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tigre della Malesia (La)
Emilio Salgari
TITOLO: La tigre della Malesia
AUTORE: Salgari, Emilio
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: La tigre della Malesia : versione originale
de Le tigri di Mompracem apparsa in appendice
sulla "Nuova Arena" di Verona;
di Emilio Salgari;
prefazione di Roberto Fioraso;
collezione: Salgari & Co;
Editrice Viglongo;
Torino, 1991
CODICE ISBN: 88-7235-041-7
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 13 febbraio 2004
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Marco Del Barba, kdelba@tin.it
REVISIONE:
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it
Emilio Salgari
LA TIGRE DELLA MALESIA
CAPITOLO I
La mezzanotte del 20 aprile 1847, un acquazzone diluviale, accompagnato da scrosci di folgore e da
impetuosi soffi di vento subissava la solitaria e selvaggia Mompracem, isola situata sulle coste
occidentali di Borneo, e il cui nome bastava in quei tempi a spargere il terrore a cento leghe
all'intorno. L'abitazione della Tigre della Malesia, posta come aquila su di una gran rupe tagliata a
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picco sul mare, a cinquecento passi dalle ultime capanne del villaggio di Gjehawem, quella notte,
contro il solito, era illuminata. Dai vetri colorati di una stanza a pianterreno, uscivano getti di luce
rossigna, che rischiaravano fantasticamente le asperidelle roccie e le trincee e le gabbionate sparse
all'esterno.
Diamo un'occhiata a questa stanza, luogo favorito del terribile capo dei pirati di Mompracem. Era
questo un salotto alquanto vasto, colle pareti sepolte sotto pesanti tessuti di broccatello, di velluto
cremisi e di sete di Francia, qua e là sgualciti, macchiati e rattoppati, e col terreno coperto da morbidi
tappeti di Persia, sfolgoranti d'oro e di colori.
Nel mezzo faceva bella mostra un tavolo intarsiato d'ebano e fregiato d'argento, destinato forse un
tempo, a qualche sfondolato riccone delle Filippine, e tutto ingombro di bottiglie e di calici del più
puro cristallo di Venezia. Addossati agli angoli, grandi scaffali, coi vetri infranti, chi sa per qual
capriccio del pirata, riboccanti di anelli d'oro, di arredi sacri contorti o schiacciati, di vasi di metallo
prezioso, di perle e di cumuli di diamanti e di brillanti mescolati assieme, scintillanti come tanti soli,
sotto i riflessi della gran lampada dorata sospesa al soffitto.
In un canto un divano turco, non meno ricco per dorature e sculture, colle frange strappate e le stoffe
infangate e spesso insanguinate; in un altro un armonium incrostato d'oro, colla tastiera di avorio, che
portava qua e certi segni, da credere che fossero stati fatti a colpi di scimitarra, avventati forse dal
pirata nei suoi momenti di delirio, e per ogni dove, ammonticchiati alla rinfusa, ricchi costumi, quadri
dalle tele screpolate, dovuti forse a celebri pennelli, tappeti arrotolati, lampade rovesciate, bottiglie
ritte o capovolte, porcellane infrante, moschetti indiani rabescati, brunite carabine, tromboni di
Spagna, e spade, scimitarre, scuri, piccozze e pugnali, bruttati di sangue e di resti di cervella!
In quella sala, co stranamente arredata, su di una poltrona, colla testa fra le mani, come di chi
medita, se ne stava Sandokan, il sanguinario capo dei pirati di Mompracem.
Quest'uomo, meglio conosciuto sotto il nome di Tigre della Malesia, che da dieci anni insanguinava le
coste del mar malese, poteva avere trentadue o trentaquattro anni.
Era alto di statura, ben fatto, con muscoli forti come se fili d'acciaio vi fossero stati intrecciati, dai
lineamenti energici, l'anima inaccessibile a ogni paura, agile come una scimmia, feroce come la tigre
delle jungla malesi, generoso e coraggioso come il leone dei deserti africani.
Aveva una faccia leggermente abbronzata e di una bellezza incomparabile, resa truce da una barba
nera, con una fronte ampia, incorniciata da fuligginosi e ricciuti capelli che gli cadevano con
pittoresco disordine sulle robuste spalle. Due occhi di una fulgidezza senza pari, che magnetizzavano,
attiravano, che ora diventavano melanconici come quelli di una fanciulla, e che ora lampeggiavano e
schizzavano fiamme. Due labbra sottili, particolari agli uomini energici, dalle quali, nei momenti di
battaglia, usciva una voce squillante, metallica, che dominava il rombo dei cannoni, e che talvolta si
piegavano a un melanconico sorriso, che a poco a poco diventava un sorriso beffardo fino al punto di
trovare il sorriso della Tigre della Malesia, quasi assaporasse allora il sangue umano!
Da dove mai era uscito questo terribile uomo, che alla testa di duecento tigrotti, non meno intrepidi di
lui, aveva saputo in poco volger d'anni farsi una fama funesta? Nessuno lo avrebbe potuto dire. I
suoi fidi stessi lo ignoravano, come ignoravano pure chi egli si fosse.
Qualcuno, che voleva saperla più lunga di tutti, o che forse realmente sapeva qualche cosa, opinava
che fosse un Sambas delle coste settentrionali del Borneo, qualche altro invece, opinava che fosse un
Malese, o un Giavanese, o un Dajacho.
A ogni modo si sapeva che egli era il più terribile e il più capriccioso dei pirati della Malesia, un
uomo che più di una volta era stato visto bere sangue umano, e, orribile a dirsi, succiare le cervella dei
moribondi. Un uomo che amava le battaglie le più tremende, che si precipitava come un pazzo nelle
mischie più ostinate dove più grande era la strage e p fischiava la mitraglia; un uomo che, nuovo
Attila, sul suo passaggio non lasciava che fumanti rovine e distese di cadaveri.
Però se questa belva, se questo uomo-tigre era così sanguinario, non mancava di una certa generosità,
che lo rendeva più attraente.
Quante e quante volte egli aveva rimandato, rifiutando persino il riscatto, dei prigionieri, nemici suoi
personali. Quante e quante volte, dopo aver lottato ore e ore contro una nave ostinatamente difesa, con
gran strage dei suoi pirati e con gran pericolo di sé stesso, vintala, la lasciava ripartire senza nulla
esigere in compenso, e senza che i suoi tigrotti osassero alzare la voce.
Così, come era generoso, questo strano selvaggio, era pur cavalleresco. Il singolar uomo, quando gli
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veniva dato di fare prigioniere delle donne, usava verso di esse mille cortesie, improvvisando feste e
banchetti, e continuando in tal modo fino a che la smania della guerra lo riprendeva. Allora, una bella
notte, le faceva imbarcare a bordo dei suoi prahos, e senza chiedere uno spillo che fosse uno spillo,
senza voler accettare un ringraziamento, le conduceva alla costa più vicina, e prima che potessero
riaversi dalla sorpresa di quella strana generosità, le sbarcava, per ripigliare di poi la sua vita libera e
avventuriera.
Erano già parecchie ore che il pirata se ne stava lì, sdraiato sulla poltrona, colla fronte stretta fra le
mani, lo sguardo cupo e le labbra contratte. Il primo tocco della mezzanotte, suonato da un orologio
della stanza vicina, venne a trarlo da quella immobilità più che strana.
Si levò girando all'intorno lo sguardo ancor più torvo, tracan d'un fiato una tazza ricolma d'un
liquore color ambra, e calcandosi ben in capo il verde turbante cosparso di piccoli diamanti, ap la
porta e uscì.
Egli s'inoltrò in mezzo a un labirinto di trincee sfondate che parevano aver sostenuto più di un assalto,
fra terrapieni che non conservavano che l'ombra di stessi, d'antiche armi infrante e da rottami
d'ogni sorta, in mezzo ai quali facevano lugubremente capolino scheletri umani dalle vuote occhiaie e
monti d'ossami.
Nel passare, il pirata mise i piedi su di un teschio umano, che s'infranse crocchiando.
- Maledetto! - esclamò la Tigre.
S'arrestò sull'orlo della rupe. La notte era tempestosa; il vento ruggiva fra le trincee e sul tetto
accuminato della capanna sfilacciando la bandiera color di sangue che ondeggiava sulla cima di una
grande antenna, e il mare muggiva furiosamente ai piedi delle scogliere, e i tuoni rombavano
orrendamente fra le masse vaporose.
Diede uno sguardo al villaggio di Gjehawem che stendevasi ai suoi piedi, l'asilo dei suoi cari tigrotti,
poi guardò attentamente il mare aspettando che un lampo lo rischiarasse.
Stette cinque minuti immobile, sull'orlo della rupe, colle braccia incrociate aspirando voluttuosamente
il vento infuocato del sud, lasciandosi flagellare dalla pioggia e collo sguardo fisso sullo sconvolto
oceano, poi ritor senza affrettarsi all'abitazione. Vuotò un'altra coppa e tornò a sdraiarsi sulla
poltrona. Non vi restò che un istante, parve indeciso, ritornò alla porta tendendo l'orecchio e facendo
un brusco voltafaccia si portò dinanzi l'armonium.
- Qual contrasto! - esclamò egli. - Al di fuori il ruggito del vento e del mare e qua io!
Fece scorrere le magre dita sulla tastiera traendone alcuni suoni che a poco a poco presero l'apparenza
di una romanza suonata con lentezza estrema, appena appena distinta fra lo scatenarsi della tempesta.
A poco a poco an accelerandosi quasi volesse esprimere il veloce pensiero del suonatore, per poi
ritornare lenta e melanconica fino a morire tra i soffi del vento. Sandokan si arrestò nel momento che
riprendeva la bizzarra romanza. Il suo occhio brillante si fissò sulla porta semiaperta per la quale si
introducevano sprazzi di pioggia, e parve ascoltare. Quasi nel medesimo istante un fischio acuto e
prolungato risuonò al di fuori.
- È lui! - mormorò il pirata e si diresse verso l'uscita colla dritta appoggiata sull'impugnatura del kriss.
La tempesta si scatenava allora con tutta violenza, ma erano gli ultimi sforzi che faceva. Già una tinta
chiara s'intravvedeva all'oriente, segno che le nubi spossate cominciavano a lasciar un varco.
Il pirata si spinse fino alla scala, accostò le dita alle labbra e, aspettando un momento in cui tutti quei
fragori parevano acquetarsi, mandò un fischio prolungato, modulato, a cui vi rispose un secondo del
tutto simile partendo fra le piante della pianura sottostante.
- Il mio uomo è arrivato in buon punto. Perdeva la pazienza - brontolò Sandokan.
Un'ombra si disegappié della tortuosa scala, che a poco a poco prese l'aspetto di un uomo avvolto
in un gabbano di tela cerata. Aiutandosi colle mani e coi piedi come scimmia e lottando contro il
vento che minacciava portarlo via per precipitarlo nell'abisso, giunse fino alla piattaforma.
- Sei tu, Yanez? - domandò Sandokan movendogli incontro.
- In persona - rispose quell'uomo, con l'accento straniero.
I due valentuomini entrarono assieme nell'abitazione rinchiudendo la porta. Sandokan prese posto
dinanzi la tavola empiendo due bicchieri, mentre l'altro, gettando in un canto il gabbano grondante
acqua e una ricca carabina indiana, faceva altrettanto.
- Alla tua salute, Sandokan! - esclamò egli tracannando in un sol fiato il liquore.
- Alla tua, Yanez - rispose il pirata, ma non lo vuotò che a metà.
Il nuovo arrivato non era abbronzato come il formidabile pirata, né si bello. Era un uomo di mezzana
statura, ma agile come un'anguilla, allegro come lo poteva essere un marinaio che nuota nel lusso e si
avvoltola nell'oro e con un misto di fierezza e di cortesia che lo facevano apparire a prima vista un
nobile cavaliero. E infatti l'occhio non poteva ingannarsi; Yanez de Gomera era un nobile portoghese
delle Celebe, uno di quegli uomini che emigrando aveano centuplicato il patrimonio e con che,
divoratolo in pazzie e ridotto sul lastrico, aveva avuto il coraggio di farsi marinaio, trafficando con un
piccolo prahos di poco valore fra le isole della Malesia. Era giunto ancora a raccozzare un po' di oro
col quale pensava d'impiantare una nuova fattoria a Borneo, quando cadde sotto le unghie di
Sandokan, che per una di quelle bizzarrie inesplicabili, gli aveva lasciato la vita e, non contento di
condurselo a Mompracem, aveva finito col farsene un amico, un confidente. Yanez de Gomera, un
discendente degli antichi avventurieri del Portogallo, aveva finito col diventare un pirata come il suo
padrone e amico. Non vi era arrischiata spedizione che egli non vi partecipasse quando Sandokan la
guidava e l'ordinava, non vi erano ostacoli che lo arrestassero quando egli ve lo mandava. Era come
un anello del formidabile pirata, pronto a farsi ammazzare per lui alla prima occasione, un uomo che
aveva le medesime bizzarrie e i medesimi capricci e che aveva finito col chiamarlo fratello. Tra lui e
il pirata non vi erano secreti; quei due uomini parevano nati l'un per l'altro: la morte sola avrebbe
potuto dividerli.
- Ebbene, Yanez, sono sei ore che ti aspetto - disse Sandokan, empiendo il bicchiere di lui.
- La tempesta mi ha sorpreso alle Romades - rispose Yanez. - Vedi, Sandokan, il cattivo genio vi
aveva messo la sua coda e soffiava come un'anima dannata sollevando il mare a prodigiosa altezza,
sbattendo il povero prahos fino alle nubi. Si sudava sangue per impedire che il legno affondasse.
Il formidabile pirata sorrise guardando suo fratello, il Portoghese, come lo chiamava lui.
- Ti confesso che per poco vi lasciava la pelle. Eravamo sui frangenti dell'isola tanto da credere che il
povero prahos vi si sfasciasse sopra, quando il buon genio ci ha spinti alla baia.
- E la crociera? Tu, Yanez, mi promettevi dei prahos da saccheggiare, non è vero?
Il Portoghese fece scoppiettare le dita come uomo contento, e tracannando il secondo bicchiere
continuò:
- Non aver fretta Sandokan; avrai la tua parte di cadaveri. Ieri mattina un Malese che pescava alle
Romades, un pirata dalla faccia verde come un alligatore, è venuto a trovarmi a bordo del mio prahos
con fare misterioso. Il brav'uomo, sicuro di guadagnarsi qualche bella perla, mi disse che al largo
delle isole si vedevano delle vele. Non aveva terminato che già ripigliava il mare colla prua al sud; i
miei uomini fremevano già come tigri, che fiutano del sangue.
Sandokan si fece più attento. Le sue labbra poco prima sorridenti si ritrassero mostrando i denti.
- Oh! Oh! - esclamò egli a mezza voce. - Tira innanzi, Yanez.
- È presto fatto. Il vento a mezzodì, canggirando al sud e non fu più possibile avanzare che a forza
di remi. Solamente verso sera, un'ora prima che la tempesta cominciasse a ruggire, giungemmo alla
vista delle Romades, malaugurate terre che paiono protette dai cattivi geni. Le tenebre calavano come
uno stormo di corvi, il mare montava spumeggiando, il vento ringhiava, ma la caccia non per questo
si abbandonò. Tutti volevano vedere sangue.
- E l'hanno veduto? - domandò Sandokan fattosi pensieroso.
- No, per mille milioni di diavoli. Potemmo vedere al largo uno dei prahos che, a tutte vele spiegate,
cercava approdare. Ti giuro, Sandokan, che aveva ventre rigonfio e portamento rispettabile. Ma il
maledetto fu perduto di vista, ancor prima che si potesse abbordarlo. Le tenebre e la tempesta
andavano allora d'accordo per aiutarlo, e chi sa ora dove si è cacciato.
- Tanto meglio! Tanto meglio! - ripeté Sandokan sorridendo.
- E perché, di grazia? - chiese Yanez lasciando andare un pugno sulla tavola.
- Percdomani pure io prenderò parte alla festa. M'immagino ormai qual via tenevano quei legni e
indovino quale sia il loro carico. Lo vedrai, Portoghese, almeno uno cadrà in nostre mani. I nostri
tigrotti potranno bere sangue.
- Bene, e poi dove si andrà? - chiese Yanez versandosi da bere.
Il pirata parve pensasse, poi si alzò, fece due o tre volte il giro della stanza e toccò per la seconda
volta la tastiera dell'armonium.
Il Portoghese si acconten di crollare la testa, e di sorseggiare il trasparente liquore, guardando
distrattamente nel fondo del bicchiere.
Accadeva spesso che la Tigre, per uno di quei capricci inesplicabili, suoi proprii, lasciasse sospesa la
domanda e si racchiudesse in un ostinato silenzio, che alcuno sarebbe stato capace di rompere.
- Lasciamolo suonare - mormorò l'avventuriero e, per non annoiarsi del tutto, an a staccare una
vecchia mandola, coll'intenzione senza dubbio di accompagnarlo.
Non aveva ancor toccate le corde, che Sandokan cessò dal suonare. S'avvicinò bruscamente al tavolo,
e guardando fissamente il Portoghese, gli domandò con voce alquanto sorda:
- Hai veduto alcun pirata delle coste del Borneo?
- Sì, ho veduto Akamba - rispose il Portoghese.
- Che nuove di Labuan? Quegli avvelenatori di popoli, quei rubaterre, quei cani di Inglesi, sono
sempre là accampati sull'isola?
- Credi tu, Sandokan, che il capitano Rodney Mundy avesse fatto una inutile comparsa a bordo
dell'Iris? Quei ladroni, dove gettano l'occhio, si fanno padroni.
- Hai ragione Yanez. Ma di' a loro, che muovan un dito contro Mompracem!... La Tigre della Malesia,
se l'osassero, saprebbe bere tutto il sangue delle loro vene!
- Lo so, Sandokan. Ascoltami ora.
- Ti ascolto.
- Sai che ho udito ancora parlare della Perla di Labuan?
- Ah! - fe' il pirata scattando in piedi. - Ecco la seconda volta che questo nome mi giunge agli orecchi
e che tocca stranamente una corda sconosciuta del mio cuore. Sai, Yanez, che questo nome mi
colpisce singolarmente? - Sai almeno che cosa sia questa Perla di Labuan?
- No. Non so ancora se animale o donna. Ad ogni modo mi mette curiosità.
- In tal caso, ti dirò che è una donna.
- Una donna?... Non l'avrei mai sospettato.
- Sì, fratellino mio, una giovanetta dai capelli castani profumati, dalle carni lattee, dagli occhi
incantevoli. Akamba, non so ancora in qual modo, la po vedere una volta, e mi disse che per
dimenticarla, gli occorrono fiumi di sangue, e almen cinquanta abbordaggi.
- Ah! - fe' il pirata con voce leggermente agitata. - Akamba ha detto questo?
- Sicuro.
- Deve essere, questa Perla, una creatura celeste per toccare il cuore di quel selvaggio.
- È quello che penso pur io, Sandokan. Sai, che io darei il meglio del mio bottino della settimana
scorsa per vederla?
Sandokan non rispose. Solo le sue labbra si contrassero in istrana maniera, lasciando a nudo i denti,
bianchi come l'avorio e accuminati come quelli di una tigre.
- Vivaddio! - esclamò il Portoghese. - Te lo confesso sinceramente, Sandokan, che mi sento scottare
dalla voglia di fare un giretto verso quella dannata isola. So, so bene che non sono che idee, ma...
- E perché non sono che idee? - chiese con tono beffardo Sandokan.
- Chi di noi, andrà a gettar l'âncora sulle coste di Labuan? Sono troppo pericolose oggi.
- Ah! - esclamò Sandokan. - Nol sai chi sarà l'audace, che spiccherà il volo per Labuan?
- In fede mia, nol saprei.
- Ebbene, fratello mio, quest'audace sarò io, la Tigre della Malesia!...
- Sandokan! - esclamò il Portoghese spaventato. - Tu ti vuoi perdere!
La fronte della Tigre s'annebbiò e lo sguardo si fece fosco.
- Guarda, Sandokan - continYanez. - Tu sei valoroso fra i valorosi, che fai mordere la polvere ai
più valenti campioni di Borneo. Le tue braccia accerchiano potentemente questi mari che possono
chiamarsi tuoi. Tu devii le palle dirette sul tuo petto e spunti le armi, ma la forza talvolta cede al
numero, e potrebbe darsi che a Labuan incontrassi un nemico potente e forte quanto te e fors'anche
più, che potrebbe accerchiarti, avvilupparti, soffocarti. Che ne dici, Sandokan?
Il pirata non disse verbo; solo la sua fronte s'otteneb ancor p e le labbra semi-aperte lasciarono
sfuggire un rauco sospiro che sembrava un lontano ruggito.
- Vedi - ripigliò Yanez, - tutti han giurato in questi mari la tua perdita. Il tuo nome suona troppo alto
fra queste isole ed insolita è la tua audacia. Credi tu che l'affamata Inghilterra non abbia gettato lo
sguardo sulla nostra Mompracem e non abbia teso delle reti a Labuan? Se puoi, domanda che fa quel
fumante incrociatore, di cui tu me ne hai parlato. Non può essere che una spia, non può essere che un
leone silenzioso nel deserto che s'aggira attorno la tenda dell'Arabo, aspettando il momento opportuno
per precipitarvisi contro. Se tu vai a Labuan, ti piomberà addosso prima che tu tocchi le coste
dell'isola maledetta.
- Ma incontrerà la Tigre!... - esclamò Sandokan che tramutavasi tutto.
- E sia. Il leone peri nella lotta, ma il suo ruggito giungerà fino alle spiaggie dell'occidente. Cento
nuovi leoni si slancieranno sulle traccie della Tigre, fino a che verrà un che la incontreranno
intavolando una suprema pugna. Morranno dei leoni, ma morrà anche la Tigre!
- Io?...
Sandokan si era alzato mugolando come la Tigre della Malesia. Un sinistro sorriso sfiorava le labbra
contratte pel furore, mentre gli occhi lanciavano lampi e le mani raggrinzate brandivano fremendo
un'arma immaginaria. Fu un lampo. Tornò a sedere vuotando fino all'ultima goccia il contenuto del
suo bicchiere.
- Hai ragione - diss'egli perfettamente calmo.
- Credi tu che abbiamo parlato bene?
- Troppo bene, fratello mio.
- E che recarsi a Labuan sia la massima delle imprudenze?
- Sì.
- Ebbene, che hai deciso?
Sandokan stette un momento sopra pensiero, poi con voce vibrante, metallica, irrevocabile:
- Andrò a Labuan a vedere la Perla, dovessi abbordare l'incrociatore e misurarmi con tutti gl'Inglesi
dell'isola!...
E siccome il Portoghese stava per ribattere la parola, stizzito:
- Silenzio - disse con gesto imperioso. - Silenzio, fratello mio. Così voglio!...
CAPITOLO II
I pirati di Mompracem
All'indomani, ancor prima che le sei fossero suonate, Sandokan e il Portoghese erano in piedi,
sorseggiando una tazza di the, che un garzone dalla tinta giallognola aveva loro preparato.
- Ebbene, Sandokan - disse il Portoghese, - sei ancora fermo nella tua idea?
- Fermissimo, fratello mio - rispose il pirata.
- E lasciarti tu sfuggire una bella occasione, d'abbordare dei prahos carichi di mercanzie preziose,
pel capriccio di recarti a Labuan?
- Oibò! Non aver paura, Yanez. L'interesse innanzi tutto.
- Sicché, daremo la caccia ai due legni?
- Certamente. Dove vedo sangue, e dove c'è occasione di fiutare polvere, ci corro.
- Per poi andarti a far assassinare a Labuan? Ah! Sandokan, tu tronchi il mio sogno di andar a finire la
mia vita in una città dell'oriente.
- Pueh! - fe' il pirata alzando sdegnosamente le spalle. - Che belle idee d'avventuriero.
- Cospetto! Vorresti tu che una volta tanto ricco da sfidare la miseria, me ne restassi ancora a
Mompracem, come un sorcio in trappola?
- In tal caso, non prenderai parte alla spedizione. Non vedrai questa Perla, e potrai continuare i tuoi
sogni.
- Eh! Non lo pensare nemmeno, Sandokan.
- La Perla ti attira adunque?
- Niente affatto. Ma lasciarti partire senza di me, sarebbe metterti la corda al collo per appiccarti.
Senza la mia prudenza a quest'ora saresti morto le cento volte.
- Lo credi? - chiese la Tigre con tono incredulo.
- Sì, perdio, che lo credo.
- Ed io niente affatto.
- Perché, di grazia?
- Perché?... Perché io sono invulnerabile!...
- Tu vuoi burlarmi, Sandokan.
- Zitto là, fratello mio. I prahos, non sono d'umore di aspettare che tu finisca i tuoi discorsi. Prendi la
tua carabina e scendiamo al villaggio. I nostri tigrotti, mi pare di vederli, s'impazientano. Hanno sete e
sete di sangue.
Il Portoghese cacciò fuori un sospirone, e maledicendo in cuor suo la Perla di Labuan, staccata dalla
parete una pesante carabina, seguì la Tigre di già uscita.
L'uragano era del tutto cessato, lasciando solo qualche nube sull'orizzonte e le traccie del suo
passaggio nelle foreste dell'isola. Il sole, sciolti gli ultimi vapori, brillava all'oriente colla solita
fulgidezza, versando torrenti di fuoco nel mare ancor agitato dai soffi della notte, e sulle verdeggianti
pianure, in mezzo alle quali scorrevano numerosi ruscelli e torrenti, che parevan filoni d'argento
liquido, scesi da miniere inesauribili.
I due pirati scesero la tortuosa scala, e si diressero verso la spiaggia, presso la quale prahos d'ogni
dimensione e in completo armamento da guerra, danzavano all'âncora.
La loro comparsa fece uscire dalle capanne del villaggio tutti i pirati che le abitavano. Essi corsero
come un sol uomo a schierarsi dinanzi ai due capi presentando colle loro cento divise e le loro cento
tinte, uno spettacolo bizzarro.
Vi si vedevano in mezzo dei Cinesi dalla tinta gialla come poponi col pen-sse(1) nazionale; Indiani
dal capo rasato, cui una continua vita di pericoli aveva dato loro una certa dose di coraggio del quale
mancano generalmente i loro compatrioti; dei Malesi dalla statura bassa, ma membruti e robusti, dalla
faccia quadra, piatta, ossuta, a tinta fosca; dei Battiassi di una carnagione fuliggine chiara e ancor più
piccoli ma forse più robusti e che al coraggio aggiungevano ferocia d'antropofagi; dei Lampunghi non
molto dissimili dai Cinesi; dei Negritos d'orribile struttura e dalle teste enormi, e un miscuglio di
Giavanesi dai piacevoli lineamenti, di Daiassi del Borneo sanguinarissimi, dei Bughisi, di
Macassaresi e infine dei Tagali delle Filippine.
Erano più di duecento uomini, duecento tigrotti raccozzati in tutte le terre della Malesia, senza
scrupoli e senza religione, ciechi istrumenti della terribile Tigre della Malesia, cui una parola sola
bastava per magnetizzarli, e una sola minaccia per farli tremare, mentre che dinanzi alla mitraglia e ai
moschetti non avevano mai tremato!
Sandokan gettò uno sguardo di compiacenza sui suoi tigrotti, come amava chiamarli.
- Ehi! Patau, salta innanzi - diss'egli.
Un uomo di bassa statura, ma dalle forme di una robustezza eccezionale, un Malese che fino dai primi
anni aveva fiutato la polvere di cannone sui prahos pirateschi, si stacdalla banda e si fece innanzi
con un dondolamento di lupo di mare.
- Sei tu, se non m'inganno, che vorresti vedere la Perla di Labuan? - chiese la Tigre.
- Sì, capitano - rispose il Malese.
- Sei tu, che ti lagni sempre di aver sete di sangue?
- Sì, Tigre della Malesia. Il tuo tigrotto ha sempre sete.
- Sta bene. Armerai due dei più rapidi prahos. Ti voglio accontentare.
Il Malese non aveva ancora ascoltato l'ultima parola che già volava, tirandosi dietro con un fischio
mezza banda. In meno che non si dica i due più rapidi legni si trovavano pronti a sciogliere le vele.
- Bene - disse la Tigre, che non faceva a meno d'ammirare con legittimo orgoglio i suoi uomini. -
Tutti sono smaniosi di andare a Labuan a vedere questa Perla; per Allah! danzeranno tutti al tuonar
dei cannoni! Vieni, Yanez.
Nel momento che i due capi stavano per dirigersi alle imbarcazioni amarrate sulle sabbie, un indigeno
dalla tinta nera come l'inchiostro, dalle labbra grosse come quelle degli africani, il naso stiacciato, gli
occhi torvi e brillanti come quelli di una civetta, sbucando dalle foreste circostanti, avvicinossi a loro.
- Oh! l'orribile mostro! - esclamò Yanez segnalandolo al suo compagno.
- Ah! sei tu, Nini Balu? - disse Sandokan arrestandosi. - Mi hai l'aria, di portarci qualche novità. Su,
cattiva creatura, sciogli la tua lingua da vipera.
- Un sospiratore affannato fuma in vista dell'isola - rispose il selvaggio.
Sandokan aggrottò la fronte, e portò involontariamente una mano sull'impugnatura del kriss.
- Tu vuoi dirmi che un incrociatore bordeggia al largo?
Il selvaggio fece un cenno affermativo col capo.
- Che fa questo vascello? - chiese la Tigre con voce rauca.
- Ci spia. Non fidarti, Tigre, di quella bestia nera. Ha un malefizio nel ventre.
Sandokan non rispose. Egli mirò distrattamente e per alcuni istanti l'onda che veniva a morire quasi ai
suoi piedi, poi volgendosi bruscamente verso Yanez:
- Hai udito, fratello? - domandò egli.
- A meno di non essere sordo, sicuramente - rispose il Portoghese.
- Yanez - disse gravemente il pirata, - quel fumante incrociatore non mi dà a pensare, finché io batto il
mare. Ma tu sai quanto il mare sia ampio, e quanto sia facile perdere di vista il nemico; finché io lo
cerco, potrebbe piombare sull'isola e dar fuoco al nostro covo. Ora occorre un uomo di ferro per
impedire che si bombardi il villaggio. Tu rimarrai.
- E tu? - domandò il Portoghese.
- In quanto a me proseguo la via che mi son fissato di tenere. Andrò, se mi si offre il destro dopo la
presa dei legni, non solo a veder la Perla, ma a bombardare Vittoria, la città di Labuan.
- Ti occorrono venti prahos per lo meno, Sandokan.
- Alla Tigre della Malesia basta il suo ruggito per ispaventare il leone - disse Sandokan fieramente.
Poi si volse e fece un gesto a Patau, che avvicinossi come un lampo.
- Quaranta tigrotti a bordo dei prahos - disse. - Bada che sieno tutti assetati.
- Attaccheremo l'incrociatore? - chiese imprudentemente il Malese.
- Ciò non ti riguarda, rettile. Spicciati, per Cristo!
Il Malese si allontanò senza fiatare. Scelse quaranta dei più coraggiosi uomini, la maggior parte
Daiassi, Malesi e Battiassi e li fece imbarcare a bordo dei due legni assieme a due cannoni di rinforzo.
Sandokan tornò a volgersi verso il Portoghese, che sembrava pensieroso e di cattivo umore.
- Suvvia! A che tenermi il broncio? - gli disse. - Avrai la tua parte di bottino lo stesso, lo sai bene.
Vorrai dei prigionieri? Te li porterò. Vorrai sangue da bere? Te ne porterò una nave carica. Che vuoi
di più?
- Ah! Sandokan! Ho il presentimento che questa spedizione ti sia fatale.
- Lascia i presentimenti alle femmine, Yanez. Orsù, i prahos mercantili non mi aspettano, lo sai.
Addio, fratello.
- Addio, Sandokan. Che la buona stella ti guidi.
I due pirati si abbracciarono, come solevano far sempre quando intraprendevano una spedizione, dove
non erano sicuri di tornar sempre. Poi la Tigre, colla testa alta, la carabina in mano, l'occhio acceso e
le labbra contratte a un feroce sorriso, s'allontanò. Salì in una ricca imbarcazione, e in pochi colpi di
remo raggiunse il suo prahos.
Le âncore, in meno che nol si dica, furono strappate dal fondo e le grandi vele furono sciolte al vento
da una squadra di diavoli color verde-oliva o nero fuliggine, che parevano dotati della potente agilità
delle scimie.
- Rotta per le Romades! - si accontentò di dire Sandokan, poi andò sedersi a prua sulla culatta del suo
cannone favorito, con lo sguardo acuto, che avrebbe sfidato quello d'un'aquila, rivolto al sud.
I due legni, coi quali la Tigre stava con la sua solita intrepidezza per intraprendere la caccia dei
mercantili e di poi la spedizione sulle pericolose coste di Labuan, appartenevano a quella specie
conosciuta nella Malesia sotto il nome di prahos o di pralì.
Erano due legni bassi di scafo, di forma allungata e snella, più alti a poppa che a prua, e provvisti
sottovento di bilanciere per impedire che una raffica improvvisa li rovesciasse e sopravento di un
largo sostegno di bambù per la zavorra.
Portavano vele della lunghezza di quaranta e più metri di forme allungate, composte di striscie di
grossa tela di cotone dipinta, con pennoni tesi obliquamente, fatti di bambù strettamente legati con
fibre di rotang, e alberi triangolari, grossi, un lato dei quali veniva formato dalla coperta del prahos.
Avevano doppi timoni per meglio dirigerli, un casotto sul ponte chiamato attap, l'attrezzatura tutta di
bambù, di rotang e di fibre di gamuti, e grossi cannoni a prua e spingarde dal lungo tiro, per poter
gareggiare colle navi meglio armate.
Al comando di Sandokan, i due legni pirateschi si affrettarono a prendere il largo descrivendo curve
con matematica precisione per evitare le scogliere che fanno pericolosa corona all'isola, e bruschi
angoli per non urtare contro le secche e i banchi madreporici.
Una volta usciti da quel laberinto, quantunque il vento fosse un po' debole, misero la prua al sud,
guizzando e rimbalzando come palle elastiche sulle onde, filando senza darlo a vedere tre e quattro
nodi all'ora, rapidità sufficiente per poter raggiungere i legni mercantili, che dovevano camminar assai
meno.
Tutti i pirati, benc la distanza fosse ancora ragguardevole dalle Romades, e nessuna vela apparisse
all'orizzonte, si misero in osservazione, i più agili a cavalcioni dei pennoni per abbracciare maggior
spazio e gli altri in piedi sulle murate, aggrappati alle sartie e alle griselle.
Quaranta cannocchiali viventi, in pochi minuti, scrutavano i trentadue punti della bussola, spiando la
preda non solo, ma anche il fumante incrociatore, verso il quale avevano qualche apprensione.
Non era nemmeno da supporsi che avessero paura di esso o che temessero un incontro, malgrado la
sproporzione delle forze. Avrebbe bastato che si fosse fatto vedere e che la Tigre ordinasse
l'abbordaggio per espugnarlo. Solo avevano qualche timore che si unisse a qualche altro legno, e che
sbarcasse improvvisamente soldati su qualche punto mal guardato di Mompracem.
Anche la Tigre della Malesia pensava all'incrociatore, ma non si preoccupava tanto.
Pure, volendo assicurarsi di ciò che pensavano i suoi uomini sulla probabile presenza di quel legno,
chiamò Patau. Il Malese fu lesto ad accorrere.
- Credi tu - chiese la Tigre, - che quel maledetto negro non ci abbia ingannati?
- E perché avrebbe voluto ingannarci? - disse il Malese. - Nini Balu è una creatura, che non sarebbe
capace di trattare colle giacche rosse(2). Sono sicuro, per mio conto, che il sospiratore affannato spii
l'isola colla speranza di ornare le sue antenne di impiccati.
Le labbra della Tigre si piegarono a una smorfia, che voleva essere un sorriso.
- Credi tu che i nostri uomini si preoccupino della presenza di questo legno?
- Oibò - esclamò Patau con un'alzata di spalle. - Per preoccupare i tigrotti di Mompracem, guidati
dalla Tigre della Malesia, occorrerebbero cento navi, e ancor queste sarebbero poche.
- Vedete, capitano. Alla sola idea che quel sospiratore affannato ci spia, tutto il mio sangue bolle e
quello dei miei compagni fuma. Quando l'incontreremo, il sangue diverrà fuoco, e voi sapete ciò che
vuol dire. Succederà un massacro e nella macchina getteremo a bruciare cadaveri anziché carbone.
- Lo so, Patau, che un o l'altro, ne ho la certezza, ci capitealle spalle. Ci spia, ma freme al mio
nome, e trema dinanzi alla mia potenza. Guarda: forse ha gettato dei liquori fra gli indigeni di
Mompracem, forse sa che io ho abbandonato il mio covo, e forse non ignora su quale terra io muova,
ma non ardisce inseguirmi. Quaranta uomini, quaranta tigrotti gli fan paura e si tace!
- È roba vecchia, capitano. Quelle giacche rosse non sono forti che coi deboli. Non avete udito dire
come siano sbarcati a Labuan? Tiravano cannonate per misurarsi con quei miserabili selvaggi, che
non avevano mai fiutato polvere di cannone.
- Lo so - disse la Tigre sordamente. - Ma vorrei essere stato io laggiù coi miei prahos. L'Iris non
sarebbe più tornato su queste coste, e il suo comandante Rodney Mundy sarebbe andato a trovare le
madrepore appeso al suo ponte di comando.
- Ah! - escla il Malese con tono di rimpianto. - Bisognerebbe andare un o l'altro a Labuan.
Sarebbe il mio sogno.
- E chi dice, Patau, che io non vi andrò? Uno strano capriccio mi ha preso, Malese mio: voglio andar a
vedere la Perla.
Il Malese fece un salto indietro.
- Per Allah! - esclamò egli sorpreso. - Vi avrebbe toccato il cuore questa Perla?
Una nube oscurò la fronte della Tigre della Malesia.
- Ah! - ghignò Sandokan. - Credi tu che il mio cuore, inaccessibile a ogni passione, abbia perduto la
sua invulnerabilità?
- No, capitano. Ma dicesi che questa Perla sia così bella!...
- Le mie bellezze, Patau, se tu nol sai, non sono che le pugne, i fiumi di sangue, e i monti di cadaveri.
La Tigre della Malesia non conosce altre bellezze.
La fronte di Sandokan s'aggrottò e la sua faccia prese una truce espressione. Volse bruscamente le
spalle al Malese, e si mise a guardare attentamente il mare, senza aggiungere altra parola.
I prahos continuarono la loro caccia, veleggiando sempre verso le Romades, accelerando la corsa pel
vento che andava prendendo forza, guizzando come pesci, tagliando nettamente a prua le
spumeggianti onde, che spruzzavano fino alla Tigre.
Man mano che la distanza scemava, tutti gli occhi dei marinai prendevano maggior potenza visiva. Le
pupille si allargavano scrutando il meridionale orizzonte, e le mani si avvicinavano insensibilmente
alle carabine, alle scuri e alle sciabole d'arrembaggio, quasi indovinassero prossima la presenza dei
legni mercantili, mentre quelle fiere figure d'uomini parevano acquistare novella forza, novella
ferocia, cento volte raddoppiata dal magnetico sguardo della Tigre.
E infatti i prahos mercantili, segnalati il giorno precedente, non dovevano essere gran fatto lontani. Se
si erano arrestati alle Romades, il che poteva essere facile, dovevano apparire fra breve tempo,
calcolando la loro destinazione per Labuan o Varauni.
A ogni modo, sia in pieno mare o sotto costa, fossero pure sotto quella di Borneo, non potevano
sfuggire. Avrebbe bastato una parola di Sandokan per decidere i pirati ad assalirli anche in mezzo a
un porto, sotto i cannoni dei forti.
- Guarda sottovento! - gri d'un tratto un Dayasso che erasi arrampicato fino alla banderuola della
maistra.
Sandokan, a quel grido, si rizzò. Gettò uno sguardo sul ponte del suo prahos e uno su quello che
veniva dietro a venti soli passi lontano, e parve che fremesse. Attraversò la coperta e ana mettersi
egli stesso al timone. Non bisogna scherzare negli arrembaggi, dove il più piccolo fallo può causare
un urto e una catastrofe. Egli respinse Patau.
- Il cannone di prua non domanda che di ruggire - gli disse. - Fa in modo che possa mordere.
- Bene, capitano, morderà - rispose il Malese.
A un suo fischio sei dei p risoluti pirati si misero ai lati dell'abbronzato pezzo che pareva volesse
rizzar da solo la fumigante bocca verso gli orizzonti del mezzodì.
I due prahos parvero accelerassero la corsa. In due bordate si spinsero innanzi di quattrocento metri,
scuotendo di dosso la spuma delle onde. I quaranta pirati balzarono in piedi come un uomo solo colle
armi di già in mano, l'occhio sanguinoso fisso al sud ove scorgevasi un punto giallastro che sembrava
radere l'orizzonte a tratti, ora scomparendo come se fosse colato a picco e ora rialzandosi
impercettibilmente, ma tanto da poterlo scorgere nuovamente e riconoscerlo non già per la bianca
spuma di un'onda ma per la vela di un prahos che veleggiava verso l'est.
- È una vela! - esclamò un Battiasso dalla statura colossale, dalla tinta color ferro.
- E chi dice di no? - domandò un Tagalo delle Filippine dalla carnagione rossastra e col viso tagliato a
rombo. - Ma non vedi tu, che è sola?
- Eh! eh! - esclamò un Malese dall'incedere furbesco. - Che sieno fuggiti gli altri due adunque?
- Bisognerà crederlo, Ragno di Mare - rispose Patau volgendosi verso il suo compatriota. - Vi ha da
scommettere che gli altri due hanno volto la prua al sud o che hanno naufragato durante la notte. Buon
per loro, che avrei voluto veder l'equipaggio danzare sotto il ferro del mio cannone.
- Silenzio là! - esclamò Sandokan. - Ai vostri pezzi voi; alle carabine i moschettieri.
La conversazione fu tagliata nettamente. Gli artiglieri si precipitarono ai loro pezzi e tutti gli altri,
eccetto quattro uomini destinati alla manovra del prahos, si affollarono a prua e alle murate, pronti ad
avventarsi all'assalto al primo abbordaggio. In un minuto il p profondo silenzio regsui due legni
pirateschi che veleggiavano l'un accanto all'altro; tutti gli occhi fissavano la bianca vela che lenta
lenta ingrandiva, gareggiando nel riconoscere prima la portata, gli uomini e le armi.
Passò mezz'ora senza che la minima parola fosse pronunciata a bordo, tanta era l'autorità di Sandokan
su quegli uomini di solito così turbolenti e durante questa mezz'ora la vela si accostò ai due rapidi
prahos che manovravano in maniera da tagliare la ritirata dell'est e dell'ovest. Lasciato il varco al sud
e al nord, sgombri per un gran tratto d'ogni terra, un inseguimento diventava su quelle due vie un
nunnulla e l'abbordaggio sicuro. Con un uomo come Sandokan non vi era da sperare nella fuga;
bisognava dare o accettare battaglia, pugnare finché restava sangue nelle vene e poi soccombere.
Man mano che si avvicinavano i due rapidi legni dei pirati, la vela ingigantiva lasciando vedere a
poco a poco le murate del vascello, che fu in breve riconosciuto per un gran prahos mercantile, uno di
quei legni che esercitano il lucroso traffico fra le isole della Malesia, e che uno dei pirati, benc
fosse abbastanza distante, asserì essere uno dei tre scorti il giorno precedente.
- Yanez mi aveva parlato di tre navigli - mormorò Sandokan. - Dove si sono cacciati gli altri due?
Si morse le labbra quasi con collera, poi diresse il suo prahos sul legno mercantile, in maniera da
poterlo abbordare a prua, mentre l'altro prendeva il largo tagliando la ritirata sulla via dell'ovest e
abbordarlo, se occorreva, a poppa.
A due miglia di distanza il mercantile, un po' affogato per l'eccessivo carico e cattivo camminatore, si
arrestò correndo piccole bordate come indeciso sulla via da prendere.
Certamente era stato messo in sospetto dalla presenza di quei due prahos, che eseguivano una
manovra non troppo rassicurante.
Bordegg co per tre o quattro minuti, come volesse assicurarsi delle intenzioni dei due legni da
preda, poi cangiò bruscamente rotta, e virando di bordo batté prudentemente in ritirata.
- Tanto ci voleva a riconoscerci? - mormorò Sandokan, poi alzando la voce: - ehi, Patau, prepara il tuo
cannone, e voi, tigrotti, prendete i moschetti. La danza non dure molto, ma a ogni modo ci
divertiremo.
Il povero legno mercantile doveva ben comprendere che la fuga sarebbe stata quasi impossibile e un
combattimento, fra due fuochi, disastroso. Senza dubbio la sinistra fama della Tigre della Malesia era
giunta all'orecchio dell'equipaggio per quanto da lungi venisse e la vicinanza di Mompracem doveva
accertare i timori.
Sandokan, che non perdeva d'occhio il mercantile, poté assicurarsi coi propri occhi che l'equipaggio
preparavasi a una disperata resistenza. Venti minuti dopo, i due prahos erano seicento metri dal
fuggiasco. La rossa bandiera dei pirati, in mezzo alla quale campeggiava una tigre, salì
maestosamente sull'albero di sinistra.
- Patau - disse Sandokan, - fa cantare il tuo cannone.
Patau non aspettava che questo comando, accese la miccia e si avvicinò al cannone.
Di repente una detonazione fortissima scoppiò al largo e una nube di fumo si alzò a poppa del prahos
mercantile. Due tavole della murata di tribordo del legno da prenda saltarono sotto la palla.
Sandokan, né l'equipaggio si mossero. Patau diede fuoco al suo pezzo. L'effetto fu pronto. La palla
del calibro da sei sfon la murata poppiera del mercantile e investì il cannone ancor fumante
sollevandolo dall'affusto. Le grandi vele un istante dopo vennero ammainate sul ponte, e una
scialuppa venne calata in mare. Sei o sette uomini vi presero posto coll'evidente intenzione di fuggire
prima che arrivassero i pirati. Il rimanente dell'equipaggio si radunò invece a poppa smascherando un
secondo cannone deciso a difendersi.
- Ah! - esclamò Sandokan, saltando in piedi col volto abbuiato. - Vi sono dei vigliacchi a bordo di
quel legno come vi sono dei coraggiosi. Patau, affondami quella scialuppa! I codardi non meritano la
mia generosità!...
- Bene capitano - rispose il Malese con un satanico sogghigno. - Se al primo colpo non li mando
all'inferno, non sono più Patau!
Il cannone era stato caricato e Patau non mancò alla parola. La scialuppa fu spaccata a me e un
nembo di mitraglia lanciato dall'altro prahos spazzando il mare istecchì i nuotatori.
- Bravo Patau! - escla Sandokan. - E ora, amico mio, rasa come un pontone quel legno. And a
farsi raddobbare di poi a Varauni a nostre spese. I coraggiosi sono degni di noi. Fa in modo che le tue
palle non abbiano a mordere che del legno.
I due prahos correvano sopra al povero legno mercantile colla rapidità delle aquile, manovrando in
maniera di poterlo abbordare da due lati. I cannoni ripigliarono la infernale musica fracassando gli
attrezzi, alternando violente scariche di mitraglia che laceravano vele e recidevano corde. Il legno
mercantile rispondeva vigorosamente col suo unico pezzo cercando, se non di vincere, almeno di
vendere caramente la vita.
- Tira! Tira che sei un coraggioso! - gridava Sandokan entusiasmato. - Tu sei degno di combattere
contro di me!...
I due prahos avvolti fra fitte nubi di fumo dalle quali scattavano lampi e uscivano detonazioni
volteggiavano attorno al legno mercantile che virava a furia di remi, di bordo, presentando la prua
sulla quale si affollavano i difensori.
- Barra sottovento! - gridò d'un tratto Sandokan che aveva impugnata la scimitarra.
Il suo prahos abbordò il mercantile sotto l'anca di tribordo ad onta della sua moschetteria e delle
precipitose manovre dell'equipaggio nemico. Sandokan, benché i grappini d'arrembaggio non fossero
ancora stati lanciati, si raccolse su sé stesso col kriss fra i denti, come una tigre che sta per avventarsi,
quando una mano robusta lo trasse indietro. Il Ragno di Mare gli si rizzò accanto coprendolo col suo
petto d'atleta, e bestemmiando tentò saltare sul prahos mercantile dove un marinaio toglieva di mira la
Tigre della Malesia.
Non ebbe il tempo, ma si gettò dinanzi a Sandokan e ricevette in sua vece la fucilata in pieno volto. Il
povero Ragno cadde in mare colla testa fracassata.
Sandokan gettò un muggito da toro ferito, e aggrappandosi alla bocca di un cannone, si issò in meno
che se lo dica sulla coperta del legno mercantile. L'intero equipaggio annerito dal fumo e insanguinato
si avventò contro di lui cercando respingerlo.
- A me, miei prodi! - urlò il pirata spaccando la testa al primo venuto. Dieci o dodici pirati risposero
all'appello. Si arrampicarono come scimie lungo i bordi e aiutandosi coi paterazzi saltarono sul ponte
circondando l'equipaggio. Nel medesimo tempo l'altro prahos abbordava il legno a poppa. I suoi
uomini irruppero colle scuri alzate vociferando spaventosamente.
- Che nessuno li tocchi! - tuonò la voce della Tigre. - Sono degli eroi!
Fu compreso. I pirati circondarono l'equipaggio, lo disarmarono e lo legarono senza spargere goccia
di sangue. La Tigre si avvicinò al capitano del prahos.
- Tu sei un brav'uomo - disse. - I tuoi uomini sono degni del loro comandante. Io ti lascio la vita!
Il capitano del prahos lo guardò come trasognato. Sandokan poggiò le mani sulle spalle di lui e
guardandolo fisso:
- Dove vai? - gli chiese.
- A Labuan - rispose macchinalmente il capitano.
- Tu conosci quell'isola?
- Sì.
- Parlami della Perla di Labuan. Chi è?
- Una donna.
- Di qual razza?
- Inglese.
Le labbra di Sandokan si contrassero mostrando i denti.
- Dove ha la sua casa? - domandò egli con voce sorda.
- Nelle foreste della costa occidentale.
- Grazie, mio prode - disse Sandokan.- Olà! Gettate un barile d'oro a questi giovinotti!
Nessuno dei pirati aprì bocca, per opporsi a un sì strano comando. Del resto non era la prima volta che
la Tigre della Malesia agiva in tal modo. Fu ubbidito, e il barile d'oro, con sorpresa dei marinai del
prahos mercantile, che si chiedevano se sognassero o avessero da fare con qualche deità marittima,
pasa bordo del legno.
Sandokan tornò ad avvicinarsi al capitano.
- Guardami in volto! - esclamò bruscamente egli.
- Chi sei? - chiesero i marinai ad una voce.
- La Tigre della Malesia!...
Prima ancora che l'equipaggio tornasse in dalla sorpresa e dalla paura, Sandokan era g a bordo
del suo legno circondato dai pirati.
La Tigre stese la mano verso l'est, ve la tenne per qualche tratto così orizzontalmente, poi con voce
metallica, stridente, collerica:
- Tigrotti, a Labuan! a Labuan!...
CAPITOLO III
L'incrociatore
Abbandonato il disalberato e sdruscito legno mercantile, i due prahos pirateschi, con due uomini di
meno, ripresero la corsa verso Labuan, l'isola della Perla, che Sandokan ormai voleva ad ogni costo
vedere.
Il vento dell'ovest era inoltre propizio per portarsi al nord-est e giungere all'indomani allo spuntar del
sole e forse la stessa notte all'isola. Bisognava però agire con estrema prudenza poiché, per quanto
fossero forti e risoluti, potevano incontrare p di un incrociatore che sbarrasse la via o almeno
inceppasse la spedizione. Tutti sapevano che il regno di Borneo, la cui capitale non distava gran tratto,
benché si prestasse volentieri alla pirateria e mantenesse prahos pirateschi per proprio conto, poteva,
fosse solo per attirarsi le simpatie della nuova colonia, armare la sua flotta e lanciarla contro
Sandokan. Tutti sapevano che quelli di Borneo erano gelosi di quelli di Mompracem che si erano fatti
una sì formidabile nomea.
I due prahos presero arditamente la pericolosa via senza esitare. Sandokan, fatti ripulire i ponti,
raggiustare gli attrezzi, tappare i fori delle bombe, fatto dispensare il pranzo del mezzodì, accese la
pipa che somigliava a un narghilé turco e andò a sedersi sul medesimo cannone, dove il povero Ragno
di Mare si era così generosamente sacrificato per lui.
Egli rimase mezz'ora senza dir parola, immobile, concentrato, assaporando la calma dopo la pugna,
seguendo con occhio distratto le mosse del suo equipaggio che terminava di raggiustare le ultime
gomene danneggiate dalla mitraglia. D'improvviso si scosse e piantando gli occhi su Patau, gli fe'
cenno d'avvicinarsi.
Una profonda ruga solcava l'ampia sua fronte e fumava con maggior furia di prima. Egli guardò per
alcuni minuti e in silenzio il Malese, che non ardiva fiatare sospettando qualche rabbuffo.
- Dov'eri nel momento dell'abbordaggio? - chiese egli alfine con voce calma e grave ma che tradiva
un lampo di collera.
- Al vostro fianco - rispose il Malese.
- Hai veduto cadere il Ragno di Mare? Pensa bene e parla meglio. Chi l'uccise?
Il Malese rabbrividì fino alla punta dei capelli e se fosse stato bianco sarebbe diventato pallido come
un morto. Se si fosse trattato di precipitarsi all'abbordaggio dove la mitraglia mordeva e sibilava se ne
sarebbe infischiato della paura, fosse pure stato sicuro di lasciarvi la pelle, ma dinanzi a Sandokan, cui
bastava uno sguardo per inchiodare su due piedi i più ricalcitranti, egli sì, tremava.
- Ebbene? - domandò qualche istante dopo Sandokan senza abbandonare il suo posto, né la canna
della gran pipa e senza nemmeno guardare in volto il Malese che tremava come avesse la febbre.
- Una palla di cannone - arrischiò Patau e dette indietro mentre l'equipaggio sogghignava contento che
quel Malese del diavolo fosse stato innalzato fino a un grado co invidiato per essere precipitato chi
sa dove da una sola parola del terribile padrone.
Non si amava a bordo Patau perché derubava silenziosamente i camerati valendosi della sua autorità,
e senza che alcuno osasse farne parola al capitano. Si aveva paura di entrambi, ma ben
differentemente.
Sandokan alla risposta del Malese aveva fatto un legger movimento, ma fu tutto. Egli continuò:
- Il tuo posto era accanto a me giacc non ti avevo affidato il timone. Quando noi giungeremo a
Mompracem, ti farai fucilare! Vattene!
Non si poteva scherzare con un simile uomo, arrischiare parola. Commettere una vigliaccheria a
bordo sarebbe stato un far ruggire la Tigre. Il Malese senza batter ciglio, conservando quella fierezza
in lui abituale, si allontanò come se si trattasse di un nonnulla. Sandokan lo richiamò.
- Potrebbe darsi che si avesse a incontrare l'incrociatore - diss'egli. - Mi occorre un uomo: tu puoi
essere quello giacc ti ho spacciato per Mompracem; morire combattendo è un favore che io solo
accordo ai coraggiosi. Alla prima cannonata, arresterai la palla col tuo petto.
- Grazie, capitano! - escla il Malese e contento della sentenza del suo formidabile capo, di cui
nessuno avrebbe osato mettere in dubbio l'infallibilità, se ne andò al timone.
- Sabau! - gridò egli guardando sempre il mare e come parlasse a sé stesso.
Un altro Malese di bassa statura, ma di membra gagliarde, dalla faccia quadra anziché no, ossuta, dal
naso schiacciato e grosso, dagli occhi piccoli ma brillanti, dalla bocca grande con le labbra grosse, la
tinta fosca e vestito con un solo paio di corti calzoni rossi, si fece innanzi dondolandosi comicamente.
- Tu non sei stato il primo a saltare sul prahos dopo di me? - domandò Sandokan.
- Infatti, mi sono trovato sul ponte alle prese con uno di quei mascalzoni - rispose egli.
- Bene, quando la palla di cannone sfonderà il petto del tuo compatriota, subentrerai nel comando.
La giustizia era finita per quell'uomo singolare che si faceva chiamare la Tigre. Egli abbandonò il
cannone, diede uno sguardo alle due grandi vele gonfie sotto il vento dell'ovest, un altro all'altro
prahos che seguiva la via del primo rigorosamente dritta e si mise a passeggiare da prua a poppa colla
fronte serena ed un sorriso bonario.
Durante la giornata i due legni pirateschi continuarono a veleggiare in quella parte di mare compresa
fra Mompracem e le Romades all'ovest, la costa di Borneo all'est e nord-est, e Labuan colle Tre Isole
al nord, senza trovare il minimo impaccio e senza scorgere alcuna di quelle vele che di solito si
mostrano sì numerose in quei paraggi, recandosi o partendo dalla capitale del regno di Varauni.
Già da parecchi anni la fama di Sandokan si era sparsa su quei ristretti mari, e solamente i grossi
vascelli con numerosi equipaggi o prahos armati da guerra arrischiavano la traversata diretta. I p si
tenevano sotto la costa, sicuri di poter sbarcare e di salvare almeno le vite se non il carico o
approfittando di qualche giornata burrascosa o di qualche notte oscura per prendere il largo. Sandokan
non ignorava più quelle astuzie, diventate ormai tanto vecchie da essere conosciute anche sulle
spiaggie di Mompracem, e sarebbe bastato passare una notte in vista della costa per essere sicuri al
mattino di far ritorno con un carico completo delle più preziose merci del paese, cosa che non
mancava mai però di fare a rischio di cadere in un'imboscata, quando trattavasi di spedizioni di
minerale giallo.
La notte cadde con quella rapidità che è propria delle regioni equatoriali dove il sole, anzic
tramontare, si tuffa. Tutti i lumi vennero spenti a bordo dopo la cena, non amando essere scoperti e di
vedere a loro agio, le vele in parte terzarolate per premunirsi dagli improvvisi colpi di vento che non
mancano in quei capricciosi mari, e le sentinelle scelte fra gli uomini p intrepidi e dalla vista più
acuta, che sapevano scorgere, per quanto le tenebre fossero fitte, una nave due miglia lontano. Alle
otto i due equipaggi si ritirarono in massa e senza far rumore guadagnando le loro amache oscillanti,
senza perdere tempo a spogliarsi delle poche vesti, pronti a prendere posto ai cannoni e ai moschetti al
primo all'arme, la qual cosa non di rado avveniva, sia per respingere un attacco di qualche notturno
leone che spingeva la sua audacia fino a irritare la Tigre, sia per piombare su qualche inoffensivo
legno e rischiararlo a colpi di cannone.
Sandokan rimase sul ponte assieme agli uomini di guardia, assiso a poppa tenendo una delle ribolle,
collo sguardo che balzava dalla bussola al mare, porgendo ascolto al lieve russar degli addormentati e
al frangersi dell'onda sulla prua del legno. Si avrebbe detto che quell'uomo cercasse di raccogliere
qualche rumore estraneo a quello del mare. Chi sa? un lontano colpo di cannone, che poteva tuonare
in direzione di Mompracem, o che cercasse colla potenza del suo occhio da tigre di attirare la preda
fuggente e di scoprirla; chi sa? forse il fumante cacciatore.
Gli uomini di guardia confusi fra gli attrezzi, seduti o ritti, parevano condividere i pensieri del loro
capo. Gli occhi loro, che rilucevano come carboni nella profonda oscurità, balzavano dalle vele al
mare scrutandolo nei più lontani orizzonti, cercando avidamente una preda sempre sospirata o un
pericolo. Poco montava che si dovesse sfidare colpi di cannone e colpi di scure, con gran pericolo
della pelle; bastava loro veder della preda, menar le mani insanguinate su cento e cento vittime,
tuffarle in nuovo sangue, ubbriacarsi al fumo della polvere e veder morti e morti mutilati, guazzar sui
bagnati ponti.
Ma nessuna vela si mostrava nel cerchio abbracciato da quei potenti occhi, fuorché le tenebre
sovrastanti ai flutti color di inchiostro che rimuggivano sordamente come uscissero da un abisso e che
venivano a cozzare sulla prua del prahos frangendovisi sopra e lasciando solo allor intravveder un
leggero scintillio, che si cangiava sulla scia in un gorgogliamento luminoso perfettamente visibile in
quella oscurità.
Alla mezzanotte il vento, sino allora debole, sembrò svegliarsi colla comparsa della luna, che faceva
capolino fra le nubi. I due prahos parvero rialzarsi sotto quella nuova spinta e accelerarono la corsa
verso l'est poggiando di qualche quarto al nord, dirigendosi verso le Tre Isole, che non dovevano esser
gran fatto distanti. E invero poco dopo, rischiarate dalla luna, che tornava a mostrarsi in uno squarcio
dei negri vapori, furono vedute tutte e tre benché vi sia fra loro una rispettabile distanza.
Parevano uscire dal mare come improvvisamente, di un color fosco, di una struttura p bizzarra che
pittoresca in quell'ora, vere sentinelle avanzate di Labuan e di Borneo, che potrebbero far solida
barriera alla baia di Varauni dalla quale non distano molto.
Sandokan appena che poté vederle abbandonò la ribolla a uno de' suoi uomini e discese nella sua
piccola cabina. La vista di quelle isole faceva quasi a lui credere di esser a Labuan che voleva dire
lontano dal fumante incrociatore che alla mattina navigava presso le coste meridionali di
Mompracem, e quindi libero da un improvviso attacco da parte sua che avrebbe potuto riuscire
disastroso.
La cabina di Sandokan era ben ristretta a bordo di quel prahos; non mancava però di una certa
eleganza non dissimile da quella della sua abitazione, e che non toglieva che vi dormisse a suo agio.
Era un caos di piccoli mobili gli uni p graziosi degli altri, ma gli uni più avariati degli altri, un
miscuglio di sete e di tappeti che l'ingombravano, che la soffocavano addirittura sotto le pesanti
pieghe e in mezzo alle quali vedevansi armi mescolate a bottiglie e tazze con bombe.
Sandokan, senza levarsi un nulla del vestito, si stese in mezzo ai tappeti e non tardò ad addormentarsi
come un uomo della sua tempra, cui un cuor di ferro soffoca le urla delle vittime cadute sotto l'acciaio
dell'assassino e i cui occhi non vedono né le ombre né il sangue.
Tutta la notte i due prahos veleggiarono in pieno mare, sempre in vista delle Tre Isole, correndo
bordate per la lenta raffica, che a poco a poco collo spuntar del giorno girava all'est. Ma per quanto il
vento divenisse contrario non impediva che i due rapidi legni guadagnassero via, aiutati di tratto in
tratto dai remi manovrati da robuste braccia che li avean conosciuti fin dalla più tenera età.
Al primo raggio di sole, che invase bruscamente il mare scacciandone la cupa tenebra, sette od otto
miglia lontano fu veduta Labuan. Quasi nel medesimo istante Sandokan comparve sul ponte.
- Patau! - esclamò egli con quel tono che non ammetteva replica né ritardo per quanto minimi fossero.
Il Malese abbandonando il remo in un sol salto gli fu vicino, sempre col medesimo volto fra l'ilare e il
furbesco, come un uomo che ha ormai dimenticato la palla di cannone.
- Comandante! - rispose egli facendosi innanzi francamente.
- La tua palla? - domandò Sandokan con strano sogghigno.
- È sul petto - rispose il Malese, - la prima che parte sarà mia.
- Bene, conosci tu una baia dove non si possa essere molestati da quei cani dell'Australia?
- La conosco.
- Bene, dirigi i prahos.
Ad un ordine del Malese i due legni da preda virarono di bordo dirigendosi verso il sud dell'isola.
Labuan è un lembo di terra che dista appena otto leghe da Borneo e che ha una circonferenza di circa
venticinque miglia.
Si eleva a 24 metri sul livello del mare; semplici alture tengono luogo di catene di monti, numerosi
corsi d'acqua tengono luogo di fiumi, ma i più durante la stagione calda lasciano il letto
completamente asciutto. Ha però magnifiche foreste che potrebbero somministrare eccellenti legnami
da costruzione, una graziosa vallata con pascoli al nord-est dove finisce in una tranquilla baia. Vedute
pittoresche rendono piacevole il soggiorno su quel lembo di terra, che ogni giorno acquista più
importanza grazie le scoperte di vene di carbon fossile che si trovano in gran numero, specialmente
nelle vicinanze dei fiumi.
Gl'indigeni non sono numerosi e sono tanto stupidi, che illusi dalla presenza degli stranieri e da regali
di due soldi, si sottomisero al velenoso giogo inglese che lentamente ma sicuramente andrà
decimandoli per isbarazzarsi di esseri che potrebbero un giorno dar noia alla giovane colonia.
Fu nel 1846, 24 dicembre, che il capitano Rodney Mundy comparve pel primo a bordo dell'Iris e che
ne prese bellamente possesso, dopo di avere spaventati i nativi facendo tuonare le sue artiglierie,
come volesse mostrare a quegli esseri semplici la potenza del leopardo inglese. Ed essi, dopo le danze
d'onore e una festa si sottomisero senza alzar una sola arma in difesa della terra natia.
Da quel tempo gli Inglesi vi avevano fondato la cittadella di Vittoria e si affrettavano a lanciare in
mare vapori di ferro per reprimere la pirateria flagello di quei disgraziati mari. Sandokan non lo
ignorava, no, ed era anzi per questo che voleva prendere terra nel fondo di qualche canale, di qualche
seno al sicuro da improvvisi attacchi per poter poi agire a suo bell'agio.
I due prahos, dopo di aver fiancheggiato per breve tratto la costa coperta da fitti alberi, in mezzo ai
quali torreggiava qualche tek, navigando lentamente e con estrema prudenza per non dar sospetto a
qualche colono che battesse i dintorni, si cacciarono silenziosamente in un piccolo fiume, che alla
foce avevasi scavato poco a poco un seno semi-nascosto da piante palustri.
Le âncore furono gettate con buona riuscita su di un fondo sabbioso, le vele ammainate senza far
rumore come lo dovevano due visitatori che volevano mantenersi incogniti, e i prahos spinti verso la
riva destra, nascondendoli del tutto sotto l'ombra dei grandi alberi e dei canneti, che fiancheggiavano
una piccola palude di due o trecento metri di estensione. Un incrociatore che avesse battuto la costa,
non sarebbe riuscito a scoprire quei due legni pirateschi che si tenevano imboscati come le tigri nel
delta del Gange che spiano, sotto le grandi foglie acquatiche, la preda.
Sandokan e Patau sbarcarono, mentre che il restante dell'equipaggio rimaneva a bordo rigorosamente
consegnato. Bisognava agire più che prudentemente per affrettare i piani del formidabile capo, che già
contava non solo di veder la Perla, ma di mettere a ferro e fuoco se non tutta almeno una parte
dell'isola.
Armati entrambi di carabine indiane e di scuri, i due pirati s'internarono senza dir verbo sotto la
foresta, che lasciava qua e qualche varco, tracciato talvolta dalla mano umana ma il più dalla
naturale disposizione delle piante, che si rizzavano in mille guise differenti, ora ritte, ora inclinate e
talvolta contorte come giganteschi serpenti.
Sandokan guidò il Malese per un duecento passi sotto la foresta, come conoscesse di già il cammino,
poi si arrestò ai piedi di un durion colossale le cui frutta pericolose per le cadute che il più delle volte
riescono mortali per l'incauto che vi passa sotto, si agitavano leggermente sotto uno stormo di tucani
dal becco colossale, che parevano affaccendarsi nella costruzione dei loro strani nidi.
- Ascolta, Patau - diss'egli. - La vicinanza di nemici, che godono fama di possedere potenti navi e
potenti congegni di distruzione, non ti nasconde che mi inquieta per Mompracem, la mal difesa
isola che non saprebbe resistere dinanzi ai loro cannoni, e che è d'uopo ci rimanga. L'intenzione di
queste giacche rosse dacché si sono stabilite su questi malaugurati mari, è evidente che mira a portare
un colpo fatale alla pirateria; fuggono la nostra presenza, ma spiano e cercano di tagliarci la ritirata
invadendo i nostri selvaggi covi.
- Lo so - rispose il Malese. - Mompracem è troppo vicina a Labuan, offre troppe mire per quei ladri di
terre, e un o l'altro non mi meraviglierei che una intera flotta si presentasse dinanzi al villaggio e
cominciasse una danza infernale a suon di cannone.
- È ciò che vado pensando anch'io da vario tempo. Vedi, la presenza di questo incrociatore, che fuma
silenziosamente su queste onde, non mi rassicura punto riguardo alle sue intenzioni che puzzano di
polvere cento miglia lontano. È d'uopo che uno di noi, Mompracem o Labuan, abbia a cedere le armi
al più forte. Spenta la pirateria, la Malesia sarà morta.
- Se io rimanessi in vita - disse Patau senza commuoversi, - agirei prontamente. La colonia va
crescendo di giorno in giorno, grazie alla scoperta del carbone che attira maledettamente tutte le navi
da guerra dei dintorni; oggi è un pugno di uomini che l'abitano, domani saranno due, da qua un anno
cento. Le difficoltà allora saranno cento volte raddoppiate, le mosse difficili sotto l'occhio degli
incrociatori e poco a poco la pirateria cadrà.
Sandokan rimase colle braccia incrociate a mirare il Malese, come per commentar le sue parole che
trovava più che giuste, poi ripiglla via senza smascherare l'audace progetto che lo rodeva.
Patau lo seguì, cacciandosi come il padrone sotto cespugli spinosi dove vi era pericolo di lasciarvi
mezze vesti, tendendo l'orecchio per raccoglier ogni estraneo rumore e coll'occhio in guardia sulle
piante vicine, dove poteva darsi che qualche tigre se ne stesse imboscata aspettando la preda al varco
o che qualche serpe si dondolasse da qualche ramo pronto ad avviluppare il primo venuto e stritolarlo
tra le vischiose anella con una di quelle strette cui non resistono forze umane. Per mezz'ora quei due
uomini proseguirono il difficile cammino senza scambiare una sola parola, poi Sandokan tornò ad
arrestarsi facendo cenno al compagno di tacersi. Aveva udito lontano un abbaiar di cani che
sembravano seguire qualche pesta di selvaggina e che andavano rapidamente avvicinandosi, ed a cui
talvolta univasi uno squillo di tromba.
- Vi sono degli uomini che cacciano - disse Sandokan dopo di avere ascoltato attentamente. - Si vede
che questi dannati Inglesi non perdono tempo. Sono sicuro che cacciano le ultime tigri sfuggite alle
armi degli indigeni; ovunque è distruzione dove passa l'avvelenato loro soffio.
- Ma dove andiamo ? - chiese Patau che non comprendeva lo scopo della passeggiata.
- Dove vuoi che andiamo, se non si va in cerca della Perla?
- Ma questi uomini? Io credo che mostrarci sia pericoloso.
- Potrebbe darsi, Patau. Ma a noi occorrono notizie per sapere dove si trova questa Perla e come
vanno le faccende della colonia. Tiriamo innanzi. I due pirati, anzic battere prudentemente in
ritirata, si riposero in cammino dirigendosi verso il luogo dove udivasi squillare la tromba e abbaiare i
cani.
A poco a poco gli alberi poco prima strettamente uniti, cominciarono diradarsi dando luogo a
praticelli e a radure cespugliose in mezzo alle quali s'innalzavano gran numero di piante di pepe, che
avviticchiandosi ai rami degli arenga e degli artocarpus, formavano grandi reti vegetali e festoni
ricadenti, dove garrivano leggiadri uccelletti e svolazzavano battaglioni di lucertole volanti.
I latrati dei cani si udivano allora tanto vicini che i due pirati, temendo essere scoperti, si nascosero
dietro ad un aloé la base del cui tronco spariva fra gigantesche erbe.
Quasi subito apparve un indigeno in calzoncini bianchi, tenendo a guinzaglio un grosso mastino che
ringhiava fiutando la terra.
- Ecco il mio uomo - disse Sandokan all'orecchio di Patau. - Non farti vedere, Malese mio; non
all'armiamo questo stupido schiavo delle giacche rosse, questo schifoso rettile, questo miserabile più
codardo di tutti i popoli della Malesia.
Gettò al Malese la carabina e si cacc fra i cespugli circostanti senza far rumore e in maniera di
abbordare il selvaggio di fronte. Alla sua improvvisa comparsa il bracconiere si arrestò tra il
sospettoso e lo spaventato.
- Che vai cacciando, sulle mie terre? - domandò brutalmente Sandokan piantandosi dinanzi a lui e
vibrando un potente calcio al mastino che gli abbaiava contro.
- La tigre - rispose l'indigeno.
- Chi è questo furfante che si permette di calpestare i miei campi?
- Lord Haawen.
- Ah! - fe' Sandokan ghignando. - Una giacca rossa. La colonia comincia adunque ad avere certi
signori che si permettono di cacciare sulle terre altrui?
- Non sono di loro le terre? Gli antichi padroni sono morti.
Sandokan tor a sogghignare ma con quel sogghigno crudele che faceva rabbrividire e parve che
volesse fulminare il selvaggio colla potenza dei suoi occhi.
- Ah! - esclamò il pirata. - Tu rimpiangi adunque l'istante in cui l'Iris si mostrò su queste coste e che i
tuoi accolsero danzando?
- Forse.
Sandokan si passò la mano sulla fronte e stette per qualche istante in silenzio come pensasse. Poi
guardando fisso fisso il selvaggio:
- Odimi bene, maledetto schiavo - gli disse. - Sai tu che la colonia fu condannata ad essere distrutta da
un uomo potente, la cui sua comparsa basterebbe per incutere spavento?
- No, stenterei d'altronde a crederlo.
- Nemmeno se quest'uomo si chiamasse...
Egli s'arrestò bruscamente mordendosi le labbra.
- Chi?...
- Silenzio - disse il pirata ponendosi un dito sulle labbra. - Silenzio! Dimmi ora, hai mai udito parlare
della Perla di Labuan?
- E chi, in Labuan, non ne avrebbe udito parlare?
- Chi è?
- Un genio benefico, che nulla ha di comune colle giubbe rosse.
- La conosci tu, questa Perla?
- Sì, l'ho veduta.
- Dove abita?
- A un miglio da questo luogo - rispose il selvaggio.
- Potrei vederla io?
- Sì, lo potreste.
- Indicami il modo.
- Basterà che vi nascondiate dietro qualche albero del parco. Tutte le mattine va a passeggiare al
chiosco chinese.
Una vampa inesplicabile salì in volto al pirata. Trasse un pugno d'oro e lo diede al selvaggio che lo
guardò istupidito.
- Grazie, amico - gli disse. - E ora va... va, e non volgerti più mai indietro.
Il selvaggio se ne ancorrendo. Sandokan aspet che fosse abbastanza lontano da non vederlo più,
poi ritornò presso il Malese che lo aspettava impazientemente.
- Ebbene? - chiese Patau.
- Tutto va bene, tigrotto - rispose Sandokan. - Domani vedremo la Perla.
- E le giacche rosse?
- Sono più forti di prima.
- Ah! - esclamò il Malese sospirando. - I bei giorni sono finiti.
- Crederesti tu che la Tigre avesse paura? Cento leoni sarebbero pochi per incatenare la gran Tigre.
Ritorniamo, Malese.
Sandokan raccolse la carabina e si diresse verso la costa seguito da Patau. Non avevano ancor
percorso cento metri, che un colpo di cannone rombò verso l'alto mare.
La Tigre della Malesia cacciò fuori un ruggito come di belva ferita, poi precipitossi verso la foresta
agitando come un forsennato la carabina.
- Vieni, Patau! Vieni! - gridò egli, facendo salti da tigre. - Vedo del sangue!
I due pirati in cinque minuti attraversarono il lembo della foresta e giunsero al fiumicello. Nel
medesimo tempo un secondo colpo di cannone rombò sul mare, e in mezzo a un denso fumo che
volteggiava nell'aria assieme a scintille, fu veduto il fumante incrociatore che moveva a tutto vapore
verso la costa, sbarrando la ritirata ai legni da preda!
CAPITOLO IV
Pirati e Incrociatori
Non vi era da ingannarsi sulla manovra dell'incrociatore che cominciava a scagliare i p grossi
proiettili alla foce del fiume. Aveva fiutato la presenza dei prahos pirateschi, e, benché non potesse
ancora averli visti, ne indovinava la posizione, percle sue palle erano passate pochi pollici sopra le
murate perdendosi nella piccola palude.
Non vi era tempo da perdere se non si voleva farsi schiacciare ancor prima di poter agire; bisognava
abbandonare il pericoloso posto dove vi era la probabilità di venir presi fra due fuochi da terra e da
mare. Giaccla manovra era riuscita e l'incrociatore li aveva scoperti con rara sagacità, il meglio da
farsi era quello di assalirlo. Vinti o vincitori bisognava guadagnare il largo.
Sandokan e Patau in pochi istanti avevano guadagnato i prahos, dove si era ormai organizzata la
difesa; i cannoni caricati, gli uomini sotto le armi: non si domandava che di abbordare il vapore
malgrado la sua mole, i suoi uomini tre volte più numerosi e la colossale portata delle sue artiglierie.
- Andiamo, figliuoli, salpate le âncore, issate le vele, impugnate le armi! - gridò il capitano. - Il
miserabile che viene a sfidarci nei nostri nascondigli non può essere che un coraggioso. Ci aspetta.
- Tanto meglio, si danzerà nel sangue - disse un Malese mordendo la lama della sua scimitarra.
- Ci ubbriacheremo di polvere! - esclamò un Daiasso che si accostava ghignando a uno dei cannoni.
I due prahos con una scossa furono allontanati dalle paludose rive, nel mentre una terza palla
fischiava fra gli alberi troncandone i rami. Le vele terzarolate per non avere impicci sul ponte vennero
tese al vento. I due legni, senza rispondere alle provocazioni nemiche per riserbarsi i colpi a buona
portata, si spinsero in mezzo al fiumicello portandosi sull'altra riva la cui ombra delle grandi piante
bastava per sottrarli agli occhi più acuti.
Si trattava di sbucare improvvisamente in mare e di muovere arditamente all'abbordaggio, ancor
prima che il nemico pensasse alla ritirata. Possedendo la macchina nel ventre, era lui il padrone che
poteva portarsi da un luogo all'altro, evitare un incontro che fosse pericoloso e battere in breccia colle
sue artiglierie assai più potenti di quelle dei pirati. Sandokan aveva di già calcolato sui numerosi
vantaggi di lui e cercava sventarli giuocando d'astuzia.
- Non abbiamo fretta - diss'egli a Patau che si teneva alla barra. - Cerchiamo di risparmiare i nostri
uomini che sono contati, non esponiamo troppo i nostri legni al fuoco dell'assalitore che ha potenti
cannoni: lo abborderemo questa notte, se occorre. Non lasciamolo sfuggire giacché il leone si è
gettato dinanzi alla tigre.
L'incrociatore avea preso posto a seicento metri dalla costa e si teneva sotto macchina senza gettare il
più piccolo ancorotto onde tenersi completamente libero nei suoi movimenti, assalire o retrocedere,
determinato a scovare i pirati a colpi di cannone. Il suo pezzo di prua, senza dubbio un grosso
cannone, tuonava ogni cinque minuti cangiando direzione, tirando a caso, non giungendo a scorgere i
due legni che, semi nascosti e nel più profondo silenzio, scendevano lenti lenti la corrente aspettando
l'istante di correre all'abbordaggio.
Tutti i pirati erano pronti a qualunque sacrificio, decisi di sbarazzare il loro mare da un nemico
potente che finiva col diventare uno spauracchio anche pei più coraggiosi. Ognuno si giurava di farla
finita una volta giunto sul ponte dell'incrociatore, scannare il nemico benché tre volte più numeroso o
almeno farlo saltare colla Santa Barbara. Sandokan aveva dato gli ordini precisi, niuno li avrebbe
cangiati; guerra avea promesso, guerra doveva essere. La vittoria sarebbe venuta dopo.
I due prahos continuarono a scendere la corrente senza più inquietarsi delle detonazioni
dell'incrociatore. Le palle fischiavano nei boschi abbattendo gli alberi, rimbalzando fino al fiume,
forando più d'una volta le vele, ma non si rispondeva. Si voleva mordere la carne del leone.
A venti metri dalla foce fu visto il legno nemico che continuava a tirare col solo pezzo di prua. Patau
ad un segno del capitano si curvò sul cannone che pareva impaziente di ruggire.
- Guarda! Guarda! - esclamò Sandokan volgendosi verso il prahos che veniva dopo.
Una nube di fumo sfuggì dalla prua del legno da guerra seguita da una detonazione che si ripercosse
sotto gli alberi della costa. La prua del prahos fu passata da un proiettile come fosse stata di cartone,
facendo saltare le tavole del castello su cui poggiava il cannone. Il pezzo si rovesciò mentre una
colonna d'acqua si precipitava fischiando nella stiva.
- Quei cani tirano a meraviglia! - esclamò un Daiasso, che si precipi con tre o quattro altri
compagni sotto coperta, dove l'acqua di già invadeva il paramezzale.
- Se non ci sbrighiamo, la sarà finita prima di filare cento braccia - mormorò un Giavanese.
- Silenzio! - gridò Sandokan facendo lampeggiare la lama della scimitarra.
Il legno da guerra alla vista dei due prahos pirateschi aveva, dopo il colpo di cannone così
fortunatamente riuscito, fatto un mezzo giro a tribordo dirigendo la prua verso il nemico, pel quale
pareva avere un certo rispetto che poteva chiamarsi un po' di paura, ad onta della sua mole e della sua
potente artiglieria. Si udiva sul suo ponte rullare il tamburo e squillare la tromba come in un giorno di
battaglia, uomini che comandavano e lo sbuffar della macchina che vomitava torrenti di fumo dalla
ciminiera ristretta in mezzo ai quali scintillavano delle scorie.
Da ogni parte si vedevano artiglieri in posizione dietro i loro pezzi col cordone tira-fuoco in mano
pronti a bombardare il nemico con turbini di ferro, soldati dalle giacche rosse visibili a grandi distanze
e che offrivano un sicuro bersaglio e marinai armati di carabine issati sulle coffe, sui pennoni, sulle
sartie, sulle griselle che gesticolavano vivamente impazienti di cominciare il loro formidabile fuoco di
moschetteria.
Sandokan a tutti quei preparativi, a tutte quelle mosse del legno da guerra che si teneva sotto vapore
per battere in ritirata dinanzi a trentasette uomini, si era messo a ridere. Quell'uomo singolare trovava
che tutti quei preparativi erano ancor pochi dinanzi a lui, cui il nome sol bastava a triplicare le forze
dei suoi pirati.
- Eh! - esclamò egli rizzandosi quanto era lungo. - Non scherziamo di troppo, figli miei, che il leone
ha aperte le sue unghie. Orsù, tigrotti miei, mano ai remi e a tutta velocità all'arrembaggio senza
risparmiare, fra mezzo, qualche moschettata. Una volta sul ponte, sangue e cadaveri!
- Sangue! Sangue! - urlarono come un sol uomo i due equipaggi.
- Ai remi! Ai remi! - comandò Patau sempre in posizione dietro al suo cannone, che andava
accarezzando.
Trenta uomini, trenta macchine dalle braccia d'acciaio, si precipitarono sotto coperta dei due prahos
che si tenevano a una rispettabile distanza l'un dall'altro per non offrire una mira troppo facile al
nemico. Due secondi dopo i legni corsari, guizzanti come pesci, rapidi come battelli a vapore,
uscivano a tutta velocità in pieno mare abbandonando ogni precauzione, movendo dritti al legno da
guerra che continuava a presentare la prua a meno di cento metri dalla costa.
- Ah! - esclamò Sandokan quando vide la coperta del suo prahos quasi sgombra. - La danza sarà
tremenda, ma si danzerà, se il birbante non si risolve a fuggire.
Egli si avvicinò a prua, dove Patau e quattro compagni lo aspettavano dietro il pezzo. Esaminò per
qualche istante il legno nemico che aveva sospeso il fuoco intento senza dubbio in qualche audace
manovra, e volgendosi verso il Malese sempre impassibile:
- Orsù, Patau, non abbiamo un istante da perdere. Seicento metri sono come seicento colpi di
cannone, bastanti per fracassare le ali ai nostri legni. Colpo per colpo, occhio per occhio, dente per
dente. Quando non avrai più occhio sicuro, cedi il posto e arresta la palla col petto!
- Bene, capitano - rispose il Malese. - Or mi vedrete all'opera!
Patau era uno dei migliori artiglieri che contasse la pirateria, un brav'uomo in fatto di colpi di cannone
che sapeva dare alle palle una direzione infallibile che fracassavano sempre. Egli si curvò sul suo
pezzo mirando il ponte dell'incrociatore, poi si rizzò colla miccia in mano.
Ancor prima che Sandokan avesse dato il comando, un lampo bale a prua dell'incrociatore seguito
da una sorda detonazione. La maistra fu tagliata nettamente come un giunco e precipitò sul ponte
coprendolo a metà colla sua vela e coi suoi pennoni, mentre l'altro prahos rispondeva fracassando il
bompresso che volò in mare a meno di un piede dal cannone ancora fumante.
- I nostri uomini cominciano bene! - disse Sandokan, traendosi di sotto le pieghe della vela. - Animo,
Patau, rispondi alla provocazione! Fracassa loro qualche albero o fa saltare quel dannato cannone di
prua.
- Eccomi, capitano. Colpo per colpo! Occhio per occhio! - rispose il Malese.
Avvici la miccia e dié fuoco. Il cannone s'infiammò ruggendo, vomitando ferro e fumo; il suo
proiettile che si allontanava pochi metri sopra il livello del mare andò a schiantare la passerella del
comandante con matematica precisione, mozzando nel medesimo colpo la ciminiera il cui fumo si
sparse pel ponte soffocando i combattenti di babordo che dovettero abbandonare il posto.
- Ehi, Patau! - esclamò Sandokan cacciando la barra a tribordo. - Non addormentarti sul pezzo;
fracassa se puoi la macchina a quel leone, fa saltare il suo magazzino delle polveri, fa mordere alle tue
palle i cannoni del nemico. Non vedi tu, che si addormenta ancora?
Il vascello da guerra, colpito ripetutamente, pareva sorpreso di quel fuoco co matematicamente
diretto. Il suo pezzo di prua non ruggì più, l'equipaggio si ritrasse dietro le murate precipitosamente, e
il legno virando ancora presentò il tribordo al nemico che si avanzava ratto ratto a tutta forza di remi.
Pareva che si disponesse in maniera da fulminare con i suoi sei o sette pezzi i due legni corsari, che
certamente non dovevano trovarsi a tutto loro agio in quel terribile duello, dove tutti i possibili
svantaggi erano a loro conto. Sandokan stesso parve inquietarsi di quella manovra.
- Il nemico ci schiaccerà! - esclamò egli. - Se non l'abbordiamo tra cinque minuti saremo battuti.
In un salto si precipitò sotto coperta. I quindici uomini remigavano furiosamente coi pugnali fra i
denti facendo sforzi sovrumani, incoraggiandosi col gesto e coll'esempio, promettendosi
reciprocamente morti e sangue. Non occorreva di più per fargli raddoppiare le forze che toccavano
l'estremo. - Non perdete un colpo di remo! Il nemico ci fugge! - gri Sandokan arrivando fino ai
banchi.
- Tuoni di Satana! - esclamò il Malese che tendeva i muscoli fino a farli quasi scoppiare.
- Dobbiamo adunque salire in coperta coi moschetti? - domandò un Daiasso.
- Silenzio! Ai remi! Ai remi! - comandò Sandokan.
Un nuovo colpo di cannone scoppiò al largo. Una palla di piccolo calibro, facendo saltare una tavola
due piedi sotto il ponte, scoppiò nella stiva a pochi passi da Sandokan, che rimase impassibile. Una
scheggia rimbalzando contro un'âncora, andò a fracassare la testa di un remigante che rotolò senza
gettare un grido sotto i banchi spruzzando i compagni di sangue e di cervella. - Vedete che la danza
comincia - disse freddamente Sandokan e risalì in coperta mentre i suoi uomini remigavano
furiosamente inebbriandosi nel sangue dell'estinto compagno.
- Quel dannato là non perde i suoi colpi - mormorò Patau. - Ecco che si sveglia.
- Fuoco, Patau! Rompi le ali e fa saltare quella dannata batteria! - gridò Sandokan.
Ancora il legno nemico lo prevenne. Due colpi di cannone scoppiarono simultaneamente e due palle
prendendo due diverse direzioni giunsero ancora una volta a destinazione. I due prahos ricevettero la
scarica in pieno ventre e lo scoppio che ne seguì portò la morte di due remiganti.
- Ah! miserabile! - urlò Patau. - È così che si risponde. Aspetta un po', vedrai!
Per la seconda volta accos la miccia al cannone. La detonazione non era ancor terminata che il
legno nemico parve incendiarsi. Un uragano di ferro volò sui due prahos allora lontani quattrocento
passi, a cui risposero urla di furore e le scariche delle spingarde di poppa. Pirati, remi e artiglieri
andarono sottosopra sotto il nembo di mitraglia; i due prahos furono rasati come pontoni.
Non avea ancor finito la scarica che ne seg una seconda, poi il legno da guerra avvolto in nembi di
fumo, crepitante sotto la moschetteria che grandinava palle sul nemico reso impotente in mezzo a
quella tempesta che sfasciava i deboli suoi legni, si mise a indietreggiare a tutta velocità portandosi
fuori di un possibile abbordaggio a seicento metri più lontano.
- Ah! miserabile! - urlava Sandokan rimasto illeso fra quell'uragano di scaglie.
Patau e due uomini rovesciati dalla caduta del trinchetto e dal cannone a metà sprofondato sul castello
schiantato, si rizzarono quasi subito. Il pezzo d'artiglieria, trascinato in mezzo al ponte solcato in mille
guise dal ferro nemico, fu in batter d'occhio caricato e puntato.
- Abbiamo da continuare la manovra? - domandò il Malese che si accingeva a rispondere ancora.
Sandokan non rispose. Egli guardò il legno nemico lontano un chilometro e più che fumava puntando
le artiglierie verso la costa e che virava di prua con insolente provocazione, forte del suo diritto e dei
suoi potenti mezzi. Egli misurò coll'occhio la distanza, guardò i prahos e si morse le labbra. Tirar
innanzi, inseguire quel nemico fuggente che aveva il vento nel ventre e numerose artiglierie,
sarebbe stata una pazzia. I due prahos di già seriamente avariati era da vedersi sarebbero stati sfasciati
ancor prima di giungere all'abbordaggio. Tanto valeva farsi uccidere sotto la costa da pari a pari, in
terra, petto contro petto, arma contro arma. Egli si avvicinò a Patau.
- Noi abbiamo preso una falsa via - diss'egli. - Il nemico è p forte di quanto credevo. Non vedi tu
che ci sfugge quando tentiamo abbordarlo? Un cannone contro sei, è troppo!...
- Lo so bene io. Se non avesse la macchina nel ventre! - rispose il Malese quasi ferocemente.
- E due soli cannoni - aggiunse uno dei pirati che succhiavasi il sangue colante da un dito mozzato.
- Un'ultima prova, Patau. Fammi largo, va a rianimare i miei uomini nella stiva, fa avvicinare il
prahos, lega i due legni assieme. Due cannoni e due spingarde possono ben far ruggire la tigre e
mordere il leone che fugge come un codardo... Va, Patau, va! Se giungo ad abbordarlo ti prometto
cento cadaveri.
Il Malese scomparve nella stiva e ne uscì un momento dopo traendosi dietro il drappello ridotto a soli
dodici uomini. Con un fischio chiamò gli uomini dell'altro prahos. Il restante della manovra si comp
con fantastica rapidità; i legni si trovarono ormeggiati, formando un sol ponte che presentava una
formidabile batteria al nemico, ancor prima che questi potesse comprendere il piano del pirata.
Dinanzi alla batteria venne gettato tutto ciò che poteva servire per un riparo. Botti ripiene di palle,
rottami, âncore, vecchi cannoni inchiodati che formavano parte della zavorra, e dietro a quella
barricata si affollarono i pirati colle mani raggrinzate sulle carabine e i denti stretti sulle lame dei
pugnali che scintillavano fra le labbra frementi. Otto uomini, i feriti, ma ancor robusti manovravano
di remi al di sotto dei ponti, che scricchiolavano sotto i piedi dei combattenti anelanti carneficina.
La nave da guerra aveva allora arrestata la mossa retrograda. La ciminiera smozzata eruttava nubi di
fumo e le ruote mordevano le acque spumeggianti. Essa si avanzava diritta alla batteria galleggiante
colle gole fumanti dei cannoni puntati sul nemico e lo sperone a metà sommerso quasi avesse l'audace
progetto di cozzarvi contro. Era quello che aspettava Sandokan.
Un minuto dopo i cannoni da ambo le parti ricominciavano la musica infernale. Si rispondeva colpo
per colpo, palla per palla, mitraglia per mitraglia. Le due macchine da guerra si fulminavano a
vicenda, in un duello mortale, movendosi incontro, proteggendosi con uragani di ferro, che sibilavano
nell'aria e che mordevano tigre e leone, frantumando attrezzi, atterrando uomini.
Non si scorgevano quasi più, avvolti com'erano tra nembi di fumo che una calma assoluta manteneva
al di sopra dei ponti, ma che montava? Da ambe le parti si ruggiva con egual furore, da ambe le parti
si mordeva malgrado la sproporzione dei mezzi e delle forze.
I due prahos non la cedevano al vascello. Lampeggiavano, eruttavano ferro, non perdevano né un
colpo, né un momento che poteva a loro costare una completa rotta. Forati, rasati, schiantati di tavole,
sdrusciti, avanzavano non ostante la tempesta di palle che struggeva lo scarso quanto coraggioso
equipaggio. Il delirio si era impadronito di quegli uomini che scemavano a vista d'occhio sotto il tiro
micidiale del numeroso nemico, che si teneva sempre fuori di portata di un abbordaggio dove avrebbe
potuta avere la peggio.
Patau, fedele alla parola data, aveva arrestato col suo petto la palla tirata sul suo cannone, ed era
morto al suo posto, ma che montava? Gli artiglieri dei due prahos erano per metà fuori di
combattimento, gli uni senza braccia dalle cui ferite uscivano torrenti di sangue spumoso, gli altri coi
fianchi squarciati dalla mitraglia e il rimanente morti, ma che valeva? Nuovi artiglieri manovravano ai
pezzi, uno dei quali era stato smontato, e facevano bravamente il loro dovere forando, spezzando,
struggendo, e dietro a essi si affollavano tutti gli altri, anelanti, anneriti malgrado il fosco colore delle
loro pelli dalla polvere dei cannoni e dei moschetti.
Il ferro turbinava attorno ad essi, staccava braccia e forava petti, troncava gambe e fracassava teste,
sibilava sui ponti facendo saltar le tavole, schiantando le murate, tracciando solchi profondi nei p
duri legni. Il fumo avviluppava quei due poveri legni corsari ridotti a brani, che non avevano p
l'apparenza di velieri, ma sopra di essi ruggivano ancor delle tigri affamate, assetate di sangue che
calpestavano i cadaveri dei compagni per farsi innanzi, che guazzavano nel sangue, che agitavano le
armi, che chiamavano, che insultavano, che urlavano contro il nemico che sfuggiva l'abbordaggio.
Si vedevano volti foschi, raggrinzati pel furore, occhi iniettati di sangue che schizzavano fuoco a ogni
lampeggiar dei cannoni, bocche che masticavano i pugnali sotto i denti freneticamente stretti, mani
che facendosi scudo coi cadaveri dei compagni traevano moschettate colla speranza di abbattere a
ogni colpo un nemico e in mezzo ad essi, Sandokan, che colla scimitarra in pugno rianimava i
combattenti fra un nembo di palle che saltavano e fischiavano a lui dintorno, ora bestemmiando e
comandando con una voce che risuonava come una tromba fra tutte quelle detonazioni e quegli scoppi
e che ora diventava ruggente come il ruggito della Tigre della Malesia di cui egli ne portava il nome.
La terribile battaglia du venti minuti, non di più. D'ambe le parti vi fu una breve sosta durante la
quale Sandokan, prevedendo la completa disfatta dei suoi, comandò la ritirata.
Il nemico incalzava valendosi delle sue potenti artiglierie, sei volte maggiori di quelle che
possedevano i pirati ridotte si può dire a un nulla. I due prahos tutti sdrusciti, tutti un foro, mezzi pieni
d'acqua che continuava trapelare malgrado i tappi frettolosamente cacciati dai pirati, non si
mantenevano più a galla, e non erano più in caso di tener ancora testa in pieno mare a quel vascello
ferrato. Artiglieri e marinai non erano in un miglior stato: ci voleva assolutamente la ritirata per non
venire totalmente schiacciati, e la ritirata, comandata per la prima volta in tanti anni di pugne dalla
Tigre, cominclenta lenta per quanto lo permettevano gli uomini di bordo gran parte dei quali erano
morti o feriti.
Il legno da guerra non per questo si arrestò, e parve deciso a inseguire i due legni fino sotto costa
malgrado la poca profondità delle acque e i numerosi banchi subacquei.
Arrestò la sua mossa retrograda e cominciò avanzarsi a piccolo vapore, eruttando pari a vulcano fumo
e fiamme.
Le palle ricominciarono a grandinare fitte fitte sui due poveri prahos, facendoli a brani. L'opera di
distruzione ricominciò più tremenda di prima.
- Ah! ricominci adunque, nave maledetta! - esclaSandokan con indicibile accento. - Seguimi sino
alla costa, vieni assalirmi laggiù al fiume se hai del coraggio, lancia i tuoi uomini a terra. Darei tutto il
mio sangue per misurarmi petto a petto coi tuoi marinai.
Egli volse uno sguardo attorno e misurò la distanza che lo separava dalla costa. Vi erano quattrocento
metri ancora da percorrere, distanza sufficente per venire completamente schiacciati prima di
giungere alle prime scogliere.
Egli mandò una bestemmia, fece un salto da tigre e scartando col rovescio della scimitarra tre uomini
avventossi sul cannone di prua ancor fumante.
- Tutti a bordo del mio prahos! - gricon voce tonante. - Taglia le corde! Tutti ai remi! Se si vuol
giungere salvi alla costa bisogna raggiungerla in meno di quaranta secondi.
I pirati sparsi sui due ponti si slanciarono su quello di Sandokan che pareva essere in miglior stato
dell'altro. Le corde furono tagliate, la carcassa abbandonata alle onde coi suoi cadaveri e coi suoi due
pezzi smontati, e gli uomini che ancor avevano delle braccia scesero nella stiva affollandosi ai remi.
Sandokan e tre artiglieri rimasero soli sul ponte a rispondere al fuoco del nemico.
- Orsù, figli miei, del coraggio! - disse Sandokan, acquistando quella calma che occorre a un
artigliere. - Siamo stati respinti se non battuti; la danza continua e noi danzeremo!
Quell'uomo singolare, senza curarsi delle scariche tremende del nemico che fulminava il prahos, si
accostò con tutta calma al suo unico pezzo soffiando sulla miccia, con l'occhio in fiamme che tradiva
la collera. Egli si curvò sul pezzo mentre il legno volava verso la costa.
- Aspetta, miserabile, ti fracasserò il tuo pezzo di prua!
Lo scoppio accompagnò l'ultima parola. Sandokan fece un salto innanzi in mezzo al fumo quasi
volesse seguire coll'occhio l'invisibile palla, cui egli avea saputo dare una direzione infallibile. Un
momento dopo una nube di fumo si alzò da prua dell'incrociatore, e le tavole del castello saltarono
assieme al pezzo designato ed agli uomini che lo manovravano. Egli sorrise.
- Colpo per colpo - mormorò egli mentre i suoi uomini caricavano il cannone.
Una palla partita dal legno nemico sibi alle sue orecchie. Gli man il respiro, mentre una seconda
rimbalzava sull'ancorotto e scoppiava rumorosamente nella stiva al di sotto del cassero.
- Oh! Oh! La cosa diventa seria. Aspetta un po', aspetta! - muggì egli.
Il suo secondo colpo partì fortunato come il primo. La maistra spaccata a due piedi sopra il ponte
precipitò attraverso la prua con tutti i suoi uomini delle coffe e dei pennoni. Una ventina di marinai
caddero in mare. Il fuoco della nave si arrestò quasi subito per dar tempo ai suoi di cominciare l'opera
di salvataggio. Quel momento di tregua bastò per salvare il prahos, che a tutta forza dei suoi quindici
remi guadagnò la costa cacciandosi nelle paludi del fiumicello.
Era tempo. Il povero legno corsaro empito a metà d'acqua non si sosteneva più; affondava lentamente
sotto il peso, gemeva come un morente che non sa decidersi abbandonare la vita. Sandokan, che
abbandonato il cannone aveva ripreso la ribolla, dovette arenarlo per impedire di andarsene
completamente a picco. I suoi uomini uscivano allora dalla stiva dove l'acqua giungeva fino ai loro
fianchi. Avevano abbandonato i remi per impugnare le armi pronti a ricominciare la lotta sempre con
l'eguale coraggio e coll'egual ferocia. Sandokan li arrestò con un gesto e li chiamò intorno a sé,
mentre che sul mare il cannone continuava a tuonare contro il prahos abbandonato che a poco a poco
sprofondava.
- Non una parola - disse Sandokan quando li ebbero contati. - Quindici uomini perduti, quindici di
meno che rivedranno Mompracem e nulla di più. Siamo ancora forti, e il vascello, in non miglior stato
di noi, è ancora là ad aspettarci. Noi andremo ancora in mare ad attaccarlo.
Nessuno di quegli uomini disse verbo, tanto erano obbedienti e tanto credevano alla voce del capo.
Solo Sabau si fece innanzi, non per fare osservazioni e meno ancora per lamentarsi benché avesse un
braccio ferito da una scheggia di mitraglia, ma per reclamare il suo diritto.
- Patau è morto - disse il Malese. - Debbo prendere il suo posto?
- È giusto - rispose Sandokan. - Vedi, mio bravo Malese, siamo stati respinti, ma non battuti, da un
nemico che si nasconde dietro il ferro, che rugge più di noi e che ha più denti. Non possiamo rimanere
noi, i pirati di Mompracem, prigionieri su quest'isola che è terra di loro. Il nemico ci spia, ci taglia la
ritirata perché è forte. Ci faremo ammazzare ma è d'uopo che abbandoniamo oggi queste coste che
domani saranno nostre. Mi comprendi tu, Sabau?
- Si tratta di sforzare il passo, ecco tutto - rispose il Malese. - Giacché l'ordinate, si farà.
- Sì, lo si farà - risposero in coro, ma con truce espressione i pirati affollati attorno il capo.
- Sono le sei - continuò Sandokan guardando il sole. - Fra tre ore tutto sarà oscuro, non vi sarà lume di
sorta, le tenebre saranno con noi. Usciremo in pieno mare e senza trar cannonate in silenzio come
ombre, e quando il nemico si accorgerà della gherminella noi saremo a Mompracem.
- E poi? E poi? - domandarono i pirati, le cui dita fremevano stringendo le armi.
Sandokan si mise a sogghignare:
- Poi - diss'egli con voce cupa, - vi farò vedere Labuan rischiarata dagli incendi, vi farò vedere ruscelli
di sangue umano scorrere pei boschi, e vi farò vedere una montagna di scheletri!
Volse le spalle alla sua banda che applaudiva freneticamente e andò a sedersi con Sabau a prua,
puntando il cannone verso l'ingresso della foce, in maniera da poter difendere l'entrata contro un
possibile attacco.
I suoi uomini, curati in furia i feriti, senza che questi emettessero il più piccolo lamento quantunque
ve ne fossero di quelli ai quali la mitraglia aveva scarnato orrendamente braccia e gambe, si rimisero
a lavorare con un ardore che giungeva al delirio.
Bisognava nelle tre o quattro ore che rimanevano rendere quel prahos sconquassato e sdruscito,
navigabile se si voleva sfuggire la notte stessa alla crociera. Il lavoro fu subito cominciato da quei
pirati, in mezzo ai quali trovavansi dei carpentieri che avrebbero dato dei punti a carpentieri europei e
marinai cui nulla era impossibile.
Cominciarono a turare i fori fatti dalle palle con tappi di diverse grossezze, turare le lacerature fatte
dalla mitraglia, mediante lamine di rame, e ribattere le tavole schiantate, e raddrizzare le murate
abbattute.
L'acqua della stiva venne vuotata a furia di mastelli mancando di pompa, i timoni vennero rimontati e
gli alberi rialzati assicurandoli colle manovre vecchie e coprendoli con nuove vele di ricambio.
Vennero prese anche misure contro un nuovo attacco potendosi dare che quantunque la notte fosse
oscura la fuga venisse scoperta, ricominciando così la battaglia che il prahos l'equipaggio
sarebbero stati capaci di sostenere.
Non avendo che un solo cannone, essendo stato l'altro smontato assieme alle spingarde, venne rizzata
dinanzi una barricata con tronchi d'albero e botti ripiene di terra onde proteggerlo. Alle otto, nel
momento che il sole precipitava all'orizzonte, tutto era pronto per la fuga; non restava che spingere il
prahos nell'acqua. La nave da guerra aveva da un'ora cessato il fuoco che non otteneva altro vantaggio
che quello di bombardare le foreste e si era portata al largo sicura che in quella notte i pirati non
avrebbero tentata la fuga.
Alle nove un pirata fu mandato da Sandokan fino alla costa. Attraversò le foreste e ritornò
assicurando che l'incrociatore dormiva all'âncora. Era il momento scelto senza aspettar la mezzanotte
in cui di solito si tentano le fughe o gli attacchi e il nemico veglia forse pattentamente d'ogni altra
ora.
- Andiamo - disse Sandokan abbandonando il suo posto. - Silenzio assoluto, soprattutto.
Egli fece un leggero cenno a Sabau. Bastò.
Quindici pirati entrarono nell'acqua e con una scossa spinsero il prahos nel fiume.
CAPITOLO V
Il ferito
La notte, come aveva predetto Sandokan, era più oscura della bocca di un forno spento. Non si vedeva
a venti passi lontano, tanto erano fitte le tenebre che parevano scese appositamente a favorire la fuga
del prahos.
Non luna in cielo, non stelle che si riflettessero sulle acque, non quel chiarore che proiettano le nubi
quando l'astro delle notti risplende sopra di esse. Appena appena si distinguevano i tronchi d'albero
della foresta lontana al più dieci metri sulle due rive. Confusi gli uni cogli altri, curvi o raddrizzati,
messi là come tanti muti spettatori, formavano colla massa del cupo fogliame una oscurità ancor p
densa, in mezzo alla quale il prahos scivolava silenziosamente seguendo il filo dell'acqua.
I soli rumori che si udissero erano i lievi cigolii dei timoni giranti sui cardini, il tremolar delle alte
frondi appena, appena agitate da un soffio profumato dell'est, il gorgoglio dell'acqua che si frangeva
dolcemente sulle sponde, il grido rauco degli animali notturni vaganti sotto le foreste in cerca di preda
e il respiro degli uomini che se ne stavano sdraiati sulle tavole del ponte, coll'occhio fisso verso il
mare, l'orecchio attento per raccogliere i minimi rumori del largo e le mani raggrinzate anziché tese
sulle armi, che avevano finito di scintillare dopo l'ultimo lume spento a bordo.
Il prahos scendeva la corrente lentamente, ma tanto da bastare per guadagnare in meno di cinque
minuti il mare e per non far il minimo rumore che potesse svelar la silenziosa fuga. Si teneva sulla
riva destra, rasentando colle cime degli alberi le frondi sporgenti della foresta.
Sandokan e Sabau, entrambi ai timoni, confusi fra tre o quattro tronchi d'albero che servivano di
difesa a quel punto importante, rattenendo il respiro, guidavano la silenziosa navicella con mille
precauzioni, cogli occhi dilatati come cercassero una preda nascosta fra i giunchi della riva.
Il prahos che continuava a scendere, d'un tratto si arrestò, dopo un breve strofinio. Sandokan,
indovinando che l'ostacolo non poteva essere che una secca, non batté ciglio.
- Arrestati? - domandò Sabau, con un fil di voce. - V'è il nemico alla foce?
- Non è nulla; lascieremo subito la secca - rispose Sandokan.
L'equipaggio, quantunque ignorasse la causa, non si mosse. Solo si u che armavano le carabine,
mentre gli uomini di prua, camminando come fantasmi, si curvavano sul cannone di già bell'e carico.
- La marea monta - disse Sandokan dopo qualche minuto di silenzio occupato a osservare le acque.
- Il tempo passa. Non si potrebbe por mano ai remi? - mormorò il Malese.
- È inutile, il rumore è pericoloso nel luogo ove ci troviamo. Non vedi tu nulla sulla sponda opposta?
- Nulla, fuorché la massa nera della foresta. Il nemico non sospetta di nulla.
- Bene, aspettiamo!... - E Sandokan senza dire una sillaba di più, aspettò che la marea montasse.
Pas un quarto d'ora, poi si udirono dei fremiti a prua, qualche scricchiolio sotto la chiglia, poi il
prahos, sempre in silenzio, tor a galleggiare. A una parola gettata sottovoce da Sandokan agli
uomini della manovra, una piccola vela dipinta a nero come le tenebre, un fiocco, fu spiegato sul
bompresso. Il legno filando appena qualche miglio all'ora, superata la barra delle scogliere e gl'isolotti
di sabbia visibili sol per l'onda che ci gorgogliava attorno, uscì tacitamente in pieno mare.
- Il vascello? - domandò Sandokan, cacciando la barra un po' all'orza.
- Eccolo laggiù, a mezzo miglio sopravvento. Dorme all'âncora - mormorò Sabau.
- Ah, il furfante ha preso il largo adunque? Bene, peggio per lui; il campo sarà più vasto.
Il legno da guerra aveva cautamente frapposto più di mezzo miglio fra sé ed i pirati, pei quali pareva
avere le sue paure, quantunque li avesse completamente fiaccati. Dormiva all'âncora ma non del tutto;
i fanali di posizione brillavano al loro posto e dalla ciminiera usciva qualche scintilla, che andava
perdendosi fra l'alberatura seminascosta in un pennacchio di fumo appena visibile. Vi era da credere
che la fuga riuscisse.
Il campo era vasto; si poteva scendere al sud, o salire per qualche miglio al nord, e per quanto i
cannocchiali da notte fossero puntati, si poteva sfuggire alle indagini e anche a un inseguimento.
- Tutto va bene - mormoSandokan sogghignando. - Il diavolo è con noi, come direbbe il mio buon
fratello Portoghese. Saremo a Mompracem ancor prima che il miserabile se ne accorga.
- Si può gettare da un lato la prudenza? - domandò il Malese che si rodeva dall'impazienza.
- Oibò! Coprirsi di vele potrebbe essere pericoloso. Il bianco col nero contrasta.
Il vento era debole, ma il mare perfettamente tranquillo e oscuro come fosse un mare d'inchiostro; il
prahos sotto la sua piccola vela, si mise a filare direttamente all'ovest, tenendosi un mezzo miglio al
sud dal vascello, la cui macchina brontolava.
Pareva che tutto dovesse andare a meraviglia, grazie l'audace manovra del corsaro e l'imprudenza del
nemico che nel momento in cui si doveva maggiormente vegliare, abbandonava il posto. La distanza
fra Labuan e Mompracem non è molta, tutta riducendosi a 60 miglia, che con vento e con remi
manovrati dalle braccia di ferro dei fuggiaschi, dovevansi fare in una notte o poco più. Si poteva al
mattino trovarsi in vista della costa amica, che equivaleva alla completa riuscita; che montava se
l'incrociatore dava la caccia alle spalle?
Al primo colpo di cannone tutti i pirati di Mompracem sarebbero usciti sui loro prahos in mare e per
quanto filasse il piroscafo e facesse ruggire le bocche dei cannoni, non avrebbe certamente potuto
sfuggire a quel formidabile assalto dei più arditi pirati dell'intera Malesia.
Sandokan, sempre al timone accanto a Sabau, misurava la distanza che lo separava dall'incrociatore
visibile solo pei suoi fanali di posizione e per la sua mole. Contava metro per metro, cercava di poter
scorgere ciò che succedeva sul legno nemico, fremeva d'impazienza e di collera, e allontanandosi
ruggiva in cuor suo di dover abbandonare quella preda colossale. Quel singolar uomo quasi quasi
dolevasi di fuggirsene così silenziosamente come un ladro notturno. Avrebbe desiderato qualche
colpo di cannone, un abbordaggio e infine una pugna corpo a corpo, una vendetta soddisfatta, quando
avesse pur da ricevere una scheggia di mitraglia attraverso il corpo. In quei momenti, egli credeva di
essere tanto forte da poter distruggere da solo quell'equipaggio sei volte più numeroso e i suoi uomini
dividevano i medesimi pareri. Un all'arme non sarebbe stato accolto che con un urlo di gioia.
Il prahos a poco a poco sotto nuovi soffi di vento, che spiravano dalla costa, accelerò sensibilmente la
corsa lasciandosi dietro una scia che talvolta scintillava quasi da credere alla vicinanza di un lembo di
mare fosforescente. Sabau notò quel scintillio che poteva attirare l'attenzione degli uomini di guardia
del piroscafo e sorridendo, anzicspaventarsi, ne fece osservazione a Sandokan.
- Vedete voi la scia che diventa talvolta luminosa? - mormorò il Malese.
- La vedo, Sabau - rispose Sandokan. - La fosforescenza fra poco crescerà.
- Navigheremo come in un mare illuminato. La fortuna non è con noi, ma forse è un vantaggio.
Sandokan sorrise e guardò a poppa. Attorno al timone parevano scaturire vivide scintille e la scia
prima biancheggiante diventava raggiante come se una luna splendesse sotto i flutti d'inchiostro. A
prua, l'acqua che spumeggiava prendeva la medesima tinta, visibile fra quella oscurità profonda a due
o tre miglia distante. Fra i pirati distesi sul ponte si udì un lieve mormorio, qualche bestemmia,
qualche sogghigno, e tutti gli occhi si volsero al legno da guerra sempre addormentato sulle sue
âncore e lontano già quasi un miglio.
- Dormono adunque? - mormorò Sandokan tormentando la ribolla del timone.
Il prahos continuò a filare sotto il suo piccolo fiocco, smuovendo i flutti che si facevano ognor più
fosforescenti sotto le migliaia e migliaia di uova di pesci. Aveva già percorso una quarantina di metri
senza che alcun segnalasse quell'insolito chiarore, quando un grido formidabile, un richiamo risuo
dal mare. I pirati si levarono come un sol uomo colle armi in pugno.
- All'armi! All'armi! - aveva gridato una voce che il vento aveva portato fino al prahos.
- Sangue di Satana, siamo scoperti! - escla un pirata di colossale statura, i cui occhi brillavano
come quelli di un gatto fra la profonda tenebrìa.
- Tanto meglio! - esclamò Sabau, alzando la scimitarra.
Il prahos si arrestò.
I flutti appena appena agitati tornarono diventare oscuri e la scia scomparve.
Il grido era partito dal legno da guerra, non vi era dubbio. Per quanto la smania di avventarsi sul
nemico ardesse nel petto di Sandokan, egli cercò di rendere invisibile il suo legno troppo lontano
dall'incrociatore per venire a un abbordaggio e troppo debole di artiglierie per ingaggiare un terribile
duello.
- Non movetevi! - comandò egli con quel tono di voce che non ammetteva replica.
La medesima voce di prima, che il vento portava, si fece udire al largo:
- All'armi! All'armi!...
Tra il silenzio generale appena rotto dalle ondulazioni del prahos e dalla brezza che fischiava
debolmente tra le manovre, si udì il rullo del tamburo risuonare sul legno nemico. Si batteva la carica.
I pirati non si mossero, decisi, come erano sempre, a tutto, pronti a sfidare una nuova tempesta di
ferro e ad arrampicarsi sui fianchi del legno nemico. Sandokan era con loro; bastava.
Il tamburo continuava a rullare. Un istante dopo, malgrado la lontananza, s'udirono le catene che si
torcevano nelle cubie e i colpi secchi dell'argano. Si salpavano le âncore, la battaglia era sicura.
- Al tuo pezzo Sabau! - disse brevemente Sandokan. - Quattro uomini con lui!
Si ubbidì sempre nel più profondo silenzio. Nel medesimo istante una fiamma lampegg sul ponte
del piroscafo, seguita da una forte detonazione. L'acqua rimbalzò fino a poppa del prahos.
- I proiettili piovono - mormorò Sandokan. - Bene, tanto peggio per lui!
Un fumo rossastro sfuggiva a gran volute dalla ciminiera. Si udirono le ruote rimordere le acque
spumeggianti, e si videro i fanali cangiar posizione.
Il piroscafo fu visto avanzare a tutto vapore sul prahos che sempre immobile nelle acque
fosforescenti, attendeva impassibile lo scontro.
- Ai remi, voi! - comanSandokan nel momento che una seconda detonazione scoppiava al largo e
che una nuova palla faceva saltar l'acqua a prua.
Il prahos virò immediatamente di bordo, descrivendo un semi cerchio colla prua volta al vascello
nemico, che correva alla carica, coll'evidente intenzione di colarlo a fondo. La fuga non poteva ormai
più tentarsi con un rapido camminatore, la ritirata su Labuan nemmeno sotto il fuoco schiacciante
di un nemico sì potente in fatto di artiglierie. Il meglio era di incontrarlo evitando un urto, abbordarlo
a babordo o a tribordo secondo i casi, arrampicarsi sul ponte e intavolare una pugna disperata. Uno
dei due dovea scomparire. Tanto meglio: vi sarebbe stato più sangue e più cadaveri!
Entrambi si scorgevano: l'uno pei suoi fanali, l'altro per la scia fosforescente. Entrambi si udivano:
l'uno per il sospirar della macchina ansante, l'altro pel battere dei remi. Il fuoco, palla e scaglia,
s'incominciò con egual furia, per ischiacciarsi a vicenda prima dell'urto.
- Orsù, Sabau, la partita non è eguale, ma siamo sempre noi i pirati di Mompracem. Fa adunque
ruggire il tuo pezzo e frangimi una di quelle ruote che mordono le acque - comandò Sandokan.
Il prahos volava ratto ratto, incontro al legno da guerra che arrivava a tutto vapore, mostrando la prua
tagliata quasi ad angolo retto, come uno sperone affilato. Sabau cominc col suo pezzo la musica
infernale, protetto dietro la barricata mirando i fianchi del colossale nemico, che rispondeva a tratti,
tempestando, ruggendo, infiammandosi, rompendo le tenebre e il silenzio per ogni dove.
In meno di cinque minuti il disgraziato legno che aveva un bel da fare a rispondere, fu demattato sotto
un fuoco di dieci o dodici bocche che scagliavano palle e mitraglia. Il ferro strideva sulle tavole del
ponte, sui fianchi, sulla barricata e fra gli attrezzi frantumati. Ruggiva, saltava, lacerava, spezzava,
turbinava; ai fori aggiungeva strappi, alle avarie aggiungeva avarie.
Il cannone fu smontato, Sabau fulminato accanto al suo pezzo, la barricata sfondata, il timone
infranto, e i remi furono schiantati assieme alle murate e ai banchi. L'acqua cominciò a penetrare nella
stiva; i remiganti abbandonando i feriti bestemmianti e dibattentisi fra il liquido elemento che li
affogava, salirono sul ponte cosparso di rottami disperdendosi dietro le barricate, cercando sostenersi
con un inefficace fuoco di moschetteria. In meno di cinque minuti un terzo erano stati sventrati
dall'uragano di ferro.
Sandokan solo, cui pareva un genio infernale miracolosamente proteggesse, rimaneva impassibile fra
quel turbinio di mitraglia che sdrusciva il legno affondante. In piedi a poppa, con un remo in mano e
la scimitarra fra le labbra, gettava di quando in quando una specie di ruggito soffocato come la tigre
della Malesia che si vede presa dai cacciatori.
La partita era perduta; impossibile resistere a quel vulcano irrompente senza un pezzo d'artiglieria.
Non restava che morire, ma morire onoratamente sul ponte del nemico dopo di aver venduta ben cara
la vita. Dodici soli uomini ancor rimanevano sul ponte frantumato del prahos che coi fianchi aperti se
ne andava a picco, ma dodici uomini assetati di sangue, guidati da un capo il cui valore era popolare
in quei mari, e che valevano ancora i quaranta partiti da Mompracem.
- A me, miei pirati! - esclaSandokan, fino allora rimasto muto.
I dodici combattenti cogli occhi stravolti, i pugni chiusi come tenaglie attorno alle armi, facendosi
scudo coi cadaveri dei compagni lo raggiunsero a poppa dove manovrava ancora al remo. Tre o
quattro feriti che bestemmiavano sotto i rottami, vomitando torrenti di sangue a ogni scossa, si
sforzarono di ubbidire ancora alla voce del capo; essi caddero ai piedi dei rimasti urlando come tigri.
- All'abbordaggio! Vendetta! Vendetta!
- Ah! cane di un nemico! - esclaun Daiasso, mentre una palla gli troncava una mano.
Il piroscafo avventando fiancate sopra fiancate sul prahos sdruscito che non avea più l'apparenza di un
legno, era allora a soli venti metri da poppa e proseguiva la corsa per affondarlo col suo sperone.
Sandokan si aggrappò al remo con ambe le mani.
- Lancia un grappino! - esclamò egli virando di poppa per evitare l'urto. Il piroscafo era a pochi passi
distanti e cercava alla sua volta di virare spazzando il mare a tribordo; le sue onde giungevano fino al
prahos che rollava penosamente, e sul ponte del quale i pirati moschettavano i marinai delle artiglierie
per nascondere l'audace manovra.
Di repente avvenne un cozzo sul babordo seguito da uno scricchiolio sinistro; il prahos si piegò a
tribordo imbarcando le prime onde che si precipitarono fischiando nei boccaporti.
- Lancia! Lancia! - urlò Sandokan abbandonando il remo ed afferrando la scimitarra.
Il grappino giunse fino ai pennoni del trinchetto e vi si infisse fra le gomene. Il prahos che affondava
virò di bordo seguendo il piroscafo che accelerava la via. Sandokan si aggrappò come una scimia alla
gomena.
- A bordo! A bordo! - urlò egli cercando dominare colla voce il crepitar della moschetteria.
Quel comando bastò. I pirati aiutandosi a vicenda, aggrappandosi su per gli sportelli delle batterie,
giungono alle murate e si scagliano sul ponte come una banda di affamati lupi, ancor prima che il
nemico abbia a respingere l'audace invasione.
- Ammazza! Ammazza! - urlò Sandokan precipitandosi fra i combattenti.
I primi che si parano dinanzi cadono sotto i suoi colpi ed i suoi uomini lo seguono seminando la via di
cadaveri. Si scagliano sui cannoni massacrando gli artiglieri, urlano, si dimenano, tempestano colpi a
diritta e a manca valendosi dell'oscurità per accrescere la confusione, poi simili a tigri, sbaragliati gli
uomini di prua, si gettano sul ponte a testa bassa.
- Ammazza! Ammazza! - urlava Sandokan agitando la scimitarra insanguinata fino all'elsa.
Il tamburo batteva la carica. L'equipaggio dell'incrociatore, sbandato e smarrito per un istante, si era
raccozzato a poppa attorno ai comandanti e si precipitava innanzi caricando alla baionetta mentre la
moschetteria degli uomini installati sulle coffe cominciava a mordere sibilando fra gli attrezzi. Non vi
era da arrestarsi da dare indietro. I pirati ridotti a nove, ma diventati nove leoni, si gettano
coraggiosamente sulla punta delle baionette e intavolano a mezzo ponte una lotta micidiale, cercando
sfondare quella muraglia umana per giungere alla Santa Barbara e far saltare con essi la nave.
Sono uno contro dieci, ma in quel momento non si contano. Avventano colpi disperati, troncano
braccia e aprono teste, urlano per ispargere maggior terrore nelle file nemiche, cadono,
indietreggiano, si avanzano come le onde del mare, si aggrappano ai combattenti dilaniandoli coi
denti e colle unghie, facendosi scudo coi corpi dei cadaveri; perdono le armi infrante ma strappano
quelle dei nemici incalzanti e ricominciano l'omerica lotta fra i gemiti dei feriti.
Il valore doveva cedere al numero. Moschettati sopra, sciabolati a tergo, ributtati dinanzi, avviluppati
da un nemico dieci volte meglio armato e che diventava ognor più numeroso, muoiono vendendo cara
la vita, ma muoiono. Sei uomini cadono trafitti in meno di venti secondi.
Sandokan e gli altri, coperti di ferite colle scimitarre in pugno sono costretti a retrocedere dinanzi
quella barriera irta di armi; facendosi strada fra i moribondi, si precipitano a prua tentando con uno
sforzo disperato d'arrestare quella valanga di gente col cannone.
A mezza via Sandokan rotola sul ponte insanguinato con una palla nel petto. Get un ruggito di
dolore. I suoi uomini gli si stringono d'attorno.
- Ammazza! Ammazza! - urlò ancora il ferito e sollevandosi con uno sforzo disperato si prepaa far
testa al nemico che correva all'assalto colla baionetta.
L'urto fu terribile. I tre pirati, che si erano gettati dinanzi al loro capo facendo scudo coi loro corpi,
caddero fulminati. Ma non così avvenne della Tigre della Malesia miracolosamente salvata dai suoi
prodi.
Il formidabile uomo gettando il suo urlo di guerra spaccò la testa al primo uomo che gli si parò
dinanzi, poi gettando da un lato l'arma seminfranta, abbrancando un marinaio e sollevandolo con
forza erculea malgrado la ferita che mandava fiotti di sangue, si avven contro una delle murate.
Frantumare la testa del poveretto con una terribile stretta, scavalcare le murate e precipitarsi in mare
prima che le baionette l'avessero toccato, fu per lui l'affare di un lampo.
Ma un tale uomo, dotato di una energia sovrumana e del coraggio della tigre, quantunque ferito e
spossato, non doveva sì facilmente morire.
Mentre il piroscafo proseguiva la sua via trasportato dalle ultime battute delle ruote egli con un colpo
di tallone risalì silenziosamente a galla, e rattenendo con ferrea volon i gemiti che gli strappava la
ferita al contatto dell'elemento corrosivo, si mise a nuotare come un pesce verso l'est senza lasciare
traccie, senza destar attenzioni e con tutta la velocità di cui era capace un marinaio come lui. Il legno
da guerra virava allora trecento passi lontano. Esso si avanzò descrivendo un gran cerchio attorno al
luogo ove si era inabissato il pirata, coll'intenzione di tagliarlo in due collo sperone. Non bisognava
lasciar vivere uno di quegli uomini di una razza maledetta, che durante dodici ore di una lotta
sanguinosa aveva tenuto in scacco uno dei più valorosi legni della marina inglese.
Ma Sandokan, se il legno lo cercava attivamente, egli era ben deciso di sfuggire, di tutto tentare per
guadagnar la costa che non doveva essere gran fatto lontana e meditar di una strepitosa vendetta.
Egli si era arrestato immerso per quattro quinti, protetto dall'oscurità, rannicchiato quasi su stesso
nel liquido elemento a lui tanto famigliare senza gettare un sospiro, senza fare un gesto, senza movere
occhio. Galleggiava come un rottame abbandonato pel quale si poteva prenderlo se fosse stato scorto.
Il piroscafo compì il suo giro mordendo le acque, poi si arrestò come cercasse indagare quei flutti da
lui agitati e ripigliò le ricerche tagliando quello spazio in mille guise, virando da babordo a tribordo
colla speranza di incontrare il nuotatore, e di lacerarlo o di stritolarlo sotto le ruote.
L'equipaggio intero fornito di fanali era sparso sulle murate, sulle griselle o calumato fino alle patte
delle âncore per cercare di scoprirlo. Ma la manovra non riuscì benché lo sperone e le ruote
passassero a pochi piedi da Sandokan sempre immobile e qualche palla tirata a casaccio facesse
rimbalzar l'acqua a pochi pollici dal suo capo.
Dieci minuti dopo il piroscafo, sicuro che il pirata erasi annegato o era caduto sotto il dente di qualche
pesce-cane, si allontanava a tutta forza della sua macchina dirigendosi verso il nord, lasciandosi dietro
una scia fosforescente, gorgogliante, in mezzo alla quale ondulava qualche cadavere.
Sandokan, appena fu sicuro che la distanza e il fragor delle ruote soffocavano più che
sufficientemente il rumor dell'onda tagliata dalle sue braccia, dopo di aver passato la cintola sulla
ferita per arrestare l'emorragia e d'averla bene stretta, ricominciò a nuotare con tutte le forze che ancor
rimanevano nel suo corpo impoverito di sangue. Egli non gemeva ad onta degli atroci dolori che
soffriva ma si mordeva le labbra con una specie di furore, alternando fra una battuta e l'altra una
bestemmia, un giuramento, comprimendo colle dita la cintola stretta sulle labbra della ferita dalle
quali usciva un filo di sangue che si mesceva coi flutti d'inchiostro. Tutta la sua ira, tutta la sua
vendetta era , su quel piroscafo che dopo averlo battuto fuggiva, su quel piroscafo che lo aveva
sconfitto per la prima volta in vita sua, su quell'incrociatore che scorrazzava quei mari non suoi, su
quel fantasma potente quanto terribile che avea fatto mordere la polvere alla Tigre della Malesia.
Lottando disperatamente fra le acque sfinito per la perdita del sangue, quell'uomo aveva dei momenti
in cui sfuggendo la costa si metteva insensatamente a inseguire il piroscafo che a poco a poco
impiccioliva scomparendo fra le tenebre, lo chiamava, bestemmiava, lo sfidava, alzando le mani
raggrinzate, frementi, strette come attorno l'impugnatura di un'arma immaginaria, scagliandogli
contro mille insulti, mille minacce. Oh! allora pareva dar ragione a quel nome di Tigre della
Malesia, e come nella pugna digrignava i denti, gli occhi mandavano lampi, e lanciava quel sordo
mugolio che lo rassomigliava alla tigre.
Ma a poco a poco quei deliri, quella collera insensata sparvero, sfumarono, e il formidabile pirata
richiamato alla realripigliò il faticoso esercizio, cercando la costa avvolta fra fitte tenebre che non
permettevano ancora di scorgerla rimandando in cuor suo quella vendetta, che per lui era la vita.
Nuotò così parecchio tempo, soffermandosi tratto tratto per ripigliar fiato e per istrapparsi di dosso le
vesti onde acquistare maggior libertà nelle mosse, poi cominciò sentirsi spossato. Rallentava le
mosse, sentivasi irrigidire le estremi dei piedi e delle mani, e la ferita strappavagli lugubri gemiti.
Pure non era uomo da cedere sì facilmente. Voleva vivere per potersi vendicare, per potere un giorno
schiacciare alla sua volta il maledetto che lo aveva battuto. Con una mano raggrinzata sulla ferita,
facendo sforzi sovrumani, contin a tirar innanzi deciso a guadagnare le coste di Labuan.
- È d'uopo che viva! - andava esclamando egli ferocemente fra una battuta e l'altra dei piedi. - Bisogna
che io vendichi i miei prodi! Bisogna che ritorni io il padrone del mare. Dove sono queste maledette
coste di Labuan? Ah! Perla, quanto mi sei costata! Eppur ti voglio vedere!
Egli così parlando si animava, mordeva la spume, tendeva i pugni battendoli quasi con furore su quei
flutti che egli diceva suoi, quasi volesse far comprendere a loro che egli era il padrone. Si arrestò per
la ventesima volta affranto da quegli sforzi erculei, ansante, coll'occhio stravolto, cercando l'isola e
coll'orecchio teso per accogliere il fragore della risacca che ne segnalasse la vicinanza.
Si aggomitolò su sé stesso, gettando rauchi gemiti lasciandosi portare dal flusso che lo spingeva verso
la costa. Le membra si irrigidivano per la perdita del sangue e per la spossatezza, il respiro diventava
affannoso, gli occhi si velavano sotto ombre sanguinose e mille rumori gli risuonavano nelle orecchie,
mille urli disperati, mille chiamate a cui parevano unirsi ruggir di bronzi e detonazioni di moschetti,
che la febbre mille volte raddoppiava.
Il pirata, che vedeva consumarsi quella energia sovrumana che lo sosteneva anche nei più terribili
frangenti, rimase immobile per cinque minuti semi-svenuto, delirante, porgendo orecchio a quelle
credute grida che gli parevano dei compagni, poi rompendo quella immobilità che a poco a poco lo
perdeva, stese le braccia irrigidite riprendendo, con quella potente volon in lui abituale, il penoso
cammino in mezzo a quei flutti sempre più neri e nella più profonda oscurità.
Percorse ancora venti passi, poi avvenne fra lui e un oggetto non ancora definibile un urto. Credette in
sulla prima di aver da fare con qualche pescecane, e si tuffò cercando fra le vesti lacerate il suo kriss
dalla lama serpeggiante ancora infisso nella larga cintola e l'afferrò con moto convulso.
- Ancora un nemico adunque! - pensò egli con collera concentrata. Ricomparve alla superficie;
avvenne un nuovo urto, allun le braccia e afferrò un rottame che galleggiava in balia dei flutti.
Pareva fosse un pezzo di ponte, senza dubbio di uno dei due prahos, e che poteva offrire un valido
aiuto alle esauste sue forze. Vi si aggrappò disperatamente uscendo a metà dalle acque e scoprendo la
ferita dalla quale usciva ancora qualche goccia di sangue dalle labbra rigonfie.
Per due ore, quell'uomo che non voleva morire, pericolosamente ferito, lottò contro il sonno e lo
svenimento che lo assalivano, sempre a metà immerso, aggrappato al rottame che lo traeva
insensibilmente alla costa. Furono due ore di patimento indescrivibile, due ore che parevano due
secoli, poi cadde sfinito sul rottame lasciandosi trasportare dal flusso, credendo talvolta di udire il
fragor della risacca o le grida di naviganti o lo sbatter di remi o i tuffi dei pesci-cani.
Alle tre del mattino avvenne un cozzo che il fece tornare in sé. Tese le braccia, allungò le gambe
raggrinzate ed irrigidite e getuno sguardo all'intorno mentre un fragore insolito rimuggiva attorno.
Era a poche braccia dalla costa dove il flusso ve l'aveva tratto. Abbandonò il rottame e traballando
come un ubbriaco sui banchi di sabbia, dopo di aver lottato venti volte colla risacca che lo rispingeva,
guadagnò con mille stenti una riva bassa, sabbiosa, coronata di fitte foreste dove cadde affranto in
mezzo alle alghe.
CAPITOLO VI
Febbre e delirio
La ferita poteva essere se non mortale certamente pericolosissima, chiedeva una pronta cura se non
fosse stato altro per arrestarne l'emorragia che poteva compromettere la vita del pirata.
Sandokan non lo ignorava, e appena poté riaversi un po' dalla spossatezza, pensò subito a medicarsi,
con tutte le misere risorse che gli offrivano le piante medicinali della foresta.
Con sforzo supremo, aiutandosi colle mani e coi piedi, bestemmiando e gemendo egli si trascinò fino
ai primi alberi e dopo di essersi appoggiato al tronco di un betel a poca distanza da un rivoletto
d'acqua, esaminò a lungo l'orribile ferita.
Aveva ricevuto una moschettata quasi a bruciapelo a segno che la carne portava ancora le tracce del
fuoco; la palla era penetrata nel fianco sinistro al di sotto della quarta costola e dopo di essere
sdrucciolata fra le ossa, era andata a perdersi nell'interno senza aver toccato, a quanto pareva, le parti
vitali.
A ogni modo se non era mortale, poteva diventarlo per mancanza di un pronto soccorso; Sandokan
non l'ignorava, e ritrovando la sua potente energia anche in quei momenti supremi, dove le ore di vita
potevano essere contate, si preparò a medicarsi con tutte le risorse che poteva disporre. Egli appressò
le magre dita alla ferita le cui labbra erano gonfie pel continuo contatto dell'acqua marina, e non
badando alle orribili sofferenze, l'aprì, l'esaminò con occhio pratico e la premè facendone uscire un
rivoletto di sangue, dapprima leggermente tinto e poi di un bel rosso.
- Bene - mormorò fra i denti. - Si guarirà!
Vi era tanta energia in queste ultime parole, da credere che fosse lui il padrone della sua vita; vi era
tanta fiducia in quell'anima di ferro sostenuta dalla vendetta, che non dubitò più di guarire, ad onta
delle scarse sue risorse, ad onta della mancanza d'aiuti, e della terra straniera su cui riposava.
Si trasci senza emettere un sol gemito fino al rivoletto d'acqua, la principale medicina che egli
possedesse, e spruzzò ripetutamente la ferita, poi facendo a brani un lembo della sua camicia di fina
battista, fece alcune filacce, e la fasciò con mano abile. Il p era fatto, si trattava ora di cercare
qualche erba a lui solo nota e di godere un lungo riposo. Il mezzo di trarsi d'impiccio sarebbe venuto
dopo.
Bevette qualche sorso d'acqua per calmare la sete ardente che lo divorava cagionata da una violenta
febbre, sos ancora pallido e disfatto sostenendosi colle mani e colle gambe, credendosi sempre in
procinto di venir meno, poi riprese le mosse, gemendo lugubremente. Bisognava cercar una di quelle
erbe, ed egli era uomo da trovarla, e la trovò a poca distanza di un gruppo di bambù.
Era una pianticella alta al più sei pollici con ramoscelli pieghevoli, e foglie lunghe lunghe. Il pirata,
facendo uno sforzo che gli costò una centesima imprecazione, strap le radici e senza badare alla
terra raggruppata attorno, si diede a masticarla finché l'ebbe ridotta a una specie di pasta gommosa,
che applisulla ferita.
Aveva appena terminato che l'energia l'abbando per la seconda volta. Chiuse gli occhi che
roteavano un cerchio di sangue, strinse i denti nuotanti fra la bava, cercò sostenersi brancolando come
per trovare un appoggio alle mani e rotolò appié dei bambù bestemmiando Dio e Maometto. Dieci
volte tentò rialzarsi digrignando i denti come una tigre, destando colle sue urla gli echi delle foreste,
poi spossato cedette e cadde in una specie di svenimento che durò più di una mezz'ora.
Quando tornò in una sete ardente lo divorava e la febbre gli faceva provare interminabili tremiti a
onta del sole che brillava. Si stropicciò gli occhi, poi si mise a strisciare cercando raggiungere il
torrente, ma non vi riuscì.
Allora quell'uomo si rizzò sulle ginocchia alzando le braccia verso il cielo come una minaccia, come
una sfida insensata e dal suo sguardo sembrò scaturissero scintille. Si credette più forte che mai.
- A me, mie forze! È d'uopo vivere!
Si rizzò girando attorno lo sguardo torvo, sostenendosi per un miracolo di potente energia e cammi
o meglio barcollò fino al rivoletto dove cadde sulle ginocchia. Non voleva di più; tuffò le avide labbra
fra le gorgoglianti acque, bag una seconda volta la ferita. Ten una seconda volta di rialzarsi ma
non fu capace e andò ad appoggiarsi ai piedi di un arecche, le cui sei od otto foglie di una
sproporzionata grandezza (non minore di quindici piedi su sette di larghezza) proiettavano una
benefica ombra.
Egli rimase cinque, dieci e forse più minuti immobile, col capo appoggiato al tronco dell'albero e le
braccia conserte, guardando il mare che si apriva a lui dinanzi, quasi volesse indovinare ciò che
succedeva a Mompracem, poi si scosse.
La sua faccia s'abbuiò terribilmente, i suoi occhi s'accesero d'uno strano fuoco, le labbra si contrassero
fremendo mostrando i denti. Un pazzo scoppio di risa gli uscì dalla gola.
- Ah! - esclamò egli con rauca voce che pareva proprio il ruggito di una tigre. - Chi avrebbe detto che
un giorno Sandokan avrebbe morso la polvere sotto i colpi di un incrociatore? Chi avrebbe detto che
la Tigre della Malesia avesse a cedere dinanzi a un leone? E chi avrebbe detto che la Tigre ferita si
ricovererebbe nella tana del nemico? Oh! quando vi penso sento ardermi il sangue dalla vendetta!...
Una spaventevole bestemmia echeggiò sotto le volte fronzute di grandi alberi facendo tacere le scimie
verdi che dondolavano sulle cime dei più alti rami.
Il pirata tornò a guardare il mare sempre tranquillo e la terra su cui riposava.
- Che importa - continuò egli con maggior ira battendo coi pugni chiusi la terra, - che importa se oggi
vinto e ferito mi trovo su questa odiata terra delle giacche rosse, quando domani questi luoghi che mi
hanno visto approdare spossato e dissanguato non avranno p abitatore alcuno e non conserveranno
più traccia di sé?...
"Che importa se oggi il leone ha il ruggito più forte della Tigre malese, quando domani sarà lui che
morderà la polvere e sopra di lui sibileranno mille lingue di fuoco che struggeranno i suoi
discendenti? Non si conosce ancor bene la potenza del mio braccio, il mio nome, il mio odio tutto
accumulato su questo palmo di terra che dovrebbe fremere al mio soffio! Bene, battuto oggi, vincitore
senza pietà domani!
Il pirata, così parlando, si animava come assaporasse di già la vendetta, agitava le braccia come
brandisse una scimitarra di fuoco pronta a frantumare l'intera Labuan, fremeva e si dimenava
bestemmiando.
Il dolore della ferita lo ricondusse alla realtà; egli divenne cupo e si morse le dita.
- Pazienza, Sandokan - continegli poi su altro tono, - la tigre della Malesia sa spiare la sua preda
senza fretta e senza rumore, cerchiamo imitarla. Non sarei più il medesimo uomo se avessi a
dimenticare l'onta di una sconfitta. Mompracem è laggiù al ponente, la vendetta mi darà la forza di
raggiungerla, dovessi farmi schiavo di queste giacche rosse. Sono ancora il terribile Sandokan;
malgrado la mia ferita, sap trarmi d'impaccio anche sulla terra di loro... no, sulla terra del fuoco,
sulla terra del Borneo!
Stette un'ora nella medesima posizione, appoggiato al tronco d'arecche, coll'occhio scintillante, fisso
sul mare le cui onde venivano a morire gorgogliando a pochi passi lontano, quasi volesse invocare da
esse, che egli chiamava sorelle, un aiuto e porgendo orecchio al sibilo del sangue impoverito, al
battito precipitoso del cuore e ai tremiti della febbre che lo divorava. Si sentiva stordito, spossato,
ammalato; il sangue gli affluiva in testa e i denti battevano come galoppo formidabile; andò ancora a
spegnere la sete al ruscello tuffandovi avidamente le labbra, le mani, la testa.
I dolori ricominciarono accompagnati da una spossatezza indefinibile. La ferita gli strappava gemiti,
le forze lo abbandonavano a onta di tutta la sua energia. Lottò ancora dieci volte trascinandosi alla
riva del ruscello per tuffar la fronte ardente e spegnere la sete che lo divorava, confondendo Dio e gli
uomini, invocando il Portoghese, i suoi pirati, la sua Mompracem, poi ricadde sfinito appié
dell'arecche nel mentre che il sole dopo di aver compiuto il suo giro si tuffava nel mare dopo un breve
quanto magnifico crepuscolo.
- La notte! La notte! - escla il ferito sollevando la terra a lui d'intorno colle unghie. - Oh! io non
voglio dormire, voglio esser forte, ancora forte. Il nemico è mi potrebbe spiare... no, non voglio
dormire io... non voglio!
Si portò ambe le mani sulla ferita dolorosa e si riz in piedi. Girò lo sguardo verso la foresta che
diventava rapidamente oscura e al mare che diventava color d'inchiostro, parve indeciso sulla via da
prendere, poi si gettò sotto gli alberi, movendo diritto, senza saper il dove, né il perché. Camminava
per non dormire, per non essere sorpreso dal nemico che forse vegliava; camminava per non cadere
nelle sue mani.
Nel suo delirio credeva che gli Inglesi fossero ad aspettarlo, pronti a precipitarsi su di lui appena
addormentato. Credeva sempre di udire le grida degli inseguitori, i loro colpi di fucile, l'abbaiar dei
loro feroci cani e fuggiva, ad onta della ferita, cadendo, rialzandosi, lasciando lembi del suo vestito
ridotto a brani fra i cespugli, incespicando nelle radici, scalando alberi atterrati, precipitandosi nei
ruscelli, bestemmiava, malediceva, ruggiva come la tigre agitando il suo kriss la cui impugnatura
tempestata di diamanti scintillava come una face quando un raggio di luna vi batteva sopra.
Continuò la forsennata corsa per dieci minuti, internandosi sempre p nelle foreste, destando tutta la
selvaggina dei dintorni, poi si arrestò anelante, smarrito. Alzò le braccia come un pazzo invocando la
vendetta celeste su quella terra, che pareva ardesse sotto i suoi piedi, lasciò sfuggire un urlo da
disperato e battendo l'aria colle mani, ruinò al suolo come un albero schiantato dal vento.
Allora alla febbre si aggiunse il delirio. La testa pareva fosse per iscoppiargli, pareva che dieci
uomini la martellassero simultaneamente facendogli saltare il cervello. La ferita malgrado le filacce
incominc a sanguinare, ma pareva fuoco che uscisse dal petto e che ardesse le carni, la terra, le
foreste e l'isola intera. Le forze lo abbandonarono ancora nel momento che tentava riprendere la
sfrenata corsa e ricadde sui cespugli.
- Via di qua... via di qua! - urlava egli in preda al delirio e alla febbre. - Che volete voi, giacche
rosse... su questa terra?... Via da questi mari... sono miei! Largo alla Tigre... largo ai pirati di
Mompracem... largo ai padroni di questo mare... essi berranno il vostro sangue... essi succieranno le
midolle delle vostre ossa... berranno nei vostri teschi... arderanno le vostre navi... le terre, le città, i
villaggi! Che volete voi? Non avete terre in vostra patria?... ladri, avvelenatori di popoli... via di qua!
via di qua!
Così parlando, il pirata si rotolava fra i cespugli mordendo la terra, strappando le radici colle unghie e
coi denti. Urlava come una belva feroce, si rizzava sulle ginocchia, si batteva il capo, si torceva le
braccia, stritolava i cespugli in una potente stretta. Egli credeva di aver dinanzi a degli Inglesi, e
mordeva credendo mordere i loro crani.
- Io battuto?... La Tigre risorgerà!... vi abbrucerà col solo ruggito... vi disperderà, fossero pur cento
leoni contro essa!... sangue di Maometto; io soffro per loro... sulla terra di loro... ma la pagheranno...
aspettate, aspettate... vedrò i vostri volti al balenar dei cannoni! Del sangue, del sangue io ho sete...
datemi del sangue di loro... traetelo dalle loro vene... datemi delle carni... carni di loro... che palpitino
sotto le mie dita... datemele, io le divorerò!... Sono ferito... la palla avvelenata di loro suscita un
vulcano nel mio petto... la sento ardere... ma guarirò, voglio vivere..., capisci leone d'Inghilterra...
voglio vivere! voglio vedere la Perla di Labuan! Ah! maledetta Perla, fosti la mia ruina!
Uno scroscio di risa diaboliche irruppe dalle sue labbra perdendosi nel fondo delle foreste. Si arrestò
colle mani contratte fra i capelli, fremente per la febbre, divorato dalla sete. Pareva che un fuoco
immane gli ardesse nel petto, che la terra su cui posava fosse il fondo di una caldaia in ebollizione.
Stette alcuni minuti in silenzio, poi ripigliò i suoi pazzi discorsi, destando gli echi delle foreste,
agitando le mani come per allontanare delle ombre invisibili, degli scheletri, dei fiumi di sangue.
- Via di qua, via!... Che volete, orribili ombre?... Via quei fantasmi, volgete altrove quegli occhi di
fuoco... Essi mi divorano! Che volete voi, nudi scheletri dalle bianche ossa e dalle vuote occhiaie?...
Che avete da gemere... che avete da fare crocchiar quelle dita e quei piedi?... Perché quelle costole
spezzate, quelle ossa frantumate... quei teschi aperti... via, via! Non sono Sandokan io forse? Sangue...
fiumi di sangue e monti di cadaveri... sempre sangue e fantasmi. Ah! Sei tu Patau... la palla di
cannone ti ha infranto il petto... Ah! siete voi... tutti voi che ho ammazzato... andate, andate laggiù
nella fossa... nella gran fossa delle giacche rosse. Non verrò! non verrò!
La notte fu orribile. Il pirata in preda alla febbre e al delirio, non sognò che fiumi di sangue dove
cercava invano di spegnere la sete, schiere di fantasmi avvolti nei loro sudari bianchi, e i cui occhi si
fissavano nei suoi, scheletri che danzavano attorno a lui facendo crocchiar le ossa e facendo udir
diabolici scoppi di risa, e una processione di uomini di tutte le razze, gementi, urlanti, coi fianchi
aperti, colle teste spezzate a gran colpi di scimitarra o di scure, colle membra troncate donde uscivano
fiotti di sangue e coi corpi traforati, scarnati in mille guise da palle di cannone e da mitraglia.
Ma a poco a poco tutte quelle visioni, le une più spaventevoli delle altre, rappresentanti le vittime di
lui, disparvero ed egli cadde in un profondo torpore, in una specie di sonno di cui ne avea tanto
bisogno, ma che durò qualche ora. Quando si svegliò era ancora notte, ma era più calmo.
- Credeva bene di esser morto! - mormo egli guardandosi attorno con un misto di spavento e di
sorpresa.
Ricompose le fascie della ferita, state rimosse durante il delirio, poi udendo il lieve mormorar di un
ruscelletto vi si trascinò e spense la sete. La febbre cessava a poco a poco e vi era da credere che
all'indomani stesse assai meglio della sera.
Tro un posto fra i cespugli dove si accomodò alla meglio a pochi passi dal ruscelletto, e aspettò
pazientemente il mattino, cogli occhi fissi al levante spiando ansiosamente l'apparir di qualche
chiarore che segnalasse l'aurora.
Le ore passavano lente lente quasi avessero raddoppiato la lunghezza abituale, sotto quelle fitte
foreste, dove l'oscuri era più fitta che mai. Il tempo passava con una lentezza spaventevole pel
ferito, abbandonato senza risorse fra quegli alberi, fra atroci sofferenze. Contava minuto per minuto,
più ancora, battito per battito.
Qual supplizio! Egli ruggiva in cuor suo, e ideavasi orologi ai quali faceva rotear le sfere; faceva
volare nella sua mente il tempo, maledicendo la lentezza di quei minuti altre volte rapidi e
bestemmiava contro il sole che non appariva mai. Al di sotto dei grandi alberi poi udivasi le urla delle
fiere che vagavano in cerca di preda, altro supplizio non meno spaventoso, dove il ferito provava tutte
le emozioni della paura malgrado il suo coraggio, quando quelle urla andavano avvicinandosi. Se
fosse stato sano, se ne sarebbe bene infischiato di loro, ma sfinito di forze, quasi impotente di lottare,
in quella pericolosa situazione, armato di un solo kriss, era ben altra cosa.
Le tigri, forse le ultime che scorrazzavano le foreste, ruggivano balzando nei cespugli o
arrampicandosi sui rami per attendere la selvaggina all'agguato, a cui si univano le strida delle scimie
accoccolate sulle più alte cime degli alberi, affannate a respingere quei potenti carnivori o a mettersi
in salvo, e l'abbaiar dei cani vaganti e il grugnir dei babirussa o dei cignali scovati.
Sandokan prestava orecchio a tutti questi concerti, a quei differenti rumori, rattenendo i gemiti,
immobile fra i cespugli, col kriss in mano. Non si inquietava che delle tigri, quei carnivori potenti che
avrebbero potuto piombare su di lui e farlo a brani ancor prima che avesse a pensare a difendersi. Vi
era da stare all'erta tutta la notte.
Le ore, lente lente, passarono alfine, dopo una notte passata fra il delirio e l'angoscia. La luna che
scintillava al di sopra degli alberi, senza tramandar uno di quei bei raggi d'argento al di sotto, tanto era
fitto il fogliame, cominciò a impallidir a poco a poco man mano che una luce biancastra dapprima e
rossa un po' p tardi compariva al levante e le stelle impallidirono con essa. Il pirata respirò; le
tenebre se ne volavan via dinanzi alla luce. Il sole apparve come improvvisamente illuminando la
foresta, facendo tacere tutti quei concerti notturni, penetrando anche nei più reconditi luoghi.
Sandokan si scosse trascinandosi fino al rivoletto d'acqua, dove lavò la ferita sempre infiammata e
sempre dolorosa, applicandovi nuove filaccie e radici masticate.
Era estremamente debole, ma la febbre era cessata, un segno infallibile per credere che la guarigione
benché lenta incominciava. Egli risolse di compierla ad onta di tutti gli ostacoli.
Abbisognava del cibo per richiamare le forze e rinnovare il sangue, quindi la necessità di trovarne.
Non aveva che un kriss, un'arma quasi inutile per atterrare la selvaggina che il ferito non avrebbe
potuto raggiungere, ma se non poteva contare su di essa, poteva almeno contare sugli alberi fruttiferi,
che in quelle foreste non mancano.
Labuan, quantunque sia un lembo di terra, gode la medesima feracidi Borneo, dalla quale pare sia
stato staccato in seguito a qualche formidabile cataclisma. Tutti gli alberi della Malesia hanno i loro
rappresentanti, senza dimenticare anche il velenoso upas che si mostra in qualche luogo non troppo
recondito dell'isola.
Non manca né di sagù, né di magnifici artocarpi, né di cavoli palmisti, né di canne da zucchero, piante
che possono dare un alimento, se non troppo sostanzioso, almeno salubre ed eccellente. Sandokan non
ignorava ciò, e quantunque la ferita lo facesse sempre soffrire, si mise in cerca di uno di quegli alberi,
camminando come un ubbriaco o trascinandosi come un serpente quando le forze lo abbandonavano,
arrestandosi per riprendere lena e ricominciando la penosa marcia fra fitti cespugli.
- Oh! troverò bene io qualche cavolo palmista o qualche sagù, che abbia a sfamarmi - mormorava egli
continuando a strisciare fra erbe taglienti e acute spine. - Animo, non lasciamoci abbattere finché
l'energia non viene meno, e le forze mi sorreggono, sono ancora Sandokan, la Tigre della Malesia.
Attraversò i cespugli in mezzo a centinaia e centinaia di tronchi, che si innalzavano in mille guise, gli
uni più alti degli altri, inclinati o diritti o torti e lisci, frondosi o semi-spogli, e si arrestò dinanzi un
piccolo albero, di tre o quattro metri di altezza, le cui foglie erano ricoperte di una fina polvere
biancastra. Lo conobbe subito.
- Un sagù! - esclamò egli.
Infatti il prezioso albero, così comunemente sparso in tutta la Malesia, faceva capolino fra tutti gli
altri, circondato da erbe gigantesche e da cespugli spinosi. È una delle piante più utili che oltre
crescere spontaneamente nelle foreste viene con premura coltivata dagli indigeni, somministrando
essa una fecola nutritiva al sommo grado che fa le veci della farina.
Non viene molto alta, tre o quattro metri al più, fa parte della gran famiglia delle palme, alle quali
occorrono ben sette anni per giungere al loro pieno sviluppo e che amano i luoghi paludosi o almeno
umidicci. Il sagù, la sostanza farinosa e piacevole che essa dà e che viene smerciata in gran quantità
su tutte le isole della Malesia, non è che la midolla della pianta, bianca di colore, umida, nicchiata fra
gl'interstizi di una fitta rete fibrosa, che si taglia a pezzetti rammollendola nell'acqua ottenendone ben
un cento o centocinquanta chilogrammi.
Era una vera fortuna pel ferito l'incontro di un albero prezioso. La polvere biancastra sparsa sulle
foglie indicava che la fecola era giunta a perfetta maturanza; nulla di più facile che cibarsene.
Sandokan, adoperando il kriss, si mise all'opera febbrilmente. Tagliò a pezzetti la parte fibrosa tanto
da poter bastare per alcuni giorni, la tuffò per pochi minuti nel ruscello, poi si mise a morderla per
calmare la fame che cominciava tenagliarlo trovando un po' di sollievo in quel magro pasto.
Non bastava. Aveva un organismo di una robustezza eccezionale; bisognava trovare qualche cosa da
aggiungere a quel pasto, della carne se fosse stato possibile. Impotente di abbattere qualche capo di
selvaggina, si rivolse al mare cercando qualcuna di quelle enormi ostriche che quattro individui di non
comune appetito sono imbarazzati a divorare. Il mare non era troppo lontano; lo udiva muggire e
frangersi sulle rupi e sulle scogliere. Raccolse la sua provvista, bagnò ancora una volta la piaga e
facendo sforzi da gigante cammio meglio si trascinò fino alla spiaggia.
- Posso trovare qualcuna di quelle ostriche giganti - mormorò egli. - Il mio sangue è povero, bisogna
rinnovarlo. La guarigione verrà dopo. Tagliò un bambù di quindici piedi d'altezza e ne aguz una
delle estremità col kriss, fatto ciò si spinse nell'acqua vicino alle scogliere, scandagliando i crepacci,
sostenendosi a mala pena contro l'impeto della risacca che si faceva sentire con qualche violenza.
Perlustrò ad una ad una le fessure facendone uscire frotte di pesciolini, troppo agili per venire
afferrati, mosse le alghe in mezzo alle quali si appiattavano lunghe anguille, fru sui banchi di
sabbia rimescolando ostriche piccole e granchi, e continuò ad avanzarsi coll'acqua fino alle ginocchia,
avvicinandosi a un banco sabbioso di pochi piedi sott'acqua.
- L'ostrica non deve mancare là, su quel banco, che si presenta a sì buon punto - pensava egli.
E infatti il marinaio non s'ingannava. Vide una di quelle ostriche colossali chiamate di Singapura, a
metà seppellita nelle sabbie, capace di nutrire per lo meno due uomini. La raggiunse tuffandosi fino
alle anche, si curvò, e con uno sforzo che gli costò più di un gemito, la strappò dalle sabbie.
- Ecco ciò che io cercava; che importa ora se sono ferito quando accanto a me ho un ruscello e dei
viveri? Non andrò no, a battere la porta delle giacche rosse finché le forze mi resteranno; vivrò nei
boschi come una tigre, e una volta guarito saprò ben io trovare la via per ritornare a Mompracem. Del
resto, i miei uomini non mi hanno dimenticato.
Raggiunse la riva affranto, dove sostò, sedendosi sulla grande ostrica, che aveva rinchiuso
prudentemente i suoi bivalvi. Occorreva del fuoco per farli riaprire; il kriss per quanto fosse di una
tempra eccezionale non sarebbe riuscito a nulla contro il guscio di uno spessore notevole.
Gettò uno sguardo attorno, andò a raccogliere una bracciata di legne secche, sparse in gran quantità
nei dintorni, colle dovute precauzioni per non trovare qualche velenoso rettile nel cavo di esse, o dei
ragni se non del tutto pericolosi almeno cagionanti la febbre, e tagliando due pezzi di legno dalla tinta
biancastra e lucente, si mise a strofinarli vigorosamente l'un contro l'altro finc ne trasse una
fiammella. Non ci voleva altro. Le legne presero fuoco come esca, mettendo in fuga insetti, ragni e
qualche serpentello innocuo, e quando furono semi-consumate, gettò la colossale ostrica sui carboni
ardenti.
L'effetto fu istantaneo: i due gusci si apersero lasciando uscire un solleticante profumo. Ritiratala dal
braciere, il pirata sedendosi in mezzo alle erbe e dimenticando per un istante e la ferita e la situazione
disperata in cui si trovava, assalì la colossale ostrica aiutandosi colla lama del kriss.
Non aveva ancor inghiottito venti bocconi che l'abbaiar di un cane venne a ferire le sue orecchie.
Abbandonò per un momento l'ostrica e tese le orecchie, per nulla contrariato dell'abbaiar di
quell'animale, che forse poteva guidare qualche cacciatore, e chi sa, forse qualche indigeno.
- Ah! se fosse un indigeno della costa o un barcaiuolo che possedesse un canotto! - escla egli. -
Saprei ben io trascinarlo fino a Mompracem per caricarlo poi d'oro, a meno che non diventasse un
pirata. Possa non essere una giacca rossa, alla quale io nulla chiederò. Ferito, pur morente, finché
l'energia e l'odio per la loro razza maledetta mi sosterrà, rifiuterò i loro aiuti, i loro veleni. Tutti
ignorano su questo lembo di terra chi io mi sia; il selvaggio potrà ospitarmi senza paure.
Dopo di aver ascoltato alcuni istanti, Sandokan credette bene di aspettar la comparsa del cane o del
cacciatore, terminando il pranzo, la cui carne molle ed eccellente gli solleticava l'appetito. Ad onta
della ferita, sbarazzò mezzo guscio.
- Aspettiamo - disse egli distendendosi mollemente sulle erbe. - Forse l'uomo o il cane si mostreranno.
Gli abbaiamenti continuavano, talvolta avvicinandosi e talvolta allontanandosi. Pareva che l'animale
seguisse qualche pista. Sandokan già s'impazientiva, quando udì una detonazione in lontananza.
- È una giacca rossa! - esclamò egli rizzandosi sulle ginocchia. - Che la tigre la divori!
Non si occupò più né del cane né del cacciatore, che d'altronde parevano allontanarsi e si coricò sotto
un arecche. Rimase tutto il sotto, conservando una immobili completa, l'unica medicina
occorrente per la ferita g pericolosamente infiammata per gli sforzi incontrati nella pesca e nella
passeggiata sotto le foreste. Con tutto ciò la febbre tornò ad assalirlo con nuovo vigore, e prima che il
sole tramontasse, batteva i denti, provava ancora atroci dolori e cominciava a delirare.
Quell'uomo che non avea mai saputo che fosse paura, l'ebbe a provare quando il sole calò al ponente e
le tenebre cominciarono a invadere la foresta. Ebbe paura della notte, e, deciso a tutto affrontare
anziché addormentarsi, raccogliendo le ultime forze si ripose in cammino, aggravando il male. Dove
andava? Egli nol sapeva. Vagava sotto i grandi alberi provando brividi interminabili come fosse nelle
regioni polari, con un vulcano nel cervello, cogli occhi di bragia e il kriss convulsivamente stretto.
Avrebbe fatto paura al più coraggioso isolano se avesse avuto la sfortuna d'incontrarlo.
A poco a poco la marcia fra quei cespugli, quelle spine che gli strappavano gli ultimi lembi di veste,
fra quei tronchi dove vi cozzava il capo senza vederli, fra quelle erbe taglienti come tante lame
flessibili, divenne rapida.
Ebbe paura, lui, il pirata, Sandokan, la Tigre della Malesia, il cui solo grido avrebbe bastato per far
fuggir mezza popolazione. Il delirio torad impossessarsi di lui colla febbre, si credette inseguito e
si mise a fuggire.
- Qua... qua... giacche rosse! Sono io... Sandokan, la Tigre... sono io! - urlava egli.
Precipitò la corsa senza sapere ove andasse, varcando ruscelli e cespugli, scalando alberi e
attraversando paludi in miniatura, cadendo e risollevandosi come la sera precedente. Correva come un
forsennato, invocando le giacche rosse colla spuma alle labbra, cogli occhi fuori dall'orbite. Volava
incespicando ogni cento passi, non udendo p nulla attorno fuorché il celere martellar del cuore,
senza provare i dolori della ferita, soffocati dal delirio.
Quanta via percorse, non poté mai saperlo. Il fatto si è che si trovò d'improvviso dinanzi a una prateria
solcata da un fiumicello scaricantesi in un ampio stagno, nel fondo della quale, in riva alle acque,
sorgeva qualche cosa di nero che pareva una abitazione.
Sos un momento, anelante, senza forza di gridare, poi si precipitò nella prateria continuando la sua
sfrenata corsa. Fece cento, forse duecento passi colla schiuma alle labbra, le mani nell'aria, poi rotolò
come fosse fulminato al suolo e vi rimase immobile, irrigidito, lasciando sfuggir un ultimo gemito che
si perdé fra le tenebre della notte.
CAPITOLO VII
La Perla di Labuan
All'indomani, dopo la corsa insensata della notte, quando tornò in sé, era chiaro. Il sole, appena
appena sorto, illuminava la prateria, i lontani alberi della foresta, il ruscello, lo stagno, l'abitazione
intravveduta la sera precedente e di più una mezza dozzina di uomini che curvi su di lui spiavano
ansiosamente ogni suo movimento. Egli si stropicciò gli occhi e fece un gesto per fuggire.
- Povero uomo! - esclamò una voce commossa, che, quantunque parlasse la lingua delle giacche
rosse, non aveva quell'accento secco e imperioso che il pirata solea credere.
Egli si scosse tutto. Credette di essere in preda a un sogno, tornò a stropicciarsi gli occhi, poi esami
a uno a uno quegli uomini sempre curvi su di lui, che parevano interessarsi del suo stato.
Cinque erano indigeni dai volti stupidi e insignificanti, il sesto un bianco. Se l'occhio non s'ingannava,
pareva avesse una cinquantina d'anni. Alto, ben fatto, ma con quella rigidezza che è il distintivo
particolare della razza anglo-sassone, poteva essere ancora un bell'uomo ad onta dell'età. Un volto
simpatico, aperto, benché incorniciato da capelli rossi, occhi intelligenti, due mani aristocratiche anzi
che no e delle braccia che dovevano esser dotate di una forza non comune. Vestiva semplicemente: un
gran cappello bianco sul capo - una cupola circondata da un velo - una giacca di stoffa azzurra,
pantaloni di pelle e lunghi stivali a risvolta completavano l'abbigliamento. Non vi era da ingannarsi
sulla sua origine. Sandokan lo riconobbe per una giacca rossa, pure non ten di fuggire.
Comprendeva che una nuova fuga, un giorno ancora passato nelle foreste, avrebbe causato
infallibilmente la morte. Era un Inglese che lo raccoglieva, meglio; il gioco non sarebbe riuscito più
ridicolo. Un Inglese curare Sandokan, la Tigre della Malesia! Vi era ben da ridere; la storiella
raccontata a Mompracem avrebbe senza dubbio furoreggiato.
D'altronde, quell'individuo pareva un galantuomo. Lo avrebbe curato e nulla di più, come si cura un
ferito trovato sulla via. Non lo conosceva, nessuno sapeva che egli avea approdato a quelle coste in
seguito a una moschettata e ad una tremenda rotta. Le risorse non mancavano per farsi credere un
onesto marinaio, caduto sotto il piombo dei pirati di Mompracem. Tuttavia, per ingannar meglio il
valentuomo, cercò di rizzarsi come per fuggire.
- Povero uomo! - ripeté la medesima voce. - Non movetevi, siamo amici. Verrete meco!
- Lasciatemi! Lasciatemi! - esclamò Sandokan. - Non ho nulla... più nulla da darvi.
- Al diavolo! Non siamo già pirati noi da derubarvi. Vi sembra che ne abbia il volto adunque? - disse
l'Inglese sorridendo. - Orsù, calmatevi, nessuno vi torcerà un capello.
Sandokan lo guar mezzo diffidente e con l'occhio torvo, quasi volesse leggere nell'animo di
quell'uomo.
- Non siete dunque pirati, voi? - chiese egli con accento sì ingenuo da convincere un dayak stesso.
- Non ve lo dissi? Andiamo, povero uomo, rimanendo all'aperto morrete. Io vi curerò.
Sandokan, malgrado cercasse esser calmo, trasa e strinse le pugna. Si avrebbe detto che fosse li li
per ripigliar la fuga attraverso le foreste malgrado la ferita, ma si arrestò e chiuse gli occhi per nulla
vedere, soffocando l'ira che gli saliva alla gola.
- Dovete soffrire molto, ma cercherò di guarirvi - disse l'Inglese curvandosi su di lui e toccando la
ferita.
- Sì, che soffro! - esclamò Sandokan con voce sorda.
A un cenno dell'Inglese, i cinque indigeni lo sollevarono con tutte le possibili precauzioni, e malgrado
egli ruggisse in cuor suo, si lasciò trasportare a forza di braccia all'abitazione.
Era dessa senza dubbio la miglior casa che sorgesse in Labuan dopo quella del governatore. Un vero
palazzo di legno col tetto di zinco, dove le fenestre numerose, ma ben disposte avevano un po' di
architettura gotica, e dove i fregi non mancavano. Una veranda indiana girava attorno, rinchiusa da
persiane dipinte a vivaci colori, e dove le piante arrampicanti, dividendosi in mille rameggi gli uni p
bizzarri degli altri, avevano preso sede, avanzandosi ancora più sopra fino alle fenestre e ancora più in
alto fino ai camini del tetto.
Si elevava sulle rive dello stagno sopra il quale si passava con un ponte levatoio, e ai cui fianchi
staccava solide stecconate, alte tre o quattro metri, indispensabili per quei luoghi frequentemente
visitati dai pirati di Mompracem e delle Romades. Un gran giardino riboccante dei più bei e più
preziosi alberi e dei più rari fiori stendevasi a perdita d'occhio al di delle palizzate cosparso di
piccoli chioschi chinesi, di gran graticci di filo di ferro entro ai quali garrivano i più graziosi uccelli
della Malesia e munito del relativo padiglione dalle pareti verdeggianti ombreggiato da un colossale
albero della canfora il cui tronco non sarebbe stato abbracciato da dieci uomini.
Gli indigeni portando Sandokan che concentrato tutto nella sua ira nulla vedeva e nulla udiva,
traversarono il ponte levatoio preceduti dall'Inglese e dopo esser passati per una fila di stanze arredate
con eleganza, lo deposero in una di esse, ampia quanto mai, tappezzata in rosso, le cui grandi fenestre
gotiche davano sul giardino.
Il ferito fu disteso su di un letto e messa a nudo la ferita; l'Inglese la esamiattentamente come un
uomo che se ne intende. Vi fece passare sopra leggermente una spugna bagnata di acqua fresca,
alleviando l'atroce dolore che pativa il pirata, vi applicò un cataplasma d'esca e un miscuglio di
sostanze vegetali di cui il ferito stesso ignorava l'effetto e la provenienza, vi sovrappose delle filacce e
fasciò il tutto con abile mano.
- Non movetevi se lo potete, solo coricatevi sul fianco corrispondente al cataplasma e il capo alquanto
rialzato - disse l'Inglese. - Non dite parole che potrebbero causarvi una debolezza estrema, dormite e
non pensate che a guarire. D'altronde non avrete ad annoiarvi; vi presenterò io una graziosa infermiera
che saprà rallegrarvi nei momenti di malinconia.
Il ferito, facendo uno sforzo su sé stesso sorrise. Allungò la mano, poi ritirandola:
- A chi dovrò dimostrare la mia gratitudine... per le cure avute?
- A James Guillonk, capitano di vascello di S. M. Britannica, la regina Vittoria.
Il ferito fece un balzo sul letto mentre le mani si raggrinzavano sulle coperte.
- Capitano di vascello! Capitano di vascello avete detto? - esclamò egli con truce accento.
- Che diavolo vi trovate di strano? - chiese flemmaticamente l'Inglese che non capiva.
- Ascoltate, James Guillonk. Io era ferito, lagg sotto le foreste che mordeva la polvere sotto il
piombo di un pirata, quando vidi una nave... una nave che fumava. Ho veduto una lotta mostruosa
fra la nave e dei prahos... una carneficina... oh , terribile carneficina dove i pirati pugnavano come
tanti eroi... Eravate voi che guidavate quella... quella nave?
- Non ero io, tacete, non una parola di più - disse l'Inglese accostando un dito alle labbra. - Ve lo
proibisco severamente; ecco, guardate che la febbre vi assale, poi verrà il delirio.
- Il delirio! - esclamò Sandokan senza comprendere. - Non ho paura io del delirio di loro!
Egli soffo a metà la parola per uscirgli e ricadde spossato fra le coperte. L'Inglese accostò
ancora un dito sulle labbra raccomandandogli silenzio e si ritirò sulle punte dei piedi seguito da
quattro indigeni. Il quinto restò a guardia del ferito piantandosi dinanzi ai vetri.
Sandokan ad onta delle raccomandazioni alzò il capo e guardò intorno. La stanza era vasta e
riccamente arredata, tappezzata in rosso, il color favorito del pirata che gli rammentava i suoi fiumi di
sangue e era illuminata da due grandi fenestre gotiche attraverso i vetri delle quali si scorgeva un
lembo del padiglione col suo colossale albero della canfora e coi suoi artocarpi dalle grosse frutta e i
filari di cedri di un gran viale che attraversava il giardino.
Il pirata vide in un canto della stanza un pianoforte sul quale erano sparpagliati in un grazioso
disordine libri di musica, ninnoli chinesi leggiadramente lavorati, una tavolozza, delle tele dipinte e
dei pennelli. Nel mezzo della stanza un tavolo riccamente intarsiato con una scacchiera d'ebano e
d'avorio, in cui gli scacchi, alcuni rovesciati ed altri in piedi, parevano indicare che la partita era
terminata poco tempo prima, forse la sera precedente. Addossato a una parete vide un canapé, sul
quale eravi ancora un lavoro di donna non ancor finito e presso il suo letto un ricco sgabello con un
libro semi-aperto con un fiore appassito e schiacciato fra le pagine che esalava ancora un soave
profumo.
Tese una mano verso quel libro, lo chiuse e guarla legatura, in mezzo alla quale campeggiava un
nome impresso a lettere dorate.
- Marianna! - lesse egli. - Chi può essere mai questa donna?
Il pirata senza potersene render conto nel leggere quel nome che non aveva e non poteva aver nulla di
strano, si sen agitato da una bizzarra sensazione. Qualche cosa di dolce colpì il cuore di lui, quel
cuore d'acciaio che aveva la ferocia della tigre, e sussultò.
- Marianna! - ripeté egli con strana intonazione. - Qual nome!... L'aprì senza far rumore, gettando uno
sguardo sull'indigeno sempre immobile dinanzi ai vetri. Non conteneva che delle annotazioni in una
lingua che non poté comprendere, benc qualche parola avesse molta somiglianza colla lingua di
Yanez. Ansenza volerlo a cercar quel fiore, un gelsomino, lo prese delicatamente con quelle dita
che non conoscevano che l'impugnatura delle armi, l'alzò fino agli occhi e lo mi a lungo. Lo fiu
più volte con ardente alito, lo fissò quasi volesse indovinare qual mano l'aveva racchiuso in quel libro,
provando un non so che nel cuore, un tremito, una sensazione vaga, ignota, voluttuosa, e lui, il
sanguinario, l'uomo di guerra, si sentì stranamente spinto a portare quel fiore alle labbra!...
Ripose quasi con dispiacere quel fiore fra le pagine, collocò il libro sullo sgabello e tornò a coricarsi
dimenticando il luogo dove si trovava, la ferita, la febbre.
- Marianna! - ripeté per la terza volta e socchiuse gli occhi fantasticando su quel nome.
Si addormentò tranquillamente ad onta della febbre che lo divorava, sognando non già fiumi di
sangue, fantasmi dagli occhi di fuoco, scheletri dalle ossa crocchianti e vuote occhiaie, ma foreste
immense di una bellezza incomparabile, fiumi tranquilli mormoranti fra le praterie, montagne vaghe e
in mezzo a tutto ciò un nome gigantesco, immane, tracciato a grandi lettere d'oro che lo abbagliavano,
dapprima confuso, poi più chiaro e infine leggibile. Era ancora il nome di Marianna!
Ma il sonno e il sogno non durarono molto. La febbre si svilup terribilmente e pericolosamente
accompagnata dal delirio. Si svegliò che il sole calava al ponente ed ebbe paura come le notti
precedenti, malgrado che la situazione fosse cangiata. Egli si mise ad agitarsi urlando come un
insensato.
- Via queste tenebre... via questi fantasmi che aspettano il calar del sole! Via, non vedete che mi
guardano ancora, che mi abbruciano coi loro sguardi di fuoco?... Ah! ecco gli scheletri... danzate,
danzate figli delle giacche rosse... ecco del sangue, dei teschi riboccanti di vino, delle membra
lacerate... ovunque sangue, armi, armati, morti, moribondi!... Annegatemi tutti questi mostri dalle
gole spalancate... dite loro che non ho paura... sono la Tigre, capite, la Tigre!...
Egli si arrestò non udendo più la voce di James Guillonk che cercava calmarlo, e che passava da uno
stupore all'altro nell'udire questi strani discorsi. Poi ripigliò l'insensato quanto pericoloso vociare, che
poteva tradirlo precipitandolo fra le braccia dei Britanni assetati del suo sangue.
- Oh! non ho paura io... tutte le giacche rosse non mi fanno tremare... sono la Tigre... la Tigre dei
mari. M'hanno assassinato... ho la loro palla che mi abbrucia come fosse di fuoco... là, l'ho avuta là, a
bordo di quell'odiata nave... da essi, quando faceva strage di giacche rosse!... Oh! mi vendicherò...
atrocemente sì, mi vendicherò. Tutto a ferro e a fuoco!... Là, là, Mompracem, non tremare... la Tigre è
là sul mare, spiando sempre. Ferro e fuoco!...
Poi la visione parve cangiare improvvisamente. Si levò a metà, cogli occhi stranamente fissi sul
tavolo della stanza, e stese le mani nervosamente raggrinzate verso di esso.
- Di chi è quel nome... di chi è quel nome che risuona qua entro... nel cuore della Tigre?... che mi fa
fremere? Chi giuocò su quella scacchiera?... Vedo una mano, fina... vedo una fanciulla che mi
sorride... mi tende le braccia... è bionda perché è razza delle giacche rosse! Mi sorride... il mio cuor
freme... sanguina... Il suo nome, il suo nome... io lo sapeva! Ah! non mi rammento più!
Il pirata cadde spossato sul letto gettando un gemito; si agitò ancora come cercasse abbracciare
qualche cosa che pareva sfuggirgli, poi cadde in un profondo torpore che somigliava al sonno.
Lord James lo contemplò colle braccia incrociate e la fronte leggermente corrugata. Aveva udito i
bizzarri discorsi usciti dalle labbra del ferito, dei discorsi che potevano gettarlo su di una traccia e
pensava. Come potevano mai entrarci le giacche rosse? Non poteva aver compreso il vero significato
della parola, ma sospettava che ciò riguardasse quelli della sua razza. E poi, quei cadaveri, quel
sangue, quel nome di Tigre che si dava, quelle stragi, e di più quella Mompracem, il fantasma di
Labuan, il formidabile nido di pirati, aveva tutto ciò qualche cosa di strano, che preoccupava
vivamente l'Inglese.
- Se fosse un pirata! - esclamò egli e si arrestò a contemplare quel fiero tipo che allora dormiva.
Uscì senza far rumore, riservandosi di chiedere una spiegazione all'indomani, dopo di averlo
raccomandato a due indigeni e di avergli fatto preparare un calmante.
Quando Sandokan si svegliò era tardi. Non si rammentava quasi nulla di ciò che aveva detto durante
la notte, solo degli scheletri che parevano aver danzato intorno a lui e dei fiumi di sangue.
- Bevete questa tazza - disse uno degli indigeni presentandogliela colma di vino.
Sandokan la vuo senza dir verbo, ma provando un vero sollievo. Egli girò lo sguardo attorno come
cercasse qualche cosa e lo fermò ancora sul libro del fiore leggendo il singolar nome, provando la
medesima emozione del giorno precedente. Allungò la mano come per prenderlo, ma vedendo i due
indigeni che lo guardavano con curiosità, si trattenne.
- Avete passato una cattiva notte - disse uno degli indigeni.
- Ah! - fe' Sandokan alquanto contrariato di vederseli vicini.
- Avete parlato sempre, gridando come un insensato - continuò l'indigeno.
Il pirata sussultò e si fece più attento. Non si rammentava di ciò che avea detto, forse poteva essersi
tradito senza saperlo. Colse l'occasione a volo.
- Voi mi dite che io ho parlato? - domandò egli colla massima calma guardando il negro.
- Sì, avete parlato di sangue, di navi, di scheletri, di giacche rosse e di mille altre stranezze.
- E di Mompracem? E di... - il nome che stava per uscirgli incautamente gli si arrestò fra le labbra.
- Sì, di Mompracem - disse ingenuamente l'indigeno. - Quel nome meravigliò il padrone.
Sandokan, malgrado fosse coraggioso si sentì invadere da un vago timore.
- Mi sono tradito! - mormorò egli gettando uno sguardo all'intorno come cercasse un'arma.
Ebbe per un istante l'idea di scagliarsi sui due indigeni e di darsi alla fuga dopo averli strozzati, ma si
frenò. Poteva essersi ingannato; risolse aspettar gli eventi, deciso però a non lasciarsi prendere vivo.
Avrebbe ben saputo lui prendere il largo a momento opportuno.
Egli stava per intavolar il discorso su più vasta scala, quando lord James entrò.
- Come state, giovanotto mio? - domandò egli movendo verso il letto. - I corpi d'acciaio sono sempre
d'acciaio; guariscono a dispetto di tutte le ferite del mondo.
Sandokan sorrise, ma scrutando gli occhi dell'Inglese come per leggervi il pensiero che gli
attraversava la mente. Intravvide una ruga più profonda del giorno innanzi sulla sua fronte, ma non si
smarrì.
- Mi sento più forte che mai - rispose egli. - I miei ringraziamenti, milord, per le vostre cure.
- Non parliamone più, sarò abbastanza ricompensato nel vedervi guarito. Sapete che questa notte
eravate in preda al delirio. Non vi nasconderò che dalle vostre labbra sono usciti strani discorsi.
- Ah! - esclamò Sandokan sorridendo. - Ho adunque parlato? Non mi ricordo più.
- Vi dirò poi cosa diceste. Ma una domanda prima di tutto; quantunque conosca in voi un personaggio
d'alto grado, non so ancora chi siate. Vorreste dirmi qual vento vi spinse su queste coste?
- Ascoltatemi, milord - disse Sandokan. - Il mio nome forse non vi riescirà nuovo, godendo una certa
fama sulle coste della Malesia e specialmente a Schaja dove mio fratello è ragià. Mi chiamo Whu-
Pulau e fui mandato in questi mari da mio fratello con un prahos carico di belzoino pel sultano di
Varauni. Ho avuto la sfortuna d'incontrare dei prahos pirateschi coi quali venni a combattimento. Fui
vinto, il mio equipaggio scannato e io ferito potei scampare miracolosamente al loro furore.
L'Inglese stese la mano che Sandokan strinse non senza ribrezzo.
- Bene, mio degno amico, una spiegazione ora - disse il lord. - Avete parlato questa notte di Tigre, di
cui vantaste le sanguinose gesta. Siete voi che portate un tal nome?
- - rispose Sandokan che involontariamente trasalì. - I miei guerrieri mi diedero questo nome pel
mio valore. Sono il terrore dei miei nemici e segnatamente dei pirati.
- Non è tutto - continuò flemmaticamente il lord. - Avete parlato di giacche rosse e di un'isola temuta:
Mompracem. È un punto oscurissimo per me.
- Ah! - fe' Sandokan fremendo. - Con queste giacche rosse, noi Malesi vogliamo significare i pirati,
credendo che le loro stoffe siano sempre arrossate di sangue. In quanto a Mompracem è l'isola dalla
quale i pirati sbucano, un gran nido, milord, che bisognerebbe distruggere dopo aver raccozzato forze
considerevoli. Vi ha un formidabile uomo colà.
- Lo so, si chiama Sandokan, che porta un nomignolo poco differente dal vostro. Si chiama la Tigre
della Malesia, un uomo di prodigioso coraggio, che getta il guanto di sfida in faccia all'Inghilterra ma
che cadrà. Questi mari che chiama suoi, diverranno nostri.
- Sarebbe tempo - aggiunse Sandokan con sorda voce, mentre un lampo scattava dai suoi occhi.
L'Inglese esaminò ancora la ferita applicandovi nuove compresse. Il pirata lo lasc fare, ma un
tremito convulso lo agitava tutto e le carni si raggrinzavano sotto lo sforzo potente che faceva per
frenare lo scoppio di rabbia. Vi fu un momento che egli alzò il capo digrignando i denti, e che si sen
preso da una pazza voglia di afferrare pel collo l'infermiere e di strangolarlo.
- Ruggi, ruggi contro la Tigre della Malesia, figlio di una razza maledetta - mormo egli quando si
trovò solo. - Quando mi vedrai illuminato dal balenar dei cannoni, a bordo dei miei prahos movendo
su questa isola che chiami tua, saprai chi io mi sia. Il pirata diver allora un eroe leggendario della
storia Malese, e il mio nome ancora di qua a cent'anni spargerà il terrore su queste coste come oggi.
Dovunque il mio sguardo si fisserà non lascierà che tracce di ferro e di fuoco!
Il formidabile uomo tese il pugno come se giurasse odio eterno alla schiatta dei Britanni, poi i suoi
occhi caddero involontariamente sul libro posato sullo sgabello. La sua ira svanì tutta. Era solo.
Afferrò macchinalmente il libro e lo guara lungo quasi con tenerezza, leggendo per la ventesima
volta quel nome di donna. Poi le avide dita cercarono il gelsomino abbandonato e appassito fra quei
fogli, lo prese ancora delicatamente e lo fiutò. Le sue labbra ardenti per la febbre, che non avevano
sorriso che coll'espressione della tigre, sorrisero dolcemente, in un senso che egli stesso non giunse a
comprendere, e quelle labbra che non avevano baciato che le lame delle armi arrossate di sangue,
cercarono su quel fiore un bacio!... Ritrasse la mano subitamente.
- Sono pazzo! - mormorò egli.
La voce uscita da quelle labbra aveva un'intonazione che lo spaventò. Egli premette ambe le mani sul
cuore che batteva con insolita violenza, e stette lì, muto, anelante cogli occhi fissi su di un punto
immaginario che pareva ingigantire, nel mezzo del quale vedeva un nome: Marianna!
D'improvviso udì risuonare dei passi nella stanza vicina. Sussultò e volse istintivamente gli occhi alla
porta. Il cuore non batteva più, saltellava e bruciava come vulcano.
Entrò il lord che andò verso il letto col più amabile sorriso. Dietro a lui Sandokan scorse un'ombra,
una fanciulla alla cui vista egli gettò un grido di ammirazione e di sorpresa.
Quella fanciulla che andava avvicinandosi a lui guardandolo con curiosità, sfiorando appena appena il
tappeto, era la più bella e la più splendida che il pirata avesse mai visto. Era di media statura, di tinta
bianca-rosea, con una testolina ammirabile, con occhioni azzurri come l'acqua del mare, una fronte
d'incomparabile precisione sotto la quale spiccavano sopracciglia leggiadramente arcuate di un
castagno chiaro, un nasino le cui nari mobili dovevano dilatarsi nella collera e nelle passioni e due
labbra coralline, che sembravano mature ciliege. Lunghi capelli, sottili, profumati, ondulati, di un
biondo lucente che parevano fili d'oro, scendevano in pittoresco disordine sul busticino scollacciato in
mezzo al quale spiccavano bianche rose e spilloni dalla capocchia d'argento.
Nel vedere quella graziosa figura dalla taglia elegante, dal portamento superbo, il pirata si sen
scuotere fino al fondo dell'anima. Lui, il sanguinario avventuriere, la terribile Tigre della Malesia, che
non avea mai provato emozioni che non fossero da belva, si sentì suo malgrado affascinato. Il suo
cuore che poco prima batteva lo sentì ardere, abbruciare, parve che un improvviso fuoco gli scorresse
per tutte le vene. Restò lì immobile, come istupidito, col volto stravolto senz'essere capace di staccare
i suoi occhi dalla fanciulla.
- Oh! - esclamò il lord sorpreso da quello strano cangiamento. - Che volto scomposto che avete: state
forse male?
- No!... No!... - escla vivamente il pirata scuotendosi.
- Lasciatemi in tal caso presentarvi mia nepote, Lady Marianna Guillonk, una donna col cuore da
fanciulla...
- Marianna Guillonk!... Marianna Guillonk!... - balbettò Sandokan.
- E che, trovate strano il mio nome? - chiese la giovanetta con un incantevole sorriso.
Sandokan udendo quella voce trasalì di nuovo. Non aveva mai udito una voce sì dolce risuonare ai
suoi orecchi abituati alla terribile musica del cannone. Si credette in preda a un sogno.
- Non trovo nulla di strano nel vostro nome, adorabile milady - diss'egli galantemente. - Trovo solo
che questo nome è il più bello di tutti quelli che udii nel mio paese, e che lo imparai a conoscere ancor
prima di aver veduto colei che lo portava.
- Ah - esclamò la leggiadra lady arrossendo. - E come?
- L'ho letto su quel libro che vedete lì. Senza sapere il perché mi impressionò in una strana maniera e
indovinai che colei che così si chiamava non doveva essere meno bella.
- Adulatore - diss'ella sorridendo. Poi, cangiando bruscamente tono:
- È vero che i pirati vi ferirono?
Il volto di Sandokan s'abbuiò, ma fu un lampo.
- Sì - diss'egli sordamente. - Mi vinsero e mi ferirono. Oh! ma guarirò e allora guai a loro!
- Soffrite molto?
- Se soffro?... Ah! milady, le sofferenze non avevano nome prima, ma ora non sento più nulla. Mi
pare che la vostra voce apporti mille balsami che alienano l'atroce dolore della ferita.
- Sarebbe mai possibile, amico mio, che la voce di una fanciulla abbia la potenza di alienare le
sofferenze di un guerriero? - chiese il lord ridendo.
Sandokan non rispose. Egli si era improvvisamente avvicinato al volto della giovanetta sul quale una
emozione sconosciuta faceva correre una rosea nube sulle seriche gote e la contemplava con un misto
di stupore e di ammirazione e la fissava con due occhi che mandavano fiamme. Si ritirò tremando,
facendo udire un sordo brontolio, passandosi a più riprese una mano sulla fronte imperlata di sudore.
- Milady!... - esclamò egli con istrana intonazione.
- Mio Dio che avete? - chiese ella sorpresa.
- Voi portate un altro nome, un nome ancora più bello di Marianna Guillonk.
- Quale? - chiesero ad un tempo la giovanetta e il lord.
- Sì... Voi siete la Perla di Labuan. Non potete essere che voi che portate un sì bel nome.
Il lord fece un gesto di sorpresa.
- Come sapete voi, che venite dalla Malacca, che mia nepote si chiama la Perla di Labuan?
- Non è possibile che questo nome datomi dagl'indigeni, sia giunto sino a quelle coste - disse lady
Marianna arrossendo.
- No, non l'ho mai udito a Schaja, ma l'ho udito alle Romades. Mi si parlò di una fanciulla
d'incomparabile fulgidezza - disse il pirata con slancio appassionato. - Di una fanciulla i cui biondi
capelli erano più lucenti dell'oro, più fini dei fili di seta, più profumati dei più odorosi gelsomini del
Borneo, i cui occhi erano più azzurri del cielo più puro, e più dolci dello sguardo più languido e la cui
voce aveva la proprietà di affascinare e di toccare le corde degli animi più inaccessibili!... Sì, voi siete
la Perla di Labuan! Non potete essere che voi che portate un tal nome.
- Ah! Tante grazie si attribuiscono a questa povera Perla - disse la lady ridendo. - In fede mia, credo
di non meritarne tante.
- E io credo che se ne attribuisca ancora poche! - escla il pirata con fuoco. - Non ho mai veduto
nella mia patria una giovanetta che rassomigli alla Perla!
- Vi sarebbe dubbio che la Perla avesse affascinato anche la Tigre? - chiese il lord celiando.
- E perché no? - disse Sandokan vivamente. - Non ha affascinato tutti i pescatori della costa?...
- Ah! voi scherzate - disse la giovanetta facendosi di bragia.
- Ve lo dico io. Mi narrarono che persino un pirata del Borneo ne fu affascinato.
- Oh! - fe' il lord sorpreso. - Che quei maledetti si sieno spinti fino alla mia abitazione! My-God! la
sarebbe curiosa.
- No, milord. Fu la voce di lady Marianna che l'affascinò.
- Ma come?
- La udì passando col suo prahos sotto la costa. I pescatori mi assicurano che la voce della lady
superava quella di una sirena.
- Burlone - disse la giovanetta.
- Non vi ho detto che pur io, che mi chiamano a Schaja la Tigre, quando vi udii parlare mi parve di
non sentire più il dolore della ferita?
- Orsù, Marianna - disse il lord gaiamente. - Affascina adunque completamente questa Tigre. Se le
sole parole spengono il dolore, una romanza sono sicuro che lo farà guarire.
- Sì!... Guarirò!... Guarirò!... - esclamò Sandokan.
Vi era un accento d'ingenuità, un tale accento di sicurezza in quell'esclamazione che la giovanetta ne
fu colpita. Prese macchinalmente la mandola. Appena che toc le corde Sandokan sussultò come se
una pila elettrica l'avesse toccato. La giovanetta notò quel sussulto, nondimeno si mise a cantare una
romanza accompagnandola delicatamente coll'istrumento.
Cantava ella in una lingua straniera che il pirata non aveva mai udito, in una lingua più dolce del
suono della mandola, modulata, carezzevole che toccava il cuore.
Le onde sonore, di una infinita dolcezza, lo inebbriavano, lo affascinavano e a segno che il
sanguinario avventuriero che non avea mai gustato che la musica dei cannoni, si sen suo malgrado
commosso, si sentì trasportato in un nuovo mondo.
Spiava ansiosamente le mosse di quelle labbra coralline, quasi volesse colla potenza del suo sguardo
farne uscire nuove parole che trovavano un eco sconosciuto nel più profondo del suo cuore, che
scuotevano le fibre d'acciaio del suo corpo e che gli giungevano agli orecchi come musica divina. Egli
era là, muto, anelante, rattenendo il respiro quasi temesse turbare coll'alito quella voce melodiosa,
cogli occhi fissi su colei che cantava: pareva che volesse attirare quelle parole, inebbriarsi di quei
suoni, scolpirsi in mente le dolcezze di quella lingua ignota.
Quando la giovanetta finì, quando quell'impareggiabile voce, dopo di aver vibrato con novella energia
morì sulle corde della mandola, egli era ancora là, colle braccia tese come attirasse l'incantatrice, collo
sguardo fiammeggiante fisso in quello umido di lei, colle labbra frementi, colle orecchie tese, col cuor
sospeso. Ascoltava ancora e avrebbe voluto ascoltar sempre. La voce del lord lo trasse da quell'estasi
dov'era piombato.
- Ebbene, mio prode amico, come trovate la romanza di mia nepote?
- Oh! - esclamò Sandokan con slancio appassionato e quasi selvaggio. - La trovai sublime come era
sublime colei che la cantava. Nel mio paese non ho mai udito una simile voce più dolce del mormorio
dei ruscelli, più modulata del gorgheggio degli uccelli!...
Il lord sorrise mentre la giovanetta arrossiva guardandolo fisso.
La conversazione duancora qualche tempo aggirandosi ora sui pirati, ora sulla penisola malese ed
ora su Labuan, poi essendosi fatto tardi, il lord si riticolla nepote, dopo di aver stretto la mano che
il pirata francamente gli porgeva.
Il pirata rimasto solo, stette a lungo a guardare la porta per la quale erano usciti, come uomo che
medita: poi si scosse bruscamente. Il suo volto poco prima pallido erasi allora coperto di un vivo
rosso e gli occhi poco prima malinconici si erano dilatati enormemente.
Qualche cosa gli rumoreggiò in fondo al petto ma non uscì; le labbra che fremevano come avessero la
febbre si chiusero e i denti si strinsero come volessero impedire l'uscita di una frase che pareva
volesse irrompere.
Stette così un minuto, due, tre, tutto in sudore, colle mani nei capelli, ansante poi le labbra si
schiusero:
- Ah! - esclamò egli con una voce che pareva quella di una belva e improntata di un vivo spavento. -
L'amerei io forse?...
CAPITOLO VIII
La guarigione
Marianna dei conti Guillonk era nata sotto il bel cielo d'Italia da padre inglese e da madre napoletana.
Perduti ancor fanciullina i genitori, ed erede di una cospicua sostanza, era stata raccolta da lord James
suo zio, uno dei p intrepidi lupi di mare della flotta britannica, un vero marinaio d'antica schiatta,
ruvido, quasi direi brutale, incapace di provare affezione per chicchessia e quindi incapace di provare
affezione per l'orfana.
Questo lupo di mare, imbarazzato di trovarsi fra le braccia una nepote, e non fidandosi d'altra parte
d'abbandonarla a mani straniere, per nulla disposto allora a piantar radici in terra, l'aveva per così dire
rapita dalle spiaggie napoletane portandola seco sui mari. Per più di sei anni l'aveva abituata alla dura
vita marinaresca, per più di sei anni l'avea menata a ramingar pel mondo da un porto all'altro, da
un'isola a un'altra, da un continente a un altro, fino a che un bel dì, per un inesplicabil capriccio, si era
fermato a Labuan dove aveva piantato casa.
Una volta collocata la fanciulla, datale per compagna una napoletana, l'aveva abbandonata
completamente a stessa, affaccendandosi a cacciare da mane a sera nelle foreste dell'isola o a
tentare spedizioni contro i pirati che si era giurato di sterminare.
Mai che il lupo avesse rivolto una dolce parola all'orfana, mai che avesse dimostrato per lei qualche
affetto. Si contentava di non contrariare i gusti di lei, pur sempre tenendola in certo qual modo
prigioniera fra quelle foreste, come fosse geloso che le fuggisse.
Marianna a tal modo era cresciuta come una specie di selvaggia fra quei boschi, segregata dal mondo
civile, contraccambiando, nel fondo dell'anima, l'indifferenza del rozzo lupo di mare.
Si era rinchiusa in quel piccolo mondo cinto d'alberi e recinto di fiori che coltivava con passione, e
benché avesse per lungo tempo rimpianto le pittoresche rive del Tirreno, aveva finito a poco a poco
coll'abituarsi a quella vita austera, ma che non mancava di poesia, coltivandosi da sé, in una maniera
tutta sua.
Amava circondarsi di fiori perché in certo qual modo le rammentavano quelli della sua patria, amava
l'immensi perché sapeva trovarvi la poesia del suo paese, amava il mare perché le ricordava quello
delle spiaggie napoletane, amava la musica perc le sembrava la voce dei suoi compatrioti. Era
cresciuta coraggiosa ed energica quanto dolce e sensibile. Scorrazzava intrepida, quale Diana
cacciatrice, le foreste, affrontando arditamente il cignale, sfidando la tigre stessa che ritiravasi dinanzi
la canna dell'infallibile sua carabina, inseguendo leggera come un capriolo il babirussa. Attraversava
da sola tutte le foreste, senza temere il selvaggio imboscato, pel solo scopo di spingersi fino al mare
per vederlo calmo o irritato e gorgheggiare sulle sue rive al tramontar del sole, o per destare gli echi
dei boschi col dolce suono della chitarra o della mandola, o per guizzare come una naiade nelle baie,
per nulla impaurita della presenza dei pesci-cani.
Se era intrepida altrettanto era buona e dolce, pietosa. Si recava presso i selvaggi accampati nelle
paludi per recare loro soccorsi. Aiutava gli uni e gli altri, curava i feriti o gli ammalati, in maniera che
tutti quelli dei dintorni la riguardavano come un buon genio e l'ammiravano come fosse una donna
soprannaturale. Tutti accorrevano da lei, dalla Perla di Labuan come la chiamavano, sicuri che non li
avrebbe respinti, e sarebbe forse bastata una sua parola, un cenno, per sollevare quei bruti, e
avventarli contro i suoi compatrioti. S'era in certo qual modo formato un piccolo regno, dove
imperava padrona assoluta, s'era formato un piccolo mondo che lei dirigeva a capriccio.
Marianna era giunta così in sui diciassett'anni crescendo libera e doppiamente libera dopo la morte
della sua compagna napoletana, che aveva amato come una seconda madre e lungamente pianta, come
si può piangere l'ultimo ricordo che rammenti la patria lontana e che in sul più bello si spenga.
Era cresciuta fra quelle grandi foreste che amava forse come quelle degli Appennini o del Vesuvio, su
quelle spiagge ben differenti ma che riguardava come quelle incantate del Tirreno, cresciuta solitaria,
orfana, senza un affetto, senza una carezza, senza una dolce parola.
Non aveva mai provato fino allora le emozioni sublimi dell'amore, in mezzo ai suoi boschi non aveva
mai udito il suo cuoricino palpitare affannosamente, battere in una nuova maniera; ma dopo che aveva
veduto il pirata, ché non sognava né sospettava in lui la sanguinaria Tigre della Malesia, dopo di aver
mirato quell'ardita figura di selvaggio, che aveva la nobiltà di un sultano e la galanteria di un
cavaliero d'Europa, dopo di aver mirato quel fiero volto che aveva del guerriero e dell'eroe, e quegli
occhi scintillanti dai quali trapelava il coraggio indomito di una natura eccezionale, lei, la fragile e
cara fanciulla, aveva provato un inesplicabile turbamento, una emozione insolita, aveva sentito un
fuoco strano invaderla, fuoco che scorrevale più rapido per le vene, man mano destavansi le ardenti
passioni della sua natura meridionale.
Dopo di aver favellato con lui, di averlo affascinato coll'incantesimo della sua voce, col suo sorriso,
col suo sguardo, era stata alla sua volta affascinata, e invano cercava spezzare questo fascino che la
turbava, fascino che minacciava inghiottirla, invano cercava allontanare quegli occhi scolpiti sul suo
cuore che bruciavano come carboni ardenti, e invano cercava stordirsi seppellendosi fra i suoi fiori,
ma senza più trovare quella calma, quella serenità che provava prima di aver veduto il pirata.
Se Sandokan però aveva ammaliato lei, lei aveva pure ammaliato Sandokan. Entrambi lo dovevano
comprendere, poic entrambi provavano le medesime emozioni, i medesimi battiti, la medesima
fiamma; i loro pensieri se avessero potuto confidarseli li avrebbero trovati stessi, eguali come i loro
sentimenti.
All'indomani Marianna era ancora dal pirata assieme al lord, il quale trovava dilettevole la compagnia
del ferito, che riguardava sempre come uno dei più arditi guerrieri della Malesia, che parlava di
guerra, di marina, che raccontava le sue sanguinose spedizioni contro i pirati delle coste, o le grandi
caccie intraprese nell'interno della penisola.
La giovinetta prestava pur essa orecchio a quei fantastici racconti ammirando sempre più quel preteso
Malese che ai suoi occhi prendeva la figura di un eroe degno degli eroi d'Omero, racconti che però il
pirata dinanzi alla giovanetta andava modificando a poco a poco fino a scendere a parlare di futili o di
belle cose, che non si avrebbe mai creduto che uscissero dalle labbra della terribile Tigre della
Malesia.
Bisognava udirlo allora, quando la sua voce tonante e metallica cangiava tono per diventare dolce,
affascinante. Bisognava udirlo, quando dimenticando le sue pugne e le sue stragi parlava colla
giovanetta di alberi, di fiori, di caccie, di feste e persino di mode e di vesti!
Era una commedia, ma una commedia che egli stesso prendeva per realtà, e nella quale sentivasi
trasportato in un nuovo mondo, nella quale provava strane emozioni, nella quale il suo cuore batteva
precipitosamente e sentivasi preso da una strana febbre. Non provava allora le sofferenze attutite,
scemate dall'armoniosa voce della lady che egli trovava mille volte superiore a quella del cannone e
persino i ricordi della sua isola si cancellavano, sfumavano dimenticati fra i racconti della giovinetta
che gli parlava della sua terra natia, del bel cielo d'Italia, dell'azzurro Tirreno, delle incantevoli sue
coste e delle superbe sue città. Lui, il terribile e sanguinario pirata comprendeva infine che un legame
più forte dell'amicizia lo univa a lei, comprendeva infine che questo legame fino come la seta andava
ogni ingrossando, comprendeva infine che ormai una corrente di reciproca simpatia si era stabilita
fra i loro cuori e che infine si amavano!
I giorni così volavano rapidi per entrambi come baleni e la guarigione del pirata volava aiutata
potentemente dalla forza dell'amore, amore che sempre ingigantiva, mille volte raddoppiato
dall'ardente natura del selvaggio. E infatti venti giorni dopo, il ferito poabbandonare senza fatica il
letto e presentarsi dinanzi a lord James nel momento che questi entrava.
- Oh! mio degno amico, voi in piedi! - esclamò il lord vedendoselo dinanzi.
- Vi meravigliate, milord? - chiese Sandokan sorridendo. - Mi pare essere rimasto a letto fin troppo.
- Gli uomini di guerra, checché se ne dica, sono formati d'acciaio. Come vi sentite?
- Ma benissimo, milord! Mi sento forte come una colonna di ferro. A proposito, i miei più caldi
ringraziamenti, milord, tanto a voi che alla vostra cara nepote. A simili persone bisogna essere
riconoscenti anche non volendolo.
- Via, non parliamo di ringraziamenti. Fra gente di guerra non si usa.
- Al contrario, milord, e vi confesso che senza di voi, per quanto fossi stato forte, a quest'ora sarei
morto da un bel pezzo. La mia riconoscenza non cesse mai, tenetelo ben in mente, milord, mai!...
Andiamo, farò il contraccambio di questa ospitalità quando voi verrete a Schaja. Sarete il re delle
nostre feste.
Il lord si mise a ridere, stringendo la mano che Sandokan francamente gli porgeva.
- Verrò - disse il lupo di mare, - ve ne do la mia parola, e se caso mai avrete bisogno di un aiuto per
prendere la rivincita contro i pirati di Mompracem, pensate a me.
La fronte di Sandokan si abbuiò. Egli si avvicinò vieppiù all'Inglese.
- Guardate qui - disse con istrana voce. - La ferita si è chiusa, ma rimane un segno bianco: la cicatrice.
È un segno che non si cancellerà più mai: un segno che in ogni ora, in ogni tempo mi rammentedei
miei feritori. Quando ritornerò nella mia patria, a me allora la vendetta. Vedrò fuoco e sangue!...
Se l'Inglese avesse potuto comprendere il vero significato di quelle parole avrebbe rabbrividito. Ma
egli tutto ignorava, non sospettava poteva sospettare che chi parlava in tale guisa fosse la Tigre
della Malesia che giurava di guazzare nel sangue inglese.
- Vedete - continuò Sandokan sul medesimo tono. - È la prima volta che subii una disfatta, e quegli
uomini che han fatto mordere la polvere alla Tigre, la pagheranno ben cara.
- Fate conto di tornare in breve a Schaja? - chiese il lord. - Non abbiate fretta, amico mio, ché la
vendetta più lunga è e pdiventa matura. I pirati sono là, annidati nella loro formidabile isola, mille
miglia lontani dall'idea di volerla abbandonare. Avrete sempre tempo di vendicarvi. Rimarrete fra noi
fino a completa guarigione e mia nepote s'incaricherà di non farvi annoiare, ora che ha una profonda
ammirazione per voi.
Sandokan lo guardò con sguardo balenante. Per lui, rimanere ancora su quella terra che forse
cominciava ad amare, rimanere ancora presso quella fanciulla che aveva saputo affascinarlo, accanto
a Marianna era la vita. Non chiedeva di più, dimenticava Mompracem.
Che importava a lui che i suoi tigrotti lo aspettassero, quando poteva vedere quella fanciulla divina?
Che importava, se non assaporava sangue, quando assaporava la felicità di trovarsi presso lei? Che
importava se non udiva il tuonare dei cannoni, quando la voce di lei era più dolce del ruggito dei
fumanti bronzi? Che importava infine rischiare di essere scoperto, forse preso, forse ucciso, quando
sentiva il cuore battere d'amore, quando respirava la medesima aria che respirava lei, quando si
sentiva amare? Lui, la Tigre, tutto avrebbe sacrificato per provare ancora quelle emozioni sino allora
mai provate a Mompracem.
- Ascoltatemi, lord James - disse il pirata con emozione. - Questi luoghi, dove ho passato dei momenti
di suprema felicità, per me sono sacri. Accetto l'ospitali che voi mi offrite, e se mai un giorno, non
dimenticate queste parole che potrebbero avverarsi, se mai un giorno avessimo a trovarci sul campo di
battaglia, non già amici, ma nemici e ben fieri nemici colle armi in pugno, saprò sempre serbare la
mia riconoscenza.
Sandokan si tacque incrociando le braccia sul petto, col volto animato da una strana collera. Il lord lo
guardò stupefatto per alcuni istanti, senza riuscire a trovar parola, poi avvicinandosi bruscamente al
pirata impassibile:
- Non vorrei credere che fosse il delirio che vi facesse parlare - diss'egli. - Che mai andate parlando di
nemici e di pugne, se le relazioni fra la mia e la vostra patria sono cordialissime? Andiamo, amico
mio, io credo che non tramerete certamente qualche insurrezione pericolosa nelle nostre colonie
malesi.
- Non potete comprendermi, milord. Ho detto anche troppo; tronchiamo questo discorso che potrebbe
diventare imbarazzante e mettermi al punto di dover mentire.
- Tronchiamolo, giacc lo volete - disse lord James. - Ne avrò la spiegazione quel che noi ci
troveremo sui campi di battaglia. E ora, amico mio, restate senza timori. Troverete in me un uomo
leale più un amicone che vi terrà allegro, sperando di trovare il contraccambio a Schaja. Mi
permettete ora una domanda?
- Cento, milord, se lo volete - rispose Sandokan che cominciava però a tenersi in guardia.
- Il vostro prahos, quale rotta teneva?
- Rotta per Varauni. Avevo da concludere un trattato con quel sultano. L'Inglese lo guardò un
momento in silenzio come commentasse la risposta, poi continuò:
- Ho una nave ai miei ordini, mio prode amico. Quando sarete annoiato di abitare in questo brano di
terra, se me lo permetterete vi condurrò io a Varauni, dovendomi recare in quei paraggi. Credete che
la mia presenza possa esservi di qualche utilità?
La fronte di Sandokan tornò ad oscurarsi. Era imbarazzato a rispondere non sapendo cosa avrebbe
potuto fare a Varauni, dove aveva invece tutto da temere. Non chiedeva, una volta guarito, che di
tornare a Mompracem, alla sua terribile isola. Pure non esitò a rispondere.
- Forse la vostra presenza mi sarebbe di grande utilità - disse egli, poi un lampo gli balenò in mente. -
Andiamo, milord, non nascondetemi che la vostra presenza a Varauni ha un significato.
- Infatti - rispose l'Inglese accarezzandosi il mento, - ha un importante significato. I pirati di
Mompracem, amico mio, scorrazzano troppo arditamente questi mari. Crescono di audacia e di
numero, e a dirla fra noi, minacciano seriamente le sorti della nostra colonia. Non abbiamo sufficienti
forze per assaltare direttamente il loro covo e chiediamo il potente aiuto del sultano di Borneo.
- Ah! - fe' Sandokan quasi sardonicamente, ma in modo che il lupo di mare non potesse accorgersene.
- Questi pirati, di cui io ho fatto disgraziatamente la prova della loro audacia, sono veramente forti?
Sarebbe mai vero, che Labuan avesse paura?
- Non si ha paura di Mompracem, ma di quel bravaccio che si appella la Tigre della Malesia. È un
uomo che ha del sangue nelle vene, un uomo che mette i brividi a tutti i popoli delle coste. Non può
essere un uomo quello là, ma uno spirito malefico uscito dall'inferno; è un essere pieno di risorse e di
coraggio.
- Vi crederò, lord James, ma quando andrò a Varauni non dimenticherò di raccomandarlo
particolarmente al sultano. Lo faremo scomparire e io sarò della partita con tutti i miei prahos. La
palla di moschetto l'ho sempre nel petto.
- Ecco c che io voleva, amico mio. Quando saremo a Varauni parleremo di più: concerteremo il
nostro attacco contro l'isola maledetta della Tigre Malese.
Il lord trasse l'orologio e guardò le ore, mentre Sandokan lo fissava con occhi di fuoco.
- Sono le quattro - disse il lord. - Devo recarmi presso alcuni amici onde concertare qualche bella
partita di caccia per la domane. Voi che mi avete detto di essere forte come una colonna di ferro,
potete fare un giro nel parco, dove sarà probabile che abbiate a trovare Marianna.
Sandokan senun fremito percorrergli le ossa. Una vampa gli salì in volto e sentì il cuore battere in
maniera da credere che volesse spezzarsi. Era quello che aveva sognato, potersi trovare con lei, da
solo a solo, per confessarle forse la gigantesca passione che lo divorava.
- Arrivederci, mio bravo amico - disse il lord uscendo.
Il pirata non aspettò nemmeno che la porta si chiudesse del tutto. In un balzo fu dinanzi ai vetri della
fenestra percorrendo con un solo sguardo da cima al fondo l'intero parco.
Là, in mezzo ai fiori, all'ombra dei grandi alberi, accarezzata dal profumato soffio tropicale, vide lady
Marianna seduta o meglio abbandonata su di un tronco di albero sradicato, muta, pensierosa, colle
dita sulle corde della mandola.
Gli parve una celeste visione: tutto il sangue gli affluì in volto e rimase lì, immobile, come trasognato,
cogli occhi fissi sulla giovanetta rattenendo persino il respiro. D'un tratto dette vivamente indietro
come se un abisso si fosse aperto dinanzi.
Il suo volto s'oscu improvvisamente prendendo una espressione truce, feroce. Un gran scoppio di
riso satanico uscì dalle labbra: sentì per un istante che ridiventava la Tigre della Malesia.
- E che! - esclamò egli con una voce che più nulla aveva d'umano. - Non sarei forse più io il pirata di
Mompracem? Sono cangiato adunque io, per sentirmi attratto verso una fanciulla? Io!... Io!... Che non
ho mai provato che gli stimoli del guerriero e della belva!... Io, che porto il nome di Tigre della
Malesia!... Dimentico forse che la mia selvaggia Mompracem e che tutti i miei tigrotti m'aspettano per
ricominciare le leggendarie imprese di Sandokan? Io, dimenticherei forse che questa fanciulla che mi
affascina, è figlia di quella schiatta maledetta alla quale ho giurato odio e odio? Dimentico io che le
forze umane di Varauni e di Labuan si preparano per ischiacciarmi?... Via questa visione, via questi
fremiti che non sono degni della Tigre. Spegniamo questo vulcano che arde nel mio cuore e facciamo
sorgere cento e cento barriere insuperabili fra me e quella visione che mi mette il fuoco nelle vene, fra
me e quella sirena che mi seduce, che mi affascina! Su, su, Tigre! fa udire il tuo ruggito, divora la
riconoscenza che io devo a lei che ha alleviato i miei dolori e a lui che mi ha curato. Su, va, fuggi da
questi luoghi, ritorna a quel mare che senza volerlo ti spinse su queste coste, ritorna ad essere
Sandokan, il sanguinario e temuto pirata della terribile Mompracem!...
Sandokan così parlando si era rizzato dinanzi ai vetri coi pugni chiusi, tutto fremente, tutto fuoco. Gli
parve essere diventato un gigante, gli parve vergogna d'aver un sol istante amato, e gli parve di udire
le urla dei suoi tigrotti che lo chiamavano alla pugna e di fiutare odor di polvere. Volle dare indietro,
volle fuggire, ma non fu capace di muovere un passo. Egli rimase là, inchiodato dinanzi la fenestra
come che una forza sovrumana ve lo tenesse cogli occhi che parevano schizzare dalle orbite, fissi
sulla giovanetta: il pirata, la Tigre, tornò a diventare uomo e per di più amante!
- Marianna! Marianna!... - esclamò egli e alla invocazione di quel nome tutta la sua ira per quella
figlia d'Inghilterra svanì. Si era allontanato passo passo dalla fenestra nell'istante che era ridiventato
l'antico pirata di Mompracem; egli tornò ad avvicinarsi cozzando il capo contro i vetri.
Le sue mani si portarono involontariamente sul bottone: esi un momento senza fiatare, senza
staccare gli occhi dalla giovanetta che non sospettava nemmeno di essere spiata, poi con rapido gesto,
ma senza far rumore, aprì la fenestra e si sporse all'infuori.
Un buffo d'aria tiepida e profumata penetrò nella stanza. Respirando quegli effluvi provenienti dai
fiori di lei, sen inebbriarsi, sentì ridestarsi più forte che mai quella passione un momento prima
soffocata, si sentì suo malgrado vinto.
Le sue labbra lanciarono avidamente un bacio nell'immensità dello spazio e i suoi occhi cercarono
scorgere il bel volto di Marianna semi-nascosto fra le ombre dei grandi alberi.
Il pirata l'ammiin silenzio, fremente, anelante, trasognato. La febbre lo assaliva, si sentiva il fuoco
scorrere per le vene e guizzare in tutte le parti del corpo e fiammeggiare nel cuore; gli pareva che nubi
di fuoco scorressero dinanzi ai suoi occhi, in mezzo alle quali brillava la divina figura di Marianna.
Una pazza idea s'impadronì di lui. Misul'altezza che lo separava dal giardino, come la tigre misura
lo slancio per avventarsi sulla preda, e quantunque superasse i dodici piedi, guadagnò il davanzale e
saltò fra le aiuole.
- Bisogna che la veda ancora una volta, una sola - mormorò egli quasi fuori di . - Voglio godere
ancora quella felicità che io provavo presso di lei... vederla ancora, poi me ne andrò. Fuggirò senza
dirle una parola, come un ladro che ha paura di essere preso... me ne ritornerò al luogo donde sono
partito, alla mia Mompracem... nella mia isola fra i miei pirati. Se rimanessi la febbre mi
abbrucierebbe... non sarei più io la Tigre, non sarei più libero... Orsù, ancora una volta, poi seppellirò
quel nome a me tanto caro e quei ricordi, e ritornerò Sandokan.
Il pirata, senza fare più rumore di un serpente si mise a strisciare verso lei che volgeva il capo. Si
avanzava con gli occhi infuocati fissi su lei, aspirava colla voluttà di un orientale le emanazioni dei
fiori che parevano l'alito di lei, si inebbriava in mezzo a quelle piante, in mezzo a quelle aiuole.
Era allora a dieci passi dalla giovanetta, nascosto dietro a un albero, quando la vide muoversi, agitarsi,
alzare il volto verso il cielo, poi nascondersi il volto fra le mani.
Ella rimase per qualche tempo così, come assorta in dolorosi pensieri, poi le sue mani si portarono
sulle corde della mandola, e la sua voce vibrante, dolce, carezzevole, improntata di una viva tristezza
risuonò sotto le grandi volte di verzura destando gli echi delle foreste, aleggiando al disopra dei fiori
che parevan piegare gli steli.
Il pirata, nell'udirla, credette essere in preda a un sogno. Tutti i suoi progetti di fuga sfumarono come
per incanto, e rimase come inchiodato dietro l'albero, spiando i più lievi movimenti, porgendo attento
ascolto a quella voce che scuoteva le sue fibre, che lo trasportava in un nuovo mondo.
- Resterò! - esclamò egli. - Resterò! Dovessi sacrificare il mio nome e la mia potenza!...
Poi, senza aspettar altro, delirante, si mise a fuggire attraverso i viali con passo rapido.
Giunse sotto la fenestra e con un balzo guadagnò il davanzale. Aveva paura di non sapersi più
padroneggiare, aveva paura di fuggire abbandonando quei luoghi che cominciava ad amare.
Era appena entrato che lord James capitò. Era più sorridente del solito.
- Amico mio, sapete cacciare la tigre? - domandò egli al pirata.
- La tigre! - esclamò Sandokan come non comprendesse il significato di quella domanda.
- E che, non usate cacciare la tigre voi, nella Malacca?
- Sì... sì, è la mia passione - rispose il pirata.
- Benone, amico mio. Domani caccieremo la tigre!
CAPITOLO IX
La caccia alla tigre
Durante tutta la sera Sandokan non si era fatto vedere, né da lei, né dal lord, accusando di provare un
po' di sfinimento e una violenta emicrania, il che non gli avrebbe impedito alla domani di trovarsi fra i
primi a cacciare la tigre. Non era che una scusa per trovarsi solo; non vi erano emicranie di sorta per
lui che non le aveva mai provate, né sfinimenti; sentivasi p forte che mai. Voleva esser solo, per
prepararsi per la caccia cui egli riguardava ben sotto altro scopo. Era turbato dopo gli avvenimenti
della giornata, che gli avevano aperto un nuovo avvenire, che l'avevano spinto su di una nuova via,
che avevano cangiato la Tigre della Malesia, forse prossima a lasciare per sempre quei mari che aveva
bagnati di tanto sangue.
Aveva il fuoco nelle vene, non sapeva dominarsi più. Arrischiava l'ultima carta prima di precipitarsi
perdutamente in mezzo a una nuova avventura, che per lui era la vita.
Egli girò e rigi attorno la stanza come una belva rinchiusa nella sua gabbia, cercando allontanare
quella visione che lo seguiva passo passo nell'ombra, che gli sussurrava nuove parole, che lo
affascinava suo malgrado: poi si arrestò, come poche ore prima, dinanzi alla fenestra che guardava sul
giardino come in preda a un sogno, e guardò senza sapere il perché al di fuori.
- Guarda - mormo egli cercando rompere le tenebre che avvolgevano il parco. - Guarda! Qua la
felicità, qua una vita nuova, qua lei e lagg Mompracem, una vita d'avventuriere, una tempesta di
ferro, del sangue, i miei uomini, il Portoghese! Quale di queste due vie? Tutto il mio sangue bolle,
quando penso a quella fanciulla che non ho mai veduto nei miei sogni; il fuoco mi serpeggia nelle
vene, entro le quali scorre piombo fuso! Si direbbe ch'io l'amo, che l'antepongo alla mia vita di uomo
sanguinario. Il mio cuore rugge al sol pensiero che è figlia delle giacche rosse, ma sanguina al
pensiero che io dovessi dimenticarla! Prima era il terror dei mari, prima non aveva mai provato
emozioni, non aveva gustato che sangue e sangue... e ora, non gusto che lei, non respiro che l'alito di
lei, non provo che emozioni per lei. Il mio mondo è lei!...
Il pirata aprì la fenestra, aspirò l'aria fresca della notte. La notte era magnifica, stellata, una notte
tropicale; egli sentì il sangue rimescolarsi, turbinargli, il cuore fiammeggiare. Con un balzo precipitò
nel giardino ancor prima che potesse rendersi conto di quella mossa.
Rimase incerto, ascoltando lo stormir delle fronde e il sibilar del sangue negli orecchi.
- Se io fuggissi? - si chiese egli. - Se io frapponessi fra me e quella visione divina la foresta, poi il
mare, poi... poi dell'odio, perché ha del sangue di loro! Ritornerei libero laggiù... senza nulla
rimpiangere... senza farle conoscere che io l'amo di già, ancor prima che lei abbia ad amarmi!
Sandokan fece alcuni passi come avesse preso una risoluzione movendo verso le mura del parco, poi
s'arrestò come lo spavento l'avesse inchiodato al suolo. Gettò uno sguardo attorno, vide i grandi alberi
che parevano messi là per spiarlo, vide quei fiori il cui profumo lo inebbriava, vide il tronco atterrato
dove poco prima era seduta lei, vide su di esso la mandola poi qualche cosa di bianco. Fece un passo,
due, poi dieci dirigendosi verso quel luogo col passo furtivo di un ladro.
- Era - mormorò egli con voce commossa. - Era là, quella giovanetta affascinante, era che
cantava ed io ero laggiù a udirla, ebbro, trasognato!... Se io non la vedessi mai più?... Se io non la
udissi mai più?... Se fuggissi?...
Egli girò nuovamente attorno lo sguardo e lo fer sulla mandola, presso la quale vide un oggetto
bianco. Egli si avvicinò come spintovi da una forza sopranaturale, senz'essere capace di staccare da
esso gli occhi, e l'afferrò con mano convulsa.
Era un fiore, una rosa dei boschi che la giovanetta s'era dimenticata. Il pirata l'ammirò a lungo come si
ammira una cosa sacra, fiutò più volte il delicato profumo che esalava, la portò alle labbra, la baciò
con appassionato trasporto. Stette un minuto, due, forse tre, così col fiore attaccato alle ardenti labbra,
poi lo nascose nel petto e marciò dritto alle palizzate.
- Andiamo - rantolò egli. - Tutto sarà finito.
Egli si arres nel momento che stava per pigliare lo slancio e varcarle. Un singulto gli serrò la gola,
un tremore lo prese. Egli nascose il volto fra le mani mugolando come una belva.
- Ma no! Ma no!... - esclamò egli. - Non posso varcare questa cinta, non posso allontarmi da questi
luoghi, nol posso, no, nol posso. Che s'inabissi Mompracem e i pirati, io resterò!...
Egli si era allora messo a correre pel parco volgendo le spalle alle palizzate, quasi avesse paura di
dover varcarle, e come avesse paura di pentirsi di quelle parole uscitegli dalle labbra, che erano per lui
una sentenza.
Rientrò nella stanza due ore dopo, trafelato per la corsa, affranto, tutto in sudore, p cupo che mai.
Quando, dopo di aver a lungo esitato, si trovò ancora in quella stanza dalla quale era fuggito
coll'intenzione di non rivederla mai più, un profondo singhiozzo gli uscì dalle frementi labbra.
- Ah! - esclamò egli con tono di rimpianto. - La Tigre della Malesia tramonta!...
Egli passò la notte senza sapere il come, senz'essere capace di chiudere occhio. Solo verso il mattino
poté addormentarsi, ma fu un dormire di poche ore, poiché fu improvvisamente svegliato da un nitrire
di cavalli, da un abbaiar di cani e da un vociare d'uomini.
Si vestì in un lampo, aprì la fenestra con precauzione per non essere visto, e guardò.
Sei o sette cavalieri, armati di fucili, di pistole e di coltelli a doppio taglio, erano entrati nel parco
accompagnati da un branco di grossi cani. Sei, a giudicarli dalle vesti e dal fare, erano coloni dei
dintorni, il settimo era un bello ed elegante ufficiale di marina, dal portamento altero e aristocratico.
Sandokan guarquest'ultimo con particolare attenzione, e senza sapere il perché, provò una puntura
al cuore, provò un sentimento quasi direi di gelosia e d'invidia.
La sua fronte nell'ammirarlo s'aggrottò a più riprese e le labbra si sporsero sdegnosamente. Ma non
aprì bocca e rientrò proprio nel momento che il lord bussava alla porta gridando:
- In piedi, amico mio, in piedi che i cacciatori sono arrivati. Non bisogna dormire quando si vuol
scovare la tigre.
Sandokan si affrettò ad aprire.
- Ah! siete voi, milord? - diss'egli con voce calma.
- E chi potrebbe essere mai? Su, spicciatevi che i cavalli sono pronti, i cani abbaiano impazienti di
mordere il pelo della belva, e i battitori sono in campagna. Il sole fra pochi minuti si leverà.
- Sono pronto, milord. E vostra nepote rimarrà alla villa sola? - chiese Sandokan arrestandosi nel
momento che stava per varcare la porta della stanza.
- Che dite mai? Ha nelle vene del sangue di due razze. Non ha paura di una tigre, dovesse pur esser la
più terribile della Malesia. In fede mia, che non se ne consolerebbe mai più che la si avesse a lasciar
sola nel momento che tutti gli altri cacciano nelle sue foreste; di più, vi dirò, che arde dal desiderio di
vedere un Malese a cacciar una belva sì pericolosa.
- Lei ha detto ciò! - esclamò Sandokan che non credeva o che non voleva credere.
- Sì amico mio, e starà in voi a far vedere come caccia un Malese.
- E lo vedrà milord. Se vi ha una tigre, sarà mia e la pelliccia sarà sua. Sandokan aveva pronunciato
quelle parole con tutto il fuoco suggeritogli dalla passione. Tigre della Malesia contro tigre di
Labuan! Dovevano cadere l'una o l'altra. Avrebbe ben saputo lui guadagnar la partita sotto gli occhi di
Marianna. Egli alzò il capo con un gesto altero; ricominciava a essere Sandokan.
- Andiamo, milord, sono con voi. Ardo dal desiderio di trovarmi di fronte a questa tigre.
- Lo crede- rispose l'Inglese. - I Malesi godono fama di essere valenti cacciatori, e mia nepote av
agio di potersene assicurare coi propri occhi. Sarà contentissima poi di avere la pelliccia.
Uscirono e attraversate tre o quattro stanze entrarono in un elegante salotto, tappezzato di ogni sorta
di armi, dove Sandokan aveva solo da scegliere. Fu co che trovò Marianna in completo
abbigliamento da cacciatrice. Pareva Diana, più bella che mai, fresca come una rosa dei boschi e
nell'attitudine fiera di una cacciatrice provetta.
Nel vederla, Sandokan sen il fuoco serpeggiargli nelle vene. Egli mosse verso di lei con passo
sollecito e strinse fremendo la mano che la giovinetta gli tendeva, e che avrebbe voluto coprire di
baci.
- Voi qui? - disse ella sorridendo e arrossendosi in una volta. - La ferita è adunque cicatrizzata?
- Perfettamente, milady - rispose Sandokan. - Oh! credetelo, la vostra presenza, la vostra voce, le
vostre affettuose cure di cui serberò memoria anche quando ritornerò nella mia patria, hanno fatto p
che tutti gli empiastri dei medici. Vedete? io mi sento più forte di prima.
- E voi dite di serbarne memoria anche quando sarete laggiù, nel vostro paese? - domandò la
giovanetta la cui voce tremula scese fino al fondo del cuore di lui.
- Sì... mi capite, milady. Non mi dimenticherò mai, mai!...
Fra loro due regnò un breve silenzio intanto che il lord esaminava delle carabine, poi il pirata
cangiando tono e avvicinandosi alla giovanetta che lo contemplava con tristezza:
- È vero adunque che verrete a cacciare la tigre con noi, nella foresta?
- Certamente - rispose con vivacità ella. - Non sono io adunque una cacciatrice? Mio zio ve lo disse.
- Avete mai veduto cacciare il terribile animale da un Malese?
- Mai, ed ecco ciò che aspetto di vedere. Si dice che quelli della vostra razza siano così valenti.
- Sì, sì, valenti - rispose Sandokan, che in quell'istante avrebbe lottato con cento tigri.
- Che adoperano meglio il kriss che la carabina. Oh! io vorrei vedere tutto ciò.
Sandokan trasse il suo kriss dalla cui impugnatura scattò un lampo. Egli lo mostrò alla giovanetta che
sembrava atterrita alla vista di quell'arma sulla cui lama scorgevansi tracce di sangue.
- Vedete - disse egli sorridendo, - quest'arma è il nostro più fedele amico, al quale noi dedichiamo una
specie di culto superstizioso. Con essa io ammazzerò la tigre o io non sarò più un Malese!
- No, no; potrebbe capitarvi sventura! - esclamò la giovanetta con tale accento che il pirata ne fremé.
- Voi avete esternato il desiderio di possedere la pelle della tigre. L'avrete e da me!
Il lord aveva finita la scelta delle armi e tornava verso di essi.
- Oh! il magnifico kriss! - esclamò egli vedendo quello che impugnava Sandokan.
- In fede mia, milord, è una arma ammirabile e di una tempra eccezionale. Non fallì mai, e meno oggi
fallirà la tigre. Io inchioderò la belva come la inchiodava alla Malacca.
- Con tutto ciò non rifiuterete una eccellente carabina, che ha abbattuto più di un colosso delle foreste
indiane, un'arma che sarà infallibile come il vostro kriss.
- Certamente, milord. Potrebbe darsi che una palla di carabina diventasse indispensabile.
Sandokan si gettò a bandoliera l'arma, l'Inglese ne prese un'altra simile cacciandosi nelle tasche un
paio di corte pistole e Marianna staccò una piccola carabina indiana incrostata d'argento e di
madreperla, sospendendosi per di più un elegante pugnaletto dal manico dorato alla cintura.
I cavalli impazienti scalpitavano nel parco, i cani abbaiavano e i battitori si mettevano allora in
campagna. Gl'invitati chiamavano il lord salendo nei piani superiori.
- Andiamo, i miei compagni ci aspettano. Non sarebbe giusto farci aspettare.
Uscirono. Nel momento che entravano in un secondo salotto Marianna che era divenuta pensierosa, si
avvicinò al pirata, che le veniva dietro.
- Non commettete imprudenze colla tigre - diss'ella con voce supplichevole. - Morto voi, e per
cagione mia, non me ne consolerei più!
- Milady... - mormorò Sandokan con voce soffocata.
- Mi avete compreso. Non voglio la pelle della tigre; essa mi farebbe paura.
- Non siete voi che parlate... non potete aver paura di una pelle... voi che venite a cacciare con noi il
terribile animale. Milady, non mettetemi al punto di dover mancare alla mia parola.
- E se ve l'ordinassi?... Non vorrei vedervi ferito una seconda volta per cagion mia.
- Non fatelo, milady! - esclamò Sandokan che non si padroneggiava più. - Sarei capace di violare la
vostra proibizione. Lasciatemi. Là dove la vostra palla fallirà, il mio kriss ucciderà.
Sarebbe stata follia voler arrestare quell'uomo che la passione dominava. La giovanetta non parlò più,
ma lo guardò con due occhi nei quali trapelava un dolce rimprovero. Sandokan la comprese, ma non
volle far vista di comprendere; aveva promesso e la pelle della tigre doveva infallibilmente essere sua.
La comitiva li aspettava nel salone. Il lord, dopo di averli salutati e dopo che essi complimentarono la
bella cacciatrice, presentò ad essi Sandokan, che si trasse d'impaccio colla maggior disinvoltura del
mondo. Quantunque avesse tutto da temere da parte degli ufficiali di marina, che potevano averlo
riconosciuto durante il terribile combattimento fra il piroscafo e il prahos, non tremò,si smarrì. A
ogni modo, nessuno sospettò in lui il terribile pirata e complimentarono il Malese di Schaja.
Non mancava che partire. Scesero nel parco dove i cavalli li aspettavano trattenuti da palafrenieri e
dove i bracchi di alta statura e dalle mascelle di ferro abbaiavano tirando il guinzaglio.
- Andiamo, signori - disse il lord mentre aiutava sua nepote a salire in sella di un piccolo cavallo
bianco. - La caccia comincia, la tigre si tiene nei dintorni fuggendo dinanzi ai battitori. Non sarà che
colpa nostra, se lasciamo fuggire un superbo capo di selvaggina. Pensate che mia nepote è della
partita e che brama la sua pelle; mi raccomando a voi.
- Non ci sfuggirà - disse l'elegante ufficiale di marina verso il quale Sandokan provava un sentimento
di gelosia. - Se la mia palla non fallirà avrò l'onore di presentare la pelliccia a lady Marianna.
- E io avrò l'onore di pugnalare la tigre ancor prima che la pelle sia stata guasta da una palla - disse
Sandokan guardando fissamente il giovanotto. - Nella Malacca non si usa rovinare la pelliccia con del
piombo.
- A vostro piacimento - rispose il lord, - guardate però di non farvi ammazzare. La tigre è un animale
che non ischerza.
Il segnale della partenza fu dato e la cavalcata uscì dal parco in gruppo serrato. Sandokan, che
montava un magnifico cavallo sauro colla spigliatezza di un cavaliere consumato, si era spinto alla
destra della giovanetta, mentre il lord si teneva alla sua sinistra. Il pirata, calmo ma fiero, determinato
a tutto per pugnalare la tigre ad onta delle raccomandazioni della giovanetta, non aspettava che
l'istante di porsi all'opera. Aveva appesa la carabina all'arcione e stringeva il kriss.
La foresta appena fuori dal recinto erasi fatta fitta ma permetteva ai cavalli di avanzare e di galoppare
tenendo dietro ai battitori e ai bracconieri che li precedevano di cinquecento passi.
Si doveva circondare la foresta che aveva un'estensione di quasi due miglia, appena che fosse
segnalata la tigre per togliere ogni scampo di fuga e restringersi fino a imprigionarla nel suo covo o
fra qualche gruppo di alberi. Doveva essere che si doveva affrontarla, e siccome ognuno non
ignorava la resistenza che simili belve oppongono, si voleva essere riuniti per aiutarsi a vicenda. Era
che l'ufficiale e Sandokan, l'uno col fucile e l'altro col kriss dovevano disputarsi la vittoria tenuta
fra le unghie del terribile animale.
La cavalcata percorse un cinque o seicento passi, arrestandosi tratto tratto per non precedere i battitori
che avanzavano prudentemente, e per trovare un passaggio fra i fitti cespugli spinosi e fra i grandi
alberi. Stava per dividersi in due colonne per meglio tirar innanzi, quando si udì improvvisamente lo
squillo della tromba di John il capo bracconiere.
I cavalieri si affrettarono a quel segnale ad armare le carabine.
- Animo, signori, la tigre è stata segnalata - gridò il lord. - Ognuno al suo posto.
Il drappello si divise quasi subito prendendo differenti vie per accerchiar subito la foresta. Sandokan
si gettò a destra dove lo precedevano mezzi cavalieri, Marianna si get a sinistra non senza prima
aver gettato uno sguardo supplichevole al pirata, che rispose con un cenno della mano. In pochi
minuti ognuno si trovò separato da centinaia e centinaia di metri, gli uni slanciati fuori dalla foresta,
gli altri dietro i cani che abbaiavano sulla pista, e i p coraggiosi slanciati dietro i battitori, che
segnalata la presenza della tigre si affrettavano a lasciar il varco ai cacciatori.
- A me, ora, a me! - esclamò Sandokan quando si vide solo. - È tempo di mostrare a quell'ufficiale che
vanta la palla della sua carabina, chi io mi sia. Tigre della Malesia contro la tigre di Labuan!
Lo squillo di tromba erasi udito mezzo miglio lontano verso il centro della foresta. Non esitò un solo
istante e cacciati gli sproni nel ventre del cavallo, coll'occhio in fiamme e il kriss fra le labbra partì
alla carriera. Attraversò un lembo di foresta che tendeva diventare più intricata che mai, una vera rete
di durion, di rotang, di cavoli palmisti, di banani, dove vi era tutta la probabilità di rompersi il collo.
L'attraver senza arrestare il suo cavallo che sembrava avere le ali ai piedi, tendendo l'orecchio
all'abbaiar dei cani che seguivano le orme ora ritrovandole fra le erbe ed ora smarrendole. A lui
occorreva trovare la tigre, investendola con quello slancio e quella forza in lui abituale, pugnalarla pur
perdendo un lembo di carne prima che quel cane d'Inglese avesse a toccarla con la sua palla, e
riportare la spoglia insanguinata a Marianna.
Passò dinanzi a sei o sette battitori che correvano in preda allo spavento gettando i bastoni e ponendo
mano alle scuri. Egli rattenne violentemente il cavallo che piegò i garretti gettando un nitrito.
- Dove fuggite? - domandò egli arrestando uno dei fuggiaschi.
- La tigre! La tigre! - esclamò egli tentando svincolarsi da quella morsa che stritolavagli il polso.
- In qual direzione? Spicciati, negro d'inferno, che mi occorre la pelle! - esclamò Sandokan.
- Laggiù, in mezzo a quel gruppo di alberi, presso quel fossato.
Il pirata lasc andare il battitore che fuggì dietro ai compagni, raccolse le briglie, impugnò il kriss e
spinse risolutamente il cavallo verso il luogo additato. Giunto alla macchia formata da una ventina di
rotang fiancheggiati da fitti cespugli spinosi, in mezzo ai quali abbaiavano tre o quattro bracchi col
naso a terra, il corsiero cominciò a impennarsi e recalcitrare. Un forte odore di selvaggina appestava
l'aria, odore particolare alle tigri, che si mantiene anche qualche tempo dopo che sono passate.
Sandokan balzò d'arcione, leil cavallo che continuava a sferrare calci e nitrire, armò la carabina e
dopo aver girato lo sguardo sui rami degli alberi per assicurarsi che non gli piombasse addosso a
tradimento il terribile animale, si fece strada fra i cespugli.
Quasi subito, con quell'occhio infallibile d'un cacciatore provetto come era lui, scorse le tracce della
tigre impresse sul terreno umidiccio. Seguì cautamente le orme accompagnato dai cani, smovendo i
rami colla canna della carabina e s'arrestò dinanzi a un piccolo stagno la cui acqua era stata appena
smossa.
- La tigre è passata di qua - mormo egli sommessamente. - Non deve essere lontana. Ha fatto
smarrire la traccia saltando di ramo in ramo. Astuzie troppo vecchie, mia cara!
Tor al cavallo, risa in sella e lo spinse innanzi. Non aveva percorso cento metri che udì la
detonazione di una carabina accompagnata da un'esclamazione, che lo fece trasalire.
Diresse il cavallo verso il luogo ov'era partito il colpo, e in mezzo a una piccola radura vide la milady
coll'arma ancor fumante in mano. In un baleno le fu vicino.
- Ah! - esclamò egli frenando a malapena la gioia che traboccava dal suo cuore. - Siete voi milady?
- E chi potrebbe mai essere se non io? - rispose la giovanetta, non dissimulando la sua sorpresa.
- Siete stata voi a tirare quel colpo di fucile? I miei complimenti per la vostra audacia.
- Non mi adulate - disse Marianna arrossendo. - Del resto, mi semb che la tigre non fosse stata
nemmeno toccata.
- Voi rimpiangete il vostro colpo, o meglio la pelle della tigre. Ebbene, milady, non la rimpiangerete a
lungo. Dovessi perdere ambe le braccia, io ve la darò.
Sandokan nel dire queste parole, vi aveva messo tanto fuoco che la giovanetta ebbe paura.
- No!... No!... - esclamò ella vivamente. - Non commettete pazzie per un capriccio che esternai nel
momento in cui non misurava l'estensione del pericolo. Sapete, che se io avessi a vedervi nuovamente
ferito, e per causa mia, ne avrei rimorso?
Sandokan nel mentre lei parlava, si era avvicinato ancor più. Si sentiva preso da una strana febbre, il
sangue gli affluiva tutto in viso. Gli parve sognare: egli dimenticò per un istante la tigre.
- Milady - diss'egli con vivacità, - che importerebbe se io avessi a perdere un braccio, quando una
volta ferito tornassi a provare quelle care cure che provai, quando una palla di moschetto mi condusse
tra queste foreste, dove voi siete regina? Che m'importerebbe d'esser mutilato, quando avessi agio di
udire ancora la vostra divina voce, quando respirassi la medesima aria che respirate voi, quando
calcassi il suolo calcato dal vostro piedino, quando potessi ancora inebbriarmi dei vostri sguardi, dei
vostri sorrisi?... Laggiù nelle mie selvagge foreste non proverei più queste gioie che hanno commosso
il cuor della Tigre... Sentite, milady, io fremo tutto, e il cuore lo sento sanguinare, al pensare che verrà
il dì in cui un abisso sarà scavato fra noi, un abisso che mi toglierà per sempre la vostra vista.
Egli prese le mani della giovinetta. La sua voce si commosse stranamente.
- Milady, milady!... - esclaegli con iscoppio improvviso. - Guardate, uditemi! La prima volta che
vi ho veduto, ho sentito il mio cuore fremere, battere, e io che non aveva mai provato le dolci
emozioni dell'amore, quel dì le provai!... Quando udii la vostra voce, sentii il sangue bollirmi, quando
respirai il profumo delle vostre labbra, mi sentii inebbriare, e quando ripenso che verrà il della
separazione, mi sento mordere atrocemente il cuore da un lampo di gelosia, da un lampo di pazzo
amore!...
La giovanetta dinanzi a quell'appassionata ed improvvisa confessione, rimase muta, presa suo
malgrado, da profonda ammirazione per quell'uomo, che ai suoi occhi prendeva la figura di un eroe.
Si sentì commossa.
Il pirata si era avvicinato ancor più. L'ardente suo alito si confondeva con quello di lei, il suo volto
toccava quasi quello di lei. Egli proseguì con un tono che scendeva nel cuore dell'orfana come la più
dolce musica del mondo e che attingeva nello sfogo della passione.
- Oh! non irritatevi, milady, se vi confesso che la follia m'ha preso, che la mia testa si è smarrita, se io,
quantunque figlio di una razza di colore, mi sentii preso d'ammirazione per voi e che sperai che voi mi
avreste amato!...Lasciate che ve lo dica, che questo amore ha vinto l'inaccessibile cuor della Tigre, il
terror di questi mari; lasciate che ve lo dica, che non sogno che voi, che non vedo che voi, che
dimenticherei patria, amici e parenti per voi; lasciate che ve lo dica, che per voi mi sentirei tanto forte
da pugnare da solo contro mille giacche rosse!...
"Milady, volete esser mia? Farò di voi la regina di questi mari, la regina della Malesia. A un vostro
cenno, cento uomini, cento tigri, cui non valgono cannoni, eserciti sorgeranno al mio grido,
struggeranno città, massacreranno i difensori, detronizzeranno e rajah e sultani, per preparare un
regno a voi. Dite tutto ciò che l'ambizione vi suggerirà e voi l'avrete. Ho uomini, ho navi, ho cannoni,
ho oro, sono forte, sono potente. Per voi, nulla mi sarebbe impossibile!...
Marianna lo guardò sorpresa, affascinata da quel turbinìo di promesse, da quegli occhi di fuoco che la
fissavano stranamente, da quella voce che trovava nel suo cuore un eco delizioso. Rimase per qualche
istante muta, senz'essere capace di ritirare le mani che il pirata stringeva con frenesia.
- Ma chi siete adunque voi? - chiese ella alfine con un tono di voce che fe' trasalire il pirata.
- Chi io mi sono?... - esclaSandokan. - Non chiedetemelo, milady, non chiedetemelo!
Fra loro successe un breve silenzio. Sandokan cinse con ambe le braccia la giovanetta e l'attirò a sé,
quasi volesse levarla di sella,
- Ascoltatemi, milady - diss'egli con cupa voce. - Vi sono delle nubi rosse attorno al mio nome e delle
fitte tenebre che nessuno ardirebbe sollevare; vi ha del terrore, del terribile attorno a me. Porto un
nome che mette spavento, che è più potente di quello del sultano di Borneo; posseggo tanta forza da
far tremare Labuan stessa!...
- E un uomo così potente è sceso fino ad amare una povera orfana, una derelitta...
- Non proseguite, milady, non proseguite! - l'interruppe Sandokan con violenza. - Queste parole sono
un delitto. Vi ho veduto, fui affascinato, ho sentito di amarvi. Ditemi una parola, lasciate cadere dalle
vostre divine labbra una confessione, dite anche voi che mi amate e farete di me il più felice degli
uomini che vi colmerà di gioie, che deporai vostri piedi un regno.
- È adunque proprio vero che voi mi amate? - chiese ella con voce soffocata.
- E lo dubitereste, milady? Vi amo tanto che vorrei morire così al vostro fianco, e colle vostre mani
strette fra le mie. Uditemi, milady: se credete che io non sia degno di alzare gli occhi fino a voi, se
credete che io figlio della Malesia, io selvaggio che porto un nome lugubre quanto terribile, non possa
aspirare alla vostra mano, mettetemi alla prova. Mi sentirei tanto forte da sollevare il mondo intero
per voi. Parlate, io obbedirò come uno schiavo, subirò ciò che voi m'imporrete senza un lamento,
senza un sospiro. Volete che io diventi re per darvi un trono? Lo diventerò. Volete che io, che vi amo
di già alla follia, ritorni nella mia patria? Vi ritorne perché voi me l'avrete ordinato. Volete che io
mi ammazzi dinanzi a voi? Mi ammazzerò perché voi l'avrete voluto. Parlate: ho la febbre, sento che
la mia testa si smarrisce, sento che il sangue mi arde il cuore e le vene. Parlate, milady, parlate!
- E voi farete tutto ciò per colei che si chiama Marianna, per l'orfana?
- Sì milady, lo farei, oggi, domani, sempre!
Vi era un tale accento di verità in quelle parole, vi era un tal fuoco che la giovanetta trasalì tutta. Le
sue mani si abbandonarono in quelle di lui che le portò alle labbra. Si sentì affascinata.
- Amatemi - sospirò ella. - E quando tornerete laggiù, non dimenticatemi troppo presto.
Il pirata gettò un urlo giammai uscito da gola umana. Nel medesimo istante risuo una detonazione a
duecento passi lontana, seguita da altre due tirate a egual distanza.
- La tigre! - esclamò la giovanetta.
- Sarà vostra - gri il pirata e col pugnale nella dritta, gli occhi sfavillanti d'ardire, delirante, cacciò
gli sproni nel ventre del cavallo che partì alla carriera seguito dalla giovanetta che sentivasi attirata
verso quell'uomo che metteva a repentaglio la sua vita per mantenere una parola.
A duecento passi lontano vi erano i cacciatori riuniti, in mezzo ai quali si scorgeva l'elegante ufficiale
di marina che si avanzava verso un gruppo d'alberi colla carabina in mano. Co abbaiavano sei o
sette bracchi ai quali rispondevano i ruggiti della tigre messa alle strette.
Sandokan si gettò d'arcione e corse verso di essi. La giovanetta lo seguiva sulla cavalla bianca con
cuor sospeso, pallida, impaurita, ma fiera di veder lui che si preparava a pagare il debito.
- La tigre! La tigre! - gridò il lord che caricava la carabina.
- È mia! È mia! - gridò Sandokan che raddoppiò di velocità.
Pareva una seconda tigre che sbucasse fra i cespugli. Egli capitò come un lampo fra i cacciatori, col
kriss sollevato, la cui impugnatura percossa dai raggi del sole, mandava baleni.
- Whu-Pulau! - gridò la giovanetta che si sentì venir meno.
- La pelle della tigre! Voglio la pelle della tigre! - urlò Sandokan.
L'ufficiale di marina lo precedeva di pochi passi. Lo videro abbassare la canna della carabina
prendendo di mira la terribile belva, la quale aggrappata a un colossale ramo di un albero della
canfora colle pupille contratte, gettava formidabili miagolamenti simili a ruggiti, agitando la coda da
destra a manca, e sollevando la corteccia colle unghie. Pareva pronta a piombare sulla vittima da essa
scelta. Pareva che fosse lì lì per slanciarsi.
Il colpo partì, ma il fumo non era ancor dissipato che la tigre, senza essere toccata, attraversava lo
spazio cozzando contro il cacciatore che fu atterrato dall'urto. S'udì un grido di spavento a cui fece
eco uno scoppio di risa sinistre emesso dalla Tigre della Malesia.
Egli, armato del suo terribile kriss, con un balzo di dieci piedi si era gettato dinanzi alla belva che
stava per ripigliare lo slancio gettandosi sul semicerchio dei cacciatori. Le due tigri s'incontrarono di
fronte, entrambe ruggenti, entrambe terribili. Fu un lampo.
Il pirata le si scagl addosso rovesciandola con forza sovrumana, e prima ancora che la belva
sorpresa da tanta audacia potesse dilaniarlo coi denti e cogli artigli, l'afferper la gola stringendo con
tal forza da soffocare i ruggiti. Coi piedi ne inchiodò al suolo le zampe.
- Guarda!... Guarda chi io mi sono! - gridò Sandokan fremente.
La lama serpeggiante del kriss guidata da un braccio d'acciaio si sprofondò fino all'impugnatura nel
cuore della tigre, che cadde ruggendo per non più rialzarsi.
Un urrah fragoroso accolse quella caduta. Il pirata illeso, gettato uno sguardo di sfida sprezzante sul
giovane ufficiale di marina, si avvici alla giovanetta ancor muta di terrore e con un gesto di cui
sarebbe andato altero un rajah:
- Milady! - le disse. - La pelle della tigre è vostra!...
CAPITOLO X
Il tradimento
Il pranzo dato da lord James, dopo che la caccia fu finita, fu uno dei più splendidi ed insieme dei più
allegri, che fossero mai stati dati nella palazzina. La cucina inglese e quella malese vi erano
magnificamente rappresentate, la prima con giganteschi beefsteak ed enormi pudding, capaci di
produrre una indigestione allo stesso Gargantua e la seconda con costole di tigre alla salsa piccante,
con teneri bambù simili agli asparagi, con pinne di pesce-cane e con nidi di rondini salangane
all'aceto, che furono a unanimità di voti dichiarate eccellenti.
Durante tutto il pranzo il pirata fu il re della tavola come la Perla di Labuan ne fu la regina. Vi furono
elogi pel primo sul suo coraggio, sulla sua abilità senza esempi, sul suo sangue freddo veramente
straordinario, e ve ne furono per la giovanetta sulla sua rara intrepidezza d'amazzone e sulla sua
audacia non comune in una donna. In questi ultimi elogi si distinse in particolare il giovane ufficiale
di marina, che pareva avere per di più un mondo di attenzioni forse troppo spinte per la leggiadra
lady, attenzioni che spesso chiamavano sulle labbra del lord un sorriso di mal celata gioia e su quelle
di Sandokan un diabolico e sprezzante sogghigno.
Quando gli ospiti giunsero allo champagne, i brindisi cominciarono su tutta la linea. Uno dei
cacciatori, pel primo, alzando la tazza nella quale spumeggiava la trasparente bevanda, bevette alla
salute di Sandokan.
- Amici! - gridò egli con tono enfatico. - Beviamo alla salute di questo valente cacciatore che io
proclamo primo fra i valorosi. Hurrà per Whu-Pulau!
I suoi compagni fecero eco mentre che il pirata s'inchinava colla maggior disinvoltura. Alzò alla sua
volta la tazza ricolma e guardando fisso la giovanetta seduta a lui di fronte:
- Signori, beviamo alla salute della Perla di Labuan che io proclamo la più bella della Malesia!
Il secondo brindisi ottenne un effetto dieci volte maggiore del primo, e quel nome risuonò p volte
nella sala, con gran soddisfazione della giovanetta che arrossi tutta sotto lo sguardo di fuoco del
pirata.
- Signori - disse il lord, - nei vostri brindisi spero che non dimenticherete di bere alla memoria della
povera tigre. Orsù, signori, un brindisi alla tigre di Labuan.
La proposta fu accettata con iscrosci di risa dall'allegra brigata che non si fece pregare. Solo Sandokan
non alzò la sua tazza. La sua fronte s'abbuiò stranamente.
Il lord sorpreso notò quell'improvviso cangiamento. Lo urtò col gomito.
- Che diavolo andate fantasticando, mio prode amico? - diss'egli. - Trovate forse che il mio brindisi
non sia di buon gusto per rimanervene li colla tazza ancor colma? Se credete che bere alla salute di
una tigre morta, porti sventura, berremo alla salute d'una tigre viva.
- Non è ciò che mi preoccupa - rispose Sandokan con impercettibile sogghigno. - Credete voi, milord,
che il nome di tigre di Labuan ben si adatti a quella che ho ucciso?
- Ma certamente - dissero in coro i cacciatori. - Non era forse delle foreste di Labuan?
- Infatti, sin qui avete ragione. Ma a che regione appartiene Labuan?
- Alla Malesia - rispose il lord che non capiva nulla di quelle strane domande.
- Sicuro, milord. Ora, fra noi Malesi, quando si ammazza una tigre, non le si dà il nome del luogo cui
appartiene, ma bensì il nome della regione cui la terra appartiene. La tigre appartiene alla regione
malese. Bene, signori, io brindo alla Tigre della Malesia!
Il pirata, soffocando uno scroscio di risa che gli montava alle labbra, vuotò la tazza ma nessuno lo
imitò. Tutti guardarono Sandokan stupiti, mentre la giovanetta lo mirava con una specie di spavento
colla tazza mezza vuota fra le mani. Ebbe un sospetto, ma si dileguò come un lampo.
- Ebbene, signori - disse il pirata con istrana intonazione che un attento orecchio avrebbe potuto
trovare beffarda, - direte or voi, che il mio brindisi sia di cattivo gusto?...
- Infatti - disse il lord, - lo trovo di pessimo gusto. Sapete a chi avete brindato?
- A una tigre, mi sembra, alla Tigre della Malesia!
- E non sapete, che questo è il nome di un uom fatale, al quale ogni buon Inglese deve la sua parte di
odio e di disprezzo, e pur voi la vostra? La Tigre della Malesia, è il nome del pirata di Mompracem!
- Ah! Quell'uomo formidabile, il padrone di questi mari, colui che fa tremare Borneo e Labuan, colui
che m'ha cacciato una palla nel petto, si chiama la Tigre della Malesia! - esclamò Sandokan che
assaporava la forza di quelle parole come la tigre assapora il sangue. - Ecco un brindisi ben strano,
milord!
- Mille volte strano - disse l'ufficiale di marina che lo guardava fisso come cercasse di rammentarsi il
luogo ove aveva o gli era parso di aver veduto quell'ardita figura. - Ma vi dirò, signore, che correte
troppo; credo che invece di aver brindato alla Tigre della Malesia viva, abbiate brindato alla Tigre
della Malesia morta.
- E che? Il terribile pirata, sarebbe adunque morto? - chiesero in coro i cacciatori.
- Vi ha da sperarlo - rispose flemmaticamente l'ufficiale. - Non avete udito parlare del combattimento
avvenuto tre settimane fa, durante il quale le sorti della nostra nave furono sospese a un filo? I due
prahos pirateschi, che ci abbordarono, si crede che fossero guidati dalla Tigre in persona.
- Ebbene? E così?
- Noi li abbiamo battuti, li abbiamo affondati quei legni, e non uno degli uomini che li montavano
poté sfuggire al fuoco dei nostri cannoni, o se lo poté, in sì cattivo stato da non poter essere capace di
guadagnare la costa. Se la Tigre era con essi, fu uccisa.
Sandokan, mentre l'ufficiale parlava, erasi bruscamente alzato. I suoi occhi balenavano come nei
giorni di battaglia e le sue mani fremevano come stringessero ancora la scimitarra o il terribile kriss
cento e cento volte tinto nel sangue del nemico. Egli si mise a ridere, d'un riso strano, satanico,
beffardo.
- Voi avete parlato di due prahos pirateschi, non è vero? - chiese egli. - Quando io navigava verso
Varauni, in vista di queste coste(3) li vidi entrambi. Potevano avere a bordo una quarantina d'uomini,
una quarantina di pirati della più terribile razza che mi massacrarono l'equipaggio e mi allogarono una
palla nel petto. Ero laggiù, sotto le foreste ferito, quando attaccarono la vostra nave.
- Ah! voi eravate là! - escla l'ufficiale con mal celata ira e guardandolo con diffidenza. - Avete
assistito alla loro spaventevole rotta.
- Sì - rispose Sandokan beffardamente. - E confesso che se furono battuti, si batterono come tanti eroi.
L'ufficiale aggrottò la fronte e si morse le labbra. Stette un momento muto, poi volgendosi
bruscamente verso il pirata che si era così storditamente cacciato in una via irta di spine:
- Quando siete stato ferito? - gli chiese.
- Il 24 aprile; il 27 sono arrivato delirando all'abitazione del lord.
- A quale distanza dalle coste di Labuan avvenne il combattimento fra voi e i pirati?
Sandokan non rispose; guardò fisso l'ufficiale. I loro sguardi s'incontrarono entrambi scintillanti,
entrambi provocanti, entrambi diffidenti.
- Credo che mi sottoponiate ad un interrogatorio - diss'egli alfine.
- Oibò! - esclamò l'ufficiale cercando di dare un tono meno altero alla sua voce, - è una domanda che
vi dispensa, se volete, dal rispondere. Mi meraviglio soltanto, come quelli della costa non abbiano
udito il cannoneggiamento.
- Eravamo assai lontani da Labuan e il vento soffiava dall'est. Credo bene, colla mia palla nel corpo di
aver fatto nuotando una dozzina di miglia.
- Del resto, che importano questi particolari - disse vivamente lord James. - Vinti o vincitori, i pirati
non avranno lunga vita nel loro dannato covo, e non daranno molto da fare alla nostra nascente
colonia che s'allarga ogni a dispetto di tutti i loro prahos e del loro capo. Guardate, amici, un
brindisi per Labuan.
- Alla prosperità di Labuan! - risposero in coro i cacciatori alzando i bicchieri e vuotandoli in una
volta.
- Alla prosperità di Mompracem! - rispose Sandokan rovesciando il suo sulla tavola.
- Oh! Oh! Mompracem! - esclamò il lord mentre l'ufficiale diventava pallido come un cadavere.
- E che? Avete dimenticato adunque, milord, i nostri progetti? - disse Sandokan ridendo. - Orsù,
quando un'isola deve scomparire coi suoi abitanti merita bene un brindisi. Beviamo!
- Beviamo, allora beviamo! - risposero i cacciatori. - Un mese di vita per essa e poi la morte.
- La morte - ripeté Sandokan, e come essi vuotò sino all'ultima goccia il bianco liquore.
L'ora erasi fatta tarda. L'isola, dove le foreste presentavano ancora i medesimi pericoli come prima
che venisse occupata, sia da parte delle tigri ancor numerose, sia da parte degli indigeni non troppo
contenti dei nuovi padroni, percorrerla a ora troppo inoltrata non era prudente. Fu quindi da parte dei
cacciatori che abitavano abbastanza lontano dato il segnale della partenza dopo i soliti ringraziamenti
e le solite strette di mano, dove non anesente Sandokan quantunque fremesse all'idea di stringere le
dita alle giacche rosse. Alle dieci scendevano le scale dirigendosi verso i cavalli di già sellati che
scalpitavano con impazienza. Il lord, la giovanetta e il pirata li accompagnavano.
- Signori - disse il lord, - io spero di vedervi fra breve per una nuova partita di caccia. Il mio amico
che oggi ha dato saggio della sua portentosa valentìa nella caccia della tigre non mancherà di darne un
secondo nella caccia del babirussa. Chi sa che voi, William, non siate più fortunato.
- Lo sarò - rispose il giovane ufficiale con voce sorda. - Ora avrei da farvi una preghiera.
- Parlate. Si tratta forse di intraprendere qualche caccia nei vostri domini?
- Non è ciò, milord. Se lo potete domani cercate di venir da me, si tratta di Labuan.
- Vi sarò - e il gentiluomo fece un passo indietro come per congedare i cavalieri, i quali partivano al
galoppo.
Sandokan stette a guardare colui che portava il nome di William con ira mal repressa e si sentiva
mordere, suo malgrado, il cuore da un lampo di gelosia.
Augurata la buona notte, dopo di aver stretto la mano della giovanetta che la sentì tremare nella sua, il
pirata cupo e meditabondo si riti nella sua stanza. Egli si arrestò come altre volte dinanzi ai vetri
delle fenestre colle braccia incrociate come solea fare quando qualche pensiero oscuro attraversava la
sua mente, e gli occhi fissi sugli alberi del parco lievemente scossi dalla brezza notturna.
Il pirata era valoroso quanto perspicace. Trascinato dalla sua usuale temerità, nata da un gran
disprezzo che aveva per quegli uomini che egli chiamava derisoriamente giacche rosse, aveva
compreso che erasi gettato troppo storditamente in una via mille volte pericolosa, aveva compreso che
aveva voluto troppo deridersi di essi facendoli brindare alla Tigre della Malesia e a Mompracem.
Lord James, che aveva viva affezione per lui, non poteva aver nutrito alcun sospetto sulla sua
personalità, quantunque la sua comparsa su quelle terre e la ferita avessero dei punti che si legavano
un po' troppo chiaramente colla spedizione dei pirati e ancor più chiaramente colla disfatta subita dai
prahos. Gli altri, i coloni, se avevano avuto qualche sospetto, potevano averlo bandito in gran parte, se
non del tutto, essendo inammissibile che un lupo di mare come era il lord si fosse lasciato ingannare
così grossolanamente; ma il giovane ufficiale di marina che aveva per di più un forte motivo per
svelare il pirata, attinto nella rivali e nella gelosia, poteva andare sino al fondo delle cose e
improvvisamente smascherarlo.
Il pirata si era dato troppo a conoscere e in maniera da suscitare forti sospetti a un sagace. Quei
brindisi, quelle parole la cui ironia, benché finemente nascosta, non poteva essere a tutti sfuggita, lo
avevano gettato in un passo imbrogliato, in un passo che poteva chiamarsi più che pericolosissimo.
- Ho parlato troppo - mormo il pirata abbandonando la fenestra. - Mi sono troppo beffato del
nemico, ma non ho paura, sono sempre la Tigre della Malesia. Se uscirò da questo ginepraio senza
malanni, avrò ben da ridere a Mompracem, quando racconterò ai miei tigrotti che degli Inglesi hanno
brindato alla loro prosperità.
Si gettò vestito sul letto, non senza essersi prima assicurato che il suo fedele kriss, appena tinto nel
sangue della tigre di Labuan, era a portata della sua mano e s'addormentò sognando.
Si svegliò che il sole, facendo capolino fra il fogliame dei grandi alberi, penetrava nella stanza
attraverso i vetri.
Sorseggiò una gran tazza di the portatogli da un indigeno e scese nel parco dove tro il lord che
stava per salire a cavallo onde trovarsi per tempo all'appuntamento dell'ufficiale. Il pirata lo guardò
attentamente in volto come volesse leggergli negli occhi. Il volto del lord era calmo come il solito.
- Siete mattiniero, mio giovane amico! - domandò il lord salutandolo spigliatamente.
- Infatti, milord, il dormire non è fatto per gli uomini di guerra. E che? A cavallo sì presto!
- Ecco, ciò che mi annoia è che per mia disgrazia dovrò lasciarvi solo. Ma non perdete tempo e
cercate se è possibile di scovare qualche bel babirussa nei boschi o di abbattere qualche dozzina di
tucani che non mancano nel fondo del parco. Mia nepote dopo il mezzodì verrà pur essa a cacciare e
sarà orgogliosa di cacciare a fianco di un Malese, che spedisce così freddamente le tigri all'inferno.
- E dal canto mio sarò felice di avere una sì graziosa compagna - disse Sandokan che fremette di gioia
al pensare di trovarsi assieme a lei. - Non perderà il tempo inutilmente con me, e se la fortuna mi
sorriderà, mi terrò obbligato a regalarle una seconda pelle di tigre.
- Non fidatevi troppo, amico mio - disse il lord. - Voi siete troppo impetuoso, vi gettate troppo
perdutamente fra le unghie della tigre che potrebbe dilaniarvi. Non abbiate fretta; i boschi sono ancora
a dar rifugio alle terribili belve, i miei amici hanno sempre dei moschetti pronti e della buona
volontà per venirmi a trovare; fra non molto imprenderemo una seconda caccia contro un'altra tigre.
- E non pensate voi, milord, che il tempo vola? - disse Sandokan.
- E che monta? Siamo ancor giovani, e le tigri sono sempre là ad aspettarci.
- Non è ciò che io dico. Avete dimenticato che un dì o l'altro bisognerà partire?
- E che, avete forse fretta d'abbandonarmi? Il vostro paese è in pace, per cui non richiede il vostro
braccio, i pirati di Mompracem sono annidati e non hanno voglia di abbandonare i loro dannati covi:
casa mia è casa vostra. Rimanete finché non vi dispiace; quando la noia ci prenderà entrambi, allora ci
metteremo in mare, e allora ricomincieremo la vera vita che cerchiamo entrambi.
- Sarebbe ridicolo da parte mia se rifiutassi una tale offerta o se insistessi ancora. Sono vostro ospite,
milord, e sarà dovere da parte mia di contraccambiarvi quando approderete alle mie terre.
- Ora che ci siamo compresi, arrivederci, amico mio. Questa sera, del resto, io sarò di ritorno.
- Buon viaggio, milord - rispose Sandokan.
L'Inglese spro il cavallo e uscì dal parco prendendo un sentiero che conduceva a Vittoria. Il pirata
lo seg collo sguardo fino a che scomparve dietro gli alberi e quando si rivolse una profonda ruga
segnava la sua fronte. Egli porse orecchio al galoppo del cavallo che andava allontanandosi, col cuore
oppresso e in preda a una viva inquietudine.
- È partito - mormorò egli e il pirata per la prima volta in vita sua sospirò per quell'Inglese che lo
aveva curato colla sollecitudine di un padre, che l'aveva ospitato in casa sua senza conoscerlo, che lo
aveva forse amato e più di tutto che lo aveva tratto sulla via di Marianna.
Egli si mise a percorrere il parco con passo agitato, incerto, passandosi spesso la mano sulla fronte
come volesse scacciare un nero pensiero, e finì col sedersi sul medesimo tronco d'albero atterrato
dove aveva veduto seduta la giovanetta, mormorando con un tono di voce che aveva perduta la
beffarda intonazione della Tigre:
- Via!... Se lo avessi a trovare dinanzi a me colle armi in pugno, da fiero nemico, lo risparmierò!...
Il suo sguardo acceso da una cupa fiamma si rasserenò. Le sue mani presero involontariamente la
mandola di Marianna; nel toccare le corde, si sentì come elettrizzare.
- Era qua, nel medesimo luogo ove io mi trovo, bella, divina, quel giorno che io stoltamente meditavo
la fuga!... Mi sembra ancora un sogno di amarla, io, che ignorai sempre che fosse libare nella tazza
dell'amore per libare nella tazza colma di sangue umano!... Chi, chi avrebbe detto, che la terribile
Tigre della Malesia un dì avesse ad amare?
"E l'amo, e l'amo, e l'amo!... Vi ha del fuoco nelle mie vene, del fuoco nel mio cuore, del fuoco nel
mio cervello, del fuoco nelle mie ossa!... Sono tutto fuoco, che la passione sempre più attizza, man
mano che il mio amore per quell'essere divino ingigantisce.
"E l'amo, e l'amo, e l'amo, come giammai uomo alcuno amò, e tanto che per lei mi farei Inglese, che
per lei mi farei schiavo, che per lei abbandonerei la burrascosa vita dell'avventuriere per la quale ho
sacrificato un terzo della mia vita, che per lei sarei capace di maledire questo mare, che considero
come sangue delle mie vene!... Il terribile pirata, la Tigre della Malesia, sarebbe capace di scomparire
colla sua potenza a un sol cenno di lei, tanto è grande l'amore che nutro per la Perla di Labuan.
Egli chi la fronte sulle mani e stette meditando. D'un tratto si rizzò fremente, coi pugni
convulsamente stretti, gli occhi stravolti.
- E se rifiutasse il pirata!... - esclamò egli con voce che sibilava fra i denti. - Oh! non è possibile! Non
è possibile! Se lei avrà orrore del baratro, nel fondo del quale urlano cento vittime, lo colmerò. Se
avrà orrore del fiume di sangue umano che mi circonda, lo berrò tutto!... Dovessi vincere Borneo
intera per darle un regno, dovessi immolare altre cento vittime, dovessi dar fuoco a Labuan e
calpestare il cadavere del lord... sarà mia, mia, mia!
Il pirata si era messo a camminare, col volto trucemente sconvolto, le labbra semi-aperte come
assaporasse di già il sangue delle nuove vittime che si proponeva immolare per far felice e potente
colei che amava. Percorse il parco in tutta la sua lunghezza, tutto concentrato in tenebrose idee e finì
col sedersi ancora sul tronco atterrato presso la mandola.
Non vi rimase che dieci secondi. Una voce a lui ben nota, che sapeva trovare la via del cuore anche
attraverso le tempeste che la circondavano, lo fece balzare in piedi.
Egli indietreggiò fino al tronco di un albero barcollando come ubbriaco, pallido, tremante. In
trent'anni il pirata non aveva provato emozione simile. La giovanetta, abbigliata da cacciatrice, coi
capelli sciolti, lo sguardo animato, le guancie soffuse di un colorito roseo, moveva verso di lui seguita
da un indigeno armato sino ai denti.
- Ah! mio prode amico - diss'ella sorridendo leggiadramente. - La poesia dei fiori sarebbe forse
attraente anche per un guerriero del vostro stampo?
- Milady, la poesia è il fiore dei forti - rispose il pirata rimettendosi prontamente e portando
galantemente alle labbra la mano che la giovanetta gli tendeva. - A quale fortuna questa visita?
La giovanetta trasalì; una vampa le salì in volto e guardò commossa il pirata, dopo di aver gettato
un'occhiata sospettosa all'intorno. Accostò il dito alle labbra come per intimargli il silenzio.
- Venite - disse con un filo di voce.
Afferrò per una mano il pirata, che si lasciò condurre dove ella volle, come un fanciullo.
La giovanetta lo condusse in un piccolo chiosco chinese semi-nascosto fra un boschetto d'aranci e
contornato da graticci di bambù.
Ella si lasciò cadere su di un divano di raso rosso facendo cenno al pirata di sedersele accanto.
L'indigeno restò di guardia al di fuori colla carabina montata.
Era tanto bella così, coi capelli profumati sciolti sulle spalle, pallida per l'emozione, cogli occhi che
brillavano di uno strano fulgore, che il pirata ne fu affascinato.
- Ascoltate - disse la giovanetta, facendo uno sforzo. - Ieri sera vi ho udito... avete lasciato uscire dalle
vostre labbra delle parole... delle strane parole, che mi colpirono sinistramente, dolorosamente...
Amico mio, m'è balenato nel cuore un sospetto... Oh! strappatemi questo terribile sospetto! Ditemi,
mio prode amico: se la giovanetta che nei momenti di dolore vi ha alleviato le vostre pene, se colei
che voi diceste d'amare, vi chiedesse una confessione, la fareste voi?
Il pirata, che mentre la giovanetta parlava erasi avvicinato tanto che il profumato respiro di lei
accarezzava come alito profumato l'abbronzato suo volto, nell'udire le ultime parole, si ritrasse
vivamente indietro. I suoi lineamenti si scomposero trucemente. Parve che vacillasse sotto un
improvviso colpo.
- Milady! - disse d'un tratto dopo alcuni momenti di perplessità, afferrando appassionatamente le mani
di lei. - Milady! Per voi tutto mi sarebbe possibile. Parlate: se vorrete un regno andrò a rovesciare un
re per darvelo, se ho da vendicarvi andrò a mettere a ferro e a fuoco la terra che voi mi designerete e
ne scannerò gli abitanti, se dovrò farvi una rivelazione, per quanto sia essa terribile, io, la Tigre, la
farò!...
Marianna alzò gli occhi su di lui. I loro sguardi egualmente espressivi, quello del pirata scintillante
che mandava bagliori sinistri, e quello della giovanetta lagrimoso e supplichevole s'incontrarono. Si
guardarono per alcuni istanti in silenzio, entrambi in preda ad una viva emozione e ad un'ansietà che
per loro era nuova.
Marianna per la prima ruppe quell'incanto, che poteva pur chiamarsi fascino.
- Non ingannatemi, mio prode amico - diss'ella con voce soffocata. - Qualunque voi siate, l'amore che
mi nacque per voi non si spegnerà. Re o bandito, vi ameegualmente!
Un profondo sospiro che parve un sordo ruggito uscì dalle labbra del pirata. Egli cadde alle ginocchia
della Perla di Labuan.
- Ah! - esclamò, con voce tremula. - Quanto sei generosa, adorata Marianna! È il mio nome adunque,
il mio vero nome che vuoi sapere, creatura celeste? Bene, amor mio, se ti ho ingannato ieri non
t'ingannerò più mai.
- Sì, amico mio, il tuo nome, il tuo nome!
Sandokan si passò a più riprese la nervosa mano sulla fronte madida di sudore. Le vene del collo gli si
gonfiarono prodigiosamente come sotto uno sforzo violento.
- Odimi, Marianna, - diss'egli, con selvaggio tono, - vi ha un uomo che impera su questi mari che egli
chiama suoi, vi ha un uomo che è il flagello di queste coste, un uomo che fa tremare tutti gli abitanti
di queste isole, un uomo che seco trasse centinaia e centinaia di vittime, che tinse più di cento volte il
suo ferro nel sangue, vi ha un uomo in questi mari, il cui nome suona come una campana funebre!...
Marianna, hai tu mai udito parlare della terribile Tigre della Malesia? Guardami in volto, guardami
Marianna. Io sono la Tigre!...
La giovanetta mandò involontariamente un grido d'orrore e si coperse il volto colle mani. Un ruggito
eruppe dalle frementi labbra del pirata. Egli tese le mani supplicanti verso di lei.
- Marianna! - esclamò egli con voce strozzata. - Non respingermi, non maledirmi, non ispaventarti. Fu
la fatalità che mi trascinò a diventare pirata, fu la fatalità che mi pose questo terribile nome di Tigre
della Malesia, come fu la fatalità che mi fece diventare tremendo, si feroce. Gli uomini furono
inesorabili con me, che nulla aveva a loro fatto spingendomi mio malgrado a scegliere questa carriera
piena di sangue e di vittime. Sì, fui assassino, fui senza pietà, fui sanguinario, odiai e odiai come
giammai creatura umana odiò; ma gli uomini del mio cuore ne avevano fatto un vaso ricolmo di fiele
e di vendetta che voleva uno sfogo. Era ricco, era potente, aveva un regno, aveva sudditi, e loro tutto
mi tolsero, e avvelenarono le mie più care felicità. Non aveva io forse diritto di vendicarmi di questi
uomini che furono con me senza pietà? Qual delitto commetto io? Forse quello di comprendere nelle
mie rappresaglie tutti gli uomini indistintamente?
"E non sono pure inesorabili anche gli altri? Non mi danno la caccia su tutti i mari, come se io fossi
una belva feroce, perché io mi vendico contro coloro che mi morsero il cuore? Non cercano tutti i
mezzi possibili per annientare questa mia potenza che mi son fatta col mio coraggio? Marianna!
Marianna! dillo tu, se io non aveva il diritto di vendicarmi di questi uomini. Dillo tu, dillo!...
- Sì! Sì! - escla con voce soffocata la giovanetta, che sentì allora di amarlo più che mai.
- Ah! tu confessi adunque che io non sono un assassino, che io non sono un miserabile. Tu confessi
adunque che la Tigre della Malesia è degna d'amarti? Dimmi colle tue labbra divine che tu mi ami e
io, la terribile Tigre, divento tuo schiavo!
- Sì, Sandokan. Ti amo! Ti amo e più oggi che ieri!
Il pirata l'attirò a e la circondò colle braccia tremanti. Un lampo di sconfinata gioia illuminava il
suo truce volto, e le labbra, quelle labbra da tigre che avevano bevuto sangue umano, si apersero ad
un sorriso di indefinibile felicità.
- Mia, tu sarai mia adunque! - esclamò egli con voce appassionata, ardente, accarezzevole. - Tu sarai
della Tigre della Malesia, del pirata! Parla ora, Marianna, parla che io sono tutto tuo. Vorrai essere
regina? Non avrai che a parlare e io diverrò tanto forte da farmi re per darti una corona e un regno.
Vorrai essere ricca, la più ricca del mondo? Non avrai che da aprire le labbra e io and a
saccheggiare l'India per coprirti di diamanti, di oro e di perle. Vuoi, perc abbi ad amarmi senza
paura, che io mi faccia Inglese? Io, che odio tremendamente i tuoi compatrioti, mi farò Inglese. Vuoi
che io abbandoni la mia sinistra carriera e il pirata scompaia dal mondo? Andrò a incendiare i miei
prahos perc non abbiano più a corseggiare; andrò a inchiodare i miei cannoni perché non abbiano
più a ruggire; andrò a struggere il mio covo sulla mia amata Mompracem e tradirò i miei compagni, il
mio stesso fratello Yanez e il pirata, la Tigre si eclisserà, morrà. Dimmi ciò che vuoi, chiedimi
l'impossibile e io lo farò. Per te, mi sentirei capace di sollevare l'intero mondo e di precipitarlo
attraverso gli spazi del cielo!...
La giovanetta si chinò verso di lui sorridendo, cingendo con le bianche manine la sua testa.
- No, Sandokan - diss'ella commossa. - No, mia valorosa Tigre. Non ti chiedo che di amarti e di
concedermi un lembo di terra lontana da questi luoghi che per entrambi sono irti di pericoli, un lembo
di terra dove possiamo amarci senza paure.
- Sì! Sì! - esclamò il pirata delirante. - Sì, se tu vorrai, io ti porterò lontano lontano da questi luoghi
che ridestano in entrambi dolorosi ricordi, tanto lontano che ogni pericolo per me scompaia, tanto
lontano da non udirne parlare più mai, della mia Mompracem, della tua Labuan. Ti porte su
una di quelle isole solitarie, in uno di quegli eden che tu vai sognando, dove noi potremo andare
assieme e danzare sulle onde del mare fra le brezze del levante, unico mio ricordo, e dove potremo
andar a danzare sotto le foreste poetiche, tua unica rimembranza di Labuan. Parla, dillo, e io ti porterò
lontano da questi luoghi e da questi popoli, dove dimenticati, ma felici, potranno vivere assieme,
come due colombi innamorati, il terribile pirata che si è lasciato dietro torrenti di sangue e la gentile
Perla di Labuan, dove una lagrima saranno i nostri dolori, un sospiro i nostri ricordi, un bacio le
nostre gioie! Oh! dillo Marianna, che tu verrai!...
- Sì, mio valoroso Sandokan, io verrò, io verrò!... Senti ora, senti amico mio. Ti sovrasta un pericolo,
ti sovrasta una scure. È orribile, ma i miei compatrioti hanno sete del tuo sangue e ti tendono un
agguato.
Il pirata indietreggiò bruscamente guardando con due occhi spaventati la giovanetta.
- Marianna!... Marianna!... - gridò egli.
- Sandokan - continuò Marianna con maggior emozione. - Se io ti chiedessi un sacrificio, se io ti
pregassi per compierlo, lo faresti tu?
- Tu mi fai paura, Marianna! Dimmi ciò che vuoi, e per quanto questo sacrificio sia terribile, te lo
giuro, io lo compirò.
- Sandokan, ti si tende un agguato, ti si prepara un tradimento. Io tremo per te, io ho paura. Parti, mio
prode amico, parti... Io lo voglio.
- Partire? Partire? - esclamò Sandokan con disperato accento. - Ma io non ho paura! Sono la Tigre!
- Sandokan, ti prego, parti finché ne hai il tempo. Mi pare di vedere i miei compatrioti correre per le
foreste anelanti del tuo sangue. Ah! Sandokan, bisogna che tu parta, che tu ritorni alla tua isola. Ho
dei sinistri presentimenti.
Per tutta risposta Sandokan si precipi su di lei e la sollevò. La sua faccia poco prima commossa
aveva preso una truce espressione; i suoi occhi balenavano, le sue tempie si gonfiavano e le labbra
lasciavano vedere i denti.
- Quanto sei bella!... Quanto sei bella!.,.. - escla egli con istrana voce. - Marianna! tu mi metti il
fuoco nelle vene.
Le sue avide mani parvero volessero lacerare i tessuti. Poi dette indietro come spaventato.
- No, No! - ripeté egli con voce strozzata. - Rimango! Rimango!... Rimango!...
Egli stette per alcuni istanti a mirarla col volto maggiormente cupo, poi facendo un improvviso
voltafaccia, preso chi sa da quale bizzarria, si mise a fuggire pel parco febbricitante, e scagliossi nella
foresta ruggendo come la tigre di cui portava il nome, varcando ruscelli, alberi atterrati e cespugli
quasi da credere che fosse diventato pazzo.
Il pirata non si arrestò che alla riva del mare ancora colla febbre indosso, senza sapere come si
trovasse là, poi ritornò indietro attraversando ancora la foresta, smarrendosi dieci volte di seguito,
perdendo mezza giornata nell'uscirne e ritornò alla villa al cader del giorno. Egli domandò del lord.
- Non è arrivato - rispose uno degli indigeni, che ebbe paura di quell'uomo che pareva proprio pazzo.
- Bene, lo aspetterò.
Salì nel salotto senza prendere nulla. La giovanetta era là, inginocchiata dinanzi a una immagine colle
mani congiunte. Il pirata vide due lagrime, due perle, solcare a lei le guancie e sen il cuore
sanguinargli.
- Marianna! - esclamò egli. - È forse perché io sono un pirata che tu piangi?...
- Tu qui? - gridò la giovanetta. - Sandokan, parti... ho paura... ritorna a Mompracem, ritorna!
- Paura? La Tigre della Malesia è qui: non piangere Marianna, non mi avranno.
In quell'istante si udì il galoppo di un cavallo, che si avanzava nel parco. Sandokan, senza sapere il
perché, trasalì e portò la mano al kriss. La giovanetta si alzò con ispavento.
- Eccoli! Sono essi! Fuggi Sandokan... fuggi!
- Io! Io!...
La voce del lord risuonò sulle scale. Sandokan fiero, ma calmo, gli mosse incontro.
Lord James entrò, ma non era più lo stesso uomo partito alla mattina. Le rughe della sua fronte erano
più profonde che mai, lo sguardo torvo, e vestiva la divisa di capitano di marina. Egli respinse con un
gesto sdegnoso la mano che gli porgeva il pirata.
Sandokan impallidì e sentì il sangue affluirgli al viso. La giovanetta gettò un grido di spavento.
- Se io fossi stato un uomo come voi - gli disse il lord con accento freddo e sprezzante, - anziché
domandare ospitalità a un nemico mi sarei lasciato morire nel fondo di una foresta. Ritirate quella
mano lorda del sangue di cento vittime e gettate quel pugnale che vi disonora!
- Signore! - escla Sandokan, che capiva ormai di essere stato scoperto e che si apparecchiava a
vendere caramente la vita. - Non toccatemi; la Tigre della Malesia potrebbe mordere la mano che l'ha
guarita.
- Non un accento di più in mia presenza. Andate! - e il lord gli additò la porta.
Il pirata gettò uno sguardo sulla giovanetta inginocchiata dinanzi all'immagine, in preda allo spavento,
semi-svenuta. Fe' atto di precipitarvisi sopra, ma si frenò, ammutolì, e a lenti passi col portamento di
un rajah, colla mano dritta sull'impugnatura del kriss e la testa alta, si diresse verso la porta, discese le
scale, e soffocando i battiti del cuore giunse al parco. Allora gettò un vero ruggito e impugnò il kriss
la cui lama scintillò ai raggi della luna.
A duecento passi lontano, dinanzi alle palizzate del parco si estendeva una linea di soldati pronti a
piombare su di lui al primo squillo di tromba. Egli si arrestò sull'ultimo gradino.
CAPITOLO XI
La caccia al pirata
Se fosse stato in altri tempi, a quei tempi dove libero d'ogni legame si chiamava la Tigre della
Malesia, il pirata, quantunque male armato e di fronte ad un nemico cento volte p numeroso, non
avrebbe esitato un sol istante a gettarsi sulle punte delle baionette e aprirsi una strada in mezzo alle
palle.
Ma ora aveva una giovanetta che lo aspettava ansante, ma ora la sua vita era impegnata, ora amava,
ora non era p libero e non si poteva sforzare il passo irto di pericoli colla sicurezza di uscirne
vittorioso. Vinto e prigioniero sarebbe stato per lui la morte ignominiosa sulla forca degli assassini e
forse la morte di lei.
Ma non si smarrì. Per quanto i pericoli fossero giganteschi egli era l'uomo che non aveva paura.
Tradito slealmente dal lord, che dopo averlo cacciato dalla sua casa lo gettava fra le braccia dei
sanguinari Britanni che anelavano di vedere il suo sangue, non gli restava che di battere in ritirata e
giuocare d'astuzia. La giovanetta lo avrebbe aiutato.
Non poteva ancora essere stato scorto dai soldati appostati lungo le palizzate del parco dietro gli
alberi e i cespugli. Egli risalì le scale col kriss in mano ed entrò nel salotto dove il lord, poco prima,
gli aveva additato la porta.
L'Inglese era ancora dove l'aveva lasciato, colle braccia incrociate, e un sorriso freddo, sdegnoso
sulle labbra. Solo la giovanetta era scomparsa.
- Milord! - disse Sandokan con voce rauca. - Se io vi avessi ospitato, se vi avessi onorato della mia
amicizia, e poi conosciuto per un figlio delle giacche rosse, vi avrei additato la porta, ma non tradito.
Laggiù, imboscati sulla medesima via dove io passerò, vi sono degli uomini. Non attendono che un
segnale per gettarsi sulla Tigre disarmata.
"Vergogna; cento codardi guidati da un uomo sleale contro un solo pirata!
- Signore! - esclamò il lord rialzando fieramente il capo. - Non disonorate più oltre la mia casa colla
vostra presenza. Voi che mi chiamate sleale, voi, che chiamate codardi degli uomini che hanno sfidato
il fuoco in venti battaglie, siete un miserabile! Siete un assassino, perché assassinate vigliaccamente la
gente inoffensiva, siete un ladro perché derubate onesti trafficanti, siete un codardo perché
indietreggiate dinanzi a una baionetta.
La Tigre della Malesia a quei sanguinari insulti si scaglsul lord, fremente d'ira, cogli occhi iniettati
di sangue, col kriss alzato. Egli si mise a sogghignare atrocemente.
- Voi avete mentito! - gli urlò agli orecchi. - La Tigre mai sacchegg pel solo capriccio di
saccheggiare, mai assassinò gente inoffensiva, mai bevette il sangue di un uomo che non fu suo
nemico. Mille voci si alzeranno in ogni tempo a difendermi: le voci delle donne che io sbarcai libere
sulle coste senza aver torto capello, le voci di quei marinai che io lasciai sfuggirmi di mano perché
non tanto forti da pugnare con me, le voci di coloro che mi videro in cento pugne primo all'attacco e
ultimo nella ritirata. Ritirate quegli insulti, ritirate quelle parole, milord. Sarei capace di dimenticarmi
di ciò che vi dissi un giorno quando mi curaste. Sarei capace di mordere la mano che mi guarì!
- Tacete! Uscite da questa casa, uscite vi dico - gridò il lord, che perdeva la flemma britannica.
- Per gettarmi sulle punte delle baionette, non è vero, milord? - disse Sandokan beffardamente.
- Ma che pretendete adunque da me?
- Che facciate indietreggiare quei soldati e che si lasci libero il passo alla Tigre della Malesia. Non
rifiutatelo: sarei capace di barricarmi in questa villa che voi dite che io disonoro, e darle fuoco e
bruciarla con me anzic arrendermi. Guardatevi, milord, guardatevi. La Tigre ha sete di sangue
umano.
- A noi due adunque, Tigre della Malesia - urlò il lord, - a noi due; uno o l'altro dovrà morire.
Il lord aveva tratto la sciabola. Il pirata impugnò il kriss. I due nemici, terribili nemici, colle armi in
pugno si guardarono fieramente provocandosi collo sguardo.
- Lo sapeva io, che lo sleale gentiluomo, dopo avermi tradito, mi avrebbe assassinato - sogghig
Sandokan facendo un salto indietro. - Orsù, milord, i momenti sono preziosi. Fate ritirare i vostri
uomini.
Per tutta risposta l'Inglese fece una brusca mossa e si portò dinanzi alla porta sbarrandola colla
sciabola, poi strappando da un chiodo un corno da caccia, mandò una nota prolungata.
- Ah! traditore! - esclamò Sandokan, che senil sangue ribollirgli per l'ira.
- È tempo, sciagurato, che la Tigre cada nelle nostre mani. Fra due minuti i miei uomini saranno qui,
fra cinque daranno l'assalto, fra ventiquattr'ore il pirata sarà morto.
Sandokan mandò un sordo ruggito. Con un salto felino s'impadronì di una pesante seggiola, la solle
sopra il suo capo e si slanciò sulla tavola. Faceva paura.
In quell'istante si udì al di fuori lo squillo di una tromba seguita subito da un grido straziante.
- Sandokan! Sandokan! - gridava una voce, che il pirata riconobbe in quella di Marianna.
- Sangue!... Sangue!... - urlò egli, e scaraventò la seggiola contro il lord precipitandovisi dietro.
Arrivò un secondo dopo, nel momento che il lord stordito dall'urto stava per abbandonare la posizione
ritirandosi nel corridoio. Egli vi cozzò col capo e con tal violenza da rovesciarlo di colpo al suolo. La
Tigre della Malesia alzò il kriss su di lui, sogghignando.
- Uccidimi, assassino! - gli disse freddamente il lord.
- Rammentatevi ciò che vi dissi alcuni giorni fa - disse il pirata, abbassando l'arma.
Gli strap la sciabola, l'impugnò, cacciossi il kriss fra le labbra, e, senza aggiungere parola,
slanciossi nel corridoio sbarrando la porta dietro di sé.
- Marianna!... Marianna!... - esclamò egli movendo verso la stanza della giovanetta.
- Sandokan! Sandokan! - gridò ella precipitandosi fra le sue braccia.
Il pirata gettò un urlo da tigre ferita e la strinse furiosamente al petto.
- Fuggi, Sandokan!... Ho veduto i soldati!...
- Li ho veduti, amor mio. Ma non avranno viva, no, la Tigre della Malesia.
Egli la trasse verso la fenestra, e la contemplò un istante al chiaro di luna, delirante, fuori di sé, ebbro
d'amore.
- Sandokan, abbi pietà di me, fuggi! Ho veduto le punte delle baionette! - escla ella.
- Marianna!... Marianna, sarai mia non è vero? Sempre mia, del pirata, della Tigre?...
- Tua, sempre tua, Sandokan - mormorò la fanciulla, che si sentiva venir meno.
Il pirata accostò le sue labbra a quelle di lei, poi rizzandosi con un lampo d'orgoglio:
- Ora a me, cani d'Inglesi! Io mi batto per lei!...
Bac un'ultima volta la giovanetta caduta in ginocchio, scavalcò il davanzale e mentre gl'Inglesi si
avanzavano battendo la carica, precipitossi dalla fenestra e si cacciò in mezzo ai cespugli senza essere
stato scorto.
Gl'Inglesi in grosso numero, che il pirata stimò più di cinquanta, dopo il segnale dato dal lord col
corno da caccia, avevano subito marciato sulla villa formando un vasto cerchio che andava man mano
restringendosi, fino a render impossibile la fuga dell'assediato che stretto fra un cerchio di baionette e
avviluppato in una rete di fuoco avrebbe dovuto infallibilmente arrendersi. Un comandante, che
Sandokan riconobbe subito per colui che il lord aveva chiamato col nome di William, li guidava
facendo a loro frugare i cespugli quando diventavano troppo fitti, animato senza dubbio più dalla
gelosia e dalla vendetta che dal dovere, prendendo tutte le precauzioni possibili, perché l'aborrito
rivale non potesse sfuggire o gettarsi improvvisamente sui suoi soldati.
Il pirata, ancor col cuor oppresso e dilaniato dalla passione, ma ben deciso ad uscir vincitore da quella
lotta ineguale preparatagli slealmente da lord James, o almen morire eroicamente dopo di aver
venduto ben raramente la vita nascosto fra fitti cespugli, a duecento metri dalle palizzate del parco,
rimaneva immobile senza fiatare, rattenendo l'ira che gli rumoreggiava nel petto e comprimendo i
battiti del cuore.
Aveva dinanzi a un nemico cinquanta volte più numeroso, un nemico che non gli avrebbe dato
quartiere fuorché per vederlo danzare all'estremi di qualche albero con una corda al collo, che
spiava i minimi nascondigli, movendo innanzi coi fucili spianati diretti verso la casa dove
supponevano che ancor si tenesse nascosto.
Sapeva che per vincere, per isfuggire alla mortal stretta, alla cerchia d'armi e d'armati, bisognava
giuocare d'astuzia, spiare l'istante per aprirsi il passo col ferro in pugno, supplire coll'audacia la forza
che mancava dinanzi a tanti leoni.
Una volta sfuggito alle loro palle, avrebbe saputo ben lui far ismarrire le sue traccie laggiù sotto le
fitte foreste a dispetto di tutti gl'Inglesi di Labuan, a guadagnare le coste per quanto ben guardate
fossero dagli incrociatori e mettersi in mare navigando verso Mompracem, sia su di una canoa scavata
colle proprie armi o sopra di un prahos. Una volta raggiunti i suoi lidi, la sua isola, il suo covo,
avrebbe saputo ben lui allora ritornare per rivedere Marianna, la Perla di Labuan.
- Avanti cani, avanti figli di una razza maledetta! - mormo egli afferrando la sciabola. - La Tigre
della Malesia non trema dinanzi a cinquanta leoni armati e ruggenti; la Tigre non si lascia vincere due
volte né si lascierà prendere viva. Meglio cader pugnando da eroe coll'armi in pugno su di un cumulo
di cadaveri, sotto gli occhi di lei, col nome di lei sulle labbra, anziché cadere nelle loro mani.
"Venite, venite a disputarmi la vita se avete del coraggio, venite a disputarmi la libertà, vieni tu,
William, a disputarmi la giovanetta dagli occhi azzurri: troverete la Tigre! Mille uomini, in questo
istante che io porto con me la promessa di lei, in questo istante che il suo sguardo lagrimoso mi segue,
in questo istante che anelo la vendetta, non saprebbero arrestarmi. Mille cannoni non sarebbero capaci
di sbarrarmi la via, mille navi non sarebbero capaci d'arrestare la mia canoa: mi sento tanto forte da
pugnare con l'Inghilterra tutta!
Il pirata così parlando digrignava i denti e sentiva mille lingue di fuoco guizzargli nel petto, e mirava
con occhio truce gl'Inglesi che si avanzavano passo a passo, fremendo tutto di gioia al pensiero di
tuffar le armi nel loro sangue e sotto gli occhi di lei, pugnare col nemico così numeroso. Quando li
vide a venti passi dai cespugli, si rizzò sulle ginocchia raccogliendosi su stesso come la tigre che
sta per avventarsi sulla preda.
- Avanti! Avanti! - mormorò egli con indefinibile espressione di odio e di ferocia.
Il cerchio andava restringendosi sempre più man mano che si avvicinava all'abitazione del lord dalla
quale non usciva il più piccolo rumore, tanto da credere che gli abitanti si fossero dati alla fuga o
fossero caduti sotto il ferro del pirata. Quel silenzio pareva preoccupare vivamente i soldati, che
tendevano l'orecchio con un misto di ansietà e di timore, esprimendo le loro opinioni e i loro terrori
con voce sommessa.
- Che il nostro uomo abbia fatto un massacro di tutti gli abitanti? - diceva un soldato.
- Si sarebbe udita qualche moschettata, qualche grido, qualche altro segnale - diceva un altro.
- Eh! - saltò su a dire un Irlandese riconoscibile per la sua pronuncia. - I pirati sono come i gatti,
saltano, graffiano e fuggono senza far rumore. Non sarei sorpreso se egli avesse preso di già il volo.
Gl'Inglesi si avvicinarono ancora di alcuni passi gettando uno sguardo sospettoso sulla casa. Il pirata
si raccolse, allontanò senza far rumore i rami, e misurò la distanza stringendo come una morsa la
sciabola e facendo passare il kriss dalle labbra alla mano sinistra. Egli stava per avventarsi su di essi e
aprirsi il passo attraverso le punte delle baionette, quando il corno da caccia di lord James risuonò.
- Ancora un segnale! - esclamò il pirata rattenendo lo slancio.
Il cerchio dei soldati si arrestò quasi subito. Il tamburo batté la carica rumorosamente.
- Ah! Il pirata è imboscato attorno la casa, adunque? - disse un soldato. - Non li ha ammazzati.
- La Tigre non ci sfuggirà. Attenti, giovanotti, passo rapido ma sicuro, orecchio e occhio in guardia e
pronti a cacciare mezzo piede di lama nel carcame di quel miserabile - comandò un caporale.
Il pirata guardò quell'uomo attraverso il fogliame e sorrise sotto, dinanzi al nemico che lo avrebbe
crivellato di ferite se lo avesse potuto scorgere, e accarezzando la lama della sua sciabola strappata
dalle mani di una giacca rossa fissò il sanguinoso sguardo in quello dell'insultatore.
La carica si batté accompagnata da squilli di tromba. I cinquanta uomini si precipitarono innanzi
rapidamente attraverso i cespugli movendo verso la villa. Il pirata misu la distanza alzando la
sciabola. Non li aspettò. Si rizzò tra i rami come una spaventevole apparizione, fece un salto di dieci
passi da invidiare una tigre, piombò come un lampo sul nemico che si avanzava coi fucili montati,
spaccò in due la testa del caporale facendone schizzar le cervella e scomparve sotto gli alberi ancor
prima che gli Inglesi potessero riaversi dall'inaspettato attacco. Aveva le ali ai piedi; il pericolo
raddoppiava la velocità.
Se non riusciva a porsi in salvo nei boschi dopo di aver varcate le palizzate prima che il nemico
pensasse ad organizzare in furia un inseguimento, quella fuga poteva diventargli fatale. Si slanciò sul
recinto con un solo salto aggrappandosi ai rami degli alberi e si getsulle rive dello stagno, lo passò
a guado in meno di quello che lo si dica e si diede alla fuga nel mezzo della foresta, protetto dalle
tenebre senza pensare che a frapporre tra sé ed i suoi nemici la maggior distanza possibile.
Nel momento che egli eseguiva quel secondo salto non meno ammirabile del primo sulla palizzata, gli
Inglesi si erano lanciati come un sol uomo sulle sue traccie.
Egli li aveva uditi, aveva raccolte le loro grida di furore e le detonazioni delle loro armi, le cui palle
recidevano i rami degli alberi e si schiacciavano contro i tronchi, ma ormai se ne rideva del loro
numero e della superiorità dei mezzi.
Libero nella foresta dopo essere quasi miracolosamente fuggito a un pericolo sì grande nel momento
in cui credevano di averlo nelle mani, non li temeva più, là, sotto gli alberi dove aveva agio di
spiegare le astuzie della tigre, di far perdere le sue traccie ai p fini segugi, di opporre la rapidità al
numero, il valore alla forza preponderante di quei che anelavano di vendetta, che volevano il suo
sangue. Che importava a lui che tutta Labuan si mettesse in caccia quando era libero, armato, quando
a ogni passo avea un rifugio, un nascondiglio impenetrabile, un mare che egli considerava come un
amico, una giovanetta che gli soffiava all'orecchio la parola: t'amo? Non sarebbero stati capaci, no, di
afferrare la Tigre della Malesia viva in mezzo al suo elemento, , dove si preparava a lottare con
quella ferocia che spaventava i più coraggiosi, dove si correva pericolo di vederla sorgere sotto a ogni
cespuglio, sotto ogni ramo o piombare dall'alto degli alberi e dove toccava colpire.
- Mi si venga a trovare sotto le foreste, mi scovino questi miserabili cacciatori che fremono dinanzi
alla tigre di Labuan; essi cadranno dinanzi alla Tigre della Malesia, fuggiranno come una banda di
fanciulli spaventati dinanzi al ruggito di una belva. Solchino i mari coi loro fumanti incrociatori,
battano i cespugli coi loro cani e coi loro cavalli, chiamino alle armi la popolazione intera, ma io
passerò. Il mio prahos passerà là dove cento altri sono caduti, la mia sciabola si aprirà un varco là fra
mille baionette, dove i più coraggiosi sono caduti. Mi ha detto di ritornare a Mompracem per
rivedermi vincitore sotto le mura del suo parco, e lo sarò. Sì, Marianna, sì, fanciulla divina, degna
della Tigre della Malesia, ritornerò per istrapparti da questi luoghi donde hanno scacciato colui che tu
dicesti d'amare, per vendicarne l'affronto, e per trasportarti nella mia isola, nella mia Mompracem, fra
i miei, e di là ove tu vorrai!
Le grida degli Inglesi man mano che si allontanava nella foresta correndo come un cavallo, andavano
affievolendosi sempre pe le detonazioni diventavano prare. Il pirata si arrestò un istante ai piedi
di un gigantesco albero della canfora, per riprendere il respiro, per scegliere la via da prendersi in
mezzo a quelle centinaia e centinaia di piante, le une più grandi delle altre, dove si vedeva come
smarrito ad onta della sua solita perspicacia e per pensare sul da farsi in una posizione tanto difficile,
su di un'isola nemica, con cinquanta uomini alle calcagna che gli davano la caccia.
La notte era chiara, grazie alla luna che brillava in un cielo senza nubi, spandendo i suoi raggi
azzurrini di una infinita dolcezza, di una trasparenza vaporosa, che brillavano sulle fitte verzure,
punteggiando in mille differenti guise il terreno coperto di rami e di foglie, scintillanti per la rugiada.
Il pirata avrebbe voluto che la notte fosse p oscura della culatta di un cannone da trentadue per
correre meno pericolo di essere scorto dai suoi numerosi nemici di già lanciati sulle sue tracce per
imboscarsi e sorprendere con più facilità qualche cacciatore troppo audace e cacciarsi dietro di lui nel
dedalo della foresta. Aveva da guardarsi dalle palle che potevano da un istante all'altro piovere su di
lui e fargli battere l'aria colle mani.
- Il nemico ha cominciato l'inseguimento - disse il pirata dopo di aver rattenuto il respiro e teso
l'orecchio per cercar di raccogliere i minimi rumori. - Non bisogna commettere pazzie
imprudenze, non bisogna aver fretta ma aspettare che abbia smarrito le tracce o perduta ogni speranza
di raggiungermi. Essi pensano che io corra verso il mare per cercar qualche prahos: bene, io volgerò
le spalle, fuggirò nella foresta e guai a loro se avranno l'ardire di venirmi a scovare.
Raccolse tutta la sua energia e tutte le forze centuplicate dall'amore e dall'odio, dalla libertà e dalla
sete di vendetta, e, colla sciabola in pugno, dopo di essersi orizzontato colle stelle, volse le spalle alla
costa e s'inter nella foresta dirigendosi a oriente, con passo silenzioso e rapido. Non conosceva i
luoghi che aveva percorso una sola volta durante la caccia della tigre, ma tirava innanzi colla
sicurezza di un indigeno, seguendo un sentieruzzo quasi invisibile che credeva conducesse nel più
folto dei boschi, aprendosi spesso il passo fra cespugli spinosi a colpi di sciabola, scalando tronchi
d'albero abbattuti chi sa da quanti secoli per decrepitezza e dal fulmine, e ora ricettacolo di un mondo
d'insetti schifosi, arrampicandosi sui rami quando alberi troppo riuniti formavano una barriera che non
poteva venir superata che mediante una scalata, che il pirata tosto eseguiva coll'agilità di una scimia
verde, senza far gemere i rami e senza smovere le foglie, rumori che avrebbero potuto destare
l'attenzione di qualche cercator di piste.
Continuò co a camminare, o meglio a strisciare, per più di un'ora, arrestandosi quando un uccello
spaventato dalla sua presenza levavasi mandando strida di terrore o quando un animale selvatico
prendeva la fuga urlando, e giunse sulle rive di un torrentello largo al più sei o sette piedi e le cui
sponde erano coperte da fitte piante.
Egli si fermò un istante, guardando attentamente a dritta, a manca, dinanzi e di dietro, e assicurato del
silenzio profondo che regnava a lui d'intorno, entrò nel letto fangoso.
- Non conoscono ancora tutte le astuzie della Tigre - mormo egli sorridendo a fior di labbra. -
Questa notte forse non ardiranno darmi la caccia in mezzo a questi alberi ma domani non si
accontenteranno di ronzar sul limite della foresta. Hanno dei cani, degli animali intelligenti, ai quali il
lord darà da fiutare qualcuno dei miei cenci, e si metteranno in cerca di me assieme a questi maledetti.
"La Tigre della Malesia sa inseguita come la tigre di Labuan e da mastini e da cacciatori, cercata
d'albero in albero, di cespuglio in cespuglio, a me adunque l'astuzia per far smarrire ogni mia traccia.
Il pirata rimontò il torrentello per un centinaio di passi, coll'acqua fino alle ginocchia, camminando su
di un letto limaccioso dove penava a tenersi in piedi fra foglie e rami imputriditi e vermi d'acqua che
schiacciava a centinaia, aprendo spesso colle dovute precauzioni le fronde degli alberi curvi,
arrestandosi e abbassandosi. Bisognava far perdere le traccie non solo agli uomini ma anche ai cani e
vi si adoperava a tutta lena. Non si arrestò che di fronte a un ramo colossale che si tendeva
orizzontalmente al di sopra delle acque mormoranti.
- Ecco con che far impazzire i più arrabbiati cercatori di piste - mormo egli e si riz a forza di
braccia, strisciandovi sopra fino a guadagnare il tronco dell'albero, e cominciando la sua marcia aerea.
Per lui arrampicarsi di ramo in ramo come una scimia, passare di albero in albero senza far rumore,
era un giuoco che aveva fatto cento volte nelle foreste di Borneo e di Mompracem. Sarebbe stato
capace di percorrere cento miglia in quella maniera, passando sopra le teste dei nemici, senza destare
la loro attenzione.
Aveva di già replicata sei volte l'audace manovra, quando un rumore, che sarebbe facilmente sfuggito
a un orecchio che non fosse stato il suo, giunse fino a lui. Arresla pericolosa ascensione e ascoltò
rattenendo il respiro, colla sciabola fra i denti e l'occhio in guardia, fisso al di sotto del folto fogliame.
Due uomini, due ombre silenziose si avanzavano cinquanta passi lontano, curvi fino a terra,
osservando minutamente le foglie calpestate e i rami spezzati. Non tardò a conoscerli per due soldati.
- Ecco il nemico - mormorò egli. - Mi ha preceduto o mi sono io smarrito?
I due cercatori di piste, dopo di aver percorso alcuni passi, si arrestarono guardandosi attorno con un
movimento pauroso che non sfuggì alla Tigre. Uno di essi guardò nell'aria scrutando fissamente il
fogliame.
- Sai, John, che io ho una paura maledetta nel trovarmi sotto queste foreste? - disse egli.
- Lo so, e io non vado esente dallo stesso sentimento - rispose il compagno. - L'uomo che noi
cerchiamo non è un uomo, è una tigre, che si nasconde anche sotto una foglia e che potrebbe capitarci
addosso come il fulmine e mandarci al diavolo entrambi. Hai tu veduto come ha spacciato quel
povero caporale?
- Perdio, se l'ho veduto! Ah! È ben un terribile uomo quello che noi andiamo cercando. Si correva
all'assalto credendolo barricato nella casa, e invece era nascosto fra i cespugli come una tigre. L'ho
veduto un sol istante, ma t'assicuro che mi è bastato, e che non vorrei vederlo mai più. Ha spaccato
nettamente il cranio, al povero uomo ed è scomparso lasciandoci con un palmo di naso.
- Ma lord Guillonk, che diavolo faceva che non fu capace di ammazzarlo nella sua stanza?
- Ammazzarlo? Credi tu che si possa ammazzare così facilmente il terribile bandito che non ha paura
di cinquanta dei più coraggiosi soldati d'Inghilterra incanutiti nelle più sanguinose battaglie? A quanto
mi si raccontò, egli si è gettato sul valoroso capitano come una tigre, e dopo di averlo atterrato,
quantunque non possedesse che un solo kriss, l'ha disarmato prendendo poi la fuga, senza lasciar
traccie di sé preferendo saltar giù da una fenestra anziché incomodarsi a scendere le scale.
- Credi tu, Harry, che si giungerà a prenderlo? Io ne ho i miei dubbi.
- E io ho i miei, John. Quell'uomo è il diavolo in persona, che sarà capace di elevare una barriera
insuperabile fra sé e i suoi inseguitori, barriera che durefino a che troverà mezzo di imbarcarsi e di
veleggiare verso la sua dannata Mompracem a dispetto degli incrociatori. Che pazza idea che ha avuto
di venir ad approdare a Labuan.
- Ma a onta di tante difficoltà, non mancano coloro che sperano di pigliarlo. Uno di questi è il
baronetto William, quello che fa gli occhi dolci a lady Marianna. Egli ha giurato che vivo o morto
prenderà la Tigre; credo che sia il prezzo del matrimonio stabilito con lord James.
- Si fa presto a dirlo, che vivo o morto si prenderà, il bello si è a scovarlo prima di tutto, e chi sa dove
diavolo questo pirata si sarà nascosto. Io scommetto che mentre noi lo cerchiamo da questa parte, e gli
altri frugano la costa occidentale, egli vola invece verso le coste settentrionali.
- Hai ragione, e il nostro isolamento mi preoccupa. Non abbiamo che il sergente Willis che ci segue.
Non so chi ci potrà aiutare se ci troviamo di fronte al terribile pirata. Pieghiamo all'ovest Harry.
- E il sergente?
- Al diavolo il sergente! Quando non ci vedrà più, piglierà pur egli la via all'ovest, ben sapendo che il
pirata si è diretto al sud, dove si dice che vi sia un prahos ancorato.
- Andiamo allora. Willis si trarrà d'impiccio da sé.
I due soldati, dato uno sguardo all'intorno per iscarico di coscienza, se la batterono rapidamente
scomparendo sotto gli alberi.
Il pirata, che non aveva perduto sillaba dei loro discorsi, quando non udì più i loro passi, si lasciò
scivolare fino a terra senza rumore.
- Bene - diss'egli. - Si ha paura della Tigre, ma la si insegue. Tutti mi danno la caccia piegando verso
le coste occidentali e meridionali, dove si dice essere un prahos, benissimo, saprò regolarmi per
volgere loro le spalle. Stiamo attenti però; ho un sergente alle calcagna, Willis. Lo incontrerò.
Egli riprese la silenziosa marcia, dirigendosi all'est, dove sapeva non esservi cacciatori.
Entrò una seconda volta nel torrente, e guadagnò la riva opposta sbarrata da una fitta cortina di
cespugli, si aprì il passo e rientrò nella foresta sempre più oscura. Stava per guadagnare un albero sul
quale contava di passare il restante della notte per ripigliare all'indomani la fuga quando una voce
imperiosa, minacciosa gli gridò agli orecchi:
- Se fate un passo, se fate un gesto, siete morto!...
CAPITOLO XII
Giro Batoë
Un uomo si era rizzato bruscamente dietro un cespuglio a cinque soli passi di distanza, col fucile teso
orizzontalmente. Il pirata che si era arrestato, senza provare il minimo spavento alla terribile
intimazione, senza abbandonare la sciabola che brandiva, pronto a servirsene, aveva subito
riconosciuto in quell'ombra, che pareva decisa a eseguire alla lettera la minaccia, un Inglese che non
dubitò più fosse il sergente Willis poco prima nominato dai cercatori di piste.
Il singolar uomo, che si credeva, quantunque armato di una sola sciabola e di un solo kriss, tanto forte
da far scomparire con un soffio quella giacca rossa, e che trovava sommamente ridicolo il misurarsi
con uno solo, dinanzi alla minaccia che poteva costargli la vita, si mise a ridere, ma con quel riso che
faceva fremere i più coraggiosi e che arrestò lo slancio del sergente che forse si sentiva tentato di
lasciare partire la fucilata.
- Sai tu chi io mi sono? - domandò Sandokan accentando ogni parola e fissandolo con due occhi che
brillavano come due carboni accesi, nella semi-oscurità.
- Eh! - fe' il sergente che si sentì suo malgrado correre un brivido per le ossa. - Non occorre essere né
lord Guillonk, né il baronetto William, per riconoscere il capo dei pirati di Mompracem.
- Credi tu di non ingannarti? - domandò il pirata la cui voce sibilava come il sibilo di un serpente.
- Oh! Scommetterei una settimana della mia paga contro un penny, che voi siete Sandokan.
- No, io sono la Tigre della Malesia.
I due uomini si misurarono collo sguardo e in silenzio, l'uno fremente d'ira, beffardo, minaccioso,
quantunque la sua vita pendesse da una palla di fucile, l'altro fermo come una rupe ma spaventato e
sorpreso di trovarsi, in piena foresta, di fronte a quell'uomo il cui valore e la cui ferocia era popolare.
- Orsù - disse Sandokan dando in uno scroscio di risa che l'eco della foresta ripeté. - Orsù, sergente
Willis, se hai del coraggio per azzuffarti colla Tigre, a noi due.
- Come sapete il mio nome? - domandò l'Inglese che ebbe un superstizioso terrore.
- Guarda, cane d'Inglese. Pochi minuti fa, due uomini camminavano a cento passi da me seguendo la
mia pesta o credendola di seguire. Sono piombato su di essi come l'aquila piomba sulla sua preda, li
ho fatti parlare. Io sapeva che tu mi eri vicino, che mi spiavi dietro il cespuglio.
- E che avete fatto dei miei uomini?
- Quando la Tigre ha sete beve sempre sangue - rispose Sandokan con voce lugubre, cercando
spaventare il soldato per gettarsi improvvisamente su di lui. - I loro corpi sono distesi dietro quelle
arecche coi fianchi aperti.
- Ah! brigante! - esclamò il soldato che indietreggiò prendendolo di mira.
- Sangue, Willis! Sangue! - urlò il pirata alzando la sciabola.
Il colpo non parti per l'umidità della polvere. Ancor prima che il sergente potesse impugnare la daga,
Sandokan l'atterrò serrandogli la gola con due mani di ferro.
- Grazia! grazia! - balbettò il poveretto che si sentiva strozzare. Sandokan aprì le mani e si alzò
raccogliendo il fucile di lui.
Ana sedersi a tre passi di distanza, fissando sul soldato due occhi che facevano paura.
- Vedi - gli disse con accento marcato ma cupo. - La Tigre della Malesia non si p uccidere, è
invulnerabile. Come potevi tu ammettere che io, spirito infernale, mi lasciassi ammazzare? Io, che
sfidai il fuoco di mille cannoni, io che affrontai la morte in cento abbordaggi, io che sono protetto da
Belzebù?
- Ah! - esclamò il soldato battendo i denti dalla paura. - Voi siete uno spirito infernale?
- Te l'assicuro. Fui io che arrestai la tua palla nel momento che stava per partire.
- Voi mi fate paura.
- Lo credo.
L'Inglese si passò le mani attorno al collo. - È vero che non mi avete strangolato?
- Vero, cane d'un sergente - rispose Sandokan. - Senti ora, tu sei coraggioso, vuoi essere pirata?
- Oh!... Mai! Mai!
- Hai ragione. È tuo dovere il restar fedele alla tua bandiera. Parliamo d'altre cose allora, ma bada di
non ingannar la Tigre: potrebbe capitarti sventura. Dove credono che io sia fuggito?
- Nei boschi - rispose il soldato.
- È poco. Parla ancora, ma spicciati, che i momenti per me sono preziosi.
- E se io non volessi parlare?
- In tal caso ti farei saltare le cervella. Sarebbe una vittima di più, che aggiungerei alle altre.
- Bene, si crede che siate fuggito verso la costa occidentale nascondendovi nelle paludi o nelle foreste
o in qualche capanna d'indigeni, aspettando l'occasione di raggiungere le coste del sud ove si crede
che abbiate un prahos. Non crediate però di sfuggire alle ricerche dei miei compatrioti: sono tutti in
caccia dietro le vostre orme, guidati da un baronetto che pare abbia qualche conto da saldare. Non ne
so di più, potete uccidermi se lo credete, ho parlato anche troppo.
- Quando io nel parco ho spacciato quel caporale, che ha fatto il baronetto William?
- Ah! Voi, lo conoscete anche? Si è morso le dita, ha bestemmiato, ha urlato inveendo contro lord
Guillonk che vi aveva lasciato fuggire, poi si è precipitato nella villa. Si dice che abbia parlato a lungo
col capitano, che vi sia stata qualche promessa fra loro, cui non sarebbe estranea lady Marianna; il
fatto è che si mise in caccia con tutti i suoi uomini senza perdere un sol istante.
- Ah! - esclamò Sandokan sogghignando. - Ecco ciò che io voleva sapere. Io e lui!...
Stette un momento come immerso in un doloroso pensiero, poi cangiando tono:
- Spogliati della tua divisa; ti faccio dono della vita.
Il soldato ubbidì. Sandokan bene o male la indossò, senza dimenticare né la cintola, la cartucciera, e il
berretto che si calcò bene in testa. Nel trovarsi così vestito, da giacca rossa, si mise a ridere.
- Non havvi contingente indiano o malese a Labuan? - domandò al soldato che lo guardava attonito.
- Che volete fare del mio vestito? Non abusate del mio grado e del mio nome.
- Se vuoi che ci lasciamo da buoni amici, non aprir bocca, senza che io l'ordini. Orsù, fra coloro che
mi danno la caccia, non vi sono uomini di colore? Non ingannarmi, Willis; sarei capace di ritornare.
- Vi sono degli indiani, fanteria del Bengala - rispose il sergente.
- Bene, io passerò per un indiano - disse Sandokan. - E ora non fare resistenza.
Trasse da saccoccia una corda, e le le mani e i piedi al soldato che non ardiva resistere. Finito ciò,
se lo caricò sulle spalle colla stessa facilità che fosse un fanciullo e lo portò in mezzo ad una folta
macchia assicurandolo con una forte liana a un ramo; vi gettò accanto la sciabola dopo di averla
spezzata in due e si accinse a partire.
- Voi dite di salvarmi, ma non sapete che mi gettate fra le unghie della tigre? - disse l'Inglese
spaventato.
- Bah! - fe' Sandokan. - Le tigri non sono sì numerose come credi dopo quella che ho ammazzato ieri
in questi dintorni. Ringrazia colei a cui devi la vita; non dimenticarti di Marianna Guillonk.
Ciò detto il pirata, nelle vesti d'Inglese, si allontanò, dopo aver cambiata carica al fucile.
- Quando mi si vedrà, passerò per un sergente della fanteria del Bengala - mormorò egli. - Passerò in
mezzo a tutti i cacciatori a fronte alta, come un bravo comandante.
"Una gherminella non sarà mai riuscita così bene; Marianna stessa, la cara fanciulla, ride pur essa
quando gliela racconterò.
A quel nome involontariamente evocato, la fronte del pirata s'oscurò e i lineamenti del volto si
contrassero dolorosamente. Egli portò le mani al cuore e un gemito gli uscì dalle labbra.
- Silenzio, silenzio - mormorò egli con cupa voce. - Non nominiamola, non pensiamo a lei. Sento che
impazzisco, sento il cuore lacerarsi. Avanti, tiriamo avanti.
Si rimise in cammino con passo rapido stringendosi fortemente il petto, come volesse arrestare i
battiti precipitosi del cuore.
Cammi tutta la notte facendo due sole fermate per tracannare un sorso di wisky trovato nella
botticella del sergente, e sul far del giorno giunse ad una piccola radura circondata di colossali
artocarpi. Stava per sedersi dietro un cespuglio per prendere un po' di riposo, quando si sentì
chiamare.
- Ohe! camerata! Ohe! Che diavolo andate cercando col naso a terra? - gridò una vociaccia rauca.
Il pirata, per nulla spaventato, girò attorno lo sguardo e vide distesi sotto un albero due soldati che
riconobbe subito per quelli veduti alla notte. Avevano i fucili gettati a terra e prendevano il sole
fumando colle loro pipe senza preoccupazioni di sorta.
- Ehi! - gridò Sandokan accentuando la pronuncia inglese. - E così che voi cacciate?
- Abbiamo cacciato tutta la notte - rispose colui che aveva udito chiamarsi Harry, - e senza trovare la
traccia del pirata. Due minuti di riposo e poi, affé di Dio! dietro come cani a quel miserabile!
- A quale compagnia appartenete? - domandò Sandokan che rideva in cuor suo della gherminella.
- A quella del sergente Willis. L'avete incontrato voi? Egli cacciava all'oriente.
- Abbiamo cacciato assieme, e la pista è stata scoperta - rispose il pirata ma senza avvicinarsi. - Credo
che voi farete bene avvisare i cacciatori dei dintorni di portarsi immediatamente al sud, se si vuol
giungere in tempo di arrestarlo. Venti sterline al sole per chi avrà l'onore di scoprirlo.
- Voi, sergente, mi assicurate che la pista fu trovata? - chiese John saltando in piedi.
- Sicuro, e farete bene a non perdere tempo. Portate l'ordine all'intera compagnia di spingersi
rapidamente al sud, e fate parlare al comandante William. Spicciamoci, amici, o il pirata prendeil
volo: venti sterline e un rapido avanzamento stanno nell'aria. Tutti al sud, mi capite, al sud.
Non ci voleva di più per allettare i due soldati. Raccolsero i fucili, cacciarono in tasca le pipe e
augurato il buon giorno se la batterono con una certa rapidità per spargere la buona novella,
scomparendo sotto gli artocarpi. Il pirata li seguì fino che poté collo sguardo, poi tora cacciarsi in
mezzo alla macchia mormorando:
- Abbiamo del tempo; fincriposerò, essi mi sbarazzeranno la strada fino alla costa.
Chila testa sullo zaino, si assicurò che il fucile era a portata della sua mano e si addormentò senza
più preoccuparsi dei nemici, più che sicuro di trovare al suo svegliarsi la strada libera.
Quanto dormì non avrebbe potuto dirlo, ma certamente poco, poic il sole era ancor alto. Fu
svegliato da una repentina detonazione che risuonò sotto la foresta, accompagnata da un galoppo
precipitato.
- Che mi abbiano scoperto? - mormorò il pirata svegliandosi del tutto e raccogliendo la carabina.
Si riz sulle ginocchia e allontanando i cespugli con infinite precauzioni guardò. In sulle prime non
vide nulla; udì solo il precipitato galoppo di un cavallo e credette che si trattasse di qualche cacciatore
lanciato dietro a qualche babirussa, ma ben presto vide sbucare da una fitta macchia un uomo che non
esitò a riconoscere per un Malese, il quale, con un kriss in una mano e un grossissimo randello
nell'altra, attraversò in un lampo la radura, cacciandosi sotto un cespuglio vicino.
Quasi subito comparve un cavaliere col fucile ancor fumante in mano.
Era un Inglese, un soldato, che pareva in sulle furie, bestemmiando con vivacità e dando violenti
strappi al cavallo che si impennava. Egli balzò d'arcione, prendendo una pistola che armò.
- Ah! la canaglia era nascosta laggiù fra i cespugli, dove strisciava come un serpente - gridava egli
ponendosi a cercare con somma attenzione. - L'ho veduto appena, appena, ma mi è bastato per
riconoscerlo. My-God! Era proprio il terribile Sandokan, la Tigre della Malesia. Se questo cavallo del
diavolo non si fosse imbizzarrito, a quest'ora lo avrei nelle mani, ma non mi scapperà, no. Andiamo,
giovanotto mio, non perdiamo tempo, frughiamo ben bene i cespugli e guardiamoci attorno. Bisogna
guadagnare le cinquanta sterline promesse dal baronetto.
Il cavaliere, terminato il suo monologo, colla sciabola nella mano dritta e la pistola nella sinistra,
penetrò nelle macchie, allontanando prudentemente i rami coll'arma e frugandovi nel mezzo colla
punta, andando e venendo, bestemmiando in buon inglese.
Mentre il soldato frugava, Sandokan sempre nascosto fra i cespugli, cercava di vedere il Malese che
aveva poco prima attraversato la radura facendosi inseguire pel terribile pirata. Ma per quanto si
allungasse e girasse attorno gli occhi non ne venne a capo; si avrebbe detto che il fuggiasco fosse
sparito sotto terra.
- Chi può esser mai questo Malese? - si domandò Sandokan. - Se ha tanta premura di non farsi vedere,
non può essere che un individuo sospetto. Se fosse uno dei miei tigrotti?
La supposizione non era niente affatto ardita. Poteva darsi che quelli di Mompracem giustamente
impensieriti del ritardo dei prahos e dell'assoluta mancanza di notizie, avessero spedito uno dei legni a
Labuan.
Sandokan non esitò più a credere che quell'individuo, che tenevasi celato, fosse un pirata di
Mompracem.
- In tal caso - diss'egli, - bisogna guardare che non venga scoperto e mandare al sud quel
bestemmiatore. Non può riconoscermi, ne sono certissimo.
Stava per alzarsi e farsi vedere, quando dieci passi lontano vide muoversi i cespugli e apparire una
testa. Tornò quella testa a sparire, ma non tanto presto che Sandokan non avesse a riconoscerla. Egli
rattenne a malapena un grido.
- Giro Batoë! - esclamò. - Ah, il mio bravo Malese!
Giro Batoë era uno dei più intrepidi tigrotti di Mompracem, che aveva fatto parte della disgraziata
spedizione sulle coste di Labuan. Sandokan, se ben si ricordava, lo aveva veduto cadere ferito ai suoi
piedi e poi precipitare in acqua nella disunione dei due prahos.
Come trovavasi lì, era difficile saperlo. Senza dubbio era stato raccolto da qualcuno o aveva nuotando
raggiunta la costa.
- Ecco un brav'uomo che bisogna salvare - mormo Sandokan e senza esitar più si rizzò uscendo a
metà dai cespugli, nel mentre che il Malese sorpreso dalla vicinanza del soldato, che aveva tutte le
ragioni per crederlo un Indiano lanciato dietro le sue traccie, si aggomitolava su sé stesso per rendersi
meno visibile.
Il cavaliere che andava e veniva bestemmiando vide subito Sandokan.
- Tò! un soldato! - esclamò il cavaliere guardandolo come un uomo che non crede ai propri occhi.
- Cercate un babirussa, che frugate tutti i cespugli dei dintorni? - doman Sandokan. - Non è il
momento questo, amico mio, bisogna aspettare la notte, e una notte magnifica, se lo si vuol trovare.
- Il babirussa! È un animale ben peggiore quello che io vado cercando, una vera tigre con denti e
artigli capaci di spacciarci entrambi prima di prendere le armi. Non cacciate voi forse il pirata di
Mompracem?
- Senza dubbio - rispose Sandokan. - Sono imboscato da tre ore, e sempre sulla sua pista.
- Sulla sua pista? E io ho scovato il pirata in persona. Non l'avete veduto voi attraversare la radura?
- In fede mia, non ho udito che il vostro colpo di carabina. Scommetterei che il furbo ha preso il volo
verso il sud dove si dirigono le sue traccie. Si dice che corra come un cervo, e senza un cavallo non si
riuscirà a prenderlo; se prendete la via del sud, non mi stupirei che aveste a trovarlo.
- A trovarlo sarebbe forse facile - rispose il cavaliere raggiungendo il suo cavallo. - Il difficile è a
prenderlo, e vi confesse che non mi sentirei d'averne il coraggio se non vi fossero una cinquantina
di sterline, sulle quali conto per fondare una fattoria una volta gettata la sciabola del soldato.
Andiamo, sergente, gl'Indiani sono tutti cavalieri, montate con me.
- E voi lo pensate? - disse con vivacità Sandokan che gettava di tratto in tratto uno sguardo ove si
teneva imboscato il Malese. - Se noi lo inseguiamo verso il sud, credete che il pirata si lascierà
inseguire su quella strada, quando alle spalle non vi ha nessun nemico? Si nasconderà in qualche
macchia, dove un cane non sarà capace di trovarlo e si seppellirà sotto i pantani se non troverà meglio
d'inerpicarsi sulle cime degli alberi come una scimia e poi un passo a dritta, un altro a destra, un semi-
cerchio e indietro al galoppo ridendosi dello stratagemma. Noi lo inseguiamo tutti e due al sud ed egli
fugge al nord.
- Per San Gilles! Voi avete ragione, sergente. L'ho sempre detto io, che un Indiano è furbo quanto un
pirata - disse il cavaliere. - Sicché, voi restate e io vado a stanarlo.
- Sicuro e guardate se sarà possibile di allogargli una buona palla nella testa o almeno di cacciarlo
dalla mia parte. Vi giuro sulla barba di Brama, che non mi scapperà.
- State in guardia però, sergente - disse l'Inglese salendo in sella. Stava per allentare le redini e partire,
quando Sandokan l'arrestò con un cenno della mano.
- Una parola, se me lo permettete - gli disse.
- Due, sergente, se volete. Ma spicciatevi, che mi sembra di udire il tintinnìo delle cinquanta sterline
di lord William.
- Voi avrete più occasione di me di recarvi alla villa di lord James.
- Lo credo, dal momento che i miei compagni si son accampati nel parco.
- Cercate di vedere lady Marianna e ditele che il malese Whu-Pulau ha passato felicemente le linee
delle giacche rosse. Non mancherete di ricevere un pugno di fiammanti sterline.
- Non mancherò di farlo. E chi sarebbe questo Malese?
- Alto ! Non parliamo di cose che riguardano solo la lady. Andate, amico mio, o il pirata farà tanta
via da far crepare il vostro cavallo prima di raggiungerlo.
- Sono una bestia! Avete ragione, sergente - e il cavaliere, salutato militarmente, spronò il cavallo e
partì alla carriera internandosi nelle foreste.
- Corri, corri, animale - mormorò Sandokan accarezzandosi la barba con compiacenza. - Lady
Marianna avrà mie nuove dal mio stesso nemico.
Stette un momento lì immobile, pensieroso, triste, poi si diresse verso i cespugli ove se ne stava Giro
Batoë che aveva assistito senza batter palpebra alla conversazione, fuori di sé dalla gioia nel rivedere
il suo terribile capo ancor vivo.
- Ohe! Giro Batoë! - gridò Sandokan.
Un urlo di gioia vi rispose e il Malese facendo un salto di dieci piedi gli cadde alle ginocchia.
- Ah! mio capitano! - esclamò il Malese con voce rotta e le lagrime agli occhi.
- Che diavolo! Il mio tigrotto Giro Batoë sarebbe capace di lagrimare come una femminuccia! -
esclamò Sandokan rialzandolo.
- Ah! mio capitano, vi ho tanto pianto e sento tanta gioia nel rivedervi sano e salvo, che sarei capace
di singhiozzare. Non vi hanno adunque ucciso laggiù, sui prahos?
- Ucciso? Uccidere la Tigre della Malesia? Ciò non avverrà mai, mi capisci, Giro Batoë, mai! Le
giacche rosse non hanno abbastanza ferro per toccarmi il cuore. Orsù, parla ora: per qual caso ti trovi
qui?
- Non avrete dimenticato la terribile battaglia che abbiamo ingaggiato alla foce del fiumicello con
quell'infernal incrociatore, nella quale abbiamo subìto una sanguinosa disfatta.
- No, Giro Batoë, ti giuro che quella sconfitta la vendicherò e atrocemente.
- , mio capitano, la vendicheremo e mi farò ammazzare il giorno, in cui ordinata una levata d'armi,
non farò saltare le ruote della nave maledetta. Orbene, i due prahos erano stati legati, il ferro turbinava
e ruggiva coprendo i nostri ponti di morti e di feriti; ad una scarica di mitraglia caddi ai vostri fianchi
con una scheggia di ferro alla testa, svenni.
"Che accadesse di poi, non lo so. Quando rinvenni mi trovai in mezzo a un cumulo di cadaveri su uno
dei legni che era stato da voi abbandonato. Vidi i vostri uomini battere in ritirata verso la costa; gridai
per chiamarli, ma la voce del cannone copriva la mia.
"Il prahos su cui mi trovava, sventrato da un diluvio di ferro, affondò.
"Mi aggrappai a un rottame e dopo due ore di sforzi inenarrabili e patimenti atroci guadagnai la costa,
e di assistei alla seconda fase del combattimento. Oh! Era pur bello, superbo, quel prahos che
lottava contro il gigante, avvampando da ogni lato, mordendo, ruggendo. Mi pareva assistere a una
battaglia, dove gli uomini fossero diventati giganti ed eroi.
- Bene! - esclamò Sandokan, con legittimo orgoglio. - E poi?
- Poi, quando ho veduto che tutti erano morti, e che mi mancavano i mezzi per recare la fatal notizia a
Mompracem, dopo aver a lungo pianto la morte dell'eroica Tigre e dei suoi tigrotti, mi internai nelle
boscaglie, vivendo di frutta, di radici, di vermi. Così, di passo in passo stimolato dalla paura capitai in
questi dintorni piantando dimora. Aiutato da alcuni indigeni che ebbero pietà del mio misero stato
dissodai un lembo di terra e mi costrussi una capannuccia, aspettando tempi migliori per abbandonare
questi maledetti luoghi. Rosi il freno per tre settimane, e già disperava di rivedere qualcuno dei miei
compagni, quando udii che voi eravate vivo e che vi si dava la caccia. Credetti impazzire di gioia e
partii all'istante, e nel cercarvi fui scoperto dal cavaliere inglese. Fu una fortuna, capitano, che egli mi
inseguisse. Senza di lui non vi avrei forse mai trovato e non sarei p tornato alla costa per mettermi
in mare colla mia canoa.
- Tu sei un valentuomo, Giro Batoë, e sono io che te lo dico, la Tigre della Malesia.
- Grazie, mio valoroso capitano - disse il Malese commosso. - Ma voi, come siete sfuggito al
massacro?
- Ne parleremo più tardi - disse Sandokan cangiando tono, poi raccogliendo il moschetto:
- Tu mi hai parlato di una capanna e di un palmo di terra coltivato, non è vero?
- Sì, e dove troverete l'occorrente per isfamarvi, se avete dell'appetito e qualche sorso di acquavite che
ho potuto procurarmi dagli indigeni raccontando loro qualche storiella o facendo qualche servigio.
- Tu mi hai parlato di una canoa sulla quale contavi raggiungere Mompracem, non è vero?
- Sì, una canoa che ho costruito scavando il tronco di un albero, aiutato da un giovane indigeno, una
barca pericolosa, mio capitano, ma che saprà filare all'ovest quando la Tigre della Malesia la guiderà.
- Siamo lontani dal mare? - domandò Sandokan fattosi pensieroso.
- Un mezzo miglio al più. La canoa è nascosta fra fitti cespugli e non chiede che d'esser gettata in
mare.
- Bene, andiamo alla capanna allora, poi penseremo alla partenza.
- Ma e i nemici? - chiese il Malese. - Sono capaci di scoprirci e di sorprenderci.
- Il nemico, Giro Batoë, ci insegue sulla via del sud. Del resto, non sono un sergente della fanteria
Bengala?
I due pirati senza aggiungere parola si misero in cammino senza più curarsi del cavaliere che correva
dietro alle cinquanta sterline né degli altri che potevano battere i dintorni.
Attraversarono la radura e penetrarono sotto la foresta camminando con passo rapido su di un terreno
sparso di radici, che s'intrecciavano in mille guise quasi da prenderle per migliaia e migliaia di
serpenti più o meno grossi, più o meno lunghi, e in mezzo a lunghe erbe spinose dove si tuffavano
fino alle anche, un vero luogo d'imboscate ove sarebbe stato difficile l'evitarle.
- Camminiamo con prudenza - disse Sandokan al compagno - e rimani dietro di me. Vedendo la tua
testa nuda e le tue vesti a brani, si potrebbe benissimo scambiarti per la Tigre e buscarti una fucilata
malgrado la mia presenza. Gl'Inglesi sono testardi.
Camminarono per un quarto d'ora verso il nord, piegando alquanto verso l'occidente, senza incontrare
il nemico, attraversando numerosi torrenti sulle cui rive si scorgevano le traccie di recenti passaggi, e
giunsero a un piccolo sentiero appena visibile, dove il Malese si cacciò lestamente allungando il
passo. Quando fu alla fine tese la mano e mostrando qualche cosa di oscuro:
- Ci siamo. Ecco la capanna.
CAPITOLO XIII
La canoa
La capanna di Giro Batoë si rizzava a poca distanza dalle rive di un ruscello, al coperto di un grande
artocarpo che la proteggeva contro i raggi cocenti del sole e contro le pioggie. Era una baracca
anziché un'abitazione, capace di ricoverare tutt'al più un indigeno che non sapesse procurarsi di
meglio nel mezzo della foresta. Era bassa quanto mai, stretta tanto da potervisi appena muovere,
costretta grossolanamente con rami intrecciati a erbe e col tetto terminante a cupola, mal formato,
coperto di foglie d'arecche, una mezza dozzina delle quali erano state più che sufficienti a tale uopo.
L'interno non valeva meglio dell'esterno, tutto riducendosi a un letto di foglie secche, a una provvista
di legna, a una scodella gigantesca di terra cotta, frutto dell'industria indigena e a due sassi mezzi
sepolti nella cenere che servivano di camino. Non si poteva star comodi, ma a ogni modo offriva un
rifugio e una difesa contro i venti e gli abitanti troppo pericolosi della foresta.
Giro Batoë, nell'entrare, fece fuggire un mondo d'insetti che avevano di già preso alloggio, e fece gli
onori della capanna al capitano che non pareva malcontento di prendere un po' di riposo e di
satollarsi.
- Vedete capitano la mia abitazione non offre comodi di sorta, ma è sempre preferibile alle abitazioni
degli indigeni che puzzano d'olio di pesce e di carne corrotta. Se volete dormire avete un letto che sa
forse migliore di quello che offre la foresta; se avete sete vi ha una scodella sempre ripiena di acqua
limpida; se avete fame vi sono delle frutta e una dozzina di costolette di babirussa giovane che ho
avuto la fortuna di sorprendere nel suo covo.
- Non domando di più, Giro Batoë; è anche troppo quando si ha fame e si sa di avere dei bracchi a due
gambe alle calcagna. Accendi un po' di fuoco e arrostisci un pezzo di carne.
- Non avrete d'aspettare che si cucini, capitano, e frattanto sbarazzatemi, se vi piace, un po' di quelle
frutta che occupano mezza abitazione. Troverete degli ananassi succolenti, delle patate che non avete
mai gustato a Mompracem, delle frutta d'artocarpo d'inverosimile grossezza e delle noci di arecche
che non domandano che di essere masticate. La mia dispensa è a vostra disposizione.
Il Malese, intanto che Sandokan poneva a profitto le parole di lui assaltando un cavolo palmista che
non pesava meno di venti libbre, afferrò due pezzi di legno e si mise a fregarli l'un contro l'altro fino a
trarre una fiamma colla quale accese le legne accumulate sul primitivo focolare.
- Sapete, capitano, che questo fumo potrebbe essere scorto dagli Inglesi? Non sarei per nulla
meravigliato se fra qualche ora ci facessero una sgradita visita.
- E che, Giro Batoë, ti danno tanto a pensare adunque essi? - chiese Sandokan che divorava un pezzo
di cavolo il cui sapore gli rammentava quello delle mandorle. - Io me ne infischio di tutti i soldati di
Labuan.
- Non è per me, capitano, ma per voi. Se tra coloro che ci inseguono, vi fosse qualcuno che anche
sotto la truccatura di sergente vi conoscesse?
"Avete un'aria troppo fiera, uno sguardo troppo vivo per credervi un indiano.
- Non dartene pensiero, tigrotto mio. Se essi capitano mi darò l'aria di uno stupido indiano, e
comanderò loro di fare un fronte indietro verso il sud. Non vi ha che un uomo che io temo, il
baronetto William, ma è assai lontano.
- Oh! Avete fatto delle conoscenze? - chiese Giro Batoë che metteva sui carboni ardenti un grosso
pezzo di babirussa.
- E perché no? Ho trovato modo di stringere amicizia con personaggi alti, con baroni e conti io, il
pirata che essi volevano appiccare io, la Tigre della Malesia! - Sandokan diede un gran scroscio di
risa, al quale fece eco il Malese.
- Suvvia - continuò, - ci rivedremo fra breve con quel povero lord James che mi lasciò scappare senza
soddisfare il conto dell'ospitali accordatami. Sai Giro Batoë, che fra una diecina di giorni noi
ritorneremo su quest'isola a dispetto di tutte le giacche rosse e dei loro piroscafi?
- Oh! capitano! - esclamò il Malese sorpreso. - Voi pensate di ritornare? Si tratta di fare un massacro
di tutti gl'Inglesi della colonia? Se è così, ci prepareremo a mordere.
- Non si tratta di far scorrere un fiume di sangue, Giro Bat- disse Sandokan con voce sorda. - Ho
un appuntamento.
- Con chi?
- Non chiedermi nulla, Giro Batoë. Solo tieni in mente ciò che ti dico: questo appuntamento darà un
colpo mortale a Mompracem.
- Voi mi fate paura.
- Non una parola di più su questa faccenda. A pranzo, ora che l'arrosto è pronto. Questa notte
penseremo a metterci in mare colla prua volta al nostro nido.
Il Malese levò il babirussa dai carboni e lo presentò al capitano su di una gran foglia d'arecche, poi
andò a frugare in un angolo della stanza, sollevò la terra colla punta del kriss, trasse una bottiglia a
metà spezzata, ma ricoperta accuratamente da un pezzo di tela, e ritornò verso di lui guardandone il
contenuto con occhio ardente.
- Dell'acquavite, mio capitano! - diss'egli deponendo la bottiglia dinanzi a lui. - Ho dovuto tanto
lavorare per poterla guadagnare o meglio strappare agli indigeni, e la teneva nascosta come un liquido
prezioso per rinforzarmi una volta preso il mare. Ora siamo due marinai, che non hanno bisogno di
una sorsata per lottare contro le onde e contro i venti; potete vuotarla fino all'ultima goccia.
- Grazie, Giro Batoë, ma ne avrai la tua parte - rispose Sandokan che mangiava per due come un
uomo che non è sicuro all'indomani di fare il medesimo pasto. - Orsù, devi avere fame dopo
l'inseguimento che quasi ti costava o un braccio di meno o un sonno per tutta l'eternità. Siedi di fronte
a me e fa gli onori della tua capanna. Se vuoi questa notte avere del coraggio per passare sotto il naso
degli incrociatori e dinanzi la bocca dei loro cannoni, e della forza per manovrare al remo, se il vento
ha la malaugurata idea di non soffiare, empi il tuo stomaco. Domani forse non ne avrai il tempo.
- È giusto, capitano - rispose il Malese, che assalì vigorosamente l'arrosto, masticando con certi denti
da far invidia a un gaviale. - E supponendo che una palla di cannone, guidata da una mano cattiva,
venisse a sfasciare il nostro povero canotto, che si farà? Vedete, sono cose che potrebbero capitare.
- Ebbene, non sei capace di nuotare forse? Ci tufferemo e guizzando sott'acqua come i pesci
raggiungeremo la costa e di la capanna. Gli alberi non mancano, le nostre armi hanno ancora del
filo per tagliare, il fuoco si fa presto ad accenderlo, e nulla di p facile con tutto ciò costruire una
seconda canoa. Passeranno due giorni, quattro, una settimana, un mese se vuoi, ma bisognerà che una
volta o l'altra gl'incrociatori prendano il volo per altri lidi. Sarà quello il momento per ritornare a
Mompracem. E poi, credi tu che i nostri amici non si metteranno in mare? Il Portoghese, per esempio,
non ignora che la mia intenzione era quella di venir a incrociare sulle coste di Labuan per vedere la
Perla. Quando ved passare i giorni senza che noi abbiamo a mandar nuove, s'immaginerà che ci è
accaduta una disgrazia.
- Lo credo, e poi quando io sono a fianco di voi, mi sembra di essere a Mompracem.
Sandokan si mise a sorridere, poi vuotò mezza acquavite e porgendo la bottiglia al compagno che
allungavasi per vedere se ne rimaneva una goccia:
- Bevi, Giro Batoë, e rinchiudimi la capanna. Il sole è ancor alto e a mio dire non devono essere
ancora le quattro; abbiamo del tempo prima che diventi notte oscura. Non si potrà dormire una volta a
bordo della canoa. Nulla di meglio d'approfittare dell'occasione.
- E se vengono gl'Inglesi? - domandò il Malese, che tremava per Sandokan.
- Te lo dissi ancora, li manderemo al sud - e la Tigre si distese sul letto di foglie colla faccia abbuiata
e la mente fissa alla giovanetta, che temeva di abbandonare nelle braccia del lord e forse in quelle del
baronetto William.
Il Malese vuotato sino all'ultima goccia il contenuto della bottiglia, spense il fuoco, chiuse la porta e
si aggomitolò in un angolo della capanna sognando di trovarsi già a Mompracem in mezzo ai suoi
compagni avvoltolandosi sui frutti di tanti saccheggi e librandosi su cento bottiglie di acquavite.
Sandokan però non fu capace di chiudere occhio. Non già per tema del nemico, per le difficoltà
che poteva incontrare nell'abbandonare le coste di Labuan, ma perché sentivasi atrocemente morso da
una terribile gelosia e assalito da una folla di tetri pensieri che invano cercava scacciare.
Che poteva mai essere accaduto di Marianna dopo che egli si era precipitato dalla fenestra? Che era
avvenuto fra il lord e il baronetto William? Quali misure mai avevano prese per infrangere l'amore
nato fra l'ultima discendente dei conti Guillonk e la terribile Tigre della Malesia?
- Ah! - esclamò il pirata dimenandosi sul suo letto di foglie. - Darei mezza della mia vita per trovarmi
ancora in quella abitazione. Povera Marianna, chi sa quali timori agiteranno il suo picciol cuore. Forse
mi crederà vinto, prigioniero, insanguinato, fra le catene dei miei nemici e chi sa, fors'anche morto.
"Vorrei perdere goccia a goccia tutto il mio sangue pur di rivederla, purché strapparla da quelle
angoscie, purché dirle che la Tigre della Malesia è viva e più viva anche di prima.
"Orsù, coraggio, che ne ho proprio bisogno. Questa notte fuggirò meco portando il suo giuramento e
ritornerò alla mia isola, al mio covo e poi... sì, per Cristo, poi, dovessi farmi una seconda volta
moschettare, dovessi perdere una seconda volta quaranta tigrotti, ritornerò. Ritorne per istrapparla
dalle mani di quell'odiato rivale, ritornerò per vendicare i miei prodi che caddero sotto il ferro delle
giacche rosse! Sì, l'avrò, sarà mia, mia. E allora...
Il pirata si tacque portandosi ambe le mani agli occhi e sospirò dolorosamente.
- Allora farò c che lei vorrà. Non l'ho giurato io? Non le ho detto che per lei tradirei i miei tigrotti,
darei un addio e per sempre alla mia vita d'avventuriere, alla mia isola, al mio mare e a tutto c che
fino a oggi mi ha allettato, mi ha fatto vivere?
"Sì tutto farò per questa sublime giovanetta che ha saputo colpire l'inaccessibile cuore della Tigre
della Malesia. Tutto farò per questa giovanetta che io amo, che io adoro, che io idolatro!
Il pirata passò il tempo pensando sempre alla giovanetta, che parevagli talvolta vedere dinanzi triste e
lagrimante.
Quando il sole cadde all'occidente e le tenebre ebbero invaso tutti i recessi della foresta egli svegliò il
Malese che russava come un tapiro.
- Andiamo, Giro Batoë, non perdiamo un momento di più - diss'egli. - La notte è oscura: le stelle e la
luna sono coperte da un nero velo di nubi. vieni, Malese, vieni, che ho la febbre. Sento che se io
restassi una mezz'ora di più mi rifiuterei di seguirti.
- Oh! che vi salta mai in testa? Vi sarebbe dubbio che...
- Zitto, per la barba di Allah! Zitto, Giro Batoë! - esclamò Sandokan quasi con ira. - Dov'è la canoa?
- Nascosta sotto un banano. Basterà farla scorrere sui truogoli per spingerla in mare.
- Vi hai cacciato qualche cosa entro?
- Ho pensato a tutto, capitano. Non manca d'un albero, d'una vela, di pagaie. Di più, vi ho
posto un gran vaso ricolmo d'acqua e una provvista di frutta capaci di nutrirci fino a Pulo Condor.
- Sta bene: andiamo, Giro Batoë. Ciò che non ci è di nessuna utilità, lascialo qui. Potrebbe darsi che
domani avessimo a ritornare a questa capanna.
- Lo so io, capitano. Non sarà facile varcare la crociera, ma infine lo si tenterà. Udite come le foglie
degli alberi stormiscono? È buon segno: il vento non mancherà e noi fileremo rapidi e in silenzio
verso Mompracem. Forse domani potremo ridere di averla fatta bella alle giacche rosse di Labuan.
Sandokan non rispose e si mise in marcia, non già rapidamente come l'avrebbe voluto il Malese che
sentivasi scottar la terra sotto i piedi, ma lentamente, stentatamente a malincuore.
A lui, che venti giorni prima avrebbe dato una delle sue braccia per poter ritornare a Mompracem, ora
riusciva atrocemente penoso allontanarsi da quest'isola, sulla quale lasciava senza difesa la donna del
suo cuore.
A ogni passo che faceva e che l'avvicinava al mare, parevagli che un lembo del suo cuore gli si
staccasse e parevagli che la distanza che lo separava dalla Perla di Labuan accrescesse
spaventosamente.
- Andiamo, andiamo - mormorò egli. - Tiriamo innanzi, siamo forti, fuggiamo. Poi, sì, poi ritornerò,
ma ritornerò vincitore e la rived in mezzo ai miei trionfi. Dieci giorni per me, sembrano l'eternità,
ma passeranno.
La notte, come l'avevano predetto, era oscurissima, senza luna e senza stelle essendo coperte da grossi
e foschi nuvoloni.
Non si vedeva a dieci passi lontano, ma il Malese era come un nittalopo e conosceva a menadito quei
luoghi. Si cacciava senza esitare sotto i cespugli, in mezzo ai quali strisciava come un serpente,
scalava come una scimia gruppi d'alberi che sbarravano il cammino, aggrappandosi alle liane e ai
rotang e senza far rumori di sorta, quantunque avesse la certezza che il nemico si trovasse lontano e
che Sandokan colla sua divisa di sergente avrebbe bastato per far abbassar qualsiasi moschetto.
Il suo compagno lo seguiva, imitando tutte quelle aeree manovre, taciturno, tutto concentrato nelle sue
pene, col volto alterato da un atroce dolore.
Per un'ora continuarono a camminare, l'un vicino all'altro, poi Giro Batoë s'arres tendendo
l'orecchio.
- Udite questo fragore che giunge quasi indistintamente sino a noi? - chiese egli.
- Lo odo: è il mare - rispose Sandokan. - Dove si trova la tua canoa?
- Qui vicino.
Egli guidò la Tigre attraverso una folta cortina di fogliame e fatti cinquecento passi tornò a fermarsi
additando il mare che brontolava al largo e le cui onde venivano a spumeggiare ai piedi della foresta.
- Ci siamo - diss'egli sottovoce. - Vedete laggiù, sotto le foglie di quel banano qualche cosa di nero
che ha una forma allungata? È la canoa.
- Andiamo a dare un'occhiata sulla spiaggia. Fa oscuro ma si può distinguere un incrociatore che
dorme all'âncora.
- Ah! - escla Giro Batoë. - Se quei maledetti fossero andati al sud! Ma non vale; siamo tanto
piccini rispetto a essi, che non ci vedranno.
I due pirati guadagnarono il limite della boscaglia e scesero sulla costa. Il mare era negro come fosse
diventato d'inchiostro e, fin dove giungeva lo sguardo, perfettamente deserto.
- Alla canoa! - comandò Sandokan facendo uno sforzo nel pronunciare quella parola che per lui era
tremenda.
Il Malese lo condusse sotto il banano, che colle sue gigantesche foglie nascondeva per intero
l'imbarcazione. Sandokan l'esaminò attentamente. Era una pesante barcaccia scavata nel tronco d'un
albero col fuoco e col ferro, e somigliante a quelle che adoperano gli indiani dell'Amazzoni e i
polinesiani del Pacifico.
Sfidare il mare con simile battello dalle forme barocche era follia, sarebbe bastata un'onda per
capovolgerla, ma i due pirati non erano gente da dare indietro. La fecero scorrere sui truogoli e in
meno che lo si dica la spinsero in mare. Il Malese fu lesto a saltarvi entro e a prendere i remi.
- Venite, capitano, venite! - diss'egli. - La strada fra mezz'ora non potrebbe essere più libera.
- Un minuto ancora, Giro Batoë - rispose Sandokan, con voce sorda. - Poi andremo a Mompracem.
Strappò un pezzo di carta da un libricino, frugò nelle tasche, trasse una matita e per quanto la notte
fosse oscura scrisse a gran caratteri queste parole:
"A lady Marianna Guillonk.
"Varcate le linee nemiche felicemente, imbarcato per Mompracem. Chi avesse a trovare la carta,
portarla immediatamente a lei. Ordine di lord James Guillonk.
"WHU-PULAU IL MALESE".
L'appese a un ramo basso, in maniera da esser veduto a qualche distanza, poi balzò nella canoa
chiudendo gli occhi e gettando un sospiro che sembrava un profondo ruggito.
- E ora - diss'egli, - a Mompracem!...
Il vento soffiava dall'est, vale a dire propizio. L'albero fu rizzato, la vela tesa e la canoa leggermente
sbandata, cominciò a filare rapidamente verso l'ovest lasciandosi dietro una striscia fosforescente che
andava oscurandosi mano mano che si allontanava dalla costa, frapponendo fra il cuor del pirata che
si sentiva commosso per la prima volta e quello della giovanetta traboccante d'angoscia e di spavento,
il mare della Malesia.
Il pirata si assise a poppa manovrando al remo che serviva di timone, e il Malese a prua alla vela,
l'uno taciturno e cupo e l'altro sorridente e felice, l'uno cogli occhi sanguinosamente fissi su Labuan
che allontanandosi perdevasi fra le tenebre, l'altro cogli occhi fissi verso il punto ove sorgeva
Mompracem che andava man mano avvicinandosi.
- Orsù - disse il Malese che aveva notato quel rapido cangiamento operatosi nel capitano. - Diventate
cupo ora che si tratta di avvicinarsi alla nostra isola? Si direbbe che rimpiangete quasi Labuan.
- Sì che la rimpiango - mormorò con voce sorda Sandokan. - La rimpiango, Giro Batoë!
- Oh! Avete forse lasciato qualche cosa laggiù che vi dispiace di abbandonare? In fede mia, che
comincio a credere che Labuan vi abbia ammaliato. Eppure - continuò il Malese, - ci si dava una
caccia accanita, ci si inseguiva vigorosamente per i boschi e si cercava tagliarci la via per mare.
Consolatevi, capitano, di averla fatta grossa agli Inglesi. Vorrei domani esser io là, a vederli mordersi
le dita pel furore e per udir le maledizioni delle loro donne. Sapete, capitano, che ci odiano anch'esse.
- Oh! Non tutte! - esclaSandokan torcendo la pagaia fino al punto di farla gemere.
- Oh! - mormorò Giro Batoë sorpreso. - Trovate forse, capitano, che quelle vipere sieno da meno degli
uomini?
- Taci, Giro Batoë! Se tu avessi a ripeterlo quell'insulto, mi sentirei capace di precipitarti nei flutti!...
Vi era un tale accento di minaccia, un che di imperiosità, che il Malese non ardì parlare. Egli si
accontendi guardare il pirata che fissava Labuan con due occhi di fuoco, comprimendo i battiti del
cuore con ambe le mani e la faccia sconvolta da un terribile dolore.
- Gl'Inglesi l'hanno stregato! - mormorò Giro Batoë guardando la Tigre con occhio compassionevole.
Il vento si manteneva stabile. La canoa filava rapidamente più di quello che si avrebbe potuto credere,
malgrado la sua pesantezza e il suo scafo barocco che infrangeva le onde anziché tagliarle. In capo a
mezz'ora si trovava a più di due miglia da Labuan che cominciava a scomparire del tutto fra le
tenebre.
Il Malese, lasciando il capitano in preda ai suoi pensieri, temendo che interrompendolo non avesse a
effettuare la minaccia, di cui lo sapeva capace, si teneva all'erta vegliando attentamente cogli occhi
volti ora al sud, ora all'est, all'ovest e al nord, per paura che qualche incrociatore si mostrasse
improvvisamente sulla linea dell'orizzonte e prendesse la canoa a colpi di cannone.
Nessun naviglio si mostrò peraltro e la canoa poté veleggiare tranquilla tutta la notte, durante la quale
Sandokan non fece una sol parola né stacmai gli occhi da Labuan.
All'indomani ai primi raggi del sole si trovavano a più di venticinque miglia dalle coste di Labuan
ormai scomparse da parecchie ore dall'orizzonte. Nessun aveva dormito sebben il mare si fosse tenuto
fortunatamente calmo, e poi chi l'avrebbe pensato in quei momenti in cui il pericolo poteva capitare
da un istante all'altro? Sandokan, che man mano che si allontanava, provava tutte le dolorose
impressioni di un cuore che amava furiosamente e i morsi di una terribile gelosia che nessuna cosa
avrebbe valso a soffocare, non l'avrebbe fatto, e il Malese che fremeva dalla gioia all'idea di
avvicinarsi a Mompracem e di averla fatta alle giacche rosse non l'avrebbe sognato. Di più, la
manovra esigeva delle braccia vigorose e maestre per dirigere una imbarcazione così pericolosa, dove
si correva pericolo di trovarsi nell'acqua alla prima raffica.
Quando il sole apparve del tutto sull'orizzonte il vento sce di qualche poco ma non tanto da
impedire di filar senza fatica due nodi. A quella leggera alterazione Sandokan, che teneva ancora gli
occhi fissi verso il luogo ove era scomparso Labuan, si volse verso il Malese. Ma non era più
l'innamorato della notte, era ridiventato la Tigre, il cui sguardo balenante, affascinante, magnetizzava.
- Quanta via credi tu che abbiamo fatto? - chiese egli dopo qualche istante di silenzio.
- Una trentina di miglia, Tigre della Malesia - rispose Giro Batoë e avrebbe voluto aggiungervi
qualche altra parola, ma la minaccia della notte lo frenò.
Sandokan lo guardò a lungo fisso fisso.
- Ah! - esclamò egli alfine. - Credi tu che io meriti ancora il mio antico nome?
- Sì, capitano, e oggi, e domani, sempre. Sapeva io, che non avreste tardato a ridiventare il terribile
uomo di una volta.
- Hai scorto in me qualche segno di debolezza, per credere che lo avessi perduto? Forse ieri sera
quando lasciavamo le spiagge di Labuan?
- No, ma eravate agitato, mi pareva che foste un po' impazzito. Parlavate sì stranamente, guardavate in
certo modo la terra che noi ci lasciavamo a poppa e mi avete minacciato così bruscamente...
- Avevi ragione, Giro Batoë - disse Sandokan tristamente. - Ma se tu sapessi ciò che io soffriva qua
entro... Basta, tutto è finito e ridivendo la Tigre della Malesia assetata di sangue e anelante la
vendetta!
- Lo sapeva, capitano. Fu un lampo di pazzia che vi colse ieri sera.
Sandokan incres le labbra ad un amaro sorriso e portò un dito alle labbra come per intimargli
silenzio.
Stette un momento sopra pensiero, poi tornò alla pagaia mentre Giro Batoë si sedeva a prua alla scotta
della vela, tenendo gli occhi fissi all'ovest. La canoa beccheggiando pericolosamente, affondando nei
cavi delle onde, le cui creste spumeggianti giungevano fino ai bordi, riprese la via lasciandosi a poppa
le Tre Isole.
La navigazione fu lenta pel vento che nelle ore più calde cessò dal soffiare. Alla notte vi fu qualche
colpo di mare che empì a metà la pesante imbarcazione e qualche colpo di vento che obbligò i due
pirati a prendere i terzaruoli per diminuire la superficie della vela.
Tutto il giorno seguente la canoa filò all'ovest sempre lottando penosamente coi marosi. Al cader del
sole, il Malese che si teneva in piedi a prua, segnalò la tanto sospirata costa della selvaggia e temuta
Mompracem.
CAPITOLO XIV
A Mompracem
Sandokan nel rivedere quell'isola, baluardo della sua potenza e della sua grandezza in quei mari, che
non a torto chiamava suoi, sentì che ridiventava la Tigre della Malesia.
La profonda ruga che solcava la sua fronte scomparve istantaneamente e la malinconica espressione
del suo volto sfumò per dar luogo all'usuale espressione truce, terribile che incuteva rispetto e paura ai
suoi medesimi tigrotti. Il suo occhio triste s'illuminò, fiammeggiò e le sue labbra sorrisero col riso
beffardo, crudele che somigliava tutto a quello della tigre. Quantunque la distanza fosse ancora
notevole, con uno di quegli sguardi che avrebbero sfidato più di un cannocchiale, ispezionò d'un sol
tratto la costa che gli si presentava dinanzi e si rese subito conto di ciò che era accaduto durante la sua
assenza nell'isola.
Il villaggio era ancora in piedi; i terrapieni e le palizzate e le scarpe e controscarpe che costituivano la
sua difesa, erano ancora al loro posto accresciute anzi di numero, segno certissimo che nessun
incrociatore aveva tentato un assedio o uno sbarco. Solo dei trenta prahos, che di solito
sonnecchiavano nella piccola baia, parecchi ne mancavano. Tuttavia i pirati non si preoccuparono di
molto, immaginandosi che fossero usciti per corseggiare.
Le tenebre, che calavano rapide, posero in breve fine alle loro investigazioni. Il vento era scemato, ma
la canoa, quantunque assai lentamente, continuava ad avanzare verso le coste ormai quasi invisibili di
Mompracem.
Si poteva smarrirsi, stante la mancanza di stelle, coperte da un nero velo di fitti vapori che erravano
nell'aria da due giorni ma fortunatamente i lumi e i fuochi accesi nelle capanne vennero in loro
soccorso per indicare la via. Unendo i remi alla vela, i due pirati, dopo due ore sani e salvi, e senza
aver destato l'allarme, sbarcavano sulla riva a duecento passi dalla rupe tagliata a picco sul mare, sulla
cui cima stava come un'aquila l'abitazione della Tigre.
Tirata a secco la canoa, che minacciava di venir capovolta dalla risacca, raccolte le armi e tutto ciò
che vi era di buono da asportare, si diressero senza far rumore verso la rupe, alla cui base
spumeggiava il mare con prolungati muggiti. Sandokan, nel sentirsi sotto i piedi la sua isola, che
faceva parte della sua vita, che considerava carne del suo corpo, come il mare faceva parte del suo
sangue, respirò, e forse per un momento, per un lampo dimenticò Labuan e forse Marianna.
S'inoltrò con passo rapido fino ai piedi della rupe, seguito dal Malese che credeva di essere in preda a
un sogno, parendogli ancora impossibile di trovarsi sulla sua cara terra, e guadagnò il primo gradino
della tortuosa scala scavata nel vivo sasso che metteva alla cima.
- Giro Bat - diss'egli con qualche emozione volgendosi verso il Malese che erasi arrestato. - Giro
Batoë, ora che siamo giunti a Mompracem, torna alla tua capanna. Abbiamo da dire las certe cose
che devono essere un secreto per gli altri. Va, di' ai tuoi compagni che io sono giunto e nulla di più.
- Bene, capitano - disse il Malese, che non era meno commosso di lui. - Voi mi avete strappato da
quell'isola dove io soffrivo come fossi sui carboni... Capitano, se vi sarà bisogno di sacrificare
qualche uomo... fosse pure per quella che voi dite d'aver lasciato laggiù, pensate a me.
- Grazie, Giro Batoë... vattene ora, vattene - e il pirata, ricacciando nel fondo del cuore il ricordo
involontariamente evocato dal Malese, salì rapidamente i gradini elevandosi fra le tenebre.
Raggiunse la vetta, si mostrò un istante dinanzi alle trincee sfondate in mezzo alle quali facevano
sempre capolino avanzi di scheletri umani, guardò con un misto d'orgoglio e di fierezza la bandiera
rossa che sventolava sulla cima della capanna, gettò uno sguardo lontano, lontano verso l'oriente in
direzione di Labuan, rattenendo per un istante i veloci battiti del cuore, aspirò il vento della notte
come aspirasse il profumo di Marianna, e si avvicinò ratto ratto verso la porta della capanna
mandando un profondo sospiro.
Nell'interno brillava un lume. Passando presso ai vetri d'una fenestra, vide un uomo che stava seduto
dinanzi a un tavolo, colla testa fra le mani. Riconobbe a prima vista suo fratello, il Portoghese.
Apri pian piano la porta ed entrò senza che Yanez lo udisse. Egli si arrestò:
- Ebbene, Yanez, hai dimenticato la Tigre della Malesia? - chiese improvvisamente Sandokan
cercando comporre le sue labbra a un sorriso che invece si atteggiarono a una smorfia.
La frase non era ancor terminata che il Portoghese rovesciando il tavoliere era saltato in piedi.
Indietregggettando un grido di sorpresa e di gioia, si stropicciò gli occhi credendosi in preda a una
allucinazione, poi si precipitò fra le braccia di lui che lo strinse al petto come fosse stata la giovinetta.
- Tu, Sandokan! Tu, Sandokan! - esclamò egli fuori di sé. - Ah! amico mio, io ti credeva ben perduto.
- Perduto? Oibò, Yanez, e tu pensi che la Tigre possa perdersi?
- Ma, disgraziato amico, dove sei stato che non abbiamo ricevuto più tue nuove? Ah! Credi tu
adunque, che non vedendoti più tornare, e non trovandoti alle Romades, a Labuan, né alle Tre
Isole, alle coste del Borneo, non ti abbia creduto morto? Parla, spicciati, fratellino mio. Che hai
fatto in tanti giorni mentr'io ho avuto la debolezza di piangerti? Dove sono i tuoi prodi? Che può mai
esserti accaduto che per un lungo tempo sei scomparso? Hai forse saccheggiato qualche reame di
Borneo, o la Perla di Labuan ti ha stregato? Spicciati, fratellino mio: di' su qualche cosa.
Invece di rispondere a tutte quelle domande, che non parevano finir più, Sandokan si mise a guardarlo
cogli occhi torvi e il volto abbuiato. Egli incrociò le braccia e si avvici all'armonium quasi gli
saltasse l'idea di mettersi a suonare. Il Portoghese con un salto gli si pose dinanzi risoluto a impedirlo.
- Orsù - disse Yanez un po' contrariato da quel silenzio. - Parla, che significa quel vestito da soldato
che ti dà l'aria di una giacca rossa bell'e buona e quel volto truce? Ti è accaduta disgrazia?
- Disgrazia! - esclamò Sandokan con voce rauca. - Ma ignori adunque che dei miei uomini non
rimane che il malese Giro Batoë? Ignori adunque che tutti sono caduti pugnando sulle coste di
Labuan, dove io non sono sfuggito che per un miracolo di sovrumana energia. Senti, Yanez, ho una
palla nel corpo, una palla delle giacche rosse, e ho del fuoco che serpeggia nelle vene, e che sale fino
al cervello, sino al punto di farmi quasi impazzire!
- Battuto! Tu... la Tigre della Malesia! È impossibile! È impossibile! Tu vuoi burlarmi Sandokan.
- , Yanez, sì, mi hanno battuto, mi hanno vinto e per di pla Tigre fu ferita! Buon per loro, che la
ferita che vomitava sangue l'hanno curata colle loro mani, ma in cambio di ciò, m'hanno stregato.
Capisci, Yanez? Il mio equipaggio fu sterminato, e io, io sono stregato!...
Il pirata fece scorrere con gesto convulso una seggiola accanto a quella poco prima occupata dal
Portoghese, e dopo di aver vuotato l'un dietro l'altro parecchi bicchieri ripieni di wisky come cercasse
calmare l'ira che l'assaliva, terribile ira che spesso cangiava in un tremendo delirio, con voce rotta o
animata, rauca o sibilante, stridula o ruggente, alternando gesti violenti e imprecazioni, raccontò filo
per filo l'assalto del prahos mercantile, il combattimento col piroscafo, l'abbordaggio nel momento
che il proprio legno affondava, la ferita, le sofferenze, e la guarigione. Ma quando venne a parlare
della Perla di Labuan, tutta la sua ira, con gran sorpresa del Portoghese, sfumò. La sua voce, poco
prima rauca e quasi ruggente, prese allora un altro tono diventando dolce, accarezzevole,
appassionata.
Decantò con slancio poetico le bellezze della lady, parlò di quegli occhi grandi, dolci, melanconici,
azzurri come l'acqua del mare e che lo aveano commosso, parlò di quei capelli lunghi, più biondi
dell'oro, più fini della seta, più profumati dei fiori, parlò di quella voce incomparabile, angelica, che
aveva trovato un eco delizioso nella profondità del suo cuore scuotendone le fibre d'acciaio e di quelle
mani che sapevano trar dalla mandola quei suonidolci, che lo avevano affascinato, che lo avevano
incantato.
Dipinse colla viva passione di un'anima che ama alla follia, quei cari momenti passati assieme a lei,
quei cari momenti durante i quali dimenticava e la sconfitta, e la vendetta, e i suoi pirati e la sua
temuta Mompracem, quelle delizie che non aveva mai provato in tanti anni di pugne, e delle quali
conservava ancora cara memoria. Così narrò la caccia alla tigre, la confessione del suo amore, per
poi scendere fino all'inseguimento nelle foreste, allo stratagemma col sergente Willis, all'incontro di
Giro Batoë e infine all'abbandono di Labuan.
- Vedi, Yanez - diss'egli con accento ancora commosso, - nel momento che io mettevo piede nella
canoa, mi parve che si staccasse un lembo del mio cuore. Fu un momento terribile, un momento
supremo quell'istante in cui abbandonava quell'isola dove viveva la mia amata Marianna: avrei voluto
subissare la canoa e Giro Batoë, avrei voluto far rientrare il mare nel seno della terra perché non lo
valicassi più mai e far sorgere in sua vece un mare di fuoco! In quel momento avrei voluto far saltare
Mompracem e tutti i suoi tigrotti, perché non m'attirassero più mai, e avrei voluto non essere mai stato
la Tigre della Malesia!...
- Ah! Sandokan! - esclamò Yanez con tono di rimprovero.
- Non rimproverarmi, Yanez, non rimproverarmi. Se tu sapessi cosa io provo qua entro, nel cuore, in
questo cuore che io credeva essere di ferro, che io credeva inaccessibile a qualsiasi passione! Guarda,
Yanez, sono innamorato di quella Perla che se io me la vedessi dinanzi, che se io udissi da quelle
labbra sulle quali ho posate le mie, che tradissi i miei compagni, mi sentirei capace di tradirli!... Se
quella voce che m'inebbriò sin dalla prima volta che l'udii, mi chiedesse di far fuoco a Mompracem lo
farei, se mi chiedesse di farmi Inglese, io, la Tigre della Malesia... sì, sì Yanez, lo sento che lo farei!...
"Ho sempre il fuoco nelle vene che mi flagella e che mi pare consumi a poco a poco le mie carni, e
sento che l'amerò oggi, domani, sempre, perché l'ho trovata divina, perché mi ha inebbriato, perché ha
avuto il coraggio di amare la Tigre della Malesia. Dal giorno che l'ho veduta, Yanez, dal giorno che
mi fe' gustare l'ebbrezza dell'amore mi sono sentito cangiare. Mi pare di avere sempre il delirio, mi
pare che tutti i ricordi della mia vita terribile si cancellino, mi pare che un nuovo orizzonte mi si
schiuda dinanzi. Sono stregato, sono ammaliato, Yanez, sono innamorato alla follia. Ovunque volga
lo sguardo non vedo che Marianna aggirarsi raggiante a me d'intorno, che m'accompagna ne' miei
sogni, ne' miei pensieri, ovunque vedo quel genio scintillante di bellezza che mi affascina, che mi
abbrucia!...
Il pirata si alzò con gesto brusco e il volto alterato e i pugni stretti. Fece due o tre giri attorno alla
stanza come cercasse allontanare quel fantasma divino, e calmare le ansie che lo divoravano, poi
ritornando presso il Portoghese sempre immobile, ma che lo guardava fra il compassionevole e il
collerico, disse:
- Ascolta, Yanez, tu non lo crederai, eppure l'amore di quella fanciulla la cui bellezza mi rende pazzo,
è radicato fortemente nel mio cuore come il sentimento della mia vita, che nessuno al mondo varrebbe
a strapparlo. Credi tu che prima di lasciarmi vincere non abbia lottato? Oh! Io ho atrocemente lottato,
ma non valsero le mie ire per quella figlia che scende dalle giacche rosse, la ferrea volon della
Tigre che è caduta sotto la potenza di quello sguardo magnetico. Quante volte, quando i ricordi della
mia vita sanguinaria mi assalirono, ho tentato di spezzare la catena. Quante volte, quando al pensiero
di dover forse abbandonare il mare, il mio sangue, ho tentato di spezzarlo, e quante volte infine,
pensando che per averla avrei pur dovuto spegnere la Tigre della Malesia, perdere quel nome a me
tanto caro, quel nome di cui vo così altero, ho cercato di fuggire, e sempre invano. Mi sono trovato fra
due abissi: Mompracem coi suoi pirati, sfavillante fra il balenar dei cannoni e galleggiante in un
mar di sangue, e qui lei; mi son trovato fra due abissi sui quali mi sono librato per un istante esitando.
Sono precipitato nel secondo, dal quale nessuna forza umana sarebbe capace di trarmi. Sono di lei! La
Tigre morrà!...
"Se volessi svellere questa fiamma che m'arde non lo saprei fare, non lo potrei. Invano cercherei di
cacciare quel genio, quel fantasma dei miei sogni. Invano cercherei rompere quel fascino che mi
incatena. le battaglie, le emozioni di una vita agitata, l'amore dei miei uomini, fiumi di
sangue,monti di cadaveri, sarebbero capaci d'infrangerlo. Un'ombra, un'immagine si frapporrebbe
fra me e queste battaglie, fra me e queste grandi emozioni, e spegnerebbe l'antica energia della Tigre,
e questa ombra e questa immagine sarebbe ancora lei. No!... No!... Yanez, non potrei dimenticarla e
se pur lo volessi avrei paura. No! Non lo farei dovesse costarmi e il mio nome, e la mia isola e la mia
gloria!...
Il pirata dopo aver dato libero sfogo alla passione, si era arrestato per la seconda volta. Egli s'avvicinò
al Portoghese che pareva ascoltasse ancora e gli disse con voce rotta:
- Yanez!... Trovi tu, che la Tigre della Malesia amando si sia disonorata?... Credi tu che io, perché la
follia mi prese, non sia più degno di te?... Yanez!... Yanez!...
Il Portoghese per tutta risposta gli si gettò fra le braccia. Sandokan se lo strinse al petto con frenesia.
- Che dici mai, Sandokan? Qualunque cosa avvenga io ti sarò sempre amico, ti seguirò ove tu andrai
anche sino in capo al mondo e trove sempre che tu sarai degno di me. Tu sei stato stregato, amico
mio, tu oggi sei innamorato, ma domani ho la sicurezza che non vi penserai più e che sarai guarito,
che ritornerai a essere la Tigre della Malesia dal cuore inaccessibile.
- Ah! Non ripetermi queste parole, Yanez. Ho giurato che Marianna Guillonk sarà mia e lo sarà!
Il Portoghese lo guardò più commosso che incollerito.
- Odimi, Sandokan. Io credo che tu ami questa fanciulla che chiami divina, ma hai tu pensato
seriamente alle conseguenze che potrebbero derivare da questo tuo amore? Che diranno i pirati della
Tigre della Malesia, quando la vedranno correre sulle traccie di una fanciulla?...
- Che si dirà?...
- Sì, che si dirà di quest'uomo che vantava avere un cuore di granito?
- Si dirà che anche un pirata ha un cuore per amare, come hanno amato i gran guerrieri dell'antichità.
Si dirà, per chi non vorrà credere che io realmente sono innamorato, che le giacche rosse mi hanno
stregato perché mi temevano.
- Ah! Sandokan, mi sembra ancora impossibile che tu abbia potuto amare una figlia inglese.
- No! - esclamò il pirata con violenza. - No, figlia inglese, no! Essa mi ha parlato di un mare azzurro
più bello del nostro mare malese, che lambe i piedi della sua patria, di una terra che è coperta di fiori e
che è dominata da un fumante vulcano, di un eden che non è l'Inghilterra, dove si parla una lingua
armoniosa che nulla ha di comune con quella inglese.
- Ti credo, Sandokan, ma sei sicuro che suo zio acconsentirà a cedertela? Guardati bene attorno: avrei
paura che le giacche rosse approfittassero di questo amore per tenderti un agguato; tu lo sai che sono
anelanti di vedere il tuo sangue.
- E che? Crederesti tu, Yanez, che io abbia bisogno del consenso del lord per farla mia? Crederesti tu
che io avessi paura di loro? Non sono ancora un pirata di Mompracem? Non sono ancora la Tigre
della Malesia che comanda la terribile orda dei tigrotti? Non ho dei prahos per varcare il mare e
approdare a Labuan? Non ho cannoni per far saltare gl'incrociatori e spezzare i più insormontabili
ostacoli? Sì, Yanez, la rapirò e senza il permesso del lord!
- E quando l'avrai rapita, che ne farai?
La faccia di Sandokan s'abbuiò.
- Quando l'avrò rapita - diss'egli, - farò ciò che lei vorrà. Sarà il momento in cui si decideranno per
sempre le sorti di Mompracem.
- E tu vuoi proprio tornare a Labuan?
- Sì, e a rapirla in pieno giorno e più presto di quello che tu creda. Laggiù ho un rivale, Yanez: il
baronetto William.
- Chi è quest'uomo?
- Un maledetto che vorrebbe disputarmi la mano della lady, un maledetto che ho la certezza che non
indietreggerà dinanzi a qualsiasi ostacolo pur di farla sua, un maledetto infine che potrebbe rapirmela.
"Tu lo vedi, Yanez, bisogna che io mi rechi a Labuan per impedire che questo rapimento possa
accadere.
- E se questo William te la portasse via?
- Non dirlo, Yanez. Rapirmela sarebbe uccidermi.
- Ma sei sicuro che questa fanciulla ti seguirà a Mompracem? Se si rifiutasse?
- Non supporlo un solo istante, Yanez; essa mi seguirà. Me lo ha giurato quando mi amava sotto il
nome di Whu-Pulau ed è tornata a giurarmelo quando mi amò sotto il mio vero nome di Sandokan. E
poi, chi dice che io l'abbia a trarre a Mompracem? Se lei vorrà lascierò per sempre il mio nido, dove a
onta di una carriera sanguinosa, passai momenti felici, e la condurrò lontana, lontana, dove vorrà,
forse nella sua lontana patria, che ancora rimpiange.
Tra i due pirati successe un breve silenzio, durante il quale si guardarono l'un l'altro fissamente.
- E tu vorresti proprio arrischiarti ancora sulle coste di Labuan, dove fosti battuto? - chiese Yanez.
- Sì.
- Ma sai, Sandokan, che quei luoghi ci portarono sempre sfortuna, e che gl'Inglesi oggi sono più forti
che mai? Sai che oggi non siamo più noi che dettiamo le leggi e che essi minacciano Mompracem e
che aspettano il momento opportuno per distruggerci?
La Tigre della Malesia si mise a sogghignare, ma con quel sogghigno suo particolare che metteva i
brividi.
- Yanez - diss'egli con fierezza. - Quando si tratta di far valere i miei diritti di pirata sono sempre la
Tigre della Malesia che fa tremare i forti e che sgomenta gl'intrepidi. Quando si tratta di far conoscere
la mia audacia, saprò condurre ancora i miei tigrotti alla vittoria, malgrado gl'incrociatori e le
fortezze. Oggi non è solo il mio diritto e la mia audacia che mi spingono a Labuan: vi ha una fanciulla
che io amo alla pazzia. Quando sarà venuto l'istante di agire mi vedrai all'opera. , dove vedrai
brillare la lama della mia scimitarra e il mio kriss troverai cadaveri; quando udrai la mia voce, troverai
il nemico disfatto. Giammai mi sono sentito tanto forte come oggi.
- Bene, vuoi farla tua? Sia. Non parliamone più; quando si tratterà di partire, si partirà: una cosa sola
ora ti chiedo e sarà l'ultima che ti chiederà il tuo amico, il tuo fratello d'armi, poi farai ciò che ti parrà.
- Parla, Yanez - rispose Sandokan, ma che già si preparava a rifiutare.
- Quando credi che si prenderà il largo? Tu devi aver già destinato il giorno.
- Vi ha di più, ho destinato l'ora, se ti piace. Devo trovarmi all'appuntamento la mezzanotte del 6
maggio.
- Ah! Un appuntamento, di già? - esclamò il Portoghese corrugando la fronte.
- Sì, e al quale non mancherò, dovessi sfidare tutti gl'Inglesi di Labuan!
- Allora tu partirai il dì innanzi. Bene, bada a me, parti dieci giorni dopo.
- Dieci giorni dopo! Sei pazzo, Yanez? Non sai adunque che io pavento quel rivale fino a che sono
qui?
- Lo so, Sandokan, ed è bene per lasciargli tempo di compiere il suo progetto se ne ha qualcuno di
ardito, o almeno a far credere a lei che ti hanno ammazzato o annegato durante la fuga, togliendole
ogni speranza di rivederti. Credi a me, sarebbe il meglio che potesse toccarti, e sarebbe meglio per
noi.
- Lasciarmela rapire?... Farla piangere... soffrire... farle spargere delle lagrime! Mai, Yanez, mai! -
gridò il pirata fuori di sé. - E sei tu che me lo dici, tu, quello che io chiamava mio fratello? Dimmi,
quale scopo avevi per parlarmi in tal guisa?
- Quello di salvare Mompracem! - rispose gravemente il Portoghese.
Il pirata si nascose il volto fra le mani e mandò un sordo gemito, che pareva un ruggito. Il Portoghese
ebbe pietà di lui. Capì sino a qual punto fosse innamorato quel terribile uomo.
- Povero amico, sei adunque atrocemente ferito? - gli domandò egli, cangiando tono.
- , sono ferito... atrocemente ferito! Vedi, m'hai cagionato tanto male, che un pugnale nel cuore me
ne avrebbe fatto meno.
Sandokan si diresse bruscamente verso la porta, che aprì furiosamente.
- Dove vai? - gli domandò il Portoghese arrestandolo con ambe le mani.
- Ritorno a Labuan - rispose con voce rauca il pirata. Domani dirai ai miei uomini che gl'Inglesi mi
hanno ucciso. Non udranno più mai parlar di me, e tu sarai la nuova Tigre... io ritorno da lei!
- Sandokan! - esclamò Yanez circondandolo con ambe le braccia e traendolo verso di sé. - Sei pazzo
tu per ritornare a Labuan, solo, con simil volto, laggiù, dove ti daranno la caccia come una belva
feroce, dove non avrai un amico che ti difenda, quando a Mompracem vi sono cento e p uomini
pronti a seguirti in capo al mondo? Rimani, Sandokan, lo voglio. Voglio che tu ritorni l'antica Tigre
della Malesia pur amando.
I due pirati si precipitarono l'un nelle braccia dell'altro e rimasero così, stretti. Un fischio prolungato,
un fischio d'allarme li separò bruscamente. Entrambi lo riconobbero.
- Giro Batoë! - esclaSandokan, slanciandosi verso la porta sospettando qualche cosa d'insolito.
- Giro Batoë! - ripeté il Portoghese, che aggrottò la fronte, seguendolo frettolosamente.
La notte era egualmente oscura come poche ore innanzi, ma con tutto ciò i due pirati scorsero il
Malese che saliva come una scimia facendo i gradini a quattro a quattro. In pochi istanti giunse fino
alla piattaforma.
- Siete voi capitano? - domandò egli avanzandosi frettolosamente.
- Sì, e che vuoi, Giro Batoë? Che significa la tua presenza a un'ora così tarda e in un luogo ove non
hai nulla da fare? - domandò Sandokan con voce collerica. - Spicciati: se sei venuto per parlare, parla,
se non hai nulla di serio ritorna alla tua capanna prima che mi venga l'idea di gettarti dalla rupe.
- Sarò breve. I prahos sono giunti ora - disse Giro Batoë.
- Bene, e poi? - domandò il Portoghese. - Se era per venire a dirci questo, potevi andartene a dormire.
- Non è tutto. Hanno portato delle notizie inquietanti. A quanto udii un incrociatore si è fatto vedere al
sud dell'isola. Pare che sia venuto da Labuan, e che abbia idea di mostrarsi dinanzi al villaggio.
- Ah! - esclamò Sandokan. - Credono adunque le giacche rosse, che noi siamo ancora in mare? Se
sono venuti per questo, possono tornare a Labuan. Che hanno detto i nostri uomini?
- In fede mia, capitano, non si inquietano tanto e si sono accontentati di porre alcuni buoni artiglieri
dietro i terrapieni del sud. Hanno creduto bene di lasciar dormire il capitano Yanez.
- Si ignora adunque che sono ritornato da Labuan?
- Perfettamente, Tigre della Malesia. Non mi avrebbero creduto, e poi l'effetto sarà p grandioso e
più inaspettato quando comparirete in persona. Credete che abbia fatto male?
- No, mio bravo Giro Batoë. Va a dir loro di raddoppiare le sentinelle e di caricare i cannoni. No,
rimani, che voglio preparare io una graziosa burla al piroscafo quando navigherà in queste acque.
- Che hai in capo di fare? - domandò il Portoghese.
- Lo vedrai, Yanez. Aspettiamo il suo arrivo; sono sicuro che non tarderà a presentarsi dinanzi al
villaggio.
I tre pirati si accomodarono all'aperto, sedendosi sulle trincee sfondate accanto agli scheletri, cogli
occhi rivolti al sud, l'uno accarezzandosi il mento come uomo che ha trovato ciò che cercava, e gli
altri due curiosi di veder ciò che doveva accadere.
Passò un'ora senza che il piroscafo segnalato si mostrasse all'orizzonte, e durante la quale nessuno dei
tre disse parola. Si credeva già che avesse preso il largo, quando all'alba furono veduti i suoi fanali
ancora accesi che brillavano nella semi-oscurità. Veniva dal sud, navigando a un duecento passi dalla
costa e avanzandosi a piccolo vapore. Si sarebbe detto che con una insolente bravata volesse sfidare i
pirati di Mompracem.
- Eccolo - disse il Portoghese. - La canaglia si crede di essere ben forte per passare sotto costa.
- Meglio così: avrà agio di vedermi senza l'aiuto di cannocchiali - rispose Sandokan. - Ohe! Giro
Batoë, accendi un fuoco presso di me, bisogna che mi scorga bene, che gli mostri che la Tigre della
Malesia è ancora viva.
Il Malese non se lo fece ripetere. In pochi istanti accese un gigantesco falò capace di essere veduto a
venti miglia in mare.
- Bene - disse Sandokan. - Ora scendi al villaggio e dìai miei tigrotti di imboscarsi dietro le batterie.
Quando alzerò la mia bandiera che facciano ruggire i cannoni.
Il piroscafo continuò ad avanzare attirato da quel chiarore insolito passando dinanzi al villaggio a
piccolo vapore e a meno di quaranta passi dalla costa. Quando giunse dinanzi alla gran rupe,
Sandokan uscendo dall'ombra comparve improvvisamente accanto al fuoco: egli si arres
sull'estremo ciglione colle braccia tese verso di lui e l'occhio fisso su di un uomo che si teneva in
piedi sul ponte di comando.
- William! William! - esclamò egli con iscoppio furioso.
- La Tigre! - esclamò quell'uomo che non era altro che il baronetto William.
- Guardami in volto! Guardami! - urlò la Tigre della Malesia avvicinandosi ancor pall'abisso sotto
il quale rimuggiva il mare con fracasso. - Sono vivo!
Vi rispose una tremenda bestemmia seguita da una scarica di fucili.
- Arrivederci a Labuan! - disse Sandokan ghignando. - Ci ritroveremo, maledetto da Dio e quel
berrò il tuo sangue!
Si vedevano allora un centinaio di ombre agitarsi sulle batterie del villaggio.
Sandokan afferrò la rossa sua bandiera e la levò mostrandola al piroscafo, il quale cercava di virare di
bordo per accostarsi alla spiaggia.
Un primo colpo di cannone tenne dietro a quel comando, poi dieci, venti, cinquanta: le trincee, i
terrapieni, le lunette, i fossati, i prahos in un baleno s'empirono di fumo ruggendo.
Una tremenda grandinata di ferro piovette sul piroscafo demattandolo e rasandolo come un pontone,
costringendolo a prendere il largo a tutto vapore, mentre che i pirati correndo sulla costa gridavano ad
una voce:
- Viva Mompracem! Viva la Tigre della Malesia!
CAPITOLO XV
Il caporale inglese
La nuova che Sandokan era ritornato, si era sparsa colla rapidità del lampo in tutta l'isola.
Il piroscafo non era ancora scomparso che una folla delirante, composta dei più vecchi campioni della
pirateria, era di già salita sulla rupe a felicitare il gran capo del suo ritorno.
Era tanta la gioia che animava quei tigrotti, che pareva proprio che volessero soffocarlo fra gli
abbracci. Sandokan si sentiva suo malgrado commosso di quelle prove di simpatia dei suoi uomini, e
seppellendo per un istante l'abisso che lo separava da loro nella sua qualità di gran capo, abbracciava
e lasciavasi abbracciare da tutti. Era un delirio d'ambe le parti.
Non si parlò dei morti, della sconfitta, non si udì il più piccolo lamento uscire dalle labbra di
quegli uomini abituati a ogni sorta di pericoli e di dolori quantunque più di uno avesse perduto
l'amico, il fratello e persino il figlio. Quegli uomini o meglio quei tigrotti si sarebbero vergognati di
spargere una lagrima dinanzi alla Tigre della Malesia, che era il loro dio. Non si parlò nemmeno di
vendetta, ben sapendo che la terribile Tigre non avrebbe lasciato impunita una tal sanguinosa rotta.
- Amici! - disse Sandokan, dopo di aver ascoltato le loro felicitazioni. - Amici! Gli è pur vero che un
leone che aveva denti cento volte più numerosi di noi, che aveva artigli cento volte più lunghi, che
ruggiva assai di più, ha fatto mordere la polvere alla Tigre della Malesia; ma non abbiate timore, che
ver il tempo in cui gli si darà alla sua volta il colpo di grazia. Voi l'avete veduto il brigante venir a
fumare insolentemente fin sotto le temute nostre coste, credendo che la Tigre fosse morta, ma voi lo
avete pur veduto fremere e tremare, quando mi scorse las sulla mia roccia, accanto alla mia
bandiera più vivo di prima e assetato di vendetta!
"No, tigrotti, no, gli eroi che caddero pugnando sotto la coste dell'isola maledetta non rimarranno
invendicati, ve lo giuro. Andremo ancora su quella terra esecrata, e co renderemo pur noi ruggito
per ruggito, ferro per ferro, sangue per sangue. Quel giorno tigri e leoni lotteranno fino all'ultimo
sangue e i tigrotti di Mompracem divoreranno i leoncini di Labuan!...
Quelle parole, pronunciate con quell'accento feroce col quale le sapeva pronunciare la Tigre della
Malesia, furono affascinanti: i capi della pirateria si sentirono correre per le ossa un fremito di
terribile entusiasmo. Ogni braccio alzò un'arma e un solo grido irruppe tremendo da tutti i petti:
- Sangue! Sangue! Sangue!...
- E sangue sia! - rispose Sandokan.
L'adunanza ad un suo cenno si sciolse. I pirati scesero alla spiaggia urlando sempre con quanta voce
avevano in corpo.
Sandokan stette a guardare i suoi tigrotti che parevano impazziti. Crol ripetutamente il capo con
gesto ripieno di disperante tristezza e si volse verso Yanez col volto tetro.
- Ho ancora la voce della Tigre della Malesia, ma sento di non averne più il cuore - mormo egli
cupamente.
- Sandokan - disse il Portoghese posando le sue mani sulle di lui spalle, - quando saremo a Labuan
avrai anche il cuore dell'antica Tigre della Malesia.
- Sì, allora... e poi? - domandò il pirata, guardandolo in volto.
- Poi, sarà ciò che Dio vorrà. Vattene a dormire, tu sei ammalato.
- Lo so, Yanez, ma ancora per poco. Guarirò!
Il pirata che si sentiva affranto per le sofferenze fisiche e morali rientrò nella capanna, dopo di aver
lanciato uno sguardo di fuoco verso l'oriente. Il Portoghese invece discese la scala avviandosi alla
spiaggia, coll'intenzione senza dubbio di intraprendere qualche cosa di serio.
La Tigre della Malesia, dopo di aver sorseggiato qualche tazza di the che usava come fosse un
Chinese di Canton, si sedette dinanzi al tavolo più cupo che mai. Con mano nervosa fece saltare i
tappi di una mezza dozzina di bottiglie di wisky, la sua bevanda prediletta e che usava senza
parsimonia.
Si mise a bere con una specie di rabbia, vuotando un dopo l'altro parecchi bicchieri quasi avesse
l'intenzione di soffocare la gelosia che lo rodeva e i timori che l'agitavano. Si arrestò al sesto
bicchiere.
- Ah! - esclamò con voce sempre più sorda. - Potessi addormentarmi e non risvegliarmi che il dì della
partenza. Questo amore mi rode atrocemente; questa impazienza mi uccide!...
Si mise a camminare per la stanza calpestando i tappeti, rovesciando le bottiglie e infrangendo i
cristalli ammucchiati negli angoli, poi andò fermarsi dinanzi all'armonium che aprì.
- Darei mezzo del mio sangue per poter cantar pur io una di quelle care canzoni che lei cantava
quando languiva vinto e ferito sul letto del dolore. E non è possibile, non mi rammento più nulla. Era
una lingua straniera, e quando la udiva mi sembrava di essere ebbro... ah! come eri bella allora, come
eri divina Marianna!...
Fece scorrere le sue dita sulla tastiera e si mise a suonare cercando rammentarsi qualche nota che non
gli fosse del tutto sfuggita, arrestandosi per cercarne qualche altra che non trovava più e tentando ma
invano di imitare la voce della napoletana. Dalle note flebili e dolci allora bal improvvisamente a
quelle sorde, cui voleva improntare d'ironia e di sogghigni, poi si mise a suonare rapidamente ciò che
gli saltava in capo, quasi volesse stordirsi. Toccò tre o quattro di quelle romanze selvaggie, tutte sue
proprie, poi s'arrestò come se un nuovo pensiero l'avesse colpito.
Ritornò al tavoliere colla testa in fiamme e afferrando con mano convulsa un bicchiere lo empì sino
all'orlo. Egli guardò attentamente in fondo della tazza.
- Ah! Vedo gli occhi di lei nel fondo della tazza! - escla ridendo d'un riso insensato.
La vuotò, la empì e tornò a vuotarla, guardandone sempre il fondo come lo attirasse.
- Ah! Ah! - continuò il pirata che perdeva a poco a poco le facoltà mentali sotto l'ubbriachezza che
s'impadroniva di lui. - Ah! Ah! Vedo tutto rosso, tutto sangue!... Avanti, fantasmi, avanti, venite a
sedere di fronte a me, là, bevete, bevete... il liquore arde ma addormenta, il mondo sembra un sogno
dorato, sì, tutto un sogno dorato... bevete, bevete che le giacche rosse dormono anch'esse, bevete,
bevete che dorme anche la Perla!...
Il pirata continuò a bere senza più numerare i bicchieri, ingollando il wisky come fosse semplice
acqua, abbandonandosi a una terribile ebbrezza che diventava per lui un sollievo, alternando alle
parole insensati scrosci di risa.
- Marianna! - gridava egli alzando le braccia come cercasse di afferrarla e tentando di abbandonare la
seggiola. - Marianna, aspetta ancora, che i miei pirati abbiano bevuto sangue, poi verrò da te. Aspetta
che le polveri bagnate dal wisky sieno asciutte, che le scimitarre sieno lucenti, e poi ti raggiungerò a
dispetto del lord, poi sarò tuo come tu sarai mia... Sì, sì, io verrò a Labuan che dovrà fremere al mio
avvicinarsi e accompagnato dal corteo dei fantasmi che chiedono vendetta, che chiedono sangue... Io
sono forte, sono l'aquila di Mompracem, il dio dei miei pirati... aspetta ancora, io vengo.
Sandokan cercò rizzarsi poi si mise a ridere d'un riso stupido e continuò a bere.
- Verrò dove tu vorrai, amor mio - continuò egli, - laggiù, in un'isola deserta, in un eden, lontano da
questi mari che potrebbero attirarmi, lontano da questi fantasmi che assordano le mie orecchie giorno
e notte, lontano dai miei uomini che potrebbero tradirti, che potrebbero ucciderti, avvelenarti, perché
io rimanga sempre la terribile Tigre della Malesia!
"Guarda... guarda, Marianna, io ti porterò meco, partiremo soli, di notte... di notte oscura perché
non abbiano a farti paura e non abbiano a separarci. Andremo a trovar le gioie nell'isola che ti ho
promesso, e il Portoghese... capisci, il mio fratello, verrà con noi, ci difenderà!... Su, su, bevete anime
perdute, bevete con me che le giacche rosse dormono ancora. Ah! Ah! Ah!... Stu una seconda
bottiglia e si versò da bere girando attorno uno sguardo inebetito. Gli semb vedere delle ombre
volare dinanzi agli occhi che ghignando folleggiassero mostrando kriss, scuri e scimitarre
insanguinate. In una di esse, che sogghignava più di tutte credette di scorgere il baronetto William. Si
sen preso da un impeto di collera e tremò tutto digrignando i denti. Egli agitò le braccia come
volesse afferrarlo.
- Ti vedo... sì, ti vedo, odo i tuoi sogghigni, maledetta giacca rossa, ma se posso afferrarti guai, guai a
te. La Tigre della Malesia succe il tuo cervello. Tu vuoi rubarmela, lo vedo nei tuoi occhi nei quali
leggo come su un libro aperto; tu ridi perché hai il lord, lo stupido che ha curato il pirata, l'insensato
che mi ha lasciato fuggire! Ah! Ah! Non riderai troppo, mi vedrai tra breve illuminato dalle fiamme
degli incendi, in mezzo alle fiamme come mi hai veduto ancora, quando passavi... non mi ricordo più
dove... ma mi hai veduto! Se hai sete vieni a bere nella mia tazza che non contiene ora veleno. Vieni a
bere anche tu come hanno bevuto i fantasmi!...
Il pirata alzò la tazza come per presentarla all'ombra, poi la lasciò cadere spezzandola. Tornò a ridere.
- Non si vuol che beva? Chi è che non lo vuole? Ah! siete voi, tutti i miei uomini! Vedi, Marianna,
non vogliono che io ti ami perché hai del sangue... del sangue inglese. Sì, deve essere così, non
vogliono che ami! Ah! Ah! Ma ti farò mia lo stesso, poi farò ciò che tu vorrai, sì io li tradirò...
saranno puniti, Mompracem cadrà, e Labuan... oh! Cadrà pure, cadrà!...
Egli era giunto allora al colmo dell'ebbrezza. Si sentì prendere da una smania di distruggere e rovesciò
il tavolino mandando sottosopra e bottiglie e tazze che si infransero con fracasso. Dopo reiterati sforzi
poté rizzarsi e si mise a camminare per la stanza barcollando, aggrappandosi alle mobiglie.
- Vi vedo tutti, , vi vedo, ma aspettate che ora giungerà la Tigre!... Silenzio schifosi cani. Chi dice
che io non sia la Tigre?
Il delirio, il tremendo delirio che l'assaliva nei momenti di furore e d'ebbrezza lo prese. Sostenendosi a
malapena, appoggiandosi ai muri, rovesciando il vasellame e spezzando le vetraglie e urlando come
un pazzo s'impossessò di una scimitarra. La guardò per alcuni istanti con feroce gioia, lasciò sfuggire
dalle labbra un gran scroscio di risa selvaggie e si mise a menare colpi disperati correndo dietro ai
fantasmi che parevagli vederseli folleggiar d'intorno, lacerando le tappezzerie, avventando tremendi
colpi sugli scaffali, sulle tavole, sulle casse, sull'armonium, brancolando, incespicando, ridendo,
bestemmiando e ruggendo come una belva feroce.
Guai a colui che in quei momenti gli si fosse presentato dinanzi. Il Portoghese stesso non sarebbe
stato risparmiato dalla scimitarra del delirante. Urlò per mezz'ora, combattendo come un dannato
come se si trattasse di dover sbaragliare un intero esercito, facendo piovere dai vetri infranti degli
scaffali torrenti d'oro, d'argento e di perle, poi le forze gli vennero improvvisamente meno e cadde in
mezzo ai rottami addormentandosi profondamente.
Dormì tre o quattro ore e quando si svegliò trovossi coricato sull'ottomana dove i suoi Malesi
l'avevano portato.
I vetri spezzati erano stati g tolti di , gli ori e le perle erano state ricollocate scrupolosamente al
loro posto, i mobili rovesciati erano stati raddrizzati e raggiustati alla meglio. Solo si vedevano le
traccie lasciate qua e là dalla scimitarra sulle muraglie e sulle tappezzerie ancora lacerate.
Il pirata si stropicciò gli occhi e si passò più volte le mani sulla fronte come cercasse rammentarsi
dell'accaduto.
- Non posso aver sognato - mormo egli. - Sì, era ubbriaco e mi sentiva felice, oh! sì, molto felice.
Orsù, il fuoco spento ricomincia a serpeggiarmi nelle vene. Che non lo possa io spegnere mai più?
Si strappò di dosso la divisa del sergente Willis, indos nuove vesti, scintillanti per le perle sparse a
profusione, e uscì.
Il sole era ancora alto; non potevano essere che le quattro. Aspirò una boccata d'aria marina che
dissipò compiutamente gli ultimi resti dell'ubbriachezza e percorse collo sguardo il mare che
estendevasi a perdita d'occhio ai suoi piedi.
Egli rimase alcuni minuti, collo sguardo fisso fisso all'est, verso Labuan, col volto tristo e truce
insieme, poi scese la scala dirigendosi alla spiaggia dove i suoi pirati lavoravano attivamente attorno a
nuove trincee ed ai terrapieni. Chiamò Giro Batoë che s'affaccendava a porre in batteria un enorme
cannone.
Il Malese fu lesto ad avvicinarglisi.
- Dov'è il Portoghese? - gli domandò Sandokan.
- Ha preso il largo a bordo di uno dei più rapidi prahos, dopo di essersi intrattenuto a parlar qualche
tempo con un indigeno. Mi sembche parlassero di una pericolosa spedizione ma non ha preso con
sé che una ventina d'uomini.
- Non sai dove andava adunque? - chiese Sandokan, diventato d'un tratto pensieroso.
- No, non ha detto nulla - rispose il Malese. - Mi pareva però preoccupato.
- Da dove veniva l'indigeno?
- Dal nord e ha preso pure il Portoghese la via del nord accelerando la corsa coi remi. Doveva avere
gran fretta.
Sandokan stette qualche istante silenzioso guardando il mare poi volgendosi bruscamente verso il
Malese che lo guardava attentamente come volesse leggergli negli occhi:
- Va a prendermi un moschetto, Giro Batoë. Andremo a cacciare il cignale nella foresta.
Il Malese partì come il vento e tornò poco dopo colla carabina. Sandokan se la gettò ad armacollo e
internossi col compagno nella foresta vicina.
Batterono i dintorni tutta la giornata senza aver scambiato parola, ammazzando una dozzina di
pappagalli e un piccolo babirussa sorpreso in una macchia. Dopo di aver percorso parecchie miglia,
lasciando qualche brano di vesti fra le spine e di aver fatta una breve fermata nella capanna di un
Cinese a vuotare una bottiglia di tafià, ritornarono alla spiaggia al tramontare del sole. Sandokan che
alla mattina era cupo, pareva felice.
Doman ancora del Portoghese, ma non era ritornato. Quella risposta lo preoccu e divenne
pensieroso.
- Che si sia spinto fino sulle coste di Labuan? - mormorò egli. - Che ne pensi tu, Giro Batoë?
- Io penso che egli avrà fiutato qualche cosa d'insolito, capitano - rispose il Malese che sgambettava ai
suoi fianchi. - Il negro deve avergli comunicato qualche cosa d'importante dalla fretta con cui prese il
largo. Chi sa che non si tratti d'Inglesi? Non sarei sorpreso se stesse cacciando qualche vaporiera
verso Labuan.
- Potrebbe darsi, Giro Batoë, solo mi sorprende come abbia preso con sé così pochi uomini.
- Sì ma ha fatto imbarcare i tre più grossi cannoni da caccia che vi sieno in Mompracem, e ha scelto il
fiore dei coraggiosi. Con simili forze, si possono fare grandi cose, capitano.
- Ah! È così adunque? - disse Sandokan. - In tal caso, preoccuparsi sarebbe una follia. Ehi! Giro
Batoë, cercami tre o quattro dei più arrabbiati bevitori fra i capi dei prahos e vieni con essi a trovarmi
lassù. Ho bisogno di bere, ho bisogno di dormire. Senza wisky non chiuderei occhio.
Egli ritornò alla sua capanna. Girò e rigirò a casaccio fra le trincee come cercasse qualche cosa e finì
col sedersi sul ciglione della rupe coi piedi penzolanti, guardando all'oriente cercando scoprire il
prahos del Portoghese e lanciando i suoi pensieri al di là del mare verso Labuan e meglio ancora alla
villa. Rimase così fino a notte inoltrata, inebbriandosí dell'aria marina, pensieroso, ancora cupo,
porgendo orecchio al muggito del mare che frangevasi furiosamente ai piedi della rupe e mirando
quelle onde che pur bagnavano le coste dell'isola di Marianna, poi rientrò nella sua capanna dove i
capi dei prahos lo aspettavano colle tazze colme in mano.
Passò una gran parte della notte gozzovigliando con loro, e andò a dormire a ora assai tarda, dopo di
aver vagato a lungo sulla piattaforma della rupe, per calmare le arsure che lo divoravano.
Dormì pochissimo e sempre sognando cose lugubri; venne destato da Giro Batoë all'alba.
- Che vuoi? - chiese Sandokan.
- Il Portoghese è in vista della costa - rispose il Malese.
Sandokan s'affrettò a uscire e scorse subito il prahos che veleggiava a tre o quattro miglia dalle coste,
colla rossa bandiera ondeggiante a poppa. Il povero legno era ridotto in uno stato compassionevole.
L'albero di trinchetto era spezzato raso il ponte, quello di maistra si sosteneva a malapena con una
fitta rete di paterazzi e di sartie. Murate e madieri erano tutti fracassati, schiantati e tempestati di
stoppacci che chiudevano numerosissimi fori.
- Se non m'inganno, il prahos si è ben battuto - disse Sandokan. - Come mai non trae a rimorchio
preda alcuna?
- Potrebbe darsi che avesse nella stiva qualche tonnellata di minerale giallo - rispose Giro Batoë.
- Forse... Oh! Dimmi, Giro Batoë, non vedo sul ponte vicino a un cannone, un uomo che sembra
legato? Per Allah! Egli porta un vestito rosso!
- Sangue di Maometto! - esclamò Giro Batoë portando le mani dinanzi agli occhi per ripararli dal
sole. - Quell'uomo è una giacca rossa. Eh! Sarebbe una bella presa, capitano, per avere notizie da
Labuan.
- Ma vuoi tu che Yanez si sia spinto fino alle coste di quell'isola? Bisogna che abbia calato a picco
qualche vaporiera. A ogni modo andiamo a vedere.
I due pirati scesero sulla spiaggia dove si erano radunati tutti i pirati del villaggio.
Il prahos che avanzava frettoloso era allora vicinissimo. Il Portoghese Yanez scorgendo Sandokan
alzò le mani in aria stropicciandole l'una contro l'altra con far allegro.
- Buona preda, Sandokan! - gridò poscia additando il soldato inglese. Cinque minuti dopo il legno
gettava l'âncora nella piccola rada. L'imbarcazione venne calata in mare e portò a terra Yanez, il
soldato inglese e sette pirati più o meno gravemente feriti.
- Ebbene, fratello - disse Sandokan. - Da dove vieni?
- Puoi vederlo che vengo dal mare - rispose Yanez, - e che ti porto una preda preziosissima che pescai
proprio nel momento che se ne andava a picco. Vieni lassù alla nostra capanna, Sandokan, e ti
racconterò qual valore abbia questa preda.
- Hai saccheggiato qualche brigantino inglese? Oppure ti sei spinto fino a Labuan?
- Né l'uno l'altro, amico mio. Non ho preso nemmeno un pugno d'oro, ho invece ricevuto ferro a
volontà che ha demattato completamente il mio povero legno, una vera pioggia di bombe che faceva
saltare i miei uomini sopra e sotto coperta. Che tempesta! Mi ha ammazzato due tigrotti e me ne ha
rovinato altri sei o sette. Orsù, fratello mio, andiamo alla capanna e tu, Giro Batoë, tieni bene d'occhio
questa giacca rossa e sta attento che non abbiano a guastarmela interamente.
La raccomandazione capitava a tempo, poiché i pirati avevano circondato il prigioniero strappandogli
la barba e i capelli e lacerandogli per derisione i suoi argentati galloni da caporale.
Giro Batoë affrettossi a levare dalle loro mani il povero diavolo che urlava di dolore e lo condusse
nella sua capanna dopo di averlo ben bene legato. Yanez e Sandokan salirono sulla piattaforma della
rupe e s'accomodarono fra le trincee.
- Orsù, Yanez, racconta - disse la Tigre. - Non vedi che io ardo d'impazienza? Sei stato a Labuan?
- Per quanto il prahos camminasse, non avrei avuto il tempo per essere di ritorno così presto. Quando
ti lasciai, aveva l'idea di corseggiare nelle acque dell'isola per cercare se era possibile di avere qualche
notizia sulla lady. Stava per dare gli ordini opportuni perc armassero uno dei più grandi prahos
quando incontrai il Nano che veniva dal nord ov'era stato a pescare.
- Bene, e poi?
- Il birbone mi raccontò che mentre tornava s'imbatté in un sospiratore affannato che andava frugando
i seni della nostra isola. Tu sai già, che un sospiratore affannato è una vaporiera.
- E tu l'hai inseguita?
- Aspetta un po', fratello mio, che abbiamo del tempo dinanzi. Mi sono messo subitamente in mare col
fiore dei più coraggiosi e tre dei p grossi cannoni che abbia Mompracem. A sera scoprimmo la
vaporiera che fumava allegramente ritornandosene a Labuan. Con un colpo di cannone la facciamo
avvisata che noi eravamo vicini, uno stupendo colpo che va a mozzarle nettamente la ciminiera.
Viriamo di prua tagliandole la ritirata e cominciamo la musica.
"Bisogna proprio dire che avesse a bordo gente dal fegato grosso. Ruggivano come noi e ci
malmenavano per bene, ma per mille saette! la coprimmo di ferro.
"I suoi fianchi si aprivano crepitando sotto la nostra mitraglia che batteva furiosamente in breccia e il
suo ponte si seminava di cadaveri. Fumava e fischiava così terribilmente da credere sul serio che fosse
sempre lì lì per saltare.
"Gli tiriamo una bordata sul ponte con tutti e tre i cannoni. Due giacche rosse che si tenevano in piedi
sulla murata di poppa come equilibristi giapponesi, capitombolano in mare. Era quello che voleva. La
vaporiera infuriava e non parlava di resa, non vi era da guadagnare continuando la danza; gli
mandiamo un'altra fiancata, in forma di saluto sull'attrezzatura e cediamo il passo. Mentre se ne
fuggiva tutta fumante, credendo ancor un sogno di averla scampata bella, noi peschiamo bravamente i
due uomini; uno era morente colla testa fracassata e l'altro era vivo e te lo riporto. Egli ha l'aria di
saperla molto lunga sul conto di quel baronetto di cui tu me ne hai parlato, e di più, viene da Labuan.
- Da Labuan? - esclamò Sandokan. - E che ti raccontò egli?
- Eh! Il mariuolo ha la lingua corta, Sandokan, e ho dovuto penare per farlo cantare.
- Vieni con me, Yanez; noi lo faremo parlare e a chiare note.
Si alzò rapidamente, scese la scaletta e raggiunse in un lampo la capanna di Giro Batoë, sempre
seguito dal Portoghese che si stropicciava allegramente le mani come uomo che è perfettamente
contento.
Il soldato, un caporale a giudicarlo dai resti dei gradi lasciatigli dai pirati, era legato solidamente a un
anello di ferro e guardato da Giro Batoë che non era riuscito a strappargli una parola, dopo di avergli
parlato inglese, malese e cinese. Alla vista di Sandokan, egli manifestò qualche sorpresa, guardandolo
attentamente dalla testa ai piedi ma senza dir verbo.
- Mi riconosci forse? - domandò il pirata avvicinandosi, mentre Giro Batoë, a un cenno del
Portoghese, usciva.
Il caporale si strinse nelle spalle ed ebbe un sorriso la cui espressione non isfuggì al pirata.
- Se ti avessi visto una sola volta - disse egli, - non avrei dimenticato mai un volto così truce come il
tuo, che sa di pirata a una lega di distanza.
- Bene - disse freddamente Sandokan, - guardami bene in volto. Io sono la Tigre della Malesia!
L'Inglese si mise a sogghignare crollando ripetutamente il capo con moto dubitativo.
- La Tigre della Malesia non può essere ritornata a Mompracem. Essa è ancora laggiù, a Labuan, sotto
le foreste inseguita come una vera tigre da tutti i cacciatori della colonia. Forse a quest'ora è anche
morta.
- Guarda, io era nella villa di lord Guillonk quando i tuoi hanno circondato il parco; ho atterrato il lord
e sono passato in mezzo alle baionette dopo di aver spaccato la testa a uno che aveva avuto l'ardire
d'insultarmi. Il baronetto, che voi chiamate William, comandava la spedizione; m'inganno io?
- No; io faceva parte di coloro che circondavano il parco - rispose il soldato.
- Io sono fuggito sotto la foresta - continuò Sandokan, - ho spogliato il sergente Willis dopo di averlo
battuto, ho ingannato tutti i soldati co travestito, e sono giunto alla costa la sera del 26 aprile col
Malese che ti custodiva poco fa. Credi ora tu che io sia la Tigre della Malesia?
- Potrebbe darsi - rispose il soldato, che però non dubitava più di avere la Tigre in persona dinanzi.
- Sai che la Tigre sarebbe capace di bere il tuo sangue e di strapparti il cuore e divorarlo ancor
palpitante.
- Forse! - Ma il soldato, nel pronunciare la parola impallidì, la qual cosa non sfuggì a Sandokan che lo
guardava attentamente.
- Discorriamo allora e non cacciarti in mente di restar muto. Quando io sono fuggito dove m'avete
dato la caccia?
Il soldato non rispose, anzi si morse le labbra perché non uscisse una sola parola.
- Cominci male, cane d'Inglese! - esclamò Sandokan che si sentì preso da un impeto di collera. - Bada
bene, vi sono kriss che tagliano un corpo in diecimila pezzi, tenaglie roventi che strappano la carne a
brano a brano, piombo liquefatto da far sorseggiare ai ricalcitranti e del fuoco per farli arrostire
lentamente. Voi mi avete dato la caccia verso il sud, te lo dirò io, poi siete ritornati al nord e non
trovandomi, sospettando che io avessi di g preso la fuga, vi siete messi in mare. Bene, parlami ora
del baronetto William e di lord Guillonk. Che ha fatto il primo?
- Io non lo conosco, non so nulla; mi hanno mandato al nord - rispose il caporale.
Sandokan pose mano al kriss. Avvicinossi al caporale che impallidiva come un morto e glielo pun
alla gola facendone uscire una goccia di sangue. Il prigioniero gettò un grido di dolore.
- Parla o ti ammazzo - disse freddamente il pirata senza staccare il kriss che beveva sangue.
- Parlerò, lasciatemi! parlerò, vi dirò tutto. Il baronetto è ritornato alla villa più cupo del solito e
bestemmiando. Vi aveva cacciato tutta la giornata, la notte e il dì seguente ora all'occidente e ora al
sud senza trovarvi. Egli aveva promesso al lord di portare la vostra testa, per avere la mano di sua
nepote, milady Marianna. Quando ha veduto che le ricerche riuscivano infruttuose, era in preda al
furore. Ha comandato ai piroscafi di mettersi in mare.
- Continua, continua! - esclamò Sandokan, che non perdeva sillaba.
- Io faceva parte della scorta del baronetto e sono salito con lui nella villa dove il lord lo aspettava
ansiosamente, bestemmiando per non potersi mettere anche lui in caccia. Aveva una ferita in una
gamba fattagli inavvertitamente dalla Tigre della Malesia nel mentre che disputavagli il passo.
- Lo aveva ferito dunque io? Spicciati, parla, se ti è cara la vita.
- , la Tigre accidentalmente a quanto asserì egli, l'aveva ferito. Il lord udendo come la caccia non fosse
riuscita perdette la calma e inveì contro il baronetto che giurava di pigliarvi tardi o presto. Non si
calche dopo qualche ora, ma la sua ira tornò a scoppiare quando vide sua nepote milady...
- Lei! Lei! Marianna! - esclail pirata, che sen il sangue montargli alla testa. - Parla! Parla, cane
d'Inglese, spicciati ma non ingannarmi, capisci. Mi sentirei capace di farti a brani colle mie mani.
Il soldato vedendolo in quella maniera, ebbe paura. Un'occhiata del pirata l'obbligò a tirar innanzi.
- Ne seguì una scena violenta - diss'egli con voce tremante. - La giovanetta piangeva, invocando pietà
per voi.
- Ah! - esclamò Sandokan con voce che non aveva più nulla di umano. - Lo senti Yanez? Lo senti?
- Continuate - disse il Portoghese. - Ma un avviso prima: se parli avrai la libertà e se taci ti faremo
abbruciar vivo. Bada che le tue parole sieno vere. Tu rimarrai qui prigioniero finché noi andremo a
Labuan, quindi al nostro ritorno potremo sapere se tu hai mentito. Tira innanzi ora e sta bene in
guardia.
- Non v'inganne - rispose il soldato che si vedeva in piena balia dei pirati. - La giovanetta pregava,
il lord bestemmiava contro la Tigre. Fu allora che la lady, che dicesi si sia innamorata del terribile
corsaro, udendo che lo si insultava, si precipitò addosso al suo zio giurando che sarebbe fuggita se
non cessava dal vituperare un nome a lei tanto caro.
"Il lord dopo un vivo alterco la lasciò sola uscendo col baronetto William...
- Bene, e poi? - chiese Sandokan che sentivasi il cuore battere furiosamente.
- Hanno parlato a lungo assieme, e il lord ha finito col cedere la mano di sua nepote al baronetto a
patto che questi entro un anno gli porti la testa della Tigre.
- Avanti! Avanti!...
- Fra tre o quattro giorni lady Marianna Guillonk diverrà la moglie del baronetto William Rosenthal!
Sandokan aveva gettato uno spaventevole urlo come di belva ferita. Egli barcollò e chiuse gli occhi.
- Fra tre giorni! Fra tre giorni! - ruggì egli con indefinibile accento.
Si raddrizzò, avvicinossi al soldato che non capiva il perché di quella terribile alterazione, e l'afferrò
per le braccia tenagliandogli le carni e scuotendolo con furore.
- Guardami bene in volto! - gli gridò agli orecchi. - Io sono la Tigre della Malesia!
- Oh!...
- Se tu mi hai ingannato guai a te!
- Vi giuro che dissi la verità.
- Sta bene. Tu rimarrai e io volerò a Labuan. Quando tornerò sarai libero e ti darò tanto oro quanto
pesi, ma se hai mentito, ti farò soffrire mille torture. Vattene, cane, e medita.
Il pirata si volse al Portoghese che lo guardava fisso colle braccia incrociate.
- Partiamo, Yanez - gli disse con voce risoluta.
- Partiamo, Sandokan - rispose il Portoghese.
E i due uomini uscirono a rapidi passi.
CAPITOLO XVI
La spedizione di Labuan
L'audace quanto rapida risoluzione di Sandokan non aveva che uno scopo: impedire il matrimonio, si
dovesse pure mettere a ferro e a fuoco l'intera Labuan, rubando la giovanetta che ormai si credeva in
pieno diritto di far sua.
La spedizione, alla quale prendeva parte anche il Portoghese, fu deciso che avesse a comporsi per
prima di un solo prahos montato da un numero limitato di scelti pirati, onde non allarmare gli
incrociatori inglesi.
Sandokan non ignorava che una imprudenza poteva cagionare una vera catastrofe, come non ignorava
che fosse capace di fare lord James per impedire che sua nepote avesse a cadere fra gli artigli della
Tigre della Malesia.
Poteva darsi che il maledetto insospettito avesse ad abbandonare Labuan portando seco Marianna, e si
ritirasse nei possedimenti inglesi di Sarawak sotto la potente protezione di James Brooke, e il pirata
che sentiva di non poter guarire dalla terribile malattia che albergava nel suo cuore, voleva a ogni
costo distruggere anche il più piccolo dei sospetti.
L'ordine di mettersi in mare venne, di conseguenza, subito dato. I pirati, che da tanto tempo
agognavano questa spedizione su Labuan per dissetarsi, e trarne tremenda vendetta, al comando della
Tigre si precipitarono come un sol uomo verso i prahos, agitando furiosamente scimitarre e scuri.
- Vendetta! Sangue! Sangue! Abbiamo sete Tigre! moriamo dalla sete! - erano le sole grida che si
udivano uscire da quella folla frenetica entusiasmata.
Sandokan dovette usare tutta la sua autorità per impedire che s'imbarcassero tutti; egli ne scelse
venticinque dei più risoluti, e dei p forti, anime perdute che avrebbero messo a sacco la Mecca
stessa quantunque maomettani, vere tigri che non avrebbero esitato un solo istante a gettarsi anche su
di un reggimento intero.
Uno dei più grandi e dei p solidi prahos, coi madieri rivestiti di lamine di ferro, armato di quattro
cannoni da dodici e zeppo d'armi, fu subito messo a disposizione dell'audace banda.
Un momento prima di partire, mentre che l'equipaggio stava imbarcando una mezza dozzina di
spingarde di grosso calibro, Sandokan chiamò attorno a sé tutti i pirati della costa e mostrando loro il
Malese Gira Batoë:
- Ecco un uomo che ha la fortuna di essere coraggioso come una vera tigre - disse egli. - È uno dei
due che sopravvissero alla sfortunata spedizione di Labuan. Mentre io parto, ubbidite a lui come
ubbidivate a me.
Stette un momento silenzioso guardando il mare, poi traendolo verso la spiaggia:
- Ascoltami, Giro Batoë - gli disse. - Noi andiamo a Labuan; tu conosci la foce del fiumicello e puoi
condurre dei prahos alla piccola palude senz'essere visto dagli incrociatori. Tu sai che venticinque
uomini sono pochi per cozzare contro gl'Inglesi dell'isola che si tengono in guardia. Odimi bene ora:
lascia scorrere due giorni, poi vieni a raggiungermi alla palude con una settantina dei più valorosi
tigrotti e due prahos. Io sarò là ad aspettarti.
- Bene, capitano, vi sarò - rispose il Malese.
- Un'ultima raccomandazione, Giro Batoë. sorvegliare attentamente il caporale; se ci scappa può
rovinarci. Addio.
Ciò detto Sandokan, salutato da tutti i pirati, salì sul prahos dove l'aspettava Yanez.
- Partiamo - diss'egli brevemente.
A un cenno del Portoghese la gomena fu ritirata a bordo e le vele furono sciolte. Il piccolo legno
abbandonò la darsena e uscì in pieno mare colla prua volta a Labuan.
Il cielo era sereno e il mare calmo come l'olio, però al sud apparivano certe nuvolette di una tinta
particolare e di una forma strana, che non promettevano nulla di buono. Sandokan che oltre essere un
cannocchiale vivente poteva chiamarsi un barometro vivente, fiutò qualche perturbamento
atmosferico non troppo lontano. Tuttavia non se ne inquietò, prima conoscendo le buone qualità
nautiche del suo legno che aveva lottato più volte coi p terribili cicloni, poi deciso di tutto sfidare
purché approdare il più presto che fosse possibile a Labuan, dove i più forti motivi lo spingevano.
- Se alcuna forza umana fu mai capace di arrestarmi, meno ancora mi arreste la tempesta - diss'egli
al Portoghese. - Mi sento tanto forte nella passione da sfidare anche la natura.
- Credi che avremo tempesta? - chiese Yanez.
- Sì, fratello mio, e una tempesta che se non m'inganno ci farà rollare terribilmente.
- E non la temi?
- Temerla! Come posso temerla, quando Marianna m'aspetta, quando Marianna corre un pericolo?
Vedi, Yanez, sono ammalato, ma atrocemente ammalato e a segno, che se io avessi a perdere la cara
giovanetta, mi suiciderei. Ho la gelosia che mi avvelena il sangue, mi sembra avere mille serpi che
rodano il cuore, mi sembra avere un vulcano qua, in mezzo al petto e che mi faccia ribollire il sangue.
Bisogna che la faccia mia, come tu vedi, perché io possa guarire e la farò. Non mi fanno paura né le
loro navi, le loro forze, solo ho paura dei tradimenti, ma mi sento tanto forte e le forze mi vanno
così crescendo man mano che mi avvicino a Labuan e che la passione ingigantisce da sfidarli. Sfiderei
Maometto e Dio stesso.
- Ma vorresti tu cacciarti sotto il naso di qualche incrociatore, Sandokan, se esso avesse l'idea di
sbarrarti la strada? Sarebbe pazzia, sarebbe un mettere in sull'avviso il lord ed il baronetto che si
affretterebbero a ritirarsi in mezzo ai loro compatrioti se non trovano di meglio di battere in ritirata
fino a Sarawak per essere più sicuri.
- E che, Yanez, vorresti tu che io dovessi ritornarmene a Labuan un'altra volta? No, te lo giuro, fratel
mio, attaccherò qualsiasi legno che mi sbarrerà la via.
- Non dico questo. Se si vuol arrivare in tempo d'impedire il matrimonio e di prevenire la loro fuga,
bisognerà andar innanzi anche se dieci incrociatori vegliano. Ma abbiamo prudenza, non destiamo
all'armi che in questi momenti sono più che pericolosi; cerchiamo assumere l'aria di onesti trafficanti
in rotta per Varauni tanto da ingannare i p astuti lupi di mare. Quando saremo fuor di pericolo
faremo rotta falsa, e con quattro bordate e una arrancata, se il vento non ci sarà propizio, andremo a
Labuan. Si troverà bene qualche fiumicello o qualche calanca da nascondere il prahos a occhi troppo
indiscreti.
- Hai ragione, Yanez, giuocheremo di astuzia ora, poi giuocheremo col cannone.
- Meno che sarà possibile, Sandokan - disse il Portoghese. - Siamo venticinque e dei più risoluti, altri
sessanta verranno dopo: benissimo, saremo in tutto novanta tigrotti, ma non bisogna commettere
pazzie e urtarsi con tutta Labuan. A che creare imbarazzi quando si possono evitarli? Non mi hai
assicurato tu, che la giovanetta ti seguirà ovunque?
- Sì, essa me lo ha giurato - rispose Sandokan il cui ricordo gli strappò un sospiro.
- Bene, nulla di p facile, una bella notte, il più presto che sia possibile onde evitare guai, andare al
parco senza destar all'armi. Comprendi il resto. Se la rapi senza far fracasso, quando gl'Inglesi si
saranno accorti del bel tiro, noi saremo lontani e su falsa via perché non abbiano a raggiungerci coi
loro dannati vapori che filano di più dei più rapidi prahos. Andremo sulle coste del Borneo per
esempio, mentre essi fileranno verso Mompracem. Vi saun doppio giuoco.
- E credi tu che la villa non sia guardata, Yanez? Oh! Io li conosco quel lord e quel baronetto: essi
sanno bene che sia capace di fare la Tigre. Dormiranno con un sol occhio o meglio ancora, saranno
svegli con qualche compagnia di soldati o di marinai, coi quali bisogne venire bravamente alle
mani.
Il Portoghese si mise a mordere i mustacchi come faceva quando era imbarazzato.
- Io penso, Sandokan - disse egli, - che tu possa avere ragione. In tal caso ti suggerisco una via di
mezzo senza aver bisogno di precipitare gli avvenimenti nel fondo dei quali si potrebbe trovare una
seconda sconfitta e tu sai che si sfugge difficilmente due volte a simili pericoli. Non arrischiamo i
nostri venti uomini contro delle muraglie dietro le quali vi possono essere delle centinaia d'uomini.
Prendiamo le cose con calma e aspettiamo gli altri. Che ne dici?
Sandokan non rispose. Il suo sguardo dopo aver percorso il mare erasi arrestato sulla nuvoletta poco
prima osservata che andava sempre più oscurandosi.
- Orsù, fratello, a che vai pensando? - chiese Yanez.
- Che il tuo piano potrebbe convenire ad altri ma non a me. Ma lasciamo le cose lì come stanno. Sai,
Yanez, che le giacche rosse avranno un alleato?
- Un alleato? Forse il sultano di Borneo? O forse quel dannato Inglese che governa a Sarawak?
- l'uno l'altro fino ad ora. Parlo dell'uragano che si avanza a gran passi. Il miserabile fra poco
vera subissarci colle sue ondate. Ma non aver paura, Yanez, che lo sfideremo. Io andrò a Labuan a
dispetto di tutte le tempeste del globo.
- Credi tu che il vento ruggirà?
- Sì e fortemente, ma saremo pronti a riceverlo. Lo vedrai, Yanez, domani a notte getteremo l'âncora
sulle coste di Labuan.
Sandokan abbandonò il Portoghese che si era messo a guardare le nubi con qualche inquietudine, e
andò a sedersi sul cannone di prua col capo stretto fra le mani e gli occhi fissi all'oriente fantasticando
sui suoi progetti.
Egli si sentiva suo malgrado invaso da mille timori, non per la tempesta della quale se ne rideva, non
per Mompracem che ormai era destinata a tramontare ma per la giovanetta abbandonata fra le braccia
del lord e del baronetto.
L'impazienza lo rodeva come lo rodeva la gelosia. Calcolava la distanza che lo separava da Labuan,
contava metro per metro la via guadagnata, trovando che il vento era debole e il suo prahos una
carcassa.
Avrebbe voluto colla forza della sua passione animare quel legno, spingerlo e animare egualmente
quel vento che a poco a poco scemava, e accorciare la via che per la prima volta in sua vita trovava
terribilmente lunga.
Anche i suoi uomini, quantunque solamente animati dalla vendetta, che avevan giurato compiere e
ben strepitosamente, s'impazientavano. Andavano e venivano pel ponte imprecando al vento che non
trovavano abbastanza buono, cangiavano velatura ogni dieci minuti per cercar di accelerar la corsa
aggiungendovi qualche nuovo fiocco di loro invenzione e ponendosi spesso ai remi, nonostante che il
legno divorasse senza fatica i suoi quattro o cinque nodi all'ora e continuasse a crescere sotto i primi
buffi di vento umido del sud e sud-ovest.
Dell'uragano che minacciava scoppiare seriamente, e che in quei mari sa infuriare e ben terribilmente,
non se ne inquietavano di troppo. Abituati, sino dall'infanzia, a quei pericoli, che essi chiamavano di
seconda classe, abituati a combatterli a bordo dei prahos, se ne ridevano. Tutto sarebbe terminato con
qualche vela lacerata e dei buoni colpi di mare, un nulla infine che non avrebbe impedito di andarsene
a Labuan e di approdarvi all'indomani al calar del sole.
Il vento accrebbe di velocità dopo il mezzodì quando si trovavano a una ventina di miglia da
Mompracem, segno infallibile che la tempesta, che andava formandosi al sud, cominciava a
predisporsi per iscoppiare o alla notte o all'indomani. Le nubi piccine e che potevano essere sfuggite a
più di qualche occhio alla mattina, cominciarono con una mossa che avrebbe sembrato impercettibile
a levarsi sull'orizzonte prendendo una tinta fosca e distendendosi su larga zona.
Chiunque, nel vederle, si sarebbe affrettato a virar di bordo e cacciarsi prudentemente in qualche
sicura baia aspettando che tutto fosse passato, ma Sandokan quantunque si trovasse a sole venti miglia
da Mompracem, ove sapeva di trovar un rifugio più che sicuro, non lo pensò nemmeno e meno ancora
lo pensarono i suoi uomini che avevano cieca fiducia in lui. Lo aveva detto che gli uomini le
tempeste di tutto il globo lo avrebbero arrestato ed era uomo da mantenere la parola.
Che importava se il vento ruggiva, se il mare si gonfiava, se il prahos rollava e beccheggiava, se
perdeva vele e alberi, quando lei era là, quando forse lo aspettava, quando si correva pericolo di non
ritrovarla più mai?
Fosse stato pur sicuro di approdare a Labuan una seconda volta ferito o come naufrago, solo e con le
giacche rosse alle calcagna a inseguirlo per la seconda volta attraverso le foreste, non gli sarebbe
importato purché trovarsi a Labuan e giungere in tempo di rapirla prima della catastrofe.
Solo il Portoghese ebbe qualche timore sulla buona riuscita della spedizione. Egli l'espose a
Sandokan.
- L'uragano si addensa, fratello mio. Sarai tu capace di sfidarlo impunemente? Il nostro prahos è un
buon legno, non vi ha da dubitare, ma la via è ancora lunga e potrebbe darsi che dovessimo cambiare
rotta. Non credi tu che sia cosa saggia poggiare su Mompracem fino a che la burrasca si sia un po'
sfogata? Il caporale inglese ha detto fra quattro giorni, quindi il tempo mi pare più che sufficiente per
lasciar passare il tifone che ordinariamente non dura molto.
- Non pensarlo nemmeno, Yanez - disse il pirata. - Non ho mai avuto paura di una tempesta e meno
l'av oggi che si tratta di Marianna. Un ritardo, mi capisci, potrebbe diventarmi fatale e un sospetto
potrebbe precipitare la catastrofe. Anzi io penso che questo mare infuriato ci sia di aiuto per passare
inosservati la crociera.
- E sui pericoli di un naufragio, hai tu pensato? Annegata la Tigre, sarebbe la morte di lady Marianna.
Il pirata si mise a sogghignare.
- Il naufragio non lo temo, e la morte della Tigre non avver oggi, domani, mai. Mi sento
invulnerabile e sento pure che toccherò le coste di Labuan sano e salvo!
Il pirata aveva pronunciato queste parole con una sicurezza tale da credere quasi che fosse egli il
padrone assoluto dei destini umani.
Il Portoghese credette bene di lasciar il discorso ben sapendo che la Tigre non avrebbe ceduto.
Persuadere un tale uomo, che credevasi invincibile, sarebbe stata follia.
La velocità del prahos si accelerò ancor più verso le sette della sera, raggiungendo i sei nodi, velocità
più che bastante per trovarsi all'indomani sulle coste di Labuan. Pareva che il legno fosse diventato un
vero pesce guizzante, meglio ancora pareva un gigantesco uccello che radesse le onde, il cui becco ne
era il bompresso e le ali le enormi vele.
Qualche ora dopo verso il nord fu segnalato un grosso brigantino, un bel mercantile dal ventre
rigonfio, per far uso di una frase piratesca, la cui vista destò qualche idea di saccheggio fra i pirati.
Ma Sandokan che non aveva voleva perdere tempo, sebben la presa di quel vascello promettesse
bei guadagni vedendolo venire dal sud, la via che ordinariamente tengono le navi provenienti
dall'India, da Giava, da Sumatra o dal Timor e che si recano a Varauni o alle Filippine, cariche delle
più preziose merci da far venir l'acqua in bocca a un pirata meno innamorato di lui o meno frettoloso,
lasc che il brigantino continuasse tranquillamente la sua via, il che fece dire a qualche pirata che la
Tigre della Malesia era cangiata, certamente stregata durante il suo soggiorno nelle foreste di Labuan.
Tuttavia, è d'uopo dirlo, nessuno ardì mormorare; i più ammisero che se agiva così doveva avere le
sue buone ragioni di cui non erano obbligati, né autorizzati a indagare.
Solo il Portoghese, che, come si disse, godeva una confidenza illimitata, ardì farne parola.
- Che diavolo - disse egli fra il serio e il malizioso, - hai tu già dimenticato il tuo mestiere, Sandokan?
- Forse - si accontentò di dire il pirata e poi, cangiando tono, - il brigantino, Yanez, non è già inglese,
m'interessa molto. A qual pro sacrificare uomini che oggi sono indispensabili quanto rari, pel
capriccio di guadagnare delle stoffe o delle spezierie che non si saprebbe ove porle e perdere del
tempo che è p prezioso di tutti gli ori della mia capanna! Non lamentarti troppo presto, Yanez,
potrebbe venir un giorno che per volontà di lei abbia a stancarti di tante prede e assieme a te stancare i
miei uomini.
- Bene, Sandokan - disse il Portoghese abbassando la voce, - potrebbe adunque darsi che tu tornassi la
Tigre?
- Sì, se lei lo vorrà; non capisci che oggi la Tigre è incatenata e che la mia volontà non dipende che da
lei?
- Ma cercherai almeno tu di persuaderla a seguirti a Mompracem e di diventare la compagna della
Tigre? Guarda, perduto tu, fuggito con lei o morto, Mompracem cadrà. Perderà quella potenza che tu
le avevi dato. Vivo tu, e ancor pirata, brillerà tanto, acquisterà una fama grande, da eclissare e far
fremere gli stranieri annidati su questi mari. Vi sono centinaia di Malesi e di Dayachi, che alla prima
tua chiamata, correrebbero a Mompracem a ingrossare la formidabile schiera dei pirati.
- Lo so, Yanez, e forse lo tenterò. Ma vuoi tu che io releghi lei in una isola selvaggia come la mia, fra
gente che sa solo trar archibusate e menar il kriss e la scure? Vuoi tu che io ne faccia una piratessa di
lei, così timida, così dolce, così buona? Vuoi tu che la getti in mezzo al sangue, che le mostri per ogni
dove scheletri umani e stragi? Vuoi tu che la soffochi col fumo dei nostri moschetti, che la esponga a
un eterno pericolo, che l'assordi con le urla dei combattenti, con gemiti di feriti, col ruggito dei
cannoni? Dimmi, Yanez, lo faresti tu?
Il Portoghese lo guardò, crollando il capo con dubbio... e non rispose.
- No, Yanez - continuò il pirata con accento appassionato, - io non lo farò mai! mai!...
- Sicché questi sono gli ultimi giorni per Mompracem? Pensa, Sandokan, a quei tempi in cui tu
brillavi per la tua potenza, a quei giorni in cui il ruggito della Tigre della Malesia spandeva il terrore
per trecento miglia all'intorno, a quei giorni dove tu eri il padrone assoluto di questi mari.
- Ho pensato a tuttociò - rispose la Tigre con voce soffocata.
- Ebbene, Sandokan, e non ti ha detto nulla il cuore?
- Sì, l'ho sentito sanguinare.
- E nondimeno lasci morire la tua potenza, lasci morire la grandezza di Mompracem. Come puoi
soffocare quei ricordi tanto cari?
- Non lo so, ma li soffoco. Vorrei allontanarli per sempre, vorrei distruggerli, non vorrei..., no, non
vorrei mai essere stato la Tigre della Malesia.
- E tuttociò...
- E tuttociò per Marianna Guillonk - rispose il pirata quasi con ferocia.
- Ma bisogna bene che tu abbia ad amarla per anteporla alla tua gloria.
- Immensamente, Yanez. Giammai uomo al mondo amò come amo io la Perla di Labuan.
In quell'istante un lampo abbagliante squarciò le tenebre illuminando il mare che montava a vista
d'occhio muggendo spaventosamente. Sandokan si scosse tutto: rialzò fieramente il capo come lo
sapeva rialzare quando era Tigre e stendendo la mano verso il sud:
- La tempesta!...
Attraversò il ponte e si collocò alla ribolla del timone, nel mentre che i suoi tigrotti saltati in piedi si
disponevano ai bracci delle manovre pronti a sostenere i primi assalti del mare.
- Avanti, uragano, io non ti temo - disse Sandokan. - Ti sfido!
I primi colpi di vento umido capitavano di g dal sud con quella rapidi che sogliono acquistare
nelle tempeste, accompagnati dai primi colpi di mare.
Il prahos colla velatura ridotta si mise a filare all'oriente, tenendo bravamente testa agli elementi che
cominciavano a scatenarsi, e senza deviare di una sola linea dalla rotta di Labuan non ostante i
violenti rollii e beccheggi.
Però la tempesta, come si credeva, non iscoppiò interamente e la notte passò relativamente tranquilla,
rotta solo dal muggito del mare e dallo scrosciar delle scariche elettriche che pareva crescessero a
ogni istante d'intensità, dallo scricchiolar dell'alberatura che si curvava sotto i soffi ripetuti, dal
fischiar delle corde che si urtavano le une colle altre scorrendo nei boscelli cigolanti e dal crepitar
delle vele che sbattevano vivamente sotto i rollii o i beccheggi.
Sandokan in tutta la notte non abbandonò la ribolla del timone, e il Portoghese non lasciò un istante il
ponte. Approfittando di quella tregua lasciata dall'uragano, aiutato dai pirati, si affaccen ad
assicurare i cannoni e le spingarde, armi la cui perdita sarebbe stata un'illimitata disgrazia, da che si
correva verso le pericolose coste di Labuan. Nel medesimo tempo non si dimenticò di assicurare le
imbarcazioni e qualche manovra che a suo credere non presentava una certa solidità.
All'indomani l'uragano si scatenò in tutta la sua terribile maestà, seguito da tutto un corteo di lampi, di
fulmini e di pioggia. Capitò improvvisamente verso le dieci del mattino, mettendo sottosopra l'oceano
che montò in un batter d'occhio.
Le nubi accavallate e minacciose sin dal giorno prima si illuminarono sotto la luce dei lampi,
abbassandosi tanto da tuffare i loro negri lembi nel seno delle acque spumeggianti, le quali si urtavano
fra mille fragori a cui rispondevano tutti i tuoni del cielo. Il povero prahos, vero guscio di noce che
sfidava la natura irritata, fu battuto, soffocato sotto le montagne d'acqua che correvano all'assalto
urlando; barcollava furiosamente sulle creste dei marosi irritati, veniva precipitato negli abissi per
essere di poi sobbalzato nuovamente fino alle nubi, rovesciando tutti gli uomini e perdendo ora un
lembo di tela strappatagli dal vento e ora un attrezzo portatogli via da un colpo improvviso di mare.
Con tuttociò, Sandokan non dava indietro, non diminuiva di un centimetro la superficie delle vele
enormemente gonfie deciso a tenere la sua rotta per Labuan a dispetto della tempesta.
Fermo alla ribolla del timone, cogli occhi in fiamme, coi lunghi capelli sciolti al vento, irremovibile
fra gli scatenati elementi che ruggivano a lui d'intorno, pareva ancora la Tigre della Malesia, che non
contenta di aver sfidato gli uomini, sfidava la natura. I suoi pirati, aggrappati alle manovre, se ne
stavano impassibili dinanzi a quei furiosi assalti del mare, conservando quella calma che è tanto
necessaria all'uomo di mare in quei momenti supremi, e tenendo gli occhi fissi sulla Tigre pronti a
eseguire i più pericolosi comandi a dispetto del vento e delle ondate.
Il prahos, un vero giocattolo, tutto coperto dalle sue immense vele che rumoreggiavano con iscoppi
che somigliavano a scariche di piccoli pezzi d'artiglieria, non cessava un sol istante dal correre,
tenendo bravamente testa al mare che sempre più infuriato avventava le sue ondate fino al
mostravento degli alberi.
Si sbandava sempre più spaventosamente, si drizzava pari a cavallo imbizzarrito, gemeva
maledettamente, si tuffava sferzando le acque colla prua, si lasciava rubare dalla coperta tutto ciò che
non era ben legato, ma non dava indietro né torceva cammino di una sola quarta.
La terribile lotta contin così il giorno intero e senza che l'uragano cessasse un sol minuto, anzi la
sera raddoppiò d'intensità accrescendo così l'orror della notte.
La situazione peggiorò qualche ora dopo che si fe' oscuro e a segno che Sandokan dovette suo
malgrado lasciarsi andare un po' al nord ma senza diminuire la superficie delle vele, che
straordinariamente gonfie curvavano gli alberi minacciando di spezzarli.
Non vi si vedeva più; il mare saltava a bordo muggendo e coperto di candida spuma, scuotendo
sempre più il povero legno che rollando disperatamente precipitavasi negli avvallamenti delle onde
dalle quali non ne usciva che a gran pena e a prezzo di manovre e fatiche senza nome.
Lottare più a lungo, tenere ancora la via dell'est ostinatamente contrastata dal vento e dalle onde che
andavano a gara per infuriare, quasi avessero giurato di misurarsi in una formidabile tenzone, sarebbe
stata follia. Il legno cominciava a fendersi, i madieri minacciavano di disunirsi per dar passaggio a vie
d'acqua e gli alberi di spezzarsi.
Il Portoghese lo vide, e capì che era imprudenza ostinarsi più a lungo a tener testa a quegli elementi
scatenati. Si staccò dalla murata alla quale sino allora erasi tenuto aggrappato e stava per avvicinarsi a
Sandokan per indurlo a cangiare rotta, quando una detonazione scoppiò improvvisamente al largo. Un
istante dopo l'albero di maistra del prahos spaccato a metà da una palla di cannone, ruinava sul ponte!
CAPITOLO XVII
La villa di lord James
Dopo la repentina quanto brutale aggressione, che con simile tempo e in momenti cocritici i pirati
non s'avrebbero giammai aspettato, il povero prahos scomparve nel cavo di un'immensa onda, dalla
quale non uscì che perdendo il rimanente dell'alberatura.
Sandokan, rovesciato coll'equipaggio da quel violento rollio, appena che fu capace di rizzarsi,
abbandonata la ribolla del timone a rischio di compromettere la sicurezza del legno, si slanciò con un
sol salto a prua, cercando scoprire l'audace che insolentemente lo sfidava in mezzo all'uragano.
- Ah! Ah! - esclamò egli sogghignando. - Vi sono degli incrociatori che battono il mare e provocano
con simile tempesta?
Infatti l'aggressore, che in mezzo a quel formidabile rimescolamento del mare, trovava modo di sparar
cannonate con matematica precisione, era un gran vascello a vapore sul cui picco sventolava la rossa
bandiera inglese e sulla cima dell'alberetto di maistra il gran nastro dei legni da guerra. Il birbante era
a meno di seicento metri, e cercava di far fronte alle onde che l'assalivano furiosamente a prua,
inabissandosi enormemente e sbandando spaventosamente per l'eccessivo peso della sua costruzione
di ferro.
- Tutti sul ponte! - esclamò Sandokan ripigliando la ribolla del timone nel momento che il prahos
abbandonato a sé stesso si gettava fuori di via portandosi al nord.
- Dobbiamo rispondere? - chiese un marinaio, che si teneva aggrappato a una delle spingarde, pronto
a farla cantare.
Un secondo colpo di cannone rimbombò, la palla fischiò agli orecchi dei pirati.
- Ah! birbante! - esclamò Paranoa, che aveva preso la miccia.
Una montagna d'acqua precipitossi contro il vascello che fu violentemente respinto verso il nord,
nonostante che la sua macchina non cessasse di funzionare.
Il prahos senza vele e terribilmente battuto fu alla sua volta portato duecento passi più vicino
all'incrociatore che si sforzava di raggiungerlo.
- Ehi! Sandokan! - esclamò il Portoghese. - Noi diamo indietro, gettandoci in bocca al leone! Se la
continuerà così non approderemo più a Labuan, senza un lembo di tela e sotto il cannone del
maledetto.
- Silenzio! - comandò la Tigre, senza abbandonare il timone. - Rizzate un pezzo di albero e una
trinchettina.
Il prahos fu lanciato al nord di venti passi dopo essere stato dondolato per qualche tratto sulla cresta di
un'onda, offrendo punto di mira all'incrociatore, che respinto alla sua volta tirava sempre col suo
grosso cannone di prua. Una nuova palla frantumò l'estremi del pennone di trinchetto. I pirati si
misero a urlare come aquile cercando puntare uno dei cannoni.
- Sangue di Maometto, giù un albero! - gridò il Portoghese. - Lasciate che la canaglia strepiti.
I momenti erano preziosi. Il povero legno mutilato, senza direzione e senza stabilità per l'assoluta
mancanza di vele, andava attraversando le onde con ispaventevoli rollii minacciando di ingavonarsi in
uno degli avvallamenti e di non uscirne mai p non ostante gli sforzi disperati di Sandokan, che
tentavo rimetterlo sulla via dell'est manovrando a timone.
I pirati, abbandonando i cannoni, divenuti inutili fra tutto quel diavolio, fra quei colpi di mare che
spazzavano da un capo all'altro e incessantemente il ponte e i cui colpi sarebbero stati incerti fra quei
violenti rollii, si misero all'opera senza smarrirsi d'animo, cercando di rizzare un po' d'attrezzatura e di
spiegare un lembo di tela per dar un po' di stabilità al legno.
A prezzo di fatiche inenarrabili, di pericoli senza nome dove più di un uomo fu ferito, battuto contro
le murate o sul punto di esser portato via, fu stabilito un alberetto di trinchetto assicurandolo con
nuove sartie, valendosi dei lampi per servirsi di un po' di luce che mancava quasi del tutto. Una
trinchettina fu stabilita un po' più tardi, malgrado il vento che dieci volte di seguito l'abbatté prima di
essere spiegata e malgrado il cannoneggiare del piroscafo le cui palle per buona ventura non
colpivano che raramente il segno. La manovra audace e pericolosa, quasi impossibile su quel piccolo
prahos che il più delle volte scompariva fra le onde, fu eseguita colla maggior intrepidezza possibile
sotto gli occhi della Tigre che non abbandonava un sol istante la ribolla.
- Tenetevi saldi! - esclamò il Portoghese nel momento che una gigantesca ondata si precipitava sul
legno e che Sandokan si preparava a virar di bordo portandosi all'est.
Il prahos fu subissato per me quantunque trasportato verso le nubi, ma fu tutto. Virò di prua e
mentre che il piroscafo impotente di far fronte alle onde per la sua mole e per qualche avariame nelle
sue tambure, continuava a indietreggiare perdendo via, sfogando il suo malumore con ripetute quanto
inefficaci scariche d'artiglieria, il piccolo legno, offrendo il fianco ai colpi di mare, colla sua
trinchettina crepitante ed enormemente gonfia, si slanciò all'est ripigliando la lotta colla tempesta.
Dieci minuti dopo, grazie alla sua velocità che diventava ognor crescente sotto nuovi soffi, perdeva di
vista il piroscafo che indietreggiava al nord, ponendosi alla cappa, senz'altre detonazioni. Si mise a
filare direttamente a Labuan che doveva essere vicina, malgrado l'infuriare delle onde che lo
assalivano con novella furia sul tribordo senza voler cedere di una linea, sferzando l'acqua che
spumeggiava, fra rollii maledetti che potevano diventare funesti, talora avventato sulle creste, talora
precipitato negli abissi mobili.
Avanzò co per mezz'ora, col pericolo di scomparire per sempre in qualche cavo delle onde o di
cozzare contro qualche scogliera, cercando la costa che non si riusciva ancora a scorgere ma che
doveva essere a poca distanza, guidato dalla ferrea mano di Sandokan, cui nulla avrebbe fatto torcer
cammino, fiero di poter lottare su quei mari che chiamava suoi, di domare quelli elementi scatenati, di
passare là dove era stato battuto il piroscafo quattro volte, e forse più, più grosso del suo legno.
- Ehi! - esclamò d'un tratto il Portoghese che si era avanzato fino al trinchetto. - Terra dritto l'asta di
prua!
- Labuan! Labuan! - esclamò Sandokan che scattò in piedi come spinto da una molla.
- Attenzione alle secche a tribordo! - gridò un Malese, additando un luogo ove il mare spumeggiava a
prodigiosa altezza, frangendovi sopra con terribile fracasso.
- Paranoa! - disse Sandokan volgendosi verso un Dayacho a lui vicino e che occupava fra la banda un
posto distinto dovuto alla sua abilità di nocchiere. - Prendi la ribolla.
Il pirata obbedì. Sandokan si lanciò a prua, malgrado i violenti rollii e i colpi di mare e guardò.
La costa si disegnava chiaramente a quattrocento metri distante rischiarata dai lampi, libera dai
pericolosi frangenti che sogliono circondare quelle terre della Malesia, ma dirupata e senza presentare
approdi di sorta, senza presentare alcun rifugio dove il prahos vi si potesse cacciare per mettersi al
coperto dalle onde incalzanti. Il pirata gettò una bestemmia.
- Saccaroa! - esclamò egli servendosi dell'esclamazione abituale. - Dove siamo noi?
- Certamente a Labuan - disse il Portoghese che si teneva a lui vicino aggrappandosi a uno dei
cannoni.
- Lo so bene io, ma dove cacciarsi con simile tempesta? Non vi sono seni né approdi pel nostro
prahos. Egli sarà schiacciato contro la costa se ci avviciniamo ancor più.
- Ah! Se la canaglia cessasse un po' dall'infuriare! Orsù, Sandokan, che facciamo noi? Viriamo di
bordo e lasciamoci andare al nord come il piroscafo. Non possiamo approdare.
Il pirata lo guardò per alcuni istanti in silenzio col volto truce, poi tendendo improvvisamente ambe le
mani verso le dirupate coste di Labuan:
- Yanez! - diss'egli improvvisamente. - Noi approderemo!
- Approderemo? Ma non vedi, Sandokan, che la costa non offre rifugio?
- Che importa? Marianna mi aspetta, Yanez; oggi cada il mondo, noi approderemo.
- Ma il prahos? Si sfracellerà contro la costa e non so chi di noi si salverà.
- Hai paura, Yanez? - chiese il pirata, la cui voce sibilava come il vento.
- Tu sai che vicino a te non ho paura nemmeno del diavolo.
- Sta bene: allora approderemo.
Il prahos, spinto dal vento e dalle onde, si trovava a trecento passi dalla costa.
- Paranoa! - gridò Sandokan. - Muovi dritto lungo la costa e guardati dai banchi.
Poi, volgendosi verso i suoi tigrotti che lo miravano trasognati:
- Voi, preparate l'imbarcazione e issatela fino alla murata. La lanceremo in mare.
Che intenzione poteva mai avere il pirata? Voleva egli frantumare il prahos contro le scogliere della
costa generando una catastrofe? I marinai, che non avevano mai avuto paura, si guardarono tuttavia in
volto con ansietà; peraltro ubbidirono ciecamente e sollevarono a forza di braccia l'imbarcazione fino
alla murata di tribordo mettendovi entro due carabine, munizioni, remi e viveri per parecchi giorni.
Sandokan si avvicinò al Portoghese, che guardava con ispavento quegli strani preparativi.
- Sali nell'imbarcazione, Yanez - gli disse.
- Ma che vuoi fare, insensato?
- Approdare a Labuan, a dispetto della tempesta e delle scogliere.
- Ma tu vuoi annegarti?
Sandokan per tutta risposta lo afferrò e sollevandolo come fosse un fanciullo lo depose nella
imbarcazione.
- Paranoa! - gridò egli dipoi, correndo a poppa. - Io debbo approdare a Labuan. Sta attento ora a
quanto ti dirò. Quando ti darò l'avviso, vira di bordo e lasciati trasportare al nord finché la tempesta
durerà. Sali al nord fino a che tornerà a calmarsi il mare, poi ridiscendi fino a queste coste, e va a
gettare l'âncora a quel fiumicello che ti descrissi. Io ti aspetterò col Portoghese alla piccola palude.
- Bene capitano - disse il Dayako. - Ma voi?...
- Approderò.
- Vi lascierete la vita, capitano.
- Taci, Paranoa. La Tigre della Malesia è sempre la stessa.
Il pirata, deciso di affrontare tutto pur di giungere a tempo di strappare la giovanetta dalle mani del
lord e del baronetto, salì nell'imbarcazione.
A cento metri di distanza dalla costa, si alzò in piedi afferrando un remo, mentre il Portoghese ne
prendeva un altro.
Un'onda gigantesca correva allora sul povero prahos che tentava di virare per presentargli la poppa.
Gli capitò addosso come un lampo, sollevandolo fino alle nubi: s'udì uno schianto formidabile.
- Lascia andare! - gridò Sandokan che vide la murata sfasciarsi. - Vira! Vira!..
L'imbarcazione abbandonata a stessa fu portata via coi coraggiosi che la montavano. Quasi nel
medesimo tempo il prahos virò di bordo fuggendo verso il nord.
- Arranca, Yanez, arranca! - gridò Sandokan che remigava disperatamente. - Approderemo a Labuan!
Un'altra onda capitò addosso e avvolse la piccola imbarcazione.
- Per Giove! - esclamò il Portoghese. - Dove andiamo?
- Arranca! Arranca! Andiamo a Labuan!
- E l'urto?
- Zitto, guarda la costa.
L'imbarcazione dondolata spaventosamente s'avvicinava alla costa portatavi dalle onde. Percorse in
meno di due minuti cinquanta passi: salì una montagna d'acqua, precipitò in un abisso poi avvenne un
cozzo violento.
I due intrepidi sentirono mancarsi il fondo della scialuppa sotto i piedi. Mezza chiglia staccata
dall'urto se ne andò.
- Sandokan! Sandokan! - esclamò il Portoghese, che vedeva la scialuppa affondare.
- Tieni saldo, Yanez...
La voce fu soffocata da un tremendo colpo di mare che avventossi contro di loro. La scialuppa fu
sollevata; si dondo un istante sulla cresta di un'onda poi tornò a toccare. Il controcolpo l'avventò
contro la costa, spingendola fino ai primi alberi, contro i quali si frantumò. I due pirati rotolarono
senza saper il come in mezzo alle sabbie del lido.
- Afferra le armi! - gridò Sandokan saltando in piedi.
Il Portoghese, quantunque stordito dall'urto e scorticato tutto, lo ubbidì. Salvate le armi e una parte di
viveri, i due uomini miracolosamente scampati al naufragio si affrettarono a ritirarsi sotto gli alberi,
mentre che le onde finivano di spazzare via i rottami della povera scialuppa.
Sandokan, guadagnata la foresta col compagno, fresco come avesse sbarcato con tempo calmo, più
forte che mai perc si sentiva sul terreno ove viveva pur lei, felice di aver guadagnata quella costa
tanto contrastata, non aveva ancor respirato che già parlava di mettersi in cammino non ostante la
pioggia che cadeva a catinelle.
Non conosceva, poteva conoscere il luogo ove era approdato ma non se ne impensieriva. Egli
raccolse il fucile coll'evidente intenzione di scendere al sud fino a trovare il fiumicello e di là portarsi
alla villa e cercar di agire subito quantunque mancasse l'appoggio dei suoi uomini.
- Andiamo, Yanez - diss'egli, volgendosi verso il compagno che si era tranquillamente sdraiato fra le
erbe sotto un arecche, le cui foglie servivano a meraviglia d'ombrello. - Ho il fuoco nelle vene,
l'impazienza e la gelosia mi rodono. Perdere un sol minuto che forse è prezioso mi sembra un delitto.
Non vedi, non te ne accorgi che noi siamo a Labuan, sulla terra dove brilla la mia stella?
- Che diavolo ti salta in capo, Sandokan? - disse il Portoghese che non divideva le impazienze del
compagno. - Sono ancora tutto stordito dall'urto dovuto al tuo insensato piano: siamo appena sfuggiti
a un pericolo, che tu mi parli di riprendere la via per gettarti in un ginepraio irto di armi.
- Ma non vedi, Yanez, che il tempo vola e che lei forse corre pericolo? Se noi avessimo a giungere
troppo tardi per strapparla dalle mani dei due miserabili, che farò mai io? Se tu sei debole io sarò forte
e ti porterò fra le mie braccia: vieni adunque. La terra mi brucia i piedi, io tremo tutto all'idea che
sono a Labuan e che lei è là. Andiamo a salvarla, mi sembra che corra un pericolo cento volte
maggiore di quello che l'Inglese mi ha detto, mi sembra di udire le sue grida che chiamano soccorso,
mi pare di vedere tendere le sue braccia verso di me!...
- Non aver fretta Sandokan, non ci fuggirà. Tu mi hai detto che ti ama e che quantunque debole sa nei
momenti supremi spiegare una energia sovrumana; sono sicuro che essa non si lascierà vincere né
rapire prima dei dieci giorni, i suoi rapitori non ardiranno usare violenze di sorta contro di lei. Sono
giacche rosse, lo sappiamo, ma non mancano di cavalleria. Cederanno di fronte a una giovanetta. E
poi, pensi tu di gettarti storditamente nelle loro unghie per farti prendere e ammazzare? La spedizione
se ne andrà in fumo, tu sarai appiccato e io assieme a te, e lei morrà di dolore se ti ama tanto, come mi
hai detto e come ha confessato il caporale che presi a quella vaporiera. Aspettiamo: la Tigre è spesso
paziente.
- Ma se tu sapessi ciò che io provo trovandomi su questa terra! - esclaSandokan con voce rauca.
- Lo so, tu sei ammalato e gravemente, ma non commettiamo imprudenze che possono riuscire fatali
tanto a te che a lei. Vedi, fratello mio, io sono bianco e la so lunga più di un selvaggio della Malesia
in fatto di amori. Fa tempesta, un magnifico tempo per togliere ogni idea di prendere il largo anche a
un lupo di mare. Piove, un magnifico mezzo per cavar la voglia a un galante di far viaggiare la
giovanetta. Nulla di meglio adunque che aspettare come aspettano essi. Forse il caporale ha esagerato,
forse la villa è guardata da qualche compagnia di giacche rosse. Vorresti tu assalire la villa per farti
ammazzare con qualche moschettata?
- Ma credi tu, Yanez, che io abbia paura di un pugno di giacche rosse? Sono la Tigre, e oggi sono
tanto forte da che la passione ingigantisce, che sfiderei Labuan da me solo.
- Lo so, Sandokan, ma le palle non hanno rispetto pei coraggiosi e volano senza dar l'avviso, meglio
ancora, senza farsi vedere. Fa scuro, piove e il vento fischia, ma è sempre giorno, e non si può passare
inosservati. Vuoi tu andar alla villa? Bene, noi vi andremo e assieme, ma aspettiamo almeno la notte.
Devono essere le quattro, stiamocene imboscati fino alle sei, poi ci metteremo in marcia. Questa
notte, se vuoi, noi la vedremo.
- Vederla? E io dovrò aspettare fino allora, Yanez? - disse il pirata che fremeva tutto a quell'idea.
- Certamente, Sandokan, e vedrai che il tempo non sa perduto. L'uragano p calmarsi, il vento
scemare, e il prahos scendere sino a questi luoghi. Orsù, gettati sotto questo arecche e lascia che
piova.
Sandokan parve indeciso. Egli guar il Portoghese sperando di risolverlo a partire, poi cedette e si
gettò sotto l'albero mandando un sospiro roco, senza pronunciare una parola di più, ma col sangue
infiammato dalla passione e la faccia trucemente sconvolta.
La pioggia continuava a cadere e l'uragano a infuriare sul mare, il quale agitato sino agli estremi limiti
dell'orizzonte si sollevava in enormi ondate spumeggianti, frangendosi sulla spiaggia e sulle secche
con tal violenza da portarne gli spruzzi fino ai due pirati, quantunque lontani un centinaio di passi.
Quella vista destò qualche inquietudine nei loro cuori, riguardo al prahos che fuggiva al nord.
- Povero prahos - disse il Portoghese, dopo qualche istante di silenzio. - Credi tu, Sandokan, che si
salverà? Quando noi lo abbiamo lasciato, era in un tristo stato. Senza alberi e colle murate a metà
sfondate. Se egli facesse naufragio e andasse a picco? Sai, Sandokan, che sarebbe una brutta
disgrazia.
- Lo so - rispose l'interpellato, che prestava orecchio attento a tutti quei fragori.
- E se ciò dovesse accadere? Sentiamo, che faresti tu, se ci manca l'appoggio delle loro forze?
- Che farei? - esclamò il pirata quasi sorridendo. - Assalteremo noi la villa, se fa d'uopo. Io la rapirò lo
stesso.
- Tu corri sempre, Sandokan, e non pensi che due uomini per quanto valenti sieno, non sono che poca
cosa dinanzi a una cinquantina di moschetti.
- Vorresti tu aspettare Giro Batoë? - domandò Sandokan, che crollava di già il capo in senso negativo.
- Ma certamente, fratello mio. Fra due giorni al più, non sarà qui?
- Due giorni! - esclamò Sandokan, colla medesima intonazione di un uomo che voglia esprimere
l'eternità. - Due giorni! E come vorresti che io faccia a stare due giorni senza che abbia a vederla?
- Chi dice di stare due giorni senza vederla? Anzi bisogna farle sapere che noi siamo qui, pronti ad
approfittare della prima occasione per rapirla. Lo vedrai, fratello mio, questa notte andremo a spiare
nel parco per vedere se si può farle qualche cenno.
- E se non si può?
- Allora aspetteremo i nostri tigrotti e una volta riunitili daremo bravamente l'assalto alla villa e
porteremo via la Perla dopo di aver scannate tutte le giacche rosse onde non abbiano a portare notizie
a Vittoria. Una volta avutala in nostra mano e portatala a Mompracem ce ne rideremo di tutti gli
Inglesi di Labuan. Che ne dici?
- Credo che tu abbia ragione, Yanez - mormorò il pirata, e alzandosi si diresse verso la spiaggia.
Il Portoghese lo lasc fare, ma senza però perderlo di vista. Aspettò che la pioggia cessasse un po',
poi caricatosi della carabina e dei viveri, lo chiamò.
- Vieni, Sandokan - diss'egli. - Credo sia ora di metterci in cammino senza aspettare che l'oscurità sia
tanto fitta da non permetterci di fare dieci passi senza urtare contro i tronchi degli alberi.
- Lo credo bene - rispose il pirata che si pro a sorridere. - Andiamo, Yanez, che mi sento la terra
scottare ancora sotto i piedi.
La foresta non presentavapassaggi,indicazioni sufficenti per giungere alla villa di lord James,
ma Sandokan era uno di quegli uomini che indovinano i sentieri e che sanno dirigersi senza aver
bisogno di bussola o di stelle, come gli uomini dei boschi.
Ignorava a qual distanza si trovasse il fiumicello nel quale erasi cacciato coi due prahos la prima volta
che aveva approdato a Labuan; ma che importava? Sapeva che si trovava al sud e che la villa distava
da esso un paio di miglia, e ciò era più che sufficiente per guidarlo all'uno o all'altra e di giungervi
prima che la notte finisse. Egli si mise in viaggio pel sud colla sicurezza di un indigeno pratico
dell'isola.
L'uragano che si era fatto sentire sì vivamente sul mare si era egualmente fatto sentire nelle foreste di
Labuan. Numerosi alberi, i più vecchi campioni delle boscaglie, abbattuti dalla folgore e dagli
impetuosi soffi di vento giacevano in gran numero sparsi qua e là, alcuni totalmente appoggiati contro
la terra e altri sospesi a diverse altezze, arrestati nella loro caduta dalle liane e da altri alberi, sotto o
sopra i quali erano obbligati a passare i pirati.
Cespugli lacerati, frantumati, spogli; rami torti e contorti, ammassi di fogliame, immense quantità di
frutta erano disperse per ogni dove, e in mezzo a quelle urlavano scimie ferite, grugnivano babirussa e
stridevano uccelli.
Malgrado i tanti ostacoli che incontrava sul suo cammino, Sandokan non si arrestava un sol minuto,
si smarriva. Cammidiritto fino a che le tenebre furono calate, si fermò sull'orlo di un sentiero,
alla cui vista trasalì. Egli lo additò al Portoghese.
- Che significa ciò? - chiese questi, che sbuffava come una foca. - Siamo forse su di un sentiero
pericoloso?
- No - disse Sandokan con voce soffocata. - È il sentiero che mena alla villa!
- Oh! Oh! Così presto adunque? Orsù, la fortuna è con noi, Sandokan. Tira innanzi, ma bada bene di
non commettere pazzie.
La Tigre della Malesia non aspettò nemmeno che avesse finito. Armata prudentemente la carabina per
non cadere in qualche agguato, si slanc rapidamente sul sentiero ansimante, col cuore che gli
batteva furiosamente, la febbre addosso e la fronte tutta inondata di sudore. Egli si mise a trottare
tanto che il Portoghese penava a tenergli dietro.
- Marianna!... Fanciulla divina!... Mia stella!... Amor mio!... - andava esclamando egli divorando la
via. - Non aver più paura, che son qua io, la Tigre della Malesia!
In quel momento il pirata si sentiva tanto forte che avrebbe superato mille ostacoli per giungere alla
villa. Cento baionette, cento cannoni, la morte stessa non sarebbero stati capaci di arrestare la Tigre.
Anelava, si sentiva divorare da un immane fuoco che ardevagli nel petto, si sentiva prendere dallo
spavento e mille timori lo agitavano, i timori di non ritrovarla, i timori di giungere troppo tardi. Egli a
poco a poco si mise a correre come un pazzo, varcando alberi e cespugli e torrenti, colla mente fissa
tutta alla villa, dimenticando il Portoghese che lo seguiva, bestemmiando, intimandogli su tutti i toni
di arrestarsi.
- Ehi! Sandokan pazzo diabolico, che ti salta in capo? Aspetta un po', anima dannata, che ti raggiunga,
fermati per mille spingarde! Vuoi farti ammazzare?
- Alla villa! Alla villa! - rispondeva invariabilmente il pirata che aveva le ali ai piedi. - Oh! guai!
Guai, se arrivo tardi!...
Aveva allora, malgrado le continue raccomandazioni di Yanez, abbandonato ogni prudenza e correva
come corresse all'assalto, invocando le giacche rosse, colla carabina alzata quasi da credere che
volesse accoppare qualcuno. Calpestava i rami dei cespugli che si spezzavano crepitando
pericolosamente, frantumava le radici degli alberi, lacerava impetuosamente le liane, si arrampicava
come una scimia sui tronchi atterrati e saltava come un cervo le siepi e i cento altri ostacoli che
sbarravano il sentiero.
Buon per lui che l'uragano non ristava dall'infuriare, coprendo i rumori di quella pazza corsa col
rumoreggiare del tuono, col gemito degli alberi e delle frondi scosse dai violenti buffi di vento che
urlava sotto le oscure foreste.
Corse per dieci minuti così, poi si arrestò bruscamente. Al chiaror di un lampo aveva scorto le
palizzate del parco elevarsi a cento passi innanzi. Il Portoghese lo raggiunse rattenendolo
violentemente, nel momento che il pirata stava per precipitarvisi contro.
- Ma frenati adunque, testardo! - esclamò Yanez. - Vuoi che ci ammazzino tutti e due prima di vedere
la villa?
- Non hai veduto le palizzate? Sono quelle del parco, quelle della villa. Vieni, Yanez, vieni! - escla
il pirata cercando trascinarlo via. - Ho il delirio!
- Ma non sai, disgraziato, che dietro quelle palizzate vi possono essere imboscate delle giacche rosse?
- Le giacche rosse! - esclamò Sandokan come non avesse compreso; poi, dando in uno scroscio di risa
che il tuono soffocò a metà, - ma credi adunque, Yanez, che io abbia paura di loro questa notte?
- Lo so, lo so - ripeté il Portoghese. - Ma possono ammazzarti, puoi compromettere lei, la giovanetta,
Marianna!
Il pirata si arrestò di botto guardandolo con strana espressione al chiarore dei lampi. Lo comprese.
- Puoi aver ragione - rispose egli. - Ma io voglio vederla, mi capisci, Yanez, voglio entrare laggiù.
- Vi entreremo, Sandokan, ma frenati. Un'imprudenza potrebbe perdere te e lei. Vieni ora.
Il Portoghese lo trasse con precauzione sino alle palizzate, poi si arrampicò su come un gatto, e dopo
essersi assicurato che tutto era silenzio si lasciò cadere nel parco. Sandokan esegla stessa manovra,
frenandosi con ferrea volontà. Capiva che un'imprudenza era più che sufficiente per mandare all'aria
la spedizione con tanta audacia e con tanta speranza intrapresa. Essi attraversarono il parco che pareva
completamente deserto e tenendosi al coperto degli alberi giunsero a un centinaio di passi dalla villa,
seppellita fra le tenebre. Il Portoghese teneva stretto il pirata, le cui mani parevano bruciare.
- Dov'è? Dov'è? - chiese Sandokan che tentò liberarsi dalla stretta per gettarsi verso la porta.
- Non muoverti, fratello mio. Tu devi sapere dov'è la sua stanza.
- Sì, sì - rispose il pirata con voce soffocata. - Lassù, sopra quel pergolato.
- Bene, aspettiamo che un po' di luce ci permetta di vederla. Ma prudenza, non farci ammazzare
soprattutto.
Il lampo non si fece a lungo attendere illuminando colla sua livida luce la villa. Il pirata dette indietro
gettando un vero ruggito, trascinando con sé il Portoghese.
- Che hai veduto? - domandò quest'ultimo, senza abbandonarlo.
- Che ho veduto? - esclamò Sandokan con voce rauca. - Hanno sbarrato le sue finestre con
un'inferriata!...
- Bene, e io ho veduto un uomo imboscato laggiù accanto al padiglione. Vegliano; è segno che lei è
ancora nella villa.
- E io? Che dovrò fare io che voglio vederla? - chiese Sandokan con voce strozzata.
- Oibò, questa volta non fa per noi. Vieni con me, Sandokan, lo vedrai.
- No! No! Lasciami, io voglio vederla!
Il Portoghese lo afferrò con ambe le braccia e lo trascinò sotto gli alberi malgrado la sua disperata
resistenza.
- Odimi bene, Sandokan - disse il Portoghese con voce grave nel momento che un nuovo lampo
seguito da un formidabile scroscio illuminava la villa e la sentinella. - Se tu commetti imprudenze,
desterai l'allarmi, ci prenderanno a moschettate, saremo respinti malgrado il nostro valore, il domani
tutto sarà perduto: tu mi comprendi. Ritiriamoci senza far rumore e domani agiremo. Sai tu il luogo
che frequenta quando esce nel parco?
- Ti comprendo, Yanez - rispose Sandokan che tornava in sé. - Frequenta il chiosco chinese.
- Bene, andiamo a cercarlo, è d'uopo che essa sappia che noi siamo qui.
Il pirata lo capì. Egli quantunque provasse tutte le pene dell'inferno nell'allontanarsi da quel luogo, lo
condusse al chiosco chinese, in quel medesimo luogo dove le aveva confessato per la prima volta il
suo nome e dove lui le aveva giurato amore.
Vi entrarono. Era deserto: ma per quanto fosse oscuro, Sandokan vide la mandola della giovanetta al
di sopra del tavolino intarsiato d'ebano e di avorio. Egli l'additò al Portoghese e l'accostò alle labbra.
- Povera Marianna! - esclamò egli con voce che aveva dello strazio.
- È questo il luogo che suol frequentare, non è vero Sandokan?
- Sì, questo il luogo ove viene a respirare il profumo dei suoi fiori, questo il luogo ove viene a cantare
le sue dolci canzoni e il luogo dove lei mi giurò eterno amore!...
- Bene, lacera un foglio di carta dal tuo libro. Fa oscuro, ma i tuoi occhi vedono ancora: scrivi ciò che
ti dirò.
Il pirata obbedì come un fanciullo e scrisse:
- Siamo noi. Domani, a notte, procura una fune. Alle dodici lasciala calare, io sarò da te. Non aver
paura di nulla. Veglio.
"LA TIGRE DELLA MALESIA".
Il Portoghese lasc cadere la carta nell'interno della mandola, ma in maniera da potersi scorgere,
mentre Sandokan strappati alcuni fiori ve li gettava sopra. I due pirati si guardarono in volto al chiaror
dei lampi; l'uno calmo l'altro febbricitante.
- Andiamo, Sandokan - disse il Portoghese, rompendo l'incanto.
- Andiamo, Yanez - ripeté Sandokan con voce soffocata e uscirono a rapidi passi.
Cinque minuti dopo varcavano le palizzate e si cacciavano sotto le foreste.
CAPITOLO XVIII
Il pirata e la giovanetta
La notte era oscura e sempre tempestosa. Il vento ruggiva sotto le oscure boscaglie, torcendo in mille
guise i rami, strappando le foglie, piegando o sradicando gli alberi e la folgore guizzava fra le nubi
accompagnata da formidabili tuoni. Era una vera notte d'inferno, propizia per tentare un audace colpo
di mano sulla villa, se gli uomini dei prahos vi fossero stati.
I due pirati battevano rapidamente in ritirata senza curarsi della pioggia, della folgore che scendeva
dal cielo ogni minuto, e degli alberi che potevano fiaccarli nella loro strepitosa caduta. Preso il
sentiero che li aveva poco prima guidati alle palizzate del parco, si allontanavano con passo silenzioso
e quasi furtivo, senza scambiarsi una parola, ma coll'occhio in guardia e le mani sulle carabine,
dirigendosi all'ovest.
Non volevano allontanarsi troppo da quei luoghi per vegliare attentamente sulla giovanetta e sugli
Inglesi, ma volevano tuttavia porre una certa distanza fra stessi e la villa per isventare qualsiasi
inseguimento e per non correre rischio di essere scoperti.
Il pirata camminava innanzi guardandosi dai rami che cadevano a ogni istante spezzati dal vento che
continuava a ruggire tremendamente, dalle frutta che precipitavano al suolo rimbalzando e
spaccandosi e dagli alberi che scossi furiosamente minacciavano di cadere. Il Portoghese lo seguiva
stropicciandosi allegramente le mani, guardandosi attorno attentamente per non vedersi capitare
all'improvviso addosso qualche giacca rossa imboscata. Questi era felice, quegli era cupo, quantunque
gli avvenimenti della notte fossero stati tutt'altro che disgraziati, come avevano creduto che potesse
essere.
Il povero ammalato si ritirava colla morte nel cuore, contando i passi che l'allontanavano dalla sua
cara Perla, come li aveva contati prima, quando si avvicinava pieno di speranza, di timore, di passione
e di gelosia. Gli pareva che, ritirandosi, un lembo nel cuore gli si staccasse.
Era evidente che la Perla era ancora alla villa, che il baronetto non l'aveva rapita, poiché quelle
sentinelle appostate attorno all'abitazione non vi sarebbero state se la giovanetta fosse stata portata
via. Ma sapere che lei era ancora là, non bastava pel povero innamorato, che aveva sognato di vederla,
di parlare e, più ancora, che aveva sognato di rapirla. Era poco per quell'uomo che amava alla follia,
per quel selvaggio che per vederla aveva sfidato tanti e tanti pericoli, avventurandosi in quei luoghi
dove da ogni cespuglio poteva partire una palla e freddarlo, e che per farla sua aveva giurato di
sacrificare il suo nome, la sua gloria e, se ce ne fosse stato bisogno, anche l'ultimo dei suoi compagni,
l'ultimo dei suoi cari tigrotti, che riguardava come suoi fratelli, più ancora, come suoi figli.
- Oh! - esclamò egli. - Potessi almeno questa notte vederla, potessi almeno questa notte stringerla fra
le mie braccia e rapirla, rapirla dalle mani dei maledetti che la tengono prigioniera!
Egli manfuori un profondo sospiro che pareva un rauco suono. Il Portoghese che gli veniva dietro
l'udì.
- Che! Che hai fratellino mio da sospirare? - chiese egli sorpreso. - Per mille spingarde! Tu puoi
essere contento di questa notte.
- Non del tutto, Yanez - rispose il pirata. - Sperava di poterla, dopo tanti giorni, rivedere.
- Tu esageri, Sandokan; non sono ancor quattro o cinque giorni che l'hai lasciata. E poi, che vale
vederla questa notte quando domani saprà che tu ronzi nei dintorni vegliando, e che domani a notte
darai la scalata. Allora fratello mio, potrai parlare a tuo agio, e fors'anche strappar quella maledetta
inferriata.
- Ma come vorresti tu che io salga, quando vi sono delle giacche rosse in agguato? E poi credi tu,
Yanez, che il lord non istia in guardia? Dal momento che degli uomini vegliano, è segno che hanno
paura di noi, e chi sa, forse hanno saputo qualche cosa della spedizione.
- Oh! Oh! Ecco che la faccenda diventa seria, fratello mio, e che tu ragioni meglio di me quantunque
tu sii pericolosamente ammalato. È evidente che sospettano una nostra visita su queste coste, peho
molte speranze per credere che tu darai la scalata senza troppi impicci. Vedi, Sandokan, la notte
ventura non sarà certamente migliore di questa.
"L'elettricità si dice che addormenti, e che il vento faccia ben presto russare o chiudere gli occhi, un
magnifico espediente per rendere ciechi e sordi gli uomini di guardia. Noi siamo gente che non va
soggetta a simili debolezze, e ne approfitteremo a meraviglia. Varcate le palizzate, striscieremo come
serpenti e ci accosteremo alle giacche rosse: dieci dita attorno alla gola, un bavaglio onde non abbiano
a urlare, una corda per renderli impotenti, e poi all'opera. Darai la scalata senza essere disturbato; tu
parlerai e io veglierò. Lo vedrai, fratellino mio.
- Sei ora tu, Yanez, che corri troppo - disse Sandokan che si pro a sorridere a quelle magnifiche
idee del bravo Portoghese. - Se lei domani non uscisse nel parco? Se lei ignorasse che noi siamo qui?
- Uhm! - fe' il Portoghese, socchiudendo gli occhi. - La partita sarebbe perduta, Sandokan; a
proposito, giacché parli di fiaschi, mi viene in capo un'altra idea.
- Quale? - domandò Sandokan arrestandosi nel momento che un albero schiantato precipitava a terra.
- Bada bene dove poni il piede e osserva i mariuoli della foresta, Sandokan. Potrebbero schiacciarti,
p meno di un babirussa. Una vera fortuna per le giacche rosse e in ispecie pel baronetto
William.
- Taci, Yanez, taci! - esclaSandokan che sentì la gelosia mordergli atrocemente il cuore.
- Bene, non parliamone; tu diventi la Tigre, quando odi quel nome. Parliamo d'altro, se vuoi, della mia
idea per esempio. Sai, Sandokan, che io ho paura che gl'Inglesi abbiano trovato la nostra carta e che
questa notte ci tendano un agguato? Non ti sembra cosa possibile?
- Potrebbe darsi - disse seccamente il pirata. - È chiaro, che se gl'Inglesi troveranno la carta,
circonderanno il parco per prenderci dentro. Ma vorresti tu per questo rinunciare di recarti laggiù alla
villa? Oh! Io vi andrò, fossi sicuro che cento giacche rosse mi aspettano colle carabine montate.
- E io verrò con te, Sandokan, te lo assicuro, purché non abbi a commettere imprudenze e galoppare
come ier notte che pareva che tu fossi diventato pazzo.
- Ah! Tu verrai adunque?
- Cospetto! È roba vecchia. Ma se tu ti metti a urlare e diventi pazzo, ti avviso che volto le spalle e
lascio che tu vada a farti ammazzare solo.
Il pirata sorrise.
- Sarò prudente - diss'egli. - Purché abbia però a vederla e a parlarle.
- La vedrai e le parlerai. Lascia che ti conduca io, e ogni cosa andbene.
Avevano percorso allora un miglio e più, ora seguendo un sentiero, ora un altro, e ora cacciandosi in
mezzo ai boschi per far perdere le loro traccie nel caso che agli Inglesi saltasse il ticchio di seguirle.
Sandokan, stimando essere la distanza più che sufficiente per non venire scoperti, si arrestò.
Tagliate tre o quattro gigantesche foglie d'arecche e sovrappostele a due bastoni messi
orizzontalmente, in maniera da formare un tetto, vi si cacciarono tutti e due sotto coricandosi in
mezzo a folte erbe a mala pena umide.
- Odi questo fragore? - chiese Sandokan dopo qualche istante di silenzio.
- Sì - rispose il Portoghese. - Deve essere una raffica che sta per capitare.
- No, è il mare, Yanez. Orsù, con simile tempo non è possibile che i prahos possano approdare:
dormiamo. Chi sa che domani Giro Batoë e Paranoa non sieno al fiumicello.
I due pirati accomodatisi alla meglio, chiusero gli occhi e mentre gli elementi si scatenavano al di
fuori curvando tutte le foreste, si addomentarono, non ostante la umidità che li irrigidiva.
La notte non fu senza dubbio buona con tutto quel diavolìo, con quei ruggiti ognor più formidabili del
vento, quei crepitii degli alberi schiantati ruinanti al suolo, quel gemere dei rami contorti e quella
pioggia che non cessava dal cadere, trapelando anche fra le foglie della misera tettoia. Tuttavia i due
pirati dormirono della grossa e si svegliarono a ora assai tarda, verso il mezzodì, nel momento in cui
la tempesta, dopo di aver raggiunto la massima intensità, cominciava a scemare.
- Andiamo, Yanez - disse Sandokan dopo di aver rinnovato per precauzione la carica della carabina. -
Abbiamo dormito abbastanza e il fiumicello non deve essere troppo vicino.
- Credi tu adunque che il prahos di Paranoa abbia approdato? - chiese Yanez.
- Non ho speranze; la tempesta infuriò tutta la notte. Chi sa dove il povero legno fu trascinato.
Tuttavia andiamo al fiumicello.
- Il povero Paranoa senza dubbio è ancora lontano, e forse sta lottando coll'uragano. È difficile poter
approdare a qualche costa con simile tempo.
- Lo so, Yanez.
- Sentiamo, Sandokan, e se non tornasse mai più? Se si fosse annegato? Corpo di una spingarda! Sai
che le cose cominciano a volgere alla peggio e che la stella di Mompracem comincia a tramontare?
- Sì, comincia a tramontare e sarò io che, per Marianna, la farò scomparire per sempre.
- E non ti sgomenti?
- Sgomentarmi? Ah! se tu sapessi, Yanez, quale strazio io provo, quando penso che verrà il dì in cui la
mia fama perirà, quando penso che il mio nido rimarrà deserto, la mia isola diverrà muta e che non
rivedrò più mai questi mari che chiamavo miei!... Io, la Tigre, il pirata, non rivederli più mai questi
mari!...
"Oh! Questo più mai mi si arresta alla gola come una palla di cannone e mi strazia atrocemente il
cuore!... Eppure la tremenda parola uscirà quando la giovanetta comanderà alla Tigre.
- Se tu non fossi gravemente ammalato, ti direi: vieni, Sandokan, fuggiamo da questi luoghi, andiamo
a piantar radici su di un'altra isola dove non possa giungere il nome di Marianna.
- Mai! Mai! Yanez! - esclamò il pirata. - Cada Mompracem, s'oscuri la mia gloria, si disperda il mio
nome, mi si strappi e il mio mare e l'ultimo dei miei tigrotti, ma dimenticare lei, abbandonarla, mai!
- Lo so, che tu sei stregato, che tu sei innamorato morto, che è impossibile fartela dimenticare quella
donna. Orsù, non parliamone più, dove è il fiumicello?
- Deve essere laggiù.
- Tiriamo innanzi allora, e cerchiamo di tenerci in mente la via che percorriamo. Vi ha della distanza
da qui alla villa, e questa notte, colle tenebre, si potrebbe smarrirsi.
- Non aver paura, Yanez. Saprei trovare la via che mena alla villa a occhi chiusi. Vi ha una stella che
brilla sulla palazzina: la mia.
La foresta andava a poco a poco diradandosi, lasciando il posto a piccole radure in mezzo alle quali
sorgevano avanzi di capanne d'indigeni. Il pirata riconobbe quasi subito quei luoghi, quantunque li
avesse percorsi correndo e delirante, e allungò il passo fino a che giunse alla piccola palude. Si arrestò
un momento cercando un passaggio, e l'attraversò conducendo il compagno sul medesimo luogo dove
avevano approdato i prahos nella prima spedizione alla malaugurata isola.
Vi si vedevano ancora le traccie lasciatevi dal secondo prahos, quando respinto e semi-spezzato era
venuto a rifugiarsi per subire le riparazioni. Qua e si vedevano ancora bombe, moschetti spezzati,
scimitarre e scuri infrante, cordaggi, lembi di tela, rimasugli d'attrezzi e pezzi di murate.
Sandokan, gettato un cupo sguardo a quegli avanzi, che gli rammentavano la sua prima sconfitta, si
spinse fino al fiumicello. Guardò verso la foce, ma era deserta; solo il mare si frangeva sui banchi e
sulle scogliere lottando contro la corrente.
L'avevano preveduto. La tempesta che continuava a infuriare dal sud non doveva aver permesso al
povero legno disalberato di trovarsi in quel luogo. Forse, se non era naufragato, a quell'ora poteva
essere ancora rifugiato o alla baia di Kimais o nelle cale dell'isoletta Pulo Tiga.
- Poveri compagni - disse Yanez con sincera commozione. - Forse essi rimpiangono il momento di
non aver naufragato a Labuan. Se la maledetta tempesta cessasse o girasse al nord!
- Credi tu che giungerebbero in tempo per riunirsi ai prahos di Giro Batoé? - domandò Sandokan.
- Non ne ho speranza, fratello mio; arriveranno sempre tardi, se non saranno di g annegati; e tu,
Sandokan, hai calcolato su Giro Batoé? Ne sono certo che ormai avrà preso il mare, ma non so
quando potrà approdare con simil tempesta. Io temo che abbia a trovarsi ben impacciato. Una
suposizione: se non giungesse più?
- Se non giungesse più! - esclamò Sandokan che provò un brivido al solo pensarlo.
- Potrebbe darsi. Due prahos non veleggiano troppo bene colla tempesta e le collisioni non sono
difficili accadere quando gli elementi sono in collera. Se essi naufragassero?
- Taci, Yanez, io non lo crederei mai! - rispose il pirata che sentì grosse gocce di sudore imperlargli la
fronte.
- Ma infine, si potrebbe ammetterlo. Non siamo già noi i padroni degli elementi. Che faresti tu,
Sandokan?
- Io? Ebbene, Yanez, in tal caso la rapirò senza i loro aiuti!
Il Portoghese crollò il capo, ma non lo contrariò. Sapeva che sarebbe stato più facile arrestare con una
palla un piroscafo che arrestare la passione di lui. Egli cangiò discorso e accennando il fiumicello:
- È qui, Sandokan, che tu hai approdato, quando venisti per la prima volta a Labuan?
- Sì, qui - rispose il pirata, che aggrottò la fronte. - Allora ero la Tigre, non avevo visioni dinanzi agli
occhi, non avevo passioni nel cuore, non avevo catene attorno le braccia. Mi hanno battuto, ci siamo
difesi ma ben terribilmente difesi contro l'incrociatore che ci sfidava. Mi hanno ferito, e quella palla,
che conservo ancora nel mio petto come un ricordo di essi, mi ha condotto tra le braccia della
giovanetta. Ho ben ragione di dire che quella palla ucciderà per sempre la Tigre!
- Rimpiangi adunque quella sconfitta e quella palla, Sandokan? - domandò il Portoghese.
- No, Yanez, no! - rispose Sandokan con voce rauca. - Non la rimpiangerò mai!
Il pirata discese fino alla riva seguito dal compagno, e dopo di aver contemplato per qualche tempo la
corrente e la circostante foresta come per rammentarsi degli avvenimenti di quella giornata, si diresse
verso il mare poco distante additando al Portoghese alcuni alberi violentemente schiantati e forati
dove vi si vedevano ancora le tracce delle palle di cannone del piroscafo.
- Egli tirava alla foresta - disse Sandokan che diventava più cupo man mano si avvicinava alla
spiaggia.
Si arrestò un istante colle braccia tese verso il luogo dove era avvenuta la tremenda pugna fra il
prahos e l'incrociatore, percorse tre o quattro volte con passo agitato la costa avvicinandosi ai banchi e
alle scogliere contro le quali muggiva e rimuggiva il mare e finì col sedersi sul tronco di un albero
atterrato, colla testa stretta fra le mani e gli occhi fissi su quelle acque irritate, quasi volesse cercare
ancora un vestigio dei due legni affondati dal fuoco dell'incrociatore o qualche traccia del suo
valoroso equipaggio forse di già completamente divorato dagli squali.
Il Portoghese lo lasciò assorto nelle sue meditazioni e andò frugando fra le scogliere cercando qualche
ostrica gigante di Singapura. Non an molto che ne trouna simile a quella trovata da Sandokan
quand'era ferito, e la riportò alla spiaggia dopo di aver corso venti volte il pericolo di essere portato
via dai colpi di mare.
Accendere il fuoco ed aprirla, fu per lui l'affare di un momento.
- Orsù, fratello mio, lascia i prahos sott'acqua e i morti in bocca ai pesci - diss'egli. - Vieni a dare un
colpo di dente a questa tenera polpa e un altro a questi durion che hanno una polpa che pare crema. Ai
morti vi penserai più tardi.
- Hai ragione, Yanez - rispose Sandokan sforzandosi, ma invano, a sorridere.
Il pasto fu fatto in silenzio e rapidamente a pochi passi dal mare, dopo di che seppellito il rimanente
dei viveri, per preservarli dal dente degli animali o da quello degli indigeni, si rimisero in cammino
sotto le foreste dirigendosi alla villa.
Potevano essere le cinque di sera. Il tempo era più che sufficiente per arrivare all'appuntamento, ma
volevano trovarsi prima che l'oscurità fosse perfetta per prendere certe misure di precauzione
giudicate indispensabili.
Sapevano di giuocare una carta pericolosa, dove una inavvertenza poteva venire corrisposta a buoni
colpi di carabina, e si sa che le palle non rispettano nemmeno gl'innamorati, come non rispettano i
coraggiosi.
Giunsero nei dintorni della villa, avanzando con l'occhio e l'orecchio in guardia, spiando
prudentemente i cespugli che potevano nascondere qualche giacca rossa, porgendo attento ascolto a
tutti i rumori della foresta, allo stormire delle foglie, allo spezzarsi dei rami, agli urli delle belve. Essi
s'imboscarono a duecento passi dalle palizzate nel mezzo di una folta macchia, aspettando la notte.
Dal luogo ove si trovavano, era facile vedere ciò che poteva succedere nel parco e nella palazzina.
Sandokan poté distinguere il lord a una delle fenestre assieme ad un ufficiale inglese, e gli parve
anche veder lady Marianna col volto appoggiato alle sbarre di ferro, ma non si mosse e frenò
l'impazienza e i timori che l'assalivano. Il Portoghese dal canto suo, arrampicandosi come una scimia
su di un albero tenendosi nascosto nel fogliame, vide altre sei o sette giacche rosse passeggiare nel
parco e accanto al padiglione una sentinella armata di fucile con baionetta inastata.
- I maledetti hanno paura - mormoegli all'orecchio di Sandokan dopo di essere disceso. - Vegliano
bene.
- Non monta, Yanez, chi sa che tutti quei soldati non sieno che semplici invitati?
Infatti qualche tempo dopo, prima che l'oscurità fosse completa, il Portoghese dall'alto
dell'osservatorio vide un drappello di sedici o diciotto soldati abbandonare la villa. Cercò guardare
ove si dirigessero, ma non poté indovinarlo. Essi scomparvero sotto la foresta dopo di aver fatto un
ultimo saluto al lord che si affrettò a rientrare.
L'oscurità si accrebbe qualche ora dopo tanto di impedire di scorgere gli alberi a venti passi lontano.
Verso la mezzanotte, i due pirati, che si erano tenuti nascosti sotto la macchia contando minuto per
minuto, si alzarono.
- Andiamo! - disse Sandokan che non sapeva più dominarsi. - Andiamo, Yanez, che sono tutto fuoco!
- Hai notato tu la sentinella che si tiene presso il padiglione? - domandò il Portoghese arrestandolo.
- Sì, l'ho notata, ma la spaccieremo. Io ho le mie corde, tu hai il bavaglio. Vieni, Yanez, ho la febbre;
il delirio mi prende.
Attraversarono i duecento passi e giunsero alle palizzate del parco come la notte precedente. Il
Portoghese le varcò pel primo; guardò sotto gli alberi e fra le aiuole porgendo orecchio al fischiar del
vento che scuoteva il fogliame, poi rassicurato che nessuno vegliava vicino, si lasciò cadere
dall'altro lato. Sandokan lo raggiunse subito dopo, e si nascosero sotto la fitta tenebria degli alberi
cacciandosi fra i cespugli.
- Il nemico dorme - disse il Portoghese all'orecchio di lui, che si frenava a gran pena.
- Vedi nessun lume, vedi nessuna ombra alla fenestra di lei? Io sono diventato cieco.
- Fa troppo oscuro per veder qualche cosa. Andiamo, Sandokan, silenzio e prudenza innanzi a tutto.
Si misero a camminare senza movere le foglie, a passi furtivi, tenendosi nascosti dietro ai tronchi
d'albero e ai cespugli, strisciando fra le aiuole, facendo meno rumore di un serpente. Essi giunsero
così fino a cento passi dal padiglione dove se ne stava la sentinella mezza addormentata sulla sua
carabina.
D'un tratto Sandokan si arres e vacillò come un bue sotto la mazza del beccaio. Aveva veduto una
forma bianca appoggiata alle sbarre di ferro di una fenestra e che tendeva le mani verso di lui. Tutto il
sangue gli affluì alla testa.
- Marianna! Marianna! - mormorò il pirata giungendo le mani verso la forma bianca che pareva
un'ombra.
Egli, l'uomo che aveva sfidato cento volte la morte, che era vissuto fra il sangue e le stragi, in quel
momento supremo ebbe paura ma questa durò un lampo. Si rizcoll'energia della tigre, gettando un
sordo ruggito che era un appello alle sue forze, e cacciandosi in mezzo ai cespugli senza muoverli,
coll'occhio in fiamme, i capelli irti sul capo, colla febbre addosso, il fuoco nell'anima, strisciò verso il
padiglione sempre seguito da Yanez che non fiatava.
Egli sorse alle spalle della sentinella semi-addormentata come uno spettro e in un baleno l'atterrò
chiudendogli la bocca con una mano, mentre coll'altra gli serrava la gola con tal forza che nessun
gemito uscì dalle labbra. Il Portoghese era là. Sei pollici di lama nel cuore e la sentinella passò dalla
vita alla morte senza emettere un sospiro.
Il pirata gettò un urlo di gioia soffocato e si lanc verso la palazzina. Trovò una fune a nodi sotto le
sue mani e mentre che il Portoghese si appostava accanto al cadavere, si mise a salire con tutta la
rapidità infusagli dalla passione. Egli giunse al balcone senza quasi sapere il come e sentì due braccia
che sporgendo fra le sbarre lo circondarono sorreggendolo. Gli si rimescolò tutto il sangue.
- Sei tu Sandokan? - chiese una voce che lo scosse fino al fondo dell'anima.
- Marianna! Marianna! - mormo egli, coprendo di baci le mani della giovanetta. - Finalmente ti
vedo! Tu sarai mia, non è vero?
- Tua, Sandokan, in vita e in morte - mormorò la giovanetta, ebbra d'amore. - Non mi aveva adunque
ingannato il mio cuore, quando batteva di speranza e mi diceva che tu saresti venuto. Ah! Sandokan,
quanto ho sofferto!
- E io, amor mio, credi tu che non abbia sofferto? Sento ancora il cuore che mi sanguina, la gelosia
che mi rode, sento la febbre che mi divora. Marianna! Dal giorno che sono fuggito inseguito come
una belva dai tuoi, cacciato di foresta in foresta, moschettato, sciabolato, ho tanto sofferto laggiù nella
mia isola selvaggia, che mi domando ancora se quelle sofferenze furono un sogno. Credo di aver
compiuto miracoli per isfuggire ai miserabili che volevan bere il mio sangue, e per ritornare alla mia
Mompracem. Quando ho udito per la bocca di un prigioniero che tuo zio ti vendeva al baronetto, sono
partito senza indugiar un istante. Ho affrontato la tempesta, ho affrontato gl'incrociatori, ho corso
mille pericoli, ma che importa quando sono giunto qui e che ti vedo?
- Sandokan! Sandokan! - mormorò la giovanetta incrociando le mani attorno al collo del pirata.
- Ascolta, Perla di Labuan - disse Sandokan stringendola contro le sbarre di ferro che avrebbe voluto
svellere a onta della loro grossezza. - Tu sei prigioniera nelle mani di loro, ma io ti libererò dovessi
porre Labuan a ferro e a fuoco. Non ho che mio fratello, il Portoghese, il buon Yanez, oggi, ma
domani i miei uomini approderanno: quaranta tigri che al mio grido si getteranno sulla casa e io ti
porterò meco ove tu vorrai.
La giovanetta ebbe paura. Lo guardò con ispavento accostando il suo volto a quello di lui. Due
lagrime, due perle, caddero sulle labbra del pirata che sentì il cuore sanguinargli a quel contatto.
- Non piangere, Marianna, io vorrei ricambiare quelle lagrime con goccie del mio sangue. Non aver
paura, amor mio, ti libererò e berrò il sangue dei miserabili che ti hanno rinchiusa fra queste sbarre di
ferro.
- Ho paura, Sandokan. Perché venire su queste coste dove ti si spia, dove ogni cespuglio nasconde un
nemico, dove si veglia giorno e notte? Io fremo tutta a pensare a tanta audacia e tutto per me!
- Per te, Marianna, io vorrei fare cento volte di più di ciò che feci. Che importa a me se il nemico
anela il mio sangue, che importa a me se egli mi spia o mi ferisce, quando ti ho veduta, quando ti ho
stretta fra le mia braccia, quando mi sono inebbriato dei tuoi sospiri? Posso io aver paura quando tu
mi aspetti e mi ami poic giurasti d'amarmi? Dillo, Marianna, posso aver paura?... Anima divina!
Avrei sfidato cento volte la morte per trovarmi qui, questa sera, sospeso ad una fune, diviso da sbarre
di ferro, ma fra le tue braccia!...
- E se ti sorprendessero? Dio mio, che sarebbe mai di me se avessero ad ucciderti!
- Oh! Non parlare così, non dire queste parole Marianna! - esclaSandokan. - Vi ha qualcuno che
mi protegge.
- Chi?
- Che ne so io? Dio, Maometto o il diavolo, so che qualcuno veglia sulla Tigre della Malesia. E poi,
che importa se questa invulnerabilità venisse meno e mi assassinassero, quando morrei stretto fra le
tue braccia? Guarda, quando saliva questa fune, sulla cui cima m'aspettava la Perla di Labuan, mi
pareva salire in paradiso.
La giovanetta si sforzò a sorridere.
- Non illudermi, Sandokan. Tutti in questa villa hanno sete del tuo sangue.
- Lo so, ma nol berranno, te lo giuro Marianna. Non aver paura, che la sentinella è morta e che Yanez,
il mio buon fratello, veglia sotto i miei piedi. Lasciami che io goda questi momenti di sublime felicità
che mi inebbriano e de' quali ho tanto bisogno dopo tante sofferenze. Ah! Se tu sapessi, Marianna,
quanto io ti amo! Non puoi mai e poi mai immaginarlo. Sento di diventare pazzo dalla gioia, al
pensare che tu fra poco sarai mia, e che mi seguirai sull'isola della felicità, sull'isola incantata, dove
potremo amarci senza paure, senza ansie, senza pericoli.
- Gli è adunque vero, mio prode amico, che tu abbandonerai la tua Mompracem, che tu abbandonerai
il mare che tu chiamavi sangue delle tue vene e tutto ciò per me? - disse la giovanetta. - È vero
adunque che tu dimenticherai la fama che tanto ti fece brillar fra i pirati della Malesia? È vero
adunque che tu ti lascierai incatenare senza un lamento, senza un sospiro?
Qualche cosa che pareva un singulto uscì dalle labbra del pirata.
- Sì, creatura celeste, abbandonerò tutto, mi lascierò incatenare senza lamenti, senza rimpianti -
disse il pirata con veemenza furiosa. - Sì, noi andremo lontani a godere la felicità che nella mia isola
sarebbe impossibile trovare; sì, noi andremo su di un'altra terra, dove non udrò più il fragor dei
cannoni le urla dei miei tigrotti, più mai il nome della Tigre della Malesia!... Quel caro nome
che un dì andavo orgoglioso di possedere, quel caro nome che era la mia gloria, la mia potenza, la mia
vita!...
Il pirata chinò la testa sul petto e forse qualche stilla cadde dai suoi occhi. Un fischio debole, ma
abbastanza distinto gli fe' rialzare la testa. Era il fischio d'allarme di Yanez.
- L'hai udito, Marianna? - mormoegli. - L'ora tremenda della separazione è giunta; mio fratello ha
mandato il segnale. Dei pericoli vagano fra le ombre della notte.
La giovanetta lo strinse contro i ferri della fenestra. Due lagrime caddero sul maschio volto del pirata
che accostò le labbra a quelle di lei. Il rumore di un bacio risuonò fra le tenebre.
- Sandokan, adorato Sandokan! - esclamò la giovanetta mentre i singhiozzi sollevavano il suo petto.
- Marianna!
- Se non ci vedessimo più mai?
- Non dirlo, non dirlo, Marianna. Dimmi, amor mio, che vuoi che faccia; per te mi sento capace di
fare l'impossibile. Vuoi che io rimanga, io rimarrò, vuoi che tenti infrangere questi ferri che ti tengono
prigioniera, io lo tenterò, vuoi che io dia fuoco alla villa per tentare di rapirti, io lo darò. Parla, la tua
bellezza mi rende pazzo. Mi sentirei capace di espugnare da solo a solo la fortezza!...
- No, Sandokan, nol farai. Va, noi corriamo pericolo: va, e quando tu sarai tanto forte da poter lottare
coi miserabili che mi tengono prigioniera, verrai a liberarmi e io sarò tua, tua per sempre... Ah! ecco il
terribile momento!...
- Ma tu, anima divina, vuoi rimaner sola in balìa di essi? No, Marianna, io rimarrò qua a difenderti!
La giovanetta l'attirò ancora una volta a sé, bagnandolo delle sue lagrime. Il pirata sentì un groppo che
forse era un singhiozzo montargli alla gola. Il fischio del Portoghese giunse agli orecchi dei due
amanti.
- Lo odi tu, Sandokan? Vi ha qualche pericolo, va, parti, mio nobile amico; io te lo comando.
Il pirata stava per ubbidire, quando un terribile grido risuonò nella stanza. Due mani di ferro
strapparono la giovanetta dalla fenestra facendola cadere sulle ginocchia.
- Miserabili!... - urlò una voce furiosa che Sandokan riconobbe per quella del lord.
- Marianna! Marianna! - gridò egli tentando risalire all'inferriata.
Non ebbe il tempo. La corda fu recisa e il pirata abbandonato a sé stesso precipitò roteando nel vuoto!
CAPITOLO XIX
Due pirati in una stufa
Ogni altro uomo che non fosse stato la Tigre della Malesia o per lo meno un Malese si sarebbe senza
dubbio rotte le gambe o la testa in quella repentina caduta, ma non coavvenne per quell'uomo che
oltre essere fatto d'acciaio possedeva l'agili del felino. Aveva appena toccato terra, sprofondando
nelle aiuole, che già era in piedi col kriss in mano sbuffante d'ira, pronto a precipitarsi contro la porta
e tentarne arditamente l'assalto.
Il Portoghese fortunatamente gli era vicino. Egli gli saltò addosso e lo trascinò via, nel momento che
una fucilata scoppiava a una delle fenestre.
- Vieni, insensato! - gridò Yanez, sollevandolo fra le braccia. - Vuoi farti ammazzare?
- Lasciami, Yanez, noi la rapiremo. All'assalto! All'assalto! - urlò il pirata afferrando la carabina.
Tre o quattro canne di fucile apparvero alle fenestre togliendoli di mira.
- Fuggi! Fuggi! Sandokan! - gridò una voce che il pirata riconobbe per quella di lady Marianna.
Il pirata fece un salto di quindici piedi salutato da una scarica di fucili, una palla dei quali gli portò via
il grosso diamante del turbante. Si voltò ruggendo come una tigre, e scaricò la sua carabina contro una
delle fenestre frantumando i vetri e colpendo un Inglese che cadde al suolo sfracellandosi la testa.
- Sono qua Marianna! Sono qua! - tuonò Sandokan tendendo le mani verso la giovanetta che si teneva
disperatamente aggrappata alle sbarre della fenestra malgrado tutti gli sforzi del lord per trascinarla
via.
- Fuggi! Fuggi! - gridò ella per l'ultima volta.
La porta della palazzina si aprì fragorosamente. Una mezza dozzina di soldati armati di carabine,
guidati da un sergente che Sandokan riconobbe in Willis e una decina d'indigeni portanti torcie accese
e armati di pistole. comparvero slanciandosi all'aperto. Il Portoghese fece fuoco attraverso il fogliame.
Il comandante barcollò e cadde gettando un urlo di dolore, e mentre gli altri si arrestavano attorno a
lui spaventati dall'improvviso attacco, i due pirati si diedero alla fuga tenendosi sotto gli alberi per
non offrire punti di mira, caricando le armi e cercando di dirigersi verso le palizzate, che quantunque
nascoste dalle tenebre, sapevano trovarsi sulla loro via. Percorsero cinquanta passi prima che
gl'Inglesi pensassero a inseguirli e si gettarono fra le aiuole scomparendo del tutto dai loro occhi
abbagliati dal chiaror delle torcie.
- Fila diritto, se non vuoi farti prendere - disse il Portoghese, nel momento che Sandokan s'arrestava.
- Non so decidermi a partire, Yanez!... Io ho paura a lasciarla sola., sento le sue grida impresse nel
mio cuore... Yanez, se noi ritornassimo? - disse il pirata con voce rotta armando la carabina per far
fronte al nemico.
- Nemmen sognarlo, fratello mio! - esclamò il Portoghese, che gli afferrò le braccia deciso a
impedirgli il passo. - Non correrà alcun pericolo lei; essa è una donna energica. Siamo noi che
corriamo pericolo di buscarci una palla nella schiena. Fila diritto, che le canaglie vengono colle loro
dannate torcie.
- Non sono che sedici, io li ho contati. Possiamo gettarci su di essi e sbaragliarli. Ritorniamo.
- Non commettiamo pazzie, testardo pirata! Essi, essi hanno sedici palle, noi ne abbiamo due. Che
valgono le nostre forze e il nostro coraggio quando il piombo fischia? Domani, mi comprendi,
Sandokan, daremo l'assalto.
Il pirata non si mosse. La sua testa era in rivoluzione, la passione lo faceva delirare. Egli guardò il
Portoghese con occhio supplichevole. L'altro, cui premeva la pelle d'entrambi, fu inflessibile.
- I minuti volano, ti ho detto di fuggire, Sandokan. Vieni, lei lo vuole, io lo voglio: ti porterò se non
fuggi.
Un soldato apparve quaranta passi lontano con una torcia in mano la cui luce illuminava la canna
della carabina e la punta della baionetta. Altri quattro comparvero dietro di lui mettendosi a frugare le
macchie.
I due pirati non esitarono più, e fuggirono d'accordo, cercando le palizzate. Passarono senza arrestarsi
dinanzi al chiosco chinese, si tuffarono in mezzo ai fiori, guizzarono fra i cespugli, lasciando qualche
lembo di veste nei rosai e si precipitarono verso il fondo del parco salutati da un nuovo colpo di
carabina tirato a casaccio. Essi raggiunsero le palizzate senza essere scorti, mentre che i soldati e gli
indigeni li cercavano su una falsa via, andando e venendo fra le macchie, sfogando il loro malumore
con imprecazioni.
- Si screditano - mormorò il Portoghese che in fondo era ancora un po' cristiano. - Andiamo,
Sandokan, la via mi sembra libera, e mentre essi c'inseguono all'ovest o all'est, noi filiamo al sud con
tutta sicurezza. Non aver paura per lei che saprà cavarsi d'impiccio meglio di noi. Lascia che le cose
questa notte vadano co e vedrai che avrò l'onore di stringere la sua mano e tu di stringerla fra le
braccia, dopo un brillante attacco.
- Sì, domani - rispose Sandokan, che si avvicinò quasi con ripugnanza alla palizzata.
Già stava per prendere lo slancio e varcarla, quando il Portoghese lo arrestò bruscamente, facendolo
curvare fino a terra.
- Non moverti! - gli mormorò egli all'orecchio, accovacciandoglisi vicino. - Zitto!
Il pirata tese l'orecchio, ma non udì che il sibilar del vento che faceva gemere gli alberi della foresta e
stormire le fronde.
- Che hai veduto? - gli chiese sotto voce Sandokan, che non vedeva nulla.
- Non ho veduto alcuno, ma ho udito un ramo spezzarsi dietro la palizzata.
- Pessere stata una bestia o il vento che ha fatto cadere qualche ramo morto. Non lo odi tu soffiare?
- No, non fu una bestia, fu un uomo, te l'assicuro, Sandokan. Mi è persino parso di udirne una voce.
Ci scommetterei il diamante del mio turbante contro una piastra, che dietro la palizzata vi sono delle
giacche rosse che ci aspettano colla sicurezza di prenderci. Non ti ricordi del drappello che abbandonò
la villa al calar del sole?
- Hai ragione, Yanez. Esso andava a imboscarsi, ma noi saremo più astuti di quei soldati. Aspetta che
vada ad assicurarmene.
Sandokan, diventato prudente, si alzò, senza fare più rumore di un insetto volante, lento per non far
stridere le foglie secche, guardandosi dinanzi, di dietro e ai fianchi. Stette un momento così in ascolto,
rattenendo persino il respiro, poi si arrampicò colla leggerezza di un gatto sulle palizzate. Non aveva
ancora raggiunto la cima, che udì al di là alcune voci e dei passi.
Si issò con maggior precauzione e gettò un rapido sguardo sotto il bosco: vide una dozzina e p di
ombre che si appostavano dietro gli alberi. Egli si affrettò a ritornare raggiungendo il Portoghese.
- Non ti sei ingannato, Yanez. Il nemico ci tende un agguato al di delle palizzate; ma avrà da far
con me prima di prenderci. È il drappello che tu hai veduto partire, e che allarmato dalle detonazioni
dei fucili, è ritornato.
- Che abbiano sospettato la nostra presenza, che ci tendano un'imboscata? Affrettiamoci a battere in
ritirata, fratello mio, finché la via è libera. I prahos possono essere giunti.
- Taci, Yanez - mormorò Sandokan. - Odi, essi parlano.
Due voci si udivano al di delle palizzate, l'una imperiosa, l'altra rauca. Il vento portava i loro
discorsi chiaramente agli orecchi dei pirati, che senza curarsi dei soldati che frugavano il parco a
quattrocento metri di distanza, si misero in ascolto.
- Queste moschettate, non cdubbio, segnalano la presenza dei nemici - diceva la voce imperiosa. -
Non perdiamo un istante in vane chiacchiere, giovanotti miei, allargatevi e imboscatevi dietro gli
alberi. Chi dice che questi nemici non sieno pirati guidati dalla Tigre in persona, che tentano una delle
loro solite mariuolerie? Mi comprendi, Bob, essi sono nel parco, e noi tendiamo la rete entro la quale
cadranno. Non perdiamo colpi, soprattutto.
- State sicuro, luogotenente, che i maledetti non ci sfuggiranno questa volta. Non possono essere molti
loro, mentre noi siamo in grosso numero capace di far fronte a un battaglione di essi. Fossero anche
dodici noi siamo sempre trentasei.
- Le canaglie sono cresciute bene di numero - mormorò il Portoghese all'orecchio di Sandokan.
- Taci, Yanez - rispose egli, stringendo una delle sue mani con tal violenza da farne scricchiolar le
ossa.
- Si dice che il mariuolo - ripigliò la voce imperiosa, - quello che si fa chiamare pomposamente la
Tigre della Malesia, sia pazzamente innamorato della nepote di lord Guillonk, un boccone destinato al
baronetto. Eh! Si vede che il selvaggio non manca di buon gusto, e vi ha di più, Bob, che milady ne è
innamorata. Non lasciamoci sfuggire una sì bella preda amico mio, sulla cui testa pesa un migliaio di
sterline.
- Se la Tigre della Malesia ha avuto l'imprudenza di cacciarsi in questi luoghi, per quanto sia astuta e
coraggiosa non ci fuggirà sì facilmente come l'altra volta. Sapete, comandante, che bisogna essere ben
bravi per filarsela a Mompracem dopo di averci spediti al sud, e per mostrarsi poi al baronetto senza
curarsi dei cannoni del piroscafo e delle migliori carabine!
- Lo so, amico mio, quel mariuolo è l'uomo più audace che abbia incontrato in vita mia, ma non la
farà lunga. Si parla di già di una poderosa spedizione a Mompracem, e chi sa che, a quest'ora, non
abbiano intrapreso qualche cosa di buono intendendosela a meraviglia cogli indigeni e con qualche
pirata corrotto a furia d'oro. Mi capirai bene, Bob, che, caduta Mompracem e appiccata la Tigre,
Labuan brillerà.
- Lo so, comandante, ma stiamo in guardia. Ecco che gli uomini sono al loro posto; toccherà al lord e
agli altri rimasti nella villa a scovarlo, se si trova nel parco. Si aveva ragione di temere e di mandarci
all'agguato. La notte buona è venuta, e lo sfido io a uscire vivo dal recinto.
- Bene, Bob, al tuo posto lagg a trenta passi dietro quell'artocarpo. Tre carabine su sessanta passi
sono p che sufficienti per arrestare un pirata, per quanto corra. Va, e orecchi aperti! Dove odi il
fischio, tutti dietro e senza perdere tempo. Le mille sterline mi sembrano di già in tasca.
I due pirati udirono il rumore secco delle carabine che si armavano, e il passo dell'uomo chiamato
Bob che andava allontanandosi, a prendere il suo posto. Il comandante non si mosse e restò senza
dubbio lì dietro.
- Egli conta sulle mille sterline senza di me - disse Sandokan sogghignando. - Bisogna bene che sia un
uomo prezioso per mettermi una simile taglia sul capo; tocca a me a farli viaggiare ancora.
- Che facciamo noi? - domandò il Portoghese guardando il compagno che pareva pensasse.
Egli gettò uno sguardo verso i soldati e gl'indigeni. Cercavano sempre all'estremità opposta del parco.
- Siamo circondati - disse Sandokan. - Se tentiamo la fuga avremo una quarantina d'uomini alle spalle
prima di aver percorso cento passi. Tu mi hai detto che la vita è preziosa, lei mi ha detto che morto io
mor anch'essa! Bene, se non sono più la Tigre per tentare quelle pazze imprese dove l'audacia
suppliva il coraggio, giuocherò coll'astuzia dell'uomo dei boschi. Vieni, Yanez, la vedrai bella.
- Ecco che parli bene, Sandokan. Ma dove andremo noi, che siamo circondati?
- Fida in me, Yanez, e vedrai che non te ne lagnerai. Questa notte accontentiamoci di far perdere le
traccie e di nasconderci in un luogo dove non sapranno trovarci. Domani, accada ciò che si vuole,
prenderemo il volo. Spicciati.
I due pirati si alzarono colle carabine sotto al braccio, e si allontanarono a lenti passi tenendosi sotto
le piante per non essere scorti dai soldati, che gironzolavano nel parco.
Sandokan condusse il suo compagno in mezzo alle aiuole e di al chiosco chinese. Vi entrò e
camminò fino al fondo dove sapeva esservi una serra di fiori; aprì, senza far rumore, la porta e gettò
uno sguardo nell'interno.
Vi erano entro dei vasi di tutte le forme e dimensioni, i cui fiori delle piante esalavano un penetrante
profumo, e qua e delle sedie di bambù d'estrema leggerezza. Non era ciò che cercava, ma
un'enorme stufa che poteva nascondere nel suo interno tre uomini della fatta dei due pirati.
- Dove diavolo mi conduci? - domandò il Portoghese che non capiva nulla. - Credi tu che le giacche
rosse non penetreranno in questa serra con un migliaio di sterline che luccicano davanti ai loro occhi?
- Certamente, Yanez, che penetreranno in questa serra - disse Sandokan. - Ma io credo che non salte
a loro il ticchio di venirci a cercare nel fondo di una stufa.
Il Portoghese diede in un grande scoppio di risa.
- In una stufa?...
- Sicuro, ci nasconderemo in questa stufa.
- Ma sai, Sandokan, che noi diverremo più neri del più nero africano?
- Non importa, Yanez; l'avventura sarà più magnifica. GI'Inglesi, e soprattutto il lord, mai più
s'immaginarono che un giorno in questa stufa si nasconderebbe la Tigre della Malesia. Andiamo,
fratello mio, entra pel primo.
- Ma, Sandokan... ti pare?
- Se vi entra la Tigre, puoi entrarvi anche tu. O la stufa o le moschettate degli Inglesi, Yanez: non vi
ha da scegliere.
Il Portoghese non esitò più e sparve nell'interno della stufa strisciando per l'imboccatura. Sandokan,
dopo di aver dato un ultimo sguardo agl'Inglesi che cominciavano a dividersi, ma accresciuti di
numero, lo seguì. I due pirati si trovarono nell'interno della stufa annerita afferrandosi per le mani, ma
senza vedersi tanto l'oscurità era profonda. Il Portoghese lasciò libero sfogo alla sua ilarità non ostante
la pericolosa situazione.
- Chi potrà immaginarsi che noi ci troviamo in una stufa? - diss'egli tasteggiando le pareti caliginose.
- Non parliamo troppo, Yanez, potrebbero udirci e trovarci: gl'Inglesi si dirigevano verso il chiosco.
- E se essi venissero a vedere nella stufa? - escla il Portoghese che rabbrividì al solo pensarlo. -
Sai, Sandokan, che essi ci prenderebbero senza che noi avessimo a difenderci. Corpo di una
spingarda! La sarebbe magnifica.
- Ma non tanto facile a farsi, amico Yanez. Siamo come in una fortezza quantunque oscura e troppo
ristretta, e non vi riusciranno che dopo un lungo assedio, e vedrai che noi al bisogno lo sosterremo
gagliardamente.
- Sì, noi abbiamo le nostre carabine e munizioni sufficienti per mandare al diavolo tutti gli assedianti,
ma bisognerà capitolare quando si morrà di fame, a meno che tu non trovi maniera di cangiare la
caligine in viveri belli e buoni. E poi, la nostra fortezza ha delle muraglie deboli a quanto sembra, e
quelle canaglie pur di guadagnare mille sterline sarebbero capaci di porre in batteria un pezzo di
cannone e di fulminarci.
- Sei tu ora che corri, Yanez - disse il pirata che fidava forse troppo nelle sue forze e nelle scarse
risorse che aveva a sua disposizione. - Prima che il cannone abbatta le muraglie, ci slanceremo noi
all'assalto. Il foro è ristretto, ma si uscirà a dispetto delle loro carabine.
- Taci, mi fai venire i brividi, Sandokan, colle tue parole. Io non so come l'andrebbe a finire una volta
assediati, ma certamente a nostro svantaggio. Io ho paura delle palle che non si vedono.
- Non parlare: ecco gl'Inglesi - mormorò Sandokan, che trasse il kriss impugnandolo con mano ferma.
Si udivano delle voci che andavano avvicinandosi assieme ad un calpestio. Sandokan, dopo di aver
raccomandato assolutamente silenzio e immobili completa al compagno, si abbassò tasteggiando il
suolo coperto di cenere e di fuliggine e strisciando verso l'apertura sporse il capo.
Il chiosco era ancora oscuro, ma dieci passi lontano vide un drappello di sette od otto soldati che
andava avvicinandosi seguiti da due indigeni che portavano le torcie. Capì che si preparavano a
visitare la piccola e graziosa abitazione, e si ritirò lestamente chiudendo con precauzione lo sportello
di ferro della stufa.
- Eccoli - mormo egli toccando il Portoghese, che non fiatava più. - Stiamo pronti a tutto, e se ci
scoprono non indugiamo a saltar fuori appoggiando la fuga con due colpi di carabina. Tiriamo giusto
e picchiamo sodo.
Un filo di luce penetrò nella stufa, attraverso le fessure dello sportello. I due pirati si gettarono sulle
ceneri spiando le mosse del nemico colle mani sulle carabine. Il drappello fece la sua entrata nel
chiosco e si mise a rovistarlo spostando i grandi vasi di fiori e sollevando persino i sedili. Il
Portoghese rabbrividì.
Se gl'Inglesi, ai quali premeva, senza dubbio, guadagnare le mille sterline e liberarsi da un uomo
pericoloso che ogni dì cresceva d'audacia, minacciando direttamente le sorti di Labuan, rovistavano a
quel modo, era da vedersi che l'ampiezza della stufa avrebbe loro dato nell'occhio.
Sandokan stesso ebbe questo timore, e si affrettò a battere in ritirata verso il fondo della negra
fortezza, sollevando una nube di cenere e di caligine, seguito dal Portoghese.
- Teniamoci pronti a saltar fuori - diss'egli al compagno. - Le nostre negre figure sono sicuro che
faranno scappare quei poltroni.
- Zitto che parlano, Sandokan. Odi?
- Che il maledetto pirata abbia preso il volo - disse un soldato, che andava smovendo con precauzione
i vasi - o che si sia inabissato nelle viscere della terra? Quel diavolo d'uomo sarebbe capace di farlo,
poiché per parte mia, non esito a prenderlo per un figlio di Belzebù, checché se ne dica.
- E io, credi che sia di parere contrario? - disse un altro soldato, che doveva avere la sua parte di paura
dalla voce tremula. - Non l'ho veduto io per la prima volta avventarsi da solo contro cento soldati? E
non l'ho veduto io la seconda volta cadere da un secondo piano senza fracassarsi né una gamba né un
braccio? Questa Tigre della Malesia mi mette paura nel sentirla solo a nominare.
- Ma Tigre o non Tigre, il miserabile qui è venuto e qui vi lascierà le ossa - disse un terzo soldato. -
Noi battiamo il parco, i nostri compagni circondano le palizzate, come vuoi, James, che abbia a
fuggire? Scommetterei la paga di due mesi contro un solo penny che noi lo prenderemo.
- Ma come vuoi trovarlo, se egli è uno spirito? - ripigliò la prima voce.
- Uno spirito?... Tu sei matto, James. Guarda se i marinai dell'incrociatore che distrussero i suoi
prahos alla foce del fiumicello non gli allogarono una buona palla nelle costole? Lord Guillonk, che
ebbe la sfortuna di curare il maledetto, asserì che la ferita gettava sangue eguale al nostro. Ora
ammetti tu che gli spiriti abbiano sangue?
- No.
- Allora non è p uno spirito, ma un uomo in carne ed ossa. Cerchiamo attivamente e vedrai che lo
troveremo, il brigante.
- Uhm! - fe' colui che si chiamava James. - Non ho speranza che lo si abbia a trovare. Se si crede a
me, io dico che ormai fila come un cervo fra le foreste, e chi sa? forse si è anche imbarcato,
quantunque il mare non sia troppo calmo.
- E poi - disse un altro soldato, - credete, amici, che anche scovato, si lascierà prendere sì facilmente?
Quel demonio d'uomo, se è veramente un uomo, poiché anch'io ho i miei rispettabili dubbi, prenderà
il volo passando dinanzi alle nostre carabine, senza che le palle l'abbiano a toccare. Andate a
domandare al povero Willis, se è ancora vivo, come il pirata l'ha giuocato sotto le foreste. My-God!
mi narrava che dinanzi al terribile uomo, tremava come una foglia.
- E credi tu che io non tremi la mia parte, malgrado le mille sterline che mi luccicano dinanzi agli
occhi? Non è da dubitarsi, amici miei, che tre o quattro di noi andranno domani a trovare Belzebù,
prima di prenderlo. La Tigre non ischerza, signori: morde e graffia mortalmente.
Un brivido di spavento corse per le ossa dei soldati, che investigavano con maggior prudenza,
temendo la improvvisa comparsa del pirata. Se Sandokan non avesse saputo che il parco era
circondato, non avrebbe esitato a balzar fuori, sicuro di porre in fuga quel drappello non troppo
coraggioso.
- Il pirata non è venuto a nascondersi in questo chiosco - disse un soldato. - Orsù andiamo a cercarlo
altrove.
- Oibò - disse un altro, cui il premio di mille sterline metteva un certo coraggio addosso. - Vedo là una
serra con certi vasi, dove il valentuomo potrebbe tenersi celato. Mano alle carabine e dito sul grilletto,
amici miei.
I soldati in gruppo coi due indigeni s'avanzarono in mezzo alle piante. La luce penetrava nella stufa
attraverso le fessure, illuminando i volti anneriti dei due pirati, che si tenevano immobili come due
statue.
- Guarda, James - disse d'un tratto un soldato. - Ecco una stufa che mi sembra ben ampia per
contenere una mezza compagnia di pigmei del re d'Abissinia. Hanno bisogno di gran caldo questi fiori
rari.
- Possibile, amico mio; ma io penso che si potrebbe trovare là entro il nostro uomo.
Lo sportello fu aperto e un guizzo di luce penetrò nell'interno, ma insufficiente per rischiarare l'intera
stufa. Il soldato vi cacciò a metà la testa, ma la ritirò quasi subito starnutando.
- Non vi ha che caligine che mi ha acciecato - disse egli bestemmiando. - Tutto è nero come la notte
più buia di questo mondo. Al diavolo le stufe e l'idea che un uomo si possa trovare in quell'inferno!
- Era ridicola - disse un soldato, ridendo. - Ed ecco il nostro amico più nero di un africano.
I soldati dettero in uno scroscio di risa a cui vi si assocl'annerito, e dopo di aver fatto il giro della
serra, sicuri che il pirata non si trovava p nel chiosco, si allontanarono, ripigliando le loro ricerche
nel parco.
Il Portoghese quando non li udì più, emise un sospirone che pareva volesse durare un quarto d'ora.
- Corpo di una spingarda! - esclamò egli. - Credo di aver vissuto dieci anni in dieci minuti. Sai,
fratellino mio, che noi possiamo accendere un cero alla madonna di Lisbona, d'averla scappata bella.
Io credevo di non dover uscire più vivo da questa stufa.
- Lo credo bene, Yanez - disse Sandokan, che rideva fino a slogarsi le mascelle. - Nel momento che
quella canaglia d'Inglese introduceva la testa nella stufa, ho veduto passare come una nube rossa
dinanzi ai miei occhi. Ti assicuro, Yanez, che non mi sarei, però, lasciato prendere sì facilmente; avrei
avuto denti e artigli per tutti e dieci.
- E avresti dato così l'all'armi mettendoci alle calcagna tutti quelli che sono imboscati dietro le
palizzate. È meglio che sia passata così liscia.
- Lo so, Yanez, e voglio sperare che a quei codardi non salte più in capo di ritornare al chiosco.
Possiamo ormai considerare questa serra come casa nostra.
- E vorrai tu rimanere in eterno fra questi fiori che ci soffocano? Non abbiamo viveri, e per di più non
si può dormire con tutta tranquillità. Non ti nascondo che mi trovo a disagio in questo luogo, sapendo
che i prahos sono in viaggio e che forse sono anche arrivati.
- Io non dico di rimanere lungo tempo qui, Yanez; appena che la vigilanza delle giacche rosse sa
rallentata, noi prenderemo il volo. I prahos, non aver timore che possano venir scoperti; Giro Batoë,
tu sai che è un uomo che la sa lunga e che è pratico più di me di questi luoghi.
- Ma i viveri?
- Ne troveremo. Ho veduto nella serra degli ananassi e degli aranci d'inverosimile grossezza che non
aspettano che il momento di venire mangiati. Usciamo, Yanez, dalla nostra fortezza, e andiamo a fare
le nostre provviste dopo di aver dato un'occhiata alle mosse delle giacche rosse. Animo, cammina
innanzi.
Il Portoghese, che in quella stufa sentivasi mancare il respiro, non se lo fece ripetere e spingendo
innanzi la carabina per ogni precauzione, strisciò all'aperto avendo cura di saltare immediatamente sui
vasi per non lasciare traccie nere sul suolo. Sandokan lo seguì quasi subito.
Al di fuori era sempre oscuro, ma i loro occhi abituati alla oscurità della stufa distinsero facilmente gli
aranci che non indugiarono a saccheggiare per ispegnere la sete e calmare gli stiracchiamenti dello
stomaco.
- Non far rumore e non moverti, Yanez, io andrò a vedere come va la faccenda - disse Sandokan.
- Io stimo cosa imprudente allontanarsi dal chiosco, fratello mio. Rimani e lascia che le cose corrano
da sé senza arrischiare di venir scoperto, o peggio ancora, di ricevere qualche scarica in pieno volto.
- Sa prudente, lo vedrai, Portoghese. Bisogna che io vada a vedere qualche cosa per ideare il mio
piano.
- E che vuoi vedere, quando noi ci troviamo in una fortezza dove il nemico non torna più? Al diavolo
il tuo piano, che con simile notte non può diventare che pericoloso. Vedremo domani mattina ciò che
bisognerà fare.
Il pirata crol il capo, mise la sua carabina nelle mani del Portoghese e traendo il kriss, la sua arma
favorita, disse:
- Lasciami andare; io sarò più agile della scimia e più prudente d'un babirussa. Fra dieci minuti
ritorno.
Il Portoghese non si oppose più, quantunque paventasse per ciò che poteva fare Sandokan. Questi
uscì, aprendo senza far rumore i cristalli ed entrando nel chiosco diede una rapida occhiata all'interno,
rattenendo il respiro cogli orecchi tesi, e assicurato dal silenzio che regnava, lo attraversò,
camminando sulla punta dei piedi.
Il drappello poco prima composto di soli sedici soldati era cresciuto fino a una ventina di più, e diviso
in piccoli gruppi batteva le aiuole e i cespugli, procedendo colle torcie, e decisi più che mai a
impadronirsi del pirata quantunque mettesse loro un certo spavento addosso, sicuri che era ancora nel
parco. Egli si strinse nelle spalle.
Uscì del tutto dal chiosco e guar attentamente la villa lontana un trecento passi. Vide la fenestra
della giovanetta illuminata e sussultò impugnando il kriss.
- Se potessi rapirla! - mormorò il pirata, che aveva l'idea di tentare un ardito colpo di mano.
Fece tre o quattro passi tenendosi più basso che poteva per non essere scorto dai soldati, poi si arres
cogli occhi fissi sulla fenestra sempre illuminata.
Egli poté distinguere un'ombra che passava dinanzi ai vetri seguita da un'altra.
Abbaslo sguardo dinanzi alla porta e vide una terza ombra, una sentinella che si teneva immobile
ma sbarrando l'entrata colla carabina, e che senza dubbio non si sarebbe lasciata facilmente
avvicinare né ammazzare come la prima caduta sotto il kriss del Portoghese.
Sandokan che aveva già progettato il suo piano si arrestò indeciso guardando fissamente la sentinella
immobile.
- Soldati di sopra, soldati di sotto! - mormo egli coi denti stretti, tormentando l'impugnatura del
kriss.
L'esitazione non du che un lampo per quell'uomo che non conosceva paure. Tentò l'avventura e si
mise ad avanzare coll'occhio fisso sui gruppi dei soldati, che andavano e venivano pel parco per non
lasciarsi tagliare la ritirata. Ma non aveva ancor fatto venti passi che la sentinella si scosse, alzando la
carabina.
- Chi va là? - gridò il soldato con voce rauca e puntò l'arma verso la nera ombra che si arrestò.
CAPITOLO XX
Il fantasma delle giacche rosse
La partita oltre essere compiutamente perduta, minacciava diventare seriamente pericolosa pel pirata.
Non era da presumersi che la sentinella, stante la oscurità e la distanza, avesse potuto ben scorgerlo
dietro il cespuglio dov'erasi nascosto, tuttavia poteva sparargli addosso almeno per assicurarsi se era
stata una visione dell'occhio, o realmente un uomo. L'intimazione si ripeté, ma senza che il soldato
scaricasse l'arma e abbandonasse il posto e senza che Sandokan ardisse fare il più piccolo passo. Alla
terza, il pirata, temendo che chiamasse all'armi, quantunque ardesse dalla smania di compiere la sua
temeraria impresa, si mise a indietreggiare a lenti passi tenendosi dietro ai tronchi d'albero, cogli
occhi sempre fissi sul soldato, che non abbandonava la sua minacciosa posizione.
Bestemmiando in cuor suo e digrignando i denti per l'ira, Sandokan in pochi istanti raggiunse il
chiosco e guadagnò la serra dove il Portoghese l'aspettava con viva ansietà.
- Ebbene, che hai veduto? - chiese quest'ultimo, che nel rivederlo respirò largamente.
- Nulla che sia in nostro favore, Yanez - rispose Sandokan con collera. - La casa è guardata da
sentinelle, il parco è battuto da soldati, le palizzate sono circondate. Questa notte non si potrà tentare
nulla.
- Benissimo, fratello mio, a meraviglia! Agiremo col sole, se quelle giacche rosse, che il buon Dio
confonda, ci lascieranno fare. Voglio credere che non rimarranno in eterno in questo parco.
- Ma non hai tu pensato alla giovanetta che forse si strugge dal dolore credendomi forse morto o
prigioniero? Giusto Allah! vorrei dare cento goccie del mio sangue per risparmiarle una sola lagrima!
- Lo so, Sandokan, ma checché sia, lei si trova in una situazione mille volte migliore della nostra. Non
dartene pensiero di lei ora, e occupiamoci invece di noi che ci troviamo abbastanza in male acque.
- Ci occuperemo, Yanez, e una volta salvi, penseremo allora a liberar lei. Orsù, questa notte nulla si
può fare. Cerchiamo di approfittare della tregua che ci lasciano le giacche rosse e dormiamo un po'.
- Dormire! - esclamò il Portoghese. - E non sai tu che questa tregua potrebbe venire rotta da un
momento all'altro?
- Il nemico non ritornerà in questi luoghi che ha già visitato, te l'assicuro, Yanez. Andiamo, coricati
dietro questi vasi, dormiremo con un occhio aperto.
Il Portoghese quantunque non si fidasse troppo di dormire colle giacche rosse così vicine, ubbidì, e si
stese dietro ai vasi, imitato da Sandokan. Ma né l'uno né l'altro furono capaci di chiudere un occhio e
passarono il rimanente della notte, il Portoghese pensando ai mezzi per tentar la fuga e ai prahos e
Sandokan alla giovanetta verso alla quale aveva dei timori che non riusciva a scacciare e levandosi di
tratto in tratto per spiare le mosse delle giacche rosse.
Quando spun il giorno gl'Inglesi rovistavano ancora i cespugli e le aiuole, accresciuti assai di
numero.
Se li vedevano andare e venire, senza mai stancarsi e sempre dubbiosi di non aver ben frugato,
gettando sotto sopra i fiori e sfogando la loro ira con frequenti imprecazioni all'indirizzo della Tigre
Malese.
I due pirati, dato nuovamente il sacco agli aranci che abbondavano nel fondo della serra, di una
grossezza meravigliosa non inferiore alla testa di un fanciullo, di quella specialità chiamata dai malesi
buà kadangsa, per ogni prudenza tornarono a cacciarsi nella stufa, dopo di aver cancellato
minutamente le traccie di fuligine lasciate sul terreno e sui vasi. Quantunque il chiosco fosse stato
scrupolosamente esaminato, gli Inglesi potevano ritornare, per assicurarsene meglio alla luce del
giorno.
Un filo di luce che penetrava per lo sportello bastava a illuminare vagamente sì, ma sufficientemente
l'interno della negra fortezza, e la medesima fessura permetteva altrecon un po' di pazienza di spiare
le mosse delle giacche rosse. I due fuggiaschi si accomodarono fra la cenere e la caligine che li
soffocava, ponendo mano tranquillamente al frutto del saccheggio, e aspettando pazientemente il
momento di spiccare il volo, senza destare all'armi e correre nuovi pericoli.
- Verrà bene il momento in cui essi sgombreranno il parco - disse Sandokan sbucciando uno degli
enormi aranci. - Quando essi vedranno che io non sono più nascosto né fra i cespugli in mezzo ai
fiori si metteranno in campagna seguendo qualche nuova traccia che crederanno la mia. Sarà allora
che noi guadagneremo la foresta.
- Anche di giorno? - chiese il Portoghese che trovava più che pericoloso prendere il largo col sole.
- Se sapossibile, lo tenteremo anche di bel mezzogiorno, fratello mio. Sono impaziente di prendere
il largo e di raggiungere i miei prahos, che devono essere di già arrivati o che arriveranno durante la
giornata. Bisogna spicciarsi prima che il lord se ne fugga a Vittoria nel bel mezzo dei suoi
compatrioti, dove sa ben difficile assalirlo nel cuore della colonia sotto il fuoco del fortino e degli
incrociatori.
- E poi - disse Yanez - hai tu udito ciò che diceva quell'ufficiale questa notte? Egli parlava di una
spedizione che si prepara su Mompracem o che si è di già preparata. Io ho i miei timori; quell'uomo
non parlava per spaventarci poiché ignorava che dietro la palizzata vi eravamo noi, che ne dici
Sandokan?
- Gli è ben anche per questo, che vorrei spicciarmi a compiere il rapimento - rispose il pirata, che
aggrottò ripetutamente la fronte. - Se essi attaccano la nostra isola, quando il fiore delle genti si trova
lontano, non so come andrà a finire. Tu sai, Yanez, che i sessanta uomini che sono con noi formano il
nucleo dei pirati, che tutti gli altri quantunque più numerosi non sono che Cinesi, Siamesi, Birmani e
pochi Bughisi, Giavanesi o Malesi su cui contare; di più le trincee sono ancora deboli e le artiglierie
più grosse e meno vecchie trovansi ancora imbarcate a bordo dei prahos.
- E se, al nostro ritorno, trovassimo il nido occupato? - chiese il Portoghese, che rabbrividì tutto al
solo dirlo.
- Lo rioccuperemo - rispose calmo calmo Sandokan. - Sessanta pirati, guidati dalla Tigre della
Malesia, tu sai che sono capaci di fare miracoli. Vorrei vederlo, Yanez: ne farei un massacro di tutte
le giacche rosse, facendo scorrere veri fiumi di sangue e formar trincee a furia di cadaveri.
- E se le nostre forze fossero così deboli da non poter tentare la conquista di Mompracem?...
Il pirata ammutolì, guardandolo fisso al vago chiarore che penetrava dallo sportello della stufa.
- Bene - diss'egli dopo qualche istante di silenzio, - allora volgerò la prua al sud o al nord, e me ne
andrò su altre isole. Allora avrò la giovanetta assieme con me e per me sarà tutto.
- E tu, disgraziato, lascieresti la tua Mompracem nelle mani delle giacche rosse senza nulla fare per
riconquistarla?
Sandokan scattò in piedi col kriss stretto convulsivamente in mano e gli occhi accesi. Sen per un
istante l'odio per quella razza maledetta riprenderlo, sentì per un istante di ridiventare la terribile Tigre
della Malesia, ma fu un lampo. Egli ricadde nella cenere mandando un profondo sospiro.
- Ebbene, Sandokan?
- La lascierò nelle loro mani - rispose freddamente, ma cupamente, la Tigre. - Marianna basterà per
consolarmi della perdita della mia isola.
- È inutile, tutto è inutile! - esclamò il Portoghese. - La Tigre è stregata, è moribonda.
Egli lasciò il compagno nel fondo della stufa e strisciò verso lo sportello mettendosi in osservazione.
Di là, egli poté vedere una diecina di giacche rosse, che battevano ancora, ma quasi svogliatamente, i
cespugli é le ultime aiuole del parco.
Era evidente che tutti gli altri, sicuri che il pirata avesse di già preso il largo, si erano messi in
campagna, prendendo diverse direzioni, e guardando attentamente la costa per agguantarlo prima che
si mettesse in mare.
Il Portoghese che le pensava tutte cominciò ad avere qualche paura per i prahos che potevano
veleggiare al largo e forse trovarsi di già nel fiumicello. Se gl'Inglesi guardavano la costa, i legni
correvano pericolo di venire scoperti. Il Portoghese sentì assalirsi dalle caldane.
- Eccoci in un bell'impiccio - mormorò egli. - Da che la Tigre della Malesia è stata stregata, tutto va di
male in peggio e a rapidi passi. Una tempesta sulle spalle che ci ha abbandonati nel bel mezzo dei
nemici e che forse ci ha affondato un prahos coi suoi venti valentuomini; un inseguimento che
minaccia di non finir più o di terminare con qualche palla nelle costole; dei prahos che minacciano di
venire scoperti e bombardati magnificamente da quei maledetti piroscafi di ferro e una spedizione al
nostro nido nel fondo della quale si vede e con molte probabilità l'ultimo colpo di grazia per
Mompracem! Non ci voleva di più. Che hai fatto mai, Sandokan?
Il Portoghese scosse la testa pur rassegnato e sospirò pensando con visibile spavento alle conseguenze
della presa di Mompracem che lo precipitava nella miseria. Certamente che gl'Inglesi non avrebbero
mancato nella loro visita di struggere il villaggio e di saccheggiarlo ben bene prima, rubandone le
incalcolabili ricchezze di Sandokan, sulle quali egli si avvoltolava pensando di finire la vita in mezzo
all'oro in qualche città d'Oriente, come andava da qualche tempo sognando. Il Portoghese ebbe paura
e tornò a sospirare.
- Noi rimarremo senza una piastra e senza un risdagliero - mormoegli. - Vorrò vedere che diavolo
penserà di fare Sandokan colla milady, quantunque i nostri kriss non manchino di grossi diamanti.
Gettò un'occhiata verso gl'Inglesi mandandoli ben volentieri al diavolo e rientrò.
- Che hai veduto Yanez? - domandò Sandokan sempre seduto nel fondo della caliginosa stufa.
- Pochi soldati e molta miseria dinanzi agli occhi, fratello mio - disse il Portoghese.
- Non ti comprendo. Che diamine mi vai parlando di miseria? - chiese Sandokan sforzandosi a
sorridere.
- Hai tu dimenticato di già la spedizione di Mompracem? Ci porterà la miseria, amico mio.
- Hai veduto tu quegl'Inglesi partire o hai udito forse il cannone tuonare? - domandò Sandokan
ridendo.
- In fede mia no, ma l'ufficiale lo ha detto e tu pure udisti le sue parole.
- Dal parlare al fare amico mio, corre un gran tratto. Io non parlo di Mompracem ora, parlo di
prendere il largo abbandonando questa stufa entro la quale mi sento soffocare. Come stanno le cose al
di fuori?
- Non ho veduto che una decina di soldati e mi sembrano stanchi di frugare. Tutti gli altri a quanto
pare si sono messi in campagna, correndo dietro al fantasma cercandolo nella foresta e forse, forse in
riva al mare, implicando pericolosamente l'avvicinarsi dei prahos che sono forse al largo.
- Ah! - fe' Sandokan che meditava qualche piano. - Non aver paura pei nostri prahos, Yanez, essi non
si lascieranno facilmente scoprire o non si avvicineranno se hanno pur qualche sospetto. E poi,
credi tu che tutti possano distinguere un prahos corsaro da un mercantile? Nascosto una parte
dell'equipaggio e qualche spingarda o qualche cannone, cacciato un nuovo timone nell'acqua per farne
i due, e messa un po' di zavorra sottovento nel sostegno di bambù, improvvisato con quattro tavole
l'attap (casotto o tettoia di bambù che sogliono avere al centro della coperta i prahos specialmente
mercantili) e ammainati i fiocchi, ecco di che ingannare i più astuti soldati e fors'anche un
incrociatore. Ciò non mi preoccupa, Yanez, bensì mi dà da pensare la via che hanno preso le giacche
rosse. Se non sappiamo dove sono quei maledetti, la fuga riesce difficile se non impossibile.
- Sarà difficile il saperlo - disse il Portoghese che non trovava modo di uscire da quel garbuglio.
- L'oscurità questa notte è abbastanza fitta per potersi arrischiare senza sapere se i nemici sieno al sud
o al nord. Ah! se potessi rapire uno di quegli uomini che girano pel parco!
- Bella pazzia. Sarebbe un farci scoprire.
Sandokan alzò le spalle.
- Aspetta - diss'egli improvvisamente al Portoghese. - Credo di avere una buona idea; rimani nella
stufa e lascia che io veda coi miei propri occhi come stanno le cose al di fuori: chi sa che non abbiamo
a tentare un bel colpo?
Abbandonò silenziosamente la stufa, attraversò il chiosco e spintosi fino alla porta guar la
posizione che occupavano gli Inglesi. Erano ridotti in minor numero di prima quando li aveva contati
il Portoghese; erano cinque o sei, qualcuno disperso fra le aiuole, gli altri sdraiati all'ombra degli
alberi fumando pacificamente colle loro pipe.
Il pirata guardò le palizzate con uno sguardo d'onde trapelava ira e dolore.
Una sentinella vegliava alla porta come la notte precedente allontanandosi raramente di più di due o
tre passi, un'altra colla baionetta in canna, stava appoggiata a una fenestra del primo piano. Tutte le
altre fenestre erano chiuse o semi-chiuse, eccetto quelle del lord.
- Dormono o fingono dormire - mormorò Sandokan - ma vegliano attentamente le sentinelle. La
fanciulla è ancora là, guardata chi sa come, ma sempre là. Vegliate pure maledetti, cingetela pure
d'armi la mia Perla, io la strapperò dalle vostre unghie. Oh, sì, ve la rapirò prima che vi salti l'idea di
trascinarla a Vittoria.
Stette un momento cogli occhi fissi sulle fenestre della giovanetta colla fronte aggrottata, poi alzò
macchinalmente la testa verso quella del lord. Egli strinse i pugni e fece atto di slanciarsi innanzi.
Aveva veduto una persona a quella fenestra che riconobbe subito.
- Ah! Sei tu, maledetto lord! Sei tu il carnefice della mia Perla. Se ti potessi avere in mia mano!...
Lo mirò con indicibile espressione di ira, poi, quando lo vide rientrare gettò uno sguardo sui soldati
lontani un seicento passi e notò che uno di essi stava allontanandosi dai compagni, prendendo
l'ombroso sentiero che conduceva al chiosco. Si riti rapidamente guadagnando la serra e chiamò il
Portoghese sdraiato sul fondo della stufa.
- Fratel mio, spicciati, salta fuori che il nostro uomo si avvicina - disse Sandokan rapidamente.
Il Portoghese che lo aveva perfettamente compreso strisc lestamente all'aperto più nero d'un
africano.
- Hai veduto qualche giacca rossa avvicinarsi al chiosco? - domandò egli scuotendo la caligine di
dosso.
- , un Inglese ha preso il sentiero che mena a questa parte. Guarda, fratello mio, a me occorre
quest'uomo per sapere qualche cosa sulla caccia che ci danno i suoi compagni nella foresta.
- E vorresti tu impadronirtene? - domandò il Portoghese che ebbe paura.
- Certamente e per farlo ben parlare sulla punta del mio kriss - disse Sandokan entrando nel chiosco.
- E i suoi compagni? Non pensi tu, Sandokan, che abbiano a vederci o a udirlo, poiché non sarà tanto
facile strozzargli la voce e portarlo qua entro senza destare all'armi, e tu sai che la nostra situazione è
scabrosa.
- Lo so, ma ho tutto calcolato. I suoi compagni sono distanti più di seicento passi quindi non possono
udire facilmente qualche gemito o qualche rumore, e gli alberi bastano per nasconderci. Mi occorre
assolutamente questa canaglia se vuoi prendere il largo e marciare con qualche sicurezza nella foresta
senza andarci a gettare in bocca al leone. Orsù, spicciati, egli è appena distante quattrocento passi.
- Non ti fidare troppo, Sandokan, delle nostre forze - disse il Portoghese che esitava. - Se getta un
grido o se manchiamo il colpo la sarà finita per noi. E poi credi tu che se parlerà dirà il vero? Questi
cani di Inglesi hanno due lingue come hanno due cuori.
- Lascia pensare a me, Yanez: io lo farò cantare e a voce alta, è la verità, e credilo che avrà tanta paura
nel trovarsi fra le mani della Tigre che non mi ingannerà. Presto, mettiti in mezzo a quei fiori dietro la
porta e non fiatare.
"Quando salterò alla gola strozzandogli la voce, afferralo bene per le mani e gettatelo sulle spalle. Lo
porteremo nella serra e una voltaracconterà ciò che noi vorremo sapere.
- Uhm! Tu ti cacci in un ginepraio donde non so come farai a uscire. Tu pensi più a farlo cantare su
ciò che successe alla palazzina che riguardo la nostra fuga. E se egli, a mo' di esempio, gridasse?
- Non perderemo tempo, Yanez, e prenderemo il largo a costo di farci inseguire da tutti i mariuoli
della villa dopo di avergli cacciato dieci pollici di lama fra le costole - disse Sandokan freddamente. -
Non esitare più, prepara i garretti per fare un magnifico salto appena che io l'avrò atterrato e guardati
bene dalla carabina della sentinella che è abbastanza vicina per farti scoppiare la testa con una palla.
- E hai pensato tu a questa, Sandokan? - doman il Portoghese doppiamente allarmato.
- Non aver paura di quel poltrone, Yanez; i cespugli che sono abbastanza fitti non gli permetteranno
di vederci. Spicciati, non fare rumore né muoverti prima che il nostro uomo sia passato. Eccolo che si
avvicina, presto, getta a terra la carabina che per ora non ci è di alcuna utilità.
- Farò ciò che tu vorrai, Sandokan, ma ho paura che la cosa non passi così tranquilla come tu credi.
Il pirata, la cui audacia non cedeva ad alcun timore ad alcuna esitazione, si strinse nelle spalle e
andò ad appostarsi dietro alla porta del chiosco, pronto a piombare con un salto da tigre sul soldato e
afferrarlo pel collo onde strozzargli la voce. Il Portoghese, deposta la carabina, gli si mise di dietro.
Il soldato era allora lontano un centinaio di passi. Era un uomo mingherlino, che dovea mancare di
forza, ma non di agilidi energia, e che veniva innanzi con un dondolamento di lupo marino, col
naso alzato, gli occhi volti sbadatamente sugli alberi.
La sua carabina gli pendeva da una spalla colla bocca rivolta verso a terra mille miglia lontano di
sospettare di correre pericolo.
Sandokan urtò col gomito il Portoghese e strizzò l'occhio furbescamente, poi, dopo di aver dato uno
sguardo al soldato, gli si accostò, avvicinando le labbra a uno dei suoi orecchi.
- La faccenda non sarà difficile - mormorò egli. - In un volger di mani il nostro uomo sarà a terra
senza emettere un lamento.
- Prudenza, fratello mio - rispose il Portoghese, che, per ogni precauzione, trasse il kriss.
Il soldato percorse cinquanta passi, sempre col naso all'aria; era ormai fuori di vista dei suoi
compagni, che andavano frugando i cespugli presso le palizzate. Sandokan allargò le gambe, tese le
mani innanzi e si raccolse su sé stesso.
Il soldato percorse altri trenta passi.
Sandokan si slanciò, l'afferrò pel collo serrandoglielo come preso fra una morsa d'acciaio e in meno
che non si dica lo atterrò. Per quanto fosse stata rapida e potente la stretta, il disgraziato po gettare
un grido.
- Yanez! - esclamò Sandokan.
Il Portoghese era lì. Afferrò per le braccia il soldato e lo sbat violentemente contro il suolo
stordendolo, poi se lo caricò sulle spalle e rientrò precipitosamente nel chiosco mentre che i soldati,
allarmati da quel grido lamentevole, si precipitavano sul sentiero.
- Fa presto, Yanez, entra nella serra - disse rapidamente Sandokan stringendo sempre più la gola del
prigioniero a segno di farvi penetrare le dita e farne uscire il sangue.
- Per Giove! Siamo stati scoperti! - esclamò il Portoghese entrando in furia nella serra.
- Non aver paura, Yanez, hanno udito solamente il grido e il nostro uomo non griderà mai più. Gettalo
a terra.
Il Portoghese si affrettò ad ubbidire. Sandokan, stracciando un lembo del suo turbante, lo imbavagliò
strettamente e gli legò le mani dietro il dorso.
- Portalo nella stufa e resta vicino ad esso. Non far rumore, fratello mio, io vado a spiare il nemico.
Il pirata si slanc nel chiosco armando la carabina, e, nascondendosi prudentemente fra le piante,
guardò.
I sette od otto soldati avevano udito il grido ed erano stati allarmati, ma senza, a quanto pareva, aver
ben compreso di che si trattasse, e ben lungi dal credere che il loro compagno fosse stato così
arditamente rapito.
Sandokan li vide avvicinarsi al sentiero che menava al chiosco, guardando sotto gli alberi e
interrogandosi a vicenda, indecisi sul da farsi, poi uno di essi additava la carabina gettata fra le erbe,
che i pirati non avevano avuto la precauzione di raccogliere. Egli lanciò una bestemmia e per un
istante ebbe l'idea di darsi precipitosamente alla fuga, ma si rattenne deciso di aspettar la fine degli
avvenimenti, risoluto a strappar qualche rivelazione al prigioniero così audacemente conquistato e al
prezzo di tanti pericoli. I soldati che ormai avevano la certezza che chi aveva gettato il grido era stato
il loro compagno, si slanciarono sul sentiero avvicinandosi a rapidi passi verso la malaugurata
carabina e gettando uno sguardo abbastanza diffidente sul chiosco.
Sandokan si affrettò a battere in ritirata e raggiunse nella serra il Portoghese che teneva il soldato
sotto le ginocchia mostrandogli in modo espressivo la punta del kriss assicurando che era avvelenata.
- I soldati vengono da questa parte, Yanez, cacciati nella stufa e trascina con te il prigionero.
- Ma se vengono, ci scopriranno! - esclamò il Portoghese che si guardò attorno con ispavento.
- Lascia pensare a me, non ci hanno ancora scoperti. Solo hanno trovato la carabina che abbiamo
lasciata a terra.
- Non perdiamo tempo allora, fratello mio, filiamo raccomandandoci alle nostre gambe.
- Sei matto, per farci passare per le armi prima di giungere alla cinta. Cacciati nella stufa mentre che
io faccio scomparire le nostre traccie. Spicciati, fratello mio, io li sento venire rapidamente.
Non ci voleva di più. Il Portoghese gettò nella sua oscura fortezza, come aveva chiamato ma che ora
chiamava una magnifica trappola, le due carabine e vi si cacc lestamente entro ritirando colle
braccia il prigioniero, che legato e imbavagliato non faceva veruna resistenza né gettava il più piccolo
gemito. Sandokan, soffiate via le traccie che potevano tradirli e cancellate frettolosamente le macchie
di sangue, si affrettò a imitarlo chiudendo prudentemente lo sportello.
Era tempo. Un istante dopo, i soldati giungevano dinanzi al chiosco e facevano le loro supposizioni
sul grido e sull'arma trovata e sulla scomparsa del suo padrone che aveva un non so che di
soprannaturale che sgomentava i più coraggiosi.
- Che Harry abbia voluto burlarsi di noi nascondendosi dietro a qualche cespuglio? - diceva un
soldato la cui voce robusta giungeva distintamente alle orecchie dei due pirati.
- Il ragazzo è burlone - disse un altro soldato. - Ma credo che in questi momenti non sia d'umore di
fare degli scherzi. Non avete udito che il suo grido era strozzato come quello di un uomo che viene
improvvisamente preso per la gola?
- Che si sia nascosto entro il chiosco? Non è ammissibile che l'abbiano portato via, così, sotto ai nostri
occhi.
- E percno? - disse una voce nasale dalla pronuncia scozzese. - Avete dimenticato che questa notte
il pirata trovavasi nel parco? Chi l'ha veduto varcare le palizzate? Non sarebbe da meravigliarsi, se il
terribile uomo che beve sangue umano avesse rapito il nostro camerata per dissanguarlo.
- E che? Vorresti tu, Dik, che fosse ancora nel parco?
- Chi dice che il birbante non sia un fantasma, uno spirito infernale che abbia la proprie di
scomparire nel tronco di un albero o di nascondersi dietro a una foglia?
- Non può essere, te lo ripeto, non è uno spirito. Io scommetto invece, che Harry ci ha fatto una burla
fingendo di essere stato portato via e che si tiene nascosto dietro qualche vaso del chiosco, ascoltando
i nostri discorsi.
- Ohe! Harry! - gri una voce nasale. - Da una banda gli scherzi. My God! Ti pare che abbiamo
voglia di scherzare? Ohe! Rispondi, birbante.
Naturalmente nessuno rispose. Il povero prigioniero, mezzo strangolato, legato e imbavagliato,
quantunque udisse i discorsi dei suoi camerati e si struggesse dall'ira, non poteva non solo articolar
sillaba ma nemmeno muoversi. E non l'avrebbe d'altronde ardito, vedendo le due lame dei kriss dei
pirati a pochi pollici dalla sua gola.
Questo prolungato silenzio rinnovò fra i soldati il timore che lo sfortunato Harry fosse caduto vittima
della Tigre Malese.
- Che facciamo? - chiese alfine un soldato.
- Per Bacco! Cerchiamolo, amici; non bisogna abbandonare un simile camerata. Orsù, entriamo prima
nel chiosco.
I due pirati, nell'udire che i soldati si preparavano a visitare il chiosco, malgrado il loro coraggio,
sentirono rizzarsi i capelli sulla fronte.
- Che facciamo, fratello mio? - chiese il Portoghese con un filo di voce.
- Cominciamo col cacciare dieci pollici di lama nella gola di questo prigioniero, che potrebbe tradirci
- rispose freddamente Sandokan.
- Sei matto! Potrebbe agitarsi, potrebbe mandare qualche gemito. Non muoviamoci anzi e
prepariamoci a difenderci.
- Credo che tu abbi ragione, Yanez. Non far rumore allora e mettiti dinanzi allo sportello a
fracassarmi la testa del primo Inglese che appare. Io preparerò dal canto mio un bel gioco per
prendere il largo.
Il Portoghese armò la carabina dirigendone la canna verso lo sportello, mentre che il pirata
scandagliava senza far rumore la grossezza delle pareti colla punta del kriss. Contento di quell'esame
si curvò sul prigioniero.
- Giovanotto mio - diss'egli con voce da non mettersi in dubbio, - se tu cerchi di parlare farai
conoscenza col mio kriss e bada bene, Harry, che la punta l'ho avvelenata di fresco col succo
dell'upas. Bada ora ai casi tuoi se vuoi vivere.
I soldati erano penetrati allora nel chiosco e rovistavano minutamente i cuscini, i vasi e le tavolette,
procedendo con somma cautela, coll'idea che il fantasma si trovasse nascosto sotto o dietro a essi.
- Io non vorrei trovarmi di fronte alla Tigre - disse uno di essi la cui voce tremava. - Sapete,
compagni, che non sarei sorpreso di trovarlo dietro a qualche vaso occupato a bere il sangue del
povero Harry.
- Ma io non vedo nulla. Entriamo nella serra ma armi in mano, giovanotti miei, io sento un certo
odore che lo si direbbe di sangue caldo. To'! Cos'è questo che macchia la soglia della porta?
- Per mille bombe, sangue! - esclamò un soldato che dovette impallidire nel riconoscerlo. - La
faccenda diventa seria e il povero Harry, amici miei, è bell'e spacciato. Io credo che troveremo il suo
corpo dietro un vaso.
- Se si ritornasse a chiamare un rinforzo? Io vi giuro che se vedo comparire la Tigre io me la batto, e
in fede scozzese che lascio le mille sterline e il corpo di Harry. Non so chi inseguirà uno spirito che
beve sangue umano e che si nasconde dietro una foglia diventando un moschino o una farfalla. - Ora
che siamo qui tiriamo innanzi - disse uno che doveva essere il più coraggioso della banda. - Ve lo
ripeto che non può essere uno spirito. Orsù, non lasciamoci sfuggire una bella occasione per
comperare cento botti di gin e per fare una baracca tremenda. Un po' di coraggio, tiriamo innanzi.
A onta delle sue parole incoraggianti, i soldati e lui medesimo procedevano con estrema lentezza.
- Dio! Dell'altro sangue che va sino alla stufa! - esclamò una voce. - Oh! Oh! Il nostro uomo si
nasconderebbe nella stufa?... L'esclamazione repentina fu udita dai due pirati. Il Portoghese sen
rizzarsi i capelli sulla fronte; Sandokan balzò in piedi gettando un sordo ruggito che fu inteso dal
nemico spaventato.
- Afferra la carabina e tienti pronto a seguirmi! - esclamò Sandokan al Portoghese.
Egli si appoggiò colla spalla contro la parete che dava nel fondo della serra, l'unica via libera. Si udì
un sordo scricchiolìo seguito da un rauco brontolio.
- La Tigre! - esclamarono i soldati che si diedero a precipitosa fuga. Quasi nel medesimo istante la
parete fu sfondata, e i due pirati approfittando dello spavento del nemico, balzando attraverso i
rottami, si diedero alla fuga dirigendosi a tutte gambe verso le palizzate.
CAPITOLO XXI
Attraverso le foreste
Era tanto lo spavento e la sorpresa causati dal crepitìo della stufa che ruinava e dalla improvvisa
comparsa del terribile pirata e del suo compagno, che questi, prima ancora che i soldati potessero
riaversi, por mano alle armi e inseguirli, facendo salti da tigri, precipitandosi da un lato all'altro del
sentiero e cacciandosi dietro gli alberi e i cespugli per evitare le palle, avevano di già varcato le
palizzate del parco e si erano messi fuori di portata.
Avevano ritrovato le loro gambe da cervi e senza badare agli squilli di tromba che segnalavano la loro
fuga e alle detonazioni inutili si gettarono sul primo sentiero che si parò loro innanzi, passando rapidi
in mezzo ai cespugli, alle piante e agli alberi sradicati dall'uragano, varcando ruscelli e stagni, intenti
a far perdere le tracce con frequenti ascensioni sui rami e manovre da scimie sui rotang che tenevano
luogo di liane, e a mettere una notevole distanza fra essi e il nemico che doveva essersi lanciato
dietro.
La tromba che risuonava sempre fragorosamente nel parco e le detonazioni che si seguivano a rapidi
intervalli, bastavano per dare le ali ai piedi. Quei segnali dovevano essere intesi dai cacciatori, e
poteva darsi che più tardi avessero alle spalle il grosso della truppa: bisognava guadagnar tempo
finché ne rimaneva.
La fantastica corsa durò un'ora senza che l'uno né l'altro parlasse di arrestarsi, sempre internandosi nel
più fitto dei boschi dove i passaggi diventavano difficili, poi rallentarono la fuga, dopo di aver
percorso una distanza che Sandokan non stimò inferiore a quattro miglia. Un cavallo stesso non ne
avrebbe fatto di più, e cominciarono allora a prendere quelle precauzioni che esige una fuga in mezzo
al nemico che poteva improvvisamente sorgere dietro a ogni cespuglio, a ogni albero o in mezzo alle
erbe, abbastanza alte per nasconderlo.
Ripigliarono fiato per un minuto, senza scambiar una parola per non consumare le forze così preziose
in quei pericolosi momenti, poi gettate le carabine ad armacollo che diventavano di grave impaccio, si
misero a trottare cercando di fare il menomo rumore possibile, cacciandosi fra tronchi d'albero così
uniti dove sarebbe penata a passare una tigre, e continuando le evoluzioni aeree che diventavano ogni
istante più indispensabili.
Man mano che si allontanavano dal parco, la foresta ripigliava la foltezza che caratterizza le foreste
tropicali, dove riesce sommamente difficile trovare un sentiero e meno ancora radure, che scompaiono
in breve tempo sotto l'invasione dei vegetali.
Dappertutto alberi e alberi riuniti, mescolati confusamente, gli uni alti, lisci, enormi, gli altri nodosi,
contorti, bassi, che univano reciprocamente i loro rami e intrecciavano le frondi. Dappertutto fitti
cespugli, incassati, stretti, fra quei bizzarri colonnati, dappertutto radici che potevansi scambiare a
prima vista con giganteschi boa-constrictor, che sbarravano la via rasente terra, che s'incrociavano in
mille guise, alcune descrivendo archi che un geometra non vi avrebbe trovato di che dire sulla loro
esattezza, altre descrivendo spirali o serpentine o angoli, e in mezzo alle quali vagavano formiche
verdi o nere di sproporzionata grandezza e con mandibole di ferro.
Una vera rete poi allacciava stretta stretta e cespugli e alberi e radici, formata da rotang calamus
appartenenti alla famiglia delle palme, che si prolungano per più di cento metri, da gambir uncaria
altri arrampicanti sproporzionati e preziosissimi, e da piper nigrum allo stato selvatico sulle cime dei
quali urlavano battaglioni di feroci scimiotti.
I due pirati, in mezzo a quella fitta foresta che poteva chiamarsi ancora vergine, dovettero
abbandonare la marcia a piedi per cominciare la marcia aerea. Aggrappandosi a tutti quei fili di rete,
cominciarono la scalata con una sveltezza e agilità da invidiare le scimie, raggiungendo le più alte
cime degli alberi, scendendo e poi tornando a risalire, moltiplicando così gli ostacoli per gli
inseguitori, che certamente non sarebbero stati capaci di trovarli in quella porzione di foresta co
intricata.
Percorsi un cinque o seicento passi, dopo di aver venti volte arrischiato di cadere da altezze che
mettevano le vertigini, si arrestarono affranti in mezzo ai rami di un buà mplam, le cui frutta,
quantunque detestabili pei palati europei a causa del loro forte sapore di resina, potevano servir a loro
di cibo, e che colle fibre di rotang saldamente intrecciate potevano a loro servire di amache
comodissime e fresche.
- Di' ora - disse Sandokan quando si fu accomodato - che gli Inglesi ci vengano a trovare. Sfido tutti i
loro dannati cani a venirci scovare.
- Sfido io! - esclamò il Portoghese al quale pareva ancora un sogno di essere riuscito a svignarsela dal
parco. - Sai, fratello mio, che noi siamo proprio fortunati? Trovarci in una stufa con una giacca rossa,
venire scoperti e prendere il volo sotto il tiro di mezza dozzina di carabine, tutto ciò ha
dell'incomprensibile. Ma dunque, hanno proprio tanta paura della Tigre?
- Bisogna crederlo e se vuoi, Yanez, un po' troppo paura per eguagliarmi a uno spirito che succia
sangue e che tiene relazioni collo spirito del male - disse Sandokan che rideva ancora sui discorsi
degli Inglesi. - Non avrei mai creduto di mettere tanto spavento colla mia sola comparsa a degli
uomini bianchi. Orsù, io son decisamente la Tigre, fino a che rimarrò solo e non manco di fortuna.
Quando penso che mi hanno precipitato da una fenestra perché mi fratturassi le gambe, che sono
sfuggito alle loro moschettate e che mi sono cacciato in una stufa per prendere il largo quando si
preparavano ad assediarmi, incomincio a credere d'essere uno spirito.
- E io sarò il primo a crederlo, Sandokan, come lo credono le giacche rosse, che si sono lasciate
sfuggire una bella occasione per guadagnare le mille sterline. Una bella somma, in fede mia, che
non si ha torto di spendere per catturare un uomo della tua fatta, che si reca ad abboccamenti
malgrado una cinquantina di carabine messe là per ispiarlo. Tu hai giuocato una magica carta, amico
mio, coll'abilità di un giuocatore provetto. A proposito, che ne sarà mai della tua giovanetta? Vedi,
colla tua audacia, hai accresciuti i timori da parte di essi e specialmente del lord che non si lascierà
cogliere alla sprovveduta, e che circonderà ben bene di baionette la villa, se non gli salta in capo la
malaugurata idea di prendere alla sua volta il largo e di fuggirsene a Vittoria.
- Lo credi tu, Yanez? - domandò il pirata che si fece cupo in volto e che rompeva convulsivamente i
ramoscelli.
- Sicuro, potrebbe darsi che il valente uomo per precauzione vada a nascondere la graziosa nepote nel
centro della colonia, sotto i cannoni del fortino e dei piroscafi. La cosa diverrebbe estremamente seria
e cento volte più pericolosa.
- Pericolosa? Sia, giacché tu lo vuoi, ma non estremamente seria, poiché andrei a rapirla anche a
Sarawak sotto i soldati di James Brooke. Ascoltami, Yanez, io sono tanto risoluto, che affronterei le
forze riunite di Labuan, Sarawak e Varauni purché farla mia, e senza esitare un sol istante.
"Nessun ostacolo sarà tanto grande da arrestare la passione che arde nel mio cuore. Se occorre,
arrischierò non solo le sorti di Mompracem ma anche la vita dei miei pirati.
- È cosa vecchia, amico mio, e la malattia non si vince che colla giovanetta. Ma hai calcolato,
Sandokan, che noi a Labuan non abbiamo che quaranta uomini o sessanta se vuoi che mi tenga assai
largo, e che a Mompracem non ve ne resta che un centinaio al più? Con simili forze non si sfida la
potenza di Sarawak.
- Oggi, ma domani, da qui una settimana, un mese, due anche, si potrebbe sfidarla. Nella Malesia vi
sono cento e cento tribù piratesche che proseguono il lavoro sanguinoso e distruttore da secoli; vi
sono più di cinquemila tigri che conoscono la fama della Tigre della Malesia e che mi seguirebbero
assieme a tutti i Dayacchi di Borneo, purché alzassi la voce promettendo oro agli uni e teste da
sospendere come trofei alle loro capanne agli altri.
- Lo so, Sandokan, e la malattia che ti rode sarebbe capace di farti tentare anche questo mezzo
terribile, e tentarne di maggiori. Del resto vedremo come andranno le cose prima, e se il lord pense
a prendere il largo. Sono supposizioni mie quelle che esposi e nulla di più. Se è vero che la giovanetta
possiede quell'energia di cui mi hai parlato, non so se si lascierà sì facilmente portar via, sapendo che
tu vegli e che aspetti l'arrivo dei tuoi uomini per liberarla.
- Sì, essa possiede tanta energia da pareggiarsi su questo punto forse alla Tigre della Malesia. Sono
sicuro che, se fosse libera, tenterebbe la fuga e si caccerebbe nelle foreste malgrado le tigri e
gl'indigeni. Oh!... Ma non vi starà a lungo fra le unghie di quel sinistro vecchio, che vorrebbe gettarla
fra le braccia del dannato William. No, per Allah! Non vi rimarrà a lungo.
- Sogni tu, di già, di dare bravamente la scalata alla fenestra?
- E perché no? - disse con violenza Sandokan rizzandosi a metà sull'oscillante amaca.
- Uhm! - fe' il Portoghese. - Credi tu che i nostri tigrotti sieno ad aspettarti? Non dimenticare che
siamo in piena foresta.
- Andremo a trovarli al fiumicello.
- Tu corri come un piroscafo, Sandokan. Non hai pensato che il nemico ci cerca e che potrebbe
sorprenderci?
- Bah! Due colpi di carabina saranno sufficienti per metterli in fuga. Io me ne rido di questo nemico.
Vorrei un po' vedere se sarebbe capace di trovarci. Gl'Inglesi, Yanez, non sono fatti per cercare le
piste, per girare su terre che non conoscono che sulle loro carte scarabocchiate, che chiamano
geografiche. Un uomo dei boschi può passare sotto il loro naso, dondolarsi sopra le loro teste e
scomparire senza che loro l'abbiano a vedere.
- Mi fido molto poco, Sandokan, delle tue parole.
- Hai torto. Ne vuoi una prova?
- Una prova? Che vorresti far tu?
- Passare in mezzo alle loro carabine e raggiungere i prahos senza che se ne accorgano.
- Tu ti cacci in un ginepraio. Hai troppa fretta per tentare l'attacco della villa, che si dovrebbe fare
senza troppo rumore e con un mondo di precauzioni.
- Non ho fretta, ma seguo il destino che mi guida. Io leggo nel libro dell'avvenire.
- E credi tu di veder del chiaro nel libro dell'avvenire? - chiese Yanez, crollando il capo come uomo
che creda assai poco.
- No, al di là del chiaro vedo oscuro, vedo delle tenebre fitte, fitte, più nere di quelle che io abbia mai
veduto in vita mia, ma nel fondo vedo una stella, Yanez, vedo un punto luminoso che brilla più vivo
che mai.
- Ti crederò.
- Ne dubiti?
- Chi sa. Forse credo del tutto.
- Ebbene vieni allora, andiamo a passare in mezzo alle carabine delle giacche rosse.
- Tu vuoi commettere qualche pazzia. Restiamo in questo nostro nido giacc abbiamo avuto la
fortuna di trovarlo e lascia che le giacche rosse si allontanino.
- Non commetterò pazzie; vieni, Yanez! Prima che il sole sia del tutto tramontato noi giungeremo
sulle rive del fiumicello. Non si ode rumore alcuno, la foresta è fitta, abbiamo le nostre armi e
sappiamo strisciare come serpenti. Di chi puoi aver paura?
Il Portoghese, quantunque avesse le sue paure, curioso da una parte di sapere qualche cosa sui prahos
si arrese. Dissetatisi col succo buà mplam che sapeva maledettamente di resina, s'aggrapparono ai
rotang e ai gambir uncaria che serravano l'albero e si calarono fino a terra.
Il bello era uscire da quella foresta e guadagnare il fiumicello. Sandokan stesso si trovava smarrito e
non sapeva qual via prendere.
- Io credo che noi ci troviamo in bell'impiccio, Sandokan - disse Yanez che non era capace di vedere
nemmeno il sole per potersi orientare. - Da qual parte si andrà?
- Ti confesso, che mi trovo smarrito - rispose Sandokan. - Ma presto o tardi usciremo di qua e
troveremo il fiume. Ecco qua un passaggio che una volta deve essere stato un sentiero. Le piante lo
hanno coperto e sono sì unite da non lasciar passare un piccolo babirussa, ma passeremo con un po' di
pazienza. Orsù, andiamo avanti, e bada bene di non schiacciare la coda di qualche serpente e di
prepararti a fare delle ascensioni meravigliose.
- Avanti allora!
I due pirati si cacciarono come due serpenti in mezzo alle piante, cercando seguire il sentiero tagliato
ogni istante da lunghe liane rampicanti e da immense ragnatele dal grosso filo setoso, procedendo ora
coll'occhio rivolto a terra per non incespicare nelle radici o per non calpestare incautamente qualche
velenoso rettile e ora rivolto sugli alberi per non ricevere sulla testa qualche frutto pericoloso, e
movendo con precauzione i rami e le foglie per non destar all'armi. Ben presto ripresero le salite sui
rotang o sui gambir, mettendo in fuga o irritando i semnopithecus maurus, scimie dal pelame nero e
dalla coda lunga, chiamate comunemente in Malesia bigit, le quali, facendo ridicole smorfie e salti
con una destrezza meravigliosa, vedendo turbati i loro recessi, si vendicavano scagliando frutta e
ramoscelli sui due intrusi.
Camminando coa casaccio, mettendo in fuga colle loro ardite manovre di clown nubi di uccelli che
aveano piantato in mezzo a quei fitti alberi i loro nidi sicuri che nessun essere umano sarebbe giunto
sin e calpestando qualche serpentello o qualche dozzina di sanguisughe dei boschi, i due pirati
poterono uscire da quell'imbroglio dopo qualche ora e raggiungere un torrentello che pareva segnare
la fine di quella gigantesca macchia. Al di là estendevasi una radura verdeggiante, solcata da fiorellini
di vari colori, circondata da boschi ma meno fitti, dove si poteva camminare più rapidamente
e forse con meno pericolo. Fecero una sosta dissetandosi nelle fresche acque e discutendo sulla via da
tenersi.
Sandokan non tardò a orizzontarsi dopo di aver osservato attentamente i dintorni dei quali conservava
un vago ricordo.
- Io devo esser passato di qui - disse egli ritornando presso il Portoghese che, sdraiato sulla riva del
torrente, si occupava a masticare dei buà màmplam di miglior sapore dei precedenti. - Ecco qua
un'impronta che si adatta a meraviglia alle mie scarpe lasciata su questo terreno umidiccio, ed ecco là
sul tronco di quel mango selvatico le traccie di una scalata che devono esser state fatte da me. Sarebbe
forse il luogo ove ho atterrato il sergente Willis?
- Mi sembra che questi luoghi ti sieno famigliari, Sandokan. Bada bene a non condurmi in bocca al
leone.
Il pirata anziché rispondere si mise a frugare fra le macchie; vide un ramo rotto a terra, poi traccie
distinte e delle macchie di sangue ancora visibili sulle erba e sulle radici. Continuò le indagini e non
andò a lungo che tro dei brandelli di stoffa bianca che riconobbe subito per suoi. Egli li mostrò al
Portoghese.
- Che diavolo hai trovato tu, fratello mio, che vai osservando tanto quelle striscie come fossi diventato
un mercante?
- Le robe mie, Yanez, che hanno servito a legare il povero sergente che hai cobene spacciato sulla
porta della villa. Vedi, ecco qua un ramo rotto che mi aveva servito d'appoggio, delle traccie di
sangue che è mio, uscitomi dalla mano appena ferita dalla palla di lui. Il povero uomo se fosse qui se
ne ricorderebbe bene anche lui.
- Un luogo propizio per le imboscate, adunque? - disse il Portoghese che si guar istintivamente
all'intorno.
- Forse, ma non ci arresteremo - rispose Sandokan. - Io che conosco la via che ho percorso vestito
da sergente inglese, una bella truccatura, Yanez, che mi ha aiutato a meraviglia per trarmi d'impiccio
facendo viaggiare tutti i soldati nei luoghi ove era impossibile trovarmi; vieni con me che io ti
guiderò, se non al fiumicello, almeno alla capanna di Giro Batoë.
- Andiamo, ma non aver furia, Sandokan. Scandagliamo il terreno prima.
Dopo aver ascoltato attentamente e di essersi assicurati che fra le grida dei semnopithecus maurus, le
grida dei pappagalli e lo stormir delle foglie agitate dal venticello non udivasigrida. di cacciatori,
detonazioni di moschetti, attraversato con un salto il torrente, tornarono a cacciarsi sotto gli alberi
che andavano diradandosi sensibilmente.
Malgrado che il sole calasse rapido all'occidente e l'oscurità andasse facendosi sempre più fitta nei
boschi, Sandokan un'ora dopo giunse ad una piccola spianata in fondo della quale rizzavasi qualche
cosa di nero, che aveva una forma accuminata ben differente dai cespugli che la dominavano.
- Che è? - chiese Yanez sorpreso.
- La capanna di Giro Batoë - rispose Sandokan.
Fece venti passi, poi si arrestò bruscamente armando la carabina. Aveva visto un'ombra rizzarsi
improvvisamente fra le macchie e scivolare rapida all'interno della capanna. Per quanto fosse buio,
riconobbe in quell'ombra una creatura umana.
- Fermati, Yanez - diss'egli. - Ho veduto un uomo entrare nella capanna.
- Che sia un Inglese?
- È passato troppo rapidamente perché io lo avessi ben a distinguere. Mi aveva pe più l'aria di un
indigeno o per lo meno di un orang-utang che d'Inglese.
- Che facciamo adunque? Per conto mio, direi di prendere il largo prima che abbiano a capitarci
malanni.
- Io penso invece di tirar innanzi, Yanez - disse Sandokan. - Giro Batmi aveva detto esservi degli
indigeni nelle vicinanze della sua capanna. Prendi la carabina e andiamo un po' a vedere.
I due pirati si avvicinarono cautamente a quella baracca di foglie e di bambù e s'arrestarono dinanzi la
porta spingendo entro lo sguardo. Quasi nel medesimo istante un uomo si precipitò in mezzo a loro
gettando un urlo di pazza gioia.
- Mio capitano! Signor Yanez! - e il malese Giro Batoë in persona cadde alle loro ginocchia.
CAPITOLO XXII
L'ussaro
La comparsa del bravo Malese fu accolta dai capi della pirateria con un vero urlo di gioia. Tutti i
timori che cominciavano ad assalirli sulla sorte dei prahos svanirono in un lampo.
- Sei tu, proprio tu, proprio il mio Giro Batoë? - disse Sandokan, sollevandolo da terra. - Credevo
proprio che la fatalità me lo avesse rapito. Di' su, Malese mio, dove sono i prahos?
Il Malese lo sguardo con occhi spaventati, senza aprir bocca.
- Sei diventato muto? - chiese Yanez.
- Zitto, non qui, nella capanna - balbettò Giro Batoë. - Possono udirci.
I tre pirati si affrettarono ad entrare nell'abituro e a rinchiudere prudentemente la porta per non attirare
l'attenzione di qualche cacciator di piste, che potevasi trovare nei dintorni. Il Malese accese un po' di
fuoco.
- Ebbene, Giro Batoë? - chiese Sandokan, che ardeva di impazienza. - Dove sono i prahos? Spicciati,
per l'inferno che sento gravitarmi una pietra sullo stomaco.
Il Malese man un sospiro e per la seconda volta fissò il capitano con occhi smarriti e la faccia
sconvolta. Sembrava spaventato.
Sandokan e il Portoghese gli si slanciarono addosso. L'ansietà era dipinta sulle loro faccie.
- Giro Batoë!...
- Capitano! - rispose il Malese con un filo di tremula voce.
- Per Giove! Che hai tu? Che ti è accaduto? Dove sono i tuoi uomini?
- I miei? Sono in vista della costa, i miei, quelli del mio prahos.
- E gli altri?
- Disgrazia! Disgrazia!... - gemette Giro Batoë.
- Che ne fu degli altri legni? Tu sei partito con più di un prahos.
- Sì, ma sono perduti.
La Tigre mandò un ruggito straziante e si cacciò le mani nei capelli. Il Portoghese indietreggiò.
- Chi hai incontrato? - chiese con truce accento Sandokan. - Degli incrociatori forse?
- No, non ho veduto navi nemiche.
- E allora?
- Fu la tempesta!
La Tigre mandò una bestemmia.
- Ah! La tempesta! La tempesta! - muggì egli. - Fu la mia sventura, il mio ultimo colpo di grazia.
Egli si prese la testa fra le mani e stette qualche minuto così, cogli occhi torvamente fissi a terra.
- Narra, Giro Batoë, narra - disse Yanez che non aveva più sangue nelle vene. - Come andò la cosa?
- Sono partito da Mompracem con tre legni e sessanta uomini.
- Ebbene?
- La tempesta infuriava. A mezza via fra Labuan e Mompracem un prahos fu inghiottito dalle onde.
Ah! maledette onde!
- Tira innanzi - comandò Sandokan.
- Tentai salvare gli uomini che lo montavano, ma mi fu impossibile. Fui trascinato verso Labuan e
perdetti di vista l'altro legno che sparve fra le tenebre. Mi parve vederlo disalberato.
- E poi?
- Poi sono giunto a Labuan dove approdai mettendomi in cerca di voi. Capitano, se credete che io sia
colpevole, arresterò la prima palla di cannone, come la arrestò Patau.
Sandokan non rispose. Incrociò le braccia, la sua faccia si fe' cupa, lo sguardo torvo diventò
sfavillante. Un singulto, uno straziante singulto gli lace la gola, una bestemmia uscì dalle frementi
labbra, ma fu tutto.
Fece due volte il giro della capanna con agitazione nervosa, poi si arrestò dinanzi a Giro Batoë e,
guardandolo fisso, con voce grave gli disse:
- Lo sapeva, Giro Batoë, che tu saresti venuto e che la tempesta che mi rapì Paranoa e tutti i suoi,
avrebbe egualmente rapito qualche altro prahos. È una fatalità, ma che si romperà dinanzi al ruggito
della Tigre della Malesia; sì, io romperò questa fatalità che si libra al disopra di Mompracem
minacciando la nostra potenza. Via, quanti uomini hai tu?
- Venti - rispose il Malese guardando il pirata la cui faccia cupa si rasserenava a poco a poco.
- Venti uomini! E sono tutti questi degli ottanta che sono partiti dalla mia... Mompracem!
- Ma Paranoa, dov'è egli?
- Dov'è? Al nord se non ha naufragato - rispose Sandokan che piegato un istante si rialzava p
indomito di prima. - Tutto volge alla peggio, Giro Batoë, ma se la tempesta ci ha battuto e se
gl'Inglesi si armano e accrescono di numero e di potenza, noi li sfideremo entrambi. Sì, diverrò la
Tigre e guai ad essi se oseranno opporre il ferro al ferro!
- Ma che vuoi far tu con venti uomini? - domandò il Portoghese, che credeva di già la spedizione
andata a male.
- Che voglio fare? - escla Sandokan con violenza e interrompendo la passeggiata. - Ascolta,
Yanez, tutti i nostri progetti di assalti sono crollati dinanzi alla fatalità, dovrò cangiar giuoco ora che
le forze son venute meno quando più io sperava e che ne aveva bisogno, ma riusciremo. Ho giurato
che io la strapperò la mia Marianna dalle mani di quel mostro che si chiama suo zio. Ho giurato che la
farò mia, che la porterò meco nella mia isola, e tu sai che io sono uomo da mantenere la parola. Lascia
che io abbia compiuto questa grand'opera, che io sia guarito da questa malattia che mi abbrucia e poi
vedrai la stella di Mompracem brillare più viva di prima. Poveri tigrotti!...
Il pirata si mise a camminar con passo agitato per la capanna, colle braccia incrociate, la testa china,
gli occhi torvi e le labbra contratte che lasciavano vedere i denti stretti. Si vedeva lo spasimo di un
atroce dolore dipinto sul suo maschio volto. Egli divenne cupo come la notte più cupa conficcandosi
le unghie nella carne, rattenendo un singulto che gli montava a intervalli alla gola uscendo dal cuore
che in quei momenti doveva sanguinare, pensando e ripensando a quegli uomini, ai suoi tigrotti che il
formidabile pirata riguardava come carne delle sue membra, come il mare era sangue delle sue vene, e
sui quali non doveva più mai contare. La Tigre mirò con ispavento la minaccia che balenava su
Mompracem, la ruina della sua isola che si approssimava, e forse in cuor suo, maledì l'istante in cui si
era invaghito della giovanetta.
- Poveri compagni! - mormorò egli con voce rauca e l'esclamazione gli si soffocò fra le labbra con un
basso ruggito.
Ma l'emozione, il dolore per i suoi uomini inghiottiti senza gloria fu un lampo. La passione riprese il
sopravvento e rialzando il capo con orgogliosa fierezza, si fermò dinanzi a Giro Batoë che lo
contemplava assieme al Portoghese, tristamente.
- Dov il tuo prahos? - domandò egli con quella calma e con quell'accento imperioso che adoperava
in altri tempi.
- A sei o sette miglia al largo; non attende che il mio segnale per approdare - rispose il Malese.
- Bisogna che approdi questa notte stessa. Gl'incrociatori potrebbero scoprirlo e rubarmi quest'ultima
speranza.
- Sandokan - disse il Portoghese avvicinandosi al suo amico sempre cupo e pensieroso. - Sentiamo:
sogni ancora di rapir la giovanetta?
- Se sogno? Credi tu, Yanez, che la malattia sia guarita o che la Tigre vinta la seconda volta
abbandoni l'impresa? Vedi, Mompracem, io lo so, è perduta forse per sempre, ma lei vive, lei è
sempre là ad aspettarmi e io l'avrò. Che importa se le forze sono venute meno alla Tigre? Che importa
se gli Inglesi sono cento volte più forti di noi? Alla forza noi opporremo l'astuzia, al ruggito del leone
l'agilità della Tigre. Andiamo a far approdar il prahos, è d'uopo che salvi almeno coloro che ancor mi
restano.
- Ma che vuoi mai fare? Siamo deboli, Sandokan, non lasciarti guidare dalla passione che potrebbe
perderti.
- Perdermi? Che io voglio fare? - disse il pirata che si sentì ingigantire invece di spaventarsi. - Credi
tu che gli ostacoli sieno capaci d'arrestarmi Yanez? Vieni, tu mi vedrai domani stesso all'opera.
"Ci imboscheremo sfidando le forze del prepotente che crede spaventare i pirati di Mompracem,
spieremo l'istante in cui meno veglie per piombargli addosso come tante aquile e schiacciarlo. Mi
basterà un momento per rapir Marianna, lo capisci fratello mio?
- Tu vuoi ancora rapirla, Sandokan - disse il Portoghese che non approvava la violenza del suo
compagno.
- È l'unica risorsa che mi rimane. Lascia che io la veda un sol istante nel parco e sarà mia. Vieni ora,
andiamo al prahos.
I tre pirati uscirono dalla capanna nel più profondo silenzio. Giro Batoë, il più pratico di quei luoghi,
si mise alla testa, e facendoli passare per certi sentieri noti ai soli indigeni e a lui, attraversando
numerosi torrentelli di cui Labuan pare che abbondi, facendoli scalare alberi e passare fra cespugli
spinosi, li condusse al mare senza avere incontrato anima viva. Egli si mise a guardare attentamente
all'ovest scrutando il fosco orizzonte e mostrò ad essi un punto luminoso appena distinto, che si
poteva facilmente scambiare con una stella, ma che lentamente scivolava sui neri flutti.
- È il fanale sospeso al pomo della maistra - diss'egli. - Possiamo andare alla foce del fiumicello, che è
poco lontana.
- Qual segnale devi fare perché si avvicini? - domandò il Portoghese guardando il punto luminoso che
continuava a camminare.
- Accendere due fuochi sulla spiaggia. Un fuoco solo era segnale di allontanarsi maggiormente -
rispose il Malese.
Essi percorsero un mezzo miglio camminando sulla sabbia in mezzo a numerosi gusci d'ostriche, di
crostacei e ad ammassi di alghe, gettando di tratto in tratto qualche occhiata verso la foresta oscura e
il fanale. Essi giunsero verso la mezzanotte alla foce del fiumicello, le cui acque, scorrendo con lieve
mormorìo fra le rive ristrette e boscose, si mescevano con quelle del mare che andavano ritirandosi
per la bassa marea. Con un colpo d'occhio, i pirati si assicurarono che era perfettamente deserto.
- Non vedo luoghi troppo propizi per nascondersi - disse il Portoghese, dopo di aver esaminato le rive.
- Se gl'Inglesi vengono a perlustrare i dintorni, lo vedranno senza dubbio, anche se si tirasse a secco in
mezzo alle erbe e gli alberi.
- Non lo scopriranno, Yanez - disse Sandokan. - Noi lo nasconderemo in mezzo alle canne della
piccola palude, coprendolo ben bene di rami e di foglie dopo di aver levati gli alberi e tutte le
manovre. Giro Batoë, fa il segnale.
Il Malese non perdette tempo. Radunò un fascio di legne che raccolse sul limite del bosco e accese
due fuochi a una certa distanza l'un dall'altro. I tre pirati videro da lì a poco il fanale del prahos sparire
per dar luogo a un fanale rosso. Giro Batoë spense i due fuochi.
- Fra mezz'ora saranno alla spiaggia - diss'egli. - Ho raccomandato di tenersi sempre sotto vela per
poter avvicinarsi o prendere il largo al menomo pericolo.
I tre pirati si sederono sulla spiaggia cogli occhi fissi sul rosso fanale che andava a poco a poco
avvicinandosi. Dopo dieci minuti il prahos era visibile.
Aveva le sue immense vele spiegate e fendeva le onde rapido come un lampo e senza rumore: si
sarebbe potuto scambiarlo per un gigantesco uccello dalle ali lunghe quaranta e più metri.
Arrivò presto alla costa, imboccò senza arrestarsi il fiumicello e gettò l'âncora di fronte alla piccola
palude. I tre pirati lo raggiunsero e salirono a bordo accolti da fragorosi battimani.
Sandokan con un gesto li fe' tacere.
- Silenzio - diss'egli. - Fatevi a me d'intorno.
L'equipaggio lo circondò.
- Siamo soli - continuò egli senza lasciar trapelar commozione veruna dalla voce. - Tutti gli altri sono
morti, uccisi dalla fatalità che gravita tremenda su di noi; che nessuno parli, che nessuno si lamenti,
che nessuno faccia la minima obiezione. La Tigre della Malesia lo vuole.
- Bene - risposero in coro i marinai con ferma voce. - Nessun parlerà.
- Siamo forse spiati, forse dei nemici vagano in questi dintorni; silenzio assoluto adunque e prudenza!
Io lo comando. Giro Batoë, fa ammainare gli alberi e le vele, fa scomparire ogni manovra elevata e
caccia il prahos sulla riva sinistra in mezzo ai canneti. Fallo scomparire sotto un ammasso di fogliame
e di rami in modo che alcun occhio possa riconoscerlo e getta l'imbarcazione in acqua. Fra poco io
partirò.
Non aggiunse una parola di più, e scese col Portoghese nella cabina mentre che i suoi uomini, ciechi
strumenti dei suoi voleri, senza emettere un lamento un sospiro, si mettevano febbrilmente al
lavoro sotto la direzione di Giro Batoë.
Dato il sacco alle provvigioni, il Portoghese e la Tigre si stesero sulle brande per dormire, ma per
quanto quest'ultimo lo cercasse, non gli fu possibile.
Tetri pensieri, paure, inquietudini, lo assalivano e gli strappavano, suo malgrado, imprecazioni,
ruggiti e forse forse dei singhiozzi.
Per quanto forte, feroce, fatalista fosse, il terribile uomo non riusciva a rassegnarsi alla perdita di quei
cari compagni, di quei cari tigrotti, fautori della sua gloria, che aveva per tanti e tanti anni tratto di
vittoria in vittoria, sapeva rassegnarsi alla perdita completa della sua cara Mompracem, della sua
temuta isola, che ormai, sprovvista di difensori, potevasi chiamare morente.
Quantunque avesse di già intravveduto il prossimo tramontar della sua stella in quei mari, il prossimo
tramontar della sua potenza, del suo nome, all'ultimo momento sentivasi straziare il cuore, sentivasi
mancare la forza. Per quell'uomo, benché innamorato alla follia, era atroce veder cadere brano a brano
quella nomea che a prezzo di tanto sangue aveva acquistato.
Si levò dalla branda, dove tutta la notte s'era agitato ruggendo, mugolando, che il sole si era alzato, e
si lasciò cadere su di un sedile, colla testa stretta fra le raggrinzate dita.
- Ah! - esclamò egli, con voce strozzata. - Il pirata sta per spirare, la Tigre, quella terribile Tigre che
un dì andava orgogliosa del suo nome, sta per morire e morire per sempre. Marianna! Marianna! se tu
sapessi quanto mi strazi il cuore! Se tu sapessi quanto mi costa amarti, quanto mi costa abbandonare
la mia terribile carriera, che era la mia gloria!...
"Orsù, era fatalità, era destino che io, dopo aver tanto brillato, dopo aver guazzato nel sangue di
coloro che mi morsero il cuore, di aver sparso il terrore per duecento miglia a me d'intorno, avessi ad
amare!
"Un giorno il mio cuore era di granito, un giorno non sapeva amare che le stragi, che le guerre, che la
mia Mompracem, che il mio mare, che i miei tigrotti... e ora non so amare che lei, Marianna, la nepote
di una giacca rossa, d'un nemico!
"Giorno e notte sento il fuoco dell'amore che mi arde il cuore, che serpeggia come piombo fuso nelle
mie vene; giorno e notte non vedo che lei che volteggia dinanzi ai miei occhi, che mi sorride, che mi
affascina, che mi accieca, che spegne l'ultima mia volontà, l'ultima mia forza che potrebbe ancora
essere capace di spezzare la catena che mi lega a lei! Non sono p la Tigre, non sono più il terribile
Sandokan; sento di essere un'ombra ammalata, atrocemente rosa dall'amore, e destinata a perire fra le
braccia di quell'incantatrice dagli occhi azzurri e dai capelli d'oro che mi ha domato dopo avermi
distrutto i miei tigrotti, i miei figli!...
Il pirata alzò le braccia, con gesto disperato e chiuse gli occhi movendo le labbra come cercassero un
bacio nell'aria. Stette così un minuto, due, cinque, immobile trasognato, poi tornò in sé.
Gettò un sospiro; il passato ricomparve assieme all'avvenire, entrambi tenebrosi, sfilando dinanzi ai
suoi sguardi e rabbrividì, suo malgrado, di spavento, ma fu tutto.
Fece qualche passo per la stretta cabina poi salì in coperta dove il Portoghese lo aspettava di già con
qualche impazienza. I suoi ordini erano stati puntualmente eseguiti durante la notte, di maniera che il
prahos era completamente scomparso a qualsiasi sguardo d'Inglese. Giro Batoë dopo di aver fatto
ammainare gli alberi, e levate le vele, l'aveva fatto trascinare fra i canneti dalla riva sinistra,
ricoprendolo di un ammasso di rami e di alberelli, che lo nascondevano del tutto.
La sola imbarcazione galleggiava fra la riva e anch'essa semi-nascosta tra le erbe.
- Credeva che dormissi per due giorni interi - disse il Portoghese movendogli incontro con
sollecitudine.
- No, Yanez - rispose Sandokan. - Progettava il mio piano. Ecco tutto.
- Ebbene che pensi di fare? Bada bene, Sandokan, che se si deve giuocare giuochiamo in silenzio e
con astuzia.
- Lo so, e ci metteremo subito in campagna. Non bisogna lasciarci sfuggire la minima occasione per
porsi all'opra. Scegli dieci fra i più agili e coraggiosi uomini e, assieme a Giro Batoë, imbarcali. Mi
occorrono e bene equipaggiati.
I dieci uomini, la maggior parte Malesi e Bughisi, di un provato coraggio e di una agilità da dare dei
punti alle scimie stesse, furono scelti in un batter d'occhio. Furono imbarcati assieme ad alcune
coperte, una tenda, munizioni e una grossa provvista di viveri. Sandokan, prima di unirsi ad essi,
chiamò il sottocapo.
- Ikaut - diss'egli volgendosi verso il Dayacco. - Tu rimarrai con dieci uomini al prahos per ogni
possibile evento; bada a essere prudente e non attirare l'attenzione delle giacche rosse che possono
girare nei boschi o navigare sul mare. Eseguisci ciecamente gli ordini che ti saranno mandati, e tienti
pronto a qualsiasi ora per prendere il largo.
- Bene, capitano, fidatevi di me - disse Ikaut. - Quando me l'ordinerete, il prahos sarà in mare prima di
un'ora.
Sandokan prese posto nell'imbarcazione, e i tredici uomini attraversato il fiumicello sbarcarono sulla
riva opposta.
- Dove andiamo noi? - domandò il Portoghese guardando Sandokan sul cui volto brillava un raggio di
contentezza.
- Lo vedrai, Yanez, noi compieremo il nostro progetto senza rumore, ma con torrenti di sangue.
Caricatisi dei viveri, armi e munizioni, la tenda e coperte, si misero in marcia attraverso i boschi,
dirigendosi senza rumore, e senza fretta verso la villa che poteva distare tre chilometri. Sandokan
dopo di aver guardato con qualche attenzione un mango selvatico contornato da rotang e da cespugli
che lo coprivano a metà si arrestò.
- Tu rimarrai qui - diss'egli, volgendosi a uno dei suoi uomini. - Pianterai il tuo domicilio, ti terrai
nascosto o nei cespugli o nel fogliame. Trecento metri alla tua sinistra hai il fiume e quindi il prahos
col quale avrai facile relazione e gli trasmetterai i miei comandi, e a trecento metri verso il bosco
avrai un tuo compagno. Spia, riferisci a esso ciò che tu vedi che di bocca in bocca passerà sino a me.
Mi comprendi? Una catena ti unisce al prahos e a me; abbi prudenza e che la fortuna ti sia propizia.
Gli fu dato una coperta, la sua parte di munizioni, qualche po' di viveri e lasciato. Mentre egli
preparava il suo domicilio fra i cespugli, il drappello continuò la marcia, fino a che, ad altri trecento o
trecentocinquanta metri, fu posta una nuova sentinella. La manovra si ripeté, descrivendo una gran
curva a una certa distanza dalla villa, fino a che Sandokan, il Portoghese e Giro Batoë giunsero sul
sentiero che menava a Vittoria, la cittadella di Labuan, a una distanza di circa tre o quattro chilometri
dal fiumicello. Standosene colà accampati, spiando ogni occasione propizia, potevano avere una
continua relazione col prahos senza essere scoperti e ricevere o trasmettere notizie e comandi. Le
sentinelle che avevano posto, erano uomini che non si lasciavano facilmente scovare, capaci di
attraversare una intera foresta passando di ramo in ramo a mo' delle scimie sia di giorno che di notte,
senza destare attenzione, passando sopra la testa del più astuto cercatore di piste.
- Hai compreso il mio piano? - domandò Sandokan al Portoghese che si stropicciava le mani da uomo
contentissimo.
- Perfettamente, fratellino mio - rispose egli. - Avevo ragione di dire che la Tigre è più forte del leone.
- Sì, e ne vedrai ancor di belle, Yanez. Noi siamo sul sentiero di Vittoria a un seicento metri dalla
villa, nulla può sfuggirci di cche può succedere, e se il lord ha qualche idea di darsi alla fuga per
sottrarre la giovanetta alle mie zanne, avrà da che far con me, per quanti soldati abbia. In un baleno
posso radunare ventitre tigri o in un baleno prendere il mare. Lo vedrai.
Il campo fu rizzato in mezzo a tre banani selvatici, i quali completamente avviluppati fra una rete di
rotang e di gamuti, nascosti ai piedi da fitti quanto alti cespugli, permettevano ai pirati di passare i
giorni senza essere con tanta facilità scoperti. La tenda tenuta assai bassa e di color scuro che si
poteva confondere colle piante, fu rizzata, e i tre uomini con una grossa provvista di viveri, bene
armati, e con qualche bottiglia di wisky vi presero posto aspettando pazientemente gli eventi, senza
perdere di vista il sentiero lontano una sessantina di passi.
Non erano passate sei ore, che Giro Batoë era andato a prendere notizie dalla prima sentinella
imboscata sulla cima di un gluga. Fu nel ritornare che l'orecchio fino del Malese fu colpito da un
lontano rumore, appena distinto che doveva venire dal sentiero che conduceva a Vittoria. Senza
comprendere da ciò che provenisse, in pochi salti guadagnò la tenda.
- All'erta capitano! - esclamò egli. - Qualche cosa succede sul sentiero; io ho udito un certo rumore
che non rassicura troppo.
- Gl'Inglesi di già? - mormo il Portoghese, che, da uomo prudente, tendeva la mano verso la sua
ricca carabina.
- Non lo potrei accertare. L'essere che lo produce deve trovarsi assai lontano - disse Giro Batoë.
- Possiamo prendere le nostre precauzioni - disse Sandokan. - Può essere qualcuno che si avvicina alla
villa. Venite.
Uscì seguito dai compagni e si spinse fino al sentiero dove appoggl'orecchio al suolo. Non tardò a
udire un suono precipitato che andava avvicinandosi rapido e che la superficie della terra trasmetteva
chiaramente.
- Mi sembra un cavallo - diss'egli, alzandosi. - Se fosse un cavaliere che si recasse alla villa?
- In tal caso consiglierei di lasciarlo passare tranquillamente - rispose il Portoghese.
- Lasciarlo passare? - esclamò Sandokan che gli balenò in mente un sospetto e un nuovo piano. - Se
fosse il baronetto? Sangue di Maometto, guai a lui, e poi baronetto o soldato, mi occorre, amici miei.
Se si reca alla villa, deve recarsi per qualche cosa; presto Giro Batoë, vammi a prendere una corda e
tendiamogli un agguato per farlo cadere.
- Farlo cadere? Egli si difenderà, sparerà fucilate, pistolettate e metterà in all'arme quelli della
palazzina. Tu, Sandokan, ti vuoi perdere.
- Lascia fare a me, Yanez. Il cavaliere s'avvicina rapidamente, è segno che ha molta fretta. Il cavallo
che viene alla carriera cadrà di colpo secco trascinando l'uomo; noi gli saremo addosso prima che
abbia tempo di porre mano alle armi.
- Ma che diavolo vuoi farne di questo cavaliere?
Il pirata sorrise furbescamente accostando un dito alle labbra per invitarlo a tacere.
Aiu il malese Giro Batoë a tendere una solida corda attraverso il sentiero, ben assicurata a due
tronchi d'albero e tanto bassa da rimaner nascosta dalle erbe.
- Lascia che s'avvicini, Yanez - disse poscia, - e l'uomo sarà nostro senza far fracasso. Tu, Giro Batoë,
va a imboscarti dietro quel folto cespuglio e appena che il cavallo cade afferralo per la briglia. Noi
penseremo al cavaliere.
Il Malese si affrettò a ubbidire e sparve in mezzo alla macchia posta sull'altro lato del sentiero.
Sandokan e Yanez si nascosero in mezzo alle folte erbe in vicinanza della corda.
Il galoppo del cavallo andava allora avvicinandosi rapido, e udivasi tratto tratto un lungo fischio,
senza dubbio emesso dal cavaliere.
- Il cavallo vi urte contro come un prahos col vento in poppa avventato contro uno scoglio - disse
Sandokan. - Spero di far viaggiare tutti i soldati del parco al sud dell'isola più facilmente dell'altra
volta. Ah! lord James, mi conoscerai meglio!
- Vorresti impicciarti in qualche pericolosa faccenda? - chiese Yanez. - Non so che diavolo intenda di
fare.
- Lo saprai fra breve, e ti avviso prima che tu avrai una parte importante in questa faccenda. Diverrai
un elegante cavaliere inglese.
- Io! Io un cavaliere inglese! Sei pazzo, Sandokan.
La Tigre si mise un dito sulle labbra raccomandandogli silenzio.
Il cavaliere inglese che pareva venisse da Vittoria, comparve sul sentiero a trecento passi di distanza.
Era un bel giovanotto sui ventisei anni, robusto, dal volto fiero, vestito da ussaro, che cavalcava con
eleganza estrema. Pareva avesse assai fretta, e spronava vivamente il suo cavallo morello che col
petto chiazzato di candida bava andava alla carriera colle crini al vento. Sandokan urtò Yanez.
- Attento - gli soffiò all'orecchio.
Il cavallo s'avvicinava rapido come una freccia, eccitato dalla briglia, dallo sprone e dal fischio che il
cavaliere emetteva. Capitò come un fulmine addosso alla corda. Fece un balzo indietro gettando un
nitrito doloroso e rotolò fra le erbe seco trascinando l'ussaro.
I pirati erano lì. Ancor prima che il cavaliere potesse liberarsi dalle staffe e porre mano alla sciabola
gli furono addosso. Giro Batoë saltò alla testa del cavallo e afferrando le briglie lo tenne fermo, e
Sandokan e Yanez si precipitarono sull'uomo riducendolo all'impotenza.
- Non opporre resistenza - gli disse Sandokan passando due dita di ferro al collo di lui e dandogli una
stretta. - Sciogli la lingua appena che ti è passata la paura e bada, giovanotto mio, di non ingannare.
Ehi! Giro Batoë, lega il cavallo che potrebbe più tardi esserci di qualche utilità.
Il Portoghese, mentre che Giro Batoë si affrettava a ubbidire, legò saldamente le mani dell'ussaro, che
non ar opporre resistenza e presolo fra le braccia lo por sotto la tenda per farlo parlare a loro
comodo.
- Orsù ora sei nelle nostre mani e hai dei kriss alla gola - disse Sandokan sedendosi accanto al soldato.
- Tu devi avere qualche lettera per lord James, è facile capirsi. Lasciami un po' vedere ciò che
contiene.
Il pirata, malgrado le proteste dell'ussaro, si mise a rivoltare le sue tasche e non tardò a far saltare
fuori una lettera che lesse avidamente.
Era diretta al lord James Guillonk e scritta dal baronetto William Rosenthal. Non conteneva che
poche parole, ma abbastanza importanti. Il baronetto faceva avvisato il lord che un prahos piratesco
era stato veduto da un piroscafo e lo raccomandava di ben vegliare su lady Marianna, sospettandosi
che la Tigre guidasse quel legno.
- Notizie vecchie - disse Sandokan, quando l'ebbe letta. - Se egli sapesse che io sono di già a Labuan e
che sto per rapirla!...
Intascò la lettera dopo di aver attentamente guardata la scrittura come volesse imprimersela bene in
mente e tornò sedersi.
- Il baronetto mi pare che si occupi molto di noi - disse il Portoghese.
- Sì, Yanez - rispose Sandokan. - E si occupa molto della giovanetta, ma per poco.
- Hai qualche progetto nuovo?
- Chi sa? - poi volgendosi nuovamente verso il soldato: - giovanotto mio, le notizie che rechi a lord
James sono vecchissime e a me occorrono notizie freschissime. Che fa il baronetto William?
- Ah! - fe' il soldato sogghignando, - credi tu che io voglia parlare? Quando avrò parlato tu mi
ammazzerai egualmente, lo si sa. Chi è uscito vivo dalle mani dei pirati? To', scommetterei che tu sei
quel ladrone che si dà pomposamente il nome di Tigre.
- Credo che tu abbia indovinato, cane d'Inglese - disse Sandokan mentre un lampo d'ira balenavagli
negli occhi. - Bada però bene a misurar le parole; il tuo cranio potrebbe darsi che mi servisse da tazza!
- Si dice che tu beva sangue umano, sarebbe più giusto che tu lo bevessi nel cranio di un soldato. Non
metterti in testa però che io abbia a parlare o che io abbia paura di un miserabile come sei tu. Mi hai
preso tendendomi agguato, perché avresti avuto paura a misurarti con me, sono caduto stupidamente
nelle tue mani, fa ciò che credi. Quando il tuo kriss si caccie nella mia gola, fingerò di essere g
morto.
- Se tu non mi avessi offeso, ti lascierei libero perché tu sei coraggioso. Giro Batoë, afferrami
quest'uomo e fa in maniera che fra un'ora sia a bordo del prahos. È il primo uomo che regalo a essi;
che ne facciano c che vogliono purché domani o posdomani veda la sua testa sull'asta della mia
bandiera. Va, io ne farò di meno delle sue notizie che saranno sempre false.
Il Malese mise un bavaglio sulle labbra del soldato che si era messo urlare dibattendosi, poi
afferrandolo fra le sue robuste braccia lo portò seco. Sandokan per un istante cupo si volse verso il
Portoghese e spiegando la lettera:
- Yanez, sapresti tu imitare questa scritta in maniera che il lord non abbia ad accorgersene che non è
del baronetto?
- Uhm! Non sa tanto facile, ma infine con un po' di pazienza si priuscire. Ma che vorresti farne
tu?
- Aspetta; Giro Batoë, alla prima sentinella spogliami quell'uomo che ho bisogno delle sue vesti -
disse Sandokan voltosi al Malese.
- Ti abbisognano le sue vesti, adunque? - domandò il Portoghese. - Tu mi hai un piano che non giungo
a comprendere.
- Lo saprai, Yanez. Tu vedi che la villa è troppo bene guardata e che noi siamo troppo deboli per
tentare un assalto dove le probabilità di una rotta sono tutte volte contro di noi. Bisogna che quei
soldati se ne vadano, ed è percche ho bisogno di una falsa lettera e delle vesti di quel soldato. Tu
sei bianco, non si può sospettare che tu sia un pirata, la sarebbe ridicola; parli bene l'inglese da farti
credere un nativo di Calcutta, sei coraggioso quando bisogna esserlo e sei stato soldato. Il cavallo è
ancora là, indosserai le vesti d'Inglese e andrai alla villa facendoti credere proveniente da Vittoria
cogliendo il momento di dire due parole alla giovanetta da parte mia. Acconsenti tu, Yanez, a far tutto
ciò per me? Te ne serbericordo finché avrò sangue nelle vene.
- Sono tuo, Sandokan! Disponi di me come vuoi. Mi hai salvato, mi hai chiamato fratello, devo
ubbidirti: è mio dovere.
- Grazie, Yanez, io sapeva che tu eri un uomo fatto per me. Grazie, e ora scrivimi questa lettera.
- Ecco il più difficile, fratello mio, tuttavia scriverò. Dammi la lettera che vediamo bene il carattere.
Esaminò la scrittura fina ed elegante, per qualche tempo, poi traendo un calamaio e una penna dal
fondo delle saccoccie si mise a scarabocchiare su alcuni fogli di carta della quale non mancava mai.
Pro e riprovò per mezz'ora, poi quando credette di essere riuscito a imitarlo, scrisse ciò che gli
dettava il pirata.
Mylord,
"I pirati hanno abbandonato da sei giorni Mompracem e sono sbarcati sulle nostre coste senza che i
piroscafi abbiano potuto impedirlo. La Tigre della Malesia li guida, forse decisa a mettere in opera i
suoi tenebrosi progetti su vostra nepote. Ho avuto notizie della sua comparsa al parco e della scalata,
della fuga e della vostra caccia sfortunata, ma ora non abbiate timore. Un combattimento si è
impegnato al sud dell'isola fra i pirati e le nostre truppe e una parte di essi colla Tigre sono stati
battuti. Ignoro la vera località del luogo, ma credo che la moschetteria che continua durare basterà per
guidare gli aiuti, che dovrete spedire immediatamente per ordine del Governatore.
"Coraggio, mylord, un ultimo sforzo e i banditi trincerati fra gli alberi, stretti per terra e per mare fra
poco cadranno dinanzi al valore dei nostri soldati e con essi la Tigre. Mandateli e che Dio sia con
loro.
"I miei saluti a voi e a vostra nepote che fra breve rivedrò.
"Vostro
"BARONETTO ROSENTHAL WILLIAM".
Il Portoghese aveva appena terminato che Giro Batoë era di ritorno colle vesti del cavaliere senza
dimenticare la sciabola.
- Hai consegnato il tuo uomo? - domandò freddamente Sandokan suggellando la lettera, dopo di
averla letta.
- Sì, mio capitano, e credo che fra poco si pentirà di aver troppo beffato la Tigre - rispose il Malese.
Yanez prese le spoglie del soldato e le indossò dopo essersi liberato dalle sue. Erano un po' strette e
più lunghe, ma non vi fece caso. Cinse la cintola colla sciabola, si appiccò gli speroni ai lunghi stivali,
si calcò in capo il gran cappello da ussaro, e salì con tutta serietà in arcione raccogliendo le redini.
- Mi hai compreso, Yanez, consegnerai la lettera al lord e parlerai a Marianna - disse Sandokan
tirandosi da un lato.
- Bene, fratello mio, e vedrai che mi comporterò da vero soldato. Lascia le briglie, Giro Batoë.
Quasi nel medesimo istante il Portoghese spronò il cavallo e partì alla carriera, mentre i compagni
ritornavano alla tenda.
CAPITOLO XXIII
La missione del Portoghese
La missione del Portoghese era senza dubbio una delle più arrischiate che avesse sognato in vita sua e
delle pstrane. Avrebbe bastato una parola sfuggita a caso, un sospetto, una mancanza, una risposta
fuor di senso e forse un motto per tradirlo, quantunque avesse dovuto sembrare assai strano il trovare
un pirata in un bianco.
Egli non ignorava che la carta che stava giuocando per conto di Sandokan era pericolosa, ma si
preparava a sostenere la sua parte di soldato inglese colla spigliatezza e sagacia di Lusitano, che aveva
raddoppiata la malizia e il coraggio nella sua vita d'avventuriere.
Si rizzò fieramente in sella raccogliendo le briglie, stringendo le ginocchia, e fantasticando entro di sé
sul miglior modo di fare la sua comparsa dinanzi al lord senza compromettere la situazione, spinse
risolutamente il cavallo verso la villa.
In pochi minuti superò i seicento metri che lo dividevano e si arrestò dinanzi al cancello del parco.
- Chi va là? - domandò un soldato posto in sentinella dietro ai cespugli togliendolo freddamente di
mira.
- Ehi! giovanotto, abbassa il tuo fucile che non sono già un babirussa da cacciarmi una palla nelle
reni. Ordine di William Rosenthal!
Il nome fece più effetto dello scherzo. Il soldato, che aveva le sue ragioni per diffidare, abbassò l'arma
e aprì il cancello.
- Si prendono adunque tante precauzioni in questo luogo? - domandò Yanez sorridendo. - My-God!
quasi crederei che all'intorno formicolano dei nemici, e che lord Guillonk tenga dei tesori nelle sue
cantine anziché botti di Xeres o di Porter.
- Non venite da Vittoria? - domandò la sentinella che manifestava qualche sorpresa alle parole del
Portoghese.
- Certamente, e vi sorprende ciò? Si vede che i soldati in campagna perdono la bussola sulle notizie.
- Voi lo credete; ignorate adunque, che i pirati ronzano attorno al parco e che la Tigre in persona tentò
arditamente di penetrare nell'abitazione per rapirvi la milady!... Mi sembra impossibile che non
abbiate incontrato qualcuno di quei furfanti.
- Voi andate spifferando robe vecchie da provincia, amico mio - disse Yanez che si preparava a
raggiungere la villa. - I pirati non solo hanno preso il largo, ma si battono colle nostre truppe al sud,
capitanati dalla Tigre, un pezzo d'uomo, giovanotto mio, che fa venir i brividi al solo vederlo, ma che
la sua testa vale un migliaio d fiammanti sterline. Orsù, preparate il vostro bagaglio per andarvene alla
guerra; io conto fra poco di essere della partita.
- Dite davvero, camerata?
- Altro che, ed ecco qua la lettera che il baronetto William Rosenthal spedisce a lord Guillonk perché
vi mandi al campo anzic lasciarvi a poltrire in questo parco - e il Portoghese, girato sui talloni, si
diresse alla palazzina.
Fu allora che egli vide i soldati accampati in bell'ordine nel parco, colle tende rizzate, i fucili in fasci e
i fuochi accesi pel rancio e numerose sentinelle messe a guardia delle palizzate.
- Uhm! - fe' egli contando il piccolo esercito. - Quante precauzioni per una lady, che ama un pirata e
che non è amata da suo zio. Vi sono più di cinquanta uomini fra Malesi, Indiani ed Europei; un osso
duro da rodere. Speriamo che fra poco vadano a passeggiare nelle foreste del sud.
Arrestò il cavallo dinanzi alla porta di fronte a una seconda sentinella che lo esaminava
scrupolosamente dalla testa ai piedi e smontò nel momento che uno staffiere prendeva per le briglie il
cavallo.
- Lord James Guillonk? - domandò brevemente Yanez mostrando la lettera.
- Salite e troverete l'aiutante del lord - rispose la sentinella, tirandosi da un lato.
Il Portoghese, raccogliendo tutta la sua audacia per giuocare la terribile carta, affettando la massima
calma e rigidezza di un vero anglo-sassone, messa la sciabola sotto il braccio salì le scale ed entrò in
un salotto.
L'aiutante di campo del lord, un luogotenente dalla faccia ardita e le mosse meccaniche, gli venne
incontro.
- Comandante - disse il Portoghese salutando militarmente, e misurando scrupolosamente le parole
colla flemma britannica. - Una lettera per lord Guillonk da parte del baronetto William Rosenthal.
Credo che farete bene a consegnargliela subito.
- Avete da parlare personalmente al lord? - chiese l'ufficiale, prendendo la lettera e leggendo con
attenzione l'indirizzo.
- Non al lord, ma a lady Marianna Guillonk - rispose audacemente Yanez.
Il luogotenente lo guardò sorpreso però non fece osservazione alcuna.
- Aspettatemi qui - s'accontentò di dire.
Il Portoghese rimasto solo si mise a guardare scrupolosamente la sala, le fenestre, misurando l'altezza
e la scala.
- Per satanasso! - mormo egli stropicciandosi come era di consueto le mani. - Entrare per queste
fenestre non sarà affar serio una volta ammazzate le sentinelle. Sandokan mio, credo che noi rapiremo
la bella senza bisogno di buttar giù tutte le porte.
Era a tal punto delle sue riflessioni quando il luogotenente rientrò.
- Milord vi aspetta per avere migliori informazioni su questi avvenimenti assai laconicamente descritti
nella lettera.
Il Portoghese sentì un brivido corrergli per le ossa. Il momento terribile si avvicinava dove occorreva
la maggior audacia e sangue freddo per ingannare i due gentlemen senza dare alcun sospetto e per non
imbrogliarsi o lasciarsi sfuggire qualche parola portoghese.
- Yanez mio - mormorò il Portoghese mentre attraversava la sala flemmaticamente. - Abbi prudenza e
sangue freddo per sostenere la baracca.
Entrò col luogotenente in un salotto arredato con somma eleganza, e seduto su di una gran seggiola a
spalliera vide il lord vestito semplicemente di bianco, colla lettera spiegazzata fra le mani, col volto
pensieroso, ma collo sguardo acceso. Gli si avvicinò salutandolo, e aspettò di venire interrogato.
- Voi avete detto di venire da Vittoria, non è vero? - domandò il lord con voce grave nel quale accento
trapelava la stizza.
- Sì, milord - rispose Yanez spigliatamente.
- Siete forse agli ordini del baronetto di Rosenthal nella qualità di sua ordinanza? Potete parlarmi di
lui e di Vittoria.
- Oserò dire a V.O. che godo la sua confidenza, nella qualità di suo lontano parente.
- Ah! - fe' il lord senza muoversi d'una linea. - Non sapevo ciò; in tal caso voi non ignorerete ciò che è
scritto sulla lettera.
- No, milord, posso recitarvela parola per parola. Era una precauzione, nel caso che i pirati me la
rubassero o che la perdessi.
- I pirati! - esclamò il lord la cui fronte si aggrottò. - Parlatemi dei pirati; dove sono essi?
- La lettera lo dice, sono al sud impegnati in un sanguinoso combattimento colle nostre truppe. Si
aveva saputo che la Tigre aveva abbandonato Mompracem con tre o quattro prahos e il fiore delle sue
genti e che avea approdato sulle nostre coste durante la tempesta. Uno dei nostri piroscafi li scorse, li
bombardò per qualche tratto, ma il vento e le onde lo costrinsero a ritirarsi con qualche danno
nell'attrezzatura e nella macchina. Non si ignora ciò che intraprese l'audace pirata sulla villa allo
scopo di rapire milady vostra nepote, né la caccia che gli si diede nelle foreste.
- La caccia! - esclamò il lord irritato. - Andate a cacciar voi quel miserabile che si nasconde persino in
una stufa!
- Lo si sa, milord, che quella Tigre è piena di risorse, ma credo che questa volta non ritornerà mai più
alla sua isola.
"Una cannoniera, che navigava al largo da queste coste, scorse un prahos sul quale erasi imbarcato il
pirata sbucar da un fiumicello e veleggiare verso il sud. La caccia fallì anche per la cannoniera, ma
notò il posto ove i pirati sbarcarono e dove si imboscarono con altri compagni sopraggiunti di a
poco.
- E sono andati ad assaltarli? - chiese il lupo di mare che fece un salto sulla seggiola col volto
diventato raggiante.
- Sì, milord. Tutte le truppe disponibili imbarcate sui piroscafi e sulle cannoniere filarono al sud e
sbarcarono a notte oscura, prendendo posto dinanzi e ai fianchi del nemico in maniera di tagliare la
ritirata. Il combattimento si cominciò da parte di una mano di pirati guidati dalla Tigre in persona,
mentre che i piroscafi sfasciavano i prahos.
- Siete sicuro che era la Tigre che li comandava? - domandò l'Inglese che stentava a crederlo.
- Sì, gli ufficiali l'hanno conosciuto dal turbante a piume rosse, dalla scimitarra e dal kriss la cui
impugnatura è piena di grossi diamanti. La lotta fu sanguinosa e lunga ma i nostri hanno vinto e ora si
preparano a un attacco generale appena saranno giunti i rinforzi e farla finita per sempre con questa
razza di pirati, che minacciano audacemente Labuan.
Il lord tornò a diventare cupo. Stette alcuni istanti in silenzio cogli occhi fissi a terra, poi rialzando la
testa e guardando Yanez:
- La lettera non dice quanti soldati dovspedire. Io credo che dieci uomini più o dieci uomini meno
non sieno gran cosa.
Il Portoghese aggrottò lievemente la fronte e si morse le labbra, ma non si smarrì.
- Io credo che farete bene a mandare al sud tutti i vostri soldati - diss'egli. - Si tratta di schiacciare
completamente i pirati.
- Voi parlate, ma senza conoscere chi sia la Tigre della Malesia. Voi dite che è là, circondato dai
nostri soldati e in procinto di venire sconfitto e preso, ma io ho paura di quell'uomo. Egli sarebbe
capace di prendere il volo e di recarsi qui con un pugno dei suoi tigrotti. Non dimenticate che egli ha
giurato di rapire mia nepote.
- Se credete che la Tigre sia capace di fare questo, prendete le vostre precauzioni senza che sieno né
poche troppe. Tuttavia credo che abbiate a ingannarvi sulla sua fuga: difficilmente si passa
attraverso a delle truppe quando queste hanno giurato di vedere il sangue della Tigre.
- Chi sa? Luogotenente, sceglietemi dieci dei più gagliardi e dei più risoluti uomini della vostra
compagnia, e fate agli altri piegare le tende. I primi rimarranno con me, e i secondi partiranno pel sud.
Voi li condurrete il più presto che sia possibile sul luogo del combattimento.
- Bene milord, e poi?
- E poi, una volta battuta la Tigre tornate a Vittoria. Potrebbe darsi che io mi vi recassi fra qualche
giorno.
Il luogotenente salutò e uscì colla medesima calma e come andasse a fare una semplice passeggiata.
Il lord s'alzò e si mise alla fenestra a guardare i soldati che levavano in fretta e in furia il campo,
piegando le tende, caricandosi degli zaini e sciogliendo i fasci di fucili. Egli rimase lì in osservazione
alcuni minuti e poi rientrò fermandosi dinanzi al Portoghese impassibile.
- Voi mi avete detto di essere il confidente di William, non è vero? Ditemi, che fa egli a Vittoria?
- Quando partii stava raccogliendo dei soldati per correre in aiuto dei combattenti - rispose Yanez.
- Bene, è un giovanotto che farà carriera. A proposito, non vi ha incaricato di consegnare qualche
lettera a mia nepote?
- No, milord, mi ha incaricato solo di portare i suoi saluti a lady Marianna e...
- Ebbene...
- Si capisce.
- Qualche complimento, lo indovino.
Il lord chiamò un indigeno che s'affrettò a comparire.
- Dove trovasi Marianna? - gli chiese.
- Nel salotto azzurro, milord - rispose il negro.
- Accompagnate questo giovanotto e annunciatelo per un parente del baronetto William. Andate,
amico mio, portate i saluti del vostro comandante, intanto che io preparo la lettera pel Governatore.
Era quello che Yanez desiderava, di vedere lady Marianna per comunicarle i progetti di Sandokan.
Seg con passo sollecito l'indigeno, attraversò due o tre corridoi e dopo di essere stato annunciato
entrò trepidante nel salotto azzurro.
In sulle prime non vide che fiori e tappezzerie, ma poi distinse una forma umana abbandonata su di un
canapé, vestita con un lungo accappatoio bianco.
Quantunque non l'avesse mai veduta prima d'allora, riconobbe subito lady Marianna.
La giovanetta era sdraiata sui cuscini, circondata dai più rari fiori, che empivano la stanza di soavi
profumi, sostenendo con una mano la testa, in una posa graziosa, in un abbandono malinconico,
voluttuoso che colpì il Portoghese a onta della sua indifferenza pel debole sesso.
Pallida, quasi tetra, cogli occhi azzurri e scintillanti fissi a terra, coi capelli biondi a riflessi dorati
sciolti sulle spalle, colle labbra sottili e coralline strette, coperta dell'accappatoio bianco che lasciava
indovinare le sue ammirabili forme, come avvolta in una nebbia vaporosa, misteriosa sembrava una
dea meditabonda che fece ribollire il sangue al cavaliere rimasto là ad ammirarla.
Al rumore che fece lui entrando, si scosse lentamente come uscisse da un sogno e alzandosi a metà
fissò in lui l'azzurro sguardo sul quale brillava qualche cosa di umido e stette a guardarlo, sorpresa,
quasi irritata, passandosi nervosamente la fine mano nel folto dei capelli profumati.
- Ah! Siete voi che venite da Vittoria? - disse la giovanetta con voce malinconica, affievolita, quasi
tetra dopo qualche istante di silenzio.
- Sì, milady, e fui incaricato di qualche commissione per voi - disse il Portoghese che si trovava un
po' imbarazzato alla presenza di quella giovanetta che trovava sublimamente bella più di quanto gliela
avesse descritta suo fratello Sandokan.
- Da parte di lord William, non è vero? - domandò lei con una ironia che non sfug all'orecchio di
Yanez.
Egli esitò guardandosi attorno per veder se nessun l'ascoltava, poi avvicinandosi con un far misterioso
alla giovanetta:
- Una preghiera, milady. Credete che noi siamo realmente soli e che nessuno ci possa udire?
Ella corru lievemente la fronte guardandolo fisso come volesse indovinare ciò che significavano
quelle parole.
- Se noi siamo realmente soli? - esclamò ella con qualche stupore. - Che significa questa domanda,
signore? Io credo che per raccontarmi qualche cosa sul baronetto lliam, il prezioso amico di mio
zio James, non occorrano precauzioni.
- Ecco ciò che v'inganna, milady; non si tratta di quel diavolo d'Inglese ma ben di un altro uomo ben
più forte e più potente.
Ella lo guardò con fierezza, poi alzandosi bruscamente e avvicinandosi a lui.
- Andate a chiudere quella porta, ma una parola, prima. Non fidatevi troppo di me, abusate:
potreste pentirvi.
Il Portoghese ubbidì e chiuse accuratamente la porta dopo essersi assicurato che nessuno spiava e
ritorverso la giovanetta che lo aspettava colla fronte aggrottata e l'occhio acceso. Le si avvicinò e
in maniera da essere udito solo da lei:
- Milady, io non sono soldato inglese - disse egli. - Ho adoperato queste vesti per giungere sino a voi
e parlarvi di Sandokan.
- Di Sandokan!... - esclamò la giovanetta precipitandosi verso di lui cangiata tutta. - Di Sandokan,
della Tigre della Malesia?...
- Sì, milady, ma non parlate troppo forte, potreste tradirmi. Sandokan deve avervi parlato sovente di
me, di suo fratello il Portoghese, di Yanez, egli me lo ha detto. Io sono mandato da lui.
- Ah signore! - esclamò Marianna afferrandogli le mani. - Si, sì, mi parlava sovente del suo buon
fratello il Portoghese, ma parlatemi di lui, è vivo, è morto, si trova ancora nei dintorni? Dio mio,
quanto ho sofferto da quella notte!
- Abbassate la voce, milady, le mura possono avere orecchie. Uditemi, egli è vivo, pvivo di prima,
più innamorato che mai, e sempre più deciso a rapirvi malgrado l'accrescere degli ostacoli.
- Ah! signore, qual bene mi fate! Credeva che in quella terribile notte fosse caduto vittima della sua
audacia.
- Morto? In fede mia, io credo che la Tigre, che è sfuggita al fuoco di cento abbordaggi, non morrà
mai sul campo di battaglia.
- Ma come avete potuto sfuggire all'inseguimento dei miei compatrioti?
- Ascoltatemi, lady Marianna. Voi sapete che il lord tagliò la corda alla quale tenevasi aggrappato
Sandokan. Orbene, la Tigre cadde, ma proprio come un felino senza farsi il menomo male.
- Ah!
- Una volta a terra, tutte e due dopo di aver risposto al fuoco delle sentinelle ci rifugiammo nella gran
stufa, che si trova nel chiosco chinese. Per ventiquattr'ore rimanemmo in quella negra fortezza, poi
pigliammo il largo quando gli Inglesi credevano di tenerci in loro mano. Ma da allora la fortuna ci
volse le spalle. Degli ottanta pirati che dovevano aspettarci soli venti ne trovammo; gli altri si erano
annegati. Mompracem è minacciata, le forze scarseggiano ed ora tutto va di male in peggio pei tigrotti
della Malesia.
"Oh! ma rassicuratevi, lady! Se le forze ci sono venute meno al momento d'agire, non così il coraggio
e l'astuzia, ed ecco che, grazie a questa, voi mi vedete qui dopo di aver spedito, mediante una falsa
lettera, i vostri compatrioti al sud. Mentre io arrischio la missione e vi proteggo, Sandokan e i suoi si
trovano imboscati a trecento passi da qui aspettando l'istante propizio per venirvi a salvare.
- Ah! signore, è proprio vero quello che mi raccontate? - esclamò la giovanetta, tergendo due lagrime,
due vere perle che le stillavano da quegli occhi poco prima ripieni di fierezza e di fuoco.
- È la verità, milady, e sono pronto a darvene una prova - disse Yanez.
- Vi credo, signore, vi credo. Ma se venisse scoperto? Se lo arrestassero? Dio mio, qual pensiero!
- Scoprirlo! Avanti che abbiano da pigliare Sandokan bisogna che radunino un esercito, milady. Non
abbiate alcun timore per lui. Sentite ora, milady. Siete risoluta a seguire la Tigre della Malesia se
avesse a liberarvi?
- E ne dubitate? Non ha giurato di amarmi fino all'ultimo respiro? Non mi ha giurato di farmi sua?
Perché non dovrei seguire quell'uomo che ha arrischiato la vita per venirmi a dire che mi ama? Perc
non dovrei diventare la sposa di quell'uomo che per me infrange la sua carriera, calpesta i suoi doveri,
disperde la sua potenza? Sì, lo seguirò e dove egli vorrà condurmi.
La giovanetta così parlando si era alzata con fierezza. Poi sostò, si tacque, impallidì e nascose il volto
fra le mani.
- Milady - disse il Portoghese con voce commossa, - l'avvenire che vi aspetta può essere oscuro;
l'uomo che vi offre la sua mano è un pirata, è la sanguinaria Tigre della Malesia, ma quest'uomo, che
io studiai per cinque anni, so che è capace di farvi felice e che vi adora alla follia.
- Lo so, signore, lo so, e io ricambio questo ardente amore che il pirata ha per l'orfana. Sì, lo ripeto,
sarò sua, lo seguirò dove egli vorrà condurmi e uniti cancelleremo il passato, lurido di sangue.
Fra il Portoghese e Marianna successe un breve silenzio, poi quest'ultima con novella energia che
attingeva nella passione che ardeva nel suo cuore, forse con egual forza di quello di Sandokan,
continuò:
- Che importa se il passato di lui fu tetro, pieno d'orrore e di vittime? La passione lo cancellerà nel suo
come nel mio cuore, abbandoneremo questi luoghi per entrambi forse cari, tanto per frapporre
migliaia di leghe, tanto da non udirne parlare più mai. Io dimenticherò la mia isola dove sono
cresciuta, soffocherò i miei ricordi d'infanzia, spezzeil vincolo che mi lega ai miei compatrioti: lui
dimenticherà la sua Mompracem, soffocherà i ricordi della sua passata carriera, e spezzerà il vincolo
che lo univa ai suoi pirati. Io sarò sua come lui sarà mio, la debole creatura a fianco del terribile
uomo, la Perla di Labuan legata alla Tigre della Malesia. Sì, diteglielo, che sarò sua oggi, domani,
sempre dinanzi a Dio e agli uomini!
- Ah! divina milady! - esclamò Yanez precipitandosi alle sue ginocchia. - Parlate, che volete che
faccia, che volete che tenti? Io fa per voi tutto ciò che vorrete per istrapparvi da questa prigione e
vedervi libera e felice accanto al mio buon fratello Sandokan.
- Che volete fare che io sono prigioniera?
- Bisogna liberarvi, milady. Ditemi, vi lasciano mai uscire dal parco?
- Uscire? E lo pensate voi, Yanez? Da quella notte che Sandokan mi venne a vedere, non misi mai
piede fuori dalla cinta del parco. Mio zio, che vorrebbe gettarmi fra le braccia del baronetto Rosenthal
o per lo meno unirmi a qualche ragdel Borneo per dare un brano di terra all'ingorda sua patria, non
mi lascierebbe uscire nemmeno scortata da venti soldati. Ha paura che lo si tradisca, sospetta di tutto e
di tutti. Non pensatelo nemmeno che mi si possa rapire fuori dalle palizzate o che ceda a lasciarmi
andare sposa della Tigre. Mi ha giurato che sceglierebbe di uccidermi con un colpo di pistola.
- Ah! miserabile! - esclamò Yanez che vide capitombolare l'idea d'assaltare la villa. - Questa cosa mi
mette in un bell'imbarazzo. Ascoltate milady, io bisogna che oggi parli con Sandokan per metterlo al
corrente della situazione e per ideare un nuovo piano. Potrò parlarvi questa sera senz'essere veduto?
- , mi vedrete. Quando suoneranno le sette, recatevi in questa stanza. Anzi io pregherò mio zio che
vi lasci cenare con noi.
- Siamo intesi allora, milady. Io raggiungo immediatamente Sandokan e vado a progettare con lui un
nuovo piano per liberarvi.
La giovanetta gli si avvicinò cogli occhi umidi e prendendogli le mani con voce commossa gli disse:
- Se lo vedete, ditegli che io sono pronta a tutto e che sarò solo di lui. E ora, che potrò mai fare per
voi?
- Per me? - esclamò Yanez che s'inebbriava dell'ardente alito di lei. - Mi basterà il vedervi felice.
- Andate, andate, cuor nobile! Io non vi dimenticherò mai!
Il Portoghese uscì come ubbriaco, abbagliato, affascinato dalla leggiadra lady.
- Per Giove! - esclamò egli dirigendosi verso il salotto dove lo attendeva il lord. - Aveva ben ragione
mio fratello di chiamarla ammirabile, di chiamarla divina. Non ho mai veduto nulla di simile in vita
mia.
Egli trovò lord James con una lettera in mano. A quella vista impallidì e credette seriamente che la
baracca così arditamente architettata fosse lì li per crollare.
Tuttavia riordinando le idee per un momento scosse e raccogliendo l'astuzia che ancor rimaneva
giuocò audacemente l'ultima carta, facendo in un baleno il suo piano.
- Una lettera! - esclamò egli con sorpresa, guardando il lupo di mare. - Che devo farne io, milord?
- La consegnerete al Governatore da parte mia e direte al baronetto William, se potete ancora trovarlo,
di essere prudente.
- Mi permettete una parola, milord? Il baronetto William nella sua qualità di parente mi ha incaricato
di rimanere alla villa e di vegliare attentamente su vostra nepote lady Marianna, con vostro permesso.
Non vi nascondo che ha sempre paura della Tigre.
- Egli vi ha detto questo? - domandò lord James, sorridendo bonariamente. - In tal caso, rimanete e
fate buona guardia; avrò sempre agio di mandare questa lettera al Governatore. Come il baronetto io
temo l'audacia di quel pirata del diavolo.
- Mi permettete allora, milord, di fare una passeggiata nei dintorni e di visitarli per bene, onde non
s'abbia a nascondere qualcuno di quei miserabili. Non ho mai avuto paura di quella razza che si danno
pomposamente il nome di tigrotti.
- Badate, giovanotto mio, di essere prudente, e forse parlate con meno sprezzo di quella gente che
oggi ha raggiunto un grado di audacia che mette sgomento ai più intrepidi. Un giorno parlava anch'io
come voi, ma ora le opinioni sono cangiate. Tuttavia, vedete, è molto probabile che essi sieno partiti.
Ne avete incontrato venendo da Vittoria?
- Nemmeno uno, milord, e credo che non ne incontrerò nemmeno in questi dintorni. Del resto sarò di
ritorno prima di notte.
- Fate come vi piace e se questa sera ne avrete il tempo, venite a trovarmi a tavola. Voi siete soldato e
io capitano, ma le distinzioni cessano dinanzi agli uomini che sanno d'essere entrambi gentlemen e
quando si sa che le parentele possono da un istante all'altro restringersi. Voi mi potrete comprendere,
giovanotto, che siete intimo del baronetto William.
- Perfettamente, milord - rispose Yanez con sottile ironia che non poté essere compresa dal lord,
accompagnandola con un sorriso.
Il lord fece un cenno, congedandolo. Il Portoghese, dopo aver salutato, si allontanò flemmaticamente,
contento alfine di essere libero, e dippoi scese nel parco passando dinanzi alla sentinella. Con un
colpo d'occhio si assicurò che i soldati erano di gpartiti pel sud in cerca dell'invisibile nemico. Egli
si mise a ridere stropicciandosi le mani con fare contento.
Tutto andava a meraviglia, bastava prendere l'occasione a volo, approfittarne e operare audacemente.
Se il lord aveva sventato tutte le trame, tutti i tentativi di Sandokan, questa volta doveva
inevitabilmente cadere nel laccio con tanta arte teso. Vincitore per due volte doveva essere vinto e ben
battuto.
- Bah! - esclamò Yanez uscendo dal cancello trascinandosi dietro con un rumor di ferraccio la
sciabola. - La gherminella sarà magnifica, riuscirà senza rumori e senza pericoli. Sfido io che quel
diavolo di Sandokan facesse tante pazzie per giungere a rapirla, è tanto bella, tanto cara!... Hanno
ragione, si amano e finiranno per diventar felici a dispetto del dannato vecchio. E io, che diavolo farò
io, quando Mompracem non avrà più tigrotti? Or compirò il mio sogno e andrò a finire la mia vita
in qualche angolo di una città d'estremo oriente, a Batavia, a Singapura, a Canton, o qualche altra, a
meno che non segua mio fratello e l'adorabile sua sposa. Cosa possibilissima del resto. Uhm, come
finirà poi la baracca?
Crollò due o tre volte il capo, come uomo che vede oscuro attraverso i suoi sogni dorati e allungò il
passo seguendo il sentiero di Vittoria, guardando a destra e a manca. Non andò molto che udì un
debole fischio che riconobbe subitamente.
- È Sandokan - mormorò egli, e rispose al segnale con un fischio, raddoppiando il passo.
La Tigre, seguita da Giro Batoë, si rizzò dietro a un cespuglio e gli corse incontro saltandogli al collo.
- Parla! Parla! Parla, fratellino mio! - esclamò Sandokan. - L'hai veduta? Le hai parlato? Racconta,
che io brucio tutto, io fremo fino alla punta dei capelli.
- Non solo ho compiuto la mia missione come un Inglese rigidissimo, ma l'ho veduta e le ho parlato di
te e, per Giove! l'ho trovata divina, tanto che mi pareva di diventare pazzo, di essere ubbriaco dinanzi
a lei. A vederla piangere mi son...
- A vederla piangere! - urlò Sandokan con una intonazione che aveva dello strazio. - Dimmi chi fu a
farla piangere che io vado a strappare il cuore al maledetto che l'ardì, che vado a cangiare quelle
lagrime in fiotti di sangue. Dimmelo, Yanez, ché la Tigre ha sete, terribilmente sete!
- Diventi idrofobo. Chi vuoi che sia stato a farla piangere, se non l'amore che nutre per te?
- Ah! fanciulla sublime! - esclamò il pirata. - Su, raccontami ogni cosa, Yanez, te ne prego.
Il Portoghese non se lo fece dire due volte e narrò per filo e per segno tutte le peripezie della sua
pericolosa missione.
- Vedi, Sandokan - finì egli, - non bisogna fidarsi troppo delle nostre forze, poiché in quella casa
posso assicurarti che vi è ancora una ventina d'uomini fra soldati e indigeni, che al primo allarme si
barricheranno in casa. E poi, vedi, il lord disse che l'ammazzerebbe sua nepote anziché lasciarsela
rapire. Voglio credere che sia una fola, però bisogna tenerne conto. Non si sa mai che possa accadere.
"Orsù, se hai qualche cosa da dirmi, spicciati che il lord mi aspetta a cena.
- E vedrai Marianna?
- Sfido io.
- Ah! Potessi vederla pur io e rapirla sotto gli occhi di quel maledetto lord.
- Mezzi pericolosi, fratello mio. Credi a me, non adoperiamo la violenza per rapirla. Venti uomini
barricati in una casa, valgono quanto un esercito.
- E non potresti tu questa notte metterti in sentinella e aprirci la porta dopo di aver freddato mezzi
soldati? Mi pare che il piano sia eccellente e che con un po' d'audacia si possa condurlo a buon fine.
- Uhm! che giuoco pericoloso, Sandokan! Non sarà facile ammazzare cinque o sei individui senza far
rumore. E poi, credi tu che una volta entrati nella palazzina si sia padroni della piazza? Tutti si
desteranno, le sentinelle che vegliano dinanzi la camera della lady ci piglieranno a moschettate, il lord
farà improvvisare barricate e per avanzare bisognerà espugnare camera per camera sotto un fuoco
infernale, sotto una pioggia di palle di quindici o venti carabine. E infine, il lord, trovandosi alle
strette, potrebbe essere capace d'eseguire la minaccia di far saltare le cervella alla sua vezzosa nepote
che mi pare non ami troppo. Morta lei, tutto sarà finito e tu sarai più ammalato di prima.
Il ragionamento del Portoghese era logico, tanto logico che spaventò Sandokan. Il lord, in un
momento di disperazione, poteva lasciarsi trascinare al punto di commettere un assassinio, era chiaro,
chiarissimo. Il piano ideato crollò come un castello di carte sotto il soffio di un fanciullo.
Ma, a ogni modo, bisognava rapirla, prima che gl'Inglesi accortisi della burla potessero ritornare o
capitare nuovi ostacoli da parte del baronetto. L'uragano poteva addensarsi e scoppiare, e in maniera
da far fallire tutti gli sforzi del pirata o almeno da renderli cento volte p difficili. Sandokan lo
sapeva; bisognava prevenire lo scoppio e in breve tempo.
- Ebbene, fratello mio, che te ne pare dei miei ragionamenti? - domandò il Portoghese. - Credi tu che
io possa tentare il colpo?
- No, Yanez, tu parli bene, ma il tempo vola: nell'aria vi sono delle nubi che potrebbero minacciare
una burrasca. Bisogna che io la rapisca prima che si sappia a Labuan che io mi trovo qui con venti soli
uomini, e che Mompracem è senza difesa. Ascolta, vedi tu queste pillole nere? - disse Sandokan
aprendo una scatola e facendo vedere delle pallottine che tramandavano un odore particolare.
- Bene, delle pillole che sono senza dubbio velenose - disse Yanez dopo di averle fiutate e guardate
attentamente.
- Non del tutto, Yanez; contengono un potente narcotico che sospende per sei ore la vita. Possono
esser utili quando la sfortuna potrebbe farci cadere prigionieri delle giacche rosse e fingerci morti per
poi risuscitare senza bisogno di medici. Non credi che si potrebbe farne inghiottire qualcuna alla
giovanetta? Seppellita, penseremo noi a trarla dalla tomba.
- Uhm! seppellirla dopo sei ore? Non si fa così presso le giacche rosse, amico mio, che diffidando
sempre dei morti, sogliono avere la mania d'aspettare un giorno o due prima di precipitarli in una
buca. Inghiottita la pillola, dopo sei ore la giovanetta tornerà viva, e la burla sarà finita. Non è ciò che
bisogna tentare; credo di avere un piano più migliore.
- Spicciati allora, Yanez! Il tempo vola, io temo sempre di vedermela rapire da quel cane di William.
- Odimi bene, Sandokan. Il lord crede, bene o male, più o meno, che i pirati abbiano abbandonato i
dintorni e che sieno tutti al sud. Io ho udito, che ha qualche idea per maggior sicurezza di recarsi a
Vittoria e di stabilirvisi per un certo tempo. Perché non potrei io, che comincio a godere qualche
confidenza per la parentela del baronetto William, deciderlo a intraprendere domani il viaggio?
- Ah! - esclamò il pirata, stringendo fra le braccia il Portoghese. - Se tu sapessi fare ciò, Yanez!
- Si potrebbe farlo. Una volta in viaggio, la faccenda non sarà difficile; venti uomini contro venti, ad
armi eguali e con coraggio diverso. Una lotta magnifica, moschettate e colpi di kriss, una dozzina di
cadaveri, qualche grido e si rapisce la giovanetta dopo di aver freddato sin dal primo urto il lord onde
non abbia a compiere la sua lugubre idea.
- Freddarlo! - mormorò Sandokan, diventando tetro. - Non bisogna farlo, Yanez; ho promesso quando
mi curò di salvargli in ogni occasione la vita. Ha la mia parola e la Tigre della Malesia la manterrà.
- Come vuoi, Sandokan, faremo un macello invece delle giacche rosse. Tu mi hai compreso, fa armare
il prahos acciocché sia sempre pronto a prendere il largo, raduna i tuoi uomini sul sentiero, e al
momento opportuno, agisci. Io farò la mia parte di soldato, ma veglierò invece sul lord e alla prima
moschettata lo atterro. Tu e i tuoi farete il rimanente. È tardi, non bisogna far troppo aspettare un
capitano che invita a pranzo un semplice soldato e impazientare troppo quell'adorabile lady.
- Addio, Yanez, e rammentati di ciò che ti dissi. Quando avrai bisogno di un uomo che sia terribile
quanto valoroso, ricordati della Tigre della Malesia.
Il Portoghese fece un legger saluto colla mano, e, messasi la sciabola sotto il braccio, si diresse a lenti
passi verso la villa.
CAPITOLO XXIV
Il rapimento
Quando vi giunse, la cena era di già pronta nel salotto azzurro della lady. Il lord passeggiava in lungo
e in largo colla rigidezza di un Inglese nato sulle rive del Tamigi, colle braccia incrociate e la faccia
più cupa del solito. Lady Marianna invece era seduta dinanzi ad una delle fenestre che guardavano sul
giardino, cogli occhi fissi sugli ultimi raggi di sole che andavano nascondendosi dietro gli alti alberi
delle foreste.
Alla comparsa del Portoghese, il lord s'arrestò e la giovanetta si volse figgendogli in volto i suoi
grandi occhi azzurri nei quali balenava una fiamma umida.
- Ah! siete voi, amico mio - disse il lord. - Cominciava a temere che vi fosse capitata qualche
disgrazia.
- Disgrazia! - esclamò Yanez scambiando con Marianna un rapido sguardo rassicurante. - In fede mia,
milord, non sono più i tempi in cui si correva pericolo di buscarsi una palla nelle reni solo
allontanandosi di pochi passi dal giardino.
- Non avete trovato nemmeno un pirata adunque? Io credeva che qualcuno di quei ribaldi si tenesse
ancora celato in questi dintorni.
- Non ho trovato neanche la più piccola traccia di loro. Credo di aver percorso p di due miglia
internandomi sotto le foreste e frugando i cespugli. Anzi mi sono recato fino al fiumicello dove mio
cugino William mi aveva detto che si riunivano di solito i tigrotti di Mompracem.
- Che volete che vi dica, mi sembra impossibile che la Tigre abbia abbandonato questi luoghi.
"Non crederei nemmeno se avessi visitato io albero per albero, cespuglio per cespuglio, macchia per
macchia.
- Ma quale interesse poteva mai avere la Tigre per ronzare continuamente attorno a questa villa? Se
fosse stata ripiena di botti di sterline...
Il lord lo guardò con occhio tetro, diede uno sguardo a sua nepote che continuava a guardare gli ultimi
raggi di sole in apparenza calma quantunque triste, e traendo il Portoghese dall'altro lato della sala con
una specie di folle rabbia.
- Quale interesse poteva avere egli? - disse il lord con ira ma in modo di non essere udito da lei. -
Credete voi che quel miserabile tentasse i suoi assalti e le sue notturne scalate in mezzo a cinquanta
soldati pel solo scopo di saccheggiare la villa? Egli è un uomo che, a quanto mi si disse, possiede
ricchezze incalcolabili, frutto di dieci anni di assassini e di sangue, incapace di arrischiare una
spedizione per guadagnare una mezza dozzina di migliaia di sterline.
"No, giovanotto mio, una strana passione ha invaso la Tigre della Malesia, una passione nata al tempo
in cui io, vinto dalla pietà di un ferito, dall'energia di quell'essere, l'ho stoltamente curato strappandolo
alla morte, passione che ora deve essere ingigantita nel suo cuore di selvaggio.
- Una passione! - esclamò Yanez fingendo d'ignorare tutto. - E che passione potrebbe esser mai nata
alla Tigre della Malesia?
- Quale? - disse il lord con voce sorda. - Voi avete veduto mia nepote, si dice che sia bella, io l'ignoro,
ma deve essere così se ha scosso le fibre di un sì terribile assassino. Egli ha osato alzare gli occhi sino
a lei, sino all'ultimo rampollo di una stirpe senza macchia, sino all'ultima discendente di una razza di
eroi, dei conti Guillonk. Egli l'ama, deve amarla colla feroce passione di un selvaggio, di un pirata,
centuplicata dalla posizione, dal baratro che li separa. Mi capite ora?
- Perfettamente, milord, ma bisogna essere ben pazzi per sperare una simile unione, e ben folli per
sfidare gl'Inglesi di Labuan.
- Sì, pazzo e folle. Non l'ho veduto io stesso passare in mezzo a cento carabine lasciandosi dietro
nuovi cadaveri, sfuggire alle più attive ricerche, per poi ritornare attrattovi dalla potente passione che
lo domina e che lo fa impazzire? Non l'ho veduto io stesso dar arditamente la scalata fra cinquanta
soldati dopo di aver aggiunte nuove vittime al suo numero per vederla, per parlarle, per dirle che
l'amava? Non l'ho precipitato io stesso troncando la corda da un'altezza ragguardevole e senza che il
maledetto si fratturasse le gambe? Esso ha il diavolo nel corpo, è un uomo di ferro, e una tigre, una
vera tigre.
- Avete fatto male, milord, bisognava ucciderlo anzicprecipitarlo. I pirati sono tutti come le tigri.
- Lo so, ma chi poteva supporre che fosse lui che tentava a quell'ora la scalata ammazzandomi le
sentinelle? Avevo un pugnale in mano, ho fatto quello che poteva fare, ecco tutto. Ah! perché l'ho
curato e accolto nella mia casa?
- E lady Marianna non gli poteva far comprendere che non l'amava? - disse il Portoghese cui balenò in
mente un'idea.
- Lei! - esclamò lord James, guardando con occhi truci la giovanetta sempre immobile dinanzi alla
fenestra. - Ho avuto la disgrazia di raccogliere nella mia casa una donna che non sa che sia l'onore dei
conti Guillonk, una donna che sarà la mia sventura! Lui ha saputo soggiogare, ammaliare quel cuore
che io credeva debole bensì ma fiero, e la sciagurata l'ama!
Il lord si morse le labbra per non lasciar sfuggire una bestemmia, una maledizione, e crollò il capo
guardando ancora la giovanetta con due occhi p truci che mai dove trapelava una collera appena
frenata e incrociò macchinalmente le braccia gettando un rauco suono. Il Portoghese lo guardava
sogghignando.
- E che pensate mai di fare voi, milord? - domandò Yanez, cercando di dare serie al suo volto
diabolicamente ironico.
- Che penso di fare? - esclamò il lord come uscisse da un sogno. - Sentite, mi fu affidata dal padre
suo, dal mio buon fratello, che mi raccomandò di farle da padre, e credo di averlo fatto, brutalmente
se volete perché io ero un uomo di mare che non sapea che fosse famiglia. Mio dovere è di conservare
all'ultima discendente dei conti Guillonk un nome senza macchia e lo farò. Io sono il padrone, sono io
che comando, lei è mia, ne farò ciò che vorrò. So che mi odia, ma che importa? Io credo di non averla
mai amata come lei non mi ha mai amato, ma voglio che quella passione per un assassino abbia a
morire. Le ho destinato il baronetto di Rosenthal, un discendente di gloriosa famiglia e di più un
uomo di mare, e non avrà che lui, io lo voglio, guai chi oserà opporsi.
- Ma, milord, e se lei l'amasse proprio questo pirata, se quest'uomo, questo assassino cangiasse vita,
abbandonasse questi luoghi per sempre, facendo crollare con la potenza di Mompracem lasciando
libero il varco a Labuan?
- Mai! Mai! Ho troppo orgoglio inglese per acconsentire questa unione che mi disonora. Anziché
darla alla Tigre della Malesia, all'assassino di cento vittime, scelgo gettarla fra le braccia dell'ultimo
dei miei mozzi.
- Milord, ma sapete che la Tigre della Malesia potrebbe sfuggire ai soldati e precipitarsi sulla villa
dando arditamente l'assalto? Egli è un uomo che potrebbe farlo, e che credo lo farà se ama realmente
vostra nepote.
- Lo credete voi? E credete che quando io mi vedrò stretto dai pirati, se ciò potrà succedere, che io mi
lasci vincere?
- Eh! milord, quell'assassino sarebbe capace d'espugnare la villa per quanto ben difesa. E allora la
milady sarà sua.
- Sua! Prima che abbia mettere una mano su di lei, io le farò saltare le cervella. Meglio la morte che il
disonore.
- E voi vorreste uccidere una fanciullacara, vostra nepote, l'ultima discendente dei conti Guillonk?
- L'ucciderò! - rispose freddamente lord James con tal accento da non lasciar alcun dubbio sulla
terribile decisione.
Il Portoghese lo guardò con ispavento e ammutolì. Negli occhi del lord lesse la verità di quella
minaccia. Ebbe paura.
- Ascoltate, milord - disse egli dopo qualche istante d'esitazione. - Io credo che abbiate ragione, ma
perché non scegliere qualche altro mezzo per far perdere al pirata ogni speranza di farla sua? Potete
salvare ben vostra nepote senza ucciderla. Per quanto sia potente la Tigre della Malesia, non ardirà
assalire Vittoria. Perché non recarsi ad abitare colà, sotto la protezione del forte, dei piroscafi, del
piccolo esercito, del Governatore e del baronetto William che saprà farsi amare da lei?
- Recarmi a Vittoria? E perché no? - disse il lord come parlando a stesso. - Soffrirà abbandonare
questi luoghi ove è cresciuta e che mi diceva di amare come le spiaggie del Tirreno, ma infine sarà
sempre meglio di una palla di pistola nella testa.
- E si potrebbe approfittare del momento in cui i pirati sono assediati dalle nostre truppe - incalzò il
Portoghese.
- Approfittare? - disse il lord crollando il capo. - Non mi fido, avrei paura che i pirati si nascondessero
nei dintorni per assalirmi malgrado la mia scorta. Non ho che venti uomini, dieci dei quali sono
indigeni, più propensi ad unirsi ai pirati che a prestare man forte a noi. No, giovanotto mio, io avrei
paura.
- Ma, milord, se voi aspettate, le nostre truppe possono essere battute, e i pirati ritornare e assalire la
villa. Pensatevi bene, milord. Ho percorso i dintorni, sono venuto da Vittoria con una lettera e non ne
ho incontrato nemmeno uno.
- Vi credo, ma diffido sempre. Tuttavia ci penserò, e poi, credete che mia nepote abbandonerà questi
luoghi facilmente?
- Voi siete suo zio, milord - continuò Yanez che preparava audacemente l'agguato in cui doveva
cadere. - E infine, si tratta della salvezza comune. Badate a me, approfittate dell'occasione e domani
stesso partite per Vittoria. Ventidue uomini valgono bene ventidue pirati, che infine hanno
dell'audacia, ma mancano essenzialmente di forza. Urlano molto, ma mordono poco.
- Vi penserò - ripeté il lord che non pareva disposto ad arrendersi. - Andiamo a cena, giovanotto, che
dovete aver fame.
Si assisero dinanzi alla tavola bene imbandita dove non mancava né il pudding il pasticcio nazionale,
né i tradizionali beefsteak. Una dozzina di bottiglie delle migliori cantine d'Europa erano ben disposte
attorno ad una lampada chinese di talco che tramandava una scialba e misteriosa luce.
- Marianna - disse il lord, facendo quasi uno sforzo per dare alla sua voce un tono meno sprezzante
del solito.
- Che volete? - chiese la giovanetta bruscamente senza volgere il capo.
- Se credete...
- Lasciatemi così, io sto male, mi soffoco - rispose Marianna con una voce fievole che pareva un
lamento.
- Sempre la stessa - mormorò il lord crollando con impazienza il capo.
La cena fu fatta in silenzio colla flemma tutta propria degli Inglesi che Yanez sforzavasi imitare.
Furono vuotate parecchie bottiglie, venne sorseggiato il the e poi accesi i zigari.
Il lord non apriva bocca e Yanez non ardiva interromperlo occupato a progettare nuovi piani per
decidere il lupo di mare a fare i suoi bagagli e partire per Vittoria.
Erano passate due ore, quando il lord improvvisamente si alzò e guardando fisso il luogo dove
trovavasi sua nepote:
- Marianna - le disse, - se è vero che avete bisogno di aria, vi permetto di scendere nel parco sotto la
scorta di questo giovanotto. Voglio sperare che i pirati a quest'ora saranno lontani e forse
completamente distrutti, e credetelo bene, anche quella Tigre della Malesia... Via non parliamo più di
lui: spero che voi avrete già dimenticato quel bandito.
Il Portoghese agli ultimi bagliori del crepuscolo, vide la giovanetta alzarsi con una mossa da leonessa
ferita. Ella tese ambo le braccia con un gesto di suprema minaccia verso il lord che le volgeva le
spalle, e parve si volesse slanciare verso di lui. Si frenò, incrociò macchinalmente le braccia
sull'affannoso seno, e avvicinandosi alla tavola:
- Grazie, milord - diss'ella con tono ironico guardando con profondo disprezzo e mal celata ira. -
Grazie...
- Milady, se aggradite la mia compagnia - s'affret a dire Yanez che temeva si scatenasse fra zio e
nepote una bufera.
- Grazie, cavaliere - rispose Marianna.
Si appogg al braccio di lui e pallida, fremente, col volto scomposto uscì, lasciando il lord solo
immerso nei suoi tetri pensieri. Quattro soldati armati sino ai denti si unirono a essi tenendosi però a
una rispettosa distanza.
Le ombre della notte erano di già scese, ma la luna brillava in cielo illuminando come di giorno i
grandi alberi, e le grandi distese di fiori, che un venticello fresco fresco, imbalsamato faceva stormire
e piegare lievemente.
Marianna si arrestò un istante in mezzo al gran viale, mirando la natura addormentata e inebbriandosi
di quei olezzanti soffi, poi s'abbandonò al braccio di Yanez gettando un gemito strappatogli dalla
passione e dal dolore e tergendo due brillanti lagrime, che sgorgavanle dagli occhi. Ella guardò Yanez
che sembrava ubbriaco, che sentivasi affascinato dinanzi a tanta avvenenza.
- Ah! Quanto soffro, amico mio - diss'ella. - Mi pare che il cuore mi venga strappato brano a brano...
Parlatemi, sì, parlatemi di lui, credo di averlo ben meritato.
- Milady - disse il Portoghese, traendola su di un piccolo sentiero boscoso senza che ella vi si
opponesse. - Il maledetto ha l'oltraggio sulle labbra e il veleno in petto, ma non l'av a lungo, io vi
vendicherò entrambi. Non piangete, signora, io credo di non aver mai pianto percsono cattivo, ma
mi commuovo al punto d'irritarmi e di precipitare la vendetta contro di lui. Uditemi, tutto è crollato
per questa notte, ma credo che domani sarete libera, felice, lontana. Sandokan è sempre nei dintorni
coi suoi uomini, che spia il momento per rapirvi, che vi ama più di prima, deciso a tutto. Ho bisogno
del vostro aiuto, signora, per dar l'ultima mano alla trama ordita.
- Oh! Parlate, parlate, Yanez, io farò tutto ciò che voi vorrete! - escla la giovanetta. - Ogni
sacrificio sarà per me una gioia, sono forte, più forte di quello che voi abbiate a supporlo. Ordinatemi
di pugnalare le mie sentinelle, io sarei capace di farlo, ordinatemi di fare ciò che una donna non ha
mai fatto e io lo farò. La passione, lo sprezzo, gli oltraggi saranno capaci di darmene la forza.
Soffoco, vi sono dei momenti che mi sembra d'impazzire, dei momenti in cui commetterei dei delitti!
La disperazione m'invade, sento che le sofferenze sono troppo atroci per la mia anima, che la catena è
troppo pesante: no, no, non mi lascierò vincere, non mi lascierò gettare fra le braccia di quel baronetto
che io odio con tutte le forze della mia anima. L'avvenire è oscuro, ma che monta? Forse la vita sarà
burrascosa ma che vale, quando io sarò libera a fianco di lui, io debole a fianco al forte che saprà
difendermi? Dal giorno in cui fui brutalmente strappata dalle spiaggie della mia patria non ho avuto
più bene; dal momento che ho sentito d'amare non ho avuto che disprezzo e oltraggio, è troppo e tutto
da lui, da quell'uomo che si chiama mio zio! Sono vissuta sotto il suo disprezzo, senza mai una parola,
senza mai una consolazione per l'orfana, per la derelitta, sotto il suo braccio di ferro, calpestata, un
giorno abbandonata, un altro prigioniera. E tutto ciò perché ho un cuore, perché ho sentito d'amare un
uomo che non è il suo baronetto!
Due grosse lagrime che andavano aumentando sotto le palpebre irrigarono il pallido volto della
giovanetta, rischiarato dallo scialbo chiarore della luna. Il Portoghese sen il sangue gonfiarsi nelle
vene e la strinse teneramente.
- Non piangete, signora, Sandokan è là, io sono qui a vegliare pronto a dare tutto il mio sangue per
voi. Vi amo come una sorella, forse più; io vi difenderò, sarò vostro fratello. Volete che io vi rapisca
questa sera stessa per strapparvi dalle mani di lui? Guardate, io sento invadermi dall'ebbrezza nel
sangue, sarei capace di diventare una tigre pur io, quattro uomini soli ci seguono, io vado a trucidarli.
Poi a me la vendetta per quell'uomo che vi fece tanto soffrire per tanti anni.
- No, mio valoroso compagno - mormo la giovanetta. - Lui è mio zio!... Lasciate, potrebbe
uccidervi.
- Ah! divina milady! E sia giacc lo volete lo risparmie come voleva risparmiarlo Sandokan.
Ascoltatemi, questa notte non si farà nulla, rimarrete ancora prigioniera in questi luoghi, ma sarà
l'ultima. Domani sarete lontana, tanto lontana da fargli perdere ogni speranza di raggiungervi. Voi
potete ancora fare uno sforzo, sa pur l'ultimo. Pregate il lord, decidetelo a recarsi a Vittoria il più
presto possibile prima che l'uragano che minaccia abbia a scoppiare.
- Andare a Vittoria! Ma non sapete che una volta laggiù, venti cannoni tuoneranno contro i pirati?
Il Portoghese si mise sorridere, e accostando le labbra alle orecchie di lei dopo di aver guardato i
quattro soldati:
- Non è che uno stratagemma, milady - diss'egli. - I pirati si tengono imboscati, e quando noi
passeremo, si getteranno sul drappello, e vedrete che Sandokan sap ben ruggire in quel momento.
Mi comprendete, succederà una lotta di pochi momenti, la scorta sarà sbaragliata, il lord reso
impotente e voi cadrete nelle mani della Tigre. Non abbiate paura, io veglio e al primo segnale, alla
prima minaccia che il lord osasse farvi, io lo atterro. Domani a sera noi saremo lontani da queste
esecrate coste.
- Ma sapete che mio zio sarebbe capace di uccidermi, anziché lasciarmi cadere nelle mani dei pirati?
- Ve lo ripeto, milady, non abbiate paura di nulla che me ne incarico io di difendervi: vi giuro che non
vi torcerà un sol capello o, per Giove! io l'ammazzo!
- No! No! - esclamò vivamente Marianna. - Non toccatelo: è l'ultimo dei conti Guillonk!
- M'accontenterò di metterlo fuori di combattimento, d'impedirgli che abbia a mordervi. Non una
parola ora, milady. Appoggiate la mia domanda presso il lord, cercate di deciderlo a partire e niente di
più. Siete pronta a farlo?
- Sono pronta a tutto. Sarò solo della Tigre della Malesia e per diventar sua farò anche l'impossibile.
- E non ve ne pentirete, milady. Credetelo, il sangue dei conti Guillonk vale quanto il sangue di
Sandokan.
- Ma chi è adunque questo Sandokan? Quali vicende mai lo trassero a diventare pirata e per di più un
terribile pirata? Voi ne sapete qualche cosa, non dite di no. Fatemi conoscere colui al quale io andrò
sua sposa.
Il Portoghese non rispose.
- Yanez.
- Milady.
- Ve ne prego.
- Uditemi, milady - disse Yanez con voce grave. - Fu il destino, o meglio la fatalità che precipitò
quest'uomo che chiamasi la Tigre dai gradini di un trono al pirata.
"Aveva vent'anni appena quando sa sul trono di Maludu, un regno che trovasi vicino alle coste
settentrionali del Borneo. Terribile, forte come un leone, coraggioso come una tigre, in breve volger
di tempo aveva raccolto attorno a sé tutti i popoli vicini dopo averli vinti, a segno che a ventidue anni
estendeva la sua potenza fino alle rive del Koti e alle frontiere del regno di Borneo.
"Queste imprese gli furono fatali. Inglesi dapprima, Spagnuoli dopo, Olandesi più tardi, il sultano di
Borneo, i rag di Koti e quelli del lago di Kini Balou, paventando che finisse col soggiogare l'intera
isola, e scacciarli dai loro domini, cominciarono a tramare contro di lui. Le sollevazioni cominciarono
sulle coste fomentate dai bianchi, poi presero piede nell'interno, sicctutto il paese in breve tempo
sollevossi contro di lui. Invano lottò, invano schiacciò gli uni e gli altri. La sua famiglia cadde sotto il
ferro degli assassini: padre, madre, sorelle caddero mutilati ai suoi piedi. Le truppe passarono sotto le
bandiere dei nemici, i suoi amici lo abbandonarono, altri lo tradirono, ed egli dovette salvarsi colla
fuga seguito da un pugno di valorosi che non lo vollero lasciare nemmeno nella sciagura.
"Er parecchi anni sulle spiagge settentrionali dell'isola, ora inseguito come belva feroce, ora senza
viveri, ora senza mezzi, trascinandosi qua e là a capriccio, cercando indarno di riacquistare il perduto
regno e di vendicare l'assassinata famiglia.
"Spinto dalla miseria, dall'odio, dalla vendetta, precipitò di pendio in pendio, finché si fece pirata.
S'imbarcò su di un prahos, abbandole spiaggie della sua patria giurando atroce vendetta e appro
a Mompracem.
"Era forte, era prode, era terribile. For una banda, e devastò il mare. Inglesi, Spagnuoli, Olandesi,
Bornesi, non ebbero da lui quartiere. Assaporò il sangue, s'inebbriò della polvere del cannone, diventò
la Tigre della Malesia. Voi sapete il resto.
- E il ragià di Maludu si fece pirata - mormodolorosamente Marianna.
- Sì, pirata e che immodi proprio pugno più di cento vittime. E che avrebbe potuto fare d'altronde
quest'uomo che la vendetta rodeva e che la miseria accompagnava?
"Ma non fu assassino, milady, credetelo, fu vendicatore e niente di più. - Non importa. Ragià o pirata,
guerriero o assassino, sarei stata egualmente sua! - esclamò con fierezza Marianna.
Erano giunti allora nel fondo del parco vicini alle palizzate. Il Portoghese ebbe per un istante l'idea di
afferrare la gíovanetta e di varcarle. I quattro soldati che lo seguivano ed una sentinella che stava
semi-nascosta dietro una macchia di lillà, lo fecero desistere dall'audace progetto.
- Ritorniamo, milady - diss'egli. - La fuga sarebbe impossibile con questi cinque uomini. Ritorniamo
che il lord ci aspetta.
- Ci aspetta - mormorò Marianna, rabbrividendo in modo che Yanez la sentì.
- Non abbiate paura, milady - disse il Portoghese. - Sarà l'ultima volta che vi parlerà.
Marianna emise un profondo sospiro che parve un gemito e chi il capo sul petto che sollevavasi
sotto i singhiozzi.
Quando ritornarono, trovarono il lord seduto dinanzi al tavolo. Era ancora cupo, pensieroso, forse
occupato a commentare le proposte del Portoghese. Era evidente che quell'uomo, che non conosceva,
aveva mai conosciuto passioni, che voleva conservare il suo nome senza macchia, aveva paura
lasciando la villa di cadere in qualche agguato tesogli dalla Tigre.
- Coraggio, milady, io intavole il discorso - mormorò Yanez all'orecchio della giovanetta, mentre
entrava nella sala.
- Sì, farò tutto ciò che voi vorrete - rispose Marianna e si lasciò cadere anziché sedersi su di una
seggiola, ma risoluta a tutto tentare.
Il lord vedendo Yanez si scosse e alzò gli occhi sempre torvi su di lui, guardandolo per qualche tratto
in silenzio.
- Siete ritornato - disse alfine con un sorriso ma che si cangiò invece in un sogghigno diabolico. - E i
pirati?
- Nemmeno l'ombra, milord, ve lo dissi, essi sono scomparsi. Ebbene, avete pensato per far partenza
verso Vittoria?
- Vittoria! - escla egli come non si ricordasse più di nulla. - Ah! , mi rammento di ciò che mi
avete detto, ma credo di aver pensato che sarà meglio attendere qui il baronetto. Finita la spedizione,
egli si affretterà a ritornare, ne sono certo.
- Non mi fiderei, milord, e io credo che lady vostra nepote sia dell'egual parere. Si ignorano le sorti
del combattimento.
- È vero, Marianna? - chiese il lord con tono ironico guardando fisso e quasi con diffidenza la nepote.
- Sì - rispose seccamente la giovanetta. - Datemi la libertà, io sono ammalata, soffoco, conducetemi
via da questi luoghi che non sono pper me. Fate di me ciò che volete, ma allontanatemi da questo
carcere ove mi sento avvelenare.
Il lord sussultò guardandola con maggior diffidenza. Era la prima volta che la udiva parlare in tal
guisa, che parlava di Vittoria per la quale aveva sempre nutrito una avversità strana. Che voleva dir
ciò? Era forse cangiata? Lo credette.
- Avete adunque dimenticato il pirata? Era ben tempo, milady, credetelo - disse egli con maggior
ironia.
Il Portoghese vide una fiamma balenare negli occhi della giovanetta, mentre che impallidiva. Portò la
mano sull'elsa della sciabola e avrebbe spaccato la testa all'oltraggiatore se non si fosse rammentato
della promessa data. Si frenò.
- Sapeva che la pazzia che vi aveva preso sarebbe cessata assieme all'ammirazione per quell'eroe da
coltello - contin il lord sull'egual tono. - Se fossi voi, mi sentirei umiliata di averlo amato un sol
istante.
La giovanetta si rizzò colla faccia pallida, altera, cogli occhi in fiamme come una tigre furibonda.
- Non continuate, non oltraggiate! - esclamò ella con tale accento che il lord ne fremette.
Stettero alcuni istanti in silenzio, guardandosi l'un l'altro, come due tigri che si misurano collo
sguardo prima di avventarsi addosso. Lui era uomo e cedette, dominato dagli occhi fiammeggianti di
lei, dall'alterigia, dalla maestà della fanciulla.
- Giacché lo volete non ne parlerò più - diss'egli. - Domani andremo a Vittoria, e voi mi seguirete.
Il Portoghese, che aveva di già tratta a mela sciabola, respirò, asciugandosi le goccie di sudore che
imperlavano la sua fronte. La giovanetta dopo quello sforzo, pur conservando la sdegnosa alterezza, si
ritirava a lenti passi; il lord non si mosse.
- Fatevi condurre nella vostra stanza - disse il lord al Portoghese, quando la giovanetta si fu
allontanata.
Yanez s'inchinò, augurò la buona notte e si ritirò dopo aver gettato un bieco sguardo su di lui. Un
indigeno lo condusse in una elegante stanza tappezzata a rosso che suppose fosse la medesima abitata
da Sandokan.
- Ah! miserabile! - escla egli quando trovossi solo. - Avrei dato mezzi dei miei tesori per
vendicarla. Ma sta pur certo, maledetto d'inferno, che non la tormenterai a lungo; vi ha una voce che
mi dice che noi un giorno ci rivedremo su altre terre. Quel dì sarà la tua ultima ora.
Si gettò sul letto vestito e cercò addormentarsi, ma non vi rius che a ora assai tarda. Quando si alzò
il sole era già alto.
Ap la fenestra e guardò nel parco, credendo vedervi i cavalli pronti per la partenza e i soldati
occupati a levar le tende. Con sua grande sorpresa e, diciamolo pure, terrore, vide il giardino
completamente vuoto. Solo le sentinelle passeggiavano dinanzi alla cancellata.
- Avrebbe il lord cangiato idea? - pensò egli.
Uscì e si re nel salotto, ma non trovò né lord James la milady. Interrogò un indigeno ma gli
rispose di non aver ricevuto ordine alcuno di prepararsi a partire.
- Aspettiamo - mormo il Portoghese. - Qualche cosa succederà. Venne mezzodì, ma il tanto
sospirato ordine di mettersi in viaggio non fu dato. Il Portoghese cominciò a impensierirsi, tanto più
che nessuno dei due si faceva vedere. Le paure cominciarono ad assalirlo: temette che la trama fosse
stata scoperta, che Sandokan si fosse fatto incautamente vedere, o che la giovanetta si fosse
improvvisamente ammalata.
Egli passò il rimanente della giornata in un'ansia continua, e già disperava della riuscita del suo ardito
giuoco, quando alle sei di sera venne in furia comandato ai soldati di abbandonare i loro posti e di
piegare le tende e agl'indigeni di fare i preparativi per la partenza.
Il Portoghese respied affrettossi a recarsi nella sala dove i servi erano affaccendati a fare i bagagli.
Dalla fenestra po veder gli staffieri che s'affannavano ad insellare i cavalli e i soldati che si
caricavano degli zaini.
Pochi momenti dopo comparvero lord James e sua nepote. Lui era vestito da viaggio, in bassa tenuta
di capitano di marina e armato sino ai denti. Non mancava né di sciabola né di carabina e nemmeno di
pistole; pareva che dovesse recarsi alla guerra.
Lei era vestita leggiadramente d'amazzone, con un giubbettino di velluto e lunga veste di seta azzurra
che faceva doppiamente risaltare il pallore e la bellezza del suo volto e sul capo un berrettino piumata
che s'inclinava graziosamente sui dorati capelli.
Il Portoghese che l'osservava attentamente vide due lagrime tremolarle sugli occhi, e sul suo volto
scolpito uno sgomento, un affanno che lo spaventò.
Non era più l'energica fanciulla del giorno innanzi che aveva parlato con tanto fuoco e tanta fierezza.
L'idea di un rapimento pareva atterrirla, l'idea di dover abbandonare e per sempre quei luoghi pareva
angosciarla, e l'idea di gettarsi in un avvenire tetro, oscuro nelle braccia di un pirata che portava il
terribile nome della Tigre della Malesia, pareva che la spaventasse. Quando salì a cavallo, abbondanti
lagrime solcarono le pallide guancie che una passione gigantesca aveva dimagrite e infossate, e il suo
seno si sollevò sotto i singhiozzi che le montavano alla gola. Ella si aggrappò alla sella e vacillò come
stesse per cadere, volgendo un mesto sguardo su quei luoghi che più mai doveva rivedere, a quei
luoghi dove era vissuta e cresciuta, e che ora perdeva per sempre per seguire il destino e forse la
fatalità che la spingeva irresistibilmente verso la Tigre della Malesia.
Il Portoghese, con una mano sul calcio della pistola per prevenire qualche catastrofe, spinse
risolutamente il suo cavallo verso di lei.
- Coraggio, milady - mormorò egli, - l'avvenire è vostro! - e si mise al suo fianco a due passi dal lord
che non diceva verbo.
Si misero in marcia colle carabine montate, gli occhi fissi sui due lati del sentiero, gli orecchi in
guardia per raccogliere i menomi rumori che indicassero la vicinanza del nemico; ognuno, malgrado
le asserzioni della lettera del baronetto, diffidava e primi fra questi il lord che scrutava le circostanti
foreste, gettando di tratto in tratto uno sguardo torvo verso la nepote, sguardo terribile nel quale
brillava una sinistra fiamma, una suprema minaccia. Il Portoghese vi lesse con ispavento in quegli
occhi la risoluzione d'ucciderla anziché lasciarsela rapire.
Quattro soldati a piedi aprivano la marcia, calpestando le alte erbe del sentiero con prudenza, altri sei
a cavallo camminavano ai lati facendo scudo al lord e alla giovanetta, mentre otto indigeni, non meno
armati degli altri ma forse meno risoluti, venivano dietro con lesto passo senza scambiare una parola.
Erano giunti allora a mezzo chilometro dalla villa, quando Yanez, alzandosi repentinamente sulla
sella colla sciabola in pugno, mandò un fischio acuto, il segnale che doveva avvertire Sandokan del
loro avvicinarsi. Il lord si arrestò di botto.
- Che fate? - domandò egli, afferrando la carabina e guardandolo sospettosamente.
- Chiamo i miei uomini - rispose freddamente Yanez, alzando la sciabola verso di lui pronto a
spaccargli il capo.
- Ah! traditore! - urlò il lord che comprese la trama.
Quasi nel medesimo istante si udì una scarica violenta partita dai due lati del sentiero. Tre cavalieri e
quattro indigeni caddero fulminati, e venti uomini, venti tigri colle scuri in mano irruppero dai
circostanti boschi gettando urla indescrivibili, caricando il drappello, spaventato, sorpreso
dall'inaspettato attacco. Sandokan in persona, armato della terribile scimitarra di già insanguinata sino
all'elsa, si avventò alla testa degli Inglesi che si riparavano dietro i cavalli, cercando opporre una
disperata resistenza. Egli spac il capo al primo che gli capitò tra i piedi nel momento che questo
stava per tirargli un colpo di pistola quasi a bruciapelo.
Il lord get un vero ruggito. Colla pistola in pugno si spinse verso la giovanetta che si aggrappava
disperatamente al collo del suo cavallo. Ma il Portoghese era lì. Con un balzo da tigre afferla lady
che veniva meno, e sollevandola fra le braccia vigorose cercò di passare in mezzo agli Inglesi che si
difendevano furiosamente dietro i cavalli ammazzati.
- Largo! Largo! - urlò cercando dominare colla voce il fracasso della moschetteria.
Non fu udito; Marianna gli svenne fra le braccia. Egli la depose al suolo nel mentre che il lupo di
mare pallido di furore gli si faceva addosso colla sciabola alzata. Ebbe appena il tempo di parare colla
sua arma il colpo mirato alla testa.
- Ah! miserabile! - gli gri Yanez saltandogli addosso. - Aspetta un po', vigliacco, che ti faccia
assaggiare la punta del mio ferro.
Il lord gli tirò una pistolettata, ma la palla mal diretta si perdé altrove. I due uomini impugnate le
sciabole si precipitarono furiosamente l'un contro l'altro, sbuffando come leoni, misurandosi terribili
fendenti, saltando a destra e a manca, stringendosi coi pugnali, l'uno risoluto a sacrificarla anziché
lasciarsela rapire e l'altro a difenderla. l'uno l'altro cedeva, l'uno l'altro paventava delle
palle, né della carneficina che accadeva a loro d'intorno, né si commoveva alle urla strazianti dei feriti
che si torcevano a loro vicini bestemmiando e insanguinando le erbe.
Mentre loro due s'azzuffavano con accanimento senza pari, disputandosi la disgraziata fanciulla che
non dava più segno di vita, Inglesi e pirati si assalivano con egual furia, cercando di respingersi
vicendevolmente.
I primi, ridotti a solo un pugno di combattenti, messisi dietro ai cavalli, facevano intrepidamente
fronte ai tigrotti di Mompracem, difendendosi col coraggio infuso dalla disperazione, sostenuti
validamente dagli indigeni che menavano ciecamente le mani, confondendo le selvagge loro urla a
quelle tremende dei pirati. Colpivano di punta e di taglio, roteavan i fucili servendosene dei calci
come di mazza, avanzavano, infuriando sempre più, incoraggiandosi colla voce e coll'esempio.
La Tigre, colla scimitarra in pugno, invano tentava di sfondare quella parete umana per portar aiuto al
Portoghese che s'affannava a respingere i crescenti e turbinosi attacchi del lord. Ruggiva come una
vera belva, fendeva teste, squarciava petti, troncava gambe e braccia, smussava armi, s'avventava
pazzamente sulle punte delle baionette, trascinando seco la terribil sua banda che mugolava ai suoi
fianchi colle scuri alzate tinte e ritinte nel sangue del nemico.
Per dieci minuti Inglesi e pirati si batterono, afferrandosi l'un l'altro e cercando rovesciarsi e
scannarsi, poi i primi cedettero. La Tigre trascinò un'ultima volta all'assalto i suoi tigrotti, che
riuscirono a spezzare quella trincea vivente ed impadronirsi dei cavalli tanto ostinatamente disputati. -
Tieni saldo, Yanez! - urlò la Tigre che avanzava penosamente tempestando il nemico che tentava con
ogni suo sforzo di arrestarlo. - Tieni saldo che ci sono!
Proprio in quel medesimo istante la sciabola del Portoghese si spezzò. Egli trovossi disarmato con la
giovanetta accanto. Impallidì orribilmente.
- Aiuto, Sandokan! - vociò egli.
Il lord si precipitava su di lui coll'arme alzata. Non si smarrì. S'abbassò, evitò il colpo, si fece sotto e
s'aggrappò disperatamente al lupo di mare. Tutti e due rotolarono al suolo digrignando i denti e
mordendosi l'un l'altro come tigri.
Gli Inglesi allora retrocedevano e cadevano l'un dietro l'altro sotto la scimitarra della Tigre e le scuri
dei pirati. Il lord se ne avvide, e cer liberarsi dalla stretta del Portoghese per assassinare la
giovanetta, ma non vi riuscì.
- Ah! brigante! - urlò egli serrandosi stretto contro il petto Yanez e colle gambe e colle mani. - Ehi!
John! Ammazzami la mia nepote! Te lo comando!
Un soldato ferito e tutto insanguinato si staccò dal gruppo dei combattenti. Sandokan lo vide
impugnare la daga e saltare addosso alla giovanetta. Gettò un urlo terribile, disperato, straziante.
- Yanez! Yanez! Salvala!
Il Portoghese lo udì, vide e comprese tutto. Radututte le sue forze, si rizzò traendo seco il lord, e
girando su stesso cozzò furiosamente contro il soldato che cadde lungo disteso, poi stringendo le
magre dita attorno al collo del lupo di mare, con una violenta scossa lo scaraventò contro il tronco di
un albero stordendolo.
Quel momento bastò. La Tigre, spezzata la barriera dei combattenti piombò sul soldato che rosso di
collera cercava d'alzarsi e gli fracas il cranio con tal violenza da farne spruzzar le cervella a dieci
passi di di stanza, poi saltatolo via afferrò la giovanetta e la solle gettando un urlo di gioia
selvaggia.
- Mia! Mia! Mia! - ruggì egli con indefinibile accento.
Se la strinse contro il petto, e fuggì attraverso le foreste seguito dai suoi tigrotti, che avevano allora
allora finito di scannare l'ultimo Inglese. Il lord rimase solo sul luogo della pugna, torcendosi e
bestemmiando in mezzo ai cadaveri.
CAPITOLO XXV
La moglie della Tigre
La notte era magnifica. La luna, quell'astro solitario delle notti serene, splendeva in un cielo senza
nubi, spandendo la pallida sua luce di un azzurrognolo trasparente, d'una infinita dolcezza, al di sopra
delle oscure e misteriose foreste, illuminando le mormoranti acque del fiumicello e specchiandosi con
vago tremolìo sui flutti dell'ampio mare della Malesia.
Un soave venticello, carico delle esalazioni profumate delle grandi piante, agitava con lieve sussurrio
le frondi, scendendo verso la marina a corrugar la placida distesa delle acque e morendo di poi nei
lontani orizzonti dell'ovest.
Tutto era silenzio, tutto era mistero, tutto era pace. Sol di tratto in tratto udivasi la risacca che
rompevasi con monotono fragore sulle deserte sabbie del lido, il gorgoglio dei fiumicelli che
andavano a portare il loro tributo nel gran bacino salmastro, e il gemito della brezza che pareva un
flebile lamento, al quale faceva talvolta eco un singhiozzo che elevavasi dal ponte del prahos di
Sandokan.
Il veloce legno piratesco aveva allora lasciato la foce del fiumicello e filava ratto ratto verso l'ovest,
spintovi dal vento che sibilava lamentosamente fra gli attrezzi, silenzioso come un fantasma dalle
immense ali, lasciandosi addietro le coste di Labuan che cominciavano a confondersi fra le tenebre,
portando seco i superstiti della spedizione.
Tre sole persone vegliavano sul suo ponte: il Portoghese, taciturno, triste, cupo, seduto a poppa colla
dritta sulla barra del timone, assorto in dolorosi pensieri, e Sandokan e la giovanetta seduti a prua,
all'ombra delle vele, accarezzati dalla brezza, stretti in un tenero amplesso.
Il pirata teneva stretta contro il suo petto la bella fuggitiva e andava tergendo colle punte delle dita le
lagrime che brillavano sulle ciglia di lei, emettendo di tratto in tratto un rauco sospiro, un profondo
ruggito a ogni singhiozzo che sollevava il suo affannoso seno.
- Senti, amor mio - diceva egli posando le ardenti labbra sui biondi e profumati capelli di lei. - Senti!
Noi andremo lontani, lontani da questi mari e da queste isole, dove ogni onda e ogni scoglio ridesta in
me dolorosi e truci ricordi, ti farò felice, grandemente felice, sarò tuo in vita e in morte, e
seppelliremo il passato in modo che non ne udremo parlarne più mai, più mai! Non avremo più
lagrime, non avremo dolori, non avremo rimpianti; il mio mare, la mia isola, la mia potenza, la mia
gloria, il mio temuto nome, la sanguinaria mia vita d'avventuriere, io dimenticherò per sempre fra i
tuoi sorrisi, e tu dimenticherai per sempre la tua lontana patria, la tua isola, il tuo unico parente,
nell'amor mio.
"Senti, fanciulla adorata, sino ad oggi fui pirata, trascinatovi dalla fatalità e dalle sventure, fino ad
oggi fui assassino, fino ad oggi tuffai le mie mani e il mio ferro nel sangue delle vittime, fino ad oggi
fui crudele, fui feroce, fui tremendo, fui Tigre... ma non lo sarò mai più, no, mai più! Soffocherò per
sempre i ricordi della passata mia vita, lurida di sangue, frenerò l'impeto della mia natura selvaggia,
sacrifiche il mio mare che un andavo orgoglioso di dire mio, e struggerò la mia isola che un
chiamava mia e la terribile banda che fe' la mia gloria.
"Non piangere, adorata Marianna, l'avvenire che ci aspetta non sarà lugubre, non satetro, non sa
oscuro, ma bensì un avvenire ridente, un avvenire pieno di felicità, dove un sorriso saranno le gioie, e
un bacio i nostri deliri d'amore!
"Guarda, non aveva mai amato, perché mi sembrava che fosse vergogna per la Tigre amare, ma il
che ti ho veduta, sentii il sangue gonfiarmisi nelle vene, sentii il mio cuore di granito palpitare e
ardere d'immenso amore, e una emozione sconosciuta, indefinibile, voluttuosa scuotermi tutte le
fibre! Quando ti udiva, mi pareva essere trasportato in un nuovo mondo, quando ti vedeva provavo
delle scosse terribili che mi schiantavano l'anima dalla gioia, quando i tuoi sguardi celesti si fissavano
nei miei, parevami diventare un altro uomo, un altro essere e dimenticava allora di essere stato pirata
e tacevansi le voci delle vittime da me immolate che m'accompagnavano lugubremente nei miei sogni
urlandomi dietro: assassino!...
"Marianna! Marianna! - continuò il pirata con voce improntata di suprema tenerezza, - sarai mia, non
torneremo più su questo mare della Malesia che bagna le coste delle nostre due isole, non rivedremo
le selvagge foreste che a entrambi erano care, non rivedremo questi luoghi che ci han veduti crescere,
vivere, amare! Mai più rivedrai i tuoi fiori che ti facevan felice anche fra le ansie e i dolori, non
rivedrai più le coste dell'isola maledetta che pur ti parevan ridenti, perderai patria, perderai parenti,
perderai tutto come perde tutto io, ma che importa? Ti darò una nuova isola p bella, più poetica,
più gaia, più ridente, ti da una nuova patria sulla quale potrai amarmi senza paure, sulla quale
potremo mane e sera ripeterci quella divina parola che per noi è tutto: ti amo e sono tua!
"Marianna! divina fanciulla, ti amo, ti amo! Oh! Ripeti anche tu questa parola che mi rende felice, che
non udii mai risuonare alle mie orecchie in tutta la mia vita burrascosa, mai, mai, mai!
La giovanetta s'abbandonò nelle braccia di lui, che la strinse teneramente al petto, e appoggiato il suo
volto irrigato di lagrime sulla sua spalla: - Sì, Sandokan, ti amo, ti amo, ti amo!... E come giammai
donna alcuna amò sulla terra!
Un ruggito di delirante gioia irruppe dal petto del formidabile uomo. Le sue labbra baciarono i dorati
capelli di lei, la fronte nivea e le coralline labbra consumando le lagrime che scendevano lungo le
pallide gote.
- Sì, Marianna, tu sarai mia, e io ti difenderò contro il mondo intero, e ti fa felice e felice come
giammai donna alcuna lo fu dal dì che schiatta umana visse. Non piangere amor mio, non prestar
orecchio alle funeste voci che ti dissero essere con me l'avvenire incerto e oscuro. Tergi quelle
lagrime che mi straziano atrocemente il cuore, quelle lagrime che io vorrei ricambiare con goccie del
mio sangue. Ah! quanto ti amo!
"Non ho sognato che questo momento, averti fra le mie braccia, per dirti in faccia a questo mio mare
che mi attrasse fin dall'infanzia che ti adoro. Non ho sognato che questo momento di stringerti al mio
petto, di baciare le tue divine labbra, di sentire il tuo picciol cuore palpitare sul mio! Oh! Vicino a te,
mi sembra non essere più la sanguinaria Tigre della Malesia: mi sembra essere un altro uomo!...
"Non tremare, non aver paura, non udrai p la voce brutale di tuo zio, né le parole del maledetto, di
William. Di' a loro che vengano a strapparti dalle mie braccia, da quelle della Tigre della Malesia, di'
a loro che vengano a misurarsi col mio braccio vincitor di cento pugne. Io li disperderò, li farò a brani
coi miei denti.
"Oggi siamo in questi mari, domani saremo nella mia isola, nel mio inaccessibile nido dove non
avranno l'ardire di venirmi ad attaccare, a quel nido che mette sgomento agli audaci, paura ai valorosi,
e poi, quando tu vorrai, quando ogni pericolo sarà passato, lascieremo per sempre questi luoghi! Su
altre terre, dove non udremo la voce dei nemici, dopo di avere scavato un baratro fra noi e i ricordi,
andremo a godere la felicità che non potremmo godere su queste isole!
- Sì - mormorò la giovanetta. - Andremo lontani, da dimenticarle per sempre... da non udirle nominare
più mai!
Marianna mandò un sospiro che pareva un gemito e svenne fra le sue braccia. Il pirata si curvò su di
lei, ebbro di amore, delirante, strinse il seno palpitante contro quello di lui e spense in un bacio
ardente l'ultimo ricordo dell'assassino.
- Quanto è bella! - mormorò egli con voce appassionata. - E sarà di un pirata, di un assassino!
Si strinse il capo fra le mani quasi volesse soffocare il turbine delle memorie e un singhiozzo gli
montò alla gola.
- Mia! Mia! - ripeté egli con indefinibile accento di selvaggia passione. - Fui pirata, perché la sventura
mi vi ha spinto, fui assassino perché il mio cuore traboccava d'odio e di vendetta, ho bagnato questi
mari di sangue di cento e cento vittime, ma non lo sarà più! Fuggirò con lei lontano da questi luoghi
ove ogni cosa mi rammenta la vita passata, ove ogni onda mi rammenta una goccia di sangue, ove
ogni scoglio mi rammenta un assassinio. Il mio nome morrà, la Tigre della Malesia non farà più udire
il suo ruggito, fuggirò dai miei compagni che pur tanto amava. Sarà un sacrificio pur grande pel cuore
di un pirata, ma lo farò. Sarai mia, fanciulla divina, ti rende felice, sarò come uno schiavo
sottomesso ai tuoi capricci: il pirata morrà. Sarò un altro uomo!
Sandokan si precipitò sulla fanciulla svenuta e la sollevò fra le sue braccia. Nel medesimo istante una
larga mano si posò su una delle sue spalle e una voce grave lievemente commossa, gli disse:
- Fratello mio, lascia gli amplessi e i baci ora, impugna la scimitarra, che il nemico c'insegue!...
Il pirata si volse con feroce urlo stringendo con frenesia la giovanetta quasi paventasse si volesse
strappargliela e si tro di fronte a Yanez che con un braccio teso indicava un punto luminoso
all'orizzonte verso Labuan.
- Yanez! Yanez! - esclamò Sandokan.
- Senti, fratello mio - disse il Portoghese. - Or ora ho scorto quel lume all'oriente; vedo laggiù un
pericolo per noi, una nave che vola sulle nostre traccie forse desiosa di riacquistare la preda che tu hai
rapito a Labuan, forse un incrociatore irto di armi e pieno d'armati. Lascia gli amplessi e le emozioni
ora. Mira il pericolo: difendila!
- Sì! Sì! Difenderla, difenderla! - urlò il pirata, che ritornava la Tigre. - Guai a chi tenterà sbarrarmi la
via che mi conduce alla felicità, guai a lui! Di' che vengano a misurarsi meco. Io sarei capace in
questo istante, sotto gli occhi di lei, di pugnare col mondo intero. No, non me la lascierò strappare.
Sarai mia, Marianna, sempre mia!
Il pirata così parlando sembrava invaso dal delirio, si animava, la voce sua vibrava per la commozione
e per l'ira come la lama di una spada, stringeva la giovanetta con una specie di folle furore contro il
suo petto, e gli occhi balenavano ai raggi della luna come diventassero di fuoco.
Egli gettò uno sguardo sul lume che pareva avvicinarsi e si strappò di fianco la scimitarra come
volesse difendersi contro di esso.
In quell'istante la fanciulla tornò in gettando un sospiro, soffocata sotto la stretta furibonda del
pirata.
- Sandokan! Sandokan! - esclaella gettando le braccia attorno al collo di lui con un movimento di
spavento.
- Eccomi, Marianna, non aver paura, non ti strapperanno dal mio fianco le giacche rosse - rispose
Sandokan, agitando la scimitarra. - No, non ti avranno. Io sono la Tigre, ti difenderò contro tutti essi.
- Perc quella scimitarra? Mi fa paura, Sandokan. Non siamo lontani adunque da Labuan? Non
siamo liberi noi?
Il pirata la guardò con suprema tenerezza ed esitò per un istante. Poi, traendola dolcemente verso
poppa senza che ella vi si opponesse, le mostrò colla punta della scimitarra il lume che brillava sopra
una grande ombra a riflessi bianchi.
- Una stella! - esclamò la giovanetta, che per un movimento istintivo si sercontro di lui.
- Una stella? - mormorò Sandokan coll'arma sempre tesa verso il punto luminoso. - No, amor mio, no,
Marianna, non è una stella quella che brilla laggiù sopra quell'ombra, è un occhio che scruta
avidamente il mare cercandoci, è un fanale che segna una nave, un incrociatore lanciato da quel
maledetto sulle nostre traccie irto di armi, carico d'armati, assetati del mio sangue.
- Mio Dio! Ho paura, Sandokan - disse la giovanetta aggrappandosi disperatamente a lui, che la
contemplava rapito.
- Non aver paura, sei al mio fianco, sotto la difesa di quest'arma che ha vinto cento pugne sanguinose,
a fianco della Tigre della Malesia, che non ha mai tremato di spavento. Tutti gl'Inglesi di Labuan e
Borneo, non sarebbero capaci di strapparti dalle mie braccia. Guai a loro, se avessero tanta audacia
d'affrontare la Tigre delirante. Guai a loro! Mille uomini cadranno prima di giungere sino a te. Non
aver paura, amor mio, sono sempre qua!
- Ma se ti uccidessero, Sandokan, che ne sarebbe mai di me? Chi mi difenderà dopo?
- Uccidermi? - escla Sandokan rizzando l'alta statura mentre un lampo d'orgoglio guizzava negli
occhi. - Sono invulnerabile!
- E vi difenderò io, milady - disse il Portoghese traendo alla sua volta la scimitarra dinanzi a lei.
- Sì, Marianna, saremo in due che ti difenderemo, due tigri che non hanno mai tremato, due tigri della
selvaggia Mompracem.
Le due scimitarre s'incrociarono dinanzi alla giovanetta, che chiuse gli occhi al lampo che ne scattò
sotto i raggi della luna.
L'incrociatore, che mezz'ora prima era una semplice ombra indefinibile, era allora visibile appieno coi
suoi alberi che spiccavano sul fondo chiaro del cielo, avvolti dal nero fumo della macchina, in mezzo
al quale scintillavano alcune scorie che salivano a una certa altezza. La prua affilata tagliava le acque
che spumeggiavano chiaramente al chiaro dell'astro notturno, e il vento dell'oriente portava sino al
prahos il fragor delle tambure che battevano frettolosamente i flutti.
- Vieni! Vieni! maledetto da Dio! - esclamò Sandokan con veemenza, minacciandolo colla scimitarra
mentre coll'altro braccio cingeva la fanciulla spaventata. - Vieni a sfidar la Tigre se hai sangue nelle
vene, di' a tuoi cannoni di ruggire, alle giacche rosse d'impugnare le loro armi. Io non ti temo! Se io
ruggo, guai a te!
Quella minaccia parve che venisse intesa dall'incrociatore che trovavasi un miglio appena lontano. Un
lampo abbagliante guiz improvvisamente a prua seguito da una sorda detonazione. Una palla fece
saltar l'acqua appena a dieci passi da poppa, spruzzando Giro Batoë che trovavasi al timone. La Tigre
della Malesia si mise a sogghignare ma con quel sogghigno tutto suo proprio che agghiacciava sempre
il sangue.
- Aspetta un po', maledetto da Dio, poi vedrai la Tigre all'opera! - tuonò egli, minacciandolo con aria
truce e mostrandogli l'abbronzato suo cannone. Un secondo lampo balenò a prua del legno seguito da
una detonazione più forte.
Il Portoghese si scosse tutto.
- In coperta! - comandò egli correndo a prua. - Su, tigrotti di Mompracem: vi ha sangue da bere.
- Sandokan! Sandokan! - esclamò Marianna, stringendosi timidamente al suo fianco. - Ho paura.
I pirati uscivano allora dalla stiva, mugolando come tigri. Sandokan prese per mano la giovanetta.
- Vieni, amor mio - le disse dolcemente. - Ti condurrò nel tuo nido al riparo delle bombe di quegli
uomini che sino a ieri erano tuoi compatrioti, e che oggi sono tuoi nemici!
S'arrestò un istante, fissando con bieco sguardo il piroscafo che sforzava la sua macchina al punto di
correre il rischio di farla saltare, poi porse il braccio alla lady, attraversò il ponte con passo fermo,
calmo, ma superbo, e la condusse nel sottoponte, nella cabina.
Era questa una stanzetta che giustificava pienamente il nome di nido datale dal pirata, arredata con un
gusto ed una eleganza la più squisita. Le pareti erano scomparse sotto ricche stoffe di seta cremisi e il
pavimento era coperto da tappeti indiani che rifulgevano per l'oro e l'argento sparsovi a profusione.
Ricchissimi mobigli intarsiati d'avorio e di madreperla occupavano gli angoli; dal soffitto pendeva
una gran lampada dorata e in un canto ardeva su di un tripode della polvere di sandalo che spandeva
un profumo soave, inebbriante. Il pirata guardò sorridendo Marianna che sembrava sorpresa.
- Vedi - le disse, mentre un nuovo colpo di cannone rombava sul mare. - Questo è il tuo nido, questo è
il tuo mondo, e tu sarai la cara colomba che l'abiterà. È sospeso sui flutti, è mobile, ma è sicuro. Non
aver paura delle palle dei miserabili che bersagliano il mio legno: esse non ti toccheranno mai, mi
capisci, Marianna, mai! Le lamine di ferro che corazzano la poppa le arresteranno e la mia scimitarra
infrangerà le armi delle giacche rosse che ardiranno salire sul ponte del mio legno. No, no, non ti
rapiranno, mia adorata fidanzata: per farlo, bisognerà che abbiano a passare sul corpo dei miei tigrotti
e poi sul mio, il che non accadrà mai. Sono invulnerabile!
"Di' pure a loro che ruggano, di' pure a loro che tuonino contro il mio prahos che è dieci volte
inferiore del loro piroscafo, di' pure che vengano all'abbordaggio, io li vincerò, io li fulminerò come il
fulmine di Allah che folgora gli empi. È la Tigre della Malesia che te lo dice, Marianna, e puoi
credere ad essa che giammai mentì, che giammai s'ingannò!
- Sì, mio valoroso campione, ti credo - mormorò la giovanetta che sentivasi presa da immensa
ammirazione per quell'uomo terribile che parlava in tal guisa. - Ma se ti uccidessero? Tutti ti odiano,
tutti han giurato di vendicarsi su di te, e tutte le loro palle saran dirette contro il tuo petto da eroe.
- E credi tu, Marianna, che io sia l'uomo che abbia paura? Credi che la Tigre della Malesia li tema?
Guarda, mi sento tanto forte, mi sento tanto possente, che sarei capace d'arrestare colle mie mani le
bombe delle loro artiglierie!
- Ah! Sandokan! Ho paura.
- No, non tremare, amor mio, non pensarlo nemmeno che essi abbiano a sfondare il mio petto. Vi ha
una voce che mi dice che io sono invulnerabile, vi ha una voce interna che mi dice che lassù v'è
qualcuno che protegge la Tigre. Ho lottato per tanti anni dinanzi la bocca dei cannoni ruggenti, mi
sono precipitato tante e tante volte in mezzo alla mitraglia e giammai una scheggia intaccò le mie
carni e le mie ossa!... Fu solo a Labuan, su quella terra esecrabile, su quelle coste maledette, che una
palla che tengo ancora in petto mi colpì!... Ma non fu tanto forte da troncare la vita della Tigre, e non
ve ne sarà una seconda capace di troncarla. Bisogna che io viva, ora che tu sei mia, ora che la felicità
tanto bramata dal giorno che ti vidi mi aspetta, e vivrò a dispetto dei loro cannoni!
- Mio Dio, ma è dunque vero che tu lo proteggi! - esclamò la giovanetta alzando le mani giunte verso
il cielo.
- Sì - disse il pirata con una sicurezza che avrebbe convinto il più incredulo. - Vi ha qualcuno che mi
protegge, il mio bel genio che mi guida e che mi rende invulnerabile. Rimani, Marianna, nel tuo nido,
senza tremare, fanciulla divina. Io lassù, sul ponte, farò scudo col mio petto alle palle del nemico e la
mia scimitarra saprà difenderti contro mille di essi. Non avrai paura, non è vero Marianna?
- No, Sandokan, no mio valoroso, non avrò paura, né tremerò quando i cannoni ruggiranno. Sarò forte
perché tu ti batti per me!
Il pirata si precipitò verso la giovanetta caduta in ginocchio e prendendo teneramente la testa di lei fra
le mani ne bacle labbra. La contemplò rapito un istante inebbriandosi nell'ardente alito di lei, poi si
rizzò ebbro d'amore e di voluttà. Il suo occhio s'infiammò sotto un sinistro lampo e fremente, superbo,
battendo fieramente il piede con una intonazione che avrebbe fatto tremare il nemico se fosse stato lì a
udirlo, esclamò:
- Ritorno Tigre! - e si slanciò verso la scala salendo sul ponte di già invaso dai suoi uomini.
- Dio mio, salvalo! Non sarà p pirata, non sa più assassino! - esclamò la giovanetta e cadde sulle
ginocchia.
L'equipaggio del prahos svegliato di soprassalto fin dal primo colpo di cannone e dalla voce del
Portoghese, non aveva perduto un sol momento. Compreso di che si trattava, senza manifestare né
meraviglia, né timore, malgrado la sproporzione di forze, si era gettato bravamente ai cannoni pronti a
rispondere al terribile invito dell'incrociatore. I più abili artiglieri avevano di già accese le miccie e vi
soffiavano sopra e stavano per cominciare il duello senza nemmeno aspettare il comando quando
comparve la Tigre.
Alla vista di quell'uomo, che da solo valeva cento combattenti, dinanzi al quale i più intrepidi
fremevano, ritornato il pirata leggendario di Mompracem, trasformato, tutto fuoco e furia, un sol
grido scoppiò a bordo del prahos che giunse sino al piroscafo.
- Viva la Tigre! - urlarono i pirati alzando le scimitarre. - Viva la Tigre!
- Largo a me! Largo alla Tigre della Malesia! - esclamò Sandokan respingendo gli artiglieri. - Basterò
io solo per struggere il maledetto da Dio!
Era proprio la Tigre che così parlava. Aveva gli occhi che sembravano carboni accesi, il volto aveva
assunto quell'espressione feroce e ardita insieme che lo rendeva si temuto in quei mari, le labbra
avevano ritrovato il sorriso atroce della Tigre, e parevano assaporare sangue umano. Pareva
ingigantito di dieci cubiti. Visto così in quella posa, coi capelli sciolti al vento, animato, minaccioso,
quasi ruggente, sembrava una belva che spiasse anelante la preda per dissetarsi nel suo sangue.
Egli si piantò fieramente dinanzi ai cannoni, cogli occhi fissi sull'incrociatore che si avanzava sempre
sforzando la macchina e mordendo furiosamente le acque colle ruote, quasi volesse attirarlo colla
potenza della sua vista, affascinarlo, bruciarlo coll'ardente alito, e tendendo le mani verso di lui come
in una suprema minaccia.
- Qua! Qua! - esclamò egli con quella voce vibrante e metallica. - Essa è sotto di me, riparata dal mio
petto che non la cederà ai tuoi cannoni, difesa dalle mie armi che spunteranno le tue. Vieni a
riprenderla se ne sei capace. Questa è la mia patria, qui vi ha la mia rossa bandiera che la ricopre,
vieni! Non sarai capace di struggere il mio legno, non abbatterai la mia bandiera, non farai tacere i
cannoni che la difendono, non mi strapperai la giovanetta che ha detto d'amarmi. Qui vi ha la Tigre
della Malesia! Fa ruggire i tuoi cannoni, vieni abbordarmi, se ne sei capace: io ti sfido!
Il pirata, che si sentiva in quel momento tanto forte da cozzare anche contro la flotta dell'Inghilterra
intera, con un balzo da leone afferrò la sua rossa bandiera e mostrandogliela:
- Vieni! Vieni! - tuonò egli. - La Tigre ti aspetta per infrangerti ambe le ali!
Pian il vessillo accanto a sé, poi fiero, rumoreggiante d'ira e di furore, salì sul capo di banda colle
mani incrociate sul petto, fissando trucemente il piroscafo che davagli vigorosamente la caccia,
vomitando torrenti di fumo nero e denso dal camino troppo ristretto.
I tigrotti, entusiasmati dalla presenza del terribile loro capo, avidi di sangue, trepidanti di cominciare
la lotta, impotenti di frenare la loro impazienza, per la seconda volta si gettarono sui cannoni
drizzando le fumiganti bocche contro il vascello. La Tigre con un gesto li arrestò.
- Non ancora! - diss'egli con voce rauca. - Non ancora! Lasciatelo venire!
I pirati, quantunque quel comando paresse a loro strano in quei momenti in cui vi era maggior
bisogno di agire per arrestare quella nave che cercava abbordarli, ubbidirono ciecamente sicuri che se
la Tigre così agiva doveva avere i suoi scopi che essi non erano obbligati a indagare. Il Portoghese
stesso arrestò la mano che stava per dar fuoco al cannone e calpestò la miccia, domandandosi pe
quale pazza idea era saltata in capo a suo fratello.
Voleva forse egli farsi inseguire fino a Mompracem per tentar di poi uno dei suoi giuochi per cui
andava tanto famoso? Non era possibile ammetterlo, stante la distanza che separavali ancora dall'isola
e la rapidità del vascello da guerra che s'avvicinava sempre più al prahos.
Voleva forse egli aspettarlo e dargli arditamente l'abbordaggio, vendicando la disastrosa rotta subita
sulle coste di Labuan? Il Portoghese fremette tutto a tal pensiero, non già per sé, ma per suo fratello e
per Marianna. Per quanto i tigrotti fossero stati risoluti, e il loro capo terribile, sarebbero stati
inevitabilmente schiacciati dal numero preponderante degli Inglesi, numero che sorpassava i
centocinquanta.
- Chi sa, aspettiamo - disse Yanez. - Al momento opportuno farò sentire la mia voce.
Sandokan era sempre al suo posto, sulla murata poppiera, col piede sulla culatta di uno dei cannoni,
calmo, tranquillo, ma minaccioso, seguendo attentamente le mosse del piroscafo che fendeva
furiosamente le acque. La sua fronte andava man mano corrugandosi profondamente e i suoi occhi
talora s'infiammavano e si fissavano in una strana maniera sul ponte del legno nemico.
Yanez, seguendo la direzione del suo sguardo, s'accorse che osservava minutamente l'equipaggio
inglese, come se cercasse di scoprire un volto a lui ben noto.
Non dubitò più che Sandokan tentasse di scoprire il suo rivale, il baronetto William.
E infatti non s'ingannava. Il pirata lo cercava avidamente colla potenza del suo sguardo d'aquila, ma
dovette in breve accertarsi che il maledetto, l'aborrito ufficiale, non c'era.
- Non lo vedo, non lo vedo - mormorò ferocemente la Tigre contraendo le labbra a un satanico sorriso
che tradiva la collera. - Tanto peggio per lui. Lo ritroverò laggiù alla mia isola e lo darò in pasto ai
miei tigrotti!
Aveva appena finito che una fiamma guiz sul legno nemico, che continuava avanzare mordendo
colle ruote strepitosamente le tranquille acque. Il proiettile attraversò il ponte del prahos forando le
due vele a pochi passi dalla testa del pirata.
- Ah! Ah! - esclamò questi che fremette d'ira. - Tira, maledetto da Dio, tira che io non ti temo.
Quando la Tigre sarà irritata, verrà a far saltare le tue ruote. Vedrai! Ti arresterò al volo!
Altre due fiamme scattarono dai sabordi di tribordo accompagnate da una doppia detonazione. Una
delle palle venne proprio a investir la culatta del cannone sul quale Sandokan posava un piede. Il
pirata non si mosse, non fiatò, non batté nemmeno ciglio: solo continuò a sogghignare beffardamente.
Successe una breve tregua, prahos e vascello continuarono la loro rotta colle prue all'ovest, l'uno
perdendo via e l'altro avvantaggiandosi sempre più, poi questi ricominciò il cannoneggiamento p
rapido, più forte, più preciso.
Una grandine di palle cominciò a piovere e fischiare attorno al prahos, rimbalzando e scrosciando
contro i bordi corazzati, smussando o spezzando i pennoni, frantumando o schiantando le murate, e
strisciando o saltando sul ponte.
La Tigre a quel tempestar di proiettili si scosse tutto. Si raddrizzò fieramente mostrando i denti, tese
minacciosamente le mani verso il piroscafo e parve che fosse per slanciarsi in coperta, ma si frenò
ancora e ripigliò l'immobilità truce di poco prima.
- Non ancora, non ancora - mormorò egli. - Non vedrebbero mia moglie.
Per dieci minuti il piroscafo cannonegg il piccolo legno che non faceva alcun sforzo per mettersi
fuori di portata, poi le detonazioni scemarono a poco a poco fino a che cessarono del tutto. Allora una
bianca bandiera salì sbattendo vivamente sul picco della randa.
A quella vista s'udì un mormorìo minaccioso sul ponte del prahos.
- Ah! - esclaSandokan ghignando. - Mi invitano d'arrestarmi, d'arrendermi, io, la Tigre!... Yanez,
fa issare la mia rossa bandiera sull'alberetto di maistra!
- Ma... - azzardò il Portoghese.
- Silenzio! - tuonò la Tigre. - Io voglio vedere il fuoco!
Giro Batoë, a un cenno di Yanez, fe' salire la rossa bandiera della pirateria, in mezzo alla quale
campeggiava lugubremente un teschio umano. Un colpo di vento la sciolse e si mostrò spiegata al
piroscafo.
- Tira ora, tira! - urlò Sandokan. - Fa ruggire i tuoi cannoni, arma i tuoi uomini, empi la tua macchina
di carbone, fatti innanzi, che non ho paura! Voglio vedere il tuo fuoco e mostrarti mia moglie
illuminata al baleno delle tue artiglierie!
Il vento andava allora crescendo man mano che avvicínavasi l'alba, raddoppiando la celerità del
prahos. Il piroscafo che s'accorse di questo, ricominciò furiosamente il cannoneggiamento,
sforzandosi di guadagnar il più presto che fosse possibile via, temendo che il piccolo legno gli
sfuggisse. Il suo camino eruttava fumo e scorie come un vulcano e le sue ruote turbinavano
fragorosamente, e la macchina fischiava e ruggiva in tal modo da temere che fosse sì li per iscoppiare
davvero.
Ma ben presto dovette comprendere che perdeva via. Il piccolo legno piratesco, coperto dalle sue
immense vele, poco a poco prese un'andatura più celere, non più guizzando ma volando sulle acque,
di maniera che dopo dieci minuti le palle del vascello non giungevano più che a intervalli, e una parte
di queste giungevano sulla scia.
Sandokan con tutto ciò non si mosse, né staccò gli occhi dal vascello. Il Portoghese che non capiva gli
si avvicinò.
- Ma che vuoi tu fare, fratello mio, vuoi che una palla ti faccia saltare? - domandò Yanez.
- Aspetta, Yanez, e poi lo vedrai - rispose il pirata. - Non è ancor tempo, ma non sarà lontano: ecco la
mia luce che segna l'alba.
- Vuoi trascinare questo legno sino a Mompracem per poi abbordarlo, coll'aiuto degli altri prahos?
- No, non vedrà Mompracem quel legno. Io lo arreste al volo appena che il sole gli permetterà di
vedermi. Essi ignorano che io l'abbia rapita, essi ignorano che ci troviamo assieme su questo prahos:
voglio che ci veggano. Yanez, fa portare sul ponte un mortaio. Se non frantumerò le sue ruote al
primo colpo, io non sarò più Sandokan! Sarà l'ultima impresa della Tigre della Malesia, che poi morrà
per sempre! Mi comprendi, Yanez, per sempre!
Il Portoghese lo guardò in silenzio, mandando un sospiro, poi si affrettò a ubbidire, nel mentre che
una palla strisciando sul ponte dopo di aver scavato un solco sfondava di rimbalzo le murate di prua
perdendosi in mare. Sandokan non si mosse.
Nella stiva, fra il ferraccio che formava la zavorra, eravi un mortaio, pezzo della portata di otto che
solevano avere i più rapidi prahos corazzati, quando si trattava di qualche ardua impresa dove le
bombe potevano essere necessarie. Esso fu portato sul ponte e assicurato saldamente agli anelli di
esso. Il Portoghese lo caricò, con una di quelle bombe di otto pollici, del peso di 21 chilogrammi, che
con una carica di 2.21 forniscono ben 28 scheggie, il cui effetto può diventare funesto anche per uno
dei più grossi piroscafi. Dopo di che, volgendosi a Sandokan che non perdeva di vista le mosse
dell'incrociatore:
- Tocca a te, fratello mio, compi la tua impresa da vera Tigre di Malesia! - disse egli.
- Aspetta ancora! Aspetta! - rispose Sandokan. - È d'uopo che egli mi veda a fianco di lei!
Il vento che cresceva faceva volare il prahos che pareva sfiorare appena l'acqua, allontanandolo
sempre più dal piroscafo che si sforzava di dargli ancora la caccia o di arrestarlo a colpi di cannone. Il
legno da guerra avvampava a ogni istante e tuonava con crescente furia; pareva un vulcano
erompente, vomitante palle e mitraglia.
La corsa durò da entrambe le parti ancora un'ora, durante la quale la luna e le stelle impallidirono
sotto i primi albori.
Poco dopo un raggio di sole, il primo, guizzò attraverso due nubi illuminando il mare.
- E ora a me! - gridò Sandokan con un sorriso indefinibile. - Vo mostrarti le mie bombe e mia moglie!
A un suo cenno il prahos si mise a bordeggiare lasciando così il piroscafo avvicinarsi, poi si mise
dietro il mortaio con la miccia in mano, calcolando la distanza, tracciando di già coll'occhio la via che
doveva tenere il proiettile.
Il legno da guerra approffittava. Si avanzava rapido sbuffante, fumigante. Ricominciò il
cannonneggiamento con novella furia, senza, perdere un sol istante, a palla e a scaglia.
Il ferro turbinava sul prahos che continuava impassibilmente le sue bordate, faceva saltare gli ultimi
resti delle murate, forava le vele e troncava gomene, saltava sul ponte strappandone le tavole,
scivolava sulla corazza, fischiando attorno all'equipaggio riparato dietro ai cannoni. Sandokan mirava
sempre, impassibile, incrollabile fra la pioggia di palle.
- Fuoco! - urlò d'un tratto egli facendo un salto indietro, mentre che il mortaio avvampava tuonando.
Si curvò sul famigerato pezzo, rattenendo il respiro, colle labbra strette, la fronte abbuiata e gli occhi
fissi innanzi acome volesse seguire l'invisibile proiettile che s'allontanava ratto ratto, sfiorando le
onde. S'udì una seconda detonazione: respirò.
La bomba scoppiò con inaudita violenza fra i raggi di una delle ruote del vascello, facendone saltar le
ferramenta e la tambura.
Il piroscafo s'inchinò sul fianco lacerato e si mise a girare su sé stesso sotto le battute dell'altra ruota
che mordeva ancora le acque. Quasi subito una densa colonna di fumo sfuggii dall'enorme falla per la
quale si precipitava, fischiando, l'acqua.
- Marianna! Marianna! - urlò Sandokan slanciandosi verso il boccaporto nel momento che Yanez e i
tigrotti saltavano sui cannoni.
Egli afferrò la giovanetta, la trascinò a poppa, la sollevò fino al capo di banda e nel mentre che il ferro
turbinava ruggendo a lui d'intorno la mostrò superbamente al piroscafo gridando:
- Ecco la moglie della Tigre!...
Quasi nel medesimo istante il prahos virava di bordo.
CAPITOLO XXVI
Il ritorno a Mompracem
Punito l'insolente, libero ormai da ogni impaccio, quantunque mezzo ruinato, colle murate cadenti, il
ponte qua e là schiantato, le vele in più parti forate e lacerate e le manovre danneggiate dai turbini di
mitraglia, il prahos riprese la corsa verso Mompracem colla velocità propria di quei leggeri legni che
sfidano i più rapidi clipper della marina dei due mondi. La giovanetta dopo di essere stata presentata
ai suoi compatrioti qual moglie della Tigre fra il ruggito dei cannoni, affranta dalle fatiche fisiche e
morali, erasi affrettata a ritirarsi nella sua cabina e gustarvi un po' di sonno, e tutti i pirati, passato il
pericolo, ne avevano seguito l'esempio guadagnando le oscillanti loro amache.
Sul ponte eran rimasti soli tre uomini: Giro Batoë che fumava nella sua pipa seduto a poppa colla
barra del timone in mano, e Yanez e Sandokan che passeggiavano pel ponte, l'uno tranquillo come il
solito e l'altro invece cupo, malinconico, colla faccia scomposta e gli occhi che rifulgevano come
carboni accesi, fissi sul mare che brontolava spumeggiando al largo.
- Orsù, Sandokan - disse improvvisamente il Portoghese, urtandolo. - A che diavolo vai pensando che
sei tetro? Rimpiangi forse quello che hai fatto per la giovanetta?
- No, Yanez - rispose Sandokan, sussultando e con aria che invano sforzavasi far parere tranquilla. -
No, rimpiango il passato, ecco tutto. Credi tu che un pirata non abbia un cuore per rimpiangere ciò
che dovrà abbandonare per sempre? Guardando questo mare che solcherò per l'ultima volta in questi
luoghi, mi sento commosso; guardando questo prahos che fra poco non rivedrò più mai mi sento il
cuore sanguinare, pensando che la Tigre morrà per sempre mi sento invadere dallo spavento come
seppellissero me stesso. È l'ultimo sospiro, l'ultimo rimpianto di un cuore che si sente straziare. Ma ho
giurato che morrò, ho giurato che i pirati scompariranno da questi luoghi, che sarò tutto suo: manterrò
ciò che promisi.
- Ma dei tuoi uomini che ne succederà, Sandokan? Senza la Tigre che li guidi, che sarà di
Mompracem, della nostra isola?
- Succederà ciò che il destino aveva disposto. Essi abbandoneranno il mestiere, dimenticheranno il
passato come lo dimenticherò io, e Mompracem ritornerà muta come lo era prima che la Tigre
comparisse sulle sue coste: ecco tutto.
- Povera Mompracem! - esclamò Yanez con profondo rammarico. - Io cominciava ad amarla come
fosse la mia vera patria.
- E io, credi tu che non l'amassi? Credi tu che non amassi questo mare, questi legni, quegli uomini che
mi chiamavano con orgoglio la Tigre? Se io fossi capace di piangere, piangerei, ma non ho mai saputo
che sia lagrimare. Orsù, Yanez, il passato è morto, un altro avvenire ben differente ci aspetta: quello
preparatoci dal destino, seguiamolo. I pirati scompariranno!
- Lo so. È pur triste abbandonare questi luoghi ove noi eravamo i padroni, sparire pezzo a pezzo,
disperderci dopo tanti anni.
- Triste! Triste! - ripeté il pirata con voce sorda e con una commozione di cui non si sarebbe mai
creduto capace.
- Ascolta, fratello mio, quando noi giungeremo a Mompracem che pensi di fare tu? Non vi rimarrai, lo
so, ma dove andrài con lei?
- No, non vi rimarrò più, io l'ho giurato a lei. Ah! se lei lo volesse, Mompracem tornerebbe a brillare e
tanto da offuscar per sempre Labuan che ora sta ingigantendo sulle nostre ruine. Non lo vuole, ha
paura del sangue, trema al fragor del cannone, e sia. I pirati morranno per sempre nella mia isola. Se
fosse un'altra donna, l'abbandonerei, la sfuggirei dopo di averla ricondotta a Labuan, ma con lei non
saprei farlo, io l'amo troppo, tanto da anteporla a ogni cosa, tanto da sacrificare i miei uomini e tanto
che senza di lei, sarei capace di morire.
"Rivedrò ancor una volta Mompracem, poi, quando il mare sarà libero, quando ogni tema che si abbia
a rapirmela sarà scomparsa, c'imbarcheremo e faremo vela...
- Per dove?
- L'ignoro, Yanez: andrò dove lei vorrà; sia su di un'isola, sia nella lontana sua patria, per me sarà lo
stesso, purché andiamo lontani da questi luoghi che non sono più per noi. Non credere, fratello, che io
ciò faccia perché sia stregato. No, gli è solo perché sono diventato un altro uomo, perché sento
d'amarla furiosamente, e accanto a lei mi pare d'essere felice, oh! sì, mille volte felice. Tutto il mondo,
per me, sta rinchiuso in lei, e in lei sola.
- Ti comprendo, Sandokan. Guarda, pur io che non ho mai amato, mi sentirei capace di fare per lady
Marianna quanto sei capace di far tu.
- Lo sapevo, Yanez, che anche tu l'avresti adorata. Ella affascinerebbe Dio e il diavolo.
Il pirata abbando bruscamente il Portoghese, fece alcuni passi pel ponte, guardandolo fisso verso
l'est, poi tornando verso di lui,
- Yanez - disse, cangiando tono. - Credi tu che le giacche rosse verranno ad assalirmi nella mia isola?
Guarda, ho delle idee strane quest'oggi che la tengo stretta nelle mie braccia quell'adorabile
fanciulla, che mi sgomentano in un modo nuovo. Io che non ho mai avuto paura, si direbbe che
quest'oggi provo un sentimento di timore. Non so, forse saranno ubbie, ma mi sembra di veder buio e
molto buio a me d'intorno.
- E non ti nasconderò che anch'io ho i miei timori, Sandokan - rispose Yanez. - Non voglio credere
che il lord abbia a rassegnarsi a lasciare l'unico rampollo dei conti Guillonk nelle mani di un pirata,
quale sei tu. Temo che egli abbia a tentare un disperato assalto contro Mompracem, e probabilmente
fra non molto.
- Credo che tu abbia ragione, ma la tana della Tigre sarà inespugnabile! Giammai Olandese, o Inglese,
Spagnolo, o Bornese, ardì approdare alle temute coste della mia Mompracem, e voglio sperare che il
maledetto da Dio, per quanto l'ira lo spinga e gl'infonda coraggio, non lo tenterà. Aspetta che noi
giungiamo all'isola e mi vedrai all'opera. Io fortificherò tanto il villaggio, da far dare indietro anche la
flotta riunita dell'Inghilterra e dell'Olanda.
- Avresti per caso cangiato idea?
- Che vuoi dire?
- Tu parli di trincerarti così bene, da credere che tu abbia abbandonato il progetto d'abbandonare
Mompracem.
Un amaro sorriso sfiorò le labbra della Tigre.
- No - diss'egli - non rimarrò nel mio nido per sempre. La Tigre della Malesia, te lo dissi ancora, non è
più l'uomo d'una volta. Me ne starò a Mompracem in attesa degli Inglesi, e quando li av battuti,
quando avrò fatto saltare le ruote dei loro ferrati vascelli, in modo che non sieno capaci di inseguirmi
e d'abbordarmi in alto mare, spiegherò le ali e me ne andrò.
- E se gli Inglesi fossero di già sbarcati, a Mompracem? Ti ricordi ciò che disse quell'ufficiale, dietro
le palizzate del parco?...
Sandokan lo guardò fisso, mostrando i denti.
- Ebbene - diss'egli - m'avvicinerò all'isola colle dovute precauzioni. Se l'hanno presa, velegge al
sud. Guai al vascello che ardirà seguirmi. Guai a lui!...
Volse improvvisamente le spalle al Portoghese e andò a prua, appoggiandosi alla murata, guardando
fissamente il mare che gorgogliava quasi ai suoi piedi. Un rauco gemito gli uscì dalle labbra e si
strinse il capo fra le mani.
- Ah! - esclamò egli, quasi ferocemente. - È atroce abbandonare questo mare nel quale vissi tanti anni,
questo mare che amava come fosse sangue delle mie vene, che idolatrava, che chiamava mio, mio!
Povero mare, dovrò lasciarti per sempre!
"Non udrò più mai il tuo ruggito che era la voce a me più cara dopo il rombo del cannone, non
affronterò più le tue tempeste che erano simili alle ire della mia anima, non ti darò più sangue delle
mie vittime, percio sono stregato, perché io sono come morto! Eri mio e diverrai di loro, perché il
nodo che ci univa si è spezzato sotto il sentimento dell'amore e un abisso senza fondo fu dischiuso fra
di noi due!
"Va! presto non ci vedremo più! Questi luoghi saranno morti perc il ruggito della Tigre si
soffocherà, perché i suoi prahos non solcheranno più le tue onde, perché il cannone tacerà per ogni
dove, perché i pirati saranno scomparsi. Diverrai un pacifico mare senza furore, senza fragori,
bagnando le coste di Mompracem domate; non avrai più quei fumiganti rottami che io ti dava un
tempo quasi ogni dì, non sarai più accresciuto dal sangue delle vittime, non sarai più il mio mare,
perderai il tuo amico, il tuo fratello, rimarrai solo! Tu piangi, tu spumeggi dinanzi la prua del mio
ultimo prahos piratesco, ti lamenti, i pesci come te si lamentano, il vento geme e io credi tu che non
pianga al pensiero di non vederti più mai? Guarda, io soffro più che mi si strappasse la carne a brani!
"È deciso che io abbia a morire fra le braccia della fanciulla che mi ha strappato dalle tue, che abbia a
morire lontano lontano dai tuoi amplessi, senza p udire la tua voce che allettava la mia anima nei
tempi che ero il signore di Mompracem, e chi sa in quali terre straniere, ove mi avranno trascinato i
sentimenti dell'amore. Vi ha qualche cosa che mi si arresta alla gola, del dolore che empie il mio
cuore, qualche lagrima che bagna gli occhi dell'antico pirata.
"Le gioie che ho provato accanto a te, quelle gioie che mi rendevano qualche volta felice in mezzo ai
miei trionfi di sangue, non le proverò più, mai più! Morrà la mia potenza, come morrà la mia e tua
voce e per sempre! E tutto per lei!...
Il pirata si cur verso le onde, che continuavano a spumeggiare dinanzi alla prua del prahos,
guardandole con occhio intenerito, ascoltando i gorgoglii di esse, e sospirò. Forse in quel momento
rimpiangeva l'istante il cui destino l'aveva trascinato sulle spiaggie di Labuan e l'istante in cui aveva
amato la fanciulla. Egli si passò la mano sulla fronte come per iscacciarsi i neri pensieri che
l'assalivano e qualche cosa di umido brillò nei suoi occhi.
- Tutto per lei! - continuò egli. - Per la fanciulla abbandone ogni felicità del passato, dimenticherò
questi luoghi pur cari anche pel cuor di un pirata, i miei legni che amava come fratelli, Mompracem
che riguardava come la mia gloria, la mia potenza, dimenticherò la mia isola, il mio nome guadagnato
a prezzo di cento vittime e di fiumi di sangue, dimenticherò i miei poveri tigrotti che tanto mi
amarono, e infine troncherò la mia tremenda vendetta contro coloro che assassinarono e mia madre, e
i miei fratelli e le mie sorelle, contro coloro che mi precipitarono dal trono al fango!...
"Non più vita agitata, non più lotta, non più massacri e sangue da bere, non p armi, non più ruggiti
di cannoni, né odor di polvere. Una capanna nel fondo d'una foresta, un sorriso per le gioie, un bacio
pei deliri!...
La sua fronte s'aggrottò, poi si spianò e lo sguardo poco prima fiammeggiante si spense. Egli portò le
mani agli occhi, girò su sé stesso per qualche istante, poi si avvicinò al boccaporto di poppa e discese
senza far rumore nella cabina attigua a quella di Marianna. S'arrestò sospeso, udendo parlare.
- No, no - diceva con voce affannata la giovanetta. - Lasciatemi... lasciatemi che sono di lui, della
Tigre della Malesia... Perché volete separarmi, perché volete strapparmi dal suo fianco quando ha
giurato d'amarmi?... No, no, non voglio William: mi fa paura, l'odio, lo esecro... Via tutti, non voglio
vedervi mai più, sono della Tigre!...
Il pirata sospirò e scosse il capo. Il suo sguardo s'intenerì.
- No, Marianna, no, non li vedrai mai più! - mormorò egli. - Non aver paura, anima mia, che sono qua
io a difenderti, io, la Tigre!
Ap la porta della cabina che dava in quella di lei e guardò. La giovanetta dormiva respirando
affannosamente, agitando le mani fra le tappezzerie che la coprivano. Il pirata la contemp con
indefinibile dolcezza, colle braccia incrociate, anelante, cogli occhi fissi sul volto di lei, beandosi
come fosse trasportato in un nuovo mondo, attirato, affascinato. Egli indietreggiò a lenti passi.
- Sogna - mormo egli. - Guarda! Chi direbbe che non è divina? Sì, sprofondi Mompracem,
scompaiano i pirati, precipiti il mare nelle viscere della terra, muoia per sempre la Tigre! Sì, sarò
maggiormente felice accanto a lei!
Il pirata fu lì lì per precipitarsi verso la giovanetta e stringerla fra le braccia, ma si frenò, e quantunque
la voluttà cominciasse a invaderlo da fargli girar il capo, si ritirò con quella potente volontà che
sapeva dominar le più ardenti passioni e tornò nella sua cabina.
- No - mormorò egli con quell'accento risoluto che non ammetteva esitanze, né debolezze - no, non è
ancora mia. So che mi ama, che comprende il gigantesco sacrificio del pirata che portava il nome di
Tigre della Malesia, non basta? Quando sarò lontano da questi luoghi, in altre terre, sarà mia, tutta
mia, me lo ha detto, lo sento, come io ho detto che sarò suo.
"Avrò ancora da lottare co' miei nemici, lo so. Essi cercheranno con tutti i mezzi possibili di rapirmela
per dare l'ultimo colpo al pirata di Mompracem, ma lotterò con tutte le forze di cui era capace l'antica
Tigre, mostrerò ad essi, che se era formidabile nei tempi passati quando sol trattavasi di sangue e di
saccheggi, sono ancora tale per difendere c che io chiamo la mia esistenza, la mia felicità. Poi
morrò, morrò per sempre, che monta? Sarà una nuova vita per me, accanto a quella creatura sublime,
e chi sa, forse più dolce, più felice di quella passata, e senza vittime e senza sangue.
Il pirata si mise a girare nella stretta cabina, ora truce in volto e ora col sorriso sulle labbra, porgendo
di tratto in tratto ascolto all'affannoso respiro della giovanetta. Si arrestò tre o quattro volte colla testa
fra le mani, quasi volesse soffocare i pensieri che l'assalivano suo malgrado, poi salì in coperta.
Il prahos filava sempre ma con lentezza. Il vento era caduto, soffiava a tratti irregolari, tondeggiando
debolmente le grandi vele, che finivano a poco a poco collo sbattere e cadere lungo i triangolari alberi
come fossero senza vita.
- Il malaugurato congiurerebbe anche esso contro di me? - mormorò Sandokan, gettando uno sguardo
sul mare.
Egli guardò l'equipaggio che s'affaccendava contro le murate sfondate, dietro il ponte qua e
schiantato, cercando di porre un po' d'ordine a bordo e rinnovando le manovre danneggiate dalla
mitraglia del nemico, e si avvicinò al Portoghese che, curvo sulla ribolla del timone, guardava
attentamente all'oriente, difendendo gli occhi dal raggio del sole con ambe le mani.
- Credo che tu giunga a proposito, Sandokan - disse Yanez voltandosi verso di lui. - Mi pare che
questa volta le nubi si accavallino sull'orizzonte più del solito, malgrado il sole.
- Delle nubi? - disse Sandokan, guardando il cielo che era puro. - Dove le trovi tu, Yanez, che non
sono capace di vederne una?
- Tu non comprendi; guarda laggiù diritto la punta della tua bandiera, non vedi tu all'orizzonte qualche
cosa, che un occhio pratico direbbe fumo? Corpo di un satanasso! Non m'inganno io, è mezz'ora che
ho notato quel pennacchio nebbioso.
Sandokan, facendosi un paraocchi con le mani, osservò con qualche inquietudine il punto indicato.
- Sì - diss'egli, dopo qualche istante di osservazione. - Vedo un pennacchio grigiastro che mi ha tutta
l'apparenza di essere fumo.
- È fumo di carbon fossile, Sandokan, te lo posso assicurare.
- Un piroscafo adunque? Vuoi che quelli di Labuan si sieno di già messi in mare per darci la caccia?
Non è possibile, non lo posso credere. Ah! Se essi venissero ad assalirmi in mare...
- Che faresti?
- Che farei?... Tuoni di Dio! La Tigre berrebbe tutto il loro sangue! Tutto, fino all'ultima goccia.
- Uhm! Siamo debolucci, fratello mio. Non vorrei che il nostro prahos subisse un secondo
bombardamento. È vero che noi abbiamo ancora in fondo alla stiva qualcuna di quelle brave bombe
che fecero saltare le ruote al colosso di ferro, ma!... Tò! E se quello laggiù fosse il piroscafo di questa
notte?
- È impossibile che sia lo stesso, Yanez. Gli ho fatto un'avaria troppo grossa, per potersi servire delle
sue ruote. Anche se fosse riuscito a turare la falla, e avesse spiegato le sue vele, sarebbe difficile
ammettere che egli ci fosse sì vicino. Quei legni là, coi loro scafi di ferro, camminano assai male col
vento.
- Eppure è fumo, e siccome, che io sappia, non vi sono vulcani in questi paraggi, bisogna dire che
quel fumo proviene da un vascello a vapore.
- Non v'ingannate, capitano Yanez - disse Giro Batoë, che si era avvicinato. - Guardate come quel
pennacchio sale diritto e sottile. Esce da una ciminiera bella e buona.
- Tanto peggio per lui - rispose Sandokan. - Incontre la Tigre, ma la Tigre smaniosa di venire alle
mani, la Tigre assetata di sangue e affamata di carne umana. Al piroscafo ho fatto saltare una ruota, a
quello che ci insegue farò saltare la polveriera. Ve lo giuro.
"Finché sono in questi mari, sento di possedere il braccio e la ferocia dell'antica Tigre di Mompracem,
sento di essere invulnerabile, sento di avere tanta forza da far tremare ancora Labuan e di empire
questi flutti che poco fa si lamentavano dinanzi la prua del mio prahos, di rottami e di cadaveri.
- Sta in guardia, fratello - disse Yanez. - Non sono più i tempi da commettere pazzie. Le palle volano
sempre, e senza darne l'avviso, tu ben sai, e una potrebbe colpire anche la Tigre quantunque si creda
invulnerabile, e fors'anche colpire lady Marianna.
"Difendiamoci, e difendiamoci bene, ma senza lasciare che quei legni, che di solito sono irti di
cannoni e zeppi d'armati, si avvicinino di troppo. Non dimenticare che abbiamo a bordo tredici soli
tigrotti, tredici coraggiosi che non temono né Dio né il diavolo, ma infine sempre pochi.
- E non bisogna neppur dimenticare, che a Mompracem ve ne sono pochi di buoni - aggiunse Giro
Batoë. - Bisogna risparmiare più che sia possibile gli uomini, se si vuole essere tanto forti da tenere in
scacco gl'Inglesi che ci assalirono nel nostro villaggio.
- Credi tu adunque, che le giacche rosse verranno ad attaccarci? - chiese Sandokan.
- Certamente, Tigre, e ci scommetterei tutto il peculio che tengo nella mia capanna. Il lord mi pare che
sia uno di quegli individui che non perdonano certe cose. Gl'Inglesi avranno paura a seguirlo, è da
indovinarsi, poiché malgrado la loro potenza Mompracem è ancora più forte di Labuan. Ma l'oro
vincerà la paura.
Sandokan fece un cenno affermativo col capo, ma non aprì labbra. Egli guardava fissamente il
pennacchio grigiastro. Non aveva paura tuttavia provava qualche inquietudine, nel vederlo avvicinarsi
sempre più. Non per sé, ma per Marianna, che temeva gli venisse sempre ripresa.
- Guarda, Yanez - disse d'un tratto. - Non iscorgi tu, in mezzo a quella colonna di fumo, un'asta che si
direbbe un albero senza pennoni?
- Sì, fratello mio, e vi ha di più, che per quanto giri lo sguardo non sono capace di vederne che uno
solo. Olà! Giro Batoë, tira un'occhiata anche tu che hai l'occhio di lince.
Il Malese aggrottò le sopracciglia e guar attentamente coi suoi piccoli occhi neri, dotati di una
potenza visiva assai forte.
- È un albero senza antenne - disse egli - ed uno solo con un nastro sulla cima.
- Allora non può essere un piroscafo.
- Sarà una cannoniera.
- - disse Sandokan. - Ecco che comincia a spuntare il ponte di comando assai elevato, la
ciminiera, e la prua assai bassa tagliata ad angolo retto. Ohe! Vorrebbe per caso tentare d'attaccarci e
riuscire là dove un piroscafo sei volte più grosso fu vinto?
- Una cannoniera! - esclamò una voce dolce ma che non tremava, a lui accanto.
Il pirata si volse, rapidamente e si trovò dinanzi a Marianna, che lo guardava sorridendo.
- Ah! Sei tu, Marianna! - diss'egli, stringendosela al cuore con gesto appassionato. - Ti credeva ancora
addormentata nel tuo nido.
- Oibò! Mi credi adunque una donna che muore di paura?
- No, no, lo so che tu sei forte e intrepida. Ti ho veduto affrontare audacemente la tigre di Labuan e
ciò basta. E hai proprio bisogno di essere coraggiosa, Marianna.
- Ci minaccia forse qualche nuovo pericolo?
- Chi sa? Abbiamo da lottare e da lottare molto, da soffrire e da soffrire molto ancora per essere felici.
Gli uomini della tua razza, ne ho la certezza, verranno ad assalirci per istrapparti dalle braccia della
Tigre.
- Oh! Non parlare così, Sandokan! - esclamò vivamente Marianna. - Ma perché vuoi che essi vengano
a separarci, quando io dirò a loro che rinnego la mia nazionalità e che vicino a te sono felice? Perché?
- E me lo chiedi? - disse Sandokan emettendo un doloroso sospiro. - Dimentichi che tu sei l'ultima dei
conti Guillonk e che io sono un pirata?...
- Ma non lo sarai più, non è vero, Sandokan? Ed essi comprenderanno che con me tu diverrai un altro
uomo, che la Tigre scomparirà dai mari della Malesia.
- Sì, fanciulla divina, sì, la Tigre morrà colla sua isola, coi suoi tigrotti - rispose Sandokan con voce
amara. - Ma essi, credi tu che per questo ci lascieranno in pace? No, verranno a bombardarci coi loro
cannoni e a moschettarci colle loro carabine. Ma non tremare, Marianna, non avere paura che essi
abbiano a prendermi ed a rapir te. Io sento d'essere capace per te di pugnare col mondo intero. Ti
porterò nella temuta mia isola, nella mia Mompracem, e là non avranno il coraggio di cannoneggiarci.
La Tigre nel suo covo è inattaccabile!
Marianna lo guar con profonda ammirazione, ma i suoi occhi tradivano le inquietudini dell'anima.
Il pirata comprese ciò che passava nella mente di lei. La prese, la trasse a sé vicino, e con voce bassa e
risoluta:
- Ti comprendo, Marianna - le disse. - Tu hai paura di Mompracem, ma non vi rimarrai per molto
tempo. Passato ogni pericolo, noi l'abbandoneremo e non la rivedrò più mai!... più mai!...
- Sì, mio adorato Sandokan, non rivedremo più mai Labuan Mompracem - mormorò la
giovanetta emettendo un profondo sospiro. Un rauco gemito uscì dalle labbra del pirata e l'abbronzato
suo volto si alterò dolorosamente.
- Più! Più! - ripeté egli con voce che invano sforzavasi di render ferma. Le sue mani passarono più
volte sulla sua fronte imperlata di sudore e stranamente aggrottata, poi si tesero verso la cannoniera
che avanzava a vista d'occhio.
- Non è che una cannoniera - disse poi cangiando tono. - Non ci fa male di sorta: noi siamo dieci
volte più forti di essa.
- Credi tu che ci assalirà?
- Forse, ma sarebbe pazzia, Marianna. Vieni a vederla.
Egli condusse la giovanetta a poppa. La cannoniera era lontana allora un quattro o cinque miglia,
quindi perfettamente visibile.
Poteva essere della portata di un centocinquanta tonnellate, bassa di scafo, colla poppa quasi a livello
delle onde, il ponte di comando assai elevato e un solo albero nel mezzo sprovvisto di antenne e di
grisolle. Si scorgeva pochissimo equipaggio in coperta e portava un sol cannone a poppa di poco
superiore a quelli del prahos.
- È uno di quei legni che battono le coste per difenderle dalle irruzioni dei pirati - disse Yanez,
avvicinandosi a Sandokan. - Rapidi finché si vuole, ma impotenti per misurarsi coi prahos di
Mompracem.
- Tuttavia mi pare che si diriga verso di noi - osser Giro Batoë che stava al timone.
- Per conoscerci da vicino e se fosse possibile per arrischiare un attacco. Non bisogna dimenticare che
sulla testa di mio fratello Tigre pesa una taglia di mille sterline. È una bella sommetta che potrebbe
tentare quei gaglioffi.
- Ma quella cannoniera non porta bandiera inglese - disse Sandokan che da qualche istante la
osservava con profonda attenzione.
- Oh! Oh! - fe' Yanez. - Vi si immischierebbe forse qualche altra nazione?
- È una bandiera olandese - affer Giro Batoë. - Per Allah! non m'inganno io.
- Olandese! - esclamò Marianna. - Ma come mai gli Olandesi si collegano con quelli di Labuan?
- È cosa facile a spiegarsi - rispose Sandokan. - Noi siamo pirati, e tutte le nazioni si son messe
d'accordo per estirpare la pirateria che essi chiamano un flagello bello e buono. Gli Olandesi,
gl'Inglesi o anche i compatrioti di mio fratello, quantunque non troppo calorosamente, ronzano
attorno a Borneo. Il piroscafo ci ha additati alla cannoniera e questa ha creduto bene di tentare la
caccia.
- To', guarda, Sandokan, non lo dicevo io? - disse il Portoghese. - Ecco la valente cannoniera che
diventa prudentissima.
Infatti il legno da guerra aveva a poco a poco rallentata la corsa. Procedette per qualche tratto,
bordeggiando a dritta e a sinistra come indeciso, poi virò bruscamente di bordo e s'allontanò
dirigendosi al nord-ovest. Dieci minuti dopo era tanto lontano da essere fuori di portata dei cannoni
del prahos.
- Si vede che non si sente tanto forte da cimentarsi con noi - disse Sandokan. - D'altronde è meglio
così tanto pel nostro prahos quanto per lui. Non avrei dato una sterlina delle sue ruote.
- Non credere però, che quella furba di cannoniera abbia a lasciarci - osservò Yanez. - Io
scommetterei che la birbona, pur tenendosi a debita distanza, non ci perdedi vista e non si lascierà
sfuggire l'occasione propizia per gettarsi improvvisamente su di noi. Guarda, Sandokan, ecco che
torna a virare e che ci si mette alle calcagna.
Il Portoghese aveva detto il vero. La cannoniera aveva fatto un fronte indietro e si era slanciata dietro
al prahos che filava rapido come una freccia, e per tutto il giorno lo seguì ostinatamente.
Nessuno pe ebbe a inquietarsi della sua presenza, ben sapendo che se avesse avuto la temerità
d'assalirli, avrebbe avuto indubitatamente la peggio. Nemmeno Marianna ebbe paura, rassicurata dalla
presenza della Tigre e dei suoi formidabili tigrotti.
La giornata passò senza incidenti, e la sera venne senza che la felicità dei due amanti venisse in nulla
turbata.
- Marianna - disse Sandokan, quando il sole si tuffò nelle onde. - Puoi ritirarti nel tuo nido senza
timori. Quella malaugurata cannoniera per questa notte non ci darà fastidi, ne son sicuro, e meno
domani che saremo in vista della nostra isola. Va, io veglierò e, dopo di me, veglierà mio fratello
Yanez. Sal'ultima notte che tu rimarrai rinchiusa nella stretta tua cabina: domani riposerai nel covo
della Tigre sulla inaccessibile rupe della temuta mia Mompracem.
Egli la baciò in volto nel mentre che le onde mormoravano dolcemente a prua e che la brezza gemeva
fra gli attrezzi del legno, poi, mentre ella scendeva la stretta scala, ana sedersi a poppa prendendo
egli stesso la ribolla del timone in mano. I suoi occhi si fissarono sulla cannoniera che fumava a
mezzo miglio di distanza, né si staccarono più, nemmeno un momento, nemmeno un atomo.
Alla mezzanotte egli era ancora e non avrebbe abbandonato quel posto se il Portoghese non fosse
venuto in persona per surrogarlo.
- Vattene a dormire, Sandokan - disse Yanez traendolo da poppa quasi con violenza. - Tu hai bisogno
di riposare; non scordarti che Mompracem ha ancora bisogno della sua Tigre, ma della Tigre forte,
terribile, come lo era una volta.
- Hai ragione - rispose Sandokan guardando un'ultima volta i fanali della cannoniera. - Fratello, dei
pericoli vagano fra le ombre della notte; fa in modo che questi non t'abbiano a cogliere alla
sprovveduta. Vigila, ma vigila come vigilai io. Tu sai che trattasi di Marianna, vale a dire di ciò che
ho più caro al mondo; io diverrei pazzo se accadesse disgrazia a lei.
- Fingerò di essere innamorato della lady - disse Yanez sorridendo. - Che vuoi di più? Nessuna mossa
della cannoniera sfuggirà ai miei occhi per quanto le tenebre possano diventare fitte. Orsù, vattene a
dormire.
Il pirata s'allontanò, scese nella cabina senza far il minimo rumore per la tema di svegliare la
giovanetta, e dopo essersi assicurato che costei dormiva, si gettò nella sua amaca colla speranza di
trovarsi all'alba sotto le coste di Mompracem.
Tutta la notte però fu agitatissimo. Sogni spaventevoli lo svegliavano di frequente e l'ansietà
impedivagli di ripigliare il sonno per quanto tentasse di chiudere gli occhi. P volte si alzò e si
accostò alla tramezzata che dividevalo dalla cabina di Marianna per udire se respirasse o se era
proprio vero che non gli era ancora stata rapita, più volte s'accostò allo sportello che guardava il mare
tentando vedere la cannoniera e p volte infine in preda a timori e ad angoscie inesplicabili si spinse
fino sul ponte per assicurarsi coi propri occhi che Yanez e i tigrotti vegliavano e che nessun pericolo
minacciava il suo legno.
Non pigliò sonno che verso il mattino, ma fu di breve durata. Fu improvvisamente svegliato dal
Portoghese che scendeva con fracasso la scala.
- Sandokan! - gridò questi. - Salta in piedi che siamo in vista di Mompracem. Per mille fulmini! Vi ha
la rivoluzione laggiù!
- Mompracem! La rivoluzione? - esclamò il pirata saltando giù dall'amaca. - Che è mai successo?
- Che vuoi che ne sappia io? Mi pare che sia tutto sottosopra.
- Che dici? Avrebbero gl'Inglesi effettuato la minaccia? Yanez!...
- Ho paura Sandokan che abbiano bombardato Mompracem!
La Tigre emise un ruggito d'ira e di dolore. Arretrò di due passi colle mani nei capelli, poi infilò la
scala, giunse sul ponte e si precipitò a prua dove si erano aggruppati i suoi tigrotti.
Il sole era allora levato e mostrava Mompracem lontana appena due miglia. Sandokan, abbassando gli
occhi verso la marina, vide che mezzo villaggio era ruinato, e che dei quindici o diciotto prahos che
dovevano galleggiare nella piccola rada più che mezzi mancavano, e che tre o quattro giacevano
arenati sul lido, senz'alberi, senza manovre e coi ventri squarciati, frantumati.
Alzò gli occhi verso la gigantesca rupe, ma sulla cima vide ancora appollaiata come aquila la sua gran
capanna, sulla quale ondeggiava ancora superba la rossa bandiera della pirateria ornata da una testa da
morto. Egli respirò.
Riabbassando gli occhi scorse sul lido una quarantina di pirati che andavano e venivano,
affaccendandosi dietro le palizzate semi-infrante, dietro ai terrapieni scombussolati, dietro alle trincee
e alle batterie in gran parte cadenti o distrutte.
- Vedi? - gli chiese Yanez che lo aveva raggiunto. - Guarda là, quanti prahos mancanti, quanti
cannoni smontati, quanti rottami accumulati sulle batterie e quante breccie nei bastioni.
- Vedo - disse Sandokan con voce sorda.
- Gl'Inglesi hanno approfittato della nostra assenza per tentare la distruzione del covo della Tigre.
Hanno bombardato da capo a fondo il nostro villaggio.
Sandokan emise un profondo sospiro.
- Ah! - mormo egli con accento straziante. - La mia potenza, il mio nome, la mia fama, si sono
spente!... E spente per sempre!...
CAPITOLO XXVII
La regina di Mompracem
Pur troppo Mompracem, l'inaccessibile nido dei pirati, la sede della terribile Tigre della Malesia, era
stata attaccata e bombardata.
GI'Inglesi, messi probabilmente al corrente della spedizione che Sandokan aveva intrapresa sulle
coste di Labuan, seco portando il fiore dei suoi uomini, più che sicuri di trovare l'isola quasi indifesa,
l'avevano improvvisamente e con forze schiaccianti assalita ed erano corsi un pelo di prenderla
definitivamente e di dare l'ultimo colpo di grazia alla già crollante potenza dei pirati.
Ancora una mezz'ora di tempo, e forse meno, e il saccheggio avrebbe tenuto dietro alla distruzione
delle trincee; ancora un ritardo, e tutti i cannoni sarebbero stati inchiodati, il villaggio interamente
incendiato, la dimora della Tigre violata e la rossa bandiera della pirateria abbattuta e per sempre.
Quando Sandokan e i suoi uomini sbarcarono, tutti i pirati di Mompracem, la maggior parte feriti,
stavano schierati sulla spiaggia, cupi, tremanti, colle teste chine sul petto come colpevoli dinanzi alla
giustizia.
- Tigre della Malesia - disse uno dei capi facendosi innanzi a Sandokan che contemplava con truce
espressione quelle ruine ancor fumanti. - Noi abbiamo fatto quanto era possibile per iscacciare il
nemico che sbarcò nel momento che noi eravamo alla scorreria, seco portando il caporale inglese. Se
tu credi che noi siamo colpevoli, subiremo senza lamento la condanna che tu ci imporrai.
Sandokan non rispose. Un doloroso sospiro sollevò l'ampio petto e crollò con gesto di scoraggiamento
la testa. Egli guardò con ispavento lo scarso drappello di prodi, ridotto a una cinquantina di uomini
dei cento e più che aveva lasciato; egli guardò quelle trincee sfondate che ormai non offrivano un
riparo sufficiente contro la incalzante potenza degli Inglesi, a quel villaggio semi-arso, a quelle coste
un dì tanto temute e or violate, e provò una terribile stretta al cuore.
- Tigre della Malesia! - esclamarono i pirati tendendo supplicanti le mani verso di lui.
Sandokan si prese la testa fra le mani con gesto disperato. Un rauco singulto gli montò alla gola.
- Andate, andate, miei prodi! - disse egli con accento straziante. - Vi perdono.
Egli get le braccia attorno al collo di Marianna che lo guardava tristamente e l'abbracciò senza dir
verbo.
- Sandokan - mormorò la giovanetta. - Coraggio mio prode amico. È la fatalità che così vuole.
- Sì, Marianna, la fatalità - rispose Sandokan con impeto feroce. - La fatalità che s'è giurata di
spezzare la mia potenza e d'infrangere compiutamente il cuore dell'antica Tigre. Ah! È troppo! È
troppo, Marianna!
La giovanetta lesse sul suo volto tutti i dolori che laceravano la sua anima. Ebbe pietà e paura. Lo
prese per le mani e traendolo dolcemente verso la spiaggia:
- Sandokan - gli disse con voce rapida ma ferma. - Tu rimpiangi la tua passata grandezza, tu soffri
atrocemente, lo leggo nei tuoi occhi, non puoi dire di no. Senti, mio eroe, vuoi tu che io rimanga teco
a Mompracem, fra i tuoi tigrotti? Vuoi tu che io divenga la moglie della Tigre della Malesia? Vuoi tu
che io mi faccia piratessa, che io impugni come te la scimitarra, che io combatta al tuo fianco? Dillo,
Sandokan, lo vuoi tu?...
La voce della giovanetta era ferma, ma si capiva quanto le costasse quella proposta. Lei, la giovanetta
che si commoveva alla vista di un ferito, lei, la gentil Perla di Labuan assuefatta alla poetica vita dei
boschi, trarla e tenerla in un'isola di pirati, a Mompracem, travolgerla fra le pugne, mostrarle stragi,
morti e moribondi? Chi l'avrebbe fatto?
Sandokan ne fu commosso. La guardò con occhi stravolti, con ammirazione, ma comprese l'immenso
sacrificio.
Si precipitò verso di lei quasi fuori di sé, l'abbracciò delirante, poi, traendola verso la costa:
- Tu sei divina! - le disse. - Tu sei insuperabile, ma io non voglio che tu diventi la moglie di un pirata,
non lo voglio, no. Sarebbe una mostruosi che io ti obbligassi a rimanere a Mompracem, che io
avessi ad assordarti coi fragor dei cannoni, colle urla dei feriti, che ti mostrassi ogni dì massacri
orrendi e che ti esponessi ad un eterno pericolo.
"Due felicità sarebbero troppe, non le voglio. No, andremo lontani da questi luoghi, tanto che non
possa udire il tuonar dei bronzi, le urla delle vittime. Non tentarmi, Marianna, non tentarmi.
Lascia che abbandoni la mia potenza e la mia gloria e che si spenga il mio nome. Avrò te, e tu sarai
più di tutto quello che io perdo.
- Ah! - esclamò Marianna. - È proprio vero adunque che mi ami più della tua isola e dei tuoi uomini!
- Sì, anima mia, più di tutti - rispose Sandokan baciando i suoi dorati capelli. - È destino che la mia
potenza abbia a cadere, Marianna. Lascia che si compia questo destino inesorabile.
Egli tornò bruscamente verso la sua banda che lo guardava con viva ansietà.
- Compagni - diss'egli con quell'accento fermo, altero, risoluto che imponeva. - Io vi ringrazio di ciò
che voi avete fatto sino ad oggi per me, per sostenere il mio nome, per compiere la mia tremenda
vendetta contro coloro che mi straziarono il cuore, per difendere la mia isola e la mia bandiera.
Tigrotti, io vi chiedo ancora un favore che probabilmente sarà l'ultima volontà della Tigre della
Malesia, volontà che io voglio sperare che nessun di voi ardirà osteggiare.
- Parlate, capitano, parlate! - esclamarono ad una voce i pirati, affollandosi attorno a lui.
- Ascoltatemi, miei prodi. Il nemico ci è alle spalle; voi potete vederlo laggiù in quella cannoniera che
fuma arditamente presso le nostre coste, e che non è altro che l'avanguardia.
Le giacche rosse hanno forti motivi per ritornare sulla nostra isola; quello di vendicare coloro che noi
uccidemmo sotto le foreste di Labuan, e di strapparmi la donna che condussi meco; mia moglie!
"Fra qualche giorno essi saranno qui, ne ho il presentimento, e saranno qui numerosi e potenti più
determinati ad espugnare l'isola che non lo fummo noi ad espugnare le Romades. Voi mi capite. Sarà
l'ultima partita che noi giocheremo a Mompracem ma io voglio che questa partita s'abbia a vincere a
ogni costo. L'ultima volon della Tigre voglio che si compia con un corteo di scheletri e con un
fiume di sangue!
- Tigre della Malesia - disse Balamê, uno dei capi - accanto a voi noi diverremo tigri pur noi, che a un
vostro cenno sapranno morire come sono morti eroicamente coloro che pugnarono sulle coste
dell'isola maledetta. Difenderemo fino all'ultimo anelito, fino a che avremo una goccia di sangue nelle
vene e la forza di alzare un'arma la nostra Mompracem, voi e vostra moglie giacché lo volete.
Ordinate: noi siamo pronti a sacrificare le nostre vite. Perc parlare ai vostri tigrotti di ultima
volontà? Quale mai sarà l'audace che avrebbe tanto ardire di toccarvi colla sua scimitarra? Quale mai
sarà la palla che non si spezzerà contro l'invulnerabile vostro petto?
Sandokan lo guardò commosso. E chi non poteva commuoversi alle parole di quei prodi, che, dopo
aver perduto i loro compagni, offrivano ancora le loro vite a colui che era stato la causa delle loro
sventure?
La Tigre ruggì in cuor suo di non poter spezzare le catene di Marianna e di riporsi alla testa di quegli
eroi. Soffocò un singulto che salivagli alla gola.
- Compagni - diss'egli quasi con ira. - Vi ha la fatalità che dopo averci perseguitati ci condanna.
Curvate anche voi il capo sotto questo crudele destino che è inesorabile. Lo curvo pur io che mi si
chiamava la Tigre!...
Egli volse altrove la faccia sulla quale leggevansi le traccie d'un dolore sconfinato, porse il braccio a
Marianna sui cui occhi brillavano due lagrime, che andavano ingrossandosi sotto le palpebre, e si
allontacol capo inclinato sul petto. Il Portoghese lo seguì, dopo aver gettato un triste sguardo sugli
avanzi della terribile banda, le cui faccie cupe esprimevano una disperata rassegnazione.
- Fatalità! Fatalità! Fatalità! - ripeté Yanez. - Sei pur troppo con noi senza pietà.
Essi salirono la stretta gradinata che menava sulla cima della rupe, seguiti dagli occhi di tutti i pirati
che parevano li guardassero come per l'ultima volta e che s'empivano a poco a poco di lagrime.
Sandokan attraversò rapido la piattaforma con Marianna, prima che questa potesse vedere fra le
trincee sfondate gli scheletri umani ancor dispersi, ed entrò nella sua dimora.
- Marianna - disse Sandokan con sospiro. - Questa era l'antica abitazione della Tigre della Malesia,
questo era il covo tanto temuto dove viveva Sandokan pirata... È tuo, fino a che tu rimarrai sull'isola
di Mompracem, poi ritornerà deserto come prima che io avessi ad abitarlo... È un nido lugubre, nel
quale si svolsero terribili drammi; un nido indegno di ospitare la Perla di Labuan, ma sospeso
sull'abisso, inaccessibile a ogni essere umano, e sul quale il nemico non potrà giungere che dopo aver
freddato l'ultimo pirata di Mompracem e d'essere passato sul mio corpo. Marianna, se tu fossi
diventata la regina di Mompracem, l'avrei abbellito, ne avrei fatto una reggia... Orsù, a che parlare di
cose impossibili? Tutto è morto o sta per morire.
Sandokan portò le mani al cuore e il suo volto si sconvolse dolorosamente. Marianna gli get le
braccia attorno al collo.
- Sandokan, tu soffri, tu hai il cuore spezzato, tu mi nascondi i tuoi dolori - diss'ella.
- No, Marianna. Non sono che commosso. La vista di quegli uomini feroci, la vista di quegli eroi che
piangevano mi ha impressionato, mi ha...
- Sandokan!...
- Che vuoi, anima mia, li amo e mi pare che mi si spezzi qualche cosa nel petto all'idea di doverli
lasciare. Orsù questa sera svelerò ogni cosa a loro, che tutto ignorano. È d'uopo che tutti lo sappiano e
che si preparino alla separazione.
- E di me, che diranno di me, causa di tutte le sventure che colpirono la sfortunata loro isola? Ah!
Sandokan!...
- Oh! Non temere, anima mia! - esclaSandokan, i cui occhi s'accesero di sdegno al sol pensarlo. -
Nessuno ardirà gettare un'accusa contro la Perla di Labuan, nessuno ardirà alzare una mano verso di
te. Guai, guai all'audace che l'oserebbe. La Tigre gli berrebbe tutto il sangue delle vene dopo avergli
fatto soffrire mille indicibili tormenti.
"Non supporlo, Marianna. Sono per essi la terribile Tigre della Malesia, il loro capo, il loro padrone, il
loro dio!...
- Ma, nel fondo del cuore, malediranno la Perla che strappò dalle loro braccia la Tigre.
Sandokan emise un ruggito furioso.
- Non ti malediranno nemmeno nei loro cuori: io lo voglio!...
Egli trasse a sé la giovanetta e, cangiando tono:
- Marianna, questa sera io li chiame tutti attorno a me, e dirò a loro ogni cosa prima che abbiano a
lottare per l'ultima volta col nemico sulle spiagge della mia isola. È d'uopo che sappiano che io voglio
che tu sia difesa, è d'uopo che giurino che essi faranno dei loro petti scudo a te, è d'uopo che abbiano
a sacrificarsi per difendere la Perla di Labuan, la moglie del loro capo, della Tigre.
"Questa notte tu sarai la regina di Mompracem, e perc voglio che tu sii brillante, onde abbia ad
affascinarli come hai affascinato me che pur aveva un cuore inaccessibile per lo strale dell'amore.
"Mi tenteranno, invocheranno la passata nostra grandezza, la nostra potenza un formidabile, ma
sarò irremovibile come la rupe su cui mi trovo; ti tenteranno poic tu abbia a rimanere, ti
pregheranno, piangeranno fors'anche ai tuoi piedi, ma giacc non vuoi essere la regina della mia
isola, rifiuterai, e rifiuterai senza esitazioni, senza paura.
"Orsù, siamo forti all'ultima ora. La fatalità gravita su di noi: si compiano i destini d'Allah. Io
scompaio e dietro di me scompariranno i pirati e Mompracem.
I suoi occhi rotearono trucemente nelle orbite e si copersero d'un velo sanguigno.
Afferrò la giovanetta, la sollevò e accostò le sue labbra a quelle di lei.
- Lascia, lascia, che io libando l'amore sulle tue labbra divine disperda i miei dolori e soffochi i miei
tormenti!
La depose a terra, poi gettò un fischio.
I due Malesi addetti all'abitazione comparvero.
- Ecco la vostra padrona - disse loro. - Chiamatemi Ladgia.
La donna che portava questo nome comparve un istante dopo. Era questa una Dajacha superba, come
sono in generale tutte quelle della sua razza, dal portamento ardito, dal volto leggiadro, con occhi che
brillavano d'un fuoco selvaggio. Aveva le gambe e le braccia cariche d'anelli di rame e d'ottone che
tintinnavano graziosamente quando camminava, i capelli rialzati e abbelliti da lunghe e variopinte
piume, e portava attraverso il corpo una cintura di anelli sostenenti di una corta bidang di stoffa rigata.
Questa ragazza, che era la più bella che vantassero i dajachi laut del Borneo, Sandokan l'aveva
adottata come figlia dopo che suo padre era stato ucciso in un abbordaggio. Egli l'aveva mandata a
prendere appositamente alle Romades dove viveva, per farne un dono a lady Marianna.
- Ladgia - disse il pirata. - Tu porti un nome di guerra dovuto alla tua audacia e al tuo coraggio. Ecco
qui la tua padrona, sappi difenderla e proteggerla come la proteggerò e la difenderò io.
Stette un istante muto, poi, volgendosi verso Marianna:
- Coraggio, amor mio. Finché rimani su questa terra, sii la regina di Mompracem.
Uscì con passo rapido come volesse nascondere l'emozione che tornava a riprenderlo. Yanez lo seguì.
Essi discesero sulla spiaggia nella quale andavano e venivano tacitamente i tigrotti di Mompracem.
La cannoniera fumava sempre a poche miglia dalla costa, andando e venendo, ora dirigendosi al nord,
ora all'est, e ora avvicinandosi fino a tre o quattrocento passi dalla temuta isola. Pareva che cercasse
qualche cosa, e che s'impazientisse. Sandokan indovinò subito che aspettava degli aiuti da Labuan per
cominciare il bombardamento del villaggio, e fremette di paura, non per sé, non pei suoi tigrotti, ma
ancora per Marianna.
- Lo vedi, Yanez - diss'egli volgendosi al Portoghese e indicando con gesto scoraggiante la
cannoniera. - Tutto è finito per la povera Mompracem.
- Hai paura di quella vaporiera?
- Credi tu che sarà sola a bombardarci e a tentarne l'assalto? Essa aspetta dei rinforzi, aspetta quelli di
Labuan e fors'anco la flotta di Sarawak! Ah! Yanez, ho un funesto presentimento radicato nel cuore, il
presentimento che domani o dopodomani la nostra bandiera venga abbattuta per sempre, e le nostre
coste fino a ieri inviolabili e temute, abbiano a cadere nelle mani dei nostri rivali di Labuan.
- Ma ci difenderemo estrenuamente - disse Yanez. - Abbiamo ancora cannoni, polveri e palle,
abbiamo ancora dei tigrotti assetati che sotto la condotta della Tigre della Malesia faran prodigi di
valore. Vedrai, Sandokan, che non avranno tanto ardire d'assaltare la Tigre nel suo covo.
- Non illuderti, Yanez - rispose tristamente il pirata. - La nostra potenza se ne è andata colla morte dei
nostri tigrotti. E poi credi tu che gl'Inglesi non sappiano che io sono stregato? Credi tu che la Tigre si
getterà perdutamente sul nemico come faceva nei tempi passati quando non aveva catene e il cuore
inaccessibile?
"Ah! Yanez! la mia gloria è tramontata per sempre col mio nome!
- Ma allora noi corriamo un serio pericolo e prima di tutti lady Marianna!
La Tigre si scosse e lo guardò fissamente.
- Marianna! - esclamò egli.
- Se tu non senti di possedere l'antico tuo valore, è certo che gli Inglesi irromperanno sulle nostre
coste e che ci piglieranno tutti quanti.
- Chi sa mai quella mano che ardirà alzarsi sulla moglie della Tigre? - chiese Sandokan, rizzandosi
fieramente. - Credi tu che io me la lascierò rapire? Morrà il mio nome, la mia potenza, la mia isola,
ma Marianna, giammai!
- E se gli Inglesi ci respingessero?
- Mi ritirerei nelle foreste, e di poi prenderei il mare.
- E se ti mettessero alle strette, se ti circondassero, se la fuga fosse diventata impossibile?
- In tal caso darei fuoco alle polveri e salterei abbracciato a Marianna, colla mia bandiera e i miei
tigrotti.
- Si vede che tu parli seriamente. E io con chi morrò abbracciato?
- A Ladgia - disse Sandokan, sforzandosi a sorridere mentre il Portoghese si imbarazzava. - Io so che
tu l'ami, Yanez.
- In fede mia, tu indovini proprio, amico mio, e sia. L'ho amata alle Romades, l'ame egualmente a
Mompracem, e se mi toccherà morire, morrò abbracciato a Ladgia. Lavorerò per due, difenderò tutte e
due, rizzerò da me solo una trincea.
- Andiamo allora, Yanez, mi occorrono uomini per fare delle batterie da difendere il villaggio contro i
bombardatori.
I pirati di già si erano messi febbrilmente al lavoro. Una parte di essi abbattevano e trasportavano
alberi aiutati da una dozzina d'indigeni dei dintorni, altri empivano i gabbioni di terra rizzando
terrapieni di uno spessore non comune, e altri ancora piantavano palizzate fitte, empiendole di
rottami, di macigni, di ferraccio. Si picchiava, si zappava, si abbatteva stimolati dalla Tigre e dal
Portoghese che li incoraggiavano colla voce e coll'esempio.
I p abili artiglieri lavoravano dietro ai cannoni. Mettevano in batteria i più grossi riparandoli con
lastroni di ferro e palizzate, preparavano le spingarde disarmando i prahos che ormai dovevano cadere
sotto il fuoco del nemico, eccetto tre, i più rapidi e i più solidi, destinati per le coste occidentali onde
proteggere la fuga se questa diventasse necessaria. Gli armaiuoli, e fra di essi se ne contavano dei p
esperimentati, che avrebbero potuto dar dei punti a quelli indiani, si affaccendavano a schiodar
cannoni che fortunatamente erano in numero ragguardevole.
L'intera giornata fu passata attorno alle trincee e ai terrapieni e alle batterie, dove la stessa Marianna si
adoperò aiutata da Ladgia, una vera guerriera, a porre in batteria una piccola spingarda. Prima di sera
il villaggio, se non era inespugnabile, presentava almeno degli ostacoli non facili a superarsi. Quei
quaranta uomini avevano lavorato per cento.
Ventidue bocche da fuoco dei calibri di 18 e di 12 erano state messe in batteria sulla sinistra del
villaggio, altre dieci della medesima portata, con parecchie spingarde, erano sulla destra, e tre grossi
cannoni da 24 in un terrapieno isolato sul dinanzi del villaggio. Palizzate e trincee, fossati e terrapieni,
si succedevano su ben quattro linee, presentando quattro difese, dietro le quali potevano ritirare i
cannoni.
Appena che il sole si tuffò nelle onde, i tre prahos, bene armati, con un equipaggio di venti uomini fra
i quali la metà indigeni presero silenziosamente il largo dirigendosi verso le coste meridionali per
guadagnare di poi quelle occidentali.
Uno di essi, il più grande e il meglio armato, portava la maggior parte delle incalcolabili ricchezze di
Sandokan, frutto di sei e p anni di saccheggi. La sua stiva riboccava addirittura di oro, di perle, di
diamanti, in quantità tale da arricchire Pontianak, Varauni e Sarawak assieme. Qualche momento
dopo Yanez, Ladgia, Giro Batoë e trenta dei più devoti e più coraggiosi pirati che avesse
Mompracem, salivano la rupe ed entravano nella capanna per dare l'ultimo addio alla loro vita
d'avventurieri, per dare l'ultimo addio alla loro esausta potenza, e al nome della Tigre che doveva fra
poco morire per sempre.
La sala dell'abitazione era stata arredata col maggior lusso possibile. Scintillanti lumiere versavano
torrenti di luce sugli arazzi tempestati d'oro e d'argento e sulle mobiglie incrostate di madreperla.
Nel mezzo era stata preparata una gran tavola che si curvava sotto il peso dei tondi d'argento
finamente cesellati, delle ammirabili tazze ricolme di spumanti vini, delle bottiglie e degli enormi
mazzi di fiori che si alzavano a gran piramidi spandendo all'intorno un profumo soave penetrante che
inebriava, al quale si frammischiava il profumo delicatissimo della polvere di sandalo che ardeva sui
vasi di bronzo.
Sandokan e Marianna di a un poco apparvero a braccio l'un l'altro, prendendo posto in mezzo alla
banda.
Lui era vestito in velluto rosso, il suo colore favorito, il colore del sangue, col turbante verde sul capo
sormontato da un gran pennacchio smaltato di perle, e i due kriss alla cintola dall'impugnatura d'oro
massiccio. Aveva un'aria sì fiera, sì truce, sì maestosa che imponeva e che faceva insieme tremare.
Lei invece era abbagliante, bella, divina, più bella che mai, vestita in velluto nero sul quale rilucevano
stelline d'oro, colle braccia nivee nude e coperte di braccialetti, i capelli biondi sparsi sulle semi-nude
spalle in un pittoresco disordine e sul capo un gran diadema di diamanti che mandava baleni sotto i
riflessi delle numerose lampade.
Pareva una regina, una divinità, più ancora un'apparizione soprannaturale avvolta in una nebbia
luminosa, una apparizione che incuteva rispetto, che affascinava, che metteva i brividi, che faceva
girar la testa a tutti, tanto era quella sera bella la Perla di Labuan.
I pirati, i più rozzi, i più sanguinari, i più vecchi incanutiti al fuoco di cento battaglie furono
soggiogati. Un grido di stupore, d'ammirazione irruppe da tutti i petti, e nella mente d'ognuno balenò
l'ardita idea di farne d'essa la loro padrona, la loro regina.
Il pranzo fu il p sontuoso che fosse mai stato dato a Mompracem. Sandokan in tutta la sua durata
non aprì bocca, e rivolse tutte le sue attenzioni a Marianna, non più sanguinario pirata, ma fidanzato
innamorato alla follia, e co pure le volsero tutti i pirati, che non staccavano un sol istante gli occhi
fissi in quelli azzurri e scintillanti di lei. Gareggiavano per dimostrarle maggior affezione, e tutti
rimuginavano nelle loro menti sempre l'idea di fare della Perla di Labuan la Perla e la regina di
Mompracem.
Di già qualche parola era stata gettata furtivamente di convitato in convitato, e Sandokan stesso la udì.
Pure non disse ancora verbo: solo la sua fronte s'oscurò, i suoi sguardi più volte perdettero la loro
truce espressione per dar luogo a un lampo di gioia, a un lampo di speranza.
Alla fine del banchetto Sandokan si alzò. Pareva imbarazzato, evitava gli sguardi dei suoi tigrotti che
lo fissavano in istrano modo, e la sua faccia si era fatta oscura, tetra, quasi feroce. S'indovinava che
una terribil battaglia ferveva nella profondità del suo cuore.
- Amici - diss'egli alfine con una voce quasi cupa, disperata. - Amici, gli è una dolorosa missione
quella che la fatalità tremenda che gravita su di noi, m'impose, ma ho giurato di compierla e ubbidisco
ciecamente quantunque mi strazi il cuore e me lo faccia sanguinare tutto.
"Voi mi avete veduto lottare senza posa e senza pietà per compiere quella terribile vendetta che aveva
giurato di intraprendere contro coloro che mi precipitarono dal trono nella polvere. Voi mi avete
veduto pugnare qual tigre, per innalzare la nostra potenza e rendere forte e temuta Mompracem che
noi adottammo per patria. Voi mi avete veduto condurvi per quasi dieci anni di vittoria in vittoria
senza mai aver indietreggiato, senza mai aver esitato e, più di tutto, senza essere mai stato vinto.
"Amici, la fatalità oggi è piombata su di noi, la fortuna ci ha abbandonati nel bel mezzo dei nostri
trionfi, siamo irremissibilmente condannati a perire, e perire dopo aver tanto brillato, dopo di esserci
acquistati una sì bella e terribile nomea.
"Sconfitti a Labuan, vinta ed incatenata la Tigre da un amore soprannaturale, bombardate e violate le
coste di Mompracem, senza forze e senza aiuti è d'uopo cedere, è d'uopo morire.
"Compagni, il destino mi spinge, mi trascina ad emigrare. Non so più ruggire, non ho p forze, non
ho più sete, non ho più armi che mi sono state infrante dall'amore e dalla fatalità... Tigrotti, la stella di
Mompracem, bisogna che lo dica, dopo aver tanto brillato, s'è spenta!
"Non accusatemi, non maleditemi, non piangete, miei prodi, non disperatevi. Combatteremo ancora
una volta contro il nemico che ci viene ad assalire nei nostri covi, poi abbandoneremo questi luoghi
che non son più nostri.
"Dio! Dio! Quanto è atroce perdere in una sola volta e nome, e gloria, e potenza, e isola, e mare. Ah!
fatalità, fatalità, sei ben terribile!
La Tigre s'arrestò con la faccia orribilmente scomposta e la fronte inondata di freddo sudore. Un
disperato ruggito uscì dalle labbra contorte.
I pirati non dissero parola, non si mossero, non emisero lamento alcuno. Solo i loro occhi che non
avevano mai pianto s'empirono di lagrime che inondarono i loro volti anneriti dal fumo dei cannoni e
dai venti del mare.
- Compagni - continuò Sandokan con una voce che lo strazio dell'anima rendeva strozzata. - Tergete
quelle lagrime e serbatele per altri tempi, quando noi saremo lontani da questi luoghi che un dì erano
nostri.
"Coraggio, tigrotti, bisogna emigrare, è la legge che ci imporranno i forti, ma emigrerete assieme a
me, assieme all'antico vostro capo, alla Tigre della Malesia.
"Vi comprendo, era quest'isola la vostra patria, era la terra sulla quale eravate cresciuti e divenuti
potenti, ma la fatalità così vuole.
"Credete che io non soffra nell'abbandonare questi luoghi che erano a me tanto cari? Se fossi capace
di piangere, piangerei come voi, ma non so piangere. Orsù, miei prodi, è la legge che subiscono anche
gli eroi, andremo a morire su altri lidi dimenticando il passato, e non saremo più i pirati della
formidabile Mompracem. Voi perderete il vostro nome come io perderò il mio che mi ero guadagnato
a prezzo di cento vittime. Curviamo, curviamo il capo sotto il destino, lo curva la Tigre della Malesia
stessa!...
- Capitano! Mio capitano! - esclamò Giro Batoë che piangeva come un fanciullo. - E vorrete voi
emigrare da questi luoghi che erano vostri? Rimanete, sarete ancor la Tigre dei passati tempi,
andremo a radunar nuovi pirati, rialzeremo ancora le sorti di Mompracem, diverremo leoni,
struggeremo Labuan, porremo a ferro e a fuoco Sarawak e Varauni.
- Rimanete, rimanete, capitano, noi saremo forti - esclamarono i pirati tendendo le braccia verso di
lui.
- Compagni! Vi ha il destino che ci condanna - rispose Sandokan; - vi ha una fanciulla che io amo e
sento che accanto a essa non sarei capace di ritornare la Tigre di una volta. No! No! Se voi nol
vorrete, io emigrerò da solo. Il mio cuore e il braccio non sono più miei, sono della giovanetta che ha
avuto il coraggio di amarmi. Tutto è suo! Tutto è suo!
- Milady - esclamò Giro Batoë. - Rimanete fra noi, sarete la regina di Mompracem, vi si coprirà d'oro,
avrete cento e cento tigri che vi difenderanno e notte, vi daremo un regno, vi faremo potente, noi
saremo vostri schiavi.
- Milady! - disse Balamê ammaliato da quella seducente giovanetta che trovava degna diventasse
regina. - Non avrete che da parlare perché cento pirati si alzino a ubbidirvi. I nostri petti e le nostre
armi faranno scudo contro i colpi del nemico, quando voi lo vorrete andremo a conquistare un regno,
tutto per voi ci sarà possibile di fare a un vostro cenno. Giammai Mompracem avrà tanto brillato sotto
di voi e della Tigre della Malesia!
Tra i pirati vi fu un'esplosione di delirio. I più giovani supplicavano, i più vecchi piangevano dinanzi
a lei.
- Rimanete fra noi! - gridavano i pirati affollandosi dinanzi a Sandokan e alla giovanetta. - Rimanete
fra noi!
Fu allora che la giovanetta sino allora sorda alle preghiere, si alzò. Con un gesto da regina fece fare
silenzio.
- Sandokan - diss'ella con voce che non tremava. - E se io rimanessi fra questi prodi a Mompracem? E
se io spezzassi il vincolo ormai invisibile che mi lega a Labuan? Se io diventassi una nemica di quella
patria derisoria che non amo più, e dalla quale non ebbi che una goccia di sangue? E se io infine
diventassi come sono essi una bandita, dillo, Sandokan, dillo, Tigre della Malesia, mi ameresti
egualmente tu?
- Tu, Marianna, rimanere a Mompracem! - esclamò Sandokan precipitandosi verso di lei delirante. - E
saresti tu capace di farlo, amor mio?
- Lo voglio! - esclamò fieramente la giovanetta.
Un urlo di gioia irruppe dai petti dei pirati. Venti armi si innalzarono incrociandosi sul suo petto.
Ella cadde fra le braccia di Sandokan chiudendo gli occhi, mentre i pirati gridavano ad una voce:
- Viva la regina di Mompracem!
CAPITOLO XXVIII
Il bombardamento di Mompracem
All'indomani il delirio si era impadronito dei pirati. Non erano più uomini, erano titani che lavoravano
con energia sovrumana per fortificare la loro isola minacciata, titani che s'affannavano attorno alle
batterie e alle trincee, che battevano furiosamente le rupi per istaccarne scheggione da far barricate,
che scavavano fossati, che rotolavan botti ricolme di sassi, che portavan sacchi zeppi di terra, che
mettevano in batteria cannoni, mortai e spingarde, che preparavano mine per ogni dove, che empivano
gabbioni di rottami e che abbattevano alberi per elevare palizzate lungo la costa, che affilavano armi e
che fondevano palle e bombe a migliaia.
La regina di Mompracem, bella e scintillante d'oro e di perle come la sera precedente era per
animarli. Incoraggiava gli uni, con un sorriso che li faceva delirare vieppiù, stimolava gli altri colla
voce, saliva intrepida sulle batterie a puntare ella stessa assieme a Ladgia i cannoni e portava con
quelle sue manine delicate le bombe dando l'esempio a tutti.
Sandokan vi era pure, e lavorava con un'attività febbrile che pareva pazzia. Altro che titano! La Tigre
della Malesia movevasi rapida come un lampo accorrendo ovunque, facendo il lavoro che dieci
uomini non sarebbero stati capaci di fare, demolendo i fianchi delle rupi, sollevando pietroni enormi e
trascinando da solo e cannoni colossali e alberi spropositati. Faceva l'impossibile, e non meno di lui
faceva il Portoghese le cui forze si erano centuplicate.
Nessuno perdeva un sol istante di tempo che era preziosissimo. La cannoniera fumava sempre al
medesimo luogo spiando i loro lavori e c bastava per mettere il fuoco nelle loro vene, ben sapendo
che aspettava l'arrivo di nuove navi per cominciare l'attacco.
Verso il mezzo giunse al villaggio una me dei pirati che avevano condotti i prahos sulla costa
occidentale, e le notizie che essi portarono non furono inquietanti. Una cannoniera spagnola era stata
veduta al sud dell'isola in rotta a quanto pareva per le Romades, ma non si era arrischiata a gettarsi sui
loro legni; in quanto alle coste occidentali erano perfettamente sgombre da qualsiasi nemico, e in caso
di ritirata si poteva prendere il largo senza grandi pericoli.
- Tuttavia - disse uno di essi a Sandokan che l'interrogava - vi sono traccie evidenti della comparsa
degl'Inglesi. Gl'indigeni me ne hanno parlato, e pare che sieno sbarcati pdi una volta tentando aver
relazioni con essi.
- E gl'indigeni che pensano delle giacche rosse? - doman Sandokan. - Hanno avuto abboccamenti
con essi?
- È difficile saperlo da quei dannati rettili, capitano. Mi hanno assicurato che li odiano, che non
vogliono saperne di visi bianchi, e udendo come essi tentino un colpo di mano sull'isola, il Nano mi
parlava di portarci aiuti.
- Non fidiamoci troppo di loro - disse il Portoghese entrando in discorso. - Sono traditori belli e buoni,
quei furfanti.
- Tuttavia una trentina d'indigeni potrebbero esserci di grande aiuto - mormorò Sandokan. - Non
siamo che trentanove o quaranta, un piccolo numero dinanzi alla spedizione inglese che immagino
sarà formidabile. È ben vero che siamo quaranta tigri, che tutti abbiamo giurato di difendere
Marianna e Mompracem, ma chi sa? Ti ricordi, Yanez, che ti dissi di leggere nell'avvenire? Ebbene:
vedo ancora tutto oscuro, quantunque io sia ancor ritornato la Tigre!
- Eh! Bisogna bene che sieno forti le giacche rosse per cozzar contro le nostre batterie o sfondare le
nostre trincee - disse il Portoghese. - Non vedi, Sandokan, che abbiamo fatto di questo villaggio una
rocca che crederei inespugnabile?
- Lo vedo, ma il nemico può esser pur egli forte. To'! Guarda, Yanez, mi sembra vedere delle colonne
grigie laggiù all'oriente, senza dubbio colonne di fumo. Ecco la cannoniera che se ne va; essa deve
aver scorto gli aiuti che aspetta da tanto tempo.
- Il nemico! - esclamarono Giro Batoë e due o tre pirati, che si tenevano sull'alto delle batterie.
Sandokan e il Portoghese si precipitarono sui terrapieni dove la giovanetta li aveva preceduti, mentre i
pirati davano gli ultimi colpi di zappa a un quarto fossato e mettevano in batteria gli ultimi cannoni e
le ultime spingarde.
Delle colonne di fumo e dei punti bianchi si scorgevano allora all'orizzonte, verso i quali si dirigeva a
tutto vapore la cannoniera. Nessuno pose in dubbio che fosse il nemico che si avvicinava all'isola per
tentare audacemente l'occupazione o almeno la completa distruzione di quel formidabile nido di pirati
che per tanti anni aveva scorrazzato i mari.
Non era ancora possibile determinare le sue forze, ma dalle colonne di fumo e dalle vele, era facile a
capirsi che doveva essere potente. Piroscafi e velieri non mancavano, e se li vedevano gareggiare di
celerità a poca distanza gli uni dagli altri. Bala che salì sulla gran rupe assicurò essere una vera
flotta in mezzo alla quale si trovavano parecchi prahos.
Sandokan, a fianco della giovinetta ritta intrepidamente sulle batterie e circondata dai pirati che
avevano in furia abbandonato i lavori, con quegli occhi che sfidavano i più potenti cannocchiali,
esaminava e contava attentamente i vascelli che s'avvicinavano rapidamente alle temute coste di
Mompracem.
Comprese subito quanto fosse forte il nemico e pur lo compresero i suoi pirati, ma non vi fu alcuno
che facesse il minimo segno che dinotasse sorpresa o timore. Erano preparati a tutto; le flotte riunite
di Labuan, Borneo e Sarawak non sarebbero state capaci di scuotere il loro ammirabile coraggio. Che
valeva se il nemico era sei, dieci, venti volte anche più numeroso quando alla loro testa avevano la
Tigre, l'uomo dalle imprese leggendarie, terribile come i tempi passati? Che valeva se il nemico aveva
cento cannoni di più quando la regina era con loro ad animarli e quando il loro villaggio era stato reso
inespugnabile?
- Tigrotti! - gridò Sandokan con quella voce che affascinava e che scuoteva le fibre. - Ecco il nemico!
I pirati vi risposero alzando le scuri, i moschetti e le scimitarre facendo con questo scudo alla regina
che si teneva fieramente ritta a fianco alla Tigre e un solo grido sfuggì da tutti i petti.
- Viva la regina di Mompracem!
- Compagni - continuò Sandokan sguainando la terribile sua scimitarra cento volte tinta nel sangue
umano. - Il nemico è forte, forse risoluto ad espugnare i nostri covi e dare un colpo mortale alla nostra
Mompracem, alla nostra patria adottiva. Non avrà pietà, non ci darà quartiere che per trascinarci sulle
forche di Vittoria, vogliono la nostra regina e me, la Tigre della Malesia che tanta paura a loro
cagiona. Mi affido a voi, ai tigrotti di Mompracem.
"Siamo pochi, ma tutti risoluti e prodi e bisogna vincere a qualsiasi costo, vincere per sostenere e
rialzare le cadenti sorti della pirateria e della nostra isola. Che nessuno tremi, che nessuno si
sgomenti, che nessuno indietreggi: turbini di ferro finché le palle e la polvere non vengono meno, poi
innanzi colle scuri e le scimitarre. Io sarò il primo a darne l'esempio.
"Rammentatevi che siamo i tigrotti di Mompracem, che io sono la Tigre e che coloro che furono
assassinati sulle coste di Labuan chiedono vendetta. Ovunque rottami, cadaveri e fiumi di sangue! Io
lo voglio!...
Non vi voleva che la Tigre per mettere fuoco nei petti di quei pirati, e per cangiare gli uomini in tanti
eroi.
- Sì! Sì! Battiamoci! - urlarono ad una voce i pirati. - Morte alle giacche rosse! Vendetta ai nostri
compagni!
- Capitano! - esclamò Giro Batoë. - Siamo quaranta tigri che da sedici ore abbiamo fatto dono delle
nostre vite a Mompracem, non domandiamo che di provare le nostre forze. Sotto il comando della
Tigre saremo quattrocento, sotto gli occhi di milady saremo quattromila.
- Lo sapevo di aver dei prodi, abbracciatemi, compagni, e possiate difendere colei che amo più di
Mompracem!
I pirati si precipitarno uno a uno fra le braccia del formidabile uomo.
- Milady - disse Balamê. - È d'uopo che il nemico prima di giungere fino a voi passi sul corpo di
quaranta tigri. Le nostre artiglierie vi copriranno di fuoco, i nostri petti vi faranno scudo, le nostre
scimitarre abbatteranno coloro che alzeranno il braccio contro di voi! Essi non vi avranno: lo
vogliamo!
- Grazie, amici miei, e se la sorte arriderà a Mompracem, rimarrò per sempre fra voi - disse la
giovanetta.
- Alle armi! Alle armi! - gridò Sandokan, trascinando seco Giro Batoë e la sua banda.
- Viva la regina di Mompracem! Viva Sandokan! - gridarono i pirati e scomparvero dietro le palizzate
e le batterie.
I provvedimenti per mettere la giovanetta e la sua compagna fuori di pericolo e i preparativi per una
ritirata se questa malgrado la resistenza diventasse necessaria furono presi. Le due donne furono
internate nella foresta al riparo di una rete d'alberi sotto la guardia di Inioko, un Dajacco vigoroso e
risoluto, capace di far fronte a un intero drappello di soldati. La separazione della giovanetta da
Sandokan non fu senza lagrime.
- Marianna - disse il pirata nel momento che stava per dividersi. - Non temere, né il maledetto da Dio,
i suoi ti avranno come non avranno me. Non morrò, poiché le palle che mi hanno rispettato per
tanti anni mi rispetteranno pur oggi che pugno in difesa dei miei diritti e anche di una fanciulla. Sì, se
io sarò costretto a cedere, cedee fuggiremo assieme, non sarai più regina di Mompracem, ma sarai
egualmente mia. Forse sarebbe meglio così. Va, fra poco, vinto o vincitore, avrai mie nuove.
La giovanetta si sciolse dalle sue braccia piangendo e parti assieme a Ladgia che non era meno
commossa di lei dopo la separazione col Portoghese, ed entrarono sotto le foreste guidate da Inioko
che dolevasi essere condannato a udir il cannone senza poterlo adoperare. Egli le condusse sul luogo
ove eran radunati una trentina di cavalli di già bardati, nel mentre che Giro Batoë, Balamê e una
mezza dozzina di pirati invadevano i villaggi indigeni e facevano una razzia dei p valorosi che
mandavano frettolosamente al campo.
Al villaggio vi era ora tutto sottosopra. Sandokan e il Portoghese, dopo di aver ricacciate le emozioni
nel fondo del cuore, l'uno tornato Tigre e l'altro tigrotto, risoluti a giuocare l'ultima loro carta, e a
vendere cara la vita o la libertà, davano gli ultimi colpi di mano alle trincee, alle palizzate, alle
batterie, assieme ai loro uomini.
Si caricavano frettolosamente i cannoni, si ponevano in batteria quelli ancor a terra, si accumulavano
palle e granate, si aprivano le polveriere, si rafforzavano le barriere, si empivano d'acqua i fossati,
deviando il corso dei torrenti, si tiravano a secco i prahos onde non potessero venire presi e servire di
fortezza agli assalitori, e si affondavano quelli che non potevansi salvare. Non si tralasciò di porre in
opera tutti i mezzi suggeriti dall'arte per rendere inespugnabile il villaggio, né si tralasciò di prendere
ogni precauzione suggerita dall'imminente pericolo. Ogni cosa in quei momenti era buona per
moltiplicare gli ostacoli contro un possibile assalto degli Inglesi.
I tradimenti non furono neppure essi dimenticati. Si scavarono trabocchetti entro i quali potessero
precipitare i nemici, si prepararono mine, si empirono i fossati d'ammassi di rami spinosi e si
piantarono nel fondo punte di ferro avvelenate con succo dell'upas.
In venti minuti, prima che le navi giungessero a tre miglia dalla costa, il villaggio era stato cangiato in
una vera rocca, difficile a distruggersi e impossibile ad espugnare.
La flotta nemica era più forte e più numerosa di quella che era apparsa in sul principio. Disponeva di
potenti mezzi di distruzione, e possedeva numerosi equipaggi, raccozzati fra tre o quattro differenti
razze. Si scorgevano Inglesi, distinguibili per le giacche e i berretti rossi e per la flemma con cui
manovravano; Olandesi colle azzurre divise; una mano di Spagnuoli montata su di una cannoniera e
che vociavano come aquile, dei guerrieri del sultano di Varauni coi loro lunghi scudi, i loro gran
turbanti, e armati di picche e di moschettoni a pietra, e certi uomini dai volti feroci, seminudi, dagli
atteggiamenti fieri, armati di certe scuri e certe scimitarre di una forma strana, che li davano a
conoscere per pirati delle coste del Borneo, rivali accaniti di quelli di Mompracem, che l'oro del
baronetto e una certa gelosia li avevano determinati a unirsi alla spedizione.
Era una vera armata per nulla inglese ma guidata da Inglesi, un'armata formidabile contro la quale
bisognava ben guardarsi e ben difendersi, superiore di assai a quella di Mompracem che disponeva di
valorosi bensì, ma sempre pochi difensori.
- Mille tuoni! - esclamò Yanez, con ira mal celata. - Non avrei mai creduto che quel cane di lord
James giungesse a riunire tante navi e tanti uomini.
Egli contò due grandi piroscafi, mercantili per forma, ma meglio armati dei vascelli da guerra, e dietro
a essi la cannoniera olandese che da tre giorni spiava Mompracem, una cannoniera spagnuola, un
grosso brigantino vecchio di scafo ma zeppo di cannoni, e una mezza dozzina di prahos colla bandiera
del sultano di Borneo e altrettanti legni pirateschi. Quantunque fidasse nelle forze della Tigre il bravo
Portoghese si sgomentò.
- Che ti pare Sandokan? - chiese egli.
- Meglio così - risposte la Tigre con un sorriso ironico e feroce. - Sono forti, tanto meglio: danzeremo
addirittura fra turbini di ferro. È l'ultima lotta che io imprenderò: guardati, o flotta, da Mompracem e
da me!...
Giro Batoë e Balamê ritornavano in quel mentre seguiti da una quarantina di indigeni che avevano
adescato a furia di oro e di promesse. Il Nano era fra essi e si poteva credere che egli operasse prodigi
di valore.
Non erano già pirati, quegli uomini che guidava, non avevano fama di prodi tuttavia avevano
acquistato una certa dose di coraggio di cui mancano generalmente quelli della loro razza, e si
alleavano facilmente ai loro padroni quando vi era da guadagnare qualche manata d'oro e meglio
ancora, se vi era da vuotare una bottiglia di acquavite.
Non resistevano all'urto, ma sapevano tirar moschettate con rara precisione e adoperare i cannoni,
manovra che avevano appreso con facilità sotto i loro maestri, quantunque le prime volte avessero
provato una paura indiavolata a tanto fracasso.
Sandokan per incoraggiarli vieppiù, fece sfondare un barilotto di arak che fu in un momento vuotato
da quei bevitori.
- Nano - diss'egli mentre si dispensavano a essi le armi e si mettevano ai cannoni - io ho bisogno di te,
tu lo comprendi; quelli che vedi laggiù vogliono rubarci l'isola, se vi riescono diverranno i padroni, e
come hanno reso schiavi tutti i popoli a loro soggetti, renderanno pure schiavi te e la tua tribù. Siamo
forti però, riusciremo forse a metterli in fuga, ma siamo pochi; se tu riuscirai a fare ciò che ti
domando, venti botti di arak e un vestito rosso saranno il premio della vittoria.
- Arak! Arak! - escla il beone fiutando il bariletto con una avidi da macaco. - Ohe! Vi ha
dell'arak nell'aria, la Tigre lo promette, cerchiamo di fare qualche cosa. Lo vedrai, capitano, quei
gridatori in giacca rossa prenderanno il largo.
La conversazione fu punteggiata dal primo colpo di cannone che partì da uno dei piroscafi, la cui
palla fece saltare la terra sulle sponde di un fossato. Sandokan raddrizzò l'alta statura con un gesto di
suprema fierezza guardando il piroscafo.
- Vincerai! - esclamò egli dolorosamente portando la mano al cuore. - Lo sento, ma non mi avrai vivo
come non avrai Marianna Guillonk! Voglio farti comprendere quanto possa la Tigre prima di
abbandonare il suo covo, e di che siano capaci gli ultimi pirati di Mompracem. E ora, fatalità, compi
ciò che hai cominciato: io ti aspetto!
Il pirata gettò uno sguardo all'intorno come volesse imprimersi per l'ultima volta nel cuore quei luoghi
che una voce interna diceva che non avrebbe veduto mai più, e sospirò. Qualche cosa di umido
comparve sui suoi occhi, non già una lagrima poiché quell'uomo non sapeva piangere, ma che forse
era più che fosse una lagrima, e si diresse alle batterie.
La flotta, dopo di aver tirato il primo colpo, era andata avvicinandosi mantenendosi su di una linea
che comprendeva la larghezza della costa occupata dal villaggio. Vedendo che i pirati non
rispondevano cercava di abbreviare e di tentar forse lo sbarco fidente nelle proprie forze.
Sandokan la lasciò avvicinarsi fino a ottocento passi, poi saltò su uno dei più grossi cannoni della
batteria centrale, alzando la scimitarra.
- Compagni, ai vostri pezzi - gridò egli con voce tonante. - Non vi trattengo più; sbarazzatemi il mare
da questi prepotenti. Fuoco!
Trentasei cannoni e una dozzina di spingarde difendevano il villaggio. Al comando della Tigre i
terrapieni, le trincee, le palizzate avvamparono su tutta la linea formando una sola denotazione capace
di essere udita alle Romades. Semb che il villaggio intiero saltasse in aria e la terra fremette fino
alle spiaggie. Nubi di fumo avvolsero le batterie, ingigantendo sotto nuovi colpi, che si succedevano
furiosamente distendendosi sulla sinistra ove tiravan le spingarde manovrate dagli indigeni.
La flotta qua e danneggiata non istette molto a rispondere. Piroscafi e cannoniere, brigantino e
prahos si coprirono alla loro volta di fumo, presentando i fianchi al villaggio. I loro colpi si
succedevano non meno rapidi di quelli dei pirati, con una precisione che sgomentava, tempestando le
opere di difesa, avanzandosi obliquamente a piccolo vapore e con qualche vela, sostenuti da un
violento fuoco di moschetteria, che se non riusciva contro le batterie, molestava e non poco i
difensori.
Non si perdeva un colpo da una parte dall'altra, si gareggiava di celerità e di precisione,
s'infuriava da ambe le parti, risoluti a esterminarsi da lontano e più tardi da vicino. La flotta aveva la
supremazia del numero dei combattenti, aveva la supremazia delle bocche da fuoco che non la
cedevano in numero, in portata a quelle del villaggio, e aveva di più il vantaggio di spandersi,
isolarsi e muoversi, facendo spesso andar a vuoto i colpi del nemico.
Ma con tutto cnon guadagnavano. Era bello vedere quel villaggio difeso da un pugno di prodi, che
avvampava da tutti i lati rispondendo colpo per colpo, vomitando bombe e torrenti di mitraglia che
fracassavano madieri, struggevano manovre, sventravano uomini. Aveva ferro per tutti, ruggiva più
forte che non ruggissero i cannoni uniti della flotta, puniva i bravacci che venivano a sfidarlo a poche
centinaia di metri dalle formidabili coste demattandoli degli alberi, faceva indietreggiare i più audaci
che tentavano uno sbarco, e per tre miglia intorno faceva saltar le acque del mare.
La Tigre era in mezzo ai suoi, cogli occhi in fiamme, ritto dietro un grosso cannone da 24, che
scatenava dalla sua fumigante gola uragani di ferro ad ogni istante senza mancare una sola volta. Il
formidabile uomo a ogni denotazione del suo mostro di bronzo, che fracassava i fianchi al p grosso
dei piroscafi, urlava:
- Fuoco! Fuoco! Spazzatemi questo mare, sventratemi queste navi, struggetemi questi uomini che
sono ancor bambini!
E la sua voce non andava perduta. I pirati conservando un ammirabile sangue freddo, determinati a
restare al loro posto finché vi era una trincea in piedi e a morire sui loro pezzi anziché retrocedere,
aiutati dagli indigeni che vi si prestavano vigorosamente, infuriavano a ogni comando della Tigre.
Senza badare alla tempesta di ferro che ruggiva attorno ad essi, che lacerava le palizzate, che faceva
saltare terrapieni, che sfondava gabbioni, che schiantava le loro capanne, se li vedevano salire
intrepidamente sulle opere danneggiate e puntare le loro artiglierie.
Un prahos piratesco fu fatto saltare dopo averlo incendiato con una bomba nel mentre che cercava con
una insolente bravata di approdare appié della rupe. I suoi rottami giunsero fino alle prime palizzate
del villaggio e i tre o quattro uomini che erano scampati all'esplosione furono fulminati dalla mitraglia
ancor prima che potessero approdare.
Un secondo prahos che cercava imitare l'audace manovra del primo fu compiutamente demattato
ammazzandogli mezzo equipaggio e sarebbe colato a picco senza l'aiuto della cannoniera olandese
che tirando furiosamente col suo grosso pezzo di poppa, fece tacere per un istante il fuoco diretto su
esso, e lo trasse a rimorchio al largo.
- Venite a sbarcare! - gri Sandokan puntando il suo cannone sulla cannoniera. - Voglio vedervi!
Venite a misurarvi cogli ultimi pirati di Mompracem! Voi siete fanciulli e noi siamo giganti!
- Tuoni di Dio! - urlava dal canto suo il Portoghese dando fuoco al suo cannone. - Bisogna proprio
fare un massacro di quei cani là prima d'indurli a battere in ritirata? Aspettate un po', giovanotti miei,
che vi faccia assaggiare una porzione di mitraglia rovente. Tuoni di Dio! Faccio una marmellata di
tutti voi!...
E si continuava a tuonare gagliardamente, vomitando bombe e mitraglia contro la flotta che invano
sforzavasi avvicinarsi alle coste della terribile isola.
Tutte le navi qua e danneggiate, andavano e venivano a tratti, tentando ogni sorta d'astuzie,
avanzando obliquamente e rompendo bruscamente la rotta, facendosi sotto le scogliere fino a soli 200
metri dal villaggio, scagliando torrenti di bombe per far saltar le trincee e avventando turbini di
ferraccio per fulminare gli artiglieri, ma terminando sempre col torcere cammino e tornare ad
allontanarsi semi-sventrate.
Era da vedersi che finché i bastioni tenevano saldo, le polveri non venivano meno e gli uomini non
cadevano, sarebbe stato impossibile tentare uno sbarco.
La flotta dovette pur comprenderlo, poiché desistette improvvisamente dall'avvicinarsi e si por al
largo, dividendosi per non offrire troppi punti di mira, movendosi rapida e concentrando tutti i suoi
colpi sui cannoni per ismontarli.
Questa ritirata fu terribile pei pirati. La flotta cominciò in breve ad infuriare con maggior lena del
villaggio, battendo furiosamente in breccia contro le batterie p deboli scacciandone a viva forza gli
artiglieri che si sentivano incapaci di far fronte a tanta pioggia di ferro.
Centinaia e centinaia di bombe cadevano fitte fitte dinanzi ai terrapieni che, sconquassati dalle
terribili esplosioni che si succedevano senza posa, ruinavano nei fossati, schiantando con formidabili
scrosci le palizzate, trascinando seco e gabbionate, e cannoni ed artiglieri, che venivano subito dopo
fulminati da terribili scariche di moschetteria. Non meno danno faceva la mitraglia che le cannoniere
scagliavano incessantemente.
Scrosciava maledettamente sulle opere di difesa frantumando gli alberi e sollevando i sassi e le pietre,
si cacciava fischiando nelle feritoie, fulminando i pirati che invano cercavano di ripararsi da tanta
grandine di ferro.
In meno di dieci minuti la prima linea di bastioni fu sfasciata. I fossati s'empirono di rottami, sei
cannoni saltarono e tre delle più grosse spingarde dovettero essere abbandonate in mezzo a una decina
di cadaveri. Un istante dopo i bastioni di destra non rispondevano che a rari intervalli e a gran fatica, e
la seconda fila di trincee cominciava pur essa a ruinare sotto il crescente turbine di ferro che
avventava furiosamente la flotta.
La Tigre della Malesia tuttavia non si smarrì. Egli fece drizzare tutti i cannoni su uno dei due piroscafi
che maggiormente arrecava danno alle trincee, il quale fu costretto a rispondere alle batterie di sinistra
e del centro, lasciando così tempo agli artiglieri di quello di destra di ritirarsi dietro la seconda linea di
fortificazione trasportando seco i cannoni.
Per mezz'ora il legno dovette sostenere quel terribile cannoneggiamento, che gli spezzava le murate,
che gli frantumava alberi e pennoni, che lo forava in tutti i versi e che gli struggeva l'equipaggio.
- Fuoco su di lui! Fuoco! - urlava incessantemente la Tigre. - Sventratelo, spezzategli le ali, fatemelo
saltare!
Il legno tutto sconquassato, tutto sdruscito, quasi senza uomini, senza cannoni, senza alberi, cominciò
ad affondare. Una bomba di otto pollici, del peso di 21 chilogrammi che fornisce voluminose
scheggie, lanciatagli da Giro Batoë con uno dei mortai, determinò la sua sorte. Una falla enorme s'aprì
a prua, per la quale si precipitarono in massa le acque. L'attenzione degli altri legni si volse allora a
salvar i naufraghi. Numerose imbarcazioni solcarono i flutti, ma pochi scamparono al fuoco terribile
dei pirati che per così dire le polverizzava. In dieci minuti il piroscafo affon seco trascinando gli
uomini che ancor rimanevano in coperta proprio nel momento che uno dei prahos saltava per lo
scoppio della Santa Barbara. Il fuoco per poco fu sospeso dalla flotta, le cui sorti volgevano alla
peggio, ma in breve ricominciò e con maggior furia di prima. Le batterie di destra furono nuovamente
ridotte al silenzio e i pirati per la seconda volta dovettero sgombrarle e ritirarsi dietro i secondi
terrapieni, e quindi costretti a ripiegarsi dietro ai terzi di già mezzo rovinati.
Le batterie del centro, oppresse alla loro volta, distrutte sotto le bombe che si succedevano senza
intervalli, ne seguirono l'esempio e non rimase che la trincea di sinistra, la più forte e la meglio
armata, esposta al tiro di tutti i legni.
Sandokan cercava rianimare i combattenti colla sua presenza, puntando egli stesso i pezzi o facendo
fuoco alla testa dei più abili tiragliatori, ma doveva pur egli convincersi che il momento della ritirata
non sarebbe stato lontano. Ruggiva in cuore all'idea di dover perdere la sua isola, ma forse in fondo
benediva la flotta che poneva fine alla pirateria.
Non era più la Tigre, lo sapeva, non era più il medesimo uomo di un tempo ora che amava.
Si avrebbe detto che, pur facendo prodigi di valore, dando esempio ai deboli e ai forti, mancasse di
quella pazza temerità per cui andava tanto famoso.
- È il destino - mormorò egli, tergendo la fronte madida di sudore nel mentre che Giro Batoë rotolava
al suo fianco col petto fracassato da una palla di cannone. - Lo sapeva, era destino!
Una delle polveriere del villaggio saltò pochi minuti dopo con terribile violenza. Sei indigeni e tre
pirati, fra i quali Balamê, furono seppelliti sotto le macerie, e dalla scossa i terrapieni franarono,
mentre i legni infuriavano con maggiore energia. La prima trincea si dovette abbandonare assieme a
mezze artiglierie, ridotte inservibili, e a ben venti cadaveri.
Fu tentato l'ultimo sforzo per arrestare il nemico che si avanzava verso la costa. Si diresse ancora una
volta il fuoco contro l'altro piroscafo, cercando di mandarlo a picco, ma non vi riuscirono. I cannoni
erano troppo pochi per pensare a lui solo e le difese troppo ruinanti per sopportare il fuoco degli altri
legni.
La seconda trincea saltò assieme alla seconda barriera che seppellì il Nano con una decina dei suoi
uomini.
- Sandokan! - esclamò Yanez, precipitandosi verso di lui col volto annerito dalla polvere. - La
posizione è insostenibile.
- Lo so - rispose il pirata, dando fuoco a un mortaio colla speranza di frantumare le ruote del
piroscafo.
- Se noi rimaniamo ancora, nessun di noi sfuggirà alle loro bombe. Sandokan emise una bestemmia.
Gettò uno sguardo disperato sui superstiti ridotti a soli ventisei pirati, e una ventina d'indigeni, che
continuavano freddamente il loro dovere. Con le artiglierie che rimanevano: non erano che sette
pezzi.
La flotta andava avvicinandosi formando un semi-cerchio attorno le cadenti batterie opprimendoli
sotto un turbine di ferro, mentre le truppe da sbarco si affollavano nelle imbarcazioni galleggianti ai
fianchi dei legni. Uno dei prahos aveva di già gettato l'âncora presso le prime scogliere e i suoi
uomini si apparecchiavano a prendere posizione.
La partita era irreparabilmente perduta. Fra pochi momenti gli assalitori, venti volte forse più
numerosi, doveano sbarcare e attaccare alla baionetta le cadenti batterie e sterminare gli ultimi pirati,
affranti, feriti, decimati.
Per un istante Sandokan ebbe la pazza idea di voler contrastare lo sbarco all'arma bianca con un
pugno di prodi, ma fu un lampo. Le ultime batterie ruinarono sotto i piedi dei difensori che rimasero
allo scoperto esposti al fuoco della flotta. Un ritardo di pochi istanti poteva diventare funesto; le prime
scariche di mitraglia cominciavano a decimare quei prodi che ancor non sapevano decidersi ad
abbandonare quei luoghi. Bisognava ritirarsi.
E Sandokan, sacrificando l'isola, la sua potenza e persino il suo nome, anzic sacrificare gli ultimi
avanzi dei suoi tigrotti, raccogliendo tutte le sue forze per pronunciare quella parola giammai uscita
dalle labbra della Tigre, con una voce che pareva il ruggito di una belva, comandò la ritirata. Nel
momento che i tigrotti colle lagrime agli occhi, il cuore straziato evacuavano le fumanti batterie,
salvandosi nei boschi, il nemico sbarcava massacrando gli agonizzanti a colpi di baionetta.
La stella di Mompracem s'era estinta per sempre!...
CAPITOLO XXIX
Sul mare
La ritirata, dolorosa parola per ogni coraggioso e doppiamente dolorosa per quei pirati che mai
l'avevano udita pronunciare in tanti e tanti anni di battaglia, effettuavasi ordinata e rapidamente.
Era pure straziante per quegli uomini l'abbandonare quei cari luoghi testimoni della loro potenza e
grandezza; era atroce per quegli eroi evacuare quell'isola che avevano chiamato propria ed evacuarla
lasciandola in mano al nemico, eppur non potevano far altrimenti.
Spenti i p prodi campioni della pirateria, arsi i loro legni, arse le loro capanne, le loro batterie,
abbattuta la loro bandiera, vinta e domata la terribile Tigre della Malesia, senza forze e senza mezzi,
non rimaneva altro che emigrare ed abbandonare quelle temute coste prima che il nemico avesse a
spegnere totalmente i superstiti.
Ridotti a un drappello di soli ventidue uomini, la maggior parte feriti, ma ancora validi, ancora
assetati di sangue, ancora anelanti di vendetta, colla morte nel cuore, colle lagrime agli occhi, essi
continuavano la ritirata senza scambiar una parola seguendo la Tigre che marciava alla loro testa ai
fianchi di Yanez.
Quest'uomo veramente strano e terribile che si faceva chiamare Tigre della Malesia, quantunque
sconfitto, quantunque avesse perduto la sua isola che egli chiamava carne delle proprie membra,
quantunque avesse perduto il suo mare che chiamava sangue delle sue vene, quantunque in un sol
colpo avesse perduto e la sua potenza, e la sua gloria e fors'anco il suo nome un cotanto
formidabile, conservava in quella ritirata una calma veramente ammirabile. Si avrebbe quasi detto che
egli, che ci teneva tanto un tempo alla sua fama, fosse quasi quasi contento, e chi sa, forse in fondo in
fondo poteva essere vero.
Era da tanto tempo che aveva preveduto la decadenza della sua isola, che vi si era a poco a poco
rassegnato. Del resto sentivasi egli stesso impotente di lottare con quelli di Labuan ormai troppo forti,
e sentiva di non poter essere più la Tigre di una volta dalle pazze imprese, ora che aveva dietro di
una giovanetta che amava alla follia, ora che era stato affascinato dalla Perla di Labuan.
Nondimeno era inquieto e sul suo volto si scorgevano traccie evidenti di una commozione forte che
non riusciva interamente a nascondere.
- Venite, tigrotti - diss'egli nel momento che questi si arrestavano quasi saltasse loro in mente di
ritornare ai loro distrutti lari. - Chi rimane su questa terra che non è più nostra, è morto. A che
adunque arrestarsi, a che adunque sperare, quando il nostro villaggio e i nostri bastioni non sono più
a porgerci un rifugio, quando i cannoni sono diventati muti, quando i prahos furono infranti,
quando le nostre armi sono spezzate?
"Volete farvi assassinare dalle baionette dei vigliacchi che ci assalirono cento volte p numerosi di
noi? Volete che essi abbiano a mietere gli ultimi fiori di Mompracem che forse un potranno
rifiorire? Venite, perdio, venite! Abbiamo ancora da pugnare e chi sa, forse da pugnare terribilmente.
Si udivano in lontananza le grida dei vincitori che davano il sacco al villaggio, che bruciava assieme
alle batterie. Sandokan raddoppiò il passo, traendosi dietro con un gesto energico i suoi uomini e si
diresse verso un torrente disseccato sulle cui rive si aggirava Inioko.
- Marianna dov'è? - domandò il pirata cercandola collo sguardo.
- Sono laggiù tutte e due, vi aspettano ansiosamente - rispose Inioko. - E che ne fu?... Abbiamo noi
vinto, capitano?
Sandokan non rispose che crollando ripetutamente il capo, poi attraversato il letto del torrente, si
diresse rapidamente verso le due donne che gli movevano incontro. La giovanetta nel vederlo gettò un
grido di gioia; il pirata l'accolse fra le sue braccia senza dir verbo e la strinse contro il suo petto. Ella,
compresa di ciò che era successo al villaggio, indovinò la rotta.
- Povero Sandokan, poveri pirati! - esclamò ella con sincero cordoglio. - Io cominciava ad amare di
già Mompracem.
- , amor mio, siamo stati battuti - rispose Sandokan. - I forti hanno vinto schiacciando i prodi. La
fatalità fu inesorabile.
- E ora che facciamo noi? - domandò Ladgia volgendosi verso il Portoghese.
- Si emigra - rispose Yanez. - Sandokan, il nemico ci è alle spalle, non perdiamo minuti che sono
preziosi.
I pirati giungevano l'un dietro l'altro conducendo i cavalli. Non mancava che salire in sella.
- Amici - disse Sandokan, volgendosi verso i suoi uomini. - Diamo un ultimo addio a questi luoghi e
partiamo. Nessuno rimprovererà gli ultimi pirati di aver ceduto il campo senza averlo contrastato. È
inutile rimanere, emigriamo finché la via è libera, cerchiamo salvarci prima che i vincitori abbiano ad
assassinare fino all'ultimo i tigrotti di Mompracem. Coraggio miei poveri compagni. Voi siete stati
testimoni dei miei sforzi per arrestare l'invasore; nessuno di voi potrà rimproverare la Tigre, non è
vero?
- No, no - risposero in coro i pirati. - Non ti rimprovereranno mai!
- Lo sapeva io che i miei uomini erano ancora gli stessi dopo la sconfitta - disse Sandokan commosso.
- Era scritto lassù che Mompracem dovesse cadere, che la Tigre finisse di ruggire, che i pirati
scomparissero. Siamo stati vinti, ma non domati, ci hanno scacciati da questi luoghi che erano nostri,
ma ci siamo ben difesi. Compagni! Gli è doloroso emigrare, finire la vostra gloriosa carriera in terra
straniera, ma il destino l'ha voluto. Seguiamolo, espatriamo giacché non abbiamo più forze per lottare
col prepotente nemico che ci ha vinti, la Tigre ne dà l'esempio, e voi lo seguirete. A quale scopo farsi
assassinare quando ogni generoso sforzo riescirà inutile? Voi piangete, e io credete che non abbia il
cuore che sanguini?
"In terra straniera avrete ancora forze sufficienti per ritornare pirati. Vi sono ancora delle isole nella
Malesia per offrirvi rifugio. Andatevi, consolidatevi, create una nuova società con una nuova Tigre;
chi sa? Forse un dì potrete ritornare a Mompracem e far tremare ancora i leoni di Labuan.
- Ma voi, ove andate? - domandarono i pirati che alle parole di Sandokan singhiozzavano.
- Io non sono più la Tigre - rispose amaramente Sandokan. - Non contate più su di me che appartengo
corpo e anima all'avvenire. Vi guiderò finché vi sarà bisogno, vi difenderò coll'antico valore di cui
andava orgoglioso, poi, quando non avrete più bisogno di me, vi scioglierò da ogni impegno. Non so
più ruggire, non ho più il braccio armato, non saprei vivere su di un'altra isola come pirata. Ho
bisogno di riposo, la mia carriera è finita.
Dei singhiozzi gli montavano alla gola, mentre i pirati e la giovanetta piangevano come fanciulli. Era
pur commovente veder le lagrime solcare le brunite gote di quei prodi, e i singhiozzi sollevare quei
petti di ferro. Lo stesso Portoghese, il filosofo, non sapeva rattener le lagrime e piangeva come un
fanciullo accanto a Ladgia.
- Non piangete - continuò Sandokan. - Se gli Inglesi vedessero le lagrime solcar le gote degli eroici
tigrotti di Mompracem, riderebbero, essi che tremavano dinanzi alla nostra potenza, essi che
impallidivano dinanzi al nostro valore.
"Vi comprendo, amici miei, è atroce abbandonare e perdere ogni cosa ed essere stati per di più vinti.
Ma chi sa, che un giorno guidati da un altro capo valente, non abbiate a ricambiare queste lagrime in
fiume di sangue. Io allora non sapiù fra voi, ma...
Egli s'interruppe. Un nodo gli serrò la gola.
- Capitano! Capitano!... - esclamarono i pirati, circondandolo. - Perché non rimanete fra noi, voi, sì
valoroso? Non siamo più adunque noi i figli della Tigre?
- Non tentatemi, amici, non lo posso, è impossibile, l'antica Tigre è condannata a morire lontana dalla
sua isola e dal suo trono... Amici, non parliamone più, avrei ora a chiedere un favore ai miei tigrotti.
Me lo accorderete voi, in memoria dei servigi che vi resi?
Vi rispose una voce sola:
- Parlate! Parlate! Il nostro sangue e le nostre vite son sempre vostre.
- Bene - disse Sandokan prendendo per mano Marianna e conducendola in mezzo ad essi. - Voi ieri
l'avevate gridata regina di Mompracem: la sconfitta l'abbatté col suo trono. È d'uopo che essa abbia ad
uscire dall'isola sana e salva. La difenderete voi?
- Sì! Sì! - urlarono i pirati sguainando le scimitarre e i kriss. - Viva lady Marianna! Viva la moglie
della Tigre!
- Grazie, miei buoni amici - disse la giovanetta commossa. - Mi ricorderò di voi e di Mompracem fino
all'ultimo respiro.
- Grazie, tigrotti - ripeté Sandokan, tendendo le mani verso di loro. - E ora, a cavallo, miei prodi, a
cavallo! Bisogna abbandonare le coste prima che il nemico abbia a tagliarci la ritirata.
Era passato anche troppo tempo. Sandokan aiutò la giovanetta a salire a cavallo nel mentre che Yanez
faceva altrettanto colla Dajacca e diede il segnale della partenza.
I cavalli spronati a sangue partirono alla carriera, seguendo un sentieruzzo aperto fra immense
boscaglie che menava alle spiaggie occidentali. Sandokan apriva la via, allontanando i rami e
recidendo colla scimitarra le liane che attraversavano il sentiero e dietro a lui veniva Marianna.
Yanez, Ladgia e i pirati galoppavano in coda colle armi in pugno per essere pronti a qualsiasi attacco.
A mezzanotte essi giunsero in vista dei fuochi accesi nel villaggio degli indigeni, presso al quale
dovevano trovarsi i tre prahos speditivi due giorni innanzi.
Ognuno nel vederli respirò.
- È il mare questo che mugge? - chiese la giovanetta a Sandokan.
- Sì, Marianna, è il mare - rispose il pirata sospirando. - Non avrai paura a seguirmi sul mare, non è
vero, anima mia?
- No, non av paura quando tu verrai con me. Tu sei forte e basterai a difendermi contro ogni
pericolo.
- Sì, Marianna, la mia scimitarra ti difenderà e il mio petto ti farà scudo, e spunterà le armi dei
maledetti. Non ti toccheranno finché avrò una goccia di sangue nelle vene e un tigrotto sui prahos. Te
lo giuro!
La giovanetta lo guardò con occhi lagrimosi.
Sandokan la comprese e avvicinando il suo cavallo a quello di lei:
- Non avranno né l'uno né l'altro. - Poi, cangiando tono: - ho mille risorse, che tutti ignorano. La Tigre
non morrà mai.
Spronò un'ultima volta il suo cavallo e rizzandosi in sella mandò un lungo fischio che era un segnale.
Due fischi simili vi risposero e i fuochi del villaggio si spensero subitamente.
- Orsù - gridò egli volgendosi verso coloro che lo seguivano. - La fortuna è ancora con noi: i prahos
sono all'âncora.
I ventiquattro cavalieri entrarono alla carriera nel villaggio, schiamazzando.
Sandokan bal d'arcione, aiutò Marianna a discendere e mosse assieme ai suoi compagni verso gli
uomini dei prahos.
- Il nemico? - chiese brevemente egli gettando uno sguardo ai tre legni che sonnecchiavano in una
piccola baia.
- Non fu veduto su queste coste - rispose uno dei marinai. - Ma... non si è forse mostrato dinanzi al
villaggio, capitano?
- Sì, puoi ben comprendere l'esito della pugna - disse il pirata sordamente. - Vinto, la fatalità ci spinge
di più a emigrare; la fatalità ci spinge ad abbandonare la nostra Mompracem. Fa armare i tuoi legni,
bisogna affrettarsi.
Tenendo per mano Marianna, egli si spinse fino alla spiaggia e scrucon un colpo d'occhio il mare
sepolto fra le tenebre.
- Tu lo vedi, Marianna - disse il pirata dopo essersi assicurato che alcun lume brillava sul fosco
orizzonte. - Noi abbandoneremo senza essere visti queste care coste un dì tanto potenti e or vinte e
domani saremo lontani, fuori dai pericoli che ci minacciano oggi, tanto lontani da far perdere ai leoni,
che hanno vinto le tigri e che agognano la loro regina, ogni speranza di raggiungerci. Io questa notte
perderò la mia isola che ho tanto amato, il mio nome terror dei forti e del quale andava orgoglioso, tu
perderai quel trono che sarebbe stato potente, tanto da schiacciare col suo peso Labuan e Borneo uniti,
quella grandezza alla quale ti avevano innalzato i pirati di Mompracem. I miei uomini perderanno la
Tigre e la speranza di ritornare un giorno a questi luoghi e rifiorire. Mi seguirai tu malgrado tante
perdite dove io ti condurrò?
- Sì, Sandokan, io ti seguirò ove tu vorrai - rispose la giovanetta passandogli amorosamente le braccia
attorno al collo. - Ti seguirò oggi, domani, sempre. Che importa se non rivedrò p né Labuan,
Mompracem? Che importa se io perdo quel trono che mi avevi dato, quando tu sei ancora mio? Non è
forse tu che io amava sopra ogni cosa?
- Sì, lo so, Marianna - mormoil pirata stringendola appassionatamente fra le braccia. - Vedi, tu non
sai ciò che io perdo in questa notte maledetta, non potrai giammai comprendere i dolori che straziano
il cuore di un pirata che si vede strappare la sua isola, vera carne delle sue membra, dopo di aver
assistito all'assassinio di tanti prodi che chiamava suoi figli. Tu non indovini i timori che agitano la
mia anima che era di ferro. Se non avessi te, io sarei capace di rimanere, di disputare palmo a palmo il
terreno all'invasore, di seguire nella morte coloro che mi hanno preceduto, e non lo faccio perché non
posso farlo, perché io voglio vivere per te, perché voglio difenderti contro i leoni che ti minacciano, e
dissipare le inquietudini che mi agitano.
"Senti, Marianna, non ho mai avuto paura, e si direbbe che in questa notte, dopo la sconfitta, io ho
paura!
- Non lo crederò, mio valoroso, tu sei ancora la Tigre. Essi hanno ancora paura di te, tremano.
- La Tigre! - esclamò il pirata con accento doloroso. - Essa è morta, Marianna, o se non lo è del tutto è
moribonda; io lo sento, il mio braccio non possiede più l'antico vigore, l'anima non è più di ferro, il
cuore è incatenato, il ruggito si è spento sotto i soffi della fatalità e sotto l'ardente alito di una
fanciulla divina che amo. Io sento che non tornerò più a Mompracem, per ritornare a farla brillare,
sento che sono morto.
"E sia, non mi lamenterò giammai che tu abbia incatenato la belva, che tu l'abbia domata; era scritto
lassù che così dovesse accadere, che Sandokan non morrebbe sul mare sulla sua isola, ma fra le
braccia di una fanciulla. Il pirata sospirò, poi, cangiando bruscamente tono e discorso:
- Marianna - diss'egli, - partiamo. Partiamo prima che l'uragano che ci minaccia si scateni, prima che
la Tigre nel momento supremo del sacrificio abbia a risvegliarsi, prima che i tigrotti abbiano tempo di
pentirsene.
Il mare è libero, i prahos ci aspettano pronti a prendere il largo, il vento è propizio. Partiamo prima
che l'alba dissipi le tenebre.
- Partiamo, Sandokan, e quando noi avremo varcato la crociera, su qual terra pianteremo il nido?
- Sulla terra che tu vorrai, amor mio, su di una terra ove la Perla di Labuan possa ritrovare i suoi
boschi e i suoi fiori, senza rimpiangere la sua lontana patria. Tu sceglierai, io ti seguirò ovunque,
purché il grido di Mompracem non lo possa udire mai più.
I prahos erano stati accostati alla spiaggia e avevano salpate le âncore e spiegate le enormi loro vele,
che si gonfiavano di già sotto i soffi della tramontana. I pirati, cupi e taciturni, non aspettavano che il
segnale dell'antico capo per imbarcarsi.
Sandokan, tenendo per mano la fanciulla, li raggiunse. Egli si arrestò in mezzo a essi e additò i tre
prahos.
- Amici - diss'egli con voce che si sforzava di rendere calma, - il momento di partire è giunto. Un
ultimo addio alla nostra isola, che tornead addormentarsi sul mare come dormiva prima che noi vi
piantassimo le nostre capanne, e poi prendiamo il largo. Il destino lo vuole.
Attraversò i suoi uomini con passo fermo, mentre i più vecchi singhiozzavano e i più giovani
lagrimavano e salì risolutamente a bordo del prahos più grosso. Dieci dei più forti della banda lo
seguirono. Il Portoghese con Ladgia con altrettanti pirati prese posto nel secondo prahos che portava
tutti i tesori di Sandokan e Inioko cogli ultimi che rimanevano occuil terzo, il minore dei tre e il
meno armato, ma nondimeno capace di tener fronte a una cannoniera.
Il segnale venne dato un momento dopo, e i tre legni sotto il vento settentrionale, taciti e protetti dalle
ombre della notte, presero il largo portando seco gli ultimi superstiti della formidabile banda di
Mompracem. Sandokan, a fianco della giovanetta che appoggiava il capo sul suo petto, era in piedi a
poppa, per vedere un'ultima volta quelle coste che non doveva riveder p mai. I suoi uomini gli
facevano corona, cogli occhi fissi su quelle vette che a poco a poco si perdevano fra le tenebre,
testimoni della passata grandezza dei pirati in quei mari. I più vecchi campioni della pirateria
piangevano come fanciulli, tendendo le robuste braccia verso la loro isola con gesto disperato.
- Compagni! - disse Sandokan, alzando le braccia sopra di essi. - Diamo un ultimo addio a questi
luoghi, e cerchiamo seppellire il passato sperando nell'avvenire, che una voce interna mi dice sarà
ridente per entrambi. Oggi perdiamo l'isola, oggi perdiamo il mare, la nostra potenza, la nostra patria,
domani forse la riconquisterete, facendo pagar cara l'audacia dei potenti che hanno schiacciato i
deboli: i fiori che muoiono oggi, potranno rifiorire domani.
"Chi dice che non ritornerete a Mompracem, e che non abbiano a ritornare ancora i tempi della Tigre?
Chi dice che oggi io fuggiasco, senza artigli e senza forza per ruggire, non abbia a guidarvi ancora di
vittoria in vittoria? Chi sa, potrebbe forse venire un giorno che l'addormentato avesse svegliarsi e
ritornare il pirata?
"Emigriamo oggi che siamo deboli, salviamoci dai colpi di un nemico senza pietà, e dimentichiamo il
passato. Via queste lagrime che non sono degne di un pirata di Mompracem! Vedete, io non piango,
eppur soffro egualmente la perdita del mio mare, della mia isola che amava sopra ogni cosa, dei miei
compagni che formavano la mia potenza e che amava come fossero miei figli, e di più il nome che
non udrò forse più mai!...
- Non ditelo, non ditelo! - esclamarono i pirati. - Oh! sì, lo udremo ancora. Non é vero che ritornerete
fra noi? Non è vero che tornerete la terribile Tigre dei tempi passati?
La Tigre scosse il capo con gesto disperato.
- Non lo posso, ve lo dissi ancora, noti sono plibero, non ho più forze, non so più ruggire. Ho delle
catene che mi legano e che non posso spezzare; ho paura che non ci rivedremo più mai. Poveri
compagni! Poveri tigrotti di Mompracem!...
Il pirata trasse a Marianna, e spense un singhiozzo che salivagli alla gola in un bacio sulle sue
labbra.
- Essa mi ha domato - diss'egli mostrandola ai pirati con gesto appassionato. - Sono suo!
Alzò il capo, e guardò il mare con inquietudine. Egli trasalì nello scorgere due punti luminosi che
solcavano l'orizzonte.
Emise un ruggito soffocato: si volse verso i suoi uomini come una belva rabbiosa.
- Voi mi parlavate poco fa di vendetta, di sangue, di pugne - diss'egli con voce arrangolata, serrandosi
fortemente al petto Marianna quasi che temesse che gli venisse strappata. - Ebbene, ecco laggiù due
leoni, che aspettano il momento opportuno per gettarsi sulla Tigre e sui suoi figli. Su, su, tigrotti!
Impugnate le armi! Io divento ancora una volta la Tigre della Malesia assetata di sangue e di vendetta!
Un urlo di furore s'alzò fra i suoi uomini, al quale risposero quelli degli altri prahos che avevano
egualmente scorto il nemico, che s'avanzava tacitamente. Ogni braccio alzò la scimitarra,
minacciando i due prepotenti che venivano a sfidarli persino sul mare.
- Anche sul mio mare, adunque, vieni a inseguirmi? - muggì Sandokan con terribile accento. - Oh!
non mi avrai finché mi rimarrà la forza d'alzare il braccio e stringere un'arma, non mi vincerai per due
volte di seguito. Maledetto da Dio! Su, tigrotti, su, tutti colle armi in pugno! La Tigre della Malesia vi
guida e la vostra regina vi addita la vittoria!
Non ci voleva di più per animare i pirati, che ardevano di vendetta e che sognavano con un disperato
combattimento di riacquistare la perduta Mompracem. Tuttavia non bisognava commettere pazzie e
gettarsi perdutamente contro i due vascelli che potevano essere cinquanta volte più forti di loro.
Sandokan lo comprese pel primo e s'accorse che una seconda pugna sarebbe stata più che pericolosa
pei suoi uomini, prodi ma pochi, per sé e per Marianna. Dominando la smania di vendicarsi e l'ira che
bollivagli in petto, anziché muovere incontro ai due vascelli ordinò di volgere la prua all'oriente.
- Compagni - diss'egli, intimando silenzio a coloro che chiamavano il nemico. - Prima di cimentarsi in
un ultimo combattimento che potrebbe rinnovare la sconfitta di oggi, tentiamo d'ingannare coloro che
c'inseguono. Quando suonerà il momento di dare l'abbordaggio o d'ingaggiare la battaglia, colla
sicurezza di vincere, ne darò il segnale primo di tutti. Non compromettiamo inutilmente gli ultimi
avanzi della pirateria, che potrebbero un giorno risorgere.
L'oscurità favoriva la fuga; nulla di meglio che effettuarla, finc rimaneva il tempo. I pirati,
ubbidienti alle parole dell'antico capo, paventando una seconda sconfitta, si appigliarono al suo
proposto partito.
I tre prahos che un momento prima veleggiavano al sud, virarono di bordo e senza essere stati scorti,
si diedero alla fuga verso l'ovest lasciandosi alle spalle l'isola.
Il vento era anche propizio, non troppo forte per poter intraprendere una gara di celerità coi legni
nemici che erano forniti di macchina, ma sufficiente per frapporre una rispettabile distanza prima che
l'alba avesse a dissipare le tenebre e metterli allo scoperto. Sandokan sperò di poter isfuggire al
nemico che non sospettava sicuramente la presenza dei prahos.
- Marianna - diss'egli, volgendosi verso la giovanetta pallida bensì ma fiduciosa al pari di lui. - Il
nemico è , ma non ci ha scorti; non temere di nulla, noi ti difenderemo fino all'estremo. Prima che i
maledetti abbiano a porre la mano su di te per trascinarti ancora nella loro isola, bisogne che mi
abbiano ad uccidere.
- Non tremo, Sandokan, tu lo vedi - rispose la giovanetta che ad onta di ciò si sentiva assalita da
funeste inquietudini. - Lo so che tu e i tuoi mi difenderanno, lo so che i pirati sono ancora forti. Io non
ho paura come non ne ebbi ieri.
- Sì, non hai paura, io so che tu sei coraggiosa. Eppure... no, non ti avranno, io rispondo della tua
difesa.
I tre prahos, a una distanza di cinquanta passi l'un dall'altro, continuavano la fuga passando a poche
miglia dai due fanali che parevano avvicinarsi come eseguissero una perlustrazione in quel tratto di
mare. Tutti i pirati, armati sino ai denti, caricati i cannoni, manovravano in silenzio sui ponti, senza
perderli di vista, cercando indovinare la manovra senza dubbio un po' strana delle due navi. Si
avrebbe detto che senza rumori, eccetto quelli delle macchine che rantolavano e le battute delle ruote
che mordevano le acque, cercassero di avvicinarsi ai tre legni, che sfilavano come ombre confuse tra
le tenebre, verso l'ovest.
- Che ci avessero di già scoperti? - mormorò Sandokan, che sentiva l'inquietudine di nuovo assalirlo.
- Ohe! - gridò d'un tratto una voce che fu conosciuta per quella del Portoghese. - Non vedete che ci
danno la caccia?
I due legni nemici, un piroscafo e una cannoniera, quegli stessi che avevano preso parte al
bombardamento, descrivendo un brusco angolo avevano cangiato via. Essi mossero arditamente
quanto inaspettatamente verso i tre prahos lontani allora mezzo miglio; i loro camini eruttavano nubi
di fumo dai riflessi rossastri e le ruote mordevano precipitosamente le acque.
- Ah! miserabili! - esclamò Sandokan mentre i pirati gettavano un urlo di furore correndo ai cannoni.
- Dio mio, io sono perduta! - mormorò la giovanetta appoggiandosi al braccio di Sandokan, che la
sosteneva.
- Non ancora, non ancora! - rispose il pirata. - Marianna, raggiungi la tua cabina, e lascia a me la forza
per ischiacciarli.
Un colpo di cannone partì dal piroscafo che giungeva a tutto vapore cercando separare i tre prahos. La
palla fisch alle orecchie di Sandokan, mentre una seconda palla partita dalla cannoniera che già
cercava di abbordare il legno del Portoghese, smussava l'albero di maistra. Inioko aprì subito dopo il
fuoco, imitato dagli artiglieri degli altri prahos.
- Nella cabina, anima mia! - escla Sandokan, commosso. - Bisogna che io sia completamente
libero perché ritorni la Tigre della Malesia.
Afferrò fra le vigorose braccia la giovanetta e mentre che la mitraglia fischiava a lui d'intorno
frantumando con orrendi scrosci gli attrezzi, si precipitò nella cabina. Marianna si aggrappò
disperatamente al suo collo nel momento che pigliava lo slancio per risalire la scala.
- Sandokan! Sandokan! - esclamò ella con voce tremante. - Non lasciarmi così, non allontanarti dal
mio fianco... Ah! Sandokan, ho paura... ho paura, ho sinistri presentimenti.
Il pirata se la staccò con dolce violenza.
- Non tremare, amor mio - le disse. - Lascia che io salga in coperta, lascia ch'io provi ancora una volta
le emozioni che provavo quando ero Tigre, lascia che io oda ancora una volta il ruggito dei cannoni e
il sibilo delle bombe e le urla dei morenti, che io veda ancora sangue e cadaveri. Bisogna che io ti
difenda.
- Ah! Se tu sapessi quali sinistri timori mi assalgono! - mormorò la giovanetta. - Rimani presso di me
e io ti difenderò dalle armi dei miei compatrioti. Sandokan! Sandokan!...
Il cannone tuonava furiosamente in coperta e si udivano le urla terribili dei combattenti e i gemiti
strazianti dei feriti. Sandokan si svincolò dalla giovanetta e si scagliò come un forsennato verso la
scala urlando:
- Sangue! Sangue! La Tigre della Malesia ha sete! Guai chi tocca mia moglie! Io la difendo!...
La cannoniera si batteva disperatamente contro il prahos del Portoghese che le faceva saltar i suoi
uomini e che le frantumava le ruote, le murate e gli alberi, a meno di mezzo miglio di distanza. Il
piroscafo assaliva invece con vantaggio il prahos di Sandokan e quello del Dajacco coprendoli di
ferro, fracassando i loro fianchi, smontando le artiglierie e sventrando i marinai.
La comparsa della Tigre rianimò i pirati che si sentivano impotenti dinanzi a tanta pioggia di bombe e
di mitraglia. Il terribile uomo si mise in persona a uno dei cannoni, urlando sempre ferocemente.
- Ho sete! Ho sete! Venite a prenderla se avete sangue nelle vene. La Tigre della Malesia difende la
Perla di Labuan!
Ma, ad onta che le sue palle tempestassero il gran vascello con matematica precisione, le sorti
volgevano alla peggio pei pirati.
La pioggia di ferro continuava a cadere più fitta che mai sdruscendo e rasando come pontoni i due
poveri legni. Era da vedersi che fra pochi minuti tutto sarebbe stato finito. La Tigre della Malesia
gettò un urlo disperato.
Egli fece imbarcare tutti gli uomini dell'altro prahos sul suo legno, poi traendo la scimitarra comandò
risolutamente l'assalto.
- Su, miei prodi tigrotti - tuonò egli cercando dominare il crescente fracasso delle artiglierie. -
All'abbordaggio! All'abbordaggio!
La disperazione centuplicava le sue forze come quelle dei compagni. Rispondendo coi due cannoni
che rimanevano ai venti del piroscafo, i tredici pirati, manovrando ai remi, spinsero lo sdruscito legno
sotto le tambure del vapore, assordando l'aria colle loro grida minacciando il nemico che non sostava
un sol minuto dal mitragliarli per arrestarli.
- Non aver paura Marianna, io vengo! - urlò un'ultima volta Sandokan, mentre la giovanetta lo
invocava.
Poi alla testa dei suoi uomini, intanto che il prahos del Portoghese più fortunato metteva la cannoniera
fuor di combattimento, colla scimitarra in pugno e il kriss fra i denti, diede l'abbordaggio
inerpicandosi sulle tambure, sciabolando i primi uomini che cercavano contrastare il passo. Egli si
precipitò in coperta come un toro ferito.
- Sono la Tigre! Sono la Tigre! - urlò egli, facendo balzi da belva. - Guai chi mi tocca!
Dieci uomini lo seguivano con Inioko. Essi andarono a cozzare furiosamente contro i marinai, che
correvano a loro incontro colle scuri alzate e si mescolarono assieme a loro, pugnalando i più vicini e
sciabolando i più lontani.
Sandokan che si trovava fra i primi, sospinto dall'onda dei combattenti si tro di fronte al
comandante, che riconobbe subito.
- Dov'è Marianna? - chiese questi parando un colpo di scimitarra che sarebbe stato capace di fendere
una rupe.
- Ah, sei tu, William! - urlò il pirata sprofondando il kriss nel ventre di un soldato che rotolò ai suoi
piedi.
Fece un salto di tre metri sopra le armi del nemico, che l'incalzava, e piombò come una tigre sul
baronetto che non ebbe il tempo di parare l'urto. La scimitarra gli spaccò il cranio e lo rovescfra i
combattenti.
- Ammazza! Ammazza! - urlò il pirata, cercando aprirsi il varco fra i soldati a colpi di scimitarra.
Non vi riuscì. Sdrucciolò, cercò rialzarsi e tornò a sdrucciolare. Quel momento bastò. Ricevette una
mazzata sul capo col rovescio di una scure e cadde mezzo morto fra i cadaveri che ingombravano il
ponte.
CAPITOLO XXX
I prigionieri
Quando tor in sé, ancora stordito dal terribile colpo ricevuto in mezzo al cranio, la Tigre della
Malesia si trovò incatenata nella stiva del vascello nella impossibilità di muoversi.
In sulle prime si credette in preda a un terribile sogno, ma il dolore che gli martoriava il capo, le carni
straziate qua e dalle punte delle baionette e delle sciabole, le vesti lacerate e le catene che gli
serravano i polsi e i piedi, lo richiamarono in breve alla realtà.
Nondimeno non volle credersi prigioniero e si rizzò, scuotendo furiosamente le catene che mandarono
un suono lugubre. Si guardò d'attorno con occhi smarriti, ma non vide che le umide pareti della stiva e
botti accavallate le une sulle altre che gemevano sotto il rollio lento e misurato della nave. Cer il
suo fedele kriss e la sua scimitarra, ma non trovò l'uno l'altra. Egli batté la testa addolorata
contro le botti, come volesse svegliarsi. Fu allora che s'accorse di essere proprio sveglio e di essere
prigioniero nel fondo del vascello. Emise un ruggito d'ira, di dolore e di vergogna.
- Marianna! Marianna! - muggh lo sventurato pirata con accento disperato. - Dove sei tu, fanciulla
divina, rispondi anima mia, dove sei?...
La Tigre della Malesia che non aveva mai saputo cosa fosse paura ebbe in quel terribile momento a
provarla. Sentì smarrirsi la ragione, confondersi, si sen alfine impotente; un eccesso di tremendo
furore lo prese.
Si gettò a terra, contorcendosi disperatamente colla spuma alle labbra, gli occhi fuori dall'orbite.
Ruggì, urlò, bestemmiò, maledì, invocò, supplicò.
- Marianna! Marianna! - ripeteva egli fuori di sé scuotendo i ferri e cercando di spezzarli. - Marianna!
Dove sei tu, amor mio, anima mia, fanciulla adorata, mia felicità? Dove sei tu? Rispondi, rispondi al
tuo Sandokan, alla sventurata Tigre della Malesia.
"Mompracem, mia isola, carne delle mie membra, mia patria, dove sei, che è avvenuto di te? Yanez,
mio buon fratello, compagni, tigrotti miei, siete adunque tutti morti, proprio tutti? Oh! Non è
possibile: non lo voglio credere... Io son pazzo!
Per dieci minuti, si roto per terra, empiendo la stiva delle sue urla disperate, poi si sollevò e cercò
precipitarsi verso la scala che metteva capo al boccaporto, ma i ceppi lo fecero cadere sulle ginocchia.
Mandò un gemito.
Tornò a guardarsi attorno con ispavento, col volto orribilmente contraffatto.
- Ma dove sono? - si chiese egli. - Che è successo dopo che caddi sul ponte del legno nemico?
"Che è accaduto di Marianna che abbandonai senza difesa sullo sdruscito e affondante prahos? È
morta? È viva?... Che è avvenuto degli ultimi tigrotti di Mompracem! Sono io solo rimasto vivo fra
tanti e per essere trascinato sul patibolo di Labuan?
"Ah! Ironia del destino!... Tutti morti! Morta la mia fidanzata, morto Yanez, morti i miei prodi, morto
persino l'eroico Inioko? Fatalità, quanto sei terribile contro di me!
Egli s'arrestò di botto, sorpreso nell'udire una voce uscire dal vano lasciato fra due imbarcazioni
rovesciate.
- Inioko! - diceva quella voce. - E chi dice che io son morto? Sandokan trasalì. Non era dunque solo
in quella prigione?
Si rizzò, scuotendo le catene. Un analogo fragore rispose a poca distanza e la medesima voce di
prima, riprese:
- E chi dice che io sia morto? Ho forse l'aspetto di un morto? Possibile che sia nel ventre di un
vascello subissato?
- Inioko! - esclamò Sandokan che riconobbe la voce del bravo Dajacco. - Inioko!
Inioko colla testa fasciata, apparve fra le due imbarcazioni. Egli sbarrò tanto di occhi.
- Un altro morto! - diss'egli con profondo terrore. - Oh!... La Tigre della Malesia!... Capitano!
Capitano!...
Il Dajacco vacillò come un ubbriaco, poi facendo salti da kanguro si precipitò verso di lui.
- Non è vero che siete morto, mio capitano? - escla egli, toccandolo. - La Tigre non può essere
morta, era invulnerabile.
- No - rispose Sandokan curvandosi su di lui. - Non sono morto, la sola anima credo che abbia finito
di vivere.
- Lo sapevo io che la Tigre l'avrei riveduta. Vi ho veduto cadere dopo di aver fatto macello di quelle
canaglie, ma non potevano avervi ancora ucciso. Ah! mio capitano, io piango dalla gioia nel trovarvi
qui vivo.
- Ah! tu mi hai visto cadere! Tu ti battevi ancora adunque quando mi hanno stordito! Racconta!
Racconta! Io non mi rammento più di nulla, non ho veduto più nulla dopo la mazzata. Ne sai nulla di
Marianna? È morta essa?
- Morta?! - esclamò Inioko sorpreso. - In fede mia, chi avrebbe potuto uccidere la regina di
Mompracem?
- Ah, non è morta adunque! - urlò Sandokan. - Racconta Inioko, parla Dajacco mio, che ne hanno
fatto di essa?
- Aspettate, capitano: ora mi ricordo. Voi eravate caduto, io mi batteva ancora alla testa di tre o
quattro valorosi, cercando portarvi soccorso. Mi trovavo addosso alla murata di babordo quando vidi
una decina di giacche rosse guidati da un luogotenente precipitarsi sul ponte del vostro prahos che
stava per affondare. La giovanetta spaventata dall'acqua che aveva invaso la cabina chiamava
disperatamente aiuto invocandovi, essi l'avevano riconosciuta.
- Era viva, ancora viva, ancora mi chiamava e io non poteva salvarla! - esclamò Sandokan. -
Maledizione!
- Io li ho veduti risalire a bordo portandola fra le braccia. Doveva essere svenuta, ma non morta,
poic un momento prima la udii colle mie orecchie chiamarvi per nome. Eravamo quattro, feriti e
accerchiati, ma credetelo, mio capitano, ci siamo avventati sul nemico colla speranza di liberarla. Non
fu possibile, io caddi sotto un colpo di manovella che mi fece svenire, mentre essa veniva trasportata
in una delle cabine ancora svenuta.
- È adunque a bordo di questo vascello? L'hai proprio veduta coi tuoi occhi che non era morta?
- Non è morta, capitano, posso affermarlo senza timore; come posso assicurarvi che essa è a bordo del
piroscafo.
Sandokan mandò un urlo di gioia. La speranza di tentare la liberazione di Marianna, quantunque
incatenato, e senza armi, gli balenò nella mente. Sentì le forze centuplicarsi e si sentì capace di
infrangere i ceppi che lo imprigionavano.
- Marianna! Marianna! - esclamò egli, alzando le braccia verso il ponte. - Oh! ti libererò, sì, ti salverò
fanciulla divina! Aspetta che io esca di qui, e vedrai che io tornerò a strapparti anche in mezzo a mille
uomini, anche in mezzo a mille cannoni, a mille piroscafi.
- Ma come farete mai voi a liberarla? - chiese Inioko. - Non abbiamo un uomo su cui contare a bordo
di questo legno, non abbiamo armi!
Lascia pensare a me, Inioko. Se occorre tornerò a diventare la sanguinaria Tigre della Malesia,
rioccuperò Mompracem, chiamerò sotto le bandiere tutti i pirati della Malesia, trucidemille uomini
per farmi un nome ancor più terribile. Finché avrò una goccia di sangue nelle vene, la forza
d'impugnare la scimitarra, pugnerò per liberare colei che chiamai mia moglie.
"Che importa se dopo avermi scacciato dalla mia isola, di avermi assassinato i miei tigrotti, mi hanno
fatto prigioniero? Non sono io forse ancora Sandokan dalle leggendarie imprese, la temuta Tigre della
Malesia? Che importa se oggi mi hanno strappato la mia fidanzata, quando ho veduto l'aborrito rivale
ruinare fulminato ai miei piedi? Che la portino a Labuan o a Sarawak, in India o in Inghilterra, la
raggiungerò a qualsiasi costo. Giurai nei boschi di Labuan e di poi sulle spiagge di Mompracem, che
Marianna Guillonk diverrebbe mia sposa, e lo diverrà.
- Ma non vedete adunque che camminiamo verso la forca e che abbiamo le catene alle mani e ai
piedi?
- Marciamo verso la forca! Credi tu, Inioko, che io non sappia trovare il mezzo per uscire da
quest'orrida prigione? Siamo senz'armi, siamo senza aiuti, circondati da un nemico che ha giurato di
trascinarci sulle forche di Labuan, ma la Tigre della Malesia ha mille risorse. Inioko, prima che
abbiamo a giungere in vista delle coste maledette, noi saremo liberi.
Il pirata aveva pronunciato tali parole con tanta sicurezza da credere seriamente che avesse in mano i
mezzi per tentare la fuga.
- Voi mi fate strabiliare, capitano - disse Inioko.
- Sarà possibile.
- E dite che ritorneremo in mare?
- Sì, e liberi sul libero mare.
- E una volta sui flutti, che si farà?
- Una domanda, prima, Inioko. Che ne fu del Portoghese? Io caddi nel momento che frantumava le
ruote della cannoniera.
- La fortuna era con lui, capitano - rispose Inioko. - Aveva uomini di ferro a bordo del suo prahos e
cannoni che ruggivano con matematica precisione. Spez le ruote alla cannoniera, la demattò dei
suoi attrezzi, l'abbordò dopo averle distrutto tre quinti dell'equipaggio e l'incendiò. Quando il
piroscafo lo inseguì egli era di già lontano e fuori di portata delle artiglierie.
"Dove diavolo è andato a cacciarsi? Io l'ignoro, ma scommetterei la mia testa che egli alla lontana ci
segue e che forse medita di abbordare il piroscafo.
- Non farà nulla, egli è troppo debole. E tutti gli altri sono morti adunque?
- Tutti morti colle armi in pugno - disse Inioko, asciugandosi di nascosto una lagrima.
- Morti! - mormorò con cupo dolore Sandokan prendendosi la fronte fra le mani. - Io non li vedrò più
adunque quei miei prodi, quei miei figli!
- Non li rivedremo più mai - ripeté il Dajacco. - Erano duecento i tigrotti di Mompracem e duecento
sono morti. Poveri compagni!
- E tu hai veduto cadere Singal, il prode Singal, uno dei più vecchi campioni della pirateria, che pugnò
in cento abbordaggi?
- Sì, mio capitano, io l'ho veduto cadere al mio fianco spaccato da una palla di cannone.
- E il valoroso Saugau, il leone delle Romades, anch'egli hai veduto morire?
- È morto. Io l'ho veduto precipitare in mare colla testa sfracellata da una scheggia di mitraglia.
- Sono tutti morti, proprio morti adunque, quegli eroi che io traeva all'abbordaggio del piroscafo che
ci vinse?
- Tutti. Io li ho veduti cadere ad uno ad uno sul ponte del prahos e più tardi sul ponte del vascello. La
fatalità pesava su di noi.
- Fatalità! Fatalità! - ripeté Sandokan ferocemente. - E fui io a trarre alla morte quella schiera di prodi
che si chiamavano i tigrotti di Mompracem!
Il pirata tacque e s'immerse in dolorose meditazioni. Inioko si accovacciò in un angolo della stiva,
aspettando colla impassibilità propria dei selvaggi gli eventi, mentre il piroscafo, con lieve rollio,
continuava la sua corsa verso Labuan sotto la poderosa spinta delle grandi ruote che turbinavano con
crescente rapidità sui suoi fianchi.
Sandokan, passato il primo momento di commozione e ricacciati nel fondo del cuore i neri pensieri
che lo assalivano, si mise a meditare per tentare la fuga.
Non ignorava che lo si trasportava a Labuan e che una volta giunto a Vittoria lo si avrebbe impiccato,
e che né le preghiere di Marianna né l'influenza del lord, assai dubbia però, l'avrebbero salvato. Di qui
la necessità di prendere il volo prima di giungere in vista dell'isola esecrata.
Uomo di ferro, coraggioso come il leone, feroce come la Tigre, astuto come un selvaggio, quantunque
senza mezzi, aveva la sicurezza di riuscire nel suo piano.
- Non so su chi contare - mormoegli seguendo il filo dei suoi pensieri, - ma sono ancora la Tigre
della Malesia, l'uomo dalle mille risorse e dalle leggendarie imprese.
"Non ho meco nemmeno un'arma per tentare arditamente un assalto, non ho nemmeno le forze, ma mi
rimane l'astuzia che sarà in mano un'arma potente. Oh! non aver paura, anima diletta, non tremare,
adorata Marianna, non mi trascineranno, no, sul pennone infame degli assassini, non ti
sacrificheranno, no, a un altro uomo.
"Essi sono forti, noi siamo deboli, ma aspetta che io sia libero da questi ceppi, che io nuoti libero sul
mio mare, e poi verrò a salvarti a dispetto del lord e di tutti i tuoi compatrioti.
"Aspetta, fanciulla divina, che la falsa morte faccia di me un falso cadavere, che la Tigre si
addormenti sull'onde, per risvegliarsi libera, e poi mi vedrai all'opera.
"Tremino allora coloro che cercheranno sbarrarmi la via che mi conduce a te, tremino quei rivali che
avranno osato parlarti d'amore e tremino coloro che avranno ardito lanciarti un insulto. Il lord stesso
sacrifiche se cercherà d'arrestarmi; cad fulminato ai miei piedi come vi cadde il maledetto
William sul ponte di questo piroscafo.
Il pirata digrigfuriosamente i denti e strinse le pugna con gesto minaccioso. Stette un momento
immobile e cupo, cogli occhi torvi fissi a terra, poi si volse bruscamente verso il Dajacco.
- Inioko! - gridò.
Il tigrotto accorse, saltellando come un kanguro, facendo stridere lugubremente le catene.
- Eccomi, capitano.
- Potresti tu assicurarmi che Yanez sia ancora libero?
- Vi occorrerebbe forse Yanez?
- Sì. Senza di lui, la fuga diverrebbe la nostra morte.
- Oh! - esclamò Inioko. - Avete di già progettato la fuga. Ma le armi?
- Lascia a me la cura di fabbricare le armi. Abbi fiducia nella Tigre della Malesia, che tutto p. Orsù,
si tratta di sapere se il Portoghese è libero, ora.
- È mia opinione che ci segua a corta distanza. Ha con sé degli uomini bravi e un prahos, che sfida un
vascello a vapore dei più rapidi.
- Ecco ciò che mi interessa sapere, prima di farmi gettare in mare. Una volta sulle onde, penserei io a
salvare la mia fidanzata.
- Che diavolo andate dicendo, capitano! - esclamò Inioko spaventato.
- Hai paura di farti buttare in mare?
- Nemmen per sogno. Ma chi ci getterà?
- GI'Inglesi.
- Non capisco. A quale scopo?
- Che se ne fa di un cadavere?
- Lo si mette in un'amaca e lo si getta nel gran cimitero umido - rispose il Dajacco.
- Così faranno di noi, ma non aver paura che noi risusciteremo. Te lo giuro.
- E una volta risuscitati torneremo a fare i pirati? Ah! se ciò si avverasse, se noi tornassimo ancora a
Mompracem!
Una nube oscurò la fronte di Sandokan; egli scosse con furore i ferri che lo incatenavano.
"Lascia i pirati! - esclamò con ira che poteva scambiarsi per disperazione. - I pirati non hanno più
nulla da fare su questi mari che non appartengono più alla Tigre della Malesia. I forti sono spenti.
Non risorgeranno più mai, e poi, a qual pro? Tiriamo un velo sul passato e guardiamo in faccia
l'avvenire che è ancora oscuro, e forse terribile.
- Tutto è morto adunque? E tutto muore attorno a noi, perfino le speranze, e poi a chi toccherà morire?
A noi forse?
- , tutto è finito per la pirateria, Inioko - disse Sandokan con istrazio. - Non mi rimane più nulla da
tentare su questi mari, fuorché la liberazione di Marianna, che sarà l'ultima impresa della Tigre della
Malesia, se pur non seguirò nella tomba coloro che mi han preceduto.
- E se la liberate, dove andrete poi?
- Dove andrò? L'ignoro, né cercherò il saperlo; purc fugga da questi luoghi, non voglio altro...
Andrò dove lei vorrà, se pur tornerà a esser mia!... Potessi ancora stringerla fra le mie braccia, potessi
ancora sentire i battiti del suo cuore contro il mio petto, potessi ancora udire la sua voce, respirare il
suo profumo che mi inebbriava e posare le mie labbra sulle sue!... Mille tuoni! Perché non proverò
ancora quelle emozioni sublimi? Perché?...
- Voi nutrite sempre la speranza di rapirla - disse Inioko. - Ma non vedete che siamo circondati
d'armati?
- Ma io le spunterò, le infrange queste armi - muggì Sandokan con furore. - Ah, credono loro di
aver vinta per sempre la Tigre? Credono loro di averla domata incatenandola. No, ira di Dio!
Guarda!...
Il pirata, raccogliendo la sua erculea forza, raddoppiata dall'esaltazione a cui era in preda, torse i ferri
che gli stringevano i polsi, li aprì, li spezzò e li scagliò contro le pareti della stiva, poi abbassandosi
con una violenta strappata separò la catena che gli univa i piedi. Egli si rizzò fieramente coi pugni
stretti, la faccia truce.
- Guarda la Tigre libera! - esclamò egli.
In quel medesimo istante il boccaporto di poppa si sollevò e la scala gemette sotto il peso di un uomo
che scendeva. Sandokan afferrò una manovella risoluto a difendersi prima di farsi incatenare; il
Dajacco, quantunque in ceppi, raccolse l'aspa d'un argano.
Un soldato armato di carabina colla baionetta inastata comparve e dietro a lui un luogotenente e un
marinaio armato sino ai denti. Nello scorgere Sandokan libero e colla manovella minacciosamente
alzata, essi s'arrestarono.
- Oh! potete scendere - disse il pirata, ghignando e abbassando l'arma. - Ma che non vi salti in testa
l'idea di volermi incatenare. La Tigre potrebbe diventare rabbiosa.
Il soldato e il marinaio lo presero freddamente di mira, nel mentre che il luogotenente colla sciabola
sguainata gli si avvicinava.
- Gli è per presentarmi due uomini in ridicola posa che siete sceso in questa stiva? - chiese
Sandokan beffardamente. - Potevate risparmiarmi questo grottesco divertimento.
- Non è per ciò che sono disceso nella gabbia della Tigre - rispose il luogotenente. - So che due fucili
non sono capaci di spaventare un uomo come voi, il cui coraggio è popolare quanto la ferocia. Prendo
solo delle precauzioni.
- Si ha paura adunque della Tigre della Malesia? Non lo avrei creduto dopo che se l'ebbe incatenata.
- E perché no? Chi ha veduto la Tigre combattere non potrà mai vantarsi di non aver avuto paura.
- Infine che volete?
- Ho avuto un ordine. O - disse volgendosi verso i suoi marinai, - liberate questi uomini dai loro
ceppi.
- Non ho bisogno di voi, ho saputo spezzarli da me! - esclafieramente Sandokan, battendo i piedi
sul tavolato.
- Lo vedo bene io: e chi non l'avrebbe indovinato? Incatenate una tigre con un filo di ferro, essa lo
spezzerà.
Il pirata, un momento prima cupo, si raddolcì. Egli si avvicinò al luogotenente.
- Io sono un pirata - disse Sandokan, - voi siete un luogotenente. Una barriera è gettata fra di noi, un
abisso senza fondo è scavato sotto, ma ciò non m'impedirà che per un lampo la distanza che ci separa
abbia a scomparire. Ditemi, comandante, chi vi ha dato quest'ordine? Io lo indovino ma aspetto da voi
il saperlo.
- Io l'ho avuto da una persona che me ne pregò, ecco tutto - rispose il luogotenente imbarazzato da
quella domanda.
- Da Marianna Guillonk! - esclamò Sandokan con una fermezza che avrebbe assicurato chiunque. -
Non potete negarlo.
- Ebbene, fu milady in persona, non lo negherò. Trovate forse che sia strano che io abbia ceduto alle
sue preghiere?
Anzicrispondere il pirata gli si avvicinò maggiormente intanto che i soldati liberavano dai ferri il
Dajacco. Il luogotenente, che non si fidava troppo di quel formidabile uomo che lo sapeva capace di
tutto, indietreggiò vivamente.
- Non abbiate paura - disse Sandokan, gettando la manovella. - Non vi chiedo che una preghiera,
l'ultima se volete.
- Potete parlare, io vi dissi di già che siete un valoroso quantunque un pirata e io amo i valorosi.
Cercherò rispondervi.
Il pirata curvò il capo e incrociò le braccia sul petto fissando il luogotenente. Qualche cosa di umido
gli brillava negli occhi.
- Comandante - diss'egli senza voler sembrare commosso. - Ditemi, che ne fu di milady? Che fa ella?
E viva ancora?
- Milady! - mormorò il luogotenente, corrugando la fronte. - Essa è a bordo, non ve lo nasconderò, e
sotto la mia salvaguardia, dal momento che è morto il baronetto in seguito alla ferita.
"L'ho salvata nel momento che il prahos affondava, senza ferite, malgrado la tempesta di ferro che
ruggiva attorno a lei, ecco tutto. È viva, sofferente... credo che voi farete bene a non pensare più a lei
né lei a voi.
Il pirata si sentì invadere da una voglia sfrenata di strangolare il luogotenente ma rattenendosi:
- È vero adunque che mi si trar a Labuan? - domandò egli con voce sorda, frenando l'ira che
ruggivagli in core.
Il luogotenente non rispose e si accontentò di guardarlo, ma si leggeva chiaramente ciò che voleva
dire.
- Oh! - esclamò Sandokan, cercando sorridere. - Non ho paura, potete parlare liberamente come si
parlasse ad un altro; la Tigre che ha sfidato la morte in cento pugne ha l'anima inaccessibile. Posso
indovinare la sorte che mi attende a Vittoria. Vi sono da tanti anni preparato, oh sì da tanti anni!
- Ebbene, Tigre, vi condur a Labuan, l'ho promesso al lord, al baronetto e di pho ordini formali.
Siete coraggioso, ebbene non vi nasconderò che un pennone e una corda vi aspettano. Lo vogliono,
non già perché siate un pirata, poiché voi siete uno di quegli uomini che non si possono chiamare tali
dopo ciò che avete fatto, ma per liberare questi mari da un nemico che minaccia di continuo le sorti di
Labuan. Vedete, se fossi io, vi darei un posto nell'esercito delle Indie anziché appiccarvi.
- Ve ne ringrazio, luogotenente, ne serberò ricordo di voi se la fortuna potrà, e chi sa, non ridete,
farmi libero. Hanno torto di appendermi o forse di sperarlo, se essi come dite voi lo fanno pel solo
scopo di schiacciare la Tigre che non si poteva domare, tuttavia non commento, né domanderò grazia.
Sono ancora troppo orgoglioso di me stesso per abbassarmi sino a tal punto.
"Eppure, vedete, nel momento che voi ci davate la caccia, io abbandonava Mompracem per non
ritornarvi mai più, non già perché avessi paura di Labuan di Varauni, non già perché le forze mi
fossero venute meno poiché sarei stato capace di sfidare entrambe le potenze e far sorgere armati sol
battendo i piedi, ma solo perc la Tigre incatenata da Marianna Guillonk dopo tanti anni di guerra
agognava il riposo. Mi hanno preso colle armi in mano, mi condannino, io non mi lamento.
- Non amate più dunque lady Guillonk? - domandò il luogotenente sorpreso di quello strano
cangiamento.
- Non l'amo più? - esclamò Sandokan con uno slancio appassionato. - E chi potrebbe dire che la Tigre
della Malesia non ama più la Perla di Labuan? Ascoltatemi, luogotenente, finché av una goccia di
sangue amerò Marianna, finché avrò la forza di pronunciare una sillaba, dirò qui, come di fronte al
patibolo, dinanzi a voi e in faccia al lord, che sarà mia moglie! Se voi sarete capace di appendermi, e
credetelo ne dubito, nel momento che la corda stringerà la mia gola, ripeterò la medesima cosa.
"Ponete qua Mompracem e là Marianna e io abbandonerò la prima per la seconda. Datemi la libertà e
imponetemi che io non veda mai più la giovanetta: e io rifiuterò. Concedetemi la vita e fate morire lei,
io accetterò la morte. Che volete di più? Comprendete ora fino a qual punto io l'ami? Perc volete
che io abbia tratto alla ruina la mia potenza, se non era per lei? Perché volete che abbia abbandonata
quella vita d'avventure che amava sopra ogni cosa, se non avessi amato di più Marianna?
"L'amo, ma l'amo come non amò mai uomo alcuno, con tutte le forze della mia vita. La sola morte, e
forse non ancora, potrebbe solo farmela dimenticare all'altro mondo. Mi sentirei capace per lei di
sprofondare il piroscafo su cui mi trovo con tutti gli uomini che sonvi sopra, se fossi sicuro con tale
sforzo di sottrarla ai vostri artigli e farla mia. Dite ad essa che mi preghi di renderla libera, e voi
vedrete fare da me, ciò che non sarebbero capaci cento uomini!
- Vi crederò ma non del tutto - rispose il luogotenente con un sorriso incredulo. - Badate a me, noi
siamo più numerosi di quello che nol crediate, più astuti di quello che supponete e più forti della Tigre
stessa. Vedete, io ho la convinzione di portarvi a Labuan e di vedervi, non con gioia, credetelo,
appeso a uno dei pennoni dei nostri incrociatori.
- Lo crederete voi? - chiese la Tigre con aria cupa.
- Ve lo giuro.
- E io no. Sapete che io, in un momento di disperazione, quando vedessi che ogni tentativo di lottare
fosse vano...
- Che fareste?
- Chi sa. Potrei consegnarvi la Tigre morta anziché viva.
- Tentereste mai un suicidio? - esclamò il luogotenente spaventato. - E allora, che succederebbe di
lady Marianna?
Sandokan lo guardò stranamente.
- Potrebbe darsi che mi ammazzassi - disse lugubremente. - Che ne sarebbe dipoi della mia fidanzata
è facile indovinarlo. Io muoio, lei morrà. Ci ritroveremo ancora, in cielo o all'inferno poco monta.
Sarò egualmente felice.
- E la pirateria?
- Non è spenta?
- Avete ragione - mormo il luogotenente. - Guardate, se voi tentaste un suicidio, da uomo d'onore,
ve lo giuro che non mi opporrei. Spenta la Tigre, Labuan non sarà poltre inquietata né pavrà da
temere. In quanto a lady Marianna sarà un'altra faccenda. Non lo permetterò mai che una vezzosa
creatura abbia a troncare la bella sua vita.
- Avete forse fatto qualche progetto che riguardi la fidanzata della Tigre? - chiese Sandokan
sordamente. - Non tentate nulla contro di lei! Potrebbe toccarvi la medesima sorte che toccò al
baronetto William.
- Una volta che voi foste morto...
- Sarei capace di sorgere dalla tomba per venirvi a divorare il cuore e succiare il sangue delle vostre
vene!
- Non vi crederò che in parte. Ho i miei dubbi per credere che siate tanto potente da uscire da un
sepolcro ben chiuso.
- Come vi piace - disse Sandokan ironicamente. - Avrei a farvi ora un'ultima preghiera. Voi siete il
comandante di questa nave, nessuno quindi potrà avere tanto coraggio di farvi osservazioni di sorta.
"Luogotenente, io sono sul punto di morire: vorreste lasciarmi vedere per l'ultima volta Marianna
Guillonk? Non è il pirata che ve lo chiede, è il fidanzato della Perla di Labuan.
- Ho avuto l'ordine di tenervi rigorosamente separati, qualora la fortuna mi avesse dato di prendervi
tutti e due. Credo d'altronde che sarebbe meglio per voi morire senza vederla. A qual pro farla
piangere?
- È forse per un raffinamento di crudeltà che me lo negate? - disse con ira la Tigre. - Io non credeva
che un onorato soldato scendesse a fare l'aguzzino!
Il luogotenente impallidì.
- Ve lo giuro - diss'egli, - n'ebbi l'ordine. Per darvi una prova dell'affetto che nutro per voi e per lady
Marianna, vi accordo il permesso di vederla. Ritirate ora quelle parole che offendono un soldato mio
pari.
- Le ritiro. E quando potrò vederla? Fate in modo che abbia a stringerla per l'ultima volta fra le mie
braccia prima che la nave giunga a Labuan.
- Lo farò, ma non una sillaba di quanto è stato detto fra noi.
- Sarò muto come una tomba. Del resto fra poco io sarò morto, ve lo assicuro.
- Addio, allora. Avrò l'onore di farvi io i funerali: saranno semplici. Un tuffo in mare e buona notte.
- Era quello che desiderava: essere seppellito nell'umida tomba dei marinai. Grazie, capitano, di
quanto avete fatto e farete per me. La Tigre anche nell'altro mondo non si scorderà mai di voi.
Il luogotenente si allontanò chiamando i soldati e salì in coperta. Sandokan rimase colle braccia
incrociate, un diabolico sorriso sulle labbra e la faccia illuminata da un gran raggio di gioia.
Inioko lo scosse dalle sue meditazioni.
- Vi ha portato buone nuove? - chiese il Dajacco, facendosigli d'accanto. - Orsù capitano, voi mi
sembrate felice.
- Sì, Inioko - rispose Sandokan, posando le mani sulle di lui spalle. - Sono felice, pfelice di quanto
lo sia stato in dieci anni di carnificine. Non sai tu dunque che fra poco rivedrò la mia adorata
Marianna, che le parlerò, che la stringerò fra le mie braccia?
"Che importa se il cappio del boia pende sulla mia testa, quando le av detto ancora una volta che
l'amo, quando udrò ripetere dalle divine sue labbra la medesima confessione, quando le dirò che
neppur la morte sarà capace di separarci?
- E se la fuga riuscisse vana?
La Tigre della Malesia si raddrizzò fieramente e tendendo le mani raggrinzate verso il ponte della
nave:
- Se tutto riuscisse inutile, aprirò i fianchi del vascello e ci seppelliremo tutti in fondo al mare. Sarà
l'ultima vendetta della Tigre della Malesia!
CAPITOLO XXXI
L'ultima volontà della Tigre
L'intero giorno passò pel pirata in continue ansie. la giovanetta, il luogotenente si fecero
vedere, né notizia alcuna gli fu recapitata; solo scesero nella stiva due soldati che gli recarono il cibo,
ma per quanto venissero interrogati in dieci lingue differenti, nessuna parola uscì dalle loro labbra.
Venne la sera, e ancora nessuna nuova era giunta al pirata; egli non sapeva capacitarsi di un tal
procedere, dopo la promessa del luogotenente. Che poteva essere succeduto a bordo? Era Marianna
seriamente ammalata tanto da riescirle impossibile di scendere nella stiva? Oppure il luogotenente
aveva cangiato idea, o aveva voluto fargli balenar un lampo di speranza, per semplice capriccio, per
una raffinata crudeltà?
Sandokan, in preda a mille timori e a mille angoscie, non dormì un sol minuto. Tutta la notte s'aggirò
per la stiva, ruggendo come un leone in gabbia, facendosi cento domande che non avevano mai
risposte.
Nei momenti d'ira si metteva a saltare come una tigre inferocita, smovendo e rovesciando con
fracasso le botti, salendo e discendendo come un pazzo la scala che menava al boccaporto, urlando e
bestemmiando contro il luogotenente, contro il lord, contro il destino. Venti volte chia la
giovanetta e venti volte, lasciandosi trascinare dal suo focoso temperamento, si armò della manovella
e si spinse fino al boccaporto coll'idea di sfondarlo e di salire sul ponte a dispetto dei soldati. Non si
frenò che a gran stento e solo per la paura di peggiorare la sua condizione e quella di Marianna.
L'alba spuntò che vegliava ancora. Al primo raggio di sole che penetrò dal fenestrello, Sandokan salì
la scala che menava sul ponte.
- Voglio ben vedere io che mi si dirà? - mormoegli con ira. - Hanno paura questi maledetti Inglesi
che io abbia a fuggirmene con lei sotto i loro occhi? Bisogna che la veda a qualunque costo, che le
parli, che le insinui la speranza di rivedermi prima di farmi gettare in mare. E poi, come fuggire senza
l'aiuto di lei?
S'arrestò sotto il boccaporto e tese l'orecchio. Non si udiva che il potente soffio della macchina e il
passo cadenzato degli uomini di guardia. Stava per chiamare quando notò che un uomo s'avvicinava
al boccaporto; il cuore gli batté precipitosamente quando lo udì arrestarsi vicino e una voce che
diceva:
- Andate ad avvertire la Tigre.
Sandokan, per non essere sorpreso in quell'atteggiamento che poteva scambiarsi per un tentativo di
fuga, fu pronto a ridiscendere e a svegliare Inioko. Quasi nel medesimo istante, il boccaporto si
sollevò, e comparve un cadetto di marina accompagnato da due soldati colle baionette in canna. Essi
s'arrestarono dinanzi alla Tigre.
- A qual onore debbo la vostra visita? - domandò Sandokan affettando la massima calma e movendo a
loro incontro.
- Non avvicinatevi di troppo anzitutto - disse il cadetto che aveva i suoi motivi di aver paura e non
meno di lui coloro che l'accompagnavano. - Ho ricevuto l'ordine di riporre i ceppi a voi e al vostro
compagno. Comprenderete, che un uomo che porta il nome della Tigre e che ne emula troppo bene gli
istinti e la ferocia, non potrebbe essere lasciato libero dinanzi a lady Guillonk. Non sarà che un
semplice atto di prudenza che finirà presto.
Sandokan, che alla parola ceppi stava per gettarsi sui tre malcapitati soldati, udendo che si trattava di
Marianna si frenò quantunque trovasse una bizzarria quel procedere. Che potevano temere da lui che
era il fidanzato?
- Avete forse timore che io abbia a valermi di lei per tentare una fuga impossibile? - diss'egli
beffardamente.
- Non è ciò, ve lo ripeto, è una semplice precauzione del comandante. Se i ceppi sono troppo pesanti,
potete rimanere libero ma sotto la guardia di uno di noi. Non si udrà ciò che voi direte, non vi si
impedirà nulla, fuorché di trarla con voi in un suicidio. Non avete che a scegliere, vedete bene che si
hanno ancora dei riguardi per l'antica Tigre.
- Ebbene, dite al vostro comandante che preferisco essere libero. Uditemi ora, se io ponessi la mia
mano nella vostra senza farvi alcun male e se io impegnassi la mia parola di ritornarvi milady quando
lo vorrete voi viva e non già morta, mi si crederebbe? Vi sono cose che debbono rimanere sepolte fra
me e lei.
- Ne parle al comandante, dubitatene però. La Tigre è sempre la Tigre - rispose il cadetto
congedandosi.
Risalì coi due soldati accompagnati dal sorriso beffardo del pirata. Quando il boccaporto ricadde non
sorrideva più.
- Inioko - diss'egli, - questa sera noi morremo, e ora ritirati in un angolo ove non possa udire ciò che si
dirà fra me e Marianna. Non aver paura sull'esito della nostra fuga. Noi domani saremo liberi sul
libero mare.
- Bene capitano - rispose Inioko che non dubitava di una sola parola della Tigre e si affrettò a ritirarsi
in un angolo.
Sandokan, col cuore traboccante di gioia, quasi delirante, si mise appié della scala attendendo con
impazienza la giovanetta.
Non attese a lungo. Il boccaporto tornò a sollevarsi, e Marianna pallida, livida, lagrimante ma ferma
comparve sostenuta dal luogotenente. Il pirata gettando un urlo di gioia vi si precipitò incontro.
- Marianna! Mia adorata Marianna! - esclamò egli stringendola fra le sue braccia.
- Sandokan! mio valoroso Sandokan, credeva non vederti mai più! - e la giovanetta scopp in
singhiozzi.
Il luogotenente colla fronte abbuiata si sedette sull'ultimo gradino della scala deponendo la sciabola e
le pistole bell'e montate. Il pirata trascinò la giovanetta aggrappata alle sue braccia in fondo alla stiva.
- Coraggio, Marianna - diss'egli curvando il capo sul volto di lei. - Coraggio, mia adorata fanciulla,
non piangere così, tergi quelle lagrime che fanno sanguinare il mio cuore. Non sono ancora vivo io,
non sei tu fra le mie braccia, fra le braccia del tuo valoroso Sandokan, che ti ha difeso per tanto tempo
e che tornerà a difenderti? Crudele, accamareggiare questi ultimi momenti in cui ci vediamo con
delle lagrime? Vedi fanciulla divina, tu mi fai piangere!
- E come vuoi tu, Sandokan, che io non abbia a piangere nel momento della terribile separazione! -
esclamò la giovanetta singhiozzando e serrando le braccia attorno al collo del pirata. - Perché ci siamo
amati per venire un giorno separati dalla morte?
"No, io non voglio che tu muoia, voglio che tu viva. Che hai tu fatto perché abbi a meritarti la morte?
Forse perché sei un valoroso! Non morrai, mio Sandokan; io ti libererò, ti difenderò. Venite a
prenderlo se ne siete capaci, io vi farò a brani coi miei denti! Non è vero, Sandokan, che ritorneremo
liberi, che noi andremo lontani da questi luoghi che sono maledetti, su di un'isola deserta, dove le
nostre gioie saranno un bacio e i nostri dolori saranno una lagrima?
- , amor mio, noi ritorneremo liberi - rispose Sandokan accarezzando la vaga fanciulla che se lo
stringeva amorosamente al petto con una forza di cui non si avrebbe creduta capace. - Liberi e felici,
lontani da queste terre che non possono inspirarci felicità, così, fra le mie braccia, colle mie labbra
sulle tue, seppellendo il passato nel fondo dei cuori.
"Vedi, io non morrò, quantunque la morte mi attenda, come dicono i tuoi compagni, sulle rive di
Labuan, e la fuga mi sia resa impossibile colla forza. No, non morrò, te lo giuro, mia adorata
Marianna. Mi hanno vinto, sono circondato d'armi e d'armati, sono rinchiuso fra muraglie di ferro, col
mare al di sotto e la forza brutale al di sopra ma a un tuo cenno tutto ciò cadrà, e io ritorne libero
come lo era prima.
- Sì, sì, voglio vederti libero, e io verrò con te, non è vero, mio Sandokan? Non mi abbandonerai tu,
non è vero? Fuggiremo assieme, tu mi difenderai e io farò scudo col mio corpo ai colpi dei miei
compatrioti che non ardiranno toccarmi, ti seguirò ovunque, per mari e foreste, fra pericoli e
privazioni senza un lamento. L'amore mi darà forza per seguirti sino al cuore dell'Asia se tu lo vorrai;
un tuo sorriso sarà sufficiente per farmi felice. Non ci siamo giurati eterno amore in faccia a Dio, al
tuo mare, sull'isola? Perché dovremo separarci quando ci amiamo?
Il pirata l'attia sé e la guardò in silenzio tristamente.
- Perché tu mi guardi, senza rispondere? - chiese la giovanetta con dolce rimprovero. - Dubiti che sia
capace di seguirti nella fuga, che non abbia il coraggio di affrontare i medesimi pericoli che
affronterai tu, che non abbia forze sufficienti? Non aver timori, non aver riguardi per me, trattami
come un pirata, peggio ancora, come una schiava. Vuoi che sia forte? Lo sarò. Vuoi che ti pugnali un
uomo? Sarò capace di farlo con queste mani di femmina. Vuoi che non tremi? Non tremerò. Vorrai tu
fuggire solo e abbandonarmi nelle mani dei miei compatrioti che odio con tutte le forze della mia
anima, vorrai tu separarci per sempre?
"Se morrai nell'impresa, voglio morire anch'io al tuo fianco; tu lo sai che non sarei capace di
sopravviverti.
- Marianna! - disse il pirata commosso. - Ma non sai adunque che sono prigioniero; che la morte
pende sul mio capo?
- Non parlare di prigionia, non parlarmi di morte, mio Sandokan, tu non morrai, io lo sento. Sarebbe
inaudita crudeltà separare due esseri che si amano. Oh! Nessuno sarebbe capace di farlo, no, nessuno.
Dio non lo permetterebbe.
- Marianna! È la fanciulla che parla, ma è la fatalità che comanda; hai dimenticato tu che io fui pirata
e nemico giurato degli Inglesi? Non morrò, giacché lo vuoi, ritornerò ancora libero, ma per ora niente
di più. Anche la Tigre della Malesia è forte solo fino a un certo punto; ascolta amor mio, ascolta.
Egli lanciò uno sguardo sospettoso sul luogotenente che stava seduto impassibilmente sull'ultimo
gradino della scala, colle braccia incrociate sul petto. Poi traendo la giovanetta più lontano che fosse
possibile e abbassando la voce le disse:
- Marianna, Dio m'è testimone che darei per te il mio sangue fino all'ultima stilla; Dio mi è testimone
che se potessi dare la vita per riscattare la tua libertà, la darei. Non lo posso, che vuoi che faccia? Ma
non temere, che se la felicità innalzata con tanti sforzi, con tante lagrime e con tanto sangue, è caduta,
io la rialzerò. Odimi, anima diletta, tu rimarrai fra i tuoi compatrioti, è assolutamente necessario, e
bisogna che mi obbedisci: appena che io potrò, verrò a salvarti, te lo giuro. Orsù coraggio, non hai più
da temere da parte del baronetto William che calpestai morente sotto i miei piedi. Marianna! Sarà
l'ultimo sacrificio che tu compirai.
La giovanetta non rispose; essa si nascose il volto fra le mani e proruppe in lagrime, abbandonandosi
fra le braccia di Sandokan.
- Marianna - continuò il pirata stringendola teneramente. - Non sono io che te lo comando, è ancora il
destino che ci perseguita, questo destino che fiaccò la mia potenza e che mi strappò la mia isola, ma
non ci perseguite a lungo, amor mio, poic verrà la mia volta che lo infrangerò. Perc io possa
evitare la morte che mi attende, che sarebbe più dolorosa di una momentanea separazione, è d'uopo
che tu rimanga e che ti lasci trasportare ancora sull'isola maledetta ad affrontare le penose incertezze
del passato e le ire del lord tuo zio. Non vuoi che ti lasci? Io rimango, ma essi mi uccideranno.
- No! No! - esclamò Marianna. - Lasciami sola, ma salvati, ma fuggi. Guarda, io non piango più, io
sono forte, pronta a sfidare ancora le tempeste sull'isola di Labuan. Ma tu tornerai a liberarmi, non è
vero, mio amato Sandokan?
- Sì, Perla di Labuan, ritornerò per farti mia, lo giuro su Allah e sui pirati che morirono per me. Odimi
bene adesso. Bisogna che questa notte io sia lontano col mio prode Inioko e ho bisogno assoluto di te
per favorire la fuga. Mi aiuterai tu?
- Si, fa tutto ciò che tu vorrai, io sono tua schiava. Vuoi che corrompa il luogotenente? Io lo
corromperò. Vuoi che pugnali le sentinelle che guardano il boccaporto? Io le ucciderò. Vuoi che ti
fornisca armi? Io andrò a rubarle. Parla, comanda, io mi sento capace di emulare le gesta della Tigre
della Malesia!
- Non chiedo tanto, mia povera Marianna - disse Sandokan commosso. - Guardami bene e non
perdere sillaba di quanto ti dirò.
Volse le spalle al luogotenente, trasse da saccoccia una piccola scatola, la medesima di cui aveva
parlato a Yanez a Labuan, e l'aprì. Egli mostrò alla lady, sorpresa, delle pillole rossiccie che esalavano
un odore particolare acutissimo.
- Vedi queste pillole? - diss'egli a Marianna che pareva spaventata. - Esse m'aiuteranno per tentare la
mia fuga.
"Sono formate di parecchi veleni delle foreste di Maludu e hanno la proprietà di addormentare o
meglio di sospendere la vita per sei ore, dopo le quali colui che le inghiottì si risveglia perfettamente
senza provare la menoma alterazione fisica. Danno la morte, una morte perfetta che inganna il medico
più esperto, e che alcuna bevanda, alcuna operazione, riesce a rompere, tutt'altro, cangerebbero il
sonno fittizio in un sonno eterno.
- E tu vuoi inghiottire una di quelle pillole? - esclamò Marianna con ispavento. - E se non ti svegliassi
mai più?
- È l'unica risorsa che mi rimane per tornar libero - rispose freddamente Sandokan. - Non morrò, ne
sono sicuro avendone fatto più d'una volta l'esperimento. Dopo sei ore, un minuto di p un
minuto di meno, sono sempre ritornato in vita.
- E quando sarai addormentato che succederà? Vuoi farti seppellire vivo a Labuan? Oh! Non farlo,
Sandokan.
- Non mi seppelliranno, Marianna, lo vedrai. Il luogotenente mi promise, se alla morte ignominiosa
del pirata scegliessi il suicidio, di gettarmi in mare come un vero marinaio.
"Ora puoi comprendere; mi addormenterò, mi si crede morto in seguito ad un potente veleno, sarò
un uomo d'impiccio a bordo, nulla di meglio che sbarazzarsene in fretta e gettarlo ai pesci. Se io
aspettassi di far ciò a Labuan, oltre di correre il pericolo di venire seppellito vivo, correrei quello di
venire appeso.
- E ti farai precipitare in mare come un cadavere! - escla la giovanetta che tremava all'idea di
vederlo gettare nei flutti.
- E perché no, se la fuga lo esige? Ascoltami bene, Marianna, sarai tu che al momento opportuno darai
l'ordine di gettarmi nella mia umida tomba. Avrai la precauzione di lasciarmi completamente libero,
senza branda e senza vesti e senza palle ai piedi, onde una volta ritornato in vita possa valermi della
mia libertà e delle mie forze per nuotare senza ostacoli.
"Questa sera prima del calar del sole, Inioko e io ci addormenteremo senza gemiti, senza rumori, ma
segnalando la falsa morte con un urlo. Odimi bene, Marianna. Noterai accuratamente il secondo, sul
tuo orologio, in cui fu emesso, conterai sei ore minuto per minuto, e dieci secondi prima getterai dei
salvagente in mare onde abbiano ad esserci utili e delle armi, se sarà possibile, appese a essi.
Aspetterai, facendoci alzare fino al capo di banda, impiegherai tre secondi nel comando e cadremo in
mare, due secondi prima delle sei ore. Il piroscafo continuerà la sua rotta fra le tenebre e noi saremo
liberi sul libero mare.
- Ed io rimarrò sola - mormo tristamente Marianna. - Sola, senza alcuno che mi conforterà, senza
alcuno che mi difenderà.
Il pirata soffocò un singulto e appoggiando le mani sulle spalle di lei guardandola fissamente in volto:
- Marianna - diss'egli. - Se io fuggo lo faccio per te, per tornare a farti mia. Rimarrai sola sul piroscafo
che ti trascinerà sulla terra odiata, mentre io raggiungerò i miei ultimi compagni. Rimarrai prigioniera,
mentre io sarò libero, ma ti giuro che ti salverò.
"Dovessi ritornar pirata di Mompracem, dovessi ritornar la sanguinaria Tigre della Malesia, dovessi
immolar il lord stesso, porre a fuoco Labuan intera, empirla di sangue e di cadaveri, ritornerai mia,
ancora mia!
"Tu lo vedi, io non posso ora trascinarti meco nella fuga che chiede sforzi sovrumani, e un sangue
freddo che solo un pirata può possedere. Se tu non rimani, chi potrà gettarci in mare nel momento
stabilito per non risvegliarci ancora a bordo del piroscafo o per dormire per sempre negli abissi
dell'oceano? E poi, sarai tu capace di nuotare per un giorno, due, tre forse, lottando coi flutti e cogli
squali? Tutta la mia energia e la mia forza, non potrebbero salvarti. Lo credi tu, adorata Marianna?
- , tu hai ragione, adorato Sandokan, sarebbe la morte per entrambi. Sì, rimarrò, ritornerò a Labuan
e di là aspetterò la tua risurrezione. Ma potrai tu sfuggire a tanti pericoli che ti aspettano in mare? Non
morrai tu?
- No, Marianna, non morrò. Dove non potrebbe riuscire una femmina riuscirà un pirata. Del resto, non
rimarrò lungo tempo in mare, troverò il prahos del buon Yanez, che ho la certezza che segue il
piroscafo. Una volta sul suo legno, io mi slancierò sulle tue traccie, e per quanto lontano abbiano a
portarti, io ti ritroverò!... Ah! - continuò egli con rabbia mordendosi ferocemente le dita. - Perché mi
chiamai la Tigre della Malesia, perché divenni vendicatore, pirata e assassino, attirandomi addosso le
ire dei popoli che si frappongono come orribile spettro fra me e lei? Se non lo fossi mai stato, non mi
troverei in catene a bordo di questa nave maledetta e trascinato verso il patibolo. Se non lo fossi stato,
non sarei giammai stato diviso da quest'essere che io idolatro. Maledetto sia il giorno in cui la fatalità
mi precipitò dal trono sulle spiagge di Mompracem! Maledetto sia il dì che impugnai la scimitarra per
compiere la mia terribile vendetta!...
Lo sciagurato si prese la testa fra le mani e se la strinse disperatamente.
- Sandokan - mormo la giovanetta con voce supplichevole. - E non sono forse tua lo stesso? Che
importa se fosti pirata, quando io ti amo e ti giuro che non sarò d'altro uomo? Che importa se oggi ci è
giuocoforza separarci, quando noi torneremo a riunirci? Non sapeva io forse chi era colui al quale
dedicava il mio amore e la mia vita? Eroe eri allora ed eroe sei pur oggi che sei prigioniero!
La faccia di Sandokan, poco prima sconvolta dalla disperazione, si rasserenò. Le sue labbra s'aprirono
a un sorriso d'immenso affetto. Aprì le braccia e attirò a la giovanetta stampando sulle sue labbra
un ardente bacio.
- Quanto sei buona, quanto sei nobile, mia povera Marianna. Sì, ritorneremo liberi e felici; sì,
realizzeremo quei cari sogni, che noi facevamo quella notte che lasciammo le coste di Labuan, sul
ponte del mio prahos. Hai ragione, Marianna! Ero pazzo quando parlava, ma se tu sapessi quali
angoscie s'ascondono nel mio petto, se tu sapessi quali timori m'agitano, quanto sanguini il mio cuore
in questo terribile momento della separazione!... Se non ti avessi mai più a vedere? Se smarrissi le tue
traccie? Se non tornassi più?... Dio! quali funesti pensieri!...
- Non parlare così, Sandokan. Dio non permetterebbe queste cose; no, sarebbe ingiusto. Mi ritroverai,
ritornerai a salvare la tua Marianna, oh! sì, lo sento. Sarò sola a sostenere le ire del brutale mio zio,
ma le soster gagliardamente. L'amore mi da la forza per rimaner incrollabile dinanzi a lui, e
l'amore darà a te la forza di trionfare sugli ostacoli.
- Ah! Perché non posso rimanere a difenderti, perché, perché?... - gridò il pirata.
- Silenzio, Sandokan, ti si potrebbe udire - disse Marianna ponendogli un dito sulle labbra. -
Coraggio, mio prode amico, ritorna a diventar la Tigre della Malesia dal cuore inaccessibile a ogni
paura, ché credo sia questo il momento in cui ne avrai bisogno. Siamo forti, giacché occorre di
esserlo; un ultimo addio e poi...
Ella s'interruppe; i singhiozzi le soffocarono la voce.
- No, no, non abbandonarmi, Marianna, rimani ancora presso di me, prima che abbiamo a separarci
chi sa mai per quanto tempo. Ho tante cose da dirti e tante, mia povera fidanzata. Tu rimarrai qui fino
a che la falsa morte m'avrà chiuso le palpebre.
- , rimarrò, Sandokan. Voglio vederti fino all'ultimo istante della separazione e nessuno ardirà
strapparmi di qui.
I due fidanzati non s'abbandonarono un sol istante, malgrado le proteste del luogotenente che voleva
metter fine a quel colloquio per tutti e due doloroso.
Sandokan raccontava mille e mille cose alla Perla di Labuan che l'ascoltava inebbriata, affascinata. Le
parlava di felicità celesti su isole deserte, su mari sconfinati, sotto boschi misteriosi, fra fiori
profumati, dimenticando che il cappio del boia pendevagli sul capo.
Le ore furono minuti, i minuti furono atomi pei due fidanzati. La sera venne a empir di tenebre la
stiva senza che essi se ne fossero accorti tanto erano estranei a tutto ciò che non fosse amore. La voce
metallica del luogotenente, che era ritornato al suo posto, venne a troncare brutalmente i loro dorati
sogni e richiamarli alla spaventevole realtà.
- Milady - diss'egli avvicinandosi di due passi e rispettosamente. - È d'uopo che abbiate a lasciarlo.
Credo di aver fatto ciò che io poteva fare, vi compiango e vi comprendo, ma non voglio espormi ai
rimbrotti di lord James che non mancherebbe di farmeli.
- Verrò - disse la giovanetta tristamente. - Ritornerò fra coloro che dicono chiamarsi miei compatrioti
e che sono uomini senza cuore.
- Milady!... - esclamò il luogotenente punto sul vivo. - Se fossi io il governatore di Labuan non
trascinerei la Tigre a Vittoria e fossi stato un altro comandante non avrei giammai acconsentito a un
colloquio col pirata. Mi accusate a torto.
- E perché allora non ci lasciate liberi, perché non lasciate che due cuori si amino? Perché spezzare il
filo che li univa?
- Non comando, ubbidisco, ecco tutto, milady. Orsù, il tempo vola, io v'aspetto appié della scala. Un
ultimo addio ancora.
Il momento della separazione era giunto, a che pro prolungarlo? Le tenebre erano calate nella stiva
che a poco a poco ritornava oscura. Era il momento scelto per tentare l'ardito piano che doveva sei ore
più tardi rendere pienamente liberi i due prigionieri.
- Marianna! - mormorò Sandokan con voce commossa attirando a la fanciulla che si struggeva in
lagrime. - Marianna! non piangere, noi ci rivedremo fra breve, e andremo a vivere su altre terre senza
pericoli e senza ambascie. Separiamoci giacché la libertà lo esige, coi cuori pieni di speranza per
l'avvenire, che sembra di già sorriderci. Siamo forti.
- Sì, forti, ma è proprio vero che noi abbiamo a separarci? - esclamò la fanciulla, appoggiando il capo
sul suo petto. - Non è forse un doloroso sogno? Perché separare due esseri che si amano, che si
adorano, due cuori che battono assieme della medesima passione?
- Non è un sogno, anima mia, è la cruda realtà, ma la separazione sarà breve, te lo giuro. Odimi,
Marianna, tu eseguirai gli ordini che ti ho dato senza esitazioni, senza paure, se vuoi che abbia a
ritornare ancora libero per salvarti, e mi aspetterai sia a Labuan o a Sarawak, a Pontianak o nell'India
o nell'Inghilterra stessa, fidando nella mia parola. Ti raggiungerò dovessi gettar sottosopra il mondo
intero. Andiamo, adorata fanciulla, un ultimo bacio, un ultimo addio.
La giovanetta impotente di rassegnarsi a una separazione che la spaventava, piangeva. Il pirata si
sentiva suo malgrado inumidire gli occhi e perdere il sangue freddo. Egli si curvò sul volto inondato
di lagrime di lei.
- Marianna - diss'egli con voce soffocata che cercava rendere, ma invano, ferma. - Perc prolungare
questi momenti preziosi egualmente dolorosi per entrambi? Vedi, sono penosi... Ah! perché non posso
trarti meco nella fuga, perché? Se io lo potessi ti trarrei meco dovessi perdere stilla per stilla il mio
sangue, la mia vita e non lo posso, non lo potrò giammai! Andiamo, siamo forti in questi momenti in
cui è d'uopo di essere maggiormente risoluti, separiamoci ma non per sempre, noi ci rivedremo.
- Oh! sì, noi ci rivedremo mio Sandokan, ci rivedremo! - mormorò la fanciulla tergendo con uno
sforzo le lagrime.
- Bene, così mi piaci, ora riconosco in te la Marianna dei tempi passati, la Perla che vidi nelle foreste
di Labuan. Lascia che io ti contempli un'ultima volta.
Sollevò dal suo petto il biondo capo di Marianna e lo contemplò per un istante e in silenzio,
affascinato, poi prendendolo delicatamente fra le mani:
- Oh! Quanto ti amo, sublime creatura! - escla egli quasi fuori sé. - Quanto ti amo, quanto ti
adoro!... E bisogna separarci!...
Soffocò un gemito e terse una goccia umida che forse era una lagrima, che scendeva rapida sulle
brune gote.
- Parti, Marianna - disse poi cangiando bruscamente tono. - Abbracciamoci un'ultima volta e poi va,
va... Se tu rimani, la Tigre della Malesia sarebbe capace di piangere!
La baciò ancora una volta nel mentre che un rauco urlo di disperazione morivagli fra le strette labbra.
- Va, Marianna - ripeté egli, volgendo la faccia altrove per non vederla allontanarsi.
- Sandokan! Sandokan!
Il pirata si nascose il volto fra le mani e fece due o tre passi indietro traballando come un ubbriaco.
- Ah! Sandokan! - esclamò la sventurata Marianna gettando un grido straziante.
Marianna volle slanciarsi dietro a lui, ma le forze le vennero meno; il luogotenente la ricevette fra le
sue braccia e si allontanò portandola di peso. Quando Sandokan si scoprì, il boccaporto si era già
abbassato e la stiva era tornata deserta. Egli si cacciò le mani nei capelli.
- È finita! Tutto è finito! - esclamò con voce cavernosa. - Non mi rimane p che d'addormentarmi
sulle onde. Possa un giorno rivedere ancora colei che amo immensamente!
Se ne stette per mezz'ora rinchiuso in un feroce silenzio, colla fronte stretta terribilmente fra le mani,
poi si scosse e rialzò con gesto risoluto la testa.
Ogni emozione era allora scomparsa dal suo volto; solo gli occhi gli brillavano di una cupa fiamma.
- Inioko - diss'egli con esaltazione. - Bisogna che noi fuggiamo, bisogna che ritorniamo liberi... Ah! È
atroce abbandonarla... - S'interruppe e portò le mani al cuore.
- Capitano, non lasciatevi abbattere.
- Non so decidermi, Inioko, ad abbandonare questo vascello che porta la mia fidanzata. È orribile
perdere colei che avevo rapita dopo tanti sforzi, dopo tante lotte, tante sofferenze... perderla, così,
dopo averla tanto amata...
- Capitano, lasciate i lamenti ai deboli...
- Sì, hai ragione. Orsù, mi seguirai in mare?
- E che, dovrei io abbandonare il mio capitano nel momento del pericolo? Vi seguirò anche in capo al
mondo.
- Grazie, mio valoroso Inioko. Coraggio ora, che fra dieci minuti cadremo fulminati per ritrovarci sei
ore dopo liberi su libero mare. S'avvicinò al fenestrello che aprivasi al di sotto della batteria e guardò
attentamente al di fuori. Il mare era agitato e spumeggiava attorno al vascello sotto le battute delle
ruote, ma lontano era quasi calmo.
Guardò a dritta e a manca se apparisse qualche terra o qualche vela, ma non vide né l'una né l'altra. Il
mare era libero fino agli estremi limiti dell'orizzonte.
- Tutto è deserto - mormo il pirata indietreggiando. - Non monta, l'amore mi da la forza di
compiere ciò che non avrebbe potuto compiere uomo alcuno; la speranza mi sosterrà in mezzo ai
flutti, per quanto essi sieno estesi, e la libertà la forza per vincerli.
Si avvicinò al suo compagno colla scatola in mano e mostrandogli due pillole all'ultimo baglior del
crepuscolo:
- Una per me e una per te - gli disse. - Tu l'inghiottirai quando io ne darò l'esempio, un secondo
prima, né un secondo dopo.
- Bene, capitano - rispose Inioko prendendola con precauzione fra le dita. - Sia pur veleno, la
inghiottirò al vostro comando.
Sandokan lo condusse appié della scala, diede un ultimo sguardo alla tenebrosa stiva, mandò l'ultimo
sospiro.
- E ora, dormiamo, sospendiamo la vita per isvegliarci liberi sul libero mare. Inghiottila, Inioko,
inghiottila!
I due pirati la trangugiarono nel medesimo istante chiudendo gli occhi.
- Marianna! a me! - ur Sandokan e cadde assieme al compagno come fulminato appié della scala,
mentre il grido ripercotevasi nella stiva e le tenebre si chiudevano silenziosamente su di essi...
Quel grido, per quanto la macchina sbuffasse e le ruote sollevassero le acque, fu udito in coperta. La
giovanetta, che pallida ma ferma si teneva presso il boccaporto, l'udì. Semb che il cuore le si
staccasse e che le forze esauste fossero lì per venir meno.
Il boccaporto fu levato. Il luogotenente e sei o sette marinai scese frettolosamente nella stiva e
urtarono contro i due supposti cadaveri stesi appié della scala l'un sull'altro. Il luogotenente sorpreso,
si curvò su di essi mentre si portavano dei lumi.
Li esaminò, cercò sollevarli credendo si trattasse di uno svenimento quantunque ne dubitasse, e pose
una mano sui cuori. Non battevano più; e i due corpi erano freddi come due veri cadaveri, mentre i
volti erano orribilmente contratti. Indovinò, ma non tutto.
- Sono morti - diss'egli. - I due disgraziati si sono avvelenati. Chiamate il medico.
Il valent'uomo non poté far altro che constatare la morte.
- Credete proprio, dottore, che sieno realmente morti o che sieno solamente sotto l'influenza di un
narcotico? - domandò il comandante.
- Non conosco narcotici che possano arrestare in simil guisa la vitalità: sono proprio morti, posso
assicurarvelo.
- Forse è meglio così - mormorò il luogotenente. - Orsù, portateli in coperta. Li getteremo in mare
come l'avevo promesso.
Mentre i marinai e i soldati alzavano i due falsi cadaveri, egli salì in coperta e si avvicinò col berretto
in mano alla milady che sembrava aspettare con una calma apparente la spiegazione di quel grido,
tenendosi appoggiata a una delle murate.
- Signora - disse gravemente il luogotenente, - dovrò io parlare francamente di ciò che è avvenuto dei
prigionieri?
- Oh! Potete parlare, signore, so di g di che si tratta - rispose Marianna, portando il fazzoletto agli
occhi.
- Ebbene, sono morti! Credo che una simile morte sia da preferirsi a quella ignominiosa che li
aspettava a Labuan.
La giovanetta non sparse lagrima alcuna. S'avvicinò vivamente a lui e prendendogli le mani:
- Luogotenente - diss'ella con voce rotta ma energica. - Vivi appartenevano a voi, morti appartengono
a me; lascierete voi che io compia l'ultima volontà di colui che fu il mio fidanzato?
- Vi lascio libera di fare quello che meglio vi piacerà - rispose il luogotenente. - Ascoltate un
consiglio che vi do, milady: gettateli in mare prima che abbiano a giungere a Labuan. Il governatore,
quantunque sieno di già morti, potrebbe ancora farli appendere.
- Non li appenderanno! - esclamò Marianna con vivacità. - Ordinate ora che sieno portati a poppa e
che mi lascino sola.
Il luogotenente s'inchinò e diede ordine ai marinai d'ubbidire. I due falsi cadaveri vennero collocati su
due tavole e portati a poppa pronti ad essere precipitati nella umida tomba.
Marianna s'inginocchiò accanto a Sandokan irrigidito, e contemplò mutamente il suo volto scomposto
dalla potente azione del narcotico, ma che conservava ancora quella maschia fierezza che incuteva
timore e rispetto. Allora, senz'essere veduta, si trasse dal corsetto due pugnali e tagliò lentamente le
sue vesti in più parti; gli infisse una delle due armi nella cintola nascosta sotto la tunica ed egualmente
fece al Dajacco.
- Andate, miei valorosi - mormo ella con profonda emozione, - e poi tornate vincitori a liberare la
vostra regina di Mompracem.
Ella rimase presso i due falsi cadaveri, contando sull'orologio ora per ora, minuto per minuto, secondo
per secondo con una pazienza inaudita. Alle dodici e mezza si alzò, pallida, ma risoluta.
Comprendeva che la menoma debolezza, la più piccola esitazione poteva tornare fatale ai due pirati. -
È tempo - mormorò ella, gettando un ultimo sguardo sulle sfere dell'orologio che seguivano
impercettibilmente il loro corso. - La Tigre della Malesia m'ha detto che sia forte e io forte sarò.
S'avvicinò alla murata di poppa cogli occhi fissi sul timoniere che guardava la bussola volgendole le
spalle. Staccò senza rumore due salva-gente e approfittando del momento in cui il piroscafo
s'inchinava, li gettò in mare.
Li seguì collo sguardo fincle fu possibile, poi calma, impassibile, ricacciando nel più profondo del
cuore l'emozione che l'assaliva, si diresse verso prua e si fermò dinanzi al luogotenente.
- Signore - gli disse con voce ferma. - Si compia l'ultima volontà della Tigre.
- Sono ai vostri comandi, milady - rispose il luogotenente facendo un gesto ai suoi uomini.
Quattro marinai seguirono Marianna a poppa. Essi sollevarono le due tavole mortuarie all'altezza
della murata pronti a gettare i cadaveri sui neri flutti.
- Non ancora! - esclamò Marianna frenando a gran pena le lagrime e soffocando i singhiozzi.
S'avvicinò a Sandokan e posò le sue labbra su quelle gelide di lui. I suoi occhi si velarono di pianto.
- Addio, mia valorosa Tigre, addio - mormo ella con voce rotta. - Addio!... Dio!... Dio!... Dammi
forza!...
Era l'una meno tre secondi. Già un impercettibile fremito agitava le membra di quei due cadaveri che
dovevano risuscitare sui flutti.
- Lasciate andare! - esclamò Marianna con un filo di voce, cadendo sulle ginocchia.
I marinai alzarono i due cadaveri e li precipitarono in mare che si chiuse sopra di essi, nel mentre che
il piroscafo s'allontanava portando la sventurata giovanetta verso le coste maledette di Labuan!
CAPITOLO XXXII
Yanez
La sospensione della vita, come avea detto Sandokan, doveva durare sei ore né un secondo di meno,
un secondo di più, per lo che, appena che toccarono i flutti, ritornarono istantaneamente alla vita,
senza provare la menoma alterazione di forze né di sensi.
Ritornati a galla, dopo essersi immersi per una diecina di metri, essi girarono gli occhi attorno.
Scorsero subito, a meno di una mezza gomena di distanza, la nera massa del piroscafo che
allontanavasi a tutto vapore, soffiando fragorosamente.
Primo moto di Sandokan fu quello di mettersi a inseguirlo, nel mentre che Inioko, ancora stordito da
quella strana risurrezione, prendeva prudentemente il largo per non correre il rischio di venire
scoperto. La Tigre s'arrestò pe quasi subito lasciandosi dondolare fra le onde, cogli occhi fissi su
quel legno che continuava allontanarsi portando la sventurata Marianna. Un profondo ruggito, un
gemito soffocato gli rumoreggiò in fondo al petto e venne a morirgli sulle labbra increspate.
- Partita, rapita! - mormorò egli con voce semi-spenta dal dolore. - Oh! povera Marianna, mia povera
fidanzata!...
Un impeto di follia lo prese e per qualche tratto seguì il vascello dibattendosi disperatamente fra le
acque, facendo sforzi sovrumani per raggiungerlo. Egli s'arrestò per la seconda volta spingendo
l'acuto suo sguardo dietro al legno che ormai era diventato quasi invisibile per la tenebra e per la
lontananza. Egli tese le braccia verso di lui.
- Tu mi sfuggi e mi sfuggi portando teco la metà del mio cuore, ma ti raggiungerò, orribil nave, e quel
che mi arrampichesui tuoi fianchi... Ah! potesse venire quel di, potessi riavere la mia diletta fra
le mie braccia, potessi almeno farla mia per sempre!... Va, va, allontanati, ma per quanto ampio sia il
globo ti raggiungerò e ti ardeassieme a tutti coloro che tu porti, oh! sì, lo giuro, lo giuro e sul mio
Dio e sui miei defunti tigrotti.
Si rovesciò rabbiosamente sulle onde e volse le ,spalle alla nave nuotando con quanta rapidità poteva,
quasi avesse paura che l'attirasse. Egli raggiunse Inioko, che s'agitava come un pesce fra il liquido
elemento, aspettandolo ansiosamente.
- Ah! Inioko, tutto è finito, ho l'anima infranta! - esclamò lo sciagurato. - È perduta e forse... e forse
per sempre!
- Coraggio, capitano - disse il Dajacco. - Non è il momento di pensare ora alla vostra fidanzata che è
sicura sul piroscafo.
- Sicura! Non dire così, Inioko.
- La salveremo, capitano.
- Oh! sì, sì, la salveremo, Inioko, dovesse la sua libertà costarmi la vita.
- Andiamo, capitano, non stremate le vostre forze con una inutile disperazione. Rammentatevi che
abbiamo bisogno di essere forti per uscire vivi da questo mare. E poi, vedrete che noi torneremo a
liberarla, appena che avremo ritrovato il capitano Yanez.
- Sì, hai ragione, Inioko, sarebbe follia stremare queste forze che sono sì preziose in questi momenti.
"Orsù, dimentichiamo ogni cosa, siamo forti, ritorniamo ancora una volta la Tigre della Malesia,
Inioko, avanti!... Io do l'esempio!
Il vasto mare della Malesia si estendeva dinanzi a loro, sepolto fra fitte tenebre, completamente
deserto, senza una scogliera od un isolotto su cui approdare ed attendere la comparsa del Portoghese,
senza una vela che segnalasse la presenza di qualche naviglio, o un fumo, od un lume che segnalasse
qualche piroscafo.
Per ogni dove vedevasi onde spumeggianti, che si urtavano le une contro le altre fragorosamente,
aizzate dal venticello notturno che sibilava alle orecchie dei due nuotatori.
Tacitamente per non consumar forze preziose in quel terribile frangente, i due pirati, a pochi passi
l'un dall'altro, continuavano la via ma avanzando con estrema lentezza, con mosse meccaniche, lente,
misurate, l'un cupo quantunque cercasse di mostrarsi calmo, e l'altro tranquillo e felicissimo di averla
fatta sì bella agli Inglesi.
Sandokan non poteva facilmente inghiottire quella forzata separazione dalla Marianna che amava
alla follia. Che mai ne sarebbe avvenuto di lei una volta tratta ancor sulle maledette coste di Labuan
tra le braccia del lord?
Questa domanda che non avrebbe potuto trovar risposta alcuna, agitava terribilmente il cuor
ammalato di lui, lo circondava di timori gli uni p sinistri degli altri che invano cercava scacciare.
Ruggiva d'ira, malediva il destino e la pirateria causa di tutti i suoi mali, e in quei momenti in cui la
disperazione laceravagli il cuore malediva l'istante in cui aveva abbandonato il piroscafo.
Di tratto in tratto, egli si volgeva indietro per fissare i fanali della nave che andavano perdendosi
all'orizzonte, e si sentiva preso da una pazza voglia di lanciarsi dietro ad essi. Rallentava allora le
mosse, finiva coll'arrestarsi fra i flutti gorgoglianti gettando rauchi sospiri che confondevansi coi
muggiti del mare. Non valeva il pericolo, le onde, le chiamate del suo compagno per
ismoverlo da quella disperata contemplazione.
- Lascia - rispondeva egli a ogni chiamata del Dajacco. - Lascia che veda ancora i suoi occhi, che oda
ancora la sua voce.
Nella febbre gli pareva che i fanali del piroscafo fossero gli occhi della giovanetta e che la possente
voce del mare fosse quella di lei, e rimaneva là, coll'ira rumoreggiante nel petto, nel cervello, la
maledizione sulle labbra, inerte, con mille pensieri, abbandonato fino a che le onde finivano col
coprirlo e inghiottirlo.
Ma quando il piroscafo scomparve del tutto fra le tenebre, che i fanali non furono più visibili
sull'orizzonte, comprendendo alfine che ogni speranza pel momento era perduta, rivolse tutti i suoi
pensieri al prahos del Portoghese. Ritornato a galla dopo l'ultima contemplazione, egli si mise a
nuotare dirigendosi all'ovest cercando ansiosamente collo sguardo una vela o almeno un fanale che
indicasse la sua presenza in quei luoghi.
- Andiamo, Inioko - diss'egli senza quasi alterazione di voce, - andiamo, io ritorno ancora la Tigre.
"Vieni, valoroso mio, cerchiamo il Portoghese; tutta la mia speranza è là, bisogna che lo trovi,
bisogna che abbia il suo aiuto per ritornare a strappar ancora la giovanetta ai maledetti che me l'hanno
rapita. Vieni, mi sembra avere il fuoco nelle vene che mi spinge all'ovest; mi sentirei capace di filar
cento miglia per trovare mio fratello Portoghese.
- Ecco che voi parlate bene, che ritornate la Tigre - disse Inioko. - Lasciate c che è accaduto e
pensiamo al presente che a quanto sembra non è del tutto chiaro. To', guardate, mio capitano! che vale
lamentarsi, quando noi siamo ancor liberi? Sia ciò che si vuole, una volta liberi si possono
intraprendere grandi cose e ritornarcene lagg a Labuan a far parlare i nostri fucili contro quei
dannati, che contavano appenderci per la gola, e rapir ancora sotto i loro occhi la lady. Non sarà
difficile, quantunque siamo ben in pochi. To', se si tornasse ancora a Mompracem?
- Mompracem! - mormo Sandokan con un sospiro. - Lascia Mompracem, che è morta, Inioko, e
pensiamo al Portoghese.
- Vi penso, ma guardate un po' che per quanto giri lo sguardo all'ovest, al nord e al sud non sono
capace di vedere un lume né un lembo di tela che segnali il prahos. Sapete, capitano, che sarebbe una
faccenda seria se egli non comparisse!
- Non lo crederò mai, Inioko. Mio fratello Yanez non può averci abbandonati, egli ci seguiva, ne sono
certo.
- Ci seguirà, benone, ma se il povero uomo fosse stato pur egli catturato un po' più tardi?
I due nuotatori provarono un brivido. Poteva bene darsi che il Portoghese, vinta la cannoniera, fosse
stato alla sua volta vinto da qualche altro naviglio, per esempio dal brigantino o dai prahos del
Sultano.
- Sarebbe la fatalità così accanita da privarci anche di quest'ultima speranza? - mormo irato
Sandokan. - Non lo voglio credere, non voglio ammetterlo, Inioko, non pensiamolo nemmeno, ma a
ogni modo sa ancor capace di uscir vivo da questo mare per quanto sia ampio e per quanto abbia a
infuriare. Andiamo, tiriamo innanzi, conservando più che sia possibile le nostre forze, fino a
incontrare qualche aiuto. Guarda, amico mio, mi rammento di aver detto a lei di gettarci qualche
oggetto galleggiante in mare. Perché non avremo a incontrarlo?
- Oh! - esclamò il Dajacco. - Ecco che le cose cangiano volto, e la fortuna è con noi. Se è vero quello
che dite, cerchiamo.
L'onda stancava i muscoli dei nuotatori che, per quanto fossero robusti, avrebbero dovuto fra tre o
quattro ore venir meno; era quindi di massima necessità cercare quei galleggianti, onde trovare un
punto d'appoggio e aspettare così la comparsa del sole per prendere qualche decisione sulla via da
tenersi e approdare a qualche isola o incontrare il Portoghese, se era ancor libero. I due nuotatori,
allargandosi notevolmente e l'un dall'altro, onde non isfuggissero ai loro occhi quei galleggianti che
cercavano, si misero ad avanzare, seguendo la scia lasciatasi dietro dal piroscafo.
Vagarono per un quarto d'ora, moltiplicando i giri e le ricerche, e già disperavano d'incontrar quelli
che tanto cercavano, credendo che la giovanetta non avesse avuto il tempo di gettarli in mare, quando
Sandokan, che si volgeva spesso, quasi cercasse discernere ancora i fanali del piroscafo, credette
vedere due oggetti ondeggiare a una trentina di passi dietro di sé. Si sollevò a me fuor dai flutti, e
poté assicurarsi che non s'ingannava.
- Inioko - diss'egli, volgendosi verso il compagno che lo precedeva di una ventina di metri, respirando
rumorosamente. - Non vedi laggiù qualche cosa che sulle onde trastullasi?
Il Dajacco, dopo di essere stato più volte coperto dalle onde, s'arrestò, gettando uno sguardo dietro di
sé.
- Eh! - esclamò egli. - Mi sembra di vedere due oggetti, che somigliano a due anelli. Sarebbero essi i
due galleggianti promessi dalla nostra regina, oppure due pesci di nuovo conio?
- No, non sono pesci, ma i due galleggianti che quell'adorabile Perla di Labuan ha gettato in mare per
noi. Ah! quanto vorrei abbracciarti, amata Marianna! - escla il pirata commosso fino al fondo
dell'anima.
- Non pensate alla lady ora - disse Inioko. - Ella v'inquieta e vi rende pazzo.
Sandokan mandò un sospiro e si diresse verso i due oggetti intravveduti. Erano due salvagente, due
anelli di sughero coperti da una grossa tela, che permettevano di trovare un punto d'appoggio anche
con mare forte.
- Ah! - esclamò Sandokan, afferrandone uno, - sapeva bene che ella avrebbe fatto tutto ciò che le
avrei chiesto. Orsù, Inioko, caccia la testa dentro e fa passare pure le braccia. Una volta che noi
abbiamo sotto le ascelle questi oggetti possiamo andare fino alle Tre Isole.
- Alle Tre Isole! E voi non pensate che non abbiamo viveri, e che per di p navighiamo in un mare
dove i pesci-cani si sono acquistati una triste celebrità! Mi vengono i brividi a pensare che le mie
gambe possono offrire un bel boccone a quei terribili ghiottoni.
Sandokan, quantunque coraggioso, alla osservazione del Dajacco fremette. Non ignorava che
navigavano su di un mare battuto da numerose bande di ferocissimi squali. Non sarebbe stato niente
difficile che una coppia di quei mostri, se non una dozzina intera, avesse ad assalirli o si avvicinasse
sott'acqua a mozzare a loro le gambe.
- Non mancherebbe che questo, dopo la ferocità degli uomini - disse Sandokan, gettando uno sguardo
indagatore all'intorno. - In fede mia, Inioko, non saprei come l'andrebbe a finire, se qualcuno di loro
apparisse e ci desse la caccia.
- Chi sa che non abbiano ad accorgersi della nostra presenza?
- È difficile l'ammetterlo. Siffatti pesci fiutano la preda a grandi distanze. Per buona fortuna, ho qui
alla cintura un pugnale messovi ancora da quella povera Marianna. Guarda, Inioko, quanto fu
previdente quell'adorabile creatura!
Si frugò nella cintola e vi trovò il pugnaletto messovi dalla giovanetta, Inioko vi trovò il suo.
- Ikaut! - esclamò il Dajacco allegramente. - Vedete, mio capitano, io mi sento preso da profonda
ammirazione per quella fanciulla che ha tanto fatto per noi. Trovo che essa è degna della Tigre e che è
giusto che voi abbiate ad amarla tanto. È più valorosa che nol fosse una Dajacca dei nostri monti e più
previdente che un Dajak laut. Adorabile milady!
- Sarebbe poco, Inioko, adorabile, chiamala divina! - esclamò il pirata con slancio appassionato. -
Divina sarebbe ancor poco!
- Tacete, capitano, voi parlate troppo alto e attirerete i pesci-cani se forse ve ne ha qualcuno a un due
o trecento passi lontano. Mi sembra anzi di aver veduto qualche cosa, laggiù dinanzi a noi, trastullarsi
fra la spuma. Potrà essere uno d'essi.
- È la paura che ti fa vedere pesci-cani ovunque, Inioko, se ve ne fosse uno a dieci miglia lontano
sarebbe di già alle nostre spalle. Tuttavia mi tacerò, orsù, passa il capo nel tuo salva-gente e tiriamo
pian piano innanzi.
Il Dajacco ubbidì e si fe' passare l'anello galleggiante sotto le ascelle, dopo di aver bevuto più di
qualche tazza d'acqua salata che si affrettò a rigettare, e i due nuotatori senza sforzo,
meravigliosamente sostenuti, coi pugnali fra le mani, si misero ad avanzare lentamente,
abbandonandosi di tratto in tratto all'ondeggiare dei flutti che pareva invitarli a dormire, cosa che quei
due uomini sarebbero stati capaci di fare se la tema dei pesci-cani non avesse loro messo addosso un
certo sentimento timoroso che non riuscivano a scacciare, malgrado i ragionamenti filosofici.
Questo timore che dapprima era un semplice sentimento, specie in Sandokan che non aveva mai
temuto gli uomini, il mare e meno ancora gli squali, ingigantì siffattamente nel Dajacco, che
non osava quasi muoversi per la tema di attirar i feroci nemici, e raggrinzava le gambe per non offrire
ad essi un troppo grosso boccone. Aveva pure un bell'assicurarlo il suo compagno, ma il valoroso che
aveva affrontato per tanti anni il fuoco, si sentiva realmente preso dallo spavento, e gettava occhiate a
destra e a manca, dinanzi e di dietro, e non potendo tuffarsi per guardare sott'acqua, onde accertarsi
che alcuno di essi si trovava lì accanto, vibrava calci per ogni dove.
- Ikaut! - esclamava egli a ogni assicurazione di Sandokan, che procedeva tranquillo guardando
invece all'ovest per cercare di scoprire il prahos del Portoghese. - Ikaut! Avete un bel dire, mio
capitano, che siamo armati e che i pesci-cani, se ve ne fossero, sarebbero di già qui e alla superficie
anziché sott'acqua, ma non mi tranquillizzo. Vi confesso che se non ho mai avuto paura degli uomini
e del mare, ho una paura dannata di essi, che godono una certa fama nei mari della Malesia da far
rabbrividire. Se uno di essi nuotando sott'acqua venisse a mozzarmi le gambe?
Coi salvagente sotto le ascelle, i due nuotatori, l'uno irritato contro il Portoghese che non si mostrava,
e l'altro tutto intento ai suoi pesci-cani immaginari, almen pel momento, continuavano così avanzare
sulla via dell'ovest nella più profonda oscurità, battuti dalle onde, che talvolta incontrandosi li
coprivano, un po' irrigiditi all'estremità dei piedi sempre tuffati. Si tenevano prudentemente l'un
accanto all'altro per portarsi un vicendevole aiuto, arrestandosi quando sembrava loro di vedere
qualche cosa che avesse l'apparenza di un pesce, e facendo i loro commenti sul Portoghese, che
pareva tardasse, e assai, a comparire all'orizzonte.
Sandokan era inquieto più del compagno e aveva ben ragioni di esserlo dipendendo la loro salvezza
tutta dal Portoghese. Senza di questi, tutte le speranze di lanciarsi sulle traccie del piroscafo e di
raggiungerlo prima che toccasse Labuan, cadevano inevitabilmente su tutta la linea.
Senza mezzi di sorta, senza uomini e senza navi, era impossibile che la Tigre riuscisse a salvare la
fidanzata, innanzi che tornasse a cadere nelle mani del lord, che poteva trasportarla a Sarawak, forse
in India e fors'anche in Inghilterra.
Il pirata non riusciva a dominare i timori e le angoscie che agitavano il suo animo.
Si rizzava di frequente sulle spalle del Dajacco e scrutava avidamente il fosco orizzonte, sfogandosi in
maledizioni e in bestemmie senza numero contro il cielo e contro l'inesorabile fatalità che continuava
sempre a perseguitarlo.
- Ma dov'è, dunque, questo disgraziato Yanez? - mormorava egli, con crescente ira. - Ha forse egli
preso la fuga, lasciandomi solo a lottare contro questo inesorabile destino? Perché non si mostra?
Perché non viene ad aiutarmi per seguire la nave maledetta che trascina la mia fidanzata verso le
orride coste di Labuan? Ah! Yanez! non ti credeva capace di lasciare così tuo fratello!...
- Voi parlate a rovescio - disse Inioko che s'arrabbiava contro le onde che lo coprivano. - Il povero
Yanez, che voi accusate, sta forse per venire. Io non posso ammettere che quel brav'uomo, così
affezionato a voi, ci abbia abbandonati. Via, che andate mai dicendo, mio capitano?
- Verrà, tu dici, ma non si mostra. Sono due ore che scruto l'orizzonte, ma non vedoun fanale
una vela.
- Sa ancora lontano, ecco tutto. Il piroscafo era un buon camminatore e voi sapete che i nostri
prahos, che sono rapidi come le palle di fucile quando soffia buon vento, sono altrettanto lenti quando
dura la calma. E poi, chi sa mai in quale stato fu ridotto il suo legno nel duello contro la cannoniera.
Lasciamogli un po' di tempo e vedrete che egli ci raggiungerà.
- Zitto! - esclamò Sandokan improvvisamente. - Zitto!
Egli si appoggiò alle spalle d'Inioko e uscì a me fuori dei flutti, spingendo lo sguardo verso il sud,
dove una massa nera solcava il mare. Per quanto facesse oscuro, i suoi occhi distinsero in quella
massa un gran vascello.
- Inioko - diss'egli ricadendo in acqua e con voce lievemente commossa, - ho scorto una nave al sud
appena a mezzo miglio da noi. Non so ancora a qual bandiera appartenga, ma è sempre una nave; se
arrischiassimo un grido d'aiuto?
- Una nave! - escla il Dajacco sorpreso. - Da dove diavolo è sbucata che non l'abbiamo vista
prima? Oh! La faccenda mi pare che diventi imbarazzante. Siete sicuro che non sia il prahos del
Portoghese? Fa abbastanza oscuro per ingannarsi.
- No, è un vascello, ne sono sicurissimo, Inioko. Sta fermo che io l'osservi un po' meglio.
Tor ad arrampicarsi sulle spalle del Dajacco e guardò ancora il vascello che navigava verso l'est,
quasi da credere che avesse l'idea d'avvicinarsi a loro.
Guardando bene, riconobbe in lui un grosso brigantino, il quale rammentavagli un po' vagamente
quello stesso che aveva preso parte al bombardamento di Mompracem.
- Non un grido, Inioko! - esclamò egli, abbassandosi bruscamente. - O che io m'inganno di molto, o
che quel brigantino è il medesimo che prese parte all'attacco del villaggio. Il vecchio birbone mi ha
l'aria di essere tutto lui: non un grido adunque. Sta avvicinandosi, ci passea poca distanza, ne sono
sicurissimo. Cerchiamo di non essere scorti, se vuoi ancor essere libero.
- Sarebbe lui ancora? Ed io che contava di venir raccolto e che stava per gettare un grido d'aiuto. Ma
come può esser mai qua?
- E chi potrebbe saperlo? Forse cerca il Portoghese e forse viene dal nord, dopo di aver girato
Mompracem, ignorando ancora la battaglia col piroscafo e colla cannoniera. Strappati di dosso quel
salva-gente e sta pronto a tuffarti od a portarti al largo.
Abbandonati frettolosamente i due galleggianti, i due pirati, cui premeva evitare quell'incontro
pericoloso, si tuffarono senza far rumore per non destare l'attenzione degli uomini di guardia e si
misero a nuotare sott'acqua come i pesci.
Il brigantino, poicera proprio lui, irto di cannoni e con pdi qualche attrezzo frantumato, dopo di
aver fatto una bordata all'ovest ed un'altra al sud, come indeciso sulla via da prendere, si dirigeva al
nord-est movendo verso i due pirati, che, tuffandosi a intervalli, spiavano attentamente le sue mosse.
Aveva i fanali spenti, forse per sorprendere i legni pirateschi che credeva ancora in mare, e filava a
tutte vele spiegate, lasciandosi dietro una striscia fosforescente. Esso passò a venti braccia dai pirati
che si erano affrettati a scomparir sott'acqua non tanto presto però che uno degli uomini di guardia
avesse scorto qualche cosa di sospetto in quel tuffo che gli strappò una esclamazione.
- Oh! - aveva gridato il marinaio. - Se non fossi sicuro che abbiamo una zigaena da poppa, avrei
creduto di vedere due teste.
Il nome zigaena, o pesce martello come lo si vuol chiamare, o peggio ancora balance fish, come lo
chiamano gl'Inglesi, che giunse alle orecchie di Inioko, gli fece gelar il sangue nelle vene e,
dimenticando ogni prudenza, cacciò la testa fuori dell'acqua, gettando uno sguardo smarrito all'intorno
per cercar di scorgere il terribile pesce.
- Vi sono due zigaene a poppa forse? - gridò la medesima voce che il vento portava sino al Dajacco.
Comprendendo il pericolo di venir scoperto tornò a tuffarsi, urtando contro il compagno che aveva di
già in mano il pugnale.
Risalirono entrambi a galla guardandosi in volto, dondolandosi fra la scia del brigantino che si era di
già allontanato di un centinaio e più di metri grazie al buon vento che lo spingeva sulla via dell'est.
- Una zigaena! - esclamò il Dajacco, che si dimenava nei flutti come un diavolo nella pila benedetta. -
Una zigaena!
- Che sia vero? Non aver paura che sono qua io - disse la Tigre.
- L'ho udito distintamente colle mie orecchie, capitano - rispose Inioko. - Oh! Non moviamoci più,
potrebbe aver seguito la scia della nave e potrebbe anche spiarci. Maledetto pesce!
Il Dajacco, così parlando, si aggomitolava su sé stesso credendo sempre di sentirsi mozzar le gambe e
non si moveva più, rattenendo persino il respiro, nel mentre che Sandokan deciso di sbarazzarsi del
pericoloso nemico, a onta delle raccomandazioni del compagno, batteva le acque per ogni dove.
- Egli vi porterà via le gambe, non movetevi, capitano, lasciatelo che se ne vada in pace - diceva
Inioko con voce tremula. - Sangue del demonio! Eccolo!...
Infatti la zigaena che sino allora aveva giuocherellato nella scia del vascello, comparve vicina a loro,
alzando fuor dalla spuma il suo bizzarro capo foggiato a martello, alle cui estremi brillavano i
grandi occhi giallastri.
Alla vista dei due nuotatori parve più sorpresa che irritata e s'arrestò a pochi passi di distanza battendo
fragorosamente l'acqua colla possente sua coda.
- Ah! Anche tu sei tra i piedi! - esclamò Sandokan traendo il pugnale e levandolo verso di essa.
- Lasciatela andare, capitano - s'affret a dire Inioko, cui la vicinanza del pericolo incuteva però
coraggio.
- Questo affamato pesce ci assalirà, tigrotto mio. Tanto vale assalirlo direttamente prima che si getti
su di noi; orsù, prestami man forte.
Ma la zigaena non era d'umore d'aspettarli. Si tuffò, ricomparve alla superficie, e contrariamente ai
suoi istinti feroci, prese il largo, seguendo ancora la scia del brigantino. In pochi istanti fu tanto
lontana da non esser più visibile.
I due nuotatori tuttavia non si mossero, lasciarono i pugnali. Solo si tuffarono più volte, per
assicurarsi che il vorace squalo non capitasse sott'acqua.
Inioko tornò a segnalare il nemico che avanzavasi rumorosamente scuotendo a dritta e a manca la
testa. Esso si mise a girare e a rigirare attorno a essi, ora allargando e ora restringendo i cerchi, e
cacciando fuori rauchi e profondi sospiri.
- Sta in guardia, Inioko - disse Sandokan. - La canaglia giuoca, per ora, ma potrebbe stancarsi e
venirci addosso prima che abbiamo a pensarlo. Aggrappati al salva-gente e filiamo pian piano, verso
l'ovest. Chi sa che non abbia a stancarsi di seguirci.
- Se venisse qualcuno in nostro aiuto! - mormorò il povero Dajacco. - Anche questi pesci dopo gli
uomini!
- Lascia i lamenti e guardati dai denti che mi sembrano molto acuti. Orsù, in ritirata colla prua
all'ovest!
Colla sinistra attorno al salvagente e la dritta armata del pugnale, volgendo la faccia alla zigaena che
giuocherellava a dieci o dodici metri di distanza, rovesciandosi rumorosamente fra le onde, i due
pirati si misero in viaggio, urlando e battendo l'acque colle gambe per tener lontano il terribile pesce.
La manovra non riuscì. La zigaena dopo mezz'ora era ancora lì, continuando i suoi giuochi,
sollevando colla possente sua coda vere trombe d'acqua che giungevano fino ai nuotatori, mostrando i
suoi acuti ed enormi denti ed emettendo certi sospironi da paragonarsi al tuono udito in lontananza.
D'un tratto fece un balzo gigantesco e si precipitò verso i due pirati. Proprio in quel momento Inioko
gettò un urlo di gioia.
- Capitano!... Capitano!... - balbettò egli.
La zigaena s'arrestò, bat ripetutamente l'acqua colla coda, girò su stessa e s'allontanò
rapidamente, lasciandosi dietro una scia gorgogliante e luminosa.
Sandokan che aveva alzato il pugnale si volse verso il Dajacco che cercava sollevarsi fuori dalle onde.
- Che vedi? Che hai? - gli chiese egli rapidamente.
- Guardate laggiù, al sud-ovest!... Per Allah!... Vedo un fanale... un punto luminoso... Ah! capitano!
La Tigre guardò. Un fanale bianco solcava l'orizzonte a tre o quattrocento gomene e andava
avvicinandosi in furia.
- È Yanez! - esclamò egli.
- Per Allah! Capitano! guardate!...
- Che vedi ancora? Gran Dio! Non è lui!
La terribile esclamazione gli fu strappata dalla vista di due altri fanali che seguivano a corta distanza
il primo. Il Portoghese non poteva avere con sé altri legni dacché tutti i tigrotti di Mompracem erano
morti. Sarebbe stata follia ammetterlo.
- Che facciamo adunque? Chi sono mai?.
- No, non è Yanez quello là - rispose con ira Sandokan. - Maledizione!...
- E chi possono essere mai?
- L'ignoro.
- Forse sono navi mercantili, che possono raccoglierci.
- E forse navi nemiche.
- Capitano!...
- Ti comprendo, Inioko. Piglia il pugnale: navi nemiche o no, noi c'imbarcheremo. Grida aiuto.
- Ma...
- Sono la Tigre! - disse superbamente Sandokan. - Se le navi sono nemiche, cadranno sotto i miei
artigli.
Inioko gettò un urlo altissimo chiamando aiuto! Un momento dopo s'udì un'archibugiata al largo.
- Hai udito? - chiese Sandokan.
- Si, ci hanno intesi e fors'anche scorti - rispose Inioko.
- Prepara il tuo pugnale. Potrebbe darsi che avessimo a batterci.
I tre legni andavano avvicinandosi rapidamente, dirigendosi verso di loro. Sandokan, dalle vele
enormi riconobbe in essi tre prahos. Senza saper rendersi conto del perché, sentì il cuore battergli con
veemenza.
- Olà! - gridò egli con voce tonante. - Chi siete?
- Tigri! - rispose una voce partita dal prahos più vicino. Sandokan uscì a metà dalle onde.
- Tigri! Tigri! - esclamò egli. - Inioko! Sono tigri!... Yanez! Yanez!
- Per Giove! Chi mi chiama? - chiese una voce.
- Io, Sandokan, la Tigre della Malesia!...
Gli rispose un gran grido, un grand'urlo di gioia partito dai tre prahos.
- Viva la Tigre!... Viva Sandokan!
Il primo prahos era vicino. I pirati lo raggiunsero in meno che lo si dica e si issarono sul ponte.
Un uomo s'avventò contro la Tigre e lo strinse contro il suo petto.
- Ah! mio povero fratello!... Credeva non rivederti mai più.
Sandokan poil capo sul petto di Yanez, ed emise un singulto che fu coperto dalle urla dei marinai
dei tre legni, che, pazzi di gioia, gridavano a squarciagola:
- Viva la Tigre! Viva Sandokan! Vendetta! Sangue!
Egli rimase alcuni istanti abbracciato a Yanez, poi improvvisamente rizzossi e tese minacciosamente
le mani verso l'oriente.
- Compagni! - tuonò egli, - a Labuan! A Labuan! La Tigre della Malesia ve lo comanda!...
Un minuto dopo i tre legni viravano in furia di bordo veleggiando verso le coste dell'isola indicata.
CAPITOLO XXXIII
Il piroscafo
Data la rotta, scelti gli uomini di guardia, installati gl'individui dalla vista più acuta sui pennoni delle
grandi vele, per non lasciar fuggire il piroscafo e fatti spegnere i fanali di bordo, per non attirare
l'attenzione di qualche incrociatore, Sandokan ed il Portoghese s'affrettarono a scendere nella cabina
di poppa per venire a spiegazione e per progettare i loro piani onde poter riacquistare la perduta regina
di Mompracem.
Il primo, cupo e scoraggiato, si lasciò cadere su di una panca dinanzi al tavolino, l'altro, gaio come
sempre, sedette a lui di fronte, stappando un fiascone di wisky ed empiendo due grandi tazze.
- Orsù, fratello mio - disse questi. - Per quale miracolo ti trovo ancora vivo, mentre ti credevo da un
pezzo appiccato a qualche pennone? Sai che io sono assai sorpreso e che mi sembra ancora
impossibile di vederti qui? Per mille spingarde! Bisogna dire che qualche buon'anima prega per te e
fors'anco pei tigrotti di Mompracem.
- Chi sa? - mormorò Sandokan. - Lascia ora c che riguarda me e parliamo invece di te. Dove hai
trovato quei due legni che ti seguono? Come mai ti trovi qui invece di dormire d'un sonno eterno in
fondo al mare? Se tu sei sorpreso di avermi trovato vivo io sono egualmente sorpreso di veder te
accompagnato da tante forze.
Il Portoghese vuotò l'una dietro l'altra tre o quattro tazze di liquore, poi, dopo di essere rimasto
qualche istante silenzioso:
- Sandokan - disse. - Ti ricordi quella notte che la flotta nemica ci assali?
- Non lo scorderò mai. Quella notte perdetti la mia Mompracem, il mio mare, i miei tigrotti, la mia
potenza e persino la mia Marianna.
- Marianna? E dove trovasi essa?
- Silenzio, Yanez, continua il tuo racconto ora. Avrò sempre il tempo di riaprire la ferita che mi
straziò il cuore.
- Bene, io quella notte fatale fui assalito da una cannoniera, che si era fissa in capo di abbordarmi. Ci
battemmo accanitamente per mezz'ora, io tentando di aprirmi il passo per accorrere in tuo aiuto, essa
cercando d'impedirmelo. I miei cannoni ebbero il sopravvento e la maledetta, sventrata, andò a picco
con tutti i suoi uomini.
- Bravo, Yanez. Hai vendicato la rotta di Mompracem. Prosegui.
- Quando l'affondai, il tuo prahos sdruscito si sfasciava e tu eri alle prese col nemico sul ponte del
piroscafo. Stimando essere pazzia il voler tentare di liberarti, fuggii, m'allontanai, poi, quando vidi il
piroscafo andarsene, mi misi a seguirlo a gran distanza sperando di poterti una notte o l'altra salvare
dando improvvisamente l'abbordaggio.
- Ah! Gli è proprio vero che tu mi seguivi? Ne aveva la sicurezza.
- Per mille spingarde! Come pensare altrimenti? Si, seguii il piroscafo ma il vento scemò il giorno
dopo, e io rimasi assai indietro per quanto i tigrotti arrancassero furiosamente. Alla sera aveva perduto
di vista la cima degli alberi del legno, ma non disperai e continuai a seguirlo sulla via delle Romades
sicuro che avrei finito col raggiungerlo.
- Alto , Yanez. Non ti sembrava strano che il vascello navigasse verso le Romades anziché verso le
Tre Isole?
- Sicuro, ma io lo seguii nella sua rotta quantunque temessi che alle Romades si tenesse ancorata una
parte della flotta.
- Basta così, continua, Yanez.
- Erano passate già ventiquattr'ore quando scorsi due legni che mi avevano l'apparenza di due prahos
pirateschi.
- Ah! E chi erano?
- Aspetta un momento. Innalzai la bandiera di Mompracem, e con mia gran sorpresa vidi che pure essi
ne alzavano una di simile. Venimmo a parlamento e riconobbi che uno era il prahos di Paranoa che ci
portò a Labuan e l'altro il prahos di Maratua che faceva parte della flotta di Giro Batoë.
- Ah! Ma come mai erano ancora vivi? Non s'erano adunque annegati i loro equipaggi?
- No, tanto è vero che ci seguono. Tu sai che la tempesta infuriava soffiando dal sud tremendamente.
- Sì, me lo ricordo.
- Paranoa fu trascinato verso il settentrione e andò ad arenarsi col suo legno sull'isola Pulo Gaya.
Maratua invece ana dar di cozzo contro le scogliere della baia d'Ambong. Perdettero molto tempo
a raggiustare i loro legni, poi scesero al sud e s'incontrarono sulle coste di Mompracem.
- Hanno approdato a Mompracem, hai detto? - interrogò la Tigre. - Chi abita la mia isola? Chi prese il
posto della Tigre della Malesia? Parla, Yanez, parla!...
- Non trovarono che le fumanti ruine del nostro villaggio e delle nostre batterie. GI'Inglesi avevano
sgombrato.
La Tigre mandò fuori un sospirone.
- Meglio così - mormorò egli. - Meglio così.
- Ti sta ancora a cuore Mompracem?
- Sempre! Sempre, Yanez! - rispose cupamente Sandokan. - Dacché ho perso la mia isola mi pare
d'aver perduto un lembo del mio cuore, mi pare che mezza della mia vita se ne sia andata.
- Lascia la nostra povera isola, Sandokan! Pensiamo invece a Marianna.
Il pirata, che si era fatto torvo in viso, rialzò con fiero gesto il capo che teneva curvo sul petto.
- Ah! sì! - esclamò egli con veemenza. - Pensiamo a lei.
- Dove l'hai lasciata?
- Dì dove l'ho abbandonata invece.
- Come vuoi.
- Si trova sul piroscafo che mi assali e che mi assassinò l'intero equipaggio. È(4) ancora prigioniera
nelle mani di loro. Buon per me che non vive più il rivale che mi faceva tremare.
- Oh! Quel baronetto...
- L'ho ucciso, l'ho veduto cadere ai miei piedi col cranio spaccato, ho veduto correre pel ponte del
legno maledetto il suo sangue.
- E ora, che facciamo adunque?
- Riprendiamo la lotta con Labuan.
- Sei sempre ammalato.
- Sempre e oggi più terribilmente di ieri, a segno che questa malattia mi spaventa. Non guarirò mai
più se non riavrò Marianna.
- Ma siamo in una posizione disperata: Mompracem l'abbiamo perduta, le nostre forze sono scarse,
gl'Inglesi sono potenti dopo che si allearono al Sultano di Varauni.
- La Tigre, che era prossima a morire, è ridiventata la Tigre di Mompracem, Yanez. Ho ancora sete di
sangue, sento di aver riacquistate tutte le mie forze, sento di essere ancora capace di ruggire, di
mordere, di portare la desolazione e lo spavento dove il mio sguardo si fisserà. Sarei capace di ridurre
Labuan in un deserto seminato di cadaveri.
- Vuoi proprio andare ancora a Labuan?
- Aspetta un po', Yanez. Quale via credi che abbia preso il piroscafo?
- Sicuramente la via di Labuan. Il lord deve essere ancora a Vittoria.
- Allora daremo la caccia al piroscafo.
- E se non lo raggiungiamo? Quel dannato ha il vento nella stiva.
- Sbarcheremo a Vittoria.
- Tu sei pazzo.
- Lascia fare a me. Ti giuro, Yanez, che se non riesco a riavere Marianna, la Tigre darà fuoco a
Vittoria.
Sandokan si alzò, tracannò un ultimo bicchiere di wisky e salì in coperta, seguito da Yanez, che erasi
fatto pensieroso.
La notte era chiara per la luna che era allora sorta all'est. I tre legni, distanti un duecento passi l'un
dall'altro, divoravano la via sotto il vento dell'ovest che spirava fortissimo, gonfiando le enormi vele. I
pirati sparsi qua e sui ponti s'affaccendavano, dietro ordine dei capi, a preparare i cannoni, che
fortunatamente si trovavano in buon numero a bordo. Sandokan andò a sedersi a prua, guardando la
vasta distesa d'acqua che brontolava e si alzava in grosse ondate, riflettendo bizzarramente l'argentea
luce dell'astro notturno.
S'era appena accomodato sulla carretta di un cannone, quando i suoi occhi distinsero in mezzo ai flutti
un oggetto risplendente che ondulava, ora tuffandosi ed ora tornando a galla. Egli si alzò di scatto.
- Yanez! - esclamò vivamente. - Fa poggiare.
- Che vedi? Forse un incrociatore? - chiese il Portoghese accorrendo a lui vicino mentre il timoniere
ubbidiva al comando.
- No, vi ha qualche cosa che galleggia laggiù. Non so, ho uno strano presentimento che quell'oggetto
mi riguardi.
- Uhm! - fe' il Portoghese. - Come mai potrebbe quella roba interessare la Tigre? Olà, timoniere,
poggia dritto quel galleggiante. Poggia presto.
Il prahos cangiò rotta, dirigendosi verso l'oggetto indicato che in pochi istanti venne raggiunto. Un
marinaio fu calato in mare e lo afferrò gettandolo a Sandokan che lo prese con vivacità.
Era una scatola di latta di quelle che s'adoperano usualmente per rinchiudervi il tonno. Sandokan
strappò il coperchio e trasse una carta umidiccia che era appiccicata nel fondo.
- Oh! - esclamò Yanez. - Che significa ciò?
- Questo è qualche documento prezioso.
- Non capisco il come.
- Lo saprai. Il mio cuore me lo dice.
Spiegò la carta sulla quale scorgevansi alcune linee di una calligrafia fina ed elegante. Sandokan
tremò come fosse stato preso da un terribile accesso di febbre.
- Yanez! Yanez!... - balbetegli.
Il Portoghese s'impadronì d'una lanterna e rischiarò la lettera.
- Leggi, Sandokan, leggi. Io ardo come te.
- Tuoni di Dio! Io sono diventato cieco, non vedo nulla.
Il Portoghese gli tolse la lettera di mano e lesse:
"Aiuto! Mi si conduce alle Tre Isole dove il lord ver a prendermi per condurmi a Sarawak. Sono
perduta.
"MARIANNA".
Sandokan nell'udire quelle parole aveva gettato un terribile urlo, un urlo straziante. Egli alzò le mani,
cacciandosele disperatamente nei capelli e vacillò come fosse stato colpito da una palla nel cuore.
- Perduta!... Perduta!... Il lord!... - ruggì egli.
Yanez e i pirati lo avevano circondato e lo guardavano con ansietà, con commozione. Pareva che
soffrissero le medesime pene che soffriva la povera Tigre.
- Fratello! - disse Yanez. - Noi la salveremo, te lo giuro.
La Tigre, curva, scattò in piedi col volto contraffatto:
- Tigrotti! - gridò egli con impeto furioso. - Abbiamo delle giacche rosse da esterminare, di quelle
giacche rosse stesse che ci assalirono e ci sconfissero a Mompracem, che mi fecero prigioniero.
- Vendetta! Vendetta! - vociarono i pirati.
- Tigrotti, abbiamo la regina prigioniera. La voglio libera! La voglio mia!
- Viva la regina! Sangue! Abbiamo sete!
- E io vi farò dissetare nel sangue inglese. Alle Tre Isole, tigrotti!
- Alle Tre Isole! Tutti alle Tre Isole! Abbiamo sete!
I tre prahos cangiarono rotta, dirigendosi alle Tre Isole lontane tutt'al p una ventina di miglia. I
pirati che già credevano di avere nelle loro mani il piroscafo e spegnere alfine la terribile loro sete nel
sangue dell'odiato nemico, si misero febbrilmente all'opera per essere pronti a cominciare la pugna,
che senza dubbio doveva essere tremenda.
Caricavano i cannoni a mitraglia, mettevano in batteria le spingarde smontate, aprivano i barili di
polvere, ammonticchiavano a prua ed a poppa un'enorme quantità di bombe, toglievano le manovre
inutili e rinforzavano le altre, improvvisavano barricate sui ponti, preparavano i grappini
d'abbordaggio. Persino dei recipienti di bevande alcooliche e di petrolio venivano da loro portati sul
ponte per dar fuoco, se occorreva, ai legni ed incendiare così il piroscafo e distruggere tutti coloro che
lo montavano.
Sandokan li animava col gesto e colla parola, promettendo a tutti botti di sangue e teste d'Inglesi.
- Ah! - andava esclamando egli di tratto in tratto. - Potessi giungere in tempo di salvarla!
- La salveremo - disse Yanez che fumava accanto a lui guardando fissamente il mare per vedere se le
Tre Isole comparivano sull'orizzonte. - Il bello sarà a trovarlo, il maledetto. Dove diavolo si sarà
rifugiato? Se vi fosse qualche cittadella, si sarebbe sicuri di trovarlo ancorato presso, ma che io
sappia, le Tre Isole non hanno che dei villaggi insignificanti o per lo più piantati entro terra.
- Non aver paura di questo, Yanez - rispose Sandokan. - Noi lo troveremo per quanto si sia ben
nascosto. Sulle coste meridionali della prima isola si trova una gran baia profonda e sono p che
sicuro che si sarà ancorato là. Tutto sta che noi abbiamo a giungere in tempo di sorprenderlo colla
giovanetta a bordo.
- E in qual modo, fratellino mio, lo assaliremo?
- A cannonate prima, colle scimitarre dopo.
- È roba vecchia, codesta. Ma non puoi aver dimenticato che sul piroscafo si trova Marianna.
- Ebbene?... Che vuoi dire?
- Per Giove! Credi tu che gli Inglesi se la lascieranno rapire una seconda volta?
- Quando i miei tigrotti, guidati dalla Tigre della Malesia, giungeranno sul ponte del legno nemico,
vor ben vedere quale Inglese sopravviverà per disputarmi la fidanzata. Preghiamo Allah che vi
possiamo arrivare prima che la nave del lord apparisca; del resto rispondo io.
- E non ti rammenti che tentò di fare il lord, quando noi gli rapimmo la lady?
Sandokan sentì i capelli rizzarglisi sulla fronte.
- Me lo ricordo - mormorò con voce cupa.
- Tentò di ammazzarla.
- Lo so, e crederesti tu... Non è possibile, Yanez.
- Non credo nulla, ma il comandante potrebbe aver ricevuto l'ordine di farle saltar le cervella, nel caso
che venisse assalito.
- E dunque? - chiese Sandokan, con un filo di voce.
- E dunque bisognerà impedire che questa sventura accada.
- Ma come?... Su, parla, Yanez, hai qualche piano in testa?
- Forse.
- Gettalo fuori, per mille tuoni! Io son tutto in sudore, tremo tutto di spavento. Oh!... Se venisse
uccisa! Guai!... Guai! Non le sopravviverei un solo istante!...
- Innanzi a tutto bisognerà spacciare il comandante della nave.
- Sicuro, ma come?
- Con un colpo di pistola. Una volta a bordo del suo legno non sarà difficile mandarlo a gambe levate
col cervello bruciato.
- Una volta a bordo del suo legno! Ma come si salirà?
- Ecco che ci siamo - disse Yanez. - Tu sai che fra i legni che bombardavano Mompracem ve n'erano
parecchi del Sultano di Borneo.
- Sì, lo ricordo - disse Sandokan trucemente.
- Benissimo. Io inalbero sul mio prahos la bandiera del Sultano, vesto i miei uomini come le guardie
di Varauni ed entro tranquillamente nella baia.
- Ah! Yanez! - esclamò Sandokan, stringendoselo al petto.
- Sta fermo, fratellino mio - disse il Portoghese. - Una volta nella baia vado ormeggiare il mio legno
presso il piroscafo e salgo sul suo ponte colla scusa di dire due parole al comandante. I miei uomini
saranno lì: saltiamo in coperta e facciamo un massacro di tutte le giacche rosse...
- E Marianna?... No, Yanez, qualche cane d'Inglese potrebbe raggiungerla nella sua cabina ed
ammazzarmela.
- E allora che vuoi fare?
- Quanti pirati abbiamo?
- Una quararantina e più.
- Benone. Quaranta compreso me c'imbarchiamo sul tuo legno. Tu sali sul piroscafo con una lettera
indirizzata a Marianna. Farai tanto che gliela consegnerai nella cabina, e una volta raggiuntala ti
barricherai assieme. Basterà un tuo fischio per farci avvisati che tu sei al sicuro: ci arrampicheremo
sul piroscafo e faremo un macello di tutti gl'Inglesi.
- E se ci scoprissero prima di avvicinarci al vascello?
- Come?
- Chi sa. GI'Inglesi qualche volta sono furbi.
- Non mettermi paure indosso, Yanez - disse Sandokan.
- A ogni modo...
- Farò più di quello che san fare mille uomini uniti.
In quell'istante si udì la voce squillante di Inioko gridare:
- Ohe! Guarda le Tre Isole!
Sandokan e il Portoghese si precipitarono a prua.
CAPITOLO XXXIV
L'ultima pugna della Tigre
Le Tre Isole apparivano a tre o quattro miglia di distanza, appena appena visibili per la profonda
oscurità. Nessun fuoco brillava sulle dirupate loro coste e nessuna nave, per quanto i pirati girassero
attorno i loro occhi, veleggiava nelle loro vicinanze. Isole e acque parevano deserte e addormentate.
Sandokan, appena si fu accertato che erano propriamente esse, comandò di ammainare le vele e agli
altri prahos d'avvicinarsi bordo contro bordo. Compiuta l'unione dei tre legni, fece subito innalzare
sugli alberi di maistra la gran bandiera del Sultano di Borneo, e portare le artiglierie sul suo prahos
più grande, più solido e quello portava tutti i suoi tesori.
Dei quarantasei uomini che aveva, quaranta passarono sul suo ponte, dopo di essersi camuffati alla
meglio tanto da passare per marinai e guerrieri di Varauni.
- Compagni - diss'egli chiamandoli attorno e intimando a loro il passoluto silenzio. - La partita che
noi giuochiamo è terribile, non dimenticate che sa l'ultima pugna che imprenderà la Tigre della
Malesia, quindi l'ultima volta che noi ci troveremo di fronte alle giacche rosse, e l'ultima occasione
che ci si presenta per vendicare e coloro che furono assassinati lungo le coste di Labuan e coloro che
vennero sventrati sulle coste di Mompracem. Voglio vedere sangue, mi capite, e tanto sangue da
coprire l'onta che subimmo sulla nostra isola.
- Sì, sangue, torrenti di sangue, fiumi di sangue! - mugolarono ferocemente i tigrotti. - Tanto sangue
da arrossare il mare della Malesia!
- Abbiamo la nostra regina da strappare dalle mani dei nostri nemici: Marianna Guillonk, mia moglie!
- Ve la daremo; dovessimo morir dal primo all'ultimo.
- Sta bene. Silenzio ora, e tutti pronti a intavolare la pugna; appena che io darò il segnale tutti sul
ponte del piroscafo. Nessun Inglese sfuggirà alla nostra vendetta.
- Contate su noi - risposero in coro i tigrotti.
Sandokan fece cenno a me di loro di scendere nella stiva, per non allarmare con tanta gente il
piroscafo, poi comandò agli altri due legni di prendere il largo e di tenersi lontani dalle Tre Isole più
che fosse possibile, per non venire presi.
- E ora - diss'egli volgendosi a Inioko, che aspettava i suoi ordini, - volgi la prua alle Tre Isole e
andiamo alla baia. Il piroscafo è là.
Le vele vennero nuovamente sciolte e il veloce legno, silenzioso come un fantasma, si diresse verso la
prima isola, al sud della quale aprivasi una baia profonda. I pirati rimasti sul ponte, puntati i cannoni e
prese alcune disposizioni per poter abbordare il legno caso mai che venissero riconosciuti, si stesero
sul ponte coi kriss fra le labbra e le carabine a portata della mano.
- Yanez - disse Sandokan. - Vammi a scrivere questa lettera.
- Qui viene il buono - disse il Portoghese. - Se il luogotenente per avventura conoscesse la scrittura
del lord?
- Non gli lascierai vedere la lettera. La consegnerai nelle mani di Marianna.
- Si fa presto a dirlo, ma sarà difficile a farlo. Se quell'animale di comandante non me lo permettesse?
Chi sa, potrebbe darsi che sospettasse di me.
- Quando tu dirai di aver ricevuto dal lord il comando di consegnare la lettera nelle mani di lady
Marianna, vedrai che il luogotenente ti lascie fare. Tu sai che gli ordini superiori non si alterano a
bordo dei legni inglesi.
- Ti credo, fratello mio, ma non do due piastre della mia pelle. E infine che vuoi che io scarabocchi?
Sandokan per alcuni istanti meditò.
- Odi - disse poi. - Potrebbe darsi che il luogotenente, per precauzione o per qualche altra ragione,
avesse ad accompagnarti nella cabina, e impedirti così di parlare con Marianna. Scriverai quindi sulla
lettera che noi siamo pronti a dare l'abbordaggio al vascello e che stia in guardia.
- Eccomi qua un nuovo impaccio dinanzi agli occhi - disse Yanez.
- Quale?
- Se il luogotenente restasse anch'egli nella cabina, come potrò io barricarmi?
- Hai un kriss: lo caccierai fino all'impugnatura nella schiena di lui.
- Tu parli con una sicurezza tale da far credere che tutto sia facile.
- È l'ultimo colpo che tentiamo, Yanez.
- Hai ragione, Sandokan. Orsù, siamo forti anche nell'ultimo colpo.
Sandokan gli prese la mano e gliela strinse commosso.
- Ah! quanto sei buono, Yanez! - esclamò egli.
- Lascia stare le lodi, fratello mio - disse il Portoghese sorridendo. - Animo, conduci il prahos in
porto. Prima che vi arriviamo, la lettera sarà finita.
Il bravo Portoghese sparve pel boccaporto di poppa e Sandokan si portò a prua cogli occhi fissi
sull'isola più vicina, e precisamente all'ingresso della baia che aprivasi verso il sud fra una doppia fila
di scoglietti madreporici.
Il prahos continuava ad avanzare lentamente colle vele terzarolate e la gran bandiera del Sultano di
Borneo spiegata sulla cima dell'albero maestro. Esso giunse dinanzi alla baia nel momento che il sole
usciva dal mare, rischiarando quasi improvvisamente le Tre Isole. I pirati scattarono in piedi.
S'udì tosto un grugnito di gioia; ogni mano si portò istintivamente alle impugnature delle scimitarre e
dei kriss. Qualcuno afferrò la carabina, e qualche altro la miccia dei cannoni.
- Silenzio! - comandò la Tigre della Malesia.
Proprio nel mezzo della baia stavasene ancorato il piroscafo; la bandiera inglese ondeggiava sul picco
dell'albero di mezzana e dalla ciminiera usciva un legger pennacchio di fumo grigiastro. Sandokan
riconobbe subito in quel piroscafo quello stesso che lo aveva assalito sotto le coste di Mompracem e
che lo aveva fatto prigioniero. Tremò tutto.
- vi ha la mia fidanzata - mormorò egli cupamente. - vi sono quei cento Inglesi che mi
schiacciarono: bene, fra un'ora vedrò cento cadaveri dissanguati, orribilmente mutilati dalla mia
scimitarra.
Si volse ai suoi tigrotti, che guardavano trucemente il naviglio.
- Egli è là - diss'egli. - Lo vedete?
- Lo vediamo - risposero con impeto feroce i tigrotti.
- Là trovasi la moglie della Tigre della Malesia, quella che voi gridaste regina di Mompracem.
- La libereremo per ritornarla alla Tigre.
- Non basta. Io odio quegli uomini.
- Noi li esecriamo, Tigre, e abbiamo sete di sangue.
- Che nessuno ci sfugga. Io lo comando.
I tigrotti risposero con un mugolio furioso.
- Vogliamo sangue! Vogliamo cadaveri! Vogliamo vendetta! - risposero ad una voce.
- Bene, voi avrete tutto ciò che chiedete. Yanez!
Il Portoghese comparve, portando la lettera. Egli era camuffato da capitano di marina bornese, con un
gran turbante in capo ed una bella casacca verde in mezzo alla quale campeggiava lo stemma del
Sultano.
- Il piroscafo? - chiese egli, mettendo piede sul ponte.
- Il maledetto dorme all'âncora - rispose Sandokan. - Il lord non è ancora arrivato, ma potrebbe
trovarsi qui fra pochi momenti: è quindi di assoluta necessità che noi abbiamo ad agire subitamente.
- È giusto, fratello mio. Orsù allora, spicciamoci. Io salgo a bordo del legno, e al primo fischio voi
date l'abbordaggio; siamo intesi, ma, per Giove! non tardate. Se il colpo non riesce, tu lo sai che io
non uscirò vivo dalla cabina della lady.
- Fidati di me, Yanez. Sento d'essere ancora una volta la Tigre della Malesia: si tratta di liberare
Marianna, la mia fidanzata, più ancora, mia moglie, e ciò basta. Ho il sangue che mi bolle, ho indosso
una smania furiosa di uccidere, di scannare, di sbranare.
- Andiamo, vattene sotto coperta con Ladgia, e voi, tigrotti miei, giù quelle armi e componete un po'
cristianamente i vostri musi feroci. Bisogna che gl'Inglesi non abbiano a sospettare di nulla.
Sandokan gli strinse fortemente la mano.
- Coraggio, Yanez. Giuoco la mia ultima partita.
- Arrivederci sul vascello nemico in mezzo a un monte di cadaveri! Strinse fra le braccia la Tigre
della Malesia e Ladgia, poi si slanciò a prua, gridando:
- Inioko, metti pur la prua dritta al piroscafo. Coraggio, tigrotti! Abbiamo lassù un fiume di sangue da
bere.
Il prahos velegg subito verso la baia. Oltrepassò la doppia fila di scogliere e si avvicinò al vascello
fermo su due âncore. Tre o quattro uomini si mostrarono sul castello di prua.
- Chi va là? - chiese una delle sentinelle.
- Varauni - rispose Yanez. - Notizie importanti da Vittoria. Olà, Inioko, lascia andare l'ancorotto e fa
filare tanta catena fino a che andiamo a collo della nave. Attento alle tambure e all'urto! Fuori i
parabordi, voi altri.
Prima che le sentinelle aprissero bocca, per impedire, secondo i regolamenti, che il legno si
avvicinasse troppo, i pirati avevano ammainate le vele e gettata l'âncora. Il prahos abbordò il
piroscafo sotto la poppa in maniera che gli alberi toccassero le murate, per agevolare la salita a bordo.
- Dov'è il comandante? - chiese Yanez.
- Scostate il legno - disse una sentinella.
- Al diavolo i regolamenti - rispose il Portoghese. - Spicciatevi, per Giove! Andatemi a chiamare il
comandante, che ho degli ordini pressanti da comunicargli.
Il capitano saliva allora sul ponte. Egli s'avvici alla murata di poppa, e, vista la lettera che Yanez
mostravagli, fece gettare una scala.
- Coraggio - mormorò Yanez, volgendosi ai tigrotti che guardavano trucemente il piroscafo.
Prima di salire, volse uno sguardo a poppa del prahos. I suoi occhi s'incontrarono con quelli
fiammeggianti di Sandokan, che si teneva celato sotto una tela che copriva il boccaporto. Si
scambiarono un gesto impercettibile che voleva dire mille cose.
In meno che lo si dica, il bravo Portoghese si trovò sul ponte del piroscafo. Si sentì invadere da un po'
di timore, ma la sua faccia non tradì il turbamento dell'animo.
- Capitano - diss'egli, inchinando spigliatamente dinanzi al comandante del vascello. - Una lettera per
lady Marianna Guillonk.
- Da dove venite?
- Da Labuan.
- Chi ve la diede?
- Lord James Guillonk in persona.
- L'avete veduto adunque voi? Che fa?
- Sta armando un brigantino per venirvi a raggiungere - rispose Yanez con voce ferma. - Egli mi ha
incaricato di consegnare questa lettera alla lady sua nepote.
- E per me, non vi diede alcuna lettera? - chiese il capitano.
- Nessuna, comandante.
- Ciò è strano. Non vi comunicò nemmeno ordini?
- Nessuno.
- Date qua la lettera che gliela consegnerò io a lady Marianna.
- Mille scuse, comandante, ma ho avuto ordine di consegnarla io in persona a sua nepote - disse
audacemente Yanez.
- In tal caso venite con me. Gliela daremo assieme.
Yanez rabbrividì e sentì gelarsi il sangue nelle vene.
- Sono perduto - mormorò egli fra sé. - Se Marianna mi conoscesse?...
- Tuttavia non si smarrì, rifiutò la compagnia del capitano, per paura di destare sospetti. Solo
cacciò una mano in tasca per assicurarsi che il kriss era al suo posto.
- Andiamo capitano - disse poi, facendo uno sforzo per padroneggiare l'emozione che lo assaliva.
Gettò una rapida occhiata al prahos. Arrampicati sugli alberi vi erano sei o sette pirati e avevano un
piede appoggiato sulla murata del piroscafo. Pareva che fossero lì lì per avventarsi sui marinai inglesi,
che li osservavano mutamente e con qualche curiosità.
Egli seguì il capitano e scese assieme a lui la scala che conduceva alle cabine di poppa. Il povero
Portoghese si sentì rizzarsi i capelli sulla fronte, quando udì il capitano bussare leggermente ad un
uscio.
- Chi è là? - chiese una voce che Yanez riconobbe subito per quella di lady Marianna.
- Un messaggio di lord Guillonk vostro zio - rispose il capitano.
La porta si aprì e furono introdotti in una vasta cabina riccamente addobbata e nel mezzo della quale
stavasene ritta la fidanzata della Tigre, pallida, abbattuta, ma fiera. Ella nello scorgere Yanez che
conobbe subito, impallidì ancor più e s'appogg alla spalliera di una sedia. Ma non gettò grido
alcuno, non fece il più piccolo gesto di sorpresa, che potesse tradire il coraggioso Portoghese.
Ella ricevette dalle sue mani la lettera, l'aprì macchinalmente e la lesse con una calma veramente
ammirabile. Yanez fu subito lesto a tirarsi indietro: tremava tutto come se avesse la febbre ed era
diventato bianco come un panno lavato.
D'un tratto fece due passi verso lo sportello della cabina che guardava il mare.
- Capitano - diss'egli con voce stridula e alterata. - Mi pare di vedere un piroscafo che si dirige verso
questa baia.
Il comandante si precipitò verso lo sportello, credendo davvero che un piroscafo fosse in vista. Era
quello che Yanez voleva.
Gli si fece silenziosamente alle spalle col kriss in mano. Gli mise quattro dita sulla bocca per
impedirgli di mandare il più piccolo suono, poi rovesciandolo bruscamente addosso a una sedia, gli
sprofondò l'arma fino all'impugnatura nel cuore. L'Inglese cadde a terra fulminato vomitando sangue.
Lady Marianna non poté frenare un grido d'orrore.
- Tuoni di Dio! - mormorò cupamente Yanez. - Silenzio, sorella mia.
Asciugò freddamente la insanguinata lama del kriss sulle vesti del morto e si avvicinò a Marianna,
stringendole la mano con passione.
- Sorella mia - le disse. - Non emettete grida che potrebbero tradirmi e cercate di essere forte se volete
che vi salviamo. Sandokan e i tigrotti sono qui, l'avete letto sulla lettera, e fra cinque minuti daranno
battaglia a quelli del piroscafo. Coraggio, adorata sorellina.
- Ah! Yanez! - disse la giovanetta, stringendosi ai suoi fianchi.
- Vi capisco, un assassinio vi mette sgomento, ma non poteva fare a meno di pugnalare quel povero
diavolo. Dio mi perdonerà.
- E Sandokan, e la Tigre, e il mio fidanzato? Oh! parlatemi di lui!
- Ve lo dissi che è nascosto nel prahos e che attende il mio segnale per cominciare il massacro. Non
abbiamo tempo da perdere. Siete ancora risoluta ad abbandonarvi completamente nelle braccia di mio
fratello?
- Sempre, Yanez, sempre! - esclamò con fuoco la giovanetta.
- Bene, allora all'opera. Avete armi? Potrebbe darsi che voi foste costretta ad ammazzare qualcuno di
questi cani che vi tengono prigioniera. Marianna aprì un cassetto e ne levò due pistole.
- Sono pronta a tutto - disse poi. - La moglie della Tigre della Malesia deve mostrarsi degna del suo
terribile consorte.
- Andiamo, milady, barrichiamoci, prima che gl'Inglesi abbiano ad accorgersi della mia presenza.
Afferrò un armadio e lo trascinò presso la porta, e sopra vi accumu alla meglio tavolini, cassetti e
scranne, formando una solida barricata, dietro alla quale potevasi opporre una lunga resistenza.
- E ora - diss'egli quando ebbe finito, - diamo il segnale. Coraggio, milady, mano alle pistole.
- Ma che succederà mai? - chiese con emozione la giovanetta.
- Un massacro e nulla più - rispose freddamente Yanez.
S'avvicinò al fenestrino, trasse da saccoccia una chiave e mandò un lungo e acuto fischio.
Egli tornò rapidamente verso Marianna, che aveva caricato le pistole.
- Attenzione! - esclamò egli, traendo la scimitarra e le sue armi da fuoco.
D'un tratto si udì un terribile grido, il grido di guerra dei tigrotti di Mompracem:
- Sangue! Sangue! Viva la Tigre della Malesia!...
Vi tenne dietro una scarica violenta di carabine, poi urla indescrivibili, bestemmie, invocazioni,
gemiti, lamenti, comandi precipitosi e un calpestio, un cozzar d'armi, un rumor sordo di corpi che
cadevano.
- Yanez! - balbettò Marianna pallida come una morta.
- Coraggio, tuoni di Dio! Viva la Tigre della Malesia! - vociò il Portoghese.
Si udirono delle voci che s'avvicinavano alla cabina, poi la scala scricchiolare sotto il peso di alcuni
uomini.
- Capitano! Capitano! - gridò una voce.
Yanez si scagliò verso la porta colla scimitarra nella dritta e una pistola nella sinistra, appoggiandosi
contro le mobiglie. Marianna ne seguì l'esempio.
- Capitano! Aprite, per mille boccaporti! - gridarono tre o quattro voci.
- Viva la Tigre della Malesia! - urlò ancora Yanez.
S'udì una bestemmia tremenda poi un colpo contro la porta e uno schianto. Yanez e la giovanetta
raddoppiarono gli sforzi per tener salda la barricata. Seguì un secondo, un terzo, poi un quarto colpo.
Si aprì una fessura per la quale s'introdusse la canna di una carabina.
- Yanez! Yanez! - gridò la giovanetta.
- Tenete saldo! - esclamò il Portoghese.
Con una mano abbassò l'arma, coll'altra appoggiò la pistola sulla fronte di un soldato e gli fece saltare
le cervella. Marianna, dal canto suo, fece fuoco su di un marinaio che rotolò fulminato al suolo.
Gli altri due risalirono in furia la scala urlando:
- Tradimento! Tradimento!...
Le fucilate continuavano sul ponte del vascello, e le urla echeggiavano più forti che mai, urla di
agonizzanti e urla di vincitori. Tratto tratto fra quei fragori s'udiva la tonante voce della Tigre della
Malesia, che comandava l'assalto, alla quale teneva dietro sempre p tremendo il grido di guerra dei
pirati di Mompracem.
Marianna era caduta in ginocchio e Yanez, smanioso di sapere come volgessero le cose sul ponte,
s'affaccendava a levar le mobiglie, per saltar fuori e prendere a tergo gl'Inglesi, qualora ve ne fosse
stato bisogno, quando si udì urlare:
- Al fuoco!... Al fuoco!... Si salvi chi può!...
Il Portoghese impallidì.
- Tuoni di Dio! - esclamò egli.
Con uno sforzo disperato rovesciò la barricata, si slanciò verso Marianna, l'avvinghiò fra le sue
braccia e uscì in furia colla scimitarra in pugno.
- Venite, milady, o siamo perduti.
Dense nubi di fumo avevano di già invaso la corsia e nel fondo si vedevano le fiamme che uscivano
dal deposito di carbone e dalle cabine degli ufficialí.
- Aiuto, Yanez! Dio mio, la Santa Barbara! - esclamò Marianna.
Yanez, tenendola sempre fra le braccia, sa la scala e guadagnò il cassero. La pugna durava ancora
più feroce che mai fra Inglesi e pirati. Qua e là si scorgevano gruppi di cadaveri orribilmente mutilati,
nuotanti fra torrenti di sangue, agonizzanti che gemevano contorcendosi rabbiosamente, combattenti
che si azzuffavano tremendamente, rovesciandosi, calpestandosi e scannandosi a vicenda, e per ogni
dove armi infrante e insanguinate. In mezzo a tutti si vedeva Sandokan, che invulnerabile fra le palle e
i colpi di baionetta, faceva strage d'Inglesi.
- Al fuoco! Al fuoco! - gridò il Portoghese saltando in coperta e cacciando dieci pollici di lama nella
schiena di un contromastro che si azzuffava contro Inioko.
Il grido fu udito. I quindici o venti Inglesi che ancora restavano in piedi si diedero alla fuga per
salvarsi nelle imbarcazioni, ma furono circondati e ammazzati, addosso alle murate. La Tigre della
Malesia si precipitò incontro a Yanez e ricevette fra le braccia Marianna. Gettò un urlo di gioia
giammai uscito da gola umana.
- Marianna! Marianna!... - esclamò egli.
La giovanetta si aggrappò al suo collo. Nel medesimo istante si udì una cannonata rombare verso
l'alto mare.
La Tigre della Malesia cacciò fuori un ruggito rabbioso.
- Il lord! Il lord! Tutti a bordo del mio prahos! Non aver paura, Marianna, sono qua io!
Il prahos si era fatto sotto la scala di tribordo. Sandokan con Marianna, Yanez e tutti i pirati che erano
scampati alla pugna, portando i feriti, abbandonarono il vascello che, in preda alle fiamme, bruciava
come un fastello di legna secca.
S'udì una seconda e poi una terza cannonata. Le vele in un lampo furono spiegate, i pirati diedero
mano ai remi, ed il piccolo legno uscì a tutta velocità dalla baia, inoltrandosi verso l'alto mare.
Sandokan trasse Marianna a prua e la coperse colla lama della sua scimitarra.
A seicento passi a tribordo galleggiavano i rottami dei due prahos lasciati indietro da Sandokan, e a
quattrocento passi a babordo veleggiava un grosso brigantino colla bandiera inglese sul picco della
randa.
I pirati si gettarono ai cannoni.
- Fermi tutti! - gridò Sandokan.
Egli tese la scimitarra verso la prua del brigantino, sulla quale stavasene un uomo colle mani
appoggiate sul bompresso.
- Guardalo, Marianna, guardalo! - diss'egli. La giovanetta gettò un grido di spavento.
- Mio zio! Mio zio! - balbettò ella smarrita. -
- Guardalo per l'ultima volta!...
- Ah! Sandokan!...
- Tuoni di Dio, è lui! - urlò Yanez con accento terribile.
Alzò la carabina e lo prese di mira. Sandokan gli strappò l'arma di mano.
- Egli è per me sacro - disse con aria tetra.
Il brigantino si avanzava rapidamente. Egli tirò un primo colpo di cannone sul prahos; la palla smussò
l'albero di maistra abbattendo la bandiera della Tigre della Malesia.
Sandokan portò la destra al cuore e la sua faccia si sconvolse.
- Addio vita! - mormorò egli dolorosamente. - Addio Tigre!...
Abbandonò bruscamente Marianna, si abbassò sul cannone di poppa e mi a lungo. Il brigantino
tirava furiosamente alternando alle palle scariche tremende di mitraglia. Sandokan non si moveva:
mirava sempre.
Di repente si raddriz accostando la miccia. Il cannone s'infiammò ruggendo, scuotendo tutto il
prahos: vi tenne dietro uno scroscio formidabile e l'albero di maistra del brigantino ruiin mare con
tutta l'attrezzatura schiantando le murate.
- Guarda!... Guarda!... - esclamò la Tigre.
Il brigantino s'arrestò di botto virando di prua e si dié a cannoneggiare il prahos che s'allontanava
sempre. Sandokan affer Marianna, la trasse a poppa, salì sulla murata e la most al lord che
bestemmiava e urlava come un pazzo a prua del brigantino.
- Guarda mia moglie!
Poi retrocesse a lenti passi colla fronte abbuiata, gli occhi torvi, le labbra strette, i pugni chiusi e
scosse disperatamente la testa.
- A Giava! A Giava, alla terra della libertà! - mormorò con voce spenta.
Il brigantino tirava con maggior furia a palla e a scaglia e la distanza cresceva sempre più. La Tigre
immobile come una statua cogli occhi in fiamme mirava il legno nemico, come trasognato, come
ebbro, sordo alle parole di Marianna che lo pregava di togliersi di là, sordo alle parole di Yanez, sordo
alle parole dei suoi pirati.
D'un tratto le detonazioni diminuirono d'intensità e cessarono poco dopo del tutto. La Tigre fece un
passo innanzi, due, tre, barcollando, andò a poppa poi si volse indietro e gettò un grido straziante, un
grido disperato, strozzato. -
- Dio! Dio! La Tigre della Malesia è per sempre morta!
Girò su di sé stesso come albero sradicato dal vento, cadde fra le braccia dell'adorata sua Marianna e
quell'uomo che non aveva mai pianto in vita sua scoppiò in singhiozzi!...
NOTE:
(1) La treccia
(2) Inglesi così chiamati per le giacche rosse che portano i soldati di infanteria di marina
(3) Nell'originale "queste cose"[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(4) Nell'originale "E"[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
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