permettendole nondimeno di ricevere le mie lettere e di rispondermi; credo che volesse aspettare la
sistemazione della mia eredità, ch'egli supponeva molto al disotto di quanto è stata. C'erano, è vero,
molti debiti da pagare; ma non abbastanza da sciuparmela!
Il mio amore sincero per Clementina aveva molto influito su la mia vita e sul mio carattere. Mi
ricordo che una volta, per esempio, avrei potuto veder nuda, riflessa dal suo specchio, la mia padrona
di casa, che non era né brutta né vecchia ed io invece entrai in fretta nella mia camera. Un'altra volta,
d'estate, mi ritrassi dalla finestra perché a un'altra finestra, dall'altra parte della strada, a un piano più
basso, c'era una ragazza che si spogliava. Ora non lo farei più!
Ogni giorno m'accadeva di vedere e di osservare le stesse cose e le stesse persone. Il calzolaio di
faccia, che faceva invano la corte alla mia padrona: era un ometto piuttosto basso, magro, con i
baffetti sottili e gli occhi glauchi: ad ogni momento, lavorando, seduto sul suo panchetto, si passava il
dorso della mano, quella libera, sopra i baffetti.
Un altro vinaio che stava su la porta della sua fiaschetteria a guardare sempre quella della mia
padrona: qualche volta faceva anche pochi passi, nella strada, con le mani incrociate: portava un
grembiule con una gran tasca dove teneva i soldi e le chiavi, un berrettino scuro; e aveva i baffi neri,
alto e sempre serio, a capo basso. Quando entrava un cliente nella sua bottega, lo lasciava passare
innanzi e dava un'occhiata a quella della mia padrona. Sopra la sua insegna c'era una Madonna, ad
affresco, scalcinata e stinta: tutti i sabati le accendeva il lumino, tirando giù la fune a cui era attaccato;
riconoscevo perfino il lieve cigolio della carrucolina. E poi restavo, dietro i vetri, a guardare quel
lumicino che faceva scorgere soltanto le mani e le ginocchia della Madonna.
Nella casa di faccia alla mia, un poco di sghembo, perché la via non è dritta, c'era un laboratorio di
sarta. Una delle ragazze, saranno state quasi una dozzina, non andava, nell'ore di riposo, a mangiare
come facevano le altre; ma socchiudeva la finestra dietro la quale prima aveva mangiato, in piedi, il
suo spicchio di pane con il companatico, per fare all'amore con uno studente che aveva la finestra di
fianco alla mia. Il sole batteva tra l'una e le due, proprio su la faccia, ma stava per tutto quel tempo
quasi immobile: era biondissima, con una carnagione più rossa che rosea. Non sorrideva mai, forse
per nascondere di più agli altri il suo motivo di star lì.
Sopra a me, abitava la moglie di un pizzicagnolo, e tutti i pomeriggi, il vicecurato della nostra
parrocchia saliva da lei: ne sparlavano, ma non ci credo. Era pallida e con un collo così gonfio che mi
faceva pensare a quello di un'anatra quando ha il gozzo pieno.
Qualche sera, io escivo e andavo in Piazza di Provenzano: c'era più fresco e vedevo la campagna
doventar madreperlacea, dietro le mura della città, tutte rosse e più alte o più basse secondo la forma
dei poggi che, di seguito, salgono e poi scendono. In fondo, il Monte Amiata che brillava come una
seta azzurrognola; mentre gli avvallamenti del terreno, quasi tutto creta, si empivano di un'ombra
violacea, e i rialzi s'illuminavano di giallo o di bianco. Poi l'ombra velava ogni cosa, i colori si
confondevano e sparivano: e tutta la campagna mi dava un senso di solitudine che mi scoraggiava.
Quando m'allontanavo dal murello, su cui m'ero appoggiato con il petto e con i gomiti, i tre lampioni
della piazza erano già stati accesi, la facciata della Chiesa era più grigia, la cupola pareva per sparir
nel cielo con la sua palla dorata che non luccicava più. Via Lucherini, in salita, era oscurissima: io
tornavo a casa toccando uno per volta i colonnini dalla parte del mio marciapiede. Qualche volta, da
un uscetto, che è più alto della strada due scalini, esciva una meretrice che ci stava di casa. Ed io, per
guardarla, una volta, buttai giù, urtandoci, una gabbia con un merlo; che un ciabattino teneva attaccata
ad uno stipite fuor della sua bottega.
***
La mia anima è cresciuta nella silenziosa ombra di Siena, in disparte, senza amicizie, ingannata tutte
le volte che ha chiesto d'esser conosciuta.
E così, molte volte, escivo solo, di notte, scansando anche i lampioni. Per lo più andavo fino alla
Piazza dei Servi, tutta pendente dalla scalinata della chiesa, con due abeti in mezzo a due piccoli prati,
divisi tra loro dalla imboccatura della strada. Accanto alla Chiesa, un convento, quasi di faccia, un
angolo: di là dal muro, Siena con tutta la sua torre. Allora pensavo alla mia fidanzata.
Siccome mi riesciva di vivere, così, separato da tutti, ogni volta che qualcuno mi guardava con quella
sua curiosità acuta che m'offendeva, io doventavo più triste; e facevo la strada più corta possibile, non