fagiolo, che aprono i bei campanelli bianchi, rossi, violetti, e mandano i filamenti a carezzare il
muro; da alcuni trespoli piovevano sul tettuccio sottostante dei ciuffi spessi di garofano.
Ma piú che i fiori, Demetrio amava le erbe, le erbe semplici, vestite soltanto di verde, le
tredescansie, che sembrano capelli sciolti d'una bella donna, le felci magre e lunghe, i muschi
morbidi come il velluto, l'edera coi suoi capricci, ed anche il rosmarino, anche l'insalata dalle coste
dure..., il verde, insomma, in tutte le sue modeste e ricche varietà, quel benedetto verde, che par
fatto per il riposo del corpo e dell'anima.
Nato anche lui nel bel mezzo dei prati lombardi e da una gente abituata chi sa da quanti anni
a rovistare nell'erba, aveva nel sangue l'istinto fantastico della natura verde e silenziosa, della quale
sapeva intendere le voci piú misteriose; era un vero appetito d'erba, che gli faceva costruire in tre o
quattro cassette di legno sopra le tegole bruciate un campionario di quella natura, ch'egli sognava
quasi tutte le notti.
Quando voleva poi pigliarsi una boccata d'aria, andava a passare la domenica alle Cascine
Boazze, poche miglia fuori di porta Romana, quasi sotto il campanile di Chiaravalle, la terra
classica del verde, delle marcite, delle praterie color smeraldo, lunghe, larghe, distese a perdita
d'occhio, sprofondate tra i filari dei salici grigi e dei pioppi tremolanti.
Suo cugino Paolino Botta, presso il quale si era ricoverata la famiglia di Cesarino dopo la
disgrazia, era figlio d'una sorella di sua madre. Si volevano un gran bene, fin dal tempo che i
Pianelli abitavano a San Donato, un fondo limitrofo: e ora si rivedevano sempre volentieri senza
bisogno di dirselo.
Nei lunghi pomeriggi domenicali, i due cugini, colle spalle appoggiate al muro di un pollaio
e coi prati distesi davanti fin che l'occhio poteva correre, stavano a discorrere un gran pezzo di
coltivi, di concimi, di piante, di riforme agrarie, che non c'era nessun obbligo di eseguire.
Oppure pigliavano la canna e andavano a pescare nei canali o nello stagno presso la chiesa,
finché, fatto quasi buio, il regio impiegato pigliava il treno a Rogoredo e rientrava in città stracco e
colla testa piena di erba come una cascina. Al taglio dei fieni il delicato profumo dell'erba secca lo
accompagnava fin sotto le lenzuola, e svegliandosi la mattina, ne trovava ancora dei fascetti nelle
scarpe.
La prima stanza dietro l'uscio, che serviva d'anticamera e da salotto, conteneva un canterale,
un tavolino, alcune sedie e una vecchia poltrona di vacchetta, a schienale diritto, a grosse borchie
d'ottone, ridotta magra anch'essa dall'età e dall'astinenza. Nell'altra stanza c'era un inginocchiatoio di
vecchio stile con su un crocifisso vecchio vecchio anche lui. Erano i pochi avanzi salvati dal
naufragio della sua casa. La tetra stanzuccia serviva di ripostiglio e a un caso di cucina; ma di solito
Demetrio usciva a mangiare, d'inverno a una trattoria in via degli Spadari, e d'estate, col bel tempo,
ora qui, ora là fuori di porta, o alla Samaritana, o all'Orcello, o al Ginepro, e qualche volta fino a
Sesto o alla Cagnola.
Dalle tre finestre e dalla ringhiera si guardava in un cortile stretto e profondo come una torre,
di cui non vedevi la fine; ma davanti l'occhio spaziava sopra una moltitudine di tetti e di tettucci,
sovrapposti, accavallati l'uno all'altro, d'un uniforme colore bruciaticcio, con una moltitudine di
abbaini e di soffitte sporgenti, di altane aperte, di comignoli di tutte le fogge, di tutti i colori, colle
bocche nere, spalancate, sbadiglianti, con cappelletti in capo, di ferro, a guisa d'elmi, di visiere, di
cuffie, di ombrelle: una folla insomma di figure che nella luce del crepuscolo e nelle notti chiare di
luna parevano assumere un atteggiamento, un sentimento di vita.
Eravamo già alla seconda domenica di quaresima e la stagione favorita da un marzo
galantuomo si avviava allegramente a braccio della primavera.
Il sole entrava vivo e festante per le tre finestrelle. Su per le tegole scorreva l'aria fresca
mattutina e, qua e là, da qualche balcone alto o da qualche terrazza usciva un ramettino verde di
sambuco.
Demetrio, infilato l'ago, stava rattoppando una delle tasche de' suoi calzoni della festa,
ingegnandosi da sé come deve fare chi ama la roba e non può spendere, canticchiando sottovoce e
sollevando di tratto in tratto gli occhi al magnifico campanile delle Ore, che gli stava davanti, di un
bel colore rossiccio, colle sue leggiere e vaghe ornamentazioni di terra cotta, che usciva da un
mucchio di tetti disordinati come un bel soldato diritto. Oppure si arrestava incantato a contemplare
la magnificenza del Duomo, di cui vedeva una membratura, un ricamo di marmo sul fondo celeste,