più rugginoso o più terso, o la vicinanza accidentale
di qualche ferro che alteri o disvii in qualunque modo la direzione della virtù magnetica, e altri
simili. Però fu da noi fatta sempre questesperienza sopra una gran tavola tutta collegata insieme con
tenace colla e con biette e zeppe di legno in cambio di chiodi; e losservatore, sì come ognaltro che
si fosse trattenuto in quella vicinanza, aveva sempre riguardo di posare ogni ferro che avesse
indosso; essendosi manifestamente riconosciuto che laccostarsi alla tavola con chiavi o coltelli in
tasca alterava subito quegli effetti che, rimossa di quivi ogni sorta di ferro, ci tennero sempre il
fermo. Per quello poi che può depender dagli altri accidenti suddetti, cioè dalla diversa temperie
dellaria o da altri impossibili a rimediarsi, abbiamo trovato che, se ben mutano le distanze, cioè che
quelle onde lago fu tratto ieri per diversi mezzi non confrontano con quelle onde negli stessi mezzi
è tirato oggi, nondimeno le differenze trovate in tali diversi tempi si trovan fra loro prossimamente
proporzionali.
TERZA ESPERIENZA
PER VEDERE SE LAZIONE DE POLI DELLA CALAMITA SALTERI A VOLTARGLI VERSO
I POLI DELLA TERRA OPPOSTI
Ancorché in questesperienza non ci siamo per anche finiti di sodisfare in ordine a molte
particolarità che rimangono tuttavia in pendente, in ogni modo daremo un cenno così in generale di
quel poco che ci pare di poter asseverare con qualche maggior fondamento di sicurezza. Questo si è
che il polo boreale rivolto a Settentrione tira più di lontano un ago sospeso in aria, che verso Austro
o verso Oriente; e verso Occidente alquanto più che verso Austro e qualche cosa meno che verso
Settentrione. Il polo australe per lo contrario non solamente ci par che tiri dallistessa distanza verso
Austro che il boreale verso Borea, ma di più che rivolto verso Borea seguiti a tirar dalla medesima,
che verso Austro. Verso Oriente e verso Occidente sillanguidisce anchegli al pari del boreale.
ESPERIENZE
INTORNO ALLAMBRA ED ALTRE
SUSTANZE DI VIRTÙ ELETTRICA
La virtù elettricha comognun sa risvegliasi per delicato o per valido strofinamento in tutti que
corpi dove nè miniera. Ricchissima più dogni altro nè lAmbra gialla, dopo la quale par che ne
venga la Cera lacca finissima. Questa par similmente che seguitino il Diamante gruppito, il Zaffiro
bianco, lo Smeraldo, il Topazio bianco, la Spinella e l Balascio. Dopo queste sono tutte le gioie
trasparenti, così le bianche come le colorate, delle quali qual più o qual meno valente si mostra in
attrarre. E in ciò veramente non si vede chelle si mantengano nella scala delle loro durezze: poiché
sosserva la tenera Spinella e l Balascio, inquanto a virtù dattrarre, non la ceder punto al durissimo
Diamante e al Zaffiro. Appresso le gioie vengono i Vetri, i Cristalli, lAmbra bianca e la nera, tra le
quali materie non si trova gran differenza di vigore e di forza, essendo tutte molto languide
nelloperare. Del resto né i Lapislazzali né le Turchine né i Diaspri né lAgate né altre di simil sorta
di gioie non trasparenti, né le pietre né i marmi più nobili né le gioie marine, come i Coralli e le
Perle, né i metalli né i lapilli de sali attraggono come da alcuni è stato scritto. E forse questinganno
è potuto nascere dal vedere che toccandosi con tali materie i minuzzoli della paglia, della carta o
daltri corpi, questi vi sappiccano. La qual cosa abbiamo ancora noi osservata, ma ciò forse avviene,
dicono alcuni, perché trovandosi in quei corpi certe minime scabrosità, mentre si calcano su quei
minuzzoli, questi vi rimangono leggiermente infilzati, e così seco ne vengono. Questa fallacia
volendo noi schivare, risolvemmo di non voler credere se non a quelle materie le quali, dopo essere
state strofinate, presentandole a leggerissimi corpicelli da qualche distanza, gli attraggono; e ciò
abbiamo trovato solamente farsi dalle materie dette di sopra.
Abbiamo parimente osservato che lalterazioni che riceve lAmbra per accidenti esterni di
riscaldamenti, dagghiacciamenti e dunzioni fatte con vari liquori, tornano tutte a capello anche nelle
gioie ed in ognaltra materia cabbia facoltà dattrarre. Egli è però vero che nellAmbra, come pregna
di maggior virtù, sosservano più manifestamente; per lo che, tralasciando laltre, di lei sola
favelleremo.
LAmbra adunque di tutte le materie che se le presentano la sola fiamma non tira, che che si dica
Plutarco, che ella non attrae le cose inzuppate dolio e la saggina, o come altri vogliono il bassilico,
il che abbiamo trovato esser falso. Il fumo ancora ne viene attratto; anzi assai curioso è il vedere
come accostandosi lAmbra già strofinata e calda a quel fumo che sorge da una candela allora
spenta, questo piega subito alla volta dellAmbra. Quivi dunque parte ne riman preso e parte come
riflesso da specchio si leva in alto, mentre quello che vi rimane si raguna in sembianza duna piccola
nuvoletta la quale, secondo che lAmbra va raffreddandosi, si discioglie nuovamente in fumo e si
parte.
La fiamma per lo contrario non solo non si lascia tirar per sé, ma se lAmbra dopo strofinata le
rigira punto dattorno spegne la virtù sua, onde vi bisogna nuovo strofinamento pel farla tirare. E se
dopo chellha tirato un minuzzolo si torna ad accostare alla medesima fiamma, questa subito gliele
fa lasciare.
Il caldo che vien dalle braci accese non è così nemico alla virtù dellAmbra, anzi talora ei vale ad
eccitargliele senzaltro strofinamento. Vero è che col solo fomento del semplice calore muove assai
languida, ma aggiuntovi lo strofinare diviene più vigorosa.
Il ghiaccio per sé solo non nuove allAmbra, ma alterato con sale e con acquarzente ribatte di
maniera la sua virtù, che talvolta vi è voluta qualchora di tempo e lunghissimo e gagliardo
strofinamento per fargliele riacquistare. Per lo che da alcuni è stato creduto che tale smarrimento di
forze non proceda solo dallaccrescimento del freddo che suole arrecare al ghiaccio lespersione del
sale e dellacquarzente, ma più tosto da qualche sottilissima ruggine o da qualche panno che dal
polverizzamento finissimo dello stesso sale contragga lAmbra, o vero dellinzuppamento
dellacquarzente la quale è uno di quei liquori che nuocono alla facoltà dattrarre.
Non tutte le materie sono il caso a risvegliare la virtù dellAmbra; essendoché strofinata su corpi
di superficie liscia e tersa, come i vetri, i cristalli, lavorio, i metalli bruniti e le gioie, rimansi
tuttavia sopita e non spira. Vogliono pertanto avere alcune minime disuguaglianze ed asprezze nella
loro superficie, come ha il panno, la tela e millaltre cose che non accade annoverare. Anche le carni
umane vagliono a tirar fuori la virtù dellAmbra. Egli è però vero che alcune più, alcune meno; e si è
trovato di quelli in su le mani de quali strofina quanto vuoi non cè stato mai verso di farla tirare.
Credesi volgarmente che lAmbra tiri a sé i corpi; ma questa è unazione scambievole e niente più
propria dellAmbra che de medesimi corpi da quali anchessa è tirata, o per lo meno ella ad essi
sappiglia. Di ciò ne abbiamo fatta esperienza ed abbiamo veduto che appesa lAmbra ad un filo in
modo chella stia pendola in aria o messa in bilico a guisa dago magnetico, quandellè strofinata e
calda si fa incontro a que corpi che in proporzionata distanza se le presentano, e a loro moti
prontamente obbedisce.
Sentono la forza dellAmbra i liquori ancora, le piccolissime gocciole de quali ella attrae, fino a
quelle dellargentovivo. Vero è che queste, se non son minutissime non ha forza per reggerle, onde
appena tirate se le lascia cadere.[12] Quando poi ella si presenta alla superficie de liquori stagnanti
ed a quella eziandio dellargento vivo, ella non ne spicca pure una stilla, ma fa rigonfiare sotto di sé
le dette superficie le quali si sollevano verso lei a mo duna gocciola che stia per cadere, ma situata a
rovescio, imperocché tirano ad unirsi con essa con la parte loro più aguzza. Questeffetto sosserva
meglio nellolio e nel balsamo che in alcun altro liquore.
Sono alcuni liquori che a bagnarne lAmbra dopo strofinata non tira, e ne sono altri da quali non
sopera listesseffetto. Quei che lo fanno sono universalmente tutte le acque naturali e stillate, tutti i
vini, gli aceti e lacquarzente, tutti i liquori acidi e i sughi di tutti gli agrumi, tutti i liquori che si
distillano dentro a corpi degli animali, il balsamo e tutti i liquori artifiziati, come i giulebbi,
lessenze, gli spiriti e gli oli che sestraggono per distillamento. Non lo fanno per lo contrario lolio di
sasso, lolio comune, lolio di mandorle dolci, quello di mandorle amare cavati per istrettoio, il sego,
il lardo e finalmente la manteca o pura o alterata con odor di fiori, o incorporata con dellambra o
del mustio, purché non vi sieno mescolate dellessenze o degli oli.
Un effetto assai singolare abbiamo osservato nei Diamanti. Di questi i gruppiti (come dicemmo)
sannoverano tra le gioie più ricche di potenza elettrica, ma le tavole son così deboli e fiacche in
attrarre, che talora paiono affatto prive di virtù. Né pare ad alcuni che la loro superficie piana abbia
che far nulla con questeffetto, vedendosi che quando i Diamanti hanno fondo, avvegnaché smussati
e spianati in su la ruota, attraggono molto bravamente; dove le tavole che non han fondo, quali
sogliono essere i finimenti delle collane dette comunemente spere, quantunque grandissime sieno e
si strofinino un pezzo e assai gagliardamente, non voglion tirare, o se pur tirano, ciò fanno con sì
poco fiato, che bisogna per così dire far loro toccar quel briciolo di carta o di paglia che si vuol loro
far tirare. Non vè dubbio che alle volte se nincontra di quelle che hanno un po di forza, ma di queste
a noi per lo meno è riuscito trovarne radissime. Ce ne dette una volta una fra mano la quale, per
molte prove che si facessero per più e più giorni, non fu mai possibile il farla tirare. In capo a un
anno, volendosi far vedere a non so chi questeffetto, si prese lo stesso anello dovellera legata, e
avendola anche assai leggiermente strofinata a panni come si suole, appena saccostò a certa carta
tagliuzzata, che tirò maravigliosamente; il qual effetto si tornò a veder più volte con stupore di tutti
quelli che lanno innanzi aveano tante volte proccurato in vano di farla tirare. Per lo contrario poi
(come da principio sè detto) i Diamanti gruppiti, cioè quelli che son lavorati in su la loro natural
figura dellottaedro, rade volte falliscono o non mai.
Finalmente, perché lAmbra e tutte laltre sustanze elettriche non tirino basta un sottilissimo velo
che si frapponga tra esse e l corpo da attrarsi. Anzi essendo da noi state fatte in un foglio di carta
alcune piccole finestrelle, la prima fatta a foggia di gelosia con capelli spessamente reticolati, la
seconda velata con sottil peluria rastiata gentilmente da una tela finissima, e la rimanente chiusa con
una foglia doro da doratori, la virtù dellAmbra non vi penetrò.
ESPERIENZE INTORNO AD ALCUNI
CAMBIAMENTI DI COLORI
IN DIVERSI FLUIDI
Non è cosa più frequente tra le sottigliezze de Chimici che le bizzarrie delle mutazioni di colori.
Noi veramente non abbiamo professato di metter mano in questa pasta, e se alcuna cosa assaporata
ne abbiamo, ciò ha auto il motivo delloccasione di maneggiare qualche liquore atto ad esaminare le
qualità dellacque naturali. Intorno a che diremo quel poco che ci è venuto a notizia, ricordando di
nuovo a chi legge, che per questo nome di saggi si vuol dire che da noi non si presume daver
esaminate queste materie con tutte quelle esperienze che vi si possono immaginar sopra, ma di dar
semplicemente un cenno di quelle cose su le quali abbiamo maggiormente in animo di faticare.
PRIMA ESPERIENZA
Lacque distillate in piombo intorbidano tutte lacque di fiumi, di terme, di fontane e di pozzi, con
le quali labbiamo finora mischiate, poiché togliendo loro la trasparenza limbiancano come siere.
Solamente lacque stillate in vetro, e delle naturali lacqua del condotto di Pisa, rimangon limpide e
trasparenti. Vero è che ognacqua, in cotal guisa macchiata, per poche gocciole daceto forte si rifà
bella, perocché dibattuta con esso dileguasi lappannamento e chiarisce.
Salterano le medesimacque per infusione dolio di tartaro e dolio danici, i quali vi fanno apparire
una nuvoletta bianca or più alta or più bassa, che per agitamento diffondesi per tutta lacqua.
Svanisce questo albeggiamento ancora per piccola dose di spirito di zolfo il quale, facendo subito
levare il bollore, riduce lacqua alla prima natural trasparenza.
Avvertasi che né meno dagli oli suddetti sintorbidano indifferentemente tutte le acque, anzi le
medesime appunto che lacque stillate in piombo non alterano, lolio di tartaro e lolio danici lasciano
trasparenti. Quindi è che lacquarzente, lacque stillate in vetro e quella del condotto di Pisa non si
mutano punto né cangiansi dalla natural limpidezza loro, e trovasi che nellacque comunemente
riputate più dellaltre leggiere, nobili e monde, minore e più alta suol vedersi la nuvoletta che vi
singenera, e solo nelle gravi e pesanti e pregne di miniera o di fecce interamente lingombra e vela di
color di latte. Su questo fondamento vè chi ha preteso di cimentar le acque con alcuno de suddetti
liquori, perché sappalesi la più coperta natura di esse, e sì la bontà o malizia loro si disasconda.
Se talvolta lappannamento dellacqua per qualunque cagione si caricasse forte, onde la dose
ordinaria del liquor rischiarante non operasse, se ne può accrescere alcuna gocciola; e
nellinfonderlo si vada agitando lacqua, che si vedrà tornare alla sua limpidezza.
SECONDA ESPERIENZA
Lolio di tartaro non solamente nellacque ma ne vini ancora produce un simigliante effetto,
conciossiacosaché per sua natural facoltade mondifichi (sì[13] come è noto) dogni estraneo
permischiamento i liquori tutti, dividendo, per la residenza chei fa, la pura sostanza loro da quello
che vè mischiato. Quindi avviene che quel che nellacque è nuvoletta bianca or più alta or più bassa,
secondo la loro diversa qualità e leggerezza, in tutti i vini bianchi da noi sperimentati apparisce
sottilissima falda di color sanguigno, la quale, agitandosi il vino, perde il luogo del primo natural
suo libramento, spargendosi uniformemente per esso. Ne vini rossi poi non fa altra mutazione che
tignerli dun color più cupo, che verso il fondo è ancor più carico.
Lo spirito di zolfo per lo contrario non solo non altera la natural trasparenza de vini, ma la
restituisce a quelli a quali lha tolta lolio di tartaro.
TERZA ESPERIENZA
La tintura di rose rosse estratta con lo spirito di vetriolo, mescolata con olio di tartaro si tigne
dun bellissimo verde. Per poche gocciole di spirito di zolfo ribolle tutta in una schiuma vermiglia, e
finalmente ritorna di color di rosa senza mai perder lodore, né più si cangia per olio di tartaro che vi
sinfonda.
Il miglior modo di cavar la tintura dalle rose per questesperienza è da noi stato ritrovato il
seguente.
Si piglino foglie di bocciuoli secchi di rose rosse quantun sol pugno soavemente premendo ne
può capire; spicciolate si mettano in boccia di vetro con once una di spirito di vetriolo gagliardo col
quale per lo spazio dun quarto dora si diguazzino. Allora lo spirito averà tratto il color dalle rose, e
queste saranno perfettamente macerate.
Saggiunga in tre o in quattro volte una mezza libbra dacqua di fontana, seguitandosi sempre a
diguazzare la boccia, finché rischiarandosi il cupo color dello spirito se ne tinga lacqua. Ciò fatto si
lasci posare per lo spazio dunora, che si averà una tintura di rose vivamente accesa ed oltre modo
bella. Ora in una mezzoncia di questa, dieci o dodici gocciole dolio di tartaro e poi altrettanto di
spirito di zolfo, servono a produrre li narrati effetti.
QUARTA ESPERIENZA
Lacqua carica di zafferano allungata con un po destratto di color di rose, ma che non perda il
color doré, con olio di tartaro si fa verde e ritorna doré con lo spirito di zolfo.
QUNTA ESPERIENZA
Lacqua imbeuta di verde giglio con spirito di zolfo fa vinato, e con olio di tartaro rià il suo
colore.
Il verde giglio è tintura cavata dalle foglie de gigli paonazzi i quali preparati con mestura di
calcina buttano un verde assai bello e vivace molto cercato da chi minia; si mette ad asciugare nelle
conchiglie come loro e largento macinato.
Veggasi più ampiamente il modo di far simiglianti estratti nellArte Vetraria di Antonio Neri
stampata in Firenze MDCXII. Lib. VII. Cap. 108, 109 e 110; e quivi parimente come si cavi la lacca
da diversi fiori.
SESTA ESPERIENZA
Lagro di limone, lo spirito di vetriolo e lo spirito di zolfo mutano il paonazzo della lacca muffa
e quello della tintura delle viole mammole in vermiglio, il qual poscia lolio di tartaro rende
paonazzo. Anche laceto lo fa rosseggiare, ma di color meno acceso.
ESPERIENZE
INTORNO AI MOVIMENTI
DEL SUONO
Il suono, accidente nobilissimo dellaria, osserva un tenore così invariabile di velocità ne suoi
movimenti, che limpeto maggiore o minore con cui lo produce il corpo sonoro non può alterarlo.
Questa maravigliosa proprietà del suono vien riferita dal Gassendo, il qual afferma costantemente
tutti i suoni, grandi o piccoli che sieno, nel medesimo tempo correre il medesimo spazio; e di ciò
mostra daver egli fatto esperienza in due suoni, luno notabilmente maggior dellaltro, cioè uno dun
tiro di moschetto, laltro dartiglieria. A noi nel riscontro di questesperienza, che abbiamo trovata
verissima, è riuscito dosservare qualche particolarità che non abbiamo giudicato doversi tacere,
potendosi dar il caso che non a tutti sia[14] sovvenuto il medesimo concetto, e che essendo egli
sovvenuto a tutti, non tutti abbiano auto comodità di chiarirsene e di sodisfarsi con lesperienza.
PRIMA ESPERIENZA
Questo riscontro fu fatto da noi in tempo di notte con tre differenti generi di pezzi, con una
spingarda, con uno smeriglio, e con un mezzocannone, situati in distanza di tre miglia dal luogo
dellosservazione, donde si scopriva benissimo il lampo che fa la polvere nellallumare il pezzo. Da
questo dunque allarrivo del suono si contò sempre ugual numero di vibrazioni al dondolo
delloriuolo o fosse il tiro della spingarda o dello smeriglio o del mezzocannone, e ciò in qualunque
direzione di canna che avessero i detti pezzi.
Par da considerarsi in questo luogo quanto si sia compiaciuto il Gassendo di quellesempio trito
addotto dagli Stoici per rappresentare al vivo come si faccia per laria linvisibile propagazione del
suono. Dicono questi che, sì come veggiamo lacqua stagnante incresparsi in giro per una pietruzza
che in lei si getti, e tali increspamenti andarsi via via propagando in cerchi successivamente
maggiori, tanto che giungono stracchi alla riva e vi muoiono, o che percuotendola con impeto, da
essa per allin là si riflettono, così per appunto asseriscono la sottilissimaria dintorno al corpo sonoro
andarsi minutamente increspando per immenso tratto, onde incontrandosi con tali ondeggiamenti
nellorgano del nostro udito, e quello trovando molle e arrendevole, glimprime un certo tremore che
noi suono appelliamo. Finquì gli Stoici senza proseguir più oltre: ma al Gassendo quadra così
mirabilmente la proprietà dun tal esempio, chei vorrebbe pur adattarlo in tutto, e sì farlo tornare
acconcio a spiegare anche le particolari proprietà del suono, una delle quali, come si disse, è
linalterabil velocità del suo moto. Dice egli pertanto che questo imperturbabil tenore di velocità nel
suono ritrae da un altro simile, il qual sosserva ne suddetti increspamenti dellacqua; i quali, a detta
sua, non si fanno più velocemente o più lentamente, ma con pari velocità si conducono a riva, sia il
sasso grande o piccolo, o cada col solo momento del proprio peso nellacqua o vengavi da
grandissima forza scagliato; il che, sia detto con pace di quel granduomo, abbiamo trovato esser
falso, avendo noi osservato con replicate esperienze che quanto è maggiore il sasso e con quanta
maggior forza è tirato in acqua, tanto i cerchi giungono più veloci alla riva.
SECONDA ESPERIENZA
Accade unaltra cosa stupenda intorno al movimento del suono, come riferisce il medesimo
Gassendo, che egli né per soffio di vento contrario si ritarda né per fiato daura favorevole va più
veloce, ma sempre in uguale spazio di tempo con passo imperturbabile lo stesso cammino trascorre.
Questo ancora abbiamo voluto confrontare con lesperienza e labbiamo trovato verissimo in questo
modo.
In tempo che tiravano Ponenti si fecero due spari di due pezzi, uno situato per Levante, laltro
per Ponente al luogo dellosservazione, e ciascuno in ugual distanza da esso, onde questo era
favorito, quello disfavorito dal vento. Nientedimeno lun e laltro trasmesse sempre in ugual tempo il
suo suono agli osservatori, misurato il suddetto tempo da ugual numero di vibrazioni dello stesso
oriuolo, avvegnaché loriental tiro giugnesse notabilmente più languido delloccidentale.
TERZA ESPERIENZA
In occasione delle suddette esperienze cadde in animo a un nostro Accademico che, oltre
allesser ugualmente veloce il moto di tutti i suoni, potesse anchessere equabile; meditando in fin
dallora, sul fondamento di questa immaginata verità, acquisto di varie cognizioni non meno curiose
che utili. Ma per chiarirsi prima se talequabilità veramente fosse, furon fatte le seguenti esperienze.
In distanza dun miglio de nostri puntualmente misurato, che sono braccia dette volgarmente a
terra tremila, si fecero far più tiri, cioè sei di spingarda e sei di mastio, in ciascun de quali dalla
veduta del lampo allarrivo del suono si contarono al dondolo delloriuolo intorno a dieci intere
vibrazioni, ciascuna delle quali erano un mezzo minuto secondo. Replicati i medesimi tiri a mezzo
il miglio, cioè alla metà della distanza, anche loriuolo dette precisamente la metà del tempo,
contandosi per ogni tiro intorno a cinque delle medesime vibrazioni; onde ci parve di rimaner
certificati della supposta equabilità.
Le conseguenze poi che si pretendono di cavare da questa equabilità sono, fra laltre, che per via
di lampi e di suoni di diversi tiri potremo aver lesatta misura delle distanze de luoghi, e
particolarmente in mare, di legni, di scogli e disole, dove non si possono fare a suo piacere varie
posizioni come bisognerebbe volendosi servire degli strumenti ordinari. Potremo anche da una
semplice percossa data sopra legno, pietra, o metallo, o altro corpo risonante, argumentare quanto
colui che percuote sia lontano da noi, numerando le vibrazioni dalla caduta dello strumento con cui
vien fatta la percossa, a che se node il colpo, il quale se averà vento favorevole sudirà discosto per
qualche miglio. Sarà ancor facile e curioso a sapersi quanto da noi siano lontane le nuvole, e in che
distanza da terra si creino i tuoni, misurando i tempi da che si vede il baleno a che quegli si sentono.
Se vorremo poi la distanza de luoghi i quali, o per la globosità della terra fra essi, o per
linterposizione di monti o altri simili ostacoli, non si possono scambievolmente vedere, potremo
tuttavia assai facilmente conseguirla, e ciò per mezzo di doppio sparo, concertando che a un nostro
tiro di là si risponda subito con un altro tiro, e presa la metà del tempo scorso dal nostro cenno
allarrivo della risposta, si averà precisamente la metà del cammino del suono, cioè lintera distanza
del luogo che si cercava.
Con questo stesso mezzo del suono potremo raggiustar le carte de luoghi particolari, e formar
piante di diversi paesi, pigliando prima gli angoli di posizione delle città, castelli e villaggi per
situarli acconciamente a lor luoghi; ed altre simili curiosità forse ancora assai utili e da non esser
interamente disprezzate.
Per la notizia poi di ciascuna distanza ignota ci servirà di scala il tempo che il suono pena a
correre una distanza nota dun miglio, trovato da noi esser cinque minuti secondi.
ESPERIENZE
INTORNO AI PROIETTI
Credette il Galileo che quando in cima duna torre fosse una colubrina livellata, e con essa si
tirassero tiri di punto in bianco, cioè paralleli allorizzonte, per poca o molta carica che si desse al
pezzo sì che la palla andasse a cadere or lontana mille braccia, or quattromila, or seimila, or
diecimila, ecc., tutti questi tiri si spedirebbono in tempo uguali tra loro, e ciascheduno uguale al
tempo che la palla consumerebbe a venir dalla bocca del pezzo fino in terra, lasciata
senzaltrimpulso cader semplicemente giù a perpendicolo, quando però non vi fosse laccidentale
impedimento dellaria la quale può ritardare in parte il moto velocissimo del tiro. Questopinione
avendo noi voluto mettere al cimento dellesperienza ci parve che ci reggesse assai bene, onde
piglieremo a raccontar quel poco che in tal maniera possiamo dire daver veduto di certo.
PRIMA ESPERIENZA
In su la torre della fortezza vecchia di Livorno alta braccia cinquanta, con falconetto di libbre 7
1/3 di palla di ferro e libbre 4 di polvere fina, si fecero più tiri di punto in bianco versò la marina
con palle fasciate, e queste si videro dar sullacqua in distanza di circa due terzi di miglio in tempo
di vibrazioni quattro e mezzo, landare e l ritorno di ciascuna delle quali importava un mezzo minuto
secondo. Osservata poi la caduta perpendicolare daltre palle uguali dalla suddetta altezza di braccia
cinquanta, si trovò farsi in numero quattro delle medesime vibrazioni.
SECONDA ESPERIENZA
Con colubrinetta da quattordici libbre di palla similmente di ferro e libbre dieci di polvere fina,
le palle fasciate arrivaron su lacqua in cinque delle suddette vibrazioni, e le ignude in cinque e
mezzo, e parve che dessero alquanto più lontano delle fasciate.
TERZA ESPERIENZA
Scrive il Galileo in proposito de proietti queste precise parole. Sparisi da unaltezza di cento o
più braccia un archibuso con palla di piombo, allingiù perpendicolarmente sopra un pavimento di
pietra; e col medesimo si tiri in una simil pietra in distanza dun braccio o due, e veggasi poi qual
delle due palle si trovi essere più ammaccata: imperocché se la palla venuta da alto si troverà meno
schiacciata dellaltra, sarà segno che laria le averà impedità o diminuita la velocità conferitale dal
fuoco nel principio del moto; e che per conseguenza una tanta velocità non le permetterebbe laria
che ella guadagnasse giammai venendo da quantosivoglia sublime altezza. Che quando la velocità
impressa dal fuoco alla palla non eccedesse quella che per sé stessa naturalmente scendendo potesse
acquistare, la botta allingiù doverebbe piuttosto esser più valida che meno. Io non ho fatto
questesperienza (soggiunse il medesimo Galileo), ma inclino a credere che una palla darchibuso o
dartiglieria cadendo da unaltezza quanto si voglia grande, non farà quella percossa chella fa sparata
in una muraglia in lontananza di poche braccia: cioè di così poche, che il breve sdrucito o vogliamo
dire scissura da farsi nellaria non basti a levar leccesso della furia soprannaturale impressale dal
fuoco.
Noi abbiamo fatta questa prova con un archibuso rigato, non già sparandolo contro una pietra
per osservar lammaccatura della palla, ma bensì contro un pettabbotta di ferro. In esso adunque
abbiamo veduto, che i tiri fatti da minor altezza vimprimevano forma assai più profonda di quelli
che da maggiore venivan fatti; imperocché (dicevano alcuni seguitando in ciò il parere del Galileo)
nel più lungo viaggio che fa la palla fendendo laria, si va di continuo smorzando in essa quellimpeto
e forza soprannaturale impressale dalla violenza del fuoco.
QUARTA ESPERIENZA
In confermazione di quello che asserisce in più luoghi il medesimo Galileo, che la virtù
impressa ne proietti per novella direzione di moto non si distrugge, proposero alcuni di fare la
seguente esperienza.
Accomodato sopra una carretta a sei cavalli un saltamartino da una libbra di palla di ferro, in
modo chegli stesse eretto allorizzonte, si fecero con esso diversi tiri e tutti con listessa misura di
danari tre di polvere da moschetto. Alcuni di essi si fecero stando ferma la carretta, ed altri in quel
mentre chella correva di tutta carriera sopra una pianura ugualissima. Ne primi le palle ricaddero
intorno alla bocca del pezzo; ne secondi, dopo il corso della carretta per braccia sessantaquattro
passate dallo sparo al ritorno della palla, rimasero indietro al medesimo pezzo sole braccia quattro
in circa, e i tempi degli uni e degli altri tornarono prossimamente uguali.
QUINTA ESPERIENZA
Fatta la medesima esperienza con un balestrone di quei che si caricano col martinetto, le palle di
piombo donce tre in braccia settantotto di corso (sintende sempre dallo scatto al ritorno) restarono
indietro alla carretta solo braccia sei, e quelle di creta ordinaria in braccia cento, braccia diciassette
e mezzo. Onde alcuni si confermarono sempre più in questopinione del medesimo Galileo, che laria
detragga non poco allimpeto de gravi che la fendono, e più sensibilmente ai corpi più leggieri.
ESPERIENZE VARIE
Benché si sia sempre procurato nella nostra Accademia di tener un filo continuo di sperimentare
sopra qualche materia, ciò non ha tolto che non si sia talora intromessa qualche particolare
osservazione fuori di quella, di man in mano che suggerivano gli Accademici ciascuno secondo il
bisogno de propri studi. Or queste avendo fatta una massa desperienze slegate, e che per lo più
hanno poca o niuna connessione tra loro, sè riscelta tra esse ancora qualche notizia; delle quali per
dar il saggio come dellaltre, labbiamo riserbate in questultimo luogo per compimento del libro.
ESPERIENZA
PER CONOSCER IL PESO ASSOLUTO DELLARIA
RISPETTO ALLACQUA
Si prese una palla di piombo chiusa da per tutto e piena daria, la quale, perché immersa
nellacqua non vi si profondava, saggravò esteriormente con tantaltro piombo che andasse a fondo; e
pesato in aria con bilancia esattissima tutto il composto, si trovò grani 31.216.
Tuffato in acqua il medesimo composto pendente dalla medesima bilancia, si ridusse a g. 4672,
sì che la differenza che è g. 26944 fu il peso assoluto duna mole dacqua uguale alla mole del
suddetto composto.
Schiacciata poi per via di compressione la medesima palla per quanto poté resistere la sua
grossezza, e ripesatala in aria con tutto il piombo, tornò g. 31209; e tanto si concluse essere il peso
assoluto di tanta mole daria non compressa, quantera quella che nella palla occupava lo spazio
scemato per lammaccamento.
In questo stato rimesso in acqua tutto il composto e pesatolo, si trovò g. 12518, che sottratti da
31209 (peso in aria della palla schiacciata) danno di residuo g. 18691 peso duna mole dacqua
uguale alla mole del medesimo composto dopo lammaccamento. Questo peso dunque di g. 18691
sottratto dallaltro peso di g. 26944 lascia il residuo g. 8253, che vien a esser il peso duna mole
dacqua uguale ad altrettanta mole daria che pesò g. 7. Quindi si concluse che il peso di quella sorta
daria pesata da noi, al peso daltrettantacqua avesse la proporzione di 7 a 8253, cioè di 1 a 1179.
Replicatasi da noi questesperienza in diversi tempi, la proporzione non è tornata mai la
medesima; vero è che gli svari non sono stati grandissimi, battendo in uno o in due o in tre centinaia
di grani più o meno: che è quanto si può pretendere nel far paragone tra una cosa che, per così dire,
non si muta mai di peso, ed unaltra che non è mai la medesima.
ESPERIENZE
INTORNO AD ALCUNI EFFETTI DEL CALDO E DEL FREDDO
PRIMA ESPERIENZA
Poste in su le bilance dette il saggiatore due verghette dacciaio di peso uguali, una infuocata e
una fredda, par che questa rimanga più grave dellaltra: ma accostandole poi in breve distanza un
carbone acceso o un ferro rovente, ritorna subito ad equilibrarsi con la calda. Lo stesso avverrà se le
verghette saranno doro, dargento o di qualsivoglaltro metallo; anzi il rappresentamento dun carbone
acceso fatto per di sopra ad una delle scodelle vote la solleva, e fatto per di sotto labbassa. Non per
questo vi fu tra noi chi corresse a credere che il semplice riscaldamento, come tale, potesse alterare
in alcun modo la gravità ordinaria del metallo, anzi considerarono alcuni che la pression dellaria al
pari dognaltra cagione potessaver la sua parte in questapparenza.
SECONDA ESPERIENZA
Avendo noi pieno dacquarzente la metà del vaso A B alto di collo da un braccio e mezzo con le
due palle serrate dugual tenuta, e messa la palla A in un bicchier dolio posto al fuoco, cominciò
lacquarzente a dar segno della solita rarefazione col sollevarsi: ma bollendo poi lolio assai forte, a
poco a poco lacqua trapassò tutta nella palla di sopra, lasciando affatto vota quella di sotto con la
metà inferiore del cannello. È però necessario, a voler che questeffetto segua, oltre al fuoco
gagliardo il soffiar continuamente ne carboni che stanno intorno al bicchiere; e ciò savverta a farlo
per un foro dunasse che serva di parapetto a chi soffia, dietro alla quale stiasi parimente
losservatore guardando per un cristallo. Imperciocché ridotta che è lacquarzente nella palla di sopra
la fa scoppiare; e talora non solamente quella di sopra ma quella di sotto ancora è crepata con sì
grandimpeto per allingiù, che una volta infra laltre essendosi adoprato in cambio del bicchier di
vetro un vaso di rame, gli roppe il fondo, e sfondato parimente un bracier di ferro che pur era di
grossa piastra, scheggiò una pietra del pavimento. Lolio ed il vetro furono poi scelti perché la loro
trasparenza manifestasse meglio il progresso di questo ammirabile avvenimento, benché la cera, la
pece ed il lardo e forse ogni materia untuosa operi listesseffetto.
TERZA ESPERIENZA
Per far qualche cosa in grazia dellAntiparistasi empiemmo di ghiaccio minutamente trito un
vaso di piombo, e messovi un termometro di 50 gradi lo lasciammo ridurre in stato di quiete che fu
intorno a gr. 13 œ. Allora tuffammo il suddetto vaso in un catino dacqua bollente, ponendo mente al
termometro se in quellistante che il ghiaccio veniva circondato dal suo contrario dava segno dalcun
risalto di maggior freddo con labbassarsi. Ma egli, per quante volte si reiterasse questesperienza,
non fu mai veduto alterarsi dun sol capello; come né meno si vide mai sollevare, quando per lo
contrario ripieno il vaso dacqua calda si tuffava nella ghiacciata: anzi che allora ben presto vedeasi
cominciare a scendere, secondo che per lacqua fluida gli arrivava più presto la qualità dellambiente
che non faceva nella prima esperienza per mezzo l ghiaccio. E non è che non savessero tutte
lavvertenze acciocché laria circonfusa al termometro nellimmergere il vaso di piombo ne diversi
ambienti non ricevesse alcuna alterazione da essi, essendo il suddetto vaso stato incastrato in unasse
che allargandosegli intorno per ogni verso toglieva ogni comunicazione tra l catino di sotto, dove
rimaneva immerso, e laria di sopra; ma con tutto questo non sarrivò mai a veder niente di più di
quello che sè narrato.
QUARTA ESPERIENZA
Per aver qualche lume se il raffreddarsi dun corpo derivi da insinuazione dalcuna spezie datomi
particolari del freddo, sì come è opinione che per atomi di fuoco si scaldi, facemmo far due caraffe
di cristallo uguali con un collo tirato allestrema sottigliezza. Di queste, sigillate alla fiamma, una ne
ponemmo nel ghiaccio e laltra nellacqua calda, dove lasciatele star qualche tempo, rompendo poscia
a ciascuna il collo sottacqua, osservammo nella calda riempimento soperchio di roba penetratavi,
scoprendolo il gorgogliar dellacqua dal gagliardo soffiar della caraffa appena chella fu aperta. Lo
stesso sarebbe paruto ad alcuni che dovesse seguire in aprir la fredda, quando il raffreddamento
dellaria di essa fosse proceduto in un modo simile al riscaldamento dellaltra, cioè per intrusione o
inzeppamento datomi freddi spirativi dal ghiaccio per le vie invisibili del cristallo. Ma ne succede
tutto lopposto; imperocché in vece desalar materia soperchia parve piuttosto chella dimostrasse
votamento o perdita fatta dalcuna cosa (se pur non fu ristrignimento di quella che vera)
succhiandosi in quello scambio tantacqua.
QUINTA ESPERIENZA
Il vetriolo, cavato che se nè lo spirito, rimane comun tartaro o gruma di color di fuoco
vivamente acceso, il quale con lunghissimo fuoco e continuo distilla un olio nero poco meno che
inchiostro, di virtù fortemente corrosiva. Questo mescolato con acqua in certa proporzione vi
produce immediatamente calore, il qual crescendo sensibilmente senza levar bollore né fumo, arriva
a segno che il bicchiere dovè tal mestura malamente si può comportar in mano. Succede lo stesso
effetto a mescolarlo con tutti gli altri liquidi, fuorché con lolio e collacquarzente, de quali il primo
non saltera punto dal suo stato naturale, e la seconda, se pur lo fa, lo fa per così dire
insensibilmente. Per lo contrario è notissima esperienza che il sal nitro risoluto in acqua la
raffredda, e il sal armoniaco lagghiaccia a segno che se nellacqua, dovegli è stemperato in giusta
dose, si metterà in un vaso di sottilissimo vetro dellaltracqua raffreddata prima notabilmente col
ghiaccio, il freddo che produce il suddetto sale nel liquefarsi è bastante a farla gelare. Ora messi
insieme un terzo di sal armoniaco e due terzi del suddetto olio di vetriolo, ne segue un effetto
stranissimo; imperciocché via via che il sale in esso si va solvendo, fuma ed alza furiosamente il
bollore, e tanto più se sandranno rimaneggiando con un fuscello, poiché allora si leva più
facilmente tutta quella mestura in ischiuma a segno che talora ha occupato spazio venticinque volte
maggiore che non occupavano insieme le due moli distinte dellolio e del sale. Ma con tutta questa
furia di fumare e bollire, non solo non si riconosce nella mestura suddetta alcun principio di
riscaldamento, ma nasce in lei un freddo maraviglioso per cui si ghiaccia il vetro del bicchiere che
la contiene, e lacquarzente dun termometro che vi sia immerso velocemente discende, finché
dissipato e sfumato il sale cessa il bollore, e lolio ritorna al suo stato naturale.
Tal producimento di freddo è dai noi stato riconosciuto ogni volta che abbiamo replicata questa
esperienza; vero è che questo, come anche il bollore ed il fumo, è più o meno secondo chè più
potente il sale o più raffinato il liquore. Abbiamo ancora osservato che poche gocciole dacquarzente
o di spirito di vetriolo messo nellolio in su la furia maggiore del bollimento, la fermano e fanno sì
che la mestura subitamente riscaldi. Aggiuntovi olio di tartaro saumenta in essa il calore, torna a
sollevarsi il fumo e ribolle; ma per infusione di spirito di zolfo torna incontanente a freddarsi.
È degno di reflessione che sì come lolio di vetriolo mescolato con ogni liquore riscalda, dallolio
e dallacquarzente in fuori, così ancora il sal armoniaco stemperato in ogni liquore più o meno tutti
gli raffredda, toltine parimente lolio e lacquarzente, ne quali solamente non opera; e a metter poi
insieme lolio di vetriolo e l suddetto sale, ne segue quel mirabil bollimento a freddo che sè narrato.
ESPERIENZE
PER VENIR IN COGNIZIONE SE IL VETRO E L CRISTALLO
SIANO PENETRABILI DAGLI ODORI E DALLUMIDO
PRIMA ESPERIENZA
INTORNO AGLI ODORI
Olio di cera, quintessenza di zolfo ed estratto dorina di cavallo, che si tengono per gli odori più
acuti e potenti che sieno, non traspirano sensibilmente da unampolletta sigillata a vetro per molto
che quelli vi si diguazzino e che questa si riscaldi. Quellalito ancora di finissimo spirito che sfuma
nel tagliar la buccia dun cedrato acerbo, o che dalla stessa buccia premuta sprizzar minutamente si
vede, non penetra a dar odore allacqua che in un vasetto di sfoglia sottilissima di cristallo
ermeticamente sia chiusa. Similmente sigillata una Starna in un sottil vaso di vetro, e rimpiattata in
un angolo duna stanza, da un Bracco fatto rigirare un pezzo in quella vicinanza non vien dato segno
di sentirne il sito.
SECONDA ESPERIENZA
INTORNO ALLUMIDO
Una palla di vetro sigillata alla fiamma, piena di sale macinato e perfettamente rasciutto, dopo
essere stata per dieci giorni nel fondo duna cisterna e per altrettanti in una conserva di ghiaccio, non
cresce di peso, e rotta se ne cava il sale asciuttissimo a segno che nel votarsi spolvera.
È ben accaduto alcuna volta di trovar nellampolletta del sale qualche minima parte di esso
leggiermente inumidita, ma da ciò non sarguisce penetrazione; perché quandella veramente vi fosse,
non pare che dovessesser più in una parte che in unaltra; ma il trovarsi sempre questo poco di
bagnamento in un luogo solo è assai apparente cagione di credere, ciò non esser altro che quel poco
dumido che la forza del freddo poté spremer dallaria rimasta nel vaso per via del solito
appannamento.
ESPERIENZE
INTORNO ALLA LUCE E SUOI EFFETTI
PRIMA ESPERIENZA
Suggerisce il Galileo, nel primo dialogo de trattati delle due nuove scienze, un modo assai facile
per tentar di venir in cognizione se la luce si muova con tempo o pure con istantanea velocità.
Consiste questo nelladdestrarsi due compagni a scoprirsi a vicenda due lumi, in modo che alla
scoperta delluno risponda immediatamente la scoperta dellaltro; sì che quando luno scuopre il suo
lume vegga nello stesso tempo comparire alla sua vista il lume del compagno. Aggiustata cotal
pratica nella suddetta breve lontananza, vuole il medesimo Galileo che gli stessi osservatori si
provino in lontananza maggiore, per vedere se le risposte delle loro scoperte ed occultazioni
seguano secondo lo stesso tenore chelle facevano da vicino, cioè senza dimora osservabile. Noi in
lontananza dun miglio (che per landar dun lume e la venuta dellaltro vuol dir due) non ve labbiamo
saputa ritrovare: se poi in distanza maggiore sia possibile larrivare a scorgervi qualche sensibile
indugio, questo non cè per anche riuscito di sperimentare.
SECONDA ESPERIENZA
La luce rifratta dalla lente cristallina, o riflessa dallo specchio ustorio, non vale ad infiammar
lacquarzente benché resa opaca con qualche tintura. Del resto tra le materie accendibili la polvere
darchibuso si leva in fiamma allunione de raggi della lente o dello specchio, ma la pastiglia, il
balsamo bianco, la storace e lincenso si liquafanno ma non saccendono. Parimente la carta e la tela
dOlanda bianchissima, avvegnaché distese sespongano al riverbero dun grande specchio ardente,
finalmente saccendono. Non è per tanto vero che la luce non infiammi le cose bianche e candide
comè trita opinione; vero è che con maggior difficoltà dellaltre cose colorate ricevono il fuoco, e
forse con un piccolo specchio e una lente non sarriva ad accenderle.
TERZA ESPERIENZA
Oltre alla pietra da fuoco vi sono alcuni corpi de quali par che si faccia maggior conserva di
luce, imperocché a batterli insieme e a romperli al buio ne disfavillano. Tali sono il zucchero
candito, il zucchero in pane ed il sal gemma lapillato, i quali pesti nel mortaio mandano fuori in
tanta copia la luce, che sarriva a scorger distintamente i lati di esso mortaio e la forma del pestello.
Non cè già riuscito di veder questa medesima apparenza a pestare il sal comune in pietra, lallume e
il sal nitro, come né meno a pestar i coralli, lambra gialla e la nera, i granati e la marcasita: ma e l
cristal di monte e lagate e diaspri orientali o percossi insieme od infranti danno un lume
chiarissimo.
ESPERIENZE
INTORNO ALLA DIGESTIONE DALCUNI ANIMALI
Mirabile è la forza con la qual sopera la digestione delle Galline e dellAnatre, le quali imbeccate
con palline di cristallo massicce, sparate da noi in capo di parecchie ore ed aperti i loro ventrigli, al
sole parevano foderati duna tunica rilucente, la qual veduta col microscopio si conobbe non esser
altro che un polverizzamento finissimo ed impalpabile di cristallo.
In alcune, imbeccate parimente con palle di cristallo ma vote e forate sottilmente, ci siamo
abbattuti a veder delle suddette palle, altre già peste e macinate, ed altre solamente incominciate a
fendersi, e ripiene di certa materia bianca simile al latte rappreso entratavi per quel picciolissimo
foro; ed abbiamo sottosopra osservato che quelle macinano meglio dellaltre, che hanno ne loro
ventrigli maggior copia di sassoli inghiottiti. Quindi con minor maraviglia stritolano e pestano il
sughero e gli altri legni più duri, come il cipresso ed il faggio, e arrotano e finalmente rompono in
minutissime schegge i noccioli dellulive, i pinocchi durissimi ed i pistacchi fatti lor ingoiar con la
buccia. Le palle di pistola in capo di ventiquattrore le abbiamo trovate schiacciate notabilmente, e
dalcuni quadrelli di stagno voti, parte ne trovammo graffiati e storti, e parte sfondati da parte a
parte.
IL FINE.
NOTE
1 Nell'originale "maggor" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
2 Nell'originale "occuparto" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
3 Nell'originale "coi" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
4 Nell'originale "un" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
5 Nell'originale "scancciandone" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
6 Nell'originale "sottilismaria" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
7 Nell'originale "consegunza" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
8 Nell'originale "teza" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
9 Nell'originale "lnferior" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
10 Nell'originale "traboccare." [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
11 Nell'originale "aqua" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
12 Nell'originale "cadere," [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
13 Nell'originale "si" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
14 Nell'originale "cia" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio].
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