Due donne, rimaste ultime, gli si fermarono davanti, ridendo di un riso spezzato e maligno:
«Vai all'ovile, Merzioro Carta?».
«Così pare!»
«Se aizzi il cavallo farai un bell'incontro.»
«Io non devo incontrar nessuno!», diss'egli, duro.
Ma, dentro, il cuore parve saltargli alla gola. «È dunque lei!», pensò con rabbia.
Le donne intanto, ripresa la discesa, fermarono un ragazzo per il sacco.
«Grida così: tanti saluti a Paska Carta!»
Il ragazzo si volse in faccia al sole, socchiuse gli occhi, si portò le mani giunte alla bocca, e gridò:
«Faccia di volpe, ohè, tanti saluti a Paska Carta!».
Il maligno grido finì d'inviperire Melchiorre: tuttavia non si volse, non rispose, e non si fermò
finché non giunse ad una fontana. Grandi elci immobili ombreggiavano la radura coperta di tenere
erbe bionde: davanti alla rozza fontana di pietre si scorgevano le traccie di un banchetto; macchie
nere ove era stato acceso il fuoco, felci appassite su cui erano state distese le tovaglie, avanzi di
frutta, frantumi di stoviglie, e in giro alcune pietre, che avevano servito per sedili sembravano
ancora accolte a muto convito.
Il pastore e il cavallo parevano piccolissimi in quella solenne grandiosità d'alberi e di sfondi azzurri.
Melchiorre smontò, e tirando il cavallo per la briglia si avanzò fino alla fontana. S'inginocchiò sulle
pietre, rigettò indietro sul capo la berretta, e curvandosi sino a baciar la sua figura riflessa
dall'acqua, bevette a lunghi sorsi. Si rialzò coi baffi stillanti, s'accomodò la berretta, e fece bere il
cavallo alla fontana, invece che alla pozza praticata apposta per abbeverar le bestie.
Mentre il cavallo s'abbeverava, egli guardava intorno sospettoso, provando un gusto dispettoso nel
veder l'acqua intorbidata dall'animale. La fontana era stata pulita pochi giorni prima, per uso di
alcune famiglie che facevano la novena nella chiesetta in vetta al monte. Paska serviva in una di
queste famiglie, e ogni giorno scendeva alla fontana, per attinger acqua, con la rossa anfora di creta
sul capo; i suoi adoratori, certo, la rincorrevano fin laggiù.
Che dunque il cavallo bevesse, che intorbidasse, che, potendo, inquinasse la fresca acqua pura,
come quei signori avevano avvelenato l'anima del pastore.
Che bevesse! Anzi, in un impeto d'ira, che diede un giallo fulgore ai suoi occhi, Melchiorre si curvò,
aprì le mani, afferrò uno, due, tre massi, dalla base nera di fango, e li gettò entro la fontana. L'acqua
gorgogliò, sprizzò, traboccò, si sparse sulle pietre circostanti.
Egli riprese la briglia, risalì rapido in sella e s'allontanò.
Tutto ritornò nel grave silenzio di prima; s'udiva solo il crepitar delle foglie secche e dei ramoscelli
spezzati dalle zampe del cavallo.
Un po' più su Melchiorre si fermò: il suo ovile era a levante, un po' lungi dalla chiesetta, davanti alla
quale non occorreva passare. Eppure, per un momento, egli fu tentato di salire lassù; ma poi rallentò
la briglia, e lasciò che il cavallino seguisse da sé la via. E il cavallino rizzò le orecchie, e attraverso i
laberinti del bosco e delle rupi s'avviò all'ovile.
Allora, riprendendo la solita via, Melchiorre tornò alla realtà, e si sdegnò della sua debolezza. Gli
accadeva sempre così.
«Sta quieto», gli diceva il vecchio padre, «meglio <I>prima</I> che <I>poi</I>.»
Ma questo conforto era come il sale sopra una ferita; gli destava spasimi feroci. E sempre, senza
volerlo, si trovava sulle traccie della ridente creatura, che pareva lo affascinasse appunto con
l'insultante letizia della sua giovinezza libera e leggera. Gli sembrava di aver diritto ancora su di lei,
come parente, e senza l'idea del padre vecchio e cieco, si sarebbe compromesso.
Giunse all'ovile a sole alto: il cavallo si fermò al solito posto, presso una mangiatoia di pietra, sotto
un elce. Un piccolo cane nero dai limpidi occhi castanei, e un gatto tigrato dagli occhi celesti, gli
vennero incontro, silenziosi, l'uno saltellando, l'altro a passettini lenti e leziosi.
S'udiva il tintinnìo delle capre al pascolo, e il grido del giovane mandriano, che, in assenza di
Melchiorre, custodiva l'ovile e il vecchio cieco.
In quel versante l'Orthobene guardava l'oriente, chiuso dalle azzurre montagne della costa, fra le
quali intravedevasi il mare, confuso col cielo in una zona grigio-perla. Terre solitarie e ondulate si
stendevano ai piedi della montagna; e lassù, intorno all'ovile, l'Orthobene era tutto un incanto di
roccie, di boschi e di radure. La capanna sorgeva in uno spiazzo dal libero orizzonte: il sentiero che