di fuori e i cappelli arrovesciati sulla nuca, pigliavan degli atteggiamenti di baldanza marinaresca,
parlando forte e modulando il riso in maniera da attirar l'attenzione, e quasi tutti guardavano verso
la boccaporta del dormitorio femminile, dove s'erano raccolte, come sopra un palco molte giovani
ben pettinate, con nastrini nei capelli, con vestiti chiari, con fazzoletti vistosi, annodati con garbo: la
parte intraprendente, pareva, del bel sesso di terza. Fra queste spiccava una bella donnetta, - una
contadina di Capracotta, - con un visetto regolare e dolce di madonna (lavata male), a cui diceva
mirabilmente un fazzoletto da collo, che portava incrociato sul petto, tutto purpureo di rose e di
garofani, che parean veri e fiammeggiavano agli occhi. E notai due ragazze, l'una bruna e l'altra
rossa, due graziose facce sfrontate, messe con una certa civetteria cittadinesca, che discorrevano con
grande animazione, dando di tratto in tratto in risate squillanti, dopo aver fissato ora un passeggiere,
ora un altro, come se facessero la rivista dei tipi ridicoli dell'"emigrazione". Il Commissario,
capitato là mentre le osservavo, mi disse che eran lombarde, sole, sedicenti coriste, due diavolesse
che promettevano di dargli molte noie durante il viaggio. E come io non capivo a che genere di noie
volesse accennare, egli mi rivelò una delle maggiori piaghe della vita di bordo, in quelle piene
d'emigranti: la gelosia delle donne maritate. Una tremenda cosa! Le oneste mogli coi bimbi in collo
l'avevano a morte con quelle avventuriere impudenti che tiravano a stregare i loro mariti
disoccupati, approfittando di quella confusione di gente; e ne nascevan liti rabbiose, in cui toccava a
lui di fare da conciliatore. Ah! ne avrebbe sentite, più tardi. Ce n'era disgraziatamente qualche
dozzina in quella traversata, che pareva si fossero accozzate pel suo malanno. E m'indicò un'altra
ragazza, una specie di donna-cannone, seduta dietro a quelle due, col capo alto, vestita di nero, una
faccia di leonessa, bruna, non brutta, ma Dio ne liberi; la quale aveva una civetteria particolare, la
superbia, il ticchio di primeggiare e di farsi desiderare con l'ostentazione di un principesco
disprezzo per la gente purchessia, di una pudicizia ultra delicata, paurosa d'esser profanata dagli
aliti; e minacciava tutti, dicendo d'avere a Montevideo un parente giornalista, che faceva tremare il
Governo. Già dalla prima sera era andata da lui a chieder giustizia contro un contadino, il quale,
passandole accanto, le aveva urtato una grossa borsa di cuoio, che portava a tracolla; e domandata in
via di discorso, del perché andasse in America, aveva risposto alteramente: - Per prendere aria! -
Bene, quella era una finta spostata; ma c'erano anche degli spostati veri; e il Commissario, dopo
aver un po' cercato con gli occhi, m'indicò delle famiglie, delle persone sole, rincantucciate, per
quanto era possibile, fuor della folla, le quali dal contegno, dai vestiti logori, ma di stoffa e di taglio
signorile, mostravano d'esser gente stata costretta a partir per l'America da un rovescio improvviso
di fortuna, che gli aveva gittati dall'agiatezza sul lastrico, con neppur tanto in tasca da prendere un
biglietto di seconda classe. C'erano, fra gli altri, due coniugi, con una ragazzina d'una decina d'anni,
che stavan ritti in disparte, vicino alla stalla dei bovi, con l'aria imbarazzata di chi non osa di
sedersi: tutti e due sulla quarantina, macilenti, d'aspetto tristissimo. Eran negozianti. La donna, alta
e sottile, con gli occhi rossi, che pareva uscita di fresco da una malattia, aveva passato tutto il primo
giorno nel dormitorio, in mezzo alle contadine, piangendo sul capo della sua figliuola, senza
mangiare. - Miserie! - disse il Commissario. - Ce n'è da per tutto; ma in mare paion più tristi.
Intanto, guardando abbasso, proprio sotto il palco di comando, io avevo fatto una scoperta
maravigliosa, una delle più belle figure che avessi mai viste per mare o per terra, vive, dipinte o
scolpite, dal primo giorno che giravo il mondo. Il Commissario mi disse ch'era una genovese.
Sedeva sopra un panchettino, accanto a un vecchio che pareva suo padre, seduto sul tavolato, e
lavava il viso a un ragazzetto in piedi, che aveva l'aria d'un suo fratello. Era una ragazza grande,
bionda, con un viso ovale d'una regolarità e purezza di lineamenti angelici, d'occhi grandi e chiari,
bianchissima; perfetta del corpo, eccettuate le mani, un po' troppo lunghe; vestita d'un giubbino
bianco svolazzante e d'una gonnella azzurra, che parea che stringesse due cosce di marmo. Dal
vestito, benché pulitissimo, si vedeva ch'era povera; e aveva una dignità tutta signorile; ma mista a
un'apparenza così ingenua, a una grazia così semplice d'atteggiamenti e di mosse, che non stonava
con l'umiltà del suo stato. Dava l'idea d'una bambina di dieci anni che fosse cresciuta così in pochi
giorni. Parecchi passeggieri, intorno, la guardavano, e altri, passando, si voltavano a darle
un'occhiata. Ma per tutto il tempo che rimanemmo a guardarla, non girò una volta gli occhi intorno,
non diede mai il minimo segno d'accorgersi che l'ammirassero, e il suo viso mantenne una
tranquillità così immobile, così trasparente, direi quasi, da rendere impossibile anche il più vago
sospetto che quel contegno fosse un artificio. Ed era così diversa in tutto dalla folla circostante, che