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TITOLO: L'espressione dei sentimenti nell'uomo e negli animali
AUTORE: Darwin, Charles
TRADUTTORI: Canestrini, Giovanni
Bassani, Francesco
CURATORE:
NOTE: Si ringrazia la Biblioteca Panizzi di Reggio
Emilia (http://panizzi.comune.re.it/) per
aver gentilmente concesso la riproduzione
digitale dell'opera.
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: "L' espressione dei sentimenti nell'uomo
e negli animali",
di Carlo Darwin;
prima versione italiana col consenso
dell'autore per cura di Giovanni Canestrini
e di Franc. Bassani;
Unione Tipografico-Editrice;
Torino, 1878
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 24 agosto 2005
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Giampiero Barbieri, rob[email protected]
REVISIONE:
Catia Righi, [email protected]
PUBBLICATO DA:
Catia Righi, [email protected]
Alberto Barberi, [email protected]
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CARLO DARWIN
L'ESPRESSIONE DEI SENTIMENTI
NELL'UOMO E NEGLI ANIMALI
PRIMA VERSIONE ITALIANA
COL CONSENSO DELL'AUTORE
PER CURA DI
GIOVANNI CANESTRINI
PROFESSORE DI ZOOLOGIA ED ANATOMIA COMPARATA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA
E DI
FRANC. BASSANI
DOTTORE IN SCIENZE NATURALI
TORINO
UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE
33, Via Carlo Alberto, 33.
1878
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L'ESPRESSIONE DEI SENTIMENTI
NELL'UOMO E NEGLI ANIMALI
INTRODUZIONE
Molti libri furono scritti sulla espressione materiale dei sentimenti, e un numero maggiore
sulla fisionomia, vale a dire sul mezzo di riconoscere il carattere collo studio dello stato abituale dei
lineamenti. Di quest'ultimo argomento io più non m'intrattengo. Gli antichi trattati
(
1
)
ch'io consultai
m'hanno giovato poco o nulla. Le famose Conférences
(
2
)
del pittore Le Brun, pubblicate nel 1667,
sono fra le opere antiche la migliore che si conserva, e contengono alcune buone osservazioni. Un
altro saggio, piuttosto antico, i Discours, fatti dal 1774 al 1782 da Camper
(
3
)
, il celebre anatomico
olandese, non possono essere considerati tali da aver fatto progredire notevolmente la questione. Le
opere posteriori, all'incontro, meritano la maggiore considerazione.
Sir Carlo Bell, tanto illustre per le sue scoperte in fisiologia, pubblicò nel 1806 la prima
edizione, e nel 1844 la terza della sua Anatomia e Filosofia della Espressione
(
4
)
. Lo si può dire con
giustizia: egli ha gettate le basi dell'argomento che c'intrattiene, ne ha fatto un ramo della scienza, e,
ben più, ha elevato un bell'edificio. La sua opera è profondamente interessante sotto ogni riguardo;
essa contiene pittoresche descrizioni di parecchi sentimenti, ed è mirabilmente illustrata. In generale
si ammette che il suo merito principale consista nell'aver provato l'intimo rapporto che sta fra i
movimenti dell'espressione e quelli della respirazione. Uno dei punti più importanti, per quanto
insignificante possa a primo aspetto apparire, è questo: i muscoli che attorniano gli occhi si
contraggono energicamente durante gli sforzi respiratorii, allo scopo di proteggere questi organi
delicati contro la pressione del sangue. Il professore Donders, d'Utrecht, ebbe la bontà di studiare
completamente questo fatto dietro mia inchiesta, il quale getta, come vedremo più avanti, una viva
luce sulle espressioni principali della fisionomia umana. L'opera di sir Carlo Bell non venne
apprezzata, od anche fu ignorata da molti autori stranieri. Alcuni gli hanno resa giustizia, ad
esempio Lemoine
(
5
)
, che dice con molta ragione: «Il libro di Carlo Bell dovrebbe essere meditato da
chiunque tenti di far parlare la fisionomia dell'uomo, così dai filosofi che dagli artisti, perocchè
sotto una leggiera apparenza e col pretesto dell'estetica, è uno dei più bei monumenti della scienza
dei rapporti del fisico e del morale».
Sir Carlo Bell, per motivi che vogliono essere esposti, non cercò di spingere le sue idee così
lontano come avrebbe potuto fare. Egli non tenta di spiegare perchè muscoli differenti sieno messi
in azione sotto l'impero di differenti emozioni; perchè, ad esempio, le estremità interne delle
sopracciglia si elevino e gli angoli della bocca si abbassino in una persona cui tormentano l'angoscia
e l'ansietà.
1
()
J. PARSONS, nell'Appendix to the Philosophical Transactions, 1746, pag. 41, una lista di quarantun autori
antichi che scrissero sulla Espressione.
2
()
Conférences sur l'expression des différents caractères des passions, Parigi, in-4°, 1667. - In seguito io cito
sempre la riedizione delle Conférences nell'edizione di Lavater, per cura di MOREAU, apparsa nel 1820 tal quale è data
nel vol. IX, p. 257.
3
()
Discours par PIERRE CAMPER sur le moyen de représenter les diverses passions, etc., 1792.
4
()
In seguito io cito sempre la terza edizione del 1844, che fu pubblicata dopo la morte di sir C. Bell e contiene le
sue ultime correzioni; la prima edizione del 1806 è di un valore molto inferiore e non offre alcuna delle sue più
importanti vedute.
5
()
De la Physionomie et de la Parole, di ALBERTO LEMOINE, 1865, pag. 101.
Nel 1807, il Moreau fe' un'edizione del trattato di Lavater sulla Fisiognomonia
(
6
)
, dove
incorporò molti de' suoi saggi con eccellenti descrizioni dei movimenti dei muscoli della faccia ed
un gran numero di buone note. Tuttavia egli non rischiara che poco la parte filosofica
dell'argomento. Ad esempio il Moreau, parlando dell'aggrottamento del sopracciglio, vale a dire
della contrazione del muscolo chiamato dagli autori francesi il sopraccigliare (corrugator
supercilii), osserva a buon diritto che: «Quest'azione dei sopraccigliari è uno dei sintomi più spiccati
dell'espressione delle affezioni penose o concentrate». Quindi egli aggiunge che «questi muscoli, per
il loro attacco e la loro situazione, sono atti a restringere, a concentrare i principali lineamenti della
faccia, siccome conviene in tutte queste passioni veramente oppressive o profonde, in queste
affezioni di cui il sentimento sembra portare l'organizzazione a ripiegarsi su se stessa, a contrarsi, ad
impicciolirsi, come per offrir meno attacco e meno superficie ad impressioni formidabili o moleste».
Se alcuno trova che osservazioni di tale natura rischiarino il significato o l'origine delle differenti
espressioni, ei comprende l'argomento ben altrimenti che non lo faccia io stesso.
Il passo precedente segna un leggero progresso, se pur ve n'ha uno, nello studio filosofico del
soggetto, di fronte a ciò che scriveva il pittore Le Brun nel 1667, descrivendo l'espressione dello
spavento: «Il sopracciglio ch'è abbassato da un lato ed innalzato dall'altro, fa vedere che la parte
elevata sembra volerlo accostare al cervello per garantirlo dal male che l'anima scorge, e il lato ch'è
rivolto in basso e sembra rigonfio ci fa trovare in questo stato per gli spiriti che vengono abbondanti
dal cervello, quasi a coprir l'anima e a difenderla dal pericolo ch'ella paventa. La bocca molto aperta
fa veder l'ambascia del cuore in causa del sangue che si ritira verso di lui; il che l'obbliga, volendo
respirare, a far uno sforzo, per cui la bocca si apre esternamente; e quand'esso passa per gli organi
della voce, produce un suono inarticolato del tutto; che se i muscoli e le vene sembrano gonfiati, ciò
dipende solo dagli spiriti che il cervello manda a quelle parti». Ho creduto valere la pena di citare le
frasi precedenti come esempio delle strane follie che furono scritte sull'argomento.
La Physiologie or Mecanisme of Blushing, del dott. Burgess, apparve nel 1839, ed io farò
spesso allusione a quest'opera nel terzo capitolo.
Nel 1862 il signor dott. Duchenne pubblicò due edizioni in-foglio ed in-ottavo, del suo
Mécanisme de la Physionomie humaine, dove egli analizza, col mezzo della elettricità, e rappresenta
con magnifiche fotografie i movimenti dei muscoli della faccia. Ei mi ha generosamente permesso
di copiarne quante volessi. Le sue opere vennero leggermente considerate ed anche affatto neglette
da alcuni suoi compatrioti. È possibile che il dott. Duchenne abbia esagerata l'importanza della
contrazione dei singoli muscoli nella produzione dell'espressione, perocchè, se ci riportiamo alle
intime connessioni dei muscoli rappresentati dai disegni anatomici di Henle
(
7
)
, - i migliori, ritengo,
che sieno stati pubblicati finora, - è cosa difficile credere alla loro azione separata. Ma nullameno è
certo che il dottore Duchenne si è messo in guardia contro questa ed altre cause d'errore, e siccome è
perfettamente riuscito a determinare la fisiologia dei muscoli della mano coll'aiuto della elettricità, è
molto probabile che dica in generale il vero anche relativamente ai muscoli della faccia. A mio
avviso, il dottore Duchenne col proprio lavoro ha fatto fare un gran passo alla quistione. Nessuno ha
più attentamente studiata la contrazione di ogni singolo muscolo in particolare ed il conseguente
increspamento della pelle. Per giunta egli ha reso un servigio importante col dimostrare quali
muscoli dipendano meno dall'azione della volontà. Entra poco in considerazioni teoriche e cerca
raramente di spiegare perchè certi muscoli e non altri si contraggano sotto l'influenza di certe
6
()
L'art de connaître les hommes, etc., di. G. LAVATER. La prima edizione di quest'opera, nella quale si
contengono le osservazioni di M. Moreau, da quel che si legge nel proemio dell'edizione del 1820 in dieci volumi, fu
pubblicata, dicesi, nel 1807; io dubito che ciò sia esatto, perocchè il ragguaglio su Lavater, al principio del primo
volume, porta la data del 13 aprile 1806. - Frattanto, in alcuni lavori bibliografici, si la data del 1805-1809; ma pare
impossibile che il 1805 sia una data esatta. Il dottor DUCHENNE osserva (Mécanisme de physionomie humaine, in-8°,
ediz. 1862, pag 5, ed Archives générales de médecine, genn. e febbr. 1862), che M. Moreau «ha composto per la sua
opera un importante articolo», ecc., nell'anno 1805; ed io trovo nel volume I dell'edizione del l820, dei passi che portano
le date del 12 dicembre 1805 e del 5 gennaio 1806, oltre a quella già menzionata del 13 aprile. Basandosi sul fatto che
certi brani furono così composti nel 1805, il dottor Duchenne dà a M. Moreau la priorità su sir C. Bell, l'opera del quale,
come vedemmo, venne pubblicata nel 1806. Ecco una maniera ben strana di determinare la priorità delle opere
scientifiche, ma simili questioni sono assai poco importanti a paragone del merito relativo di questi lavori. I passi citati
più in su da M. Moreau e da Le Brun sono tratti qui e in tutto il resto dell'opera dall'edizione del 1820 di LAVATER,
tom. IV, pag 228 e tom. IX, pag. 279.
7
()
Handbuch der systematischen Anatomie des Menschen. - Band 1, Dritte Abtheilung, 1858.
emozioni.
Un distinto anatomico francese, Pietro Gratiolet, diede alla Sorbonne una serie di lezioni sulla
Espressione, e le sue note furono pubblicate (1865) dopo la morte di lui sotto il titolo: De la
Physionomie et des Mouvements d'Expression. Ell'è un'opera assai interessante e piena di preziose
osservazioni. La sua teoria è un po' complessa, e per quanto può dirsi con una sola frase, essa è la
seguente (p. 65): «Da tutti i fatti da me richiamati risulta che i sensi, l'immaginazione e il pensiero
medesimo, per quanto elevato ed astratto si supponga, non possono essere esercitati senza
risvegliare un correlativo sentimento, e che questo sentimento si traduce direttamente,
simpaticamente, simbolicamente e metaforicamente, in ogni sfera degli organi esterni, i quali tutti lo
riportano secondo il proprio modo di azione, come se ciascun d'essi fosse stato direttamente
impressionato».
Pare che Gratiolet trascuri l'abitudine ereditaria, e fino a un certo punto anche l'abitudine
individuale; da ciò risulta, mi sembra, l'impossibilità di lui a spiegare giustamente e in qualunque
altro modo molti atti ed espressioni. Come esempio di ciò ch'egli chiama i movimenti simbolici,
citerò le sue note (p. 37) tolte a Chevreul, intorno ad un uomo che giuoca al bigliardo: «Se la palla
devia leggermente dalla direzione che il giocatore intende di imprimerle, non l'avete visto le cento
volte a dirigerla col guardo, colla testa e fin colle spalle, come se questi movimenti, puramente
simbolici, potessero modificare il suo corso? Movimenti non meno espressivi si producono quando
la palla manca di un sufficiente impulso. E, nei giuocatori novizi, essi sono talora così pronunziati,
da muovere il sorriso sul labbro degli spettatori». - Tali movimenti, pare a me, possono essere
attribuiti semplicemente all'abitudine. Tutte le volte che un uomo ebbe desiderio di muovere un
oggetto in una certa direzione, egli l'ha sempre spinto da quella parte; per farlo avanzare, l'ha
cacciato innanzi; volendo arrestarlo, l'ha tratto all'indietro. Per conseguenza, allorchè un tale vede la
sua palla correre per una falsa direzione ed egli desidera vivamente ch'essa ne prenda un'altra, non
può a meno, in causa di una lunga abitudine, di fare inscientemente quei movimenti ond'egli in altre
occasioni ebbe a provare l'efficacia.
Come esempio di movimenti simpatici, Gratiolet riporta (p. 212) il fatto seguente: «Un
giovane cane, ad orecchie diritte, al quale il padrone presenta da lontano qualche appetitosa vivanda,
fissa con ardore gli occhi su quest'oggetto, ne segue tutti i movimenti, e mentre gli occhi guardano,
le due orecchie si portano in avanti, come se l'oggetto potesse essere udito». - In questo caso, senza
ricorrere alla simpatia tra gli orecchi e gli occhi, ecco ciò che mi pare più semplice da ammettere: i
cani per molte generazioni, allorquando guardavano un oggetto con molta attenzione, hanno rizzate
le orecchie onde non lasciar fuggire alcun rumore; e nello stesso tempo han guardato attentamente
nella direzione di tutti i rumori che udivano; i movimenti di questi organi sono stati definitivamente
associati da una lunga abitudine.
Il dottor Piderit pubblicò nel 1859 un lavoro sulla Espressione, ch'io non ho mai letto, ma nel
quale egli pretende di aver preceduto il Gratiolet in molte idee. Nel 1867 ei diede alla luce il suo
Wissenschaftliches System der Mimik und Physiognomik. È quasi impossibile dare in poche parole
una chiara idea delle sue viste; forse le due proposizioni che seguono ne diranno brevemente tanto
che basti: «I movimenti muscolari di espressione sono in parte relativi ad oggetti immaginari, in
parte ad impressioni sensorie immaginarie. Questa proposizione tiene in sè la chiave che permette di
comprendere tutti i movimenti muscolari espressivi» (p. 25). Ed ancora: «I movimenti espressivi si
manifestano sovra tutto nei numerosi muscoli mobili della faccia; ciò è dovuto e al fatto che i nervi,
i quali li mettono in movimento, nascono assolutamente appresso all'organo pensante, e a quell'altro
che questi muscoli sono annessi agli organi dei sensi» (p. 26). Se il dottor Piderit avesse studiata
l'opera di sir C. Bell, non avrebbe probabilmente detto (p. 101) che un riso violento produce un
aggrottamento di sopracciglia, perchè s'avvicina al dolore; o che nei fanciulli (p. 103) le lagrime
irritano gli occhi, eccitando così la contrazione dei muscoli circostanti. - Parecchie buone note sono
sparse in questo volume, ed io vi farò allusione più avanti.
In varie opere si potranno trovare brevi dissertazioni sulla espressione, delle quali non è uopo,
che noi qui c'intratteniamo. Il sig. Bain, peraltro, in due suoi lavori, ha trattato il soggetto con
qualche sviluppo: «Io considero, egli dice
(
8
)
, ciò che si chiama l'espressione, semplicemente come
8
()
The Sense and the Intellect, 2° ediz.; 1864, p. 96 e 288. La prefazione della prima edizione di quest'opera porta la
data del giugno 1855. - Si vegga anche la seconda edizione del libro del sig. BAIN intorno alle Emotions and Will.
una parte della sensazione; io credo legge generale dell'intelletto che vi sia un'azione od
un'eccitazione sparsa sulle parti del corpo, nello stesso tempo che si effettua la sensazione interna o
la coscienza». In un altro passo aggiunge: «Un: gran numero di fatti potrebbero essere riuniti sotto il
principio seguente: ogni stato di piacere corrisponde ad un aumento, ogni stato di dolore ad una
parziale o totale depressione delle funzioni vitali». Ma la legge precedente sulla dispersione delle
sensazioni sembra essere troppo generale per gettar qualche luce sulle espressioni in particolare.
Herbert Spencer, trattando delle sensazioni ne' suoi Principles of Psychology (1855), fa le
osservazioni seguenti: «Lo spavento, quand'è forte, è espresso da grida, da sforzi per celarsi o per
fuggire, da palpiti e da tremore; ora gli è ciò precisamente che viene provocato dalla presenza del
male temuto. Le passioni distruttive si manifestano per una tensione generale del sistema muscolare,
lo stridere dei denti, lo sporgere degli artigli, la dilatazione degli occhi e delle narici, i
borbottamenti; ora, tutte queste azioni riproducono in grado minore quelle che accompagnano il
sagrificio di una preda». Io credo che in ciò noi abbiamo la vera teoria di un gran numero di
espressioni; ma il principale interesse e la difficoltà del soggetto stanno nel riconoscere lo
straordinario complesso dei risultati. Io conghietturo che un autore (ma non potrei precisar quale)
abbia di già avanzata un'opinione presso che simile, perocchè sir C. Bell scrive
(
9
)
: «Fu sostenuto che
ciò che si chiama i segni esteriori della passione non sia che l'accompagnamento di quei movimenti
volontari, che la struttura del corpo rende inevitabili». H. Spencer
(
10
)
inoltre ha pubblicato un bello
studio sulla fisiologia del riso, nel quale insiste su «questa legge generale che la sensazione, quando
sorpassa un certo grado, si trasforma d'ordinario in azione corporale»; e su questo fatto «che un
afflusso di forza nervosa senza un agente regolatore prende manifestamente e subito le vie più
abituali, e che se queste non bastano, esso si riversa dappoi verso le vie non abituali». Questa legge,
io credo, è della più alta importanza per la luce che getta sul nostro argomento
(
11
)
.
Tutti gli autori che scrissero sulla espressione, eccettuato Spencer - il grande interprete del
principio evolutivo - sembra abbiano avuta la ferma convinzione che la specie, compresa, ben
inteso, anche l'umana, sia apparsa nello stato attuale. Sir C. Bell, penetrato da questa convinzione,
sostiene che molti dei nostri muscoli facciali sono «unicamente stromenti della espressione»; o
«sono specialmente disposti» per questo solo oggetto
(
12
)
. Ma il semplice fatto che le scimie
antropomorfe posseggono gli stessi muscoli facciali che noi
(
13
)
, rende molto improbabile l'idea che
questi nell'uomo servano esclusivamente all'espressione; perocchè nessuno, io ritengo, sarà disposto
ad ammettere che le scimie sieno state provviste di muscoli speciali unicamente per eseguire le loro
orride smorfie. Usi distinti, indipendenti dalla espressione, possono infatti essere assegnati con
molta verisimiglianza a quasi tutti i muscoli della faccia.
Sir C. Bell aveva il desiderio evidente di stabilire una distinzione possibilmente profonda tra
l'uomo e gli animali; ed affermava, per conseguenza, che «nelle creature inferiori v'ha null'altra
espressione all'infuori di quella che si può riferire con più o meno certezza ai loro atti volitivi o ai
loro necessari istinti». E più in avanti sostiene che le faccie di essi «sembrano sopra tutto capaci di
esprimere la rabbia ed il terrore»
(
14
)
. Ma l'uomo stesso non può esprimere con segni esteriori l'amore
e l'umiltà così bene, come fa il cane allorquando colle orecchie rilassate, colle labbra pendenti, col
corpo ondulante e dimenando la coda, viene davanti al suo diletto padrone. Ed è altrettanto
impossibile di spiegar questi movimenti nel cane ricorrendo agli atti volitivi o alla fatalità degli
9
()
The Anatomy of Expression, 3
a
ediz., pag. 121.
10
()
Essays Scientific, Political, and Speculative, seconda serie, 1863, pag. 111. V'ha una dissertazione sul riso nella
prima serie dei saggi, che mi sembra di un valore molto mediocre.
11
()
Dopo la pubblicazione dell'opera alla quale facemmo or ora allusione, SPENCER ne scrisse un'altra (Morals
and Moral Sentiments) nella Fortnightly Review, aprile 1871, pagina 426. Egli ha eziandio appena pubblicate le sue
ultime conclusioni nel volume II della seconda edizione dei Principles of Psychology, 1872, pag. 539. Onde non esser
accusato di usurpatore nei dominii di M. Spencer, devo far constatare che io ho annunciato nella mia Origine dell'Uomo
d'aver allora scritta una parte del presente volume; le mie prime note manoscritte sulla Espressione datano dall'anno
1838.
12
()
Anatomy of Expression, 3
a
ediz., pag. 98, 121, 131.
13
()
Il prof. OWEN constata espressamente questo fatto nell'orango (Proc. Zoolog. Soc., 1830, pag. 28), e passa in
rivista tutti i più importanti muscoli. Si vegga eziandio una descrizione dei diversi muscoli facciali del chimpanzè, del
prof. MACALISTER, negli Annals and Magazine of Natural History, vol. VII, maggio 1871, p. 342.
14
()
Anatomy of Expression, 3
a
ediz., p. 121, 131.
istinti, com'è impossibile spiegare a questa maniera il raggiar degli occhi ed il sorridere del volto in
un uomo che s'abbatte in un vecchio amico. Se si avesse dimandato a sir C. Bell com'egli spiegasse
l'espressione dell'affezione nel cane, ecco, senza dubbio, ciò che avrebbe risposto: Questo mimale è
stato creato con istinti speciali che lo rendono atto ad associarsi all'uomo, ed ogni ricerca ulteriore
su questo argomento riesce superflua.
Quantunque Gratiolet neghi espressamente
(
15
)
che un muscolo qualunque sia stato sviluppato
unicamente in vista dell'espressione, sembra tuttavia ch'ei non abbia giammai riflesso al principio
della evoluzione. A quel che pare, egli riguarda ciascuna specie come il prodotto di una creazione
separata. E così è anche di altri autori che scrissero sulla Espressione. - Per esempio, il dottore
Duchenne, dopo di aver parlato dei movimenti delle membra, si riporta a quelli che dànno
l'espressione alla faccia
(
16
)
, e fa l'osservazione seguente: «Il creatore non ha quindi avuto a
preoccuparsi qui dei bisogni della meccanica; egli ha potuto, colla sua saggezza, o - mi si perdoni
questo modo di parlare, per una divina fantasia, egli ha potuto mettere in azione tale o tal altro
muscolo, uno solo o più muscoli alla volta, allorquando volle che i segni caratteristici delle passioni,
anche le più fugaci, fossero momentaneamente scritti sulla faccia dell'uomo. Questo linguaggio
della fisionomia una volta creato, gli ha bastato per renderlo universale e immutabile, da dare ad
ogni essere umano la facoltà istintiva di esprimere sempre i propri sentimenti colla contrazione dei
muscoli medesimi».
Molti scrittori considerano l'espressione un soggetto affatto inesplicabile. Anche l'illustre
fisiologo Müller
(
17
)
dice: «L'espressione dei lineamenti completamente differente nelle diverse
passioni è una prova che gruppi assai distinti delle fibre del nervo facciale sono impressionati
secondo la natura della sensazione prodotta. Quanto alla causa di questo fatto, noi la ignoriamo
completamente».
Non v'ha dubbio che quando, sia pure fra molto, l'uomo e gli altri animali saranno considerati
come creazioni indipendenti, sarà messo un freno efficace alla nostra brama naturale di spingere il
più lontano possibile la ricerca delle cause della Espressione. Con questa dottrina, tutto potrebbe e
può ugualmente essere spiegato; ed essa s'è mostrata funesta tanto relativamente alla Espressione,
quanto a tutte le altre branche della storia naturale. Nella specie umana certe espressioni, come i
capelli che si rizzano sotto l'influenza di un estremo terrore o i denti che si scoprono nel trasporto
della rabbia, riescono quasi inesplicabili senza ammettere che l'uomo abbia vissuto altra volta in una
condizione molto inferiore e vicina alla bestialità. La comunanza di certe espressioni in ispecie
distinte, quantunque affini, come i movimenti dei medesimi muscoli della faccia durante il riso
nell'uomo e in diverse scimie, vien resa un po' più chiara se si crede alla loro discendenza da
antenati comuni. Chi ammette in modo generale il graduato sviluppo della struttura e delle abitudini
in tutti gli animali, vedrà tutta la quistione dell'Espressione schiarirsi d'una luce novella e
interessante.
Lo studio della Espressione è difficile, vista l'estrema delicatezza e la fugacità dei movimenti.
Può darsi che un cangiamento venga chiaramente percepito, senza che tuttavia sia possibile di dire
in che cosa consista. Ciò almeno è capitato a me. - Quando siamo testimoni di una profonda
emozione, la nostra simpatia è così vivamente eccitata, che si dimentica l'osservazione rigorosa o la
ci è resa quasi impossibile: io posseggo molte prove curiose di questo fatto. La nostra
immaginazione è un'altra sorgente di errori ancora più gravi; se noi ci aspettiamo, in una data
situazione, di vedere una certa espressione, immaginiamo di leggieri ch'essa esista. Il dottore
Duchenne, malgrado la sua grande esperienza, dice di essersi figurato per lungo tempo che molti
muscoli si contraggano sotto l'impero di certe emozioni, mentre più tardi s'è convinto che il
movimento era limitato ad un muscolo solo.
Ecco i metodi di studio da me adottati col maggiore profitto per avere un punto di partenza
quanto buono altrettanto possibile, e per verificare, senza tener conto dell'opinione ricevuta, fino a
qual punto i vari cambiamenti dei lineamenti e dei gesti traducano in realtà certi stati dell'animo.
Ho osservato i fanciulli, perchè essi esprimono molte emozioni, secondo l'osservazione di
sir C. Bell, «con una forza straordinaria»; di fatti, man mano che noi cresciamo in età, alcune delle
15
()
De la Physionomie, p. 12, 73.
16
()
Mécanisme de la Physionomie humaine, ediz. in-8°, pag, 31.
17
()
Elements of Physiology, traduzione inglese, vol. II, pag. 934.
nostre espressioni «non derivano più dalla sorgente semplice e pura d'onde provengono durante
l'infanzia»
(
18
)
.
2° Mi parve che sarebbe ben fatto studiar gli alienati, perchè questi sono soggetti alle più forti
passioni, a cui concedono libero corso. Io non aveva occasione di farlo da me; mi rivolsi dunque al
dottor Maudsley; egli mi presentò al dottor J. Crichton Browne, che è direttore d'un immenso Asilo
vicino a Wakefield, e che, quando lo vidi, s'era di già occupato della quistione. Questo valente
osservatore, con infaticabile bontà, mi spedì note ed estese descrizioni con preziose idee su molti
punti, ed io non saprei valutare abbastanza il prezzo della sua cooperazione. Io sono eziandio
debitore di fatti interessanti intorno a due o tre argomenti al signor Patrick Nicol del manicomio del
Sussex.
Il dottor Duchenne, come abbiam già veduto, ha galvanizzato i muscoli della faccia in un
vecchio, la pelle del quale era poco sensibile, e ne produsse anche parecchie espressioni, che furono
fotografate in grandi proporzioni. Io ebbi la ventura di poter mostrare molti fra i saggi migliori,
senza un cenno di spiegazione, a una ventina di persole istruite, d'età diversa e d'entrambi i sessi.
Domandai loro, volta per volta, da quale emozione o da qual sensazione supponevano fosse animato
quel vecchio, e raccolsi le loro risposte coi termini precisi onde s'erano servite. Di tali espressioni,
molte vennero ben tosto riconosciute quasi da tutti: queste, mi pare, possono ritenersi fedeli, e noi le
descriveremo più avanti. Ma alcune furono l'oggetto di giudizi oltremodo diversi. Questo esame mi
riescì utile sotto un altro punto di vista, dimostrandomi la facilità colla quale possiamo essere sviati
dalla nostra immaginazione. - Di fatti, quando io osservai per la prima volta le fotografie del dottor
Duchenne, leggendo contemporaneamente il testo ed apprendendo per tal modo l'intenzione
dell'autore, fatte rare eccezioni, fui sempre colpito dalla loro meravigliosa verità. E frattanto, se io le
avessi esaminate senza alcuna spiegazione, sarei stato sicuramente imbarazzato in certi casi così,
come lo furono le altre persone.
Nutrivo speranza di trovare un potente soccorso presso i grandi maestri in pittura ed in
iscoltura, che sono osservatori attenti. Conseguentemente studiai le fotografie e le incisioni di
molti rinomatissimi lavori; ma, salvo qualche eccezione, non ne trassi profitto veruno. La ragione di
questo fatto sta senza dubbio in ciò, che nelle opere d'arte la bellezza è scopo precipuo; ora, la
violenta contrazione dei muscoli della faccia è incompatibile colla beltà
(
19
)
. In generale l'idea della
composizione è tradotta con un vigore ed una verità meravigliosi per mezzo di accessorii abilmente
disposti.
5° Mi parve della più alta importanza verificare se le stesse espressioni ed i medesimi gesti,
come fu spesso assicurato senza prove bastanti, esistano in tutte le razze umane, specialmente in
quelle le quali non ebbero che pochi rapporti cogli Europei. Se gli stessi movimenti dei lineamenti o
del corpo esprimono le stesse emozioni nelle diverse razze umane distinte, possiamo concluderne
con molta probabilità che queste espressioni sono le vere, cioè sono innate od istintive. Espressioni
o gesti convenzionali acquistati dall'individuo al principio della sua vita sarebbero probabilmente
differenti nelle varie razze, come avviene del loro linguaggio. Di conseguenza, al principio dell'anno
1867, feci stampare e circolare una serie di questioni, dimandando (e di ciò tenni conto perfetto) che
vi si rispondesse con dirette osservazioni, non con semplici note. Queste quistioni furono scritte in
un momento nel quale la mia attenzione era da lungo rivolta altrove, e presentemente veggo che
avrebbero potuto esser molto meglio redatte. In taluno degli ultimi esemplari io aggiunsi, scritte a
mano, alcune osservazioni addizionali.
1) Lo stupore si esprime spalancando gli occhi e la bocca ed alzando le sopracciglia?
2) La vergogna, quando il colore della pelle permetta di osservarlo, fa dessa arrossire? e, particolarmente, qual è
il limite inferiore del rossore?
3) Quando un uomo è sdegnato od in sospetto, aggrotta le sopracciglia, raddrizza il corpo e la testa, solleva le
spalle e stringe i pugni?
4) Quando riflette profondamente sopra un argomento o cerca di risolvere un problema, increspa le sopracciglia
o la pelle al di sotto della palpebra inferiore?
5) Nello abbattimento, gli angoli della bocca sono abbassati e l'estremità interna dei sopraccigli è innalzata dal
muscolo che i Francesi chiamano «muscolo del dolore?» In questo stato il sopracciglio diviene leggermente obliquo e si
18
()
Anatomy of Expression, 3
a
ediz., p. 198.
19
()
Si veggano delle osservazioni su questo soggetto nel Laocoon di LESSING, tradotto da W. ROSS, 1836, p. 19.
gonfia un poco alla sua estremità interna; la fronte è corrugata trasversalmente nella parte mediana, ma non in tutta la
sua larghezza, come allorquando i sopraccigli si elevano sotto l'impero della sorpresa.
6) Durante il buon umore, brillano gli occhi, è la pelle attorno e al disotto di essi leggermente increspata, colla
bocca un po' stirata all'indietro verso gli angoli?
7) Quando un uomo si beffa di un altro o lo rampogna, solleva egli il labbro superiore al disopra del canino e
dente dell'occhio dal lato che guarda l'individuo cui si rivolge?
8) A questi segni principali: labbra chiuse, sguardo minaccioso e sopracciglia leggermente aggrottate, si
riconosce un carattere stizzoso ed ostinato?
9) Il disprezzo si esprime avanzando leggermente le labbra ed alzando il naso in aria con una debole espirazione?
10) Il disgusto fa rovesciare il labbro inferiore ed alzar leggermente il superiore con una brusca espirazione,
quasi come allora che si è nauseati o si sputa?
11) L'estremo terrore è espresso nella maniera abituale agli Europei?
12) Il riso è spinto a tal segno da portar lagrime agli occhi?
13) Un uomo, quando vuol dimostrare che una cosa non può farsi, o ch'egli stesso non può far qualche cosa, alza
le spalle, porta i gomiti in dietro e tende in fuori il palmo della mano sollevando le sopracciglia?
14) I fanciulli, quando sono di cattivo umore fanno le bocche, ossia protendono molto le labbra?
15) Una espressione da delinquente, o maliziosa, o invidiosa si può ella riconoscere? Io non saprei con tutto ciò
in qual modo la si possa nettamente determinare.
16) Per affermare si muove dall'alto al basso la testa e la si dimena lateralmente per dir di no?
Le osservazioni fatte su indigeni che abbiano poco comunicato cogli Europei sarebbero senza dubbio le più
preziose; nullameno quelle che si faranno, non monta sopra quali indigeni, riusciranno per me di molto interesse. Le
generalità sulla Espressione hanno relativamente poco valore, e la memoria è tanto infedele, che io prego ed insto
affinchè non si ricorra a semplici ricordanze. Una precisa descrizione dell'attitudine presa sotto l'influenza di una
emozione o di uno stato qualunque dell'animo, colla indicazione delle circostanze che la produssero, saranno
informazioni di grande valore.
A queste domande, ebbi trentasei risposte da differenti osservatori, i più dei quali sono
missionari o protettori degl'indigeni; ed io sono loro riconoscentissimo della pena che s'ebbero e
della preziosa cooperazione prestatami. Indicherò i loro nomi, ecc., alla fine di questo capitolo, per
non interrompere adesso le mie osservazioni. Le risposte sono relative a molte fra le razze umane
più spiccate e più selvaggie. Spesso s'annotarono le circostanze sotto l'impero delle quali ciascuna
espressione fu osservata e descritta. In simili casi le risposte meritano un'assoluta fiducia.
Quand'esse si ridussero semplicemente ad un o ad un no, vi prestai poca credenza. Dalle
informazioni che mi vennero a questo modo fornite risulta che il medesimo stato di spirito è
espresso dovunque con una rimarchevole uniformità, e questo fatto è per se stesso interessante,
perchè dimostra una stretta somiglianza nella struttura fisica e nelle condizioni mentali presso tutte
le razze della specie umana.
E per ultimo, osservai più vicino che per me si potesse l'espressione delle diverse passioni
in alcuni dei nostri animali domestici. Io credo che questo punto sia di capitale importanza, senza
dubbio non per decidere fino a qual grado certe espressioni sieno nell'uomo caratteristiche di certi
stati dell'animo, ma perchè ci fornisce la base più sicura stabilire in via generale le cause o l'origine
dei vari movimenti della Espressione. Osservando gli animali, siamo meno soggetti ad essere
influenzati dalla nostra immaginazione e non abbiamo a temere che le loro espressioni sieno
convenzionali.
L'osservare le espressioni non è cosa facile, e le persone che pregai di osservare alcune
particolarità se ne accorsero ben tosto. Le ragioni sono la vacillante natura di certe espressioni (chè
spesso il cangiar dei lineamenti è di un'estrema delicatezza); la facilità colla quale la nostra simpatia
si risveglia a vedere una forte emozione e la distrazione che ne deriva; le illusioni prodotte dalla
fantasia allorquando sappiam vagamente ciò che deve avvenire, benchè senza dubbio pochi di noi
conoscano esattamente il giuoco della fisionomia; in ultimo potrei aggiungere la lunga abitudine che
abbiamo del soggetto. Ell'è dunque cosa difficile determinar con certezza quali sieno i lineamenti e
le attitudini che caratterizzano abitualmente certe condizioni dell'animo. Checchè ne sia, alcuni
punti dubbi e talune difficoltà sono state, io spero, chiarite, osservando i fanciulli, gli alienati, le
diverse razze umane, i lavori artistici, e in ultimo luogo studiando l'azione della elettricità sui
muscoli della faccia, come ha fatto il dottore Duchenne.
Resta una difficoltà ancora più grave: comprendere la causa o l'origine delle varie espressioni
e giudicare se esista una spiegazione teorica degna di fede. Anche quando ci siamo del nostro
meglio applicati, senza norma veruna, per giudicare se fra due o tre spiegazioni ve ne sia una più
soddisfacente delle altre o se non ve n'abbia alcuna, io non veggo che un sol mezzo di controllare le
nostre conclusioni: osservare se gli stessi principii generali possano venir applicati in modo
soddisfacente e all'uomo ed agli animali. Inclino a credere che quest'ultimo metodo giovi più di tutti
gli altri. La difficol di giudicare una spiegazione teorica qualunque e di controllarla con un
determinato metodo di ricerca è ciò che diminuisce maggiormente l'interesse cui questo studio
sembra sì adatto ad eccitare.
Infine, quanto alle mie proprie osservazioni, devo notare ch'esse ebbero principio nell'anno
1838; e da allora sino al dì d'oggi m'occupai frequentemente della quistione. A quell'epoca inclinavo
già a credere al principio evolutivo, vale a dire alla produzione delle specie da altre forme inferiori.
Per conseguenza, quando lessi la grande opera di sir C. Bell, fui colpito dall'insufficienza della sua
teoria, secondo la quale l'uomo venne creato con certi muscoli speciali adatti all'espressione dei
propri sentimenti. Ei mi parve probabile che l'abitudine di esprimere le nostre sensazioni per mezzo
di dati movimenti avesse dovuto essere in una maniera qualunque gradualmente acquisita, sebbene
adesso sia divenuta innata. Ma discoprire come queste abitudini fossero state acquistate non era
facile còmpito. Bisognava considerare tutta la quistione sotto un nuovo punto di vista e dare
razionale spiegazione di ogni espressione. Tale è il desiderio che m'indusse a intraprendere questo
lavoro, per quanto imperfetta ne possa essere l'esecuzione.
------
Passo ora a citare i nomi di coloro che meritarono la mia riconoscenza fornendomi
informazioni sull'espressione nelle diverse razze umane; contemporaneamente accenne parecchie
circostanze nelle quali ciascuna osservazione fu fatta. Grazie alla benevolenza ed all'alta influenza
dei sig. Wilson, di Hayes Place, Kent, io non ricevetti dall'Australia meno di tredici serie di risposte
alle mie questioni. E me ne sono particolarmente rallegrato, perchè gl'indigeni Australesi stanno fra
le più spiccate razze umane. Si vedrà che le osservazioni si fecero sopra tutto nel Sud, al di fuori
delle frontiere della colonia di Victoria; tuttavia alcune eccellenti risposte mi sono venute dal Nord.
Dyson Lacy mi fornì con ampi dettagli alcune preziose osservazioni fatte a molte centinaia di
miglia nell'interno di Queensland. Il sig. R. Brough Smyth di Melbourne fummi utilissimo per le sue
personali osservazioni e per avermi inviate molte lettere scritte dalle seguenti persone: il rev. M.
Hagenauer, del lago Wellington, missionario a Gippsland, Victoria, che menò lunga vita fra i
naturali; Samuele Wilson, proprietario residente a Langerenong, Wimmera, Victoria; il rev. Giorgio
Taplin, direttore dello Stabilimento industriale indigeno a Porto Macleay; Arcibaldo G. Lang, di
Coranderick, Victoria, professore alla Scuola dove i naturali, giovani e vecchi, sono accettati da
tutte le parti della colonia; H. B. Lane di Belfast, Victoria, funzionario dell'Amministrazione
giudiziaria, le osservazioni del quale, ne sono sicuro, meritano la massima fiducia; Templeton
Bunnet, di Echuca, ch'è stabilito sui confini della colonia di Victoria, ch'ebbe agio eziandio di
osservare molti indigeni, i quali non avevano avuti che pochi rapporti coi bianchi, e che ha
confrontato le proprie osservazioni con quelle di due altri signori che da lungo tempo abitavano nei
dintorni; finalmente J. Bulmer, missionario in un canto remoto di Gipplsland, Victoria.
Vado eziandio debitore al dottor Ferdinando Müller, distinto botanico di Victoria, di alcune
osservazioni fatte da lui stesso; ei me ne ha per giunta spedite altre dovute al sig. Green, e m'ha
inviato parecchie delle lettere precedenti.
Relativamente ai Maoris della Nuova Zelanda, il rev. J. W. Stack non ha risposto che a
piccola parte delle mie questioni; ma le risposte furono notevolmente complete, chiare e nette, con
menzione delle circostanze nelle quali vennero instituite le osservazioni.
Il principe indiano Brooke m'ha date alcune informazioni sui Dyaks di Borneo.
In rapporto ai Malesi, fui ben favorito; infatti F. Geach (al quale m'aveva presentato il signor
Wallace), durante il suo soggiorno, in qualità d'ingegnere delle miniere, nell'interno di Malacca,
osservò molti naturali che non avevano avuto per lo innanzi relazione veruna coi bianchi. Ei mi
scrisse due lunghe lettere, dettagliate e piene di ammirabili osservazioni sulla loro espressione. Ed
osservò allo stesso modo i Cinesi che migrano nell'Arcipelago Malese.
Il celebre naturalista Swinhoe, console di S. M. Britannica, osservò pure per conto mio i
Cinesi nel loro paese natale, e trasse informazioni da altre persone degne di fede.
Nell'India, durante la sua residenza con titolo officiale nel distretto Admednugur della
Presidenza di Bombay, H. Erskine rivolse l'attenzione sull'espressione degli abitanti ma ebbe ad
incontrare gravi difficoltà per giungere a risultati sicuri, perocchè in presenza degli Europei essi
dissimulano qualunque specie d'emozioni. Ottenne inoltre per me dei cenni dal signor West, giudice
a Canara, e prese informazione su certi punti da intelligenti persone, nate nella colonia. A Calcutta,
J. Scott, direttore dei Giardino botanico, studiò con cura le varie tribù a cui appartenevano gli
uomini che v'erano impiegati da tempo considerevole: nessuno m'ebbe a spedire dettagli così
completi e preziosi. L'abito d'attenta osservazione ch'ei deve a suoi studi sulle piante fu messo a
profitto del nostro argomento. Quanto a Ceylan, deggio molto al rev. S. O. Glenie, il quale rispose a
parecchie delle mie questioni.
Per l'Africa, riguardo ai Negri non fui fortunato, quantunque Winwood Reade m'abbia aiutato
per quant'era in sua possa. Mi riescì relativamente facile ottenere informazioni sui negri schiavi in
America, ma siccome da lungo furono misti ai bianchi, codeste osservazioni non avrebbero avuto
che poco valore. Nella parte meridionale di questo continente, Barber considerò i Cafri ed i Fingoes,
e mi spedì molte esplicite risposte. J. P. Mansel Weale fe' pure alcuni studi sui naturali e mi fornì un
curioso documento, cioè l'opinione sulle espressioni dei suoi compatrioti, scritta in inglese da
Cristiano Gaika, fratello del capo Sandilli. Nelle regioni settentrionali dell'Africa, il capitano
Speedy, che stette a lungo cogli Abissini, rispose alle mie quistioni, in parte servendosi de' suoi
ricordi, in parte da osservazioni fatte sui figli del re Teodoro, che era in allora sotto la sua custodia.
Il professore Asa Gray e la signora di lui rimasero colpiti da alcune particolarità nell'espressione dei
naturali ch'eglino stessi osservarono rimontando il Nilo.
Sul grande continente americano, Bridges, catechista che abita coi Fuegiani, rispose ad alcune
quistioni sulle loro espressioni, che gli erano state indirizzate da molti anni. - Nella metà
settentrionale del continente, il dottor Rothrock studiò le espressioni degli Atnah e degli Espyox,
tribù selvaggie della Riviera Nasse verso il nord-ovest dell'America. Washington Matthews,
aiutante maggiore dell'armata degli Stati Uniti (dopo aver viste le mie quistioni stampate nello
Smithsonian Report), osservò con cura particolare parecchie tribù occidentali degli Stati Uniti, cioè i
Tetoni, i Grossiventri, i Mandani e gli Assinaboini; e si riscontrò che le sue risposte sono del più
grande valore.
Per ultimo, oltre a queste sorgenti speciali di informazioni, io riunii alcuni fatti esposti per
incidenza nei libri di viaggi.
------------------
Fig. 1 - Disegno dei muscoli della faccia,
tratto dall'opera di sir C. Bell.
Fig. 2 - Disegno dall'opera di Henle.
A. Occipito-frontalis, o
muscolo frontale.
B. Corrugator supercilii, o
muscolo sopraccigliare.
C. Orbicularis palpebrarum, o
muscolo orbicolare delle
palpebre.
D. Pyramidalis nasi, o muscolo
piramidale del naso.
E. Levator labii superioris
alaeque nasi, o sollevatore
del labbro superiore e
dell'ala del naso.
F. Levator labii proprius, o
sollevatore proprio del labbro.
G. Zigomaticus, o zigomatico.
H. Malaris, o malare.
I. Piccolo zigomatico.
K. Triangularis oris, o depressor
anguli oris, o depressore
dell'angolo della bocca.
L. Quadratus menti, o quadrato del
mento.
M. Risorius, o risorio, porzione del
Platysma moydes.
Fig. 3 - Disegno dall'opera di Henle.
Siccome avrò spesso occasione, specialmente nell'ultima parte di questo volume, di parlare
intorno ai muscoli della faccia umana, colloco qui un disegno (fig. 1) copiato e ridotto dall'opera di
sir C. Bell, insieme a due altri, nei quali i dettagli sono più accurati (fig. 2 e 3), tolti dal noto lavoro
di Henle: Handbuch der systematischen Anatomie des Menschen. Le stesse lettere si riportano ai
medesimi muscoli nelle tre figure, ma indicai solo i nomi dei più importanti cui avrò a fare
allusione. I muscoli facciali si uniscono molto fra loro e, a quel che mi dicono, appaiono
difficilmente tanto distinti in una dissezione come lo sono in questi disegni. - Alcuni autori
descrivono tali muscoli siccome formati da diciannove pari ed uno impari
(
20
)
; secondo altri, il loro
numero è molto più grande, chè monta sino a cinquantacinque, al dire di Moreau. Tutti che scrissero
su questo argomento ammettono che la loro disposizione sia variabilissima; e Moreau nota che
difficilmente si trovano identici sopra una mezza dozzina di individui
(
21
)
; e sono parimenti variabili
nelle loro funzioni. Così la facoltà di scoprire il dente canino di un lato varia d'assai nelle diverse
persone. La facoltà di allargar le narici è pure soggetta, secondo il dottor Piderit
(
22
)
, a variazioni
notevoli, - e molti altri esempi potrebbero essere citati.
Infine piacere di esprimere la mia riconoscenza a Rejlander per la briga che s'ebbe a
fotografare per me diverse espressioni ed attitudini. E sono del pari debitore a Kindermann, di
Amburgo, che m'ha prestato eccellenti impronte stereotipate di fanciulli piangenti; devo anche al
dottor Wallich una graziosa impressione di sorridente bambina. Ho di già esternate le mie
obbligazioni al dottore Duchenne per il generoso permesso concessomi di far copiare e ridurre
alcune delle sue grandi fotografie, le quali vennero incise col metodo della eliotipia, che guarentisce
sulla fedeltà della copia. Questi tavole sono distinte con cifre romane.
Sono anche tenuto a T. W. Wood, che si sobbarcò alla grave fatica di riprodurre dal vero le
espressioni di vari animali. Un distinto artista, Rivière, ebbe la bontà di darmi due disegni di cani:
l'uno con intenzioni ostili, umile e carezzevole l'altro. A. May mi ha pur favorito abbozzi simili di
cani. Cooper fe' incisioni in legno molto accurate. Parecchie fotografie ed alcuni disegni, cioè quelli
di May e di Wolf, che rappresentano il cinopiteco, furono subito, grazie a Cooper, riprodotti sul
legno colla fotografia, ed incisi dappoi; onde possiamo essere sicuri di una esattezza quasi assoluta.
CAPITOLO I
PRINCIPII GENERALI DELLA ESPRESSIONE
20
()
PARTRIDGE, Cyclopaedia of Anatomy and Physiology di TODD, vol. II, pag. 227.
21
()
La Physionomie, di G. LAVATER, tom. IV, 1820, p. 274. Per il numero dei muscoli della faccia, vedi vol. IV,
p. 209, 211.
22
()
Mimik and Physiognomik, 1867, pag. 91.
Determinazione dei tre principii fondamentali. - Primo principio. - Gli atti utili divengono abituali associandosi a certi
stati di spirito, e sono compiuti, anche ove il bisogno non se ne faccia sentire, in ciascun caso particolare. -
Potenza dell'abitudine. - Eredità. - Movimenti associati abituali nell'uomo. - Azioni riflesse. - Trasformazione
delle abitudini in azioni riflesse. - Movimenti associati abituali negli animali. - Conclusioni.
Comincerò collo stabilire i tre principii che mi sembrano render conto della maggior parte
delle espressioni e dei gesti involontari nell'uomo e negli animali, come si producono sotto l'impero
delle emozioni e delle diverse sensazioni
(
23
)
. Io non vi giunsi che al termine delle mie osservazioni.
Essi saranno discussi in via generale nel presente capitolo e nei due susseguenti. Ci gioveremo qui
dei fatti osservati tanto nell'uomo che sugli animali; ma sono da preferirsi gli ultimi, perchè meno
soggetti a trarci in inganno. Nel quarto e nel quinto capitolo descriverò le espressioni speciali di
alcuni animali, e quelle dell'uomo nei successivi. Ognuno potrà giudicar da se stesso fino a qual
punto i miei tre principii rischiarino la spiegazione dell'argomento. Mi sembra che così si spieghino
tante espressioni in modo soddisfacente, che in seguito probabilmente tutte potranno essere ridotte a
questi stessi principii o ad altri affatto analoghi. Ben inteso che i movimenti o i fenomeni di una
parte qualunque del corpo, il dimenar della coda nel cane, il rovesciamento all'indietro delle
orecchie del cavallo, il sollevar delle spalle dell'uomo, o la dilatazione dei capillari della pelle, tutto
ciò può egualmente servire alla espressione. Ecco i tre principii:
I. Principio dell'associazione delle abitudini utili. - In date condizioni dell'animo, per
rispondere o per soddisfare a date sensazioni, a dati desiderii, ecc., certe azioni complesse sono di
un'utilità diretta o indiretta; e tutte le volte che si rinnovella il medesimo stato di spirito, sia pure a
un debole grado, la forza dell'abitudine e dell'associazione tende a produrre gli stessi movimenti,
benchè d'uso veruno. Può nascere che atti ordinariamente associati per l'abitudine a certi stati
d'animo sieno in parte repressi dalla volontà; in tali casi, i muscoli sopra tutto quei meno soggetti
alla diretta influenza della volontà, possono tuttavia contrarsi e produrre movimenti che ci paiono
espressivi. Altra volta, per reprimere un movimento abituale, altri leggieri movimenti si compiono,
e pur essi sono espressivi.
II. Principio dell'antitesi. - Talune condizioni di spirito determinano certi atti abituali che
sono utili, come lo stabilisce il nostro primo principio. Dappoi, allorchè si produce uno stato
dell'animo direttamente inverso, siamo fortemente e involontariamente tentati di compiere
movimenti del tutto opposti, per quanto inutili, e in alcuni casi questi movimenti sono molto
espressivi.
III. Principio degli atti dovuti alla costituzione del sistema nervoso, affatto indipendenti dalla
volontà e, fino a un certo punto, anche dall'abitudine. - Quando il cervello è fortemente eccitato, la
forza nervosa si produce in eccesso e si trasmette in certe determinate direzioni, dipendenti dalle
connessioni delle cellule nervose, e in parte dell'abitudine; oppure può avvenire che l'afflusso della
forza nervosa sia, in apparenza, interrotto. Ne risultano effetti che noi troviamo espressivi. Questo
terzo principio potrebbe per maggior brevità dirsi quello dell'azione diretta del sistema nervoso.
Per ciò che riguarda il nostro primo principio, la potenza dell'abitudine è un fatto manifesto. I
movimenti più complessi e più difficili, se ve ne sia l'occasione, possono essere compiuti senza il
minimo sforzo e senza veruna coscienza. Non si sa precisamente come avvenga che l'abitudine
giovi tanto al compimento dei movimenti complessi. Ma i fisiologi affermano
(
24
)
«che il potere
conduttore delle fibre nervose cresce colla frequenza della loro eccitazione». Ciò si applica tanto ai
nervi motori ed ai sensitivi, quanto alle fibre destinate al fenomeno del pensiero. Non si può guari
dubitare che non si produca qualche cangiamento fisico nelle cellule e nelle fibre nervose che più
frequentemente vengono usate; senza di cui non si potrebbe comprendere come la predisposizione a
certi movimenti acquisiti sia ereditaria. Questa eredità noi vediamo presso i cavalli nella
trasmissione di certe andature che non sono punto naturali a loro, come il breve galoppo o l'ambio;
la vediamo ancora nella ferma dei giovani cani e nel cercare dei giovani cani da uccelli, e nel volo
23
()
HERBERT SPENCER (Essays, seconda serie, 1863, p. 138) stabilì una netta distinzione fra le emozioni e le
sensazioni, essendo queste ultime «prodotte nel nostro meccanismo corporeo». Egli colloca tra i sentimenti e le une e le
altre.
24
()
MÜLLER, Elements of Physiology. Traduzione inglese, vol. II. Pag. 939. Si veggano anche le interessanti
vedute di H. SPENCER sullo stesso argomento e sulla formazione dei nervi nei suoi Principles of Biology, vol. II, pag.
346; e nei suoi Principles of Psycology, 2
a
ediz., p. 511-557.
particolare di certe specie di piccioni, ecc. La specie umana ci offre analoghi esempi per l'eredità di
date abitudini o di dati gesti inusitati: e noi ne parleremo quanto prima. Chi ammette lo sviluppo
graduale delle specie rinverrà un esempio significantissimo della perfezione con cui i più difficili
movimenti associati possono essere trasmessi nella Sfinge-Sparviere (Macroglossa): poco dopo
uscita dal bozzolo, come rilevasi dalla polvere sulle squame non scompaginate delle ali, possiamo
veder questa farfalla mantenersi immobile nell'aria, colla lunga tromba filiforme sviluppata ed
immersa nei nettarii dei fiori; ora nessuno, ch'io sappia, ebbe mai ad osservare questa farfalla intenta
a far, come si dice, il tirocinio della difficile opera che richiede sì perfetta precisione.
Allorquando esiste una predisposizione ereditaria o istintiva al compimento di un atto, o un
gusto ereditario per un dato genere di nutrizione, bisogna che vi si aggiunga un certo grado di
abitudine individuale in quasi tutti od anche in tutti i casi. Gli è ciò che troviamo nelle andature del
cavallo e, fino a un certo punto, nei cani da ferma; alcuni giovani cani, benchè mettano in ferma
molto bene anche la prima volta che son condotti a caccia, non presentano men di frequente,
insieme a questa qualità ereditaria, un odorato difettoso ed anche una cattiva vista. Ho sentito
assicurare che, se si lascia un vitello poppare una sola la propria madre, dopo riesce molto più
difficile nutrirlo artificialmente
(
25
)
. Si videro due bruchi, nutriti colle foglie di un albero d'una data
specie, morire di fame piuttosto che mangiare quella di un altro albero, abbenchè questo fornisse
loro il nutrimento allo stato naturale
(
26
)
; e questo avviene equalmente in molti altri casi.
Il potere dell'associazione è ammesso da tutti. Il Bain osserva che «azioni, sensazioni o
condizioni d'animo, producendosi assieme o assai prossime tra loro, tendono ad avvicinarsi od a
collegarsi, per tal modo che quando una di esse si presenta allo spirito, le altre non sono lontane dal
pensiero»
(
27
)
. Per il nostro argomento è importantissimo conoscere la facilità colla quale certi atti si
associano ad altri atti e a diversi stati di spirito; darò dunque parecchi esempi, i primi relativi
all'uomo, gli ultimi agli animali. Alcuni di questi esempi si riferiscono ad azioni di una portata
insignificante, ma giovano al nostro argomento come le più importanti abitudini. Tutti sanno quanto
sia difficile, od anche impossibile, a meno di ripetuti sforzi, di muovere le membra in direzioni
opposte a quelle in cui siamo esercitati. Un simile fatto si produce riguardo alle sensazioni, come
nella nota esperienza che consiste nel voltolare una pallottola sotto i polpastrelli di due dita
accavalcate, ciò che esattamente la sensazione di due palle. Chiunque, ove caschi a terra, si
protegge stendendo le braccia, e, secondo l'osservazione del professore Alison, pochi possono
astenersi dal fare altrettanto, lasciandosi cadere sopra un morbido letto. Un uomo, uscendo di casa,
infila i guanti senza pure saperlo, e per quanto semplice codesta operazione possa apparire, chi
abbia insegnato a un fanciullo a mettersi i guanti sa bene che la è cosa tutt'altro che semplice.
L'alterazione dell'animo nostro si comunica al corpo; ma in questo caso, oltre l'abitudine, un
altro principio vi ha parte in una data misura, intendo dire lo sregolato afflusso della forza nervosa.
Norfolk, parlando del cardinale Wolsey, dice: «Una strana confusione regna nel suo cervello; si
morde nel labbro, e fissa gli occhi; d'un tratto ferma il passo, guarda a terra, e porta le dita verso le
tempia; poi di subito si muove, corre veloce, si ferma, e batte veemente al suo petto; ma tosto dopo
spalanca gli occhi verso la luna: noi lo vedemmo cambiare pose singolari».
Avviene di spesso che un uomo imbarazzato si gratta la testa. Io credo ch'egli agisca così,
spinto dall'abitudine, come se avesse una sensazione corporea leggermente molesta; il prudore alla
testa, cui è maggiormente soggetto, è in tal modo alquanto alleviato. Un altro, quand'è perplesso, si
strofina gli occhi, o, imbarazzato, tosse debolmente, come se provasse una leggiera indisposizione
agli occhi o alla gola
(
28
)
.
25
()
Un'osservazione di una portata molto analoga fu fatta da lungo tempo da Ippocrate e dall'illustre Harvey; chè
l'uno e l'altro assicurano che un giovine animale dimentica dopo pochi giorni l'arte di poppare e non la può riacquistare
che assai difficilmente. Traggo queste asserzioni dal dottor DARWIN, Zoonomia, 1794. vol. I. pag. 140.
26
()
Vedi per i cenni bibliografici e per diversi analoghi fatti: Variazione degli animali e delle piante allo stato
domestico (Traduzione italiana di G. Canestrini).
27
()
The Senses and the Intellect, 2
a
ediz., 1864, p. 332. Il prof. HUXLEY fa questa osservazione (Elementary
Lessons in Physiology, 5
a
ediz., 1872, p. 306): si può stabilir come regola che se due stati di spirito son risvegliati
assieme o successivamente con sufficiente frequenza e vivacità, la susseguente comparsa dell'uno basterà a richiamare
quella dell'altro.
28
()
GRATIOLET (De la Physionomie, p. 324.), discutendo questo argomento, cita molli analoghi esempi. Vedi a
pag. 42 sull'aprire e chiudere gli occhi. Engel è citato (p. 323) a proposito dei cangiamenti dell'andatura sotto l'influenza
In seguito all'uso continuo che noi facciamo degli occhi, questi organi sono più influenzati
dalla associazione nei diversi stati dell'animo, quand'anche la vista non vi prenda parte veruna.
Secondo l'osservazione di Gratiolet, un uomo che rigetti energicamente una proposta, quasi di certo
chiuderà gli occhi e distoglierà la testa. Ma s'egli l'accetta, inclinerà il capo, come per affermare,
aprendo molto gli occhi. In quest'ultimo caso egli opera come se vedesse chiaramente la cosa, e nel
primo, come se non la vedesse o non volesse vederla. Io ho notato di spesso che, descrivendo un
orribile fatto, alcune persone chiudevano di quando in quando gli occhi con forza, o scuoteano la
testa, quasi per non vedere o discacciare un oggetto disaggradevole; e a me stesso è avvenuto di
chiuder vivamente gli occhi mentre pensavo nell'oscurità ad uno spettacolo spaventevole. Quando
volgiamo bruscamente lo sguardo verso un oggetto, o guardiamo all'ingiro, eleviamo sempre le
sopracciglia in modo da poter aprire presto e molto gli occhi; e il dottore Duchenne osserva
(
29
)
che
una persona la quale faccia appello alla sua memoria innalza sovente le sopracciglia come per
vedere ciò che ricerca. Un Indù comunicò al sig. Erskine la stessa osservazione relativamente a' suoi
compatrioti. Io ho osservato una giovane signora che facea grandi sforzi per richiamare alla mente il
nome d'un pittore; ella fissava lo sguardo sur un angolo della stanza, poi sull'angolo opposto,
elevando il corrispondente sopracciglio, benchè nulla vi fosse colà da attirare l'attenzione di lei.
Nella maggior parte dei casi precedenti noi possiamo comprendere come i movimenti
associati sieno stati acquisiti coll'abitudine; ma in alcuni individui certi gesti bizzarri e certi
ghiribizzi si son fatti veder associati a certi stati dell'animo per cause affatto inesplicabili, e sono
indubbiamente ereditari. Senza contare analoghi casi, io ho riferito in altro luogo, dietro
osservazione mia propria, l'esempio di un atto straordinario e complicato, associato a sentimenti
giocondi, che s'è trasmesso di padre in figlio
(
30
)
. E nel corso di questo volume sarà esposto un altro
esempio curioso d'un gesto bizzarro, ereditario, associato ad un desiderio.
Vi sono altri atti che vengono d'ordinario compiuti in date circostanze, indipendentemente
dall'abitudine, e che sembrano dovuti alla imitazione o ad una specie di simpatia. Così possiamo
vedere taluni a muovere la mascella nello stesso tempo che fanno agire le forbici, quando le
adoperano a tagliar qualche cosa. I fanciulli, quando imparano a scrivere, traggono spesso la lingua
e la dimenano in modo ridicolo, seguendo i movimenti delle dita. Allorchè in un pubblico luogo un
cantante vien subitamente preso da leggiera raucedine, possiamo osservare molti fra gli astanti
grattarsi la gola, siccome m'ebbe ad assicurare una persona degna di fede; ma qui probabilmente vi
prende parte l'abitudine, visto che noi ci grattiamo la gola nelle stesse circostanze. Mi venne
dei fenomeni del pensiero.
29
()
Mécanisme de la Physionomie humaine, 1862, p. 17.
30
()
Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, pag. 379 (Traduzione italiana di G. Canestrini).
L'eredità degli atti abituali è per noi un fatto tanto importante, ch'io mi sollecito di riportare, col permesso del signor F.
Galton, e servendomi dei suoi medesimi termini, questa rimarchevole osservazione: - «La narrazione seguente, relativa
ad un'abitudine riscontrata in tre generazioni consecutive, ha un interesse particolare per questa circostanza che il
movimento è prodotto solo nel sonno profondo, onde non può riferirsi all'imitazione, ma dev'essere considerato
assolutamente naturale. Queste particolarità sono affatto degne di fede, perchè ne presi informazioni precise e narro in
seguito ad una testimonianza dettagliata ed indipendente. Un signore di alto rango, era soggetto, come l'assicurò la
moglie di lui, a questa strana abitudine: quando giaceva supino sul letto ed era profondamente addormentato, levava
lentamente il braccio destro sopra il viso a livello della fronte, indi con una scossa l'abbassava, a modo che il pugno
cadeva pesante sul dorso del naso. Questo gesto non si rinnovava ogni notte, ma solo di tempo in tempo ed era
indipendente da qualunque causa apprezzabile. Talora si ripetea per un'ora continua od anche di più. Il naso di questo
signore era prominente e il suo dorso fu spesso ammaccato dai colpi che riceveva; ed ogni volta che si producea
un'ammaccatura, era tarda a guarire, perocchè i colpi che l'avevano causata si rinnovellavano tutte le notti. La sua
signora dovette togliere il bottone della di lui camicia da notte col quale si lacerava crudelmente e si cercò il mezzo di
legargli il braccio.
«Molti anni dopo la morte di lui, suo figlio sposò una fanciulla che non avea giammai udito parlare di questa
particolarità di famiglia. Infrattanto ella fece precisamente la stessa osservazione sopra il proprio marito; ma il naso di
questo, non essendo molto lungo, non ebbe mai a sofferire percosse. il ghiribizzo gli capita fra la veglia ed il sonno,
ad esempio quand'è assopito nel suo seggiolone, ma comparisce dopo ch'è profondamente addormentato. Come presso a
suo padre, esso è intermittente, talvolta cessa per parecchie notti, talvolta è quasi continuo durante una parte di queste.
Si compie pure colla mano destra.
«Una sua figlia ha ereditato il medesimo atto. Anch'ella si serve della mano diritta, ma in modo alquanto diverso;
perocchè, dopo aver levato il braccio, non lascia cascare il pugno sull'orlo del naso, ma, col palmo della mano chiuso a
metà, vi batte dall'alto in basso e rapidamente dei piccoli colpi. Anche in questa fanciulla l'atto è assai intermittente,
cessando talora per molti mesi, talora riapparendo quasi continuo».
eziandio raccontato che nei circhi ove si salta, quando il giuocatore prende lo slancio, molti
spettatori che son generalmente uomini o giovanotti, muovono i piedi; ma pur entra l'abitudine,
perchè molto dubbio se le donne farebbero lo stesso.
Azioni riflesse. - Le azioni riflesse, nello stretto senso della parola, sono dovute alla
eccitazione di un nervo periferico che trasmette la sua influenza a date cellule nervose, le quali, alla
lor volta, provocano l'azione di muscoli o di determinate ghiandole; tutto ciò, almeno nella maggior
parte dei casi, può essere prodotto senza veruna sensazione, ossia senza che noi ne abbiamo
coscienza. Siccome molte azioni riflesse sono assai espressive, dobbiamo qui estenderci alquanto su
questo argomento. Vedremo per giunta che alcune di esse giungono a confondersi colle azioni
prodotte dall'abitudine, e difficilmente ne possono essere distinte
(
31
)
. La tosse e lo starnuto sono
esempi comuni di azioni riflesse. Nei fanciulli, il primo atto respiratorio è di sovente uno starnuto,
quantunque questo esiga i movimenti coordinati di numerosi muscoli. La respirazione è in parte
volontaria, ma sopra tutto è riflessa, ed è senza l'intervento della volontà ch'ella si effettua nel modo
più naturale e più regolare. Un numero considerevole di movimenti complessi sono di natura
riflessa. Uno degli esempi migliori che si possa citare è quello della rana decapitata, la quale non
può evidentemente sentire compiere alcun movimento, rendendosene conto. Infrattanto, se si
mette una stilla di acido sulla faccia inferiore della coscia di una rana cui siasi mozza la testa, essa
tergerà la goccia colla faccia superiore del piede dello stesso lato; che se si taglia il piede, non può
più fare così: «per conseguenza, dopo alcuni sforzi infruttuosi, ella rinuncia a questo mezzo, e
sembra inquieta, come se, dice Pflüger, ne cercasse un altro; infine si giova dell'altra gamba e riesce
a tergere l'acido. Qui certo non abbiamo soltanto semplici contrazioni muscolari, ma anche
contrazioni combinate e disposte in un ordine determinato per un fine speciale. Esse costituiscono
degli atti che sembra proprio sieno guidati dall'intelligenza e provocati dalla volontà, e ciò in un
animale cui sia stato tolto l'organo incontrastato dell'intelligenza e della volizione»
(
32
)
.
Vediamo la differenza che sta tra i movimenti riflessi ed i volontari nei bimbi; essi, mi dice sir
Henry Holland, non sanno compiere atti analoghi allo starnuto e alla tosse; sono specialmente
incapaci di espurgarsi il naso (cioè di premerlo e di soffiar con violenza attraverso l'orifizio ristretto)
e di sbarazzare la gola dal muco. Bisogna insegnar loro a compiere questi atti, benchè, quando siano
un po' cresciuti cogli anni, ci riescano facili come fossero azioni riflesse. Peraltro lo starnuto e la
tosse sono poco o nulla soggetti alla volontà, mentre gli atti del grattarci la gola e del soffiarci il
naso sono affatto volontari.
Allorchè sentiamo che una particella ci irrita le narici o i canali respiratorii - il che avviene per
l'eccitazione delle stesse cellule nervose sensitive che agiscono nei casi di starnuto e di tosse - noi
possiamo espellere volontariamente il corpo straniero cacciando dell'aria con forza traverso questi
condotti, ma siamo molto lungi dal farlo con tanta forza, rapidità e precisione con cui vien compiuto
dall'azione riflessa. In quest'ultimo caso, a quanto sembra, le cellule nervose sensitive eccitano le
cellule nervose motrici senza che v'abbia consumo di forza per l'antecedente comunicazione cogli
emisferi cerebrali - sede della coscienza e della volizione. In ogni caso sembra ch'esista un profondo
contrasto tra identici movimenti, a seconda che sono governati dalla volontà o da un'eccitazione
riflessa, relativamente all'energia colla quale vengono compiuti ed alla facilità con cui sono eccitati.
Lo dichiara anche Claudio Bernard: «l'influenza del cervello tende dunque a inceppare i movimenti
riflessi, a limitare la loro forza e la loro estensione»
(
33
)
.
Basta talvolta il desiderio consapevole di adempiere un atto riflesso per arrestare od
interrompere il suo adempimento, malgrado l'eccitazione dei nervi sensitivi speciali. Eccone un
esempio: molti anni or sono, feci una piccola scommessa con una dozzina di giovani: io sostenni
che avrebbero preso tabacco senza starnutire, benchè m'avessero dichiarato che, aspirandone,
starnutavano sempre. Conseguentemente, ne presero tutti una leggiera dose, ma siccome
31
()
Il professore HUXLEY osserva (Elementary Physiology, 5
a
edizione, p. 305) che le azioni riflesse proprie del
midollo spinale son naturali; ma coll'aiuto del cervello, cioè col mezzo dell'abitudine, una infinità di azioni riflesse
artificiali possono esser acquisite. VIRKOW ammette (Sammlung wissenschaft Vortäge, ecc., Ueber das Rückenmark,
1871, pp. 24, 31), che certe azioni riflesse non possono venir distinte dagl'istinti, e possiamo aggiungere che fra questi
ultimi, ve n'ha di quelli i quali non si possono distinguere dalle abitudini ereditarie.
32
()
Dottor MAUDSLEY, Body and Mind, 1870, p. 8.
33
()
Vedi l'interessantissima discussione di tutto questo argomento di Claudio BERNARD (Tissus vivants, 1866, p.
353-356).
desideravano assai di riuscir vincitori, nessuno starnutò, quantunque gli occhi lagrimassero; e tutti,
senza eccezione, dovettero pagarmi la scommessa. Sir H. Holland osserva
(
34
)
come l'attenzione che
si mette per inghiottire ne inceppi i movimenti; ciò che spiega senza dubbio, almeno in parte, la
difficoltà che provano certe persone ad ingoiare le pillole.
Altro esempio comune di atto riflesso consiste nell'abbassamento involontario delle palpebre,
appena la superficie dell'occhio venga irritata. Un ammiccare di simil fatta si effettua quando vien
diretto un colpo al viso; ma questo, a dir vero, più che un'azione riflessa, è un atto derivante
dall'abitudine, perchè lo stimolo è trasmesso per mezzo dell'organo pensante, e non per l'eccitazione
del nervo periferico. Spessissimo la testa ed il corpo tutto sono nello stesso tempo gettati
bruscamente all'indietro. Possiamo tuttavia frenare questi ultimi movimenti e il pericolo non sembra
imminente alla nostra immaginazione, ma non basta che la ragione ci dica che non v'ha pericolo.
Posso citare un fatto insignificante che viene in appoggio del mio asserto e che mi ha altra volta
molto ricreato. Appoggiai la faccia contro il grosso cristallo della gabbia d'una vipera al Giardino
zoologico, colla ferma intenzione di non rinculare ove il serpente si slanciasse verso di me; ma esso
aveva appena battuto il cristallo, che la mia risoluzione sparì, ed io saltai addietro un metro o due
con un'incredibile rapidità. La mia volontà e la mia ragione erano riescite impotenti contro
l'immaginazione che mi rappresentava un pericolo, cui per lo innanzi non ero giammai stato
esposto.
La violenza di un sussulto sembra dipendere in parte dalla vivacità dell'immaginazione, in
parte dallo stato abituale o momentaneo del sistema nervoso. Se si vuol bene osservare il sussultar
di un cavallo, a seconda che è affaticato o riposato, si vedrà quanto è perfetto il passaggio tra un
semplice sguardo ad un oggetto inatteso, una breve esitazione in faccia del presunto pericolo, fino
ad un balzo rapido e violento, che l'animale non potrebbe probabilmente fare di sua volontà un
deviamento tanto pronto. Il sistema nervoso di un cavallo nutrito bene e di fresco manda i suoi
ordini all'apparecchio locomotore con tanta rapidità, ch'ei non ha il tempo di giudicare se il pericolo
sia reale o no. Dopo un violento sussulto, quand'è eccitato ed il sangue gli circola riccamente nel
cervello, esso è disposto a sussultare ancora; e, secondo le mie osservazioni, avviene lo stesso anche
nei fanciulli.
Il sussulto prodotto da repentino rumore, quando lo stimolo è trasmesso dai nervi uditivi, è
sempre accompagnato, nelle persone attempate, dall'ammiccar delle palpebre
(
35
)
. Io ho peraltro
osservato che i miei figli, se trasalivano agli improvvisi strepiti, quando non avevano ancora
quindici giorni, non ammiccavano certo tutte le volte, e credo per giunta non lo facessero mai. Il
sussulto di un fanciullo più grande rappresenta apparentemente un modo di prender un punto
d'appoggio per evitare di cadere. Io scossi una scatola di cartone proprio vicino agli occhi di un mio
figlio di 114 giorni ed egli non ammiccò affatto; ma avendo messi nel bossolo alcuni confetti,
tenendolo nella stessa posizione, lo agitai, ed il fanciullo battè ogni volta gli occhi e trasalì
leggermente. Evidentemente era impossibile che un fanciullo ben custodito potesse aver imparato
dall'esperienza che un simile strepito vicino agli occhi indicava pericolo. Ma questa esperienza sarà
stata lentamente acquistata a un'età più avanzata per volgere di molte generazioni; e, dopo ciò che
sappiamo dell'eredità, non è niente improbabile che l'abitudine siasi trasmessa ed appaia in un'età
minore di quella in cui fu contratta dagli antenati.
Le precedenti osservazioni permettono di credere che certe azioni, compiute dapprima
ragionatamente, sieno divenute riflesse in virtù dell'abitudine e dell'associazione, e che ora sieno
così stabilite ed acquisite, da effettuarsi, anche senza utilità veruna
(
36
)
, tutte le volte in cui sorgano
cause simili a quelle che, in origine, ce ne risvegliavano il volontario compimento. In tali casi, le
cellule nervose sensitive eccitano le cellule nervose motrici, senza prima comunicare con quelle
d'onde la nostra percezione e la nostra volizione dipendono. Probabilmente lo starnuto e la tosse in
origine sono stati acquisiti dall'abitudine di espellere con la massima forza una particella qualunque
34
()
Chapters on Mental Physiology, 1858, p. 85.
35
()
MÜLLER osserva (Elements of Physiology, trad. inglese, vol. II, p. 1311) che il sussulto è sempre
accompagnato dal serrar delle palpebre.
36
()
Il dott. MAUDSLEY fa notare (Body and Mind, p. 10) che i movimenti riflessi ordinariamente diretti ad un utile
fine possono, in cambiate condizioni di malattia, riescir dannosissimi ed anche dar luogo a vive sofferenze e ad una
morte assai dolorosa.
che irritasse la sensibilità dei canali respiratorii. Queste abitudini ebbero tutto tempo per diventare
innate o per venir convertite in azioni riflesse, che sono comuni a tutti od a quasi tutti i grandi
quadrupedi, e devono quindi essere state la prima volta acquisite in un'epoca remotissima. Perchè
l'atto del grattarsi la gola non è un'azione riflessa, e dev'essere appresa dai nostri fanciulli? Gli è ciò
che non posso aver la pretesa di dire: all'incontro, ci è dato comprendere per quale ragione si debba
imparare a soffiarsi il naso in un fazzoletto.
I movimenti di una rana decapitata che terge dalla coscia una goccia d'acido, o che scaccia un
altro oggetto, sono perfettamente coordinati ad un fine speciale; come non si può non ammettere
che, volontari dapprima, essi sono quindi divenuti facili in seguito ad una lunga abitudine e
poterono finalmente essere compiuti inscientemente, ossia indipendentemente dagli emisferi
cerebrali.
Nella stessa guisa sembra probabile che il sussulto abbia avuto per origine prima l'abitudine di
saltare all'indietro il più presto possibile per evitare il pericolo tutte le volte che uno dei nostri sensi
ce ne avvertisse della presenza. Il sussulto, siccome abbiamo veduto, è accompagnato dall'ammiccar
delle palpebre che proteggono gli occhi, gli organi più delicati e più sensibili del corpo; e questo
atto, io credo, è sempre accompagnato da una subitanea e forte inspirazione, ciò che costituisce la
naturale disposizione ad uno sforzo violento. Ma quando un uomo od un cavallo sussultano, i battiti
del cuore sollevano il petto con violenza, e puossi dire che in ciò abbiamo l'esempio di un organo, il
quale non fu mai influenzato dalla volontà, e che prende parte ai movimenti riflessi generali della
economia. Tuttavia questo punto sarà trattato di nuovo in uno dei seguenti capitoli.
La contrazione dell'iride, allorchè la retina è eccitata da viva luce, è un altro esempio di un
movimento che, a quanto sembra, in origine non può essere stato volontario, e reso quindi stabile
dall'abitudine; perchè non si conosce verun animale in cui l'iride sia sottomessa all'azione diretta
della volontà. Per quei casi resta a scoprire una spiegazione qualunque, certo differente
dall'influenza dell'abitudine. L'irradiazione della forza nervosa da cellule energicamente eccitate ad
altre cellule unite alle prime, come nel caso in cui una viva luce che colpisca la retina fa starnutare,
potrà forse giovare a comprendere la causa di certe azioni riflesse. Un irradiamento nervoso di
questa specie, se luogo ad un movimento inteso a diminuire l'irritazione primitiva, come
allorquando la contrazione dell'iride impedisce che un eccesso di luce ferisca la retina, questo
irradiamento forse sarà stato in processo di tempo utilizzato e modificato ad un fine speciale.
Inoltre dobbiamo notare che, secondo ogni probabilità, le azioni riflesse sono soggette a
leggere variazioni, come lo sono tutte le parti anatomiche e gl'istinti, e che qualunque variazione
vantaggiosa e sufficientemente importante avrà dovuto essere conservata e trasmessa per eredità.
Così le azioni riflesse, una volta acquisite per un bisogno qualsiasi, possono quindi venir modificate
indipendentemente dalla volontà o dall'abitudine, per essere destinate ad un determinato bisogno.
Noi siamo in diritto di credere che questi fatti sieno della stessa portata di quelli che si produssero in
riguardo a molti istinti, perchè, sebbene alcuni di questi abbiano avuto sviluppo da una lunga ed
ereditaria abitudine, pur ve ne hanno di quelli molto complessi, che si sono sviluppati colla
fissazione delle variazioni prodotte nei preesistenti istinti, cioè per elezione naturale.
Ho trattato piuttosto a lungo, benchè, lo comprendo, assai imperfettamente, il modo con cui si
sono acquisite le azioni riflesse, perocchè elleno prendono parte di spesso nei moti ch'esprimono le
nostre emozioni, e facea d'uopo mostrare che almeno taluna di loro potè in origine essere stata
acquistata volontariamente allo scopo speciale di soddisfare un desiderio o di evitare una
disaggradevole sensazione.
Movimenti abituali associati negli animali inferiori. - Ho di già citati, a proposito dell'uomo,
molteplici esempi di movimenti associati a diversi stati dell'animo o del corpo che presentemente
sono inutili, ma che in origine avevano un uso, ed in certe circostanze ne hanno ancor uno. Siccome
questa quistione è molto importante per noi, citerò qui un numero considerevole di fatti analoghi in
rapporto agli animali, benchè molti sieno comunissimi. Io mi propongo di dimostrare che taluni
movimenti sono stati compiuti originariamente con un fine determinato, e che, in circostanze
pressochè identiche, continuano tuttavia ad essere compiuti per una inveterata abitudine, benchè
inutili affatto. La parte che prende l'eredità nel maggior numero dei casi seguenti è mostrata dal fatto
che questi atti sono compiuti nella medesima guisa da tutti gl'individui della stessa specie, senza
distinzione di età. Vedremo eziandio ch'essi vengono prodotti dalle associazioni più varie, spesso
indirette e talora anche ignote.
Quando i cani vogliono mettersi a dormir sulla terra o sopra un'altra superficie dura,
d'ordinario girano attorno e raspano insensatamente il suolo colle zampe anteriori, quasi volessero
svellere l'erba e scavare una buca, come senza dubbio faceano i loro antenati allo stato selvaggio,
allorchè viveano nelle vaste pianure coperte di erba o nei boschi. Gli sciacalli, i cerdoni ed altri
simili animali, al Giardino zoologico, si comportano nella stessa guisa col loro giaciglio; ma è un
fatto piuttosto singolare che i guardiani, in seguito all'osservazione di più mesi, non videro mai i
lupi fare altrettanto. Un cane mezzo idiota - ed un animale in questa condizione dev'essere
particolarmente atto a seguire un'abitudine insensata - fu visto da un mio amico a fare trenta giri
completi sopra un tappeto prima di cucciarsi a dormire.
Molti animali carnivori, quando si avvicinano alla preda e si dispongono a precipitarsi od a
saltarle addosso, abbassano la testa e si curvano tanto, sembra, per nascondersi, quanto per
prepararsi all'assalto; e questa abitudine spinta allo estremo è divenuta ereditaria nei nostri cani da
ferma e da uccelli. Ora, ebbi a notare di sovente che, quando due cani fra loro sconosciuti si
incontrano in una larga via, quello che scorge l'altro per primo, avvegnachè alla distanza di cento o
duecento metri, abbassa tosto la testa, molto spesso si curva leggermente ed anche si cuccia affatto;
in una parola, prende la posa più conveniente per celarsi e per disporsi alla corsa od allo slancio.
Eppure la strada è assolutamente libera e la distanza ancor più grande. Altro esempio; i cani di
qualunque razza, allorchè spiano avidamente la preda e lenti lenti vi si approssimano, tengono
spesso una delle zampe anteriori ripiegata e sollevata per lungo tempo; essi sono pronti così ad
avanzarsi prudentemente - e questa attitudine è assai comune nei cani da ferma. Ora, per effetto
dell'abitudine, fanno precisamente così tutte le volte che la loro attenzione è risvegliata (fig. 4). Ho
visto a' piedi di un alto muro un cane con una gamba ripiegata in aria, ascoltare attentamente un
rumore che venìa dal lato opposto, e in tal caso ei non potea avere l'intenzione di avvicinarvisi
prudentemente.
I cani, poi che hanno deposto i loro escrementi, grattano spesso il suolo dall'avanti all'indietro
con tutte quattro le zampe, anche se stanno su terreno affatto nudo: sembra sia loro intenzione di
ricoprire con terra le feci, quasi come fanno i gatti. I lupi e gli sciacalli, al Giardino zoologico, si
comportano proprio egualmente, quantunque, da quel che m'hanno assicurato i guardiani, i lupi,
nè gli sciacalli, nè le volpi, allorchè ne hanno il mezzo, ricoprono i loro escrementi più di quello che
facciano i cani. - Eppure tutti questi animali nascondono sotterra il sovrappiù del lor nutrimento.
Questo ne lascia comprendere il vero significato della precedente abitudine, simile a quella dei gatti.
Non possiamo dubitar punto che v'abbia in quell'atto una inutile traccia di un movimento abituale,
che altra volta, in un lontano progenitore del genere cane, aveva un fine determinato e che s'è
conservato da antichità prodigiosa.
I cani e gli sciacalli
(
37
)
si dilettano assai a voltolarsi, a sfregare il collo e la schiena attorno alle
carogne: sembra godano del loro odore, quantunque almeno i cani non ne mangino. Il Bartlett ha
fatto per conto mio delle osservazioni sui lupi; diede loro della carogna e non li vide mai rotolarvisi
sopra. Ho sentito osservare (e credo sia vero) che i grandi cani, i quali probabilmente derivarono dai
lupi, non si avvoltolano sulla carogna così spesso, come lo fanno i piccoli, discesi probabilmente
dagli sciacalli. Quando si ad un mio terriere (e so di altri fatti simili) un pezzo di biscotto nero, e
che questa cagna non abbia fame, essa lo straccia e lo fa balzellare, come se fosse un sorcio od altra
preda; dappoi vi s'avvoltola sopra a più riprese, proprio come si trattasse di un pezzo di carogna;
quasi fa d'uopo dare un gusto immaginario a questa poco appetitosa porzione; e a tale scopo il cane
opera secondo la sua abitudine, come se il biscotto fosse un animale vivente od avesse l'odore della
carogna, quantunque esso sappia meglio di noi che non è l'uno l'altra. Ed ho visto questo stesso
terriere far egualmente dopo aver ucciso un piccolo uccello od un topo.
I cani si grattano con un rapido movimento delle zampe anteriori; e se si scorre sul loro dorso
con una canna, tanta è l'abitudine, che non possono a meno di raspare rapidamente in aria o sul
terreno in un modo illusorio e ridicolo. Il terriere cui feci poc'anzi allusione, allorchè lo si grattava
in questa maniera, esprimea talvolta la propria soddisfazione con un altro movimento abituale,
leccando, cioè, in aria, come il facesse sulla mia mano.
I cavalli si grattano mordendosi le parti del corpo cui possono giunger coi denti; ma più di
37
()
V. la storia di uno sciacallo addomesticato, data dal signor F. H. SALVIN in Land and Water, ottobre 1869.
spesso un cavallo indica a un altro il punto dove ha bisogno d'esser grattato, ed entrambi si
morsicchiano reciprocamente. Un amico di cui ebbi a richiamar l'attenzione su questo argomento,
osservò che quando ei carezzava il collo del proprio cavallo, questo avanzava la testa, mostrava i
denti e movea le mascelle, davvero come se mordesse il collo di un altro cavallo, perocchè è
naturale che non avrebbe potuto mordere il suo. Se un destriero vien molto solleticato, come quando
lo si stregghia, il suo desiderio di mordere è così irresistibile, che fa stridere i denti e, avvegnachè
ben avvezzo, può mordere il palafreniere; nello stesso tempo, per abitudine, abbassa molto le
orecchie, in modo da preservarle dai morsi, quasi avesse a fare con un altro cavallo.
Un palafreno impaziente di partire per una corsa, scalpitando la terra, si avvicina moltissimo
al movimento che gli è abituale quando procede. Inoltre, allorchè i cavalli, nelle scuderie, voglion
mangiare e attendono con impazienza l'avena, scalpitano sul terreno o sulla paglia. Due miei cavalli
fanno così, quando vedono o comprendono che si dà l'avena ai loro vicini. In tali casi, a dir vero, noi
abbiamo quasi ciò che può chiamarsi una espressione propriamente detta, chè lo scalpitio del suolo
è dovunque riconosciuto per un segno di impazienza.
I gatti coprono di terra i loro escrementi; ed il mio avo
(
38
)
ha visto un piccolo gatto a spargere
della cenere sovra una cucchiaiata di acqua pura rovesciata sul focolare; dimodochè, in questo caso
un atto abituale od istintivo era provocato senza ragione, non in seguito ad un'azione precedente o
ad un odore, ma dalla vista. È noto a tutti che i gatti non amano di bagnarsi i piedi; ciò ch'è dovuto
probabilmente al fatto ch'essi in origine abitarono un clima secco, l'Egitto; e quando li bagnano, li
scuotono vivamente. Mia figlia ebbe a versare dell'acqua in un bicchiere proprio vicino alla testa di
un piccolo gatto; questo scrollò subito i piedi nel solito modo; abbiamo qui dunque un movimento
abituale eccitato senza motivo da un suono associato, invece ch'esserlo dal senso del tatto.
I piccoli gatti, i piccoli cani, i piccoli maiali e probabilmente anche molti altri giovani animali,
battono alternativamente colle zampe anteriori le mammelle della loro madre per eccitare la
secrezione del latte o per facilitarne l'afflusso. Ora, assai di spesso si veggono i giovani gatti, e non
raramente i vecchi, nati dalla razza comune o dalla persiana (la quale, a dire di alcuni naturalisti,
non esisterebbe più allo stato di purezza), quando sono comodamente cucciati sovra uno sciallo ben
caldo o sovra un altro oggetto morbido, si veggono, dico, a premerlo dolcemente e alternativamente
colle zampe anteriori: le loro dita sono allora distese e gli artigli un po' in fuori, proprio come
quando poppano. E quel che prova esservi in ciò lo stesso movimento, gli è il fatto che spesso
prendono nel medesimo tempo un lembo dello sciallo in bocca e si mettono a succiarlo, chiudendo
d'ordinario gli occhi e facendo sentire un mugolìo di contento. Questo curioso movimento di solito
non è eccitato che in associazione colla sensazione d'una superficie calda e delicata; io ho visto un
vecchio gatto batter l'aria coi piedi nella stessa maniera, quando gli si procacciava piacere
grattandogli il dorso; dimodochè questo atto è quasi divenuto l'espressione d'una sensazione gradita.
Dopo di aver parlato dell'azione di poppare, posso aggiungere che questo movimento
complesso, come pure l'alternata distensione delle zampe anteriori, sono azioni riflesse; in fatto,
esse vengon compiute quando si colloca un dito bagnato di latte nella bocca di un piccolo cane, che
sia stato privato della parte anteriore del cervello
(
39
)
. Fu recentemente constatato, in Francia, che
l'azione del poppare è provocata solo per mezzo dell'odorato, per lo che, se i nervi olfattivi d'un
cagnolino sono esportati, non poppa. Parimenti il potere straordinario che ha il pollo, pochissime
ore dalla nascita, di dar di becco a piccole bricciole onde nutrirsi, sembra esser messo in azione dal
senso dell'udito; perocchè nei polli nati a calore artificiale, un buon osservatore trovò che battendo
coll'unghia sopra una tavola, in modo da imitare lo strepito cui fa la chioccia, ei potè loro
apprendere a pigliare il nutrimento
(
40
)
.
Darò ancora un solo esempio d'un movimento abituale ed inutile. L'anitra tadorna vive sulle
sabbie lasciate allo scoperto dalla marea, e quando scopre la traccia d'un verme «prende a batter il
suolo, quasi danzando sopra il pertugio», onde n'esce il verme. Ora, il signor St-John riferisce che
quando le sue anitre tadorne addomesticate «venivano a chiedergli il cibo, battevano il terreno con
38
()
D. DARWIN, Zoonomia, vol. I, 1794, p. 160. In quest'opera (p. 151) trovo anche citato il fatto che i gatti
protendono i piedi quando sono di buon umore.
39
()
CARPENTER (Principles of comparative Physiology, 1854, p. 690), e MÜLLER (Elements of Physiology, trad.
inglese, vol. II, p 936).
40
()
MOWBRAY (Poultry, sesta ediz., 1830, p. 54).
un movimento impaziente e rapido»
(
41
)
. Questo può dunque considerarsi quasi come il loro modo di
esprimer la fame. Il Bartlett mi dice che il fenicottero ed il Kagu (Rhinochetus jubatus), allorchè
hanno fame, batton la terra co' piedi nella stessa foggia bizzarra. Parimente anche i piombini,
quando prendono un pesce, il battono sempre fin che l'hanno morto, ed al Giardino zoologico
battono tutte le volte la carne cruda onde si nutrono, prima di divorarla.
Or noi abbiamo, credo, sufficientemente dimostrato il nostro primo principio, cioè che tutte le
volte in cui una sensazione, un desiderio, una ripugnanza, ecc. provocarono per lunga serie di
generazioni un dato movimento volontario, quasi di certo sarà sempre eccitata una tendenza a
compiere un movimento simile, quando capiterà, sia pure a debole grado, la stessa sensazione, od
altra analoga od associata; e questo avvegnachè il movimento, nel caso presente, possa riescire di
nessuna utilità. Movimenti abituali di tal fatta sono spesso, se non costantemente, ereditari, ed allora
variano poco dalle azioni riflesse. Quando noi parleremo delle espressioni speciali dell'uomo, si
vedrà la giustezza dell'ultima parte del nostro primo principio, siccome venne esposto al principio di
questo capitolo, vale a dire che allorquando movimenti associati dall'abitudine a certi stati di spirito
sono in parte repressi dalla volontà, i muscoli affatto involontari, come i meno collocati sotto il
diretto controllo della volontà, possono nondimeno contrarsi, e la loro azione è spesso molto
espressiva. Inversamente, quando la volontà è per poco tempo o per sempre affievolita, i muscoli
volontari fanno difetto a confronto degl'involontari. Quest'è un fatto comune ai patologi, siccome lo
nota sir C. Bell
(
42
)
: «Quando un'affezione del cervello luogo a debolezza, la sua influenza si fa
maggiormente sentire sui muscoli che sono, allo stato normale, collocati sotto l'impero più
immediato della volontà». Nei capitoli susseguenti, ci arresteremo sovra un'altra proposizione, pur
contenuta nel nostro primo principio: che, cioè, per reprimere un movimento abituale, fa d'uopo
talvolta eseguire altri leggieri movimenti, che servono essi medesimi alla espressione.
CAPITOLO II.
PRINCIPII GENERALI DELLA ESPRESSIONE (seguito).
Principio dell'antitesi. - Esempi nel cane e nel gatto. - Origine del principio. - Segni convenzionali. - Il principio
dell'antitesi non ha per origine azioni opposte compiute con conoscenza di causa sotto l'influenza di opposti
impulsi.
Eccoci al nostro secondo principio, il principio dell'antitesi. Certe condizioni dell'animo,
siccome abbiamo veduto nell'altro capitolo, dànno luogo a certi movimenti abituali, che in origine
furono realmente utili, e possono esserlo ancora; vedremo ora che quando si produce uno stato di
animo affatto inverso, si manifesta una tendenza energica ed involontaria a movimenti inversi del
pari, abbenchè non siano mai stati di utilità veruna. Daremo alcuni esempi maravigliosi di antitesi
trattando delle espressioni speciali all'uomo; ma gli è sopra tutto nei casi di questo genere che certe
abitudini ed espressioni convenzionali od artificiali vengono facilmente confuse con quelle che sono
innate od universali e che solo meritano di essere collocate fra le vere espressioni; ond'io, nel
presente capitolo, mi limiterò quasi affatto alle espressioni degli animali.
41
()
Vedi ciò che riporta questo eccellente osservatore in Wild Sports of the Highlands, 1816, p.142.
42
()
Philosophical Transactions, 1893, p. 182.
Fig. 5 - Cane che si avvicina ad un altro con ostili intenzioni, dis. dal sig. Rivière.
Allorchè un cane di umore intrattabile o con ostili intenzioni si abbatte in un cane straniero od
in un uomo, cammina diritto in avanti e tenendosi duro duro; la sua testa è leggermente rialzata o
poco abbassata; la coda ritta in aria; i peli si rizzano, specialmente lungo il collo e la schiena; le
orecchie tese si dirigono in avanti e gli occhi guardano fissi (V. fig. 5 e 7). Tali particolarità, come
spiegheremo qui presso, provengono dall'intenzione che ha il cane di attaccare il suo nemico, e per
la maggior parte sono eziandio facili a comprendersi. Quando ei si dispone a slanciarsi
sull'avversario con un selvaggio brontolìo, i denti canini si scoprono e le orecchie sono affatto
rinversate all'indietro contro la testa; ma qui non abbiamo ad occuparci di questi ultimi atti.
Supponiamo adesso che il cane riconosca d'un tratto nell'uomo cui s'avvicina non già uno straniero,
ma il proprio padrone; ed osserviamo come tutto se stesso trasforma in modo subitaneo e completo.
In luogo di avanzarsi rigidamente, si abbassa od anche si cuccia, imprimendo al suo corpo
movimenti flessuosi; la coda non è più ritta in aria, ma volta all'ingiù e dimenata da una parte a
quell'altra; i peli vengono istantaneamente lisci; le orecchie, pur rinversate all'indietro, non sono
però più applicate contro la testa, e le labbra pendono liberamente. In seguito al rinversamento delle
orecchie all'indietro, le palpebre sono allungate e gli occhi perdono l'aspetto arrotondato e fisso.
Fig. 6 - Lo stesso, umile ed affettuoso, dis. dal sig. Rivière.
Fig. 7 - Cane da pastore mezzo sangue, nella stessa condizione di quello alla fig. 5, dis. dal sig. A. May.
Devesi aggiungere che in questo momento l'animale è in un trasporto di gioia, e che v'ha
produzione eccessiva di forza nervosa, ciò che luogo naturalmente ad atti determinati. Non uno
dei precedenti moti, che con tanta chiarezza esprimono l'affezione, non uno è della minima utilità
per l'animale. A mio parere, essi trovano spiegazione solamente in ciò, che sono in opposizione
completa, ossia in antitesi coll'attitudine e coi significantissimi movimenti del cane che si preparava
alla lotta, i quali per conseguenza dinotano la collera. Prego il lettore di voler dare un'occhiata ai
quattro abbozzi qui annessi, che hanno lo scopo di richiamare in modo toccante l'aspetto d'un cane
in questi due stati dell'animo. È certo difficile di rappresentar l'affezione in un cane che carezza il
padrone e dimena la coda, perchè ciò che sovra tutto ne costituisce l'espressione, è appunto la
continua ondulazione de' suoi movimenti.
Ed ora parliamo del gatto. Quando questo animale è minacciato da un cane, curva la schiena
in maniera sorprendente, arruffa il pelo, apre la bocca e soffia. Ma qui non ci occupiamo di questa
comunissima attitudine che esprime il terrore associato alla collera; noi c'intratteniamo soltanto
sulla espressione del furore o della collera. Questa non s'è osservata di spesso, ma può osservarsi
quando due gatti lottano tra loro; io l'ebbi a vedere molto marcata in un gatto selvaggio tormentato
da un fanciullo. L'attitudine è quasi identica a quella d'un tigre quando, disturbato durante il pasto,
grugnisce, siccome ciascuno ha potuto vedere nei serragli di bestie. L'animale prende una posizione
strisciante, stendendo il corpo, e tutta la coda, o l'estremità soltanto, ripiegata o ricurva, si volge da
un lato a quell'altro. Il pelo non è punto arruffato. All'infuori di questo, l'attitudine ed i movimenti
sono quasi gli stessi d'allora che l'animale si dispone a lanciarsi sovra la preda, e certamente come
quando la sua ferocia risvegliasi. Ma allorchè si prepara alla lotta, corre questo divario, che le
orecchie sono assai riversate all'indietro, la bocca a mezzo aperta e lascia vedere i denti; le zampe
davanti sono talvolta gettate all'infuori e gli artigli sporgenti, e talora l'animale manda un feroce
grugnito (V. fig. 9 e 10). Tutti questi atti, o quasi, provengono naturalmente (come sarà fatto vedere
fra poco) dal modo col quale il gatto si propone di attaccare il nemico.
Fig. 9 - Gatto sgomento e pronto a lottare, disegnato dal vero dal sig. Wood.
Esaminiamo adesso un gatto di umore affatto inverso, mentre esprime la propria affezione al
padrone, carezzandolo, e facciamo rimarco al contrasto spiccato ch'esiste nella sua posa. Esso si
raddrizza, il dorso leggermente curvato, il che gli solleva un po' il pelo, ma senza arruffarlo; la coda,
in luogo d'essere distesa e di battere i fianchi, sta ritta del tutto e s'eleva perpendicolarmente; le
orecchie sono dritte ed erette; la bocca è chiusa; la bestia si strofina contro il padrone ed il mugolìo
di contento rimpiazza il grugnito. Guardiamo ancora fin dove il gatto, nel modo di esprimere
l'affetto, differisce dal cane, che carezza il padrone col corpo curvato e ondulante, la coda rabbassata
ed in moto e le orecchie pendenti. Simile contrasto nelle attitudini e nei movimenti di questi due
carnivori sotto la influenza del medesimo stato dell'animo grato e affettuoso, non può trovar
spiegazione, a quanto mi pare, che nella completa antitesi di tali movimenti con quelli naturali a
questi animali quando sono irritati e si dispongono a combattere o ad assalire la preda.
In codesti casi del cane e del gatto, si ha diritto di credere che gli atti che esprimono l'ostilità e
l'affezione sono gli uni e gli altri innati o ereditari; perocchè corrispondono quasi perfettamente
nelle differenti razze di queste due specie e in tutti gl'individui, vecchi o giovani, della medesima
razza.
Offro un altro esempio dell'uffizio dell'antitesi nella Espressione. Possedevo tempo addietro
un grande cane, il quale, come tutti, godeva assai d'andare a passeggio. Egli esprimeva la sua
contentezza, trottando gravemente innanzi a me, a passo misurato, la testa ben alta, le orecchie un
po' rialzate e la coda in aria, però senza rigidezza. Non lungi da casa mia, s'offre un sentiero a
destra, che mena alla serra; io aveva l'abitudine di visitarla sovente per alcuni istanti onde osservare
le mie piante messe a sperimento. Ell'era sempre codesta pel cane occasione d'un grande
scoramento; imperocchè ei non sapeva s'io avrei continuata la via; e riusciva ridicolo il vedere
l'improvviso e radicale cangiamento di espressione che si produceva in lui, quando movevo pur
mezzo passo verso il sentiero (ciò ch'io faceva talvolta in via di osservazione). Il suo sguardo
abbattuto era conosciuto da tutti di mia famiglia, e lo si chiamava la sua aria da serra.
Fig. 10 - Gatto d'umore affettuoso, dis. dal sig. Wood.
Ecco in che consisteva: la testa s'inclinava d'assai, tutto il corpo s'abbassava un poco,
rimanendo immobile; le orecchie e la coda ricadevano bruscamente, senza che questa fosse
dimenata; alle orecchie cascanti, alle mascelle pendenti, si aggiungeva un gran cangiamento negli
occhi, che mi parevano meno brillanti. Il miserando aspetto di lui esprimeva profonda afflizione, e,
come dissi, era ridicolo, vista la causa insignificante che l'aveva prodotta. Ogni particolarità della
sua attitudine era in completa opposizione colla precedente andatura allegra e dignitosa, e mi
sembra non possa venir altrimenti spiegata che col principio dell'antitesi. Se il cangiamento non
fosse stato tanto istantaneo, avrei attribuito quest'attitudine alla reazione del suo abbattimento sul
sistema nervoso e sul circolatorio, come si osserva nell'uomo, e quindi sulla tonicità di tutto il di lui
apparecchio muscolare; ed è anche possibile che nella produzione del fenomeno v'entri in parte pur
quello.
Passiamo adesso a vedere l'origine del principio dell'antitesi. Negli animali che vivono in
società, poter comunicare fra' membri di una stessa unione è della più alta importanza, e nelle altre
specie questo bisogno esiste tra gli animali di sesso diverso, fra i giovani ed i vecchi. D'ordinario
tale scopo è raggiunto col mezzo della voce, ma è certo che i gesti ed i segni espressivi giovano sino
a un dato punto alla reciproca intelligenza. L'uomo non s'è limitato all'uso di grida inarticolate, di
atti e di segni espressivi; egli inventò il linguaggio articolato, se pur si può dare l'appellativo
d'invenzione a un progresso compiuto in seguito a innumerevoli perfezionamenti appena ragionati.
E' basta aver osservate le scimie per esser convinti ch'elle comprendono perfettamente i gesti ed i
segni fatti fra loro e in buona parte anche quelli dell'uomo, come Rengger asserisce
(
43
)
. Un animale,
allorchè ne attacca un altro, ed ha paura, prende spesso un aspetto terribile, rizzando il pelo, onde
pare più grosso, mostrando i denti, vibrando le corna o mettendo grida feroci.
Siccome la facoltà di comunicare fra loro è certo di grandissima utilità a molti animali, così
43
()
Naturgeschichte der Saügethiere von Paraguay, 1830, p. 55.
non è a priori improbabile che gesti manifestamente contrari a quelli ch'esprimeano in addietro dati
sentimenti, abbiano potuto in origine prodursi naturalmente sotto l'impero di un opposto sentimento;
il fatto che adesso questi gesti sono innati non basta per impedirci di credere che sul bel principio
sieno stati compiuti ad un fine, perocchè dopo molte generazioni sarebbero probabilmente divenuti
ereditari. Checchè ne sia, è più che dubbio, come fra poco vedremo, che tutti i casi cui s'applica il
principio dell'antitesi abbiano avuto una origine pari.
Nei segni convenzionali che non sono innati, siccome quelli impiegati dai sordomuti e dai
selvaggi, fu messo parzialmente in opera il principio di opposizione o di antitesi. I monaci di
Citeaux credeano di peccare parlando; essi inventarono un linguaggio mimico dove pare sia stato
impiegato il principio della opposizione
(
44
)
. Il dottore Scott, dell'Istituto dei sordo-muti di Exeter, mi
scrive «che le opposizioni sono molto usate nella istruzione dei sordo-muti, i quali le sentono assai
vivamente». E frattanto io rimasi sorpreso dello scarso numero di esempi incontestabili che si
possono offrire su questo punto. Ciò dipende in parte dal fatto che tutti i segni hanno avuto
d'ordinario qualche origine naturale, e in parte dall'abitudine presa dai sordo-muti e dai selvaggi di
abbreviare più che si potesse i loro segni per renderli più rapidi
(
45
)
. Donde viene che la loro sorgente
ossia la loro origine è spesso dubbia od anche completamente perduta, il che pur si riscontra
riguardo al linguaggio articolato.
D'altra parte, molti segni, evidentemente opposti fra loro, sembra abbiano avuto in origine,
ciascuno dal canto suo, una significazione propria. Pare che sia stato così dei segni impiegati dai
sordo-muti per indicare la luce e l'oscurità, la forza e la debolezza, ecc. In un altro capitolo tenterò
di dimostrare che i movimenti opposti di affermazione e di negazione, quello, cioè, di abbassare
verticalmente la testa e quello di moverla in senso laterale, furono probabilmente sul principio tutti
e due naturali. Il dimenare la mano da destra a sinistra, onde si giovano alcuni selvaggi per dire di
no, potè essere inventato ad imitazione del movimento del capo; in quanto poi al gesto contrario,
per cui la mano si move in basso in linea retta dinanzi al viso in segno di affermazione, non
sapremmo decidere se provenga dall'antitesi o se sia derivato in modo diverso.
Or, se veniamo ai gesti innati, ossia comuni a tutti gl'individui della medesima specie, e che
stanno fra quelli che produce l'antitesi, è molto dubbio che alcuno d'essi sia stato sul principio
inventato deliberatamente e con cognizione di causa. Nella specie umana, il miglior esempio che si
possa citare di movimento direttamente opposto ad altri gesti e che sopraggiunge naturalmente in
una contraria condizione dell'animo, è l'atto di alzare le spalle. Esso esprime l'impotenza od un
rifiuto, - vuol dire che una cosa non può farsi o non può evitarsi. Questo gesto è talvolta impiegato
scientemente e volontariamente, ma è molto improbabile che in origine siasi inventato con
deliberato proposito e che in seguito sia stato reso stabile dall'abitudine; imperocchè non solo il
bambino alza le spalle sotto l'influenza delle precitate condizioni dell'animo, ma eziandio questo
movimento è accompagnato, come sarà fatto vedere in uno dei seguenti capitoli, da vari movimenti
subordinati, da cui un uomo su mille non ha la coscienza, a meno di essersi specialmente occupato
dell'argomento.
I cani, quando si avvicinano ad un cane straniero, possono trovar cosa utile di mostrare coi
loro atti che hanno intenzioni amichevoli e non vogliono battersi. Allorchè due giovani cani,
giocando, borbottano e si mordono il muso e le gambe, la è cosa evidente ch'essi comprendono
reciprocamente i loro gesti e il loro modo d'agire. Ei pare che nei piccoli cani e nei piccoli gatti
v'abbia una specie di nozione istintiva che, mentre giocano, non devon usare senza precauzione i
loro piccoli denti o gli artigli, avvegnachè ciò accada talvolta e provochi un grido; che se non fosse
così, certo si farebbero spesso male agli occhi. Allor che il mio cane terriero mi morde la mano per
gioco, se stringa di troppo ed io faccia: piano, piano, ei non lascia di mordere, ma mi risponde con
certi guizzi di coda che sembrano dire: «Non vi badate, il fo per darmi sollazzo». I cani dunque
esprimono o possono avere il desiderio di esprimere ad altri cani ed all'uomo che nutrono
44
()
M. TYLOR parla del linguaggio mimico dei monaci di Citeaux nel suo Early History of Mankind, seconda ediz.
(1870, p. 40) e fa alcune osservazioni intorno al principio dell'opposizione nei gesti.
45
()
Su questo argomento si vegga l'interessante lavoro del dott. W. R. SCOTT, The Deaf and Dumb, seconda
edizione, 1870, p. 72. «Questa maniera, egli dice, di abbreviare i gesti naturali e di farne dei movimenti più concisi di
quello cui reclami l'espressione naturale, è comunissima fra i sordo-muti. Questo gesto abbreviato è talora così mozzo,
da perder quasi ogni rassomiglianza col gesto naturale; ma pel sordo-muto che l'impiega, esso ha pur tutta l'energia e
l'espressione originali.
disposizioni amichevoli; si può credere ch'essi abbiano mai potuto pensare deliberatamente a
gettar indietro le orecchie, in luogo di tenerle diritte, ad abbassare ed agitare la coda, invece di
mantenerla rizzata in aria, ecc., colla conoscenza che questi movimenti erano in diretta opposizione
con quelli che al contrario si producano sotto l'influenza di un umore ostile.
Parimenti, quando un gatto, o piuttosto uno dei più antichi progenitori della specie, sotto
l'impero di sentimenti affettuosi, ha per la prima volta curvato un po' il dorso, levata
perpendicolarmente in aria la coda e rizzate le orecchie, puossi credere forse che l'animale abbia
avuto il desiderio ragionato di mostrare così un umore direttamente inverso a quello che, quando si
dispone a combattere od a slanciarsi sovra la preda, gli un'attitudine strisciante, una coda
ripiegata e che s'agita dall'un lato a quell'altro, ed orecchie tese all'indietro? Ed ancor meno io posso
credere che il mio cane prendesse volontariamente quella posa abbattuta e quell'aria da serra, che
facea completo contrasto colla sua primitiva attitudine e coll'andatura tutta ripiena di gioia. Si
potrebbe forse supporre ch'ei sapesse di farmi comprendere la propria espressione, di potermi così
intenerire, d'indurmi a rinunciare alla visita della serra?
Dunque, per lo sviluppo dei movimenti di quest'ordine, bisogna che un altro principio, distinto
dall'influenza della volontà e della coscienza, sia intervenuto. Questo principio sembra essere il
seguente: ogni movimento da noi volontariamente compiuto nel corso della nostra esistenza ha
chiesto l'azione di certi muscoli; e quando abbiam fatto un movimento assolutamente contrario, un
gruppo opposto di muscoli fu messo abitualmente in gioco, - come negli atti di girare a destra o a
sinistra, di respingere un oggetto o di avvicinarlo, di sollevare o di abbassare un peso. forte è il
legame che riunisce le nostre intenzioni e i nostri movimenti, che se desideriamo che un oggetto si
muova in una direzione, non sappiamo astenerci dal piegare il corpo in quel senso, per quanto
possiam esser convinti dell'inefficacia dell'atto. Una buona dimostrazione di ciò venne già data nella
introduzione, ove sono indicati i movimenti grotteschi di un giocatore di bigliardo novizio e
passionato, mentre accompagna col guardo il cammino percorso dalla palla. Quando un uomo od un
fanciullo incolleriti gridano a taluno: «Andatevene!», il più delle volte tendono il braccio, come a
respingerlo, benchè l'avversario possa esser lontano, e riesca completamente inutile indicare col
gesto ciò che vogliono dire. D'altra parte, allorchè desideriamo che una persona ci si faccia vicina
vicina, noi la chiamiamo col gesto; ed è così in un numero infinito di casi.
Il compimento di ordinari movimenti di opposta natura sotto l'impero di contrari impulsi della
volontà, divenne abituale in noi e negli animali; ne risulta che quando azioni di qualunque specie
sieno state strettamente associate con una sensazione od una emozione, sembra naturale che atti di
natura del tutto contraria, benchè assolutamente inutili, sieno inscientemente compiuti in seguito
dell'abitudine e dell'associazione, sotto l'influenza di una sensazione o di una emozione direttamente
inversa. Questo principio mi permette solo di concepire come abbiano avuto lor vita i gesti e le
espressioni compresi sotto questo capitolo della antitesi. Certamente, se tornano di qualche utilità
all'uomo o ad alcun altro animale, per supplire le grida inarticolate o il linguaggio, saranno anche
volontariamente impiegati, e l'abitudine in tal modo prenderà forza. Ma, sieno essi utili o no come
mezzi di comunicare, per renderli ereditari dopo un lungo uso, basterebbe, se possiam ragionare per
analogia, la tendenza a compiere opposti movimenti sotto l'influenza di sensazioni o di emozioni
inverse; si saprebbe mettere in dubbio che molti movimenti espressivi dovuti al principio
dell'antitesi non sieno ereditari.
CAPITOLO III.
PRINCIPII GENERALI DELLA ESPRESSIONE (fine).
Terzo principio: Azione diretta sulla economia dell'eccitazione del sistema nervoso, indipendentemente dalla volontà e,
in parte, dall'abitudine. - Cambiamento di colore dei peli. - Tremito dei muscoli. - Modificazione delle
secrezioni. - Sudore. - Espressione d'un vivo dolore, del furore, della gioia, dello spavento. - Differenza tra le
espressioni che producono o no movimenti espressivi. - Stati dell'animo che eccitano o deprimono. - Riassunto.
Siamo al nostro terzo principio: taluni atti che riconosciamo siccome espressivi di tali o tali
altre condizioni dell'animo, risultano direttamente dalla costituzione medesima del sistema nervoso,
e, sul principio, furono indipendenti dalla volontà ed in gran parte anche dall'abitudine. Quando il
sensorio è vivamente eccitato, la forza nervosa, generata in eccesso, si trasmette in direzioni
dipendenti dalle connessioni delle cellule nervose, e, se si tratta del sistema muscolare, dalla natura
dei movimenti che sono abituali. In altri casi, l'affluenza della forza nervosa sembra all'incontro
interrompersi. Senza dubbio l'organismo non esegue alcun movimento che non sia determinato dalla
costituzione del sistema nervoso, ma qui non si tratta di atti compiuti sotto l'impero della volontà o
dell'abitudine, di quelli provenienti dal principio dell'antitesi. L'argomento che noi discutiamo è
pieno di oscurità; tuttavia, vista la sua importanza, ei dev'essere trattato con qualche estensione;
d'altra parte non torna inutile mai di farsi una giusta idea della propria ignoranza.
Il caso più maraviglioso che si possa citare di questa diretta influenza del sistema nervoso -
caso d'altro canto raro ed anormale - è lo scoloramento dei capelli che s'ebbe ad osservare qualche
volta in seguito ad un grande spavento o ad un dolore eccessivo. Venne riferito un esempio
autentico, relativo ad un uomo che si menava al supplizio, nell'India, e nel quale il mutamento di
colore si operò con tale rapidità, che l'occhio poteva seguirne il progresso
(
46
)
.
Un altro buon esempio è il tremito muscolare, comune all'uomo ed a molti animali, se non al
numero maggiore. Questo tremito non è di veruna utilità, spesso anche riesce molto nocivo; per
certo, ei non dovette prodursi volontariamente dapprima sotto l'impero di una emozione qualunque,
per associarsi quindi per influenza dell'abitudine. In circostanze che avrebbero provocato nell'adulto
un tremito eccessivo, in seguito ad una testimonianza degna di tutta fede, il bambino non trema più,
ma cade in convulsioni. Il tremore si produce in individui diversi, in grado assai differente, e per le
cause più varie: il raffreddamento, il principio degli accessi febbrili, malgrado l'elevazione della
temperatura del corpo sopra il grado normale; l'avvelenamento del sangue; il delirium tremens e
certe altre malattie; l'affievolimento generale nella vecchiaia; lo spossamento dopo un'eccessiva
fatica; le gravi affezioni locali, siccome le scottature; infine, in maniera veramente particolare,
l'introduzione di una siringa. Niuno ignora che fra tutte le emozioni, più adatta a provocare il
tremito è lo spavento; tuttavia una violenta collera, una viva gioia producono talvolta il medesimo
effetto. Mi rammento di aver visto un giorno un giovinetto che aveva appena uccisa la sua prima
beccaccia; il piacere faceva tremar le sue mani così, ch'ei dovette aspettare un momento prima di
ricaricare il fucile. Ho inteso riferire un fatto perfettamente simile, relativo ad un selvaggio
Australese, cui s'era prestato un fucile. In alcune persone la musica, colle vaghe emozioni che
suscita, fa correre un fremito per il corpo. In mezzo a cause fisiche o ad emozioni di natura tanto
dissimile, come trovare un carattere comune, che possa render conto di questo effetto comune, il
tremore? Secondo sir J. Paget, al quale io devo molte delle precedenti osservazioni, la è codesta una
fra le più oscure quistioni. Dal momento che il tremito accompagna ora la gioia, ora il furore lungo
tempo avanti il periodo del rifinimento, ei sembrerebbe che ogni energica eccitazione del sistema
nervoso dovesse interrompere il regolare afflusso della forza nervosa al sistema muscolare
(
47
)
.
Il modo con cui le secrezioni del canale alimentare e di certe glandule fegato, reni,
mammelle vengono impressionate da violente emozioni, è pure un buonissimo esempio
dell'azione diretta del sensorio sopra questi organi, allo infuori di ogni intervento della volontà o di
qualche abitudine utile associata. Quanto alla scelta degli organi che sono così impressionati, ed al
grado della impressione ricevuta, esistono, nei diversi individui, le più spiccate differenze.
Il cuore, i battiti del quale si succedono senza interruzione giorno e notte con una regolarità
maravigliosa, è estremamente sensibile alle eccitazioni esterne. Claudio Bernard, sommo fisiologo,
ha fatto vedere
(
48
)
sino a qual punto questo organo risenta il contraccolpo della più debole
eccitazione portata sopra un nervo sensitivo, d'un tocco tanto leggiero che certo non ebbe a
risultarne verun dolore. Era fin d'allora cosa naturale che una violenta eccitazione dell'animo
46
()
Vedi i casi interessanti che raccolse G. POUCHET nella Revue des Deux Mondes, 1° gennaio 1872, p. 79. Pochi
anni sono fu comunicato un caso anche alla British Association di Belfast.
47
()
MÜLLER fa osservare (Elements of Physiology, traduzione inglese, vol. II p. 934) che sotto l'influenza di
vivissime sensazioni «tutti i nervi spinali ricevono una impressione che può giungere fino a produrre una imperfetta
paralisi o a determinare un tremito generale».
48
()
Leçon sur les propriétés des tissus vivants, 1866, p. 457-466.
dovesse agire istantaneamente e direttamente su lui; gli è ciò infatti che ciascuno conosce per
propria esperienza. Un altro fatto che deggio richiamare e sul quale Claudio Bernard ebbe ad
insistere a più riprese, si è che, quando il cuore viene impressionato, reagisce sul cervello; lo stato
del cervello reagisce alla sua volta sul cuore coll'intermezzo del nervo pneumogastrico; in modo
che, sotto l'influenza di una eccitazione qualunque, si producono molteplici azioni e reazioni
reciproche fra questi due organi, i più importanti della economia.
Il sistema vaso-motore, che regola il calibro delle piccole arterie, subisce pure la diretta
influenza del sensorio, come il rossore della vergogna lo prova; tuttavia in questo caso particolare
noi potremo, io credo, trovare in parte nell'azione dell'abitudine, una curiosa spiegazione di questa
brusca soppressione dell'influsso nervoso, che dilata i vasi della faccia. E penso che ci sarà possibile
eziandio di gettare un po' di luce, avvegnachè meschina, sul raddrizzamento involontario dei peli
che accompagna le emozioni della rabbia e dello spavento. La secrezione delle lagrime è pure un
fenomeno che dipende certamente dalle connessioni di certe cellule nervose; ma, per questo come
per i precedenti, saremo ben presto arrestati, quando vorremo cercare quali possano essere le vie che
l'abitudine fa percorrere all'influsso nervoso, sotto l'influenza di determinate emozioni.
Un rapido esame dei segni esteriori di alcune fra le più vive sensazioni ed emozioni, ci
mostrerà assai meglio, benchè ancora imperfettamente, il modo complesso con cui si combinano
questi due principii: quello dell'azione diretta sull'economia dell'eccitamento del sistema nervoso,
attualmente in quistione, e quello dell'associazione dei movimenti utili dovuta all'abitudine.
Allorchè un animale è tormentato dal dolore, d'ordinario si contorce spaventevolmente; che se
ha l'abitudine di usar della voce, manda grida penetranti o sordi gemiti. Quasi tutti i muscoli del
corpo entrano vigorosamente in azione. Nell'uomo la bocca talvolta si contrae fortemente; più di
spesso le labbra s'increspano, i denti si serrano o battono con istrepito gli uni contro gli altri. Si dice
che all'inferno v'hanno stridori di denti. In una vacca malata d'una dolorosissima infiammazione
intestinale, io ho perfettamente sentito questo battito dei denti molari. La femmina dell'ippopotamo,
osservata al Giardino zoologico, soffre assai quando si sgrava; cammina incerta, od anche si rotola
sui fianchi, aprendo e chiudendo le mascelle e facendo stridere rumorosamente i denti
(
49
)
.
Nell'uomo, ora si veggono spalancarsi gli occhi, come nello stupore, ora contrarsi vivamente le
sopracciglia; il corpo è molle di sudore, la faccia gronda; la circolazione e la respirazione sono
profondamente modificate; anche le narici sono dilatate e spesso frementi; altra fiata il respiro
s'arresta al punto da produrre nei vasi facciali una stasi sanguigna che rende il viso purpureo.
Quando il dolore è molto vivo e prolungato, tutti questi sintomi si trasformano: succede una estrema
prostrazione, accompagnata da debolezza e da convulsioni.
Allorchè un nervo sensitivo subisce una eccitazione, esso trasmette un'impressione alla cellula
nervosa donde procede; questa la trasmette alla sua volta prima alla cellula corrispondente del lato
opposto, e quindi ad altre cellule collocate lungo l'asse cerebro-spinale, sopra e sotto di essa, per una
estensione più o meno notevole, secondo il grado della eccitazione; in modo che alla fine tutto il
sistema nervoso può essere impressionato
(
50
)
. Questa involontaria trasmissione della forza nervosa
può essere o no avvertita dalla coscienza. Perchè l'irritamento di una cellula nervosa genera o mette
in libertà della forza nervosa? Non possiamo rispondere a questa quistione; ma se ci resta ignota la
causa, la realtà del fatto non par meno ammessa da tutti i più grandi fisiologi, Müller Virchow,
Bernard
(
51
)
, ecc. Dopo l'osservazione di Herbert Spencer, puossi considerare come «una verità
indiscutibile che, in un momento qualunque, la quantità della forza nervosa libera che produce in
noi, per un misterioso meccanismo, lo stato che si chiama sensazione, deve forzatamente dispensarsi
in una certa maniera, deve generare in qualche parte un'equivalente manifestazione di forza»; così
che, quando sotto l'influenza d'una violenta eccitazione del sistema cerebro-spinale un eccesso di
forza nervosa vien messo in libertà, esso può consumarsi in intense sensazioni, in rapidi pensieri, in
49
()
M. BARTLETT, Note sur la naissance d'un hippopotame; Proc. Zoolog. Soc., 1871, p. 225.
50
()
Veggasi su questo Claudio BERNARD Tissus vivants, 1866, p. 316, 337, 358. VIRCHOW si esprime in un
modo quasi identico nella sua Memoria Ueber das Rückenmarck (Sammlung wissenschaft. Vorträge, 1871, p. 28).
51
()
MÜLLER (Elements of Physiology, trad. ingl., vol. II pag. 932) dice, parlando dei nervi, che «ogni brusco
cangiamento di stato, di qualunque ordine, mette in giuoco il principio nervoso». V. sullo stesso argomento VIRCHOW
e BERNARD, ai passi citati nella nota precedente.
disordinati movimenti, infine in un aumento di attività glandulare
(
52
)
. Lo Spencer sostiene inoltre che
«un afflusso di forza nervosa, che nessun motivo diriga, seguirà evidentemente prima le vie più
abituali; se queste non bastassero, passerà nelle meno usitate»; per conseguenza i muscoli facciali ed
i respiratorii, che sono quelli più frequentemente in funzione, saranno subito disposti ad entrare
immediatamente in azione, verranno quindi i muscoli degli arti superiori, poi degli arti inferiori,
finalmente i muscoli di tutto il corpo
(
53
)
.
Allorquando un'emozione non venne abitualmente accompagnata da un atto volontario che ha
per oggetto il sollievo o la soddisfazione corrispondenti alla sua natura, essa non ha che poca
tendenza, per quanto forte possa riescire, a provocar movimenti di un ordine qualunque; quando
invece si producono dei movimenti, la loro natura è largamente determinata da quelli cui la volontà
ha frequentemente diretto, con un determinato fine, sotto l'influenza dell'emozione in discorso. Un
acuto dolore spinge l'animale, siccome fa da innumerevoli generazioni, ad eseguire gli sforzi più
violenti e più variati per isfuggire alla causa che lo produce. Allorchè una ferita aggrava una
estremità, od un'altra parte isolata del corpo, si constata di spesso nell'animale una disposizione a
scuotere questa parte, quasi ei potesse contemporaneamente scuotere il male e sbarazzarsene. Gli è
così che dovette stabilirsi l'abitudine di mettere energicamente in giuoco tutti i muscoli, sotto
l'influenza di un vivo dolore. I muscoli del petto e gli organi della voce, tanto di frequente impiegati,
sono eminentemente suscettibili di entrare allora in azione, e ne risultano grida acute, rauche,
prolungate. Tuttavia il fine utile che raggiungono queste grida medesime ha dovuto probabilmente
aver anche un uffizio importante; vediamo infatti i piccoli di molti animali, nel dolore o nel
pericolo, chiamare fragorosamente i genitori al soccorso; ed altrettanto fanno i diversi membri di
una stessa società.
Havvi ancora un principio che ebbe a contribuire per parte sua, avvegnachè in minor grado, a
fortificare questa tendenza ad un'azione violenta sotto l'influenza di un dolore eccessivo; intendo
parlare della intima coscienza posseduta dall'animale che il potere, ossia la capacità del sistema
nervoso ha dei limiti. Un uomo non può nello stesso tempo profondamente riflettere e mettere
vigorosamente in azione la propria forza muscolare. Quando due dolori si fanno sentir simultanei, in
seguito ad un'osservazione che rimonta ad Ippocrate, il più vivo rintuzza quell'altro. Nei rapimenti
delle loro estasi religiose, alcuni martiri parvero restar insensibili alle più orrende torture. Si
veggono talvolta dei marinai condannati alla frusta afferrare un frammento di piombo fra i denti e
morderlo con tutta la forza, per sopportare più facilmente fa pena. La donna partoriente arreca
qualche sollievo ai propri dolori contraendo i muscoli con tutta l'energia ond'ella è capace.
Così, riepilogando: la fluttuante irradiazione della forza nervosa dalle cellule che han ricevuta
la prima impressione, - la lunga abitudine d'una lotta penosamente sostenuta per isfuggire alla causa
del dolore, - e finalmente la coscienza che l'azione muscolare in se stessa è un sollievo, - questi tre
elementi probabilmente concorsero, come abbiam ora veduto, a produrre questa tendenza ai
movimenti violenti, quasi convulsivi, provocati da un eccessivo dolore fin negli organi della voce e
che ne sono (è universale il consenso) la più perfetta manifestazione espressiva.
Giacchè una leggiera provocazione d'un nervo sensitivo reagisce direttamente sul cuore, un
vivo dolore dee evidentemente reagire anche su lui, nella stessa maniera, ma con molto più
d'energia. Nullameno, in questo caso, non dobbiamo dimenticare gli effetti indiretti dell'abitudine
sovra quest'organo, siccome vedremo studiando i segni del furore.
Allorchè un uomo è tormentato dal dolore, il sudore gronda di spesso sopra il viso di lui. Un
veterinario mi assicurò di aver visto sovente, in simile caso, nei cavalli, delle goccie colare dal
ventre sulla superficie interna delle coscie, e nei buoi il corpo tutto inondarsi di sudore. Egli osservò
questo fatto quando alcuno sforzo dell'animale non poteva fornirne la spiegazione. Il corpo intiero
dell'ippopotamo femmina, onde prima parlai, era coperto d'una rossastra traspirazione, durante il
parto dell'animale. Lo stesso fenomeno avviene nell'estremo spavento; il citato veterinario l'ebbe
frequentemente a constatare sopra cavalli; Bartlett l'osservò nel rinoceronte; nell'uomo gli è un
segno universalmente noto. La causa della produzione del sudore in tali circostanze è molto oscura;
52
()
H. SPENCER, Essays Scientific Political, ecc., seconda serie, 1863, p. 109-111.
53
()
Sir H. HOLLAND, Medical Notes and Reflexions, 1839, p. 328) fa notare, a proposito di questo stato curioso
dell'economia chiamato agitazione, ch'esso sembra prodotto da «un'accumulazione di qualche causa irritante che cerca
di sollevarsi coll'esercizio dell'azione muscolare».
tuttavia qualche fisiologo pensa ch'essa si leghi ad un indebolimento della circolazione capillare; or
noi sappiamo che il sistema vaso-motore, il quale regge questa circolazione, dipende
immediatamente dallo spirito. Quanto ai moti di alcuni muscoli della faccia, sotto l'impero del
dolore e di diverse altre emozioni, il loro studio verrà naturalmente allorquando ci occuperemo delle
speciali espressioni dell'uomo e degli animali.
Passiamo adesso ai sintomi caratteristici del furore. Sotto l'influenza di questa potente
emozione, i battiti del cuore s'accelerano d'assai
(
54
)
o si turbano notevolmente. La faccia vien rossa,
purpurea, in seguito all'arresto della circolazione centripeta; talvolta al contrario si fa d'un pallore
cadaverico. La respirazione è affannosa, il petto si solleva; le narici fremendo dilatansi. Spesso
trema tutto il corpo. La voce si altera; i denti si serrano o battono gli uni contro gli altri, ed il
sistema muscolare è in generale eccitato a qualche atto violento, quasi frenetico. Ma i gesti
dell'uomo ch'è in questo stato differiscono ordinariamente dalle contorsioni disordinate e senza
scopo di chi è tormentato dal dolore; infatti essi rappresentano in maniera più o meno completa
l'atto di battere o di lottare contro un nemico.
Tutti questi sintomi del furore sono probabilmente dovuti in gran parte all'azione diretta del
sensorio eccitato; taluni sembrano eziandio dipendere in modo esclusivo da quest'ultima causa.
Tuttavia gli animali di ogni specie, e prima d'essi i loro progenitori, risposero alle minaccie o
all'attacco del nemico impiegando ogni loro energia per combattere e difendersi. Se un animale non
si mette così in istato di piombar sul nemico, se non ne ha l'intenzione, o per lo meno il desiderio,
non può dirsi, in verità, che sia furioso. Gli è così che un'abitudine ereditaria di sforzo muscolare ha
dovuto associarsi al furore, e quest'abitudine implica direttamente od indirettamente parecchi
organi, quasi nella stessa maniera con cui agisce un gran dolore fisico.
Il cuore è senza alcun dubbio impressionato in modo diretto; ma, secondo ogni probabilità, lo
è così per effetto dell'abitudine, tanto più che non è giammai sottomesso al controllo della volontà.
Ogni violento esercizio, volontariamente eseguito, impressiona, come sappiamo, quest'organo per
mezzo di un complesso meccanismo onde non abbiamo qui ad occuparci; d'altra parte vedemmo nel
capitolo primo che la forza nervosa si propaga facilmente per le vie che le sono più abituali, vale a
dire per i nervi motori volontari od involontari e per i nervi sensitivi. Così un esercizio anche
moderato tenderà ad agire sul cuore, e, in virtù del principio dell'associazione onde abbiam dato
tanti esempi, potremo ritenere quasi sicuro che ogni sensazione od emozione, valgano il dolore od il
furore, la quale abitualmente ha provocato atti muscolari, dovrà immediatamente influenzare
l'afflusso della forza nervosa verso del cuore, anche allorquando gli sforzi muscolari non sono
necessari.
Il cuore, l'ho detto, sarà tanto più facilmente impressionato dalle associazioni abituali,
inquantochè non è sottomesso al controllo della volontà. L'uomo, moderatamente irritato od anche
furioso, può comandare ai movimenti del proprio corpo, ma non impedire i rapidi battiti del cuore.
Forse il petto si solleverà assai poco, le narici tremeranno a pena, perocchè i movimenti della
respirazione non sono volontari che in parte. Parimenti, i muscoli facciali, che obbediscono meno
alla volontà manifesteranno solo qualche volta una leggiera e momentanea emozione. Le glandule
sono ancora affatto indipendenti dalla volontà, e l'uomo che soffre può comandare a' suoi atti, ma
non può sempre impedire alle lagrime di riempirgli gli occhi. Un uomo affamato, davanti ad un cibo
appetitoso, non paleserà forse la fame con alcun gesto, ma non saprà trattenere la secrezione della
saliva.
In un trasporto di gioia o di vivo piacere, si manifesta una spiccatissima tendenza a diversi
movimenti inutili ed alla emissione di suoni variali. Gli è ciò che osserviamo nei fanciulli, quando
ridono fragorosamente, battendo le mani e saltellando di gioia; gli è ciò che osserviamo negli
scambietti e negli abbaiamenti di un cane che il padrone sta per condurre al passeggio; nello
impaziente scalpitar d'un cavallo che si vede aperto dinanzi lungo tratto per correre. La gioia
accelera la circolazione, che stimola il cervello, e questo alla sua volta reagisce sull'economia intera.
Tali movimenti senza scopo e questa esagerata attività del cuore devono essere precipuamente
54
()
Devo i miei ringraziamenti al signor A. H. Garrod, che m'ha fatto conoscere un'opera di Lorain sui polsi, nella
quale si trova il tracciato sfigmografico d'una donna in un accesso di furore; questo tracciato differisce molto, per la
frequenza e per altri caratteri, da quello della stessa femmina nello stato ordinario.
attribuiti all'eccitazione del sensorio
(
55
)
, e, secondo l'osservazione di Herbert Spencer, all'afflusso
eccessivo e non diretto di forza nervosa che ne risulta. È degno di rimarco che questi strani ed inutili
movimenti e questi suoni diversi sono provocati dal pregustamento del piacere, non dal piacere
medesimo. È quel che osserviamo nei nostri fanciulli, quando aspettano qualche gran gioia o
qualche festa; così un cane che faccia dei lieti salti alla vista d'un piatto pieno di cibo, quando il
possiede, non manifesta più la sua soddisfazione, con verun segno, nemmeno dimenando la coda.
Negli animali di ogni specie, quasi tutti i piaceri, salvo il calore ed il riposo, sono associati a dei
movimenti, e lo furono da lungo tempo, come si vede in una caccia o nella ricerca di una preda, o
nei loro amori. Ben più, il semplice esercizio dei muscoli, dopo un prolungato riposo od una lunga
reclusione, produce da se stesso un piacere, come sappiamo per nostra propria esperienza e come si
constata nei giovani animali, allorchè si trastullano. In virtù di quest'ultimo principio soltanto, si
potea forse aspettarsi che un vivo piacere potesse manifestarsi col mezzo di movimenti muscolari.
In tutti, o quasi tutti gli animali, negli uccelli medesimi, il terrore fa tremare il corpo.
Impallidisce la pelle, gronda il sudore ed il pelo si rizza. Le secrezioni del canale alimentare e dei
reni sono aumentate, e, in seguito al rilassamento dei muscoli sfinteri, involontariamente espulse;
gli è questo un fatto ben noto nell'uomo, e di cui ho visti esempi nel bue, nel cane, nel gatto e nella
scimia. La respirazione si accelera. Il cuore batte presto, tumultuoso e con violenza. Ma si può
dubitare se desso perciò invii il sangue più efficacemente in tutto il corpo, perocchè la superficie di
questo sembra esangue ed il vigor muscolare fa difetto ben presto. In un cavallo spaventato, ho
sentito traverso la sella i battiti del cuore così distinti da poterli contare. Le facoltà intellettuali sono
profondamente turbate. Ben presto sopraggiunge una gran prostrazione che va fino al deliquio. S'è
visto un canarino atterrito, non solo tremare e venir bianco attorno la base del becco, ma benanco
svenire
(
56
)
, ed un giorno io coglieva in una stanza un pettirosso, il quale tramortì in maniera ch'io per
un momento lo credetti morto.
La maggior parte di questi sintomi sono probabilmente il risultato diretto dell'alterazione
portata nello stato del sensorio, indipendentemente da ogni influenza dell'abitudine; tuttavia è
incerto se basti questa spiegazione a renderne conto. Quando un animale è allarmato, resta quasi
sempre un momento immobile, per radunare le sue sensazioni, riconoscere la sorgente del pericolo,
e qualche volta ancora per evitare di venire scoperto. Ma ben tosto si mette a fuggir precipitoso,
senza cercare di risparmiar le sue forze per una lotta; continua così a correre fino a che dura il
pericolo, fino a che viene trattenuto da una completa prostrazione, con arresto del circolo e della
respirazione, con un tremito generale di tutti i muscoli e un abbondante sudore. Questo fatto sembra
autorizzarci a credere che il principio dell'associazione abituale può spiegare in parte o almeno
accrescere alcuni dei sintomi caratteristici del terrore indicati qui sopra.
L'uffizio importante che dovette disimpegnare il principio dell'associazione abituale nel
conseguimento dei movimenti espressivi delle diverse emozioni o sensazioni violente or passate in
rivista, mi sembra ben dimostrato da due ordini distinti di considerazioni: prima quella delle vive
emozioni in cui la natura d'ordinario non sollecita alcun movimento volontario per procurare il
sollievo o la soddisfazione che lor corrispondono; in secondo luogo quell'altra del contrasto
essenziale ch'esiste tra gli stati dell'animo distinti coi termini generali di stati eccitanti e di stati
deprimenti. Qual v'ha più potente emozione dell'amore materno? E tuttavia questa profonda
tenerezza di cui una madre attornia il suo debole figlio può non palesarsi con alcun segno esteriore,
o solo con leggiere carezze, accompagnate da un dolce sorriso o da un tenero sguardo. Ma che si
faccia volontariamente del male al bambino, e vedrete qual cangiamento nella madre! Ella si rizza
minacciosa, le brillano gli occhi, si colora nel volto, il suo seno si solleva, le narici dilatansi, le
55
()
La potenza con cui la gioia eccita il cervello e questo reagisce sulla economia, si manifesta in modo notevole nei
rari casi di attossicazione psichica. Il dottore J. CRICHTON BROWNE (Medical Mirror, 1865) ricorda il fatto di un
temperamento molto nervoso, il quale, apprendendo per un telegramma d'avere ereditata una grande fortuna, impallidì
sul principio, poi si mise a ridere e divenne di una gaiezza irrequieta ed esaltata. Per tranquillizzarsi andò al passeggio
con un amico, ma i suoi passi erano vacillanti. Sghignazzava, manifestando una grande irritabilità di carattere; parlava
incessantemente e cantava ad alta voce in mezzo alla via. E si sapeva in modo positivo e sicuro che non aveva toccato
alcun liquore spiritoso, avvegnachè sembrasse ubbriaco; dopo un certo tempo vomitò; esaminato il contenuto a metà
digerito del suo stomaco, non s'ebbe a riconoscere il menomo odore alcolico. Infine s'addormì d'un sonno grave, e
svegliatosi, era quasi rimesso, ma soffriva ancora mal di testa, nausee e gran debolezza.
56
()
Dottor DARWIN, Zoonomia, 1794, vol. I, p. 148.
palpita il cuore. Le son codeste manifestazioni non dell'amore materno, ma della collera, che ne è
infatto la vera causa provocatrice. L'amore reciproco dei due sessi non rassomiglia per nulla
all'amore materno. Noi lo sappiamo: quando due amanti si veggono, il loro cuore batte rapidi colpi,
la respirazione si accelera, il viso arrossisce; gli è in fatto che quest'amore non è inattivo come quel
della madre per il suo figliuolo.
Un uomo può essere divorato da sospetti o da odio, da invidia o da gelosia, senza che questi
sentimenti provochino atto veruno, senza che si rivelino per alcun segno esteriore, benchè la loro
durata sia in generale più o men prolungata; tutto quello che si può dire si è che quest'uomo non par
certamente gaio, d'umore giocondo. Se avvenga che tali sentimenti diano luogo a segni esterni,
gli è che vennero rimpiazzati dal furore, il quale si palesa fin d'allora coi suoi soliti mezzi di
espressione. La pittura non rappresenta che difficilmente il sospetto, la gelosia, l'invidia, ecc., a
meno che non si ricorra a degli accessorii i quali giovino a far comprendere la situazione. Per
caratterizzare questi stessi principii, la poesia non sa trovare che qualificazioni vaghe e fantastiche.
Gli è così che si dice: «La gelosia dagli occhi fulvi». Spencer, descrivendo il sospetto, vi applica gli
epiteti seguenti: «Nero, spaventevole, raggrinzato, dal guardo fosco ed obliquo, ecc.». Shakespeare,
parlando dell'invidia, dice: «L'invidia dal viso scarno sotto la sua orrida maschera», e in un altro
punto: «Nessuna nera invidia mi porterà alla tomba», ed altrove ancora: «Fuori del cerchio
minaccioso della pallida invidia».
Si distinsero spesso le emozioni e le sensazioni in due categorie: quelle che eccitano, quelle
che deprimono. Quando tutte le funzioni del corpo e dell'animo, - movimento volontario ed
involontario, percezione, sensazione, pensiero, ecc. - si compiono con una energia ed una rapidità
maggiore che non allo stato normale, puossi dire dell'uomo o dell'animale ch'egli è eccitato; nel caso
contrario, ch'egli è depresso. Fra le emozioni eccitanti, stanno in prima linea la collera e la gioia;
esse provocano naturalmente, sovratutto la prima, energici movimenti che reagiscono sul cuore, e,
per mezzo di questo, sovra il cervello. Un giorno un medico faceami osservare, come prova della
natura eccitante della collera, che talvolta si vede un uomo estenuato dalla fatica irritarsi di offese
immaginarie, col fine non conosciuto di rianimare le sue forze; ed io ebbi poi l'occasione di
verificare la perfetta esattezza di questa osservazione.
Molti altri stati dell'animo, che sembrano sul principio eccitanti, divengono ben tosto
deprimenti al massimo grado. Osservate una madre, cui è appena morto improvvisamente il
figliuolo; si può di certo considerarla come in uno stato di eccitazione; osservatela; pazza di dolore,
correre a caso, strapparsi i capelli, stracciarsi le vesti, torcer le mani. Quest'ultimo atto deriva forse
dal principio dell'antitesi, manifestando un intimo sentimento della sua fievolezza e della inanità
d'ogni sforzo. Quanto agli altri gesti disordinati, possono trovare spiegazione, parte nel sollievo cui
procura l'azione muscolare in se stessa, parte nella influenza della forza nervosa in eccesso e senza
direzione, emanata dal sensorio sovraeccitato. Arroge che uno fra i primi pensieri che assai
comunemente si presentano al nostro spirito, in faccia alla perdita impreveduta d'un essere che ci era
caro, è questo: si poteva fare qualche cosa di più per salvarlo. Uno dei nostri romanzieri, osservatore
eccellente
(
57
)
, descrivendo la condotta di una fanciulla, orba appena del padre improvvisamente
mancatole, così si esprime: «Ella correva per la stanza come una pazza, torcendosi le mani ed
accusando se stessa: Sì, la è colpa mia; perchè l'ho io mai abbandonato? Se almeno l'avessi
assistito!...» Sotto l'impero di tali pensieri, fortemente impressi nell'animo, deve prodursi, in virtù
del principio del l'associazione abituale, una spiccatissima tendenza ad un'energica azione di natura
qualunque.
Ma non appena nell'anima desolata s'è fatta l'intima convinzione che non v'era ripiego veruno,
questo dolore frenetico dà luogo alla disperazione o ad una cupa tristezza. Allora si siede, immobili,
o con una leggiera oscillazione; si rallenta il circolo, la respirazione è quasi insensibile, ed il petto
manda profondi sospiri. Questo novello stato reagisce sul cervello, e ben presto giunge la
prostrazione: i muscoli sono rilassati, le palpebre si fanno pesanti. L'associazione abituale non
provoca più verun atto. Gli è allora che intervengono i nostri amici e ci eccitano a compiere qualche
volontario esercizio, in luogo di assopirci in un dolore muto ed immobile. Questo esercizio stimola
il cuore, che reagisce sopra il cervello, ed aiuta l'animo a sopportare il triste fardello, onde è gravato.
Un vivo dolore apporta tosto una depressione od una estrema prostrazione; peraltro sul
57
()
Madama OLIPHANT, nel romanzo intitolalo Miss Majoribanks, p. 362.
principio agisce siccome stimolante ed eccita all'azione; ricorderò a questo riguardo il noto effetto
d'una scudisciata sopra un cavallo ed inoltre le orrende torture che in certi paesi stranieri si fanno
subire alle bestie da soma spossate, per isforzarle a compiere un nuovo lavoro. Lo spavento è, fra
tutte le emozioni, la più depressiva; esso produce rapidamente una completa prostrazione, che si
prenderebbe per una conseguenza di prolungati sforzi fatti allo scopo di sfuggire al pericolo, e che
infatti può riconoscere questa causa, abbenchè tali sforzi non sieno stati eseguiti realmente. Tuttavia
un estremo terrore agisce spesso in sul principio come stimolante potente: tutti sanno che l'uomo o
l'animale spinto dallo spavento alla disperazione acquista una forza prodigiosa e diviene pericoloso
al massimo grado.
Riassumiamo e concludiamo. Nella determinazione d'un gran numero di espressioni, egli è
mestieri attribuire una somma influenza al principio d'una azione diretta del sensorio sovra
l'economia, azione unicamente dovuta alla costituzione del sistema nervoso, e fin dal principio
indipendente dalla volontà. Il tremito dei muscoli, la traspirazione della pelle, le modificazioni delle
secrezioni del canale alimentare e delle glandule, che si manifestano sotto l'influenza di diverse
emozioni o sensazioni, ci fornirono esempi dell'applicazione di questo principio. Tuttavia i
fenomeni di quest'ordine si combinano spesso con altri fenomeni derivanti dal primo principio che
abbiamo stabilito e che richiamiamo: ogni atto il quale frequentemente fu di una utilità diretta od
indiretta in alcune condizioni d'animo, per procurarsi certe sensazioni, soddisfare a certi desiderii,
ecc., si compie ancora, in analoghe circostanze, per effetto della sola abitudine, anche quando è
diventato inutile. Almeno in parte, noi rinveniamo combinazioni di questo genere nei gesti frenetici
che inspira il furore, nelle contorsioni provocate da un'estrema sofferenza, e forse ancora
nell'aumentata attività del cuore e degli organi respiratorii. Allora quando queste emozioni o
sensazioni, od altro che sieno, si producono, anche ad un debolissimo grado, esiste ancora una
tendenza a simili atti, dovuta alla forza dell'abitudine per lungo tempo associata, e fra questi atti, i
meno soggetti al controllo della volontà sono generalmente i più duraturi. ci sfugga di mente la
parte che in certi casi ha dovuto prendere anche il nostro secondo principio, quello dell'antitesi.
Spero di dimostrare nel seguito di quest'Opera che i tre principii da noi successivamente
studiati possono già rendere conto di moltissimi movimenti espressivi; e ci è permesso di credere
che un giorno verrà, nel quale tutti gli altri saranno alla lor volta spiegati con questi stessi principii o
con altri molto analoghi. Peraltro, e' fa mestieri di confessarlo, è spesso impossibile decidere qual
parte spetti, in ogni singolo caso, a tale o tal altro dei nostri principii, e molti punti restano tuttavia
inesplicati nella teoria dell'Espressione.
CAPITOLO IV.
MEZZI D'ESPRESSIONE NEGLI ANIMALI
Emissione di suoni. - Suoni vocali. - Suoni prodotti da vari meccanismi. - Sollevamento delle appendici cutanee, peli,
piume ecc., sotto l'influenza del furore o dello spavento. - Rovesciamento all'indietro delle orecchie, quale
disposizione alla lotta o come segno di collera. - Raddrizzamento delle orecchie ed elevazione del capo in segno
di attenzione.
I due capitoli che seguono saranno consacrati alla descrizione dei movimenti espressivi che
manifestano alcuni noti animali, sotto l'influenza dei diversi stati dell'animo loro; io m'atterrò a quei
dettagli che mi parranno strettamente necessari per mettere in chiaro questa parte del mio
argomento. E, ad evitare inutili ripetizioni, prima di passare in rivista questi vari animali in un
ordine logico, fa mestieri di studiare fin d'ora certi mezzi d'espressione che sono comuni alla
maggior parte fra loro.
Emissione di suoni. - In un gran numero di specie animali, e particolarmente nella specie
umana, gli organi vocali costituiscono un mezzo d'espressione d'incomparabile valore. Vedemmo in
uno dei precedenti capitoli che, quando una intensa eccitazione agisce sopra il sensorio, i muscoli di
tutto il corpo vengono energicamente contratti. Allora, per quanto muto sia d'ordinario l'animale,
lascia sfuggire grida violente, e ciò anche allora che queste grida non possono riescirgli di utilità
veruna. Così il lepre e il coniglio non si servono mai, ch'io mi sappia, dei loro organi vocali, se non
vi sono spinti dal dolore; il lepre, ad esempio, quando, di già ferito, vien preso dal cacciatore, ed il
coniglio allorchè cade fra gli artigli del furetto. I cavalli ed i buoi sopportano il dolore in silenzio;
tuttavia, se oltrepassa certi limiti e diviene eccessivo, e sopratutto se s'associa al terrore, mandano
spaventevoli grida. Nei Pampas, io ho spesso riconosciuto di lontano l'ultimo muggito dei tori
agonizzanti presi al laccio ed ai quali si tagliavano i tendini del garretto. Si dice che i cavalli assaliti
dai lupi mandino grida d'angoscia facilmente riconoscibili.
Egli è possibile che l'emissione dei suoni vocali non sia stata in principio che una involontaria
ed inutile conseguenza delle contrazioni dei muscoli toracici e laringei, provocata dal dolore o dalla
paura. Nullameno è un fatto che presentemente molti animali fanno uso della voce con iscopi
ragionati e diversi, ed anche in alcune circostanze nelle quali sembra che l'abitudine abbia la prima
parte. Gli animali che vivono in truppe e nei quali la voce costituisce un mezzo di reciproca
comunicazione frequentemente impiegato, ne fanno uso in qualunque occasione, più volentieri di
quelli che hanno differenti costumi. La precedente osservazione fatta da parecchi naturalisti è, io
credo, perfettamente giusta. Contuttociò questa regola soffre spiccatissime eccezioni; ad esempio,
nei conigli. Anche il principio dell'associazione, tanto fecondo, tanto lato nelle sue conseguenze,
dovette senza alcun dubbio esercitare la sua parte di influenza. In virtù di questo principio, la voce,
impiegata dapprima siccome un utile soccorso in diverse circostanze che eccitano nell'animale
impressioni di piacere, di dolore, di rabbia, ecc. divenne più tardi di uso abituale, tutte le volte che
queste stesse sensazioni od emozioni si sono riprodotte, sia ad un grado minore, sia in condizioni
interamente diverse.
Presso un gran numero di specie, durante la stagione degli amori, i sessi si chiamano
continuamente l'un l'altro; nè avviene di rado che il maschio cerchi anche di allettare o di eccitare la
femmina. Pertanto sembra essere stato questo il primitivo uso della voce e l'origine del suo
sviluppo, siccome ho tentato di dimostrare nella mia Origine dell'Uomo; l'impiego degli organi
vocali sarebbe dunque stato sul principio associato al preludio del piacere più vivo che l'individuo
sappia sentire. Gli animali che vivono in società si chiamano di sovente l'un l'altro allorchè son
separati, e provano palesemente gran gioia a ritrovarsi insieme; osservate ad esempio un cavallo nel
punto in cui lo rendete al compagno ch'ei richiamava nitrendo. La madre non cessa di chiamare i
suoi figli che ella ha perduto; così una vacca mugghia lontana dal proprio vitello. Di riscontro i
piccoli di molti animali chiamano la madre. Quando un branco di montoni è disperso, si sentono a
belare continuamente le pecore per riunire gli agnelli, e puossi osservare con qual piacere si
ritrovano. Guai a quell'uomo che s'avventuri in mezzo ai piccoli dei quadrupedi selvaggi di grande
statura, se questi giungono a sentire un grido d'angoscia della loro progenie! Il furore mette
violentemente in azione i muscoli tutti, compresi quei della voce; così veggonsi parecchi animali,
sotto l'impero di questo sentimento, emettere suoni che si sforzano di rendere forti e rauchi, certo
per far tremare di paura il nemico; così fa il leone co' propri ruggiti, il cane co' suoi urli, ecc. Nel
tempo stesso il leone raddrizza la criniera, il cane rabbuffa il pelo del dorso; per tal modo si
gonfiano ed assumono l'apparenza più formidabile che per loro si possa. I maschi rivali si sfidano, si
provocano colla voce e s'impegnano ancora in lotte sanguinose, talvolta mortali. Gli è a questo
modo che l'uso della voce dovette associarsi all'emozione della collera e divenire un modo generale
di espressione di questo sentimento, sia qualunque la causa che possa eccitarlo. D'altra parte,
abbiamo già veduto che un vivo dolore provoca pure grida violente, le quali da se stesse arrecano
una specie di sollievo; è così che l'uso della voce dovette associarsi anche al dolore, di qualunque
natura questo essere possa.
Perchè le varie emozioni e sensazioni provocano l'emissione di suoni estremamente diversi?
Rispondere a tale questione è assai difficile. Questa regola d'altra parte è lungi dall'esser costante;
nel cane, ad esempio, l'abbaiamento della collera e quel della gioia differiscono assai poco, benchè
sia possibile distinguere l'uno dall'altro. Probabilmente non si darà mai una spiegazione completa
alla causa o all'origine di ciascun suono particolare ad ogni stato dell'animo. Certi animali, come
sappiamo, passando allo stato di domesticità, hanno assunta l'abitudine di emettere alcuni suoni, che
non erano loro naturali
(
58
)
. Così pure i cani domestici, e talvolta ancora gli sciacalli addimesticati
58
()
V. la dimostrazione di questo fatto nella Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, trad. ital.
hanno appreso ad abbaiare; in fatti l'abbaiamento non esiste in alcuna specie del genere, se non v'ha,
come dicesi, nel Canis latrans dell'America settentrionale. Si videro eziandio certe razze di colombi
imparare a tubare in una maniera nuova e tutt'affatto particolare.
Nella sua interessante opera sopra la musica, Herbert Spencer
(
59
)
studiò i caratteri che assume
la voce umana sotto l'influenza delle varie emozioni. Egli ha chiaramente dimostrato che la voce si
modifica assai, secondo le circostanze, sotto i diversi rapporti della forza e della qualità, vale a dire
dell'intensità e del timbro, come anche dell'altezza e della estensione. Ascoltate un oratore od un
predicatore eloquente, ascoltate un uomo che parla con collera o che esprime una viva sorpresa, e
voi sarete certamente colpiti dalla verità dell'osservazione di Spencer. È curioso a vedere come
l'intonazione della voce divenga espressiva fino dall'infanzia. In un mio figliuolo, quando non avea
ancor compiti i due anni, io sapeva distinguere nettamente l'affermativa sfumatura colla quale ei
rendeva enfatico l'assenso, dalla specie di pianto ch'esprimeva un ostinato rifiuto. H. Spencer
dimostrò inoltre, che il linguaggio passionato ha intimi rapporti, sotto tutti i punti di vista da me ora
indicati, colla musica vocale, e per conseguenza colla musica istrumentale; e si sforzò di spiegare le
qualità rispettive che le caratterizzano con ragioni fisiologiche, cioè «con questa legge generale che
ogni sentimento è uno stimolo imitatore di un'azione muscolare». Si può ammettere di certo che la
voce obbedisca a questa legge; nullameno codesta spiegazione mi sembra troppo generale e troppo
vaga per poter gettare molta luce sulle differenze esistenti tra il linguaggio ordinario ed il passionato
od il canto; essa non ispiega che la forza maggiore di quest'ultimo.
La precedente osservazione rimane vera, qualunque sia l'opinione che si vuol adottare; tanto
che le diverse qualità della voce abbiano avuta l'origine parlando sotto l'eccitazione di violenti
sentimenti e siensi ulteriormente trasmesse alla musica vocale; quanto (com'è mio parere) che sul
principio abbia preso sviluppo l'abitudine di emettere suoni musicali, come mezzo di seduzione,
negli antichi progenitori dell'uomo, e siasi associato così alle più energiche emozioni che risentire si
possano, cioè all'amore, alla rivalità, alla vittoria. È un fatto ben conosciuto che alcuni animali
emettono suoni musicali: il canto degli uccelli è un esempio comune e famigliare. Cosa più
rimarchevole: una scimia, un gibbone, cantò un'ottava completa di note musicali, montando e
scendendo la scala per mezzi tuoni; così può dirsi di lui che «solo fra tutti gli animali mammiferi, ei
canta»
(
60
)
. Questo fatto e l'analogia m'indussero a credere che gli antenati dell'uomo abbiano
cominciato ad emettere suoni musicali, prima d'acquistare la facoltà di articolare il linguaggio,
donde concludo che, allorquando la voce umana vien messa in gioco da qualche violenta emozione,
essa, in virtù del principio dell'associazione, dee tendere a rivestire un carattere musicale. Negli
animali, si può perfettamente comprendere che i maschi usino la voce per piacere alle femmine e
che trovino pur essi diletto nei loro esercizi di musica; ma, sino al presente, è impossibile spiegare
perchè producano certi suoni determinati, e donde venga la soddisfazione che ne ritraggono.
havvi dubbio che l'altezza della voce stia in rapporto con certi stati dell'animo. Una
persona che si lamenta pian piano d'un cattivo trattamento o d'una leggera indisposizione, parla
quasi sempre con un tuono elevato. Quando un cane è un po' impaziente, manda spesso per le narici
una specie di sibilo acuto, che colpisce immediatamente come fosse lamento
(
61
)
; ma quanto riesce
difficil cosa sapere se questo suono è in vero essenzialmente gemebondo, o se solo par tale a noi,
perchè l'esperienza ce n'apprese il significato! Rengger constatò
(
62
)
che le scimmie (Cebus Azarae)
da lui possedute al Paraguay esprimevano: lo stupore con uno strepito che stava tra il fischio ed il
grugnito; la collera o l'impazienza ripetendo il loro hou-hou sovra un tono più basso, simile al
grugnire; infine la paura o il dolore per mezzo di penetranti grida. D'altra parte, nella specie umana,
l'angoscia del dolore è pur espressa da sordi gemiti e da acute grida. Il riso è ora alto, ora basso;
di G. CANESTRINI, p. 24. Sul tubare dei colombi, p. 135, 136, 141, 157.
59
()
Essays Scientific, Polilical, and Speculative, 1858. The origine and Function of Music, p. 359.
60
()
L'Origine dell'Uomo, trad. italiana di M. LESSONA, pag. 533. Le parole citate sono del professore Owen. Fu
recentemente dimostrato che certi quadrupedi, fra i rosicanti, i quali nella scala zoologica occupano un posto inferiore
alle scimie, sono capaci di produrre suoni musicali definitivi. Veggasi la storia di un Hesperomy cantore, del rev. S.
LOCKWOOD, nell'American naturalist, vol. V, dicembre 1874, pag. 761.
61
()
Nel suo studio sopra questa quistione, M. TYLOR accenna a questo lamento del cane (Primitive culture, 1871,
vol. I, p. 166).
62
()
Naturgeschichte der Saügethiere von Paraguay, 1830, p. 46.
così, secondo un'antica osservazione dovuta ad Haller
(
63
)
, nell'uomo adulto, il suono del riso
partecipa dei caratteri delle vocali O ed A (pronunciate alla tedesca); nel fanciullo e nella donna al
contrario, ricorda piuttosto le vocali E ed I, che, come fu dimostrato da Helmholtz, sono più alte
delle precedenti; malgrado questa differenza, esso esprime bene, tanto nell'uno che nell'altro caso, la
gioia od il divertimento.
Studiando la maniera con cui le emissioni vocali esprimono i sentimenti, noi siamo
naturalmente condotti a ricercare la causa di ciò che in musica si chiama espressione. Intorno a
questo argomento, Litchfield, che per lungo tempo occupossi di quistioni musicali, ebbe la cortesia
di comunicarmi le osservazioni seguenti: «La natura dell'espressione musicale è un problema a cui
si rannoda gran numero di oscure questioni, le quali, per quanto io mi sappia, costituiscono, fino al
presente, altrettanti enigmi indisciolti. Tuttavia, ogni legge che conviene all'espressione delle
emozioni col mezzo di suoni semplici deve, sino a un certo punto, applicarsi al modo d'espressione
più sviluppato del canto, potendo essere questo considerato quale tipo primitivo di ogni musica.
Una gran parte dell'effetto di un canto sull'anima dipende dal carattere dell'azione coll'aiuto della
quale si producono i suoni. Nelle canzoni, ad esempio, ch'esprimono una veemente passione,
l'effetto dipende spesso sopra tutto dalla viva emissione d'uno o due passi caratteristici, i quali
richiedono un vigoroso esercizio della forza vocale; e s'ebbe ad osservare di sovente che un canto di
questo carattere manca d'effetto, quando venga eseguito bensì da una voce d'una forza e d'una
estensione sufficiente per poter dare senza sforzo questi passi caratteristici, ma fu compiuto con
poca fatica. Tale è senza alcun dubbio il secreto della diminuzione di effetto che produce spesso
la trasposizione di un canto da un tuono ad un altro. Or dunque si vede che l'effetto non dipende
solo dai suoni medesimi, ma dalla natura dell'azione che li produce. Ogni volta che noi sentiamo
che l'espressione d'una melodia risulta dalla rapidità e dalla lentezza del suo movimento, dalla
dolcezza o dall'energia di lei, e via così, egli è evidente che noi interpretiamo realmente le azioni
muscolari che producono il suono, come in generale interpretiamo l'azione muscolare. Peraltro
codeste considerazioni non bastano a spiegare l'effetto più sottile e più specifico che chiamiamo
espressione musicale del canto, il piacere arrecato dalla sua melodia, od anche dai suoni separati, il
complesso dei quali costituisce questa melodia. Ecco un effetto indefinibile, cui nessuno, ch'io
sappia, è giunto ad analizzare, e che le ingegnose speculazioni di Herbert Spencer sull'origine della
musica lasciano interamente inesplicato. In fatti egli è certo che l'effetto melodioso di una serie di
suoni non dipende per nulla dalla loro forza o dalla loro dolcezza, dalla loro altezza assoluta.
Un'aria cantata resta sempre la stessa, sia che venga eseguita forte o piano, dalla voce di un uomo o
da quella di un fanciullo, da un flauto o da un trombone. L'effetto puramente musicale d'un suono
qualunque dipende dal posto occupato da lui in ciò che tecnicamente si chiama una scala, chè un
medesimo suono produce all'orecchio effetti completamente diversi, secondo ch'ei giunge associato
con una o con quest'altra serie di suoni.
«Gli è dunque da quest'associazione relativa dei suoni che dipendono tutti gli effetti
essenzialmente caratteristici riassunti col motto: espressione musicale. Ma perchè certe associazioni
di suoni hanno i tali o i tal altri effetti? Gli è codesto un problema non ancora risolto. A dir vero,
questi effetti devono in un modo o nell'altro trovarsi in rapporto colle note relazioni aritmetiche
esistenti tra i numeri delle vibrazioni dei suoni che costituiscono una scala musicale. È possibile, ma
è tuttora un'ipotesi, che la facilità meccanica più o meno grande colla quale lo apparecchio vibrante
della laringe umana passa da uno stato di vibrazione ad un altro, sia stata primitivamente la causa
per cui le differenti serie dei suoni produssero un piacere più o meno grande.
Lasciando da banda queste complesse quistioni e non occupandoci che dei più semplici suoni,
noi possiamo riconoscere almeno alcune fra le ragioni dell'associazione di certi generi di suoni con
certi stati dell'animo. Un grido, ad esempio, mandato da un giovane animale o da un membro d'una
società, per chiamare al soccorso, sarà naturalmente forte, prolungato ed acuto, affinchè possa
essere inteso lontano. Infatti, in seguito alle dimensioni della interna cavità dell'orecchio e del potere
di risonanza che ne risulta, le note elevate producono nell'uomo, siccome l'ha dimostrato Helmholtz
(
64
)
, una impressione particolarmente violenta. Un animale maschio che voglia piacere alla sua
63
()
Citato da GRATIOLET, De la Physionomie, 1865, p. 115.
64
()
Théorie physiologique de la musique, Paris 1868, p. 146. In questo erudito lavoro Helmholtz ha eziandio
completamente studiate le relazioni esistenti tra la forma della cavità boccale e la produzione delle diverse vocali.
femmina impiegherà naturalmente i suoni che riescono graditi all'orecchio della propria specie;
contuttociò ei pare che i medesimi suoni piacciano spesso ad animali assai differenti, grazie alla
rassomiglianza del loro sistema nervoso; gli è ciò che constatiamo su noi stessi ascoltando con
diletto il garrir degli uccelli ed anche il canto di certe ranocchie. Al contrario, i suoni destinati a
spaventare un nemico, saranno naturalmente rauchi e disaggradevoli.
Se il principio dell'antitesi abbia avuto un uffizio nello sviluppo dei suoni, come forse poteva
attendersi, è cosa assai dubbia. I suoni tronchi del riso, emessi dall'uomo e da parecchie specie di
scimie, per palesare il piacere, sono immensamente diversi dai gridi prolungati coi quali è espresso
il dolore. Il sordo grugnito di soddisfazione del porco, allorquando è ripieno, non rassomiglia per
nulla allo stridulo grido ch'ei manda sotto l'influenza del dolore o dello spavento. Nel cane, al
contrario, come ho già fatto notare, l'abbaiamento della collera e quello della gioia nulla hanno di
opposto fra loro; ed è così in molti altri casi.
Ecco ancora un punto oscuro, se cioè i suoni prodotti sotto l'influenza di parecchi stati
dell'animo, determinano la forma della bocca, o se invece sia la forma della bocca che, determinata
da cause indipendenti, agisce su questi suoni e li modifica. Un bambino che piange apre largamente
la bocca, il che è evidentemente necessario per la emissione di un suono voluminoso; ma nello
stesso tempo l'orificio boccale prende una forma quasi quadrangolare, in seguito ad una causa
affatto distinta, la quale, come vedremo più avanti, consiste nell'energico rinserrar delle palpebre e
nella elevazione del labbro superiore, che n'è la conseguenza. Fino a qual punto questa forma
quadrata della bocca modifica il suono espressivo del pianto? Egli è cche io non saprei dire; solo
sappiamo, grazie ai lavori di Helmholtz e di parecchi altri osservatori, che la forma della cavità
boccale e quella delle labbra determinano la natura e l'altezza dei suoni vocali che vengono prodotti.
Vedremo eziandio in uno dei seguenti capitoli, che sotto l'influenza del disprezzo e del
disgusto, esiste una tendenza, d'inesplicabile causa, a soffiar per la bocca o per le narici ed a
produrre così un suono analogo a puh o pish. Ch'ei v'avvenga d'esser ad un tratto arrestato od
improvvisamente sbigottito, ed avrete ben tosto una disposizione a spalancare la bocca come ad
eseguire una rapida e profonda inspirazione, senza dubbio perchè eravate disposto a prolungar
l'esercizio che eseguivate. Durante la profonda espirazione che sussegue, la bocca si chiude
leggermente e le labbra si protendono un poco, per ragioni che saranno studiate più tardi; questa
forma della bocca, secondo Helmholtz, corrisponde al suono della vocale o. È certo che una calca di
gente lascia in fatto sfuggire un oh prolungato, assistendo a maraviglioso spettacolo. Se il dolore si
mesce alla sorpresa, producesi una tendenza a contrarre tutti i muscoli del corpo, compresi quei
della faccia, e le labbra si portano indietro; ciò spiega forse perchè il suono diventa allora più
elevato e prende il carattere di ah o ach. La paura, che fa tremar tutti i muscoli, produce
naturalmente un tremito nella voce; questa diviene nello stesso tempo rauca, in seguito all'aridità
della bocca, che arresta la funzione delle glandule salivali. Non puossi spiegare perchè il rider
dell'uomo e della scimia sia un suono rapidamente troncato. Gli angoli della bocca sono allora tesi
in alto e all'indietro, il che l'allunga trasversalmente; noi tenteremo più avanti di renderci ragione di
questo fatto. Tuttavia la questione delle differenze dei suoni che si producono sotto l'influenza dei
vari stati dell'animo è nel suo complesso oscura così, che è molto s'io l'ho potuta rischiarare d'una
pallida luce, nè saprei dissimularmi il fiacco valore delle osservazioni raccolte.
Tutti i suoni onde tenni parola fin qui dipendono dagli organi respiratorii, ma ve n'hanno
certuni, il cui meccanismo è affatto diverso e che valgono eziandio come mezzi di espressione. I
conigli si avvertono reciprocamente per mezzo del rumore che fanno battendo il suolo coi piedi; un
uomo che sappia esattamente imitarlo, se la sera è tranquilla, può sentire i conigli a rispondergli da
parecchie bande. Questi animali, e con essi molti altri ancora, battono pure la terra quando si fanno
montar in collera. In questa stessa condizione d'animo, gl'istrici fanno risuonare le loro spine e
scuotono strepitosamente la coda: n'ebbi a veder uno a comportarsi in tal guisa, allorchè
s'introduceva nella gabbia di lui un serpente vivo. Le spine della coda sono assai diverse da quelle
del corpo: corte, incavate, sottili come penne d'oca; la loro estremità è tagliata trasversalmente ed
aperta e stanno appese con un lungo pedicello, delicato ed elastico. Quando l'animale scuote
rapidamente la coda, le spine si urtano producendo un suono particolare e continuo. Fui testimonio
di questo fatto alla presenza di Bartlett. Mi sembra possibile concepire in qual modo l'istrice, in
seguito ad una modificazione delle sue punte protettrici, sia stato munito di questo apparecchio
sonoro veramente singolare. Esso è infatti un animale notturno: ora se nelle tenebre ei venga a
fiutare od a sentire un nemico che sia alla caccia, sarà certamente un bene prezioso per esso poter
fargli capire con cui ha da fare ed avvertirlo ch'egli è armato di formidabili punte. Può così evitare
un attacco. Arrogi poi ch'esso conosce così la potenza delle sue armi che, quando viene irritato, fa
l'attacco a ritroso colle punte rizzate, avvegnachè alquanto inclinate all'indietro.
Moltissimi uccelli producono nella stagione degli amori suoni variati coll'aiuto di penne che
offrono una speciale disposizione. La cicogna, provocata, fa sentire un rumoroso stridore col becco.
Alcuni serpenti fanno uno strepito come della coda dell'istrice di confricazione o di raschiamento.
Molti insetti ronzano strofinando fra loro parti specialmente modificate dell'integumento corneo che
li riveste. Codesto ronzìo è in generale impiegato siccome un richiamo o quale mezzo di seduzione
fra i sessi, ma serve ancora alla espressione di differenti emozioni
(
65
)
. Tutti coloro che studiarono le
api, sanno che il loro ronzìo muta carattere quando sono irritate, il che può metterci in guardia
contro il pericolo di venir punti. Alcuni autori hanno insistito così sugli organi respiratorii
considerati quali mezzi speciali di espressione, ch'io credetti di dover fare queste poche osservazioni
per mostrare che suoni prodotti da altri meccanismi servono pure al medesimo oggetto.
Erezione delle appendici cutanee. - Forse niun altro movimento espressivo è così generale
quanto la erezione involontaria dei peli, delle penne e delle altre appendici cutanee; essa è infatti
comune a tre delle grandi classi di vertebrati. Tali appendici si erigono sotto l'influenza della collera
o dello spavento, e più specialmente allorquando queste emozioni sono fra loro associate o si
succedono. Codesta azione serve d'altra parte a dare all'animale un'apparenza più imponente e più
terribile in faccia ai nemici od ai rivali; essa è generalmente accompagnata da parecchi movimenti
volontari che tendono al medesimo scopo, e dall'emissione di suoni selvaggi. Bartlett, tanto perfetto
conoscitore degli animali di ogni specie, non mette dubbio veruno sulla verità di questa
interpretazione; ma è tutt'altra questione sapere se la proprietà di tal genere di erezione sia stata
primitivamente acquistata con un fine speciale.
Comincierò dal richiamare i fatti che, in numero considerevole, dimostrano come questo
fenomeno sia generale nei mammiferi, negli uccelli e nei rettili; ciò che riguarda all'uomo sarà
riservato ad un ulteriore capitolo. Il sig. Sutton, intelligente guardiano del Giardino zoologico,
avendo, dietro mia inchiesta, osservato con cura il chimpanzè e l'orang, constatò che il pelo di questi
animali si erige ogni volta che sono bruscamente spaventati, come ad un colpo di fulmine, od
irritati, per esempio aizzandoli. Ho veduto io stesso un chimpanzè in apprensione per l'insolito
aspetto d'un carbonaio dal volto annerito; il suo pelo era dovunque rizzato; egli faceva piccoli
movimenti in avanti, come per piombare su quest'uomo, senz'alcuna intenzione di farlo, ma, diceva
il suo guardiano, nella speranza di spaventarlo. Secondo Ford
(
66
)
, quando il gorilla è infuriato, drizza
la sua cresta di peli e la spinge in avanti; gli si dilatano le nari, il labbro inferiore si abbassa. Nello
stesso tempo manda il suo urlo caratteristico, probabilmente allo scopo di mettere spavento al
nemico». Nel babbuino Anubis ho visto prodursi l'orripilazione, sotto l'influenza della collera, dal
collo ai lombi, ma non sovra il dorso nè sulle altre parti del corpo. Avendo un messo un serpente
impagliato nella gabbia delle scimie, vidi il pelo rizzarsi istantaneamente sovra un gran numero
d'individui appartenenti a specie diverse; la coda sovratutto era la sede del fenomeno, ed io ne feci
particolarmente l'osservazione sul Cercopithecus nictitans. Brehm constatò che il Midas oedipus
(che appartiene alla famiglia delle scimie americane) solleva la criniera quando viene provocato,
«per darsi, aggiunge quest'osservatore, l'aspetto più spaventevole che per lui si possa»
(
67
)
.
Nei Carnivori, l'erezione dei peli sembra essere un carattere quasi universale; essa
s'accompagna di spesso a movimenti minacciosi; l'animale mostra i denti e manda selvaggi
brontolii. Ho osservato questa erezione nella Mangusta su tutto il corpo, compresa la coda. Nella
iena e nel Proteles la cresta dorsale si rizza in modo notevole. Il leone in furore rizza la criniera.
Tutti osservarono erigersi il pelo, nel cane, sul collo e sul dorso; nel gatto, su tutto il corpo e
particolarmente sulla coda. In quest'ultima specie, pare che il solo spavento dia luogo al fenomeno
in discorso; ma non, com'io potei osservare, per effetto di quell'umile timore che, ad esempio, sente
65
()
Ho dato alcuni dettagli intorno a questo argomento nella mia Origine dell'Uomo, traduzione italiana di
LESSONA, pag. 298, 529.
66
()
Citato da HUXLEY, nel suo lavoro intitolato Evidence as to Man's Place in Nature, 1863, p. 52.
67
()
Illust. Thierleben, 1864, vol. I, p. 130.
un cane quando un guarda-caccia irritato gli si avvicina per infliggergli una punizione. Secondo
un'osservazione ond'ebbi sovente a verificare la giustezza, la circostanza più favorevole
all'orripilazione, nel cane, è questo stato intermedio fra la collera e lo spavento, nel quale ei si trova,
ad esempio, quando fissa un oggetto che nelle tenebre vede solo imperfetto.
Un veterinario m'assicurò di aver visto di spesso rizzarsi il pelo nei cavalli e ne' buoi che
avevano già subito delle operazioni e sui quali passava a praticarne di nuove. Avendo mostrato un
serpente impagliato ad un pecarì, vidi il pelo rizzarglisi lungo la schiena in modo sorprendente:
simile fatto si osserva nel verro quando è in furore. Agli Stati Uniti, un alce diè una mortale cornata
ad un uomo; ei brandì dapprima le corna, belando rabbiosamente e battendo il suolo coi piedi;
quindi si vide «rizzarglisi il pelo», infine si precipitò in avanti per attaccare
(
68
)
. Simile orripilazione
si produce nelle capre, e, in base a quello che sentii riferire da Blyth, in certe antilopi delle Indie. Ho
constatato lo stesso fenomeno nel velloso formichiere e nell'Aguti, fra i rosicanti. Un pipistrello
femmina, che allevava i suoi piccoli entro una gabbia, «erigeva la pelle del dorso quando vi si
guardava, e mordeva le dita che gli si presentavano»
(
69
)
.
Gli uccelli appartenenti a tutte le grandi specie erigono le penne quando sono irritati o
sgomenti. Ciascuno ebbe a vedere due galli, fino dalla più tenera età, prepararsi a piombar addosso
l'un all'altro, col collo sollevato; l'erezione di queste penne non è tuttavia per loro un mezzo di
difesa, perocchè l'esperienza provò agli amatori dei combattimenti di galli che torna meglio
tagliarle. Il Machetes pugnax maschio, quando si batte, rizza pure il suo collare di penne. Allorchè
un cane s'avvicina ad una delle nostre chioccie seguìta da' suoi pulcini, ella stende le ali, spiega la
coda, erige tutte le penne, ed assumendo l'aspetto più fiero, si precipita sull'importuno. La coda non
è sempre esattamente nella posizione medesima; talvolta mostrasi eretta così, che le penne centrali
quasi toccano il dorso, come nella figura 12. Un cigno irritato solleva nella stessa guisa le ali e la
coda e rizza le penne; apre il becco e nuotando fa dei piccoli balzi aggressivi verso chi s'appressa di
troppo alla sponda (Fig. 13). Alcuni uccelli dei tropici, quando si va a disturbarli nei loro nidi, non
volano via, ma dicesi «che si contentano di rizzare le penne mandando delle grida»
()
. Quando ci
appressiamo ad un gufo (Strix flammea), «gonfia istantaneamente le piume, stende le ali e la coda,
fischia e fa crocchiare il suo becco con forza e rapidità»
()
. Altre specie di barbagianni fanno
egualmente. Dalle informazioni fornitemi dal signor Jenner Weir, anche il falco, in simili
circostanze, rizza le penne e distende le ali e la coda. Alcune specie di pappagalli erigono le piume;
io ho veduto nella stessa maniera un casoario, spaventato alla vista di un formichiere. I giovani
cuculi, nel nido, rizzano le piume, spalancano il becco e si mostrano più spaventevoli che per loro si
possa.
Mi riferì il Weir, che certi piccoli uccelli, come alcuni fringuelli, cingallegre e capinere,
quando sono irritati, erigono tutte le piume, o solamente quelle del collo, oppure stendono le ali e le
penne caudali. In questo stato, si slanciano l'uno contro l'altro, col becco aperto ed in atto
minaccioso. Il signor Weir, colla sua grande esperienza, conclude che l'erezione delle penne viene
provocata molto più dalla collera che dal terrore. Ei cita l'esempio d'un cardellino meticcio,
dall'umore irascibilissimo, che, avvicinato di troppo da un domestico, prendeva istantaneamente
l'apparenza di una palla di piume erette. Ei pensa che, in tesi generale, gli uccelli, sotto l'influenza
dello spavento, rinserrino strettamente tutte le penne: la diminuzione di volume che ne risulta è
spesso maravigliosa. Appena rimessi dalla paura o dalla sorpresa, per primo scuotono le piume. Gli
è nella quaglia ed in certi pappagalli
(
70
)
che il Weir trovò gli esempi migliori di questo
ravvicinamento delle penne e di tale apparente diminuzione del corpo, sotto l'azione dello spavento.
Codesta abitudine si comprende in tali uccelli, perocchè essi, in faccia ad un pericolo, sono abituati
a rannicchiarsi sul suolo od a starsene immobili sovra di un ramo per non essere scoperti. Sebbene
negli uccelli la collera sia la principale e più comune causa dell'erezione delle penne; tuttavia è
probabile che i giovani cuculi, allorchè sieno visti nel loro nido, e la gallina coi suoi pulcini, quando
68
()
J. CATON, Accademia delle scienze naturali di Ottawa, maggio 1868, p. 36-40. - Sulla Capra aegagrus
veggasi Land and Water, 1867, p. 37.
69
()
Land and Water, 20 luglio 1867, p. 659.
70
()
Melopsittacus undulatus. Veggasi la descrizione dei suoi costumi, data da GOULD, Handbook of Birds of
Australia, 1865, vol. II, p. 82.
sia avvicinata da un cane, sentano almeno un po' di terrore. Il Tegetmeier mi dice che, nelle lotte dei
galli, l'erezione delle piume della testa, sul campo di battaglia, sia riguardata da lungo tempo come
un segno sicuro di codardia.
I maschi di alcuni Sauriani, quando si battono fra loro nell'epoca degli amori, dilatano il gozzo
o sacco laringeo ed erigono la cresta dorsale
(
71
)
. Tuttavia il dott. Günther ritiene che non possano
rizzare isolatamente le loro spine o scaglie.
Gli esempi citati mostrano che la erezione delle appendici cutanee, sotto la influenza della
collera e dello spavento, è generale nei Vertebrati delle due prime classi, ed anche in alcuni Rettili.
Il meccanismo di codesto fenomeno ci fu rivelato da un'interessante scoperta dovuta al signor
Kölliker, quella dei piccoli muscoli lisci, involontari, che s'attaccano ai follicoli dei peli, delle
penne, ecc., e che spesso vengono distinti col nome di muscoli arrectores pili
(
72
)
. Per la contrazione
di questi muscoli, i peli, nello stesso tempo che sono tratti un po' fuori del loro follicolo, possono
istantaneamente rizzarsi, come vediamo nel cane; e subito dopo si abbassano. Il numero di questi
piccoli muscoli esistenti su tutto il corpo di un quadrupede coperto di pelo è veramente prodigioso.
In certi casi, alla loro azione s'aggiunge quella delle fibre striate e volontarie del pannicolo carnoso
sottogiacente: ad esempio, nell'uomo, quando gli si rizzano i capelli sul capo. Così, per la
contrazione di quest'ultimo strato muscolare, anche il riccio solleva le sue spine. Inoltre, dalle
ricerche di Leydig
(
73
)
, e di altri osservatori, risulta che da questo pannicolo ad alcuni dei peli più
grandi, per esempio ai vibrissi di certi quadrupedi, si portano delle fibre striate. La contrazione degli
arrectores pili non solo producesi sotto l'influenza delle emozioni ora indicate, ma eziandio per
effetto del freddo. Mi ricordo d'aver osservato, nel mattino susseguente ad una gelida notte passata
al sommo delle Cordigliere, che i miei muli ed i miei cani, condotti da una stazione inferiore e più
calda, avevano su tutta la superficie del corpo il pelo rizzato così, come se fossero stati soggetti ad
un profondo terrore. Constatiamo lo stesso fenomeno nella pelle d'oca, che in noi si produce durante
il fremito che precede un accesso di febbre. Il signor Lister notò
(
74
)
che anche il solletico provoca
l'erezione dei peli nelle parti vicine del tegumento.
Dai precedenti fatti risulta evidente che la erezione delle appendici cutanee è un atto riflesso,
indipendente dalla volontà; quando esso si produce sotto l'influenza della collera o del terrore,
bisogna considerarlo, non come un'attitudine acquistata per raggiungere qualche scopo, ma come un
risultato collegato, almeno in gran parte, con un'affezione del sensorio. Sotto questo riguardo, lo si
può paragonare all'abbondante sudore provocato dall'intenso dolore o dallo spavento. Contuttociò è
rimarchevole cosa vedere con quale facilità esso si manifesti di spesso in seguito alla più leggiera
eccitazione; così rizzasi il pelo di due cani che vogliono gettarsi l'un sull'altro per gioco. D'altra
parte, moltissimi esempi tratti dalle classi più varie ci dimostrarono che l'erezione dei peli o delle
penne è quasi sempre accompagnata da movimenti volontari diversi: l'animale prende un'attitudine
minacciosa, apre la bocca e mostra i denti; gli uccelli stendono le ali e la coda; talvolta ancora
vengono articolati suoni selvaggi. Ora non si può disconoscere il fine di questi movimenti volontari;
sembra degno di fede che l'erezione delle appendici cutanee, la quale si produce
contemporaneamente e per cui l'animale si gonfia ed assume un aspetto più formidabile in faccia al
nemico o al rivale, sia solo un fenomeno affatto accidentale, un inutile risultato della perturbazione
del sensorio. Ei sarebbe così inverosimile come il considerare come altrettanti atti senza scopo
l'erezione delle punte nel riccio, o quella delle spine nell'istrice, o meglio ancora il raddrizzamento
delle penne che adornano parecchi uccelli, nell'epoca dei loro amori.
Ma qui sorge una seria difficoltà. Come mai la contrazione degli arrectores pili, muscoli lisci
e involontari, ha potuto associarsi a quella di muscoli volontari per questo medesimo oggetto
speciale? Se si potesse ammettere che gli arrectores furono in principio muscoli volontari e
perdettero in seguito le loro strie per cessare di essere sottomessi all'impero della volontà, la
71
()
Veggasi ad esempio la relazione ch'io diedi (Origine dell'Uomo, trad. ital di M. LESSONA, p. 325) in
argomento di un Anolis e d'un Draco.
72
()
Questi muscoli sono descritti nelle celebri opere di Kölliker. Devo rendere grazie a questo distinto osservatore
per le spiegazioni che a mezzo di lettera volle fornirmi sull'argomento.
73
()
Lehrbuch der Histologie des Menschen, 1857, p. 82. Devo alla cortesia del prof. W. Turner un riassunto di
questo lavoro.
74
()
Quarterly Journal of Microscopical Science, 1853, vol. I, p. 262.
questione sarebbe singolarmente semplificata. Ma, per quanto io mi sappia, nessuna prova esiste che
favorisca questo modo di vedere. Tuttavia si può credere che la opposta trasformazione non avrebbe
presentato difficoltà molto grandi, dal momento che negli embrioni dei più elevati animali e nelle
larve di certi crostacei esistono i muscoli volontari allo stato liscio. Per giunta sappiamo, secondo
Leydig
(
75
)
, che negli strati più profondi del derma, in certi uccelli adulti, il reticolo muscolare è in
una specie di stato intermedio: le fibre non presentano che alcuni rudimenti di strie trasversali.
Ecco un'altra spiegazione che mi sembra accettabile. Possiamo supporre che in principio, sotto
l'influenza della rabbia e dello spavento, gli arrectores pili sieno stati messi leggermente in azione,
in una maniera diretta, dalla perturbazione del sistema nervoso, proprio come in noi nella pelle
d'oca che precede un accesso febbrile. Essendosi frequentemente riprodotte le eccitazioni della
rabbia e del terrore, per lungo seguito di generazioni, questo effetto diretto della perturbazione del
sistema nervoso sulle appendici cutanee dovette quasi di certo aumentarsi per l'abitudine e per la
tendenza della forza nervosa a passar facilmente lungo le vie che le sono abituali. Questa opinione
intorno all'uffizio attribuito alla forza dell'abitudine sarà ben tosto confermata dallo studio dei
fenomeni che gli alienati presentano; noi vedremo, infatti, in uno dei seguenti capitoli, che in essi
l'impressionabilità del sistema peloso diventa eccessiva, in seguito alla frequenza dei loro accessi
furiosi o di spavento. Per tal modo accresciuta o fortificata una volta questa proprietà
dell'orripilazione, l'animale maschio dovette veder di spesso i suoi rivali in furore rizzar i peli o le
penne, aumentando così il volume del corpo. È cosa probabile che allora abbia avuto pur esso il
desiderio d'apparire più grande e più formidabile in faccia ai nemici, prendendo volontariamente
un'attitudine minacciosa e mandando grida selvaggie: dopo un certo tempo, quest'attitudine e queste
grida, per effetto dell'abitudine, divennero istintive. Così gli atti compiuti dalla contrazione dei
muscoli volontari poterono combinarsi, per uno stesso fine speciale, cogli atti effettuati dai muscoli
involontari. È ancora possibile che un animale soggetto ad una eccitazione, e più o meno cosciente
della modificazione avvenuta nello stato del suo sistema peloso, possa agire su questo per mezzo di
un esercizio attentamente e volontariamente ripetuto. Infatti non abbiamo ragione di credere che la
volontà sia suscettibile di influenzare, in un'occulta maniera l'azione di certi muscoli lisci od
involontari: citerò quali esempi i movimenti peristaltici dell'intestino e la contrazione della vescica.
ci fugga di mente la parte che la variazione e la elezione naturale han dovuto sostenere,
imperocchè i maschi che seppero darsi il più terribile aspetto in faccia ai loro rivali o agli altri
nemici, dovettero lasciare un numero maggiore di discendenti, eredi delle loro qualità
caratteristiche, antiche o di recente acquisite.
Rigonfiamento del corpo, ed altri mezzi per mettere spavento al nemico. - Alcuni anfibi e certi
rettili che non posseggono spine da rizzare, muscoli atti a produrre questo movimento, gonfiano
il corpo, inspirando dell'aria, sotto l'influenza della paura o della collera. Gli è questo un fenomeno
perfettamente conosciuto nei rospi e nelle rane. Chi non rammenta la favola di Esopo, intitolata: il
Bue e la Rana, secondo cui quest'ultimo animale per invidia e vanità, si gonfiò così da scoppiarne?
L'osservazione di questo fatto deve rimontare all'epoca più remota, perocchè, secondo Hensleigh
Wedgwood
(
76
)
, la parola botta esprime, in quasi tutte le lingue d'Europa, l'abitudine di gonfiarsi.
Questa particolarità fu constatata in alcune specie esotiche, al Giardino zoologico, e il dottor
Günther pensa ch'essa sia generale in tutto questo gruppo. Noi, lasciandoci guidare dall'analogia,
ammetteremo che il fine primitivo di tale rigonfiamento fu probabilmente quello di dare al corpo
l'apparenza più imponente e più terribile in faccia d'un nemico. Nullameno un altro vantaggio, forse
più importante, ne risulta ancora: quando una rana è presa da un serpente, suo principale nemico,
ella si gonfia prodigiosamente, e, secondo il dottor Günther, se il serpente non è di grande statura,
non riesce ad inghiottire la rana, che sfugge così al pericolo di venir divorata.
I Camaleonti ed alcuni altri Sauriani si gonfiano pure quando sono irritati. Citerò, ad esempio,
il Tapaya Douglasii, specie che abita l'Oregon. Essa è lenta nei suoi movimenti; non morde, ma ha
un aspetto feroce: «Allorchè quest'animale è irritato, si slancia minaccioso su qualunque oggetto che
gli stia dinanzi; nello stesso tempo spalanca la bocca, soffia con forza, infine gonfia il corpo e
manifesta la collera con parecchi altri segni»
(
77
)
.
75
()
Lehrbuch der Histologie, 1857, p. 82.
76
()
Dictionary of English Etymology, p. 403.
77
()
Veggasi la relazione sulle abitudini di questo animale del dott. COOPER, citata in Nature, 27 aprile 1871. p.
Molte specie di serpenti si gonfiano egualmente sotto l'influenza della collera. Il Clotho
arietans è particolarmente notevole sotto questo punto di vista: solo io credo, in seguito ad
un'attenta osservazione su questo animale, ch'esso non agisca in tal modo allo scopo di aumentare il
proprio apparente volume; ma semplicemente col fine di inspirare una considerevole quantità d'aria,
che gli permette di produrre un sibilo rumoroso, acuto e prolungato. Il Cobra-de-capello, irritato, si
gonfia un po' e soffia dolcemente; ma nello stesso tempo solleva la testa, e col mezzo delle lunghe
coste anteriori, dilata la pelle d'ambo i lati del collo, in modo da formare una specie di disco largo e
appiattito, distinto col nome di cappuccio. Allora, colla sua bocca spalancata, prende uno
spaventevole aspetto. Il vantaggio che gliene deriva dev'essere evidentemente considerevole, per
compensare la sensibile diminuzione che questa dilatazione fa provare alla rapidità (ancora, a dir
vero, grandissima) dei suoi movimenti, quando si slancia sovra un nemico o sopra una preda; gli è
come un pezzo di legno largo e sottile che non può fender l'aria al pari di un piccolo bastone
cilindrico. Un serpente inoffensivo dell'India, il Tropidonotus macrophthalmus, quando è irritato,
dilata il collo nella stessa maniera, ciò che di spesso lo confonde col suo compatriota, il terribile
Cobra
(
78
)
. Forse questa rassomiglianza costituisce una salvaguardia per lui. Un'altra specie
inoffensiva, il Dasypeltis dell'Africa meridionale, si gonfia, distende il collo, sibila e si slancia
sull'importuno che lo molesta
(
79
)
. Molti altri serpenti sibilano in simili circostanze. Essi dardeggiano
eziandio la lingua e l'agitano rapidamente, ciò che può ancora contribuire a dar loro un formidabile
aspetto.
Oltre il sibilo, certi serpenti posseggono mezzi per produrre particolari suoni. Son già molti
anni, io ho rimarcato nell'America del Sud, che quando si sturbava un Trigonocephalus velenoso,
esso agitava vivamente l'estremità della coda, la quale, battendo sull'erba e sui ramoscelli secchi,
produceva un vivo e rapido strepito che si facea nettamente distinguere alla distanza di sei piedi
(
80
)
.
L'Echis carinata dell'India, specie feroce e la di cui puntura riesce mortale, produce «un suono
particolare, strano, prolungato, quasi un sibilo», per un meccanismo affatto diverso, cioè strofinando
«le une contro le altre le pieghe del corpo», mentre la testa si mantien quasi immobile. Le scaglie
laterali, e solamente queste, sono fortemente convesse, ed il loro rilievo mediano è dentellato come
una sega; allorchè l'animale avviluppato strofina le sue pieghe, questi denti raschiano fra loro
(
81
)
.
Richiamiamo finalmente il noto esempio del serpente a sonaglio. Chi si limitò a scuotere il sonaglio
può avere una giusta idea del suono prodotto dall'animale vivente. Secondo il professore Shaler,
questo suono non può distinguersi da quello che produce il maschio della grande Cicala (insetto
omottero) che abita lo stesso paese
(
82
)
. Al Giardino zoologico fui colpito dalla rassomiglianza dei
suoni mandati dal serpente a sonaglio e dal Clotho arietans, allorchè si provocavano
contemporaneamente; e, quantunque il romore prodotto dal Crotalo fosse più risonante e più acuto
che il sibilo del Clotho, io duravo pena, stando ad alcuni metri di distanza, a distinguerli uno
dall'altro. Ora, qualunque sia il significato dello strepito prodotto da una di queste specie, non posso
menomamente dubitare che pur nella seconda non serva al medesimo scopo; e dai gesti minacciosi
eseguiti nello stesso tempo da molti serpenti concludo che il loro sibilo, il rumore del sonaglio del
Crotalo e della coda del Trigonocefalo, il rastiar delle scaglie dell'Echis e la dilatazione del
cappuccio del Cobra, servono tutti al medesimo oggetto, cioè a farli apparire formidabili in faccia ai
512.
78
()
Dottor GÜNTHER, Reptiles of British India, p. 262.
79
()
M. J. MANSEL WEALE, Nature, 27 aprile 1871, p. 508.
80
()
Journal of Researches during the Voyage of the «Beagle», 1845, p. 96. Ho paragonato lo strepito così prodotto
con quello del serpente a sonagli.
81
()
Veggasi la relazione del dott. ANDERSON, Proc. Zool. Soc., 1871, p. 196.
82
()
American Naturalist. gennaio 1872, p. 32. - Duolmi di non poter condividere l'opinione del professore Shaler, e
credere con lui che il sonaglio del Crotalo si sia sviluppato, per effetto della elezione naturale, allo scopo di produrre
suoni destinati ad ingannare gli uccelli, ad attirarli ed a farne la preda di questo rettile. Senza negare che codesti suoni
possano talvolta servire a quest'uso, credo più probabile la conclusione alla quale io sono arrivato, e che mi fa
considerar questo strepito come un avvertimento all'indirizzo dei nemici i quali potrebbero esser tentati di attaccarlo;
tale conclusione collega effettivamente fatti di ordini diversi. Se il serpente avesse acquistato il sonaglio dall'abitudine di
far del rumore allo scopo di attirare una preda, non sarebbe probabile che ei facesse agire invariabilmente
quest'apparecchio tutte le volte ch'è molestato o incollerito. Quanto al modo di sviluppo del sonaglio, il professore
Shaler è quasi d'accordo con me; d'altra parte io ho costantemente sostenuta la stessa opinione dal momento in cui ebbi
ad osservare il Trigonocefalo nell'America del Sud.
nemici
(
83
)
.
Si potrebbe supporre che i serpenti velenosi, come quelli da noi poc'anzi citati, che
posseggono nei loro denti uno stromento di difesa tanto formidabile, non debbano essere esposti ad
attacchi, e che quindi non abbiano alcun bisogno dei mezzi atti a provocare la paura nei nemici.
Tuttavia non è così, e in tutti i paesi del mondo si veggono questi rettili servire pur essi di preda a
un grandissimo numero di animali. È un fatto ben conosciuto che agli Stati Uniti, onde purgare i
distretti infesti da serpenti a sonaglio, s'impiegano porci, i quali adempiono perfettamente
quest'opera
(
84
)
. In Inghilterra il riccio attacca e divora la vipera. Ho sentito riferire al dottor Jerdon
che nell'India molte specie di falconi ed almeno un mammifero, l'Herpestes, uccidono i Cobra ed
altri serpenti velenosi
(
85
)
; ed avviene altrettanto nel sud dell'Africa. È dunque permesso di credere
che i suoni od i segni di ogni genere, per i quali le specie velenose possono farsi immediatamente
riconoscere siccome formidabili, riescano a loro almeno tanto utili quanto alle specie inoffensive,
che sarebbero incapaci, ove fossero attaccate, di produrre alcun male reale.
Giacchè la storia dei serpenti m'ha di già intrattenuto in così lunghi sviluppi, non posso
resistere alla tentazione di aggiungere alcune osservazioni sul meccanismo che probabilmente
presiedette allo sviluppo del sonaglio del Crotalo. Parecchi animali, certi Sauriani in particolare,
quando sieno provocati, ripiegano la coda o l'agitano vivamente; gli è ciò che si osserva in molte
specie di serpenti
(
86
)
. Al Giardino zoologico vedesi una specie inoffensiva, Coronella Sayi, la quale
fa girare la coda così rapidamente, che diviene quasi invisibile. Il Trigonocefalo, di cui ho già
parlato, ha la stessa abitudine; l'estremità della sua coda è un poco rigonfiata. Nel Lachesis, che è
affine al Crotalo da venir messo da Linneo nel medesimo genere, la coda, appuntita, si termina con
un'unica scaglia, grande, in forma di lancetta. Ora, in seguito alle osservazioni del professore Shaler,
in alcuni serpenti «la pelle si distacca più difficilmente sulla regione caudale che sulle altre parti del
corpo». Supponiamo che fin d'allora, in qualche antica specie americana, la coda allargata abbia
prima portata una sola grande scaglia; supponiamo che all'epoca della muta, questa scaglia non
abbia potuto staccarsi e sia rimasta definitivamente fissa al corpo dell'animale; ad ogni novello
periodo dello sviluppo del rettile, una nuova scaglia, più grande della precedente, si sarà formata al
disopra di questa e avrà potuto del pari restar aderente. Ecco il punto di partenza dello sviluppo d'un
sonaglio, l'impiego del quale sarà abituale, se la specie avea l'abitudine, come tant'altre, di agitare la
coda in presenza di una provocazione. È difficile mettere in dubbio che il sonaglio non siasi in
seguito sviluppato specialmente per servire da stromento sonoro; perocchè le vertebre stesse della
coda provarono modificazioni nella loro forma e subirono una sinfisi. D'altra parte il fatto che
alcuni apparecchi, siccome il sonaglio del Crotalo, le scaglie laterali nell'Echis, le coste cervicali nel
Cobra, il corpo tutto nel Clotho, hanno potuto soffrire certe modificazioni tendenti a produrre
l'apprensione e lo spavento in un nemico, non è più improbabile di quello che in un uccello, lo
strano Segretario (Gypogeranus), l'economia intera si è resa specialmente adattata alla caccia ai
serpenti, senza che ne risulti verun danno per lui. È assai probabile, da quel che vedemmo, che
quest'uccello, quando si precipita sopra un serpente, rizzi le penne; è certo che l'Erpeste, al
momento in cui piomba su un rettile, raddrizza il pelo di tutto il corpo e particolarmente quello della
coda
(
87
)
. Si sa parimenti che alcuni istrici, quando sieno irritati o se la vista d'un serpente li spaventi,
83
()
Secondo le narrazioni recentemente raccolte da Madama BARBER, e pubblicate nel Journal of the Linnean
Society, sui costumi dei serpenti dell'Africa meridionale, e in seguito alle relazioni dovute a diversi autori, fra i quali a
Lawson, sul serpente a sonaglio dell'America del Nord, non sembra improbabile che il terribile aspetto che assumono
certi serpenti ed i suoni ch'emettono possano servire a procurar loro una preda, paralizzando, o, come talora suol dirsi,
affascinando animali di piccola statura.
84
()
Veggasi la narrazione del dott. R. BROWN (Proc. Zool. Soc., 1871, p. 39). Appena, egli dice, un porco scorge
un serpente, si slancia su lui; il serpente all'incontro, si schiva immediatamente alla vista d'un porco.
85
()
Il dott. GÜNTER segnala (Reptiles of British India, p. 340) la distruzione dei Cobra per mezzo dell'Icneumone o
dell'Herpestes, e dei Cobra giovani per via dei polli Jungle. È noto che anche il pavone fa un'attiva caccia ai serpenti.
86
()
Il professore Cope citò un numero assai considerevole di specie, nel suo lavoro Method of Creation of organic
Types, letto davanti the American Phil. Soc. il 15 dicembre 1871, p. 20. - Il prof. Cope è della mia opinione sull'impiego
dei movimenti e dei suoni prodotti dai serpenti. Ho leggermente toccata questa quistione nell'ultima edizione della mia
Origine delle specie. Dopo l'impressione delle pagine qui sopra, ebbi la soddisfazione di vedere che Henderson
attribuiva anche al sonaglio il medesimo uso, che è «di prevenire un attacco» (The American Naturalist, maggio 1872, p.
260).
87
()
M. des VOEUX, Proc. Zool. Soc., 1871, p. 3.
agitano rapidamente la coda, producendo così un suono particolare, che risulta dallo scontro delle
loro punte tubulari. Per tal modo l'assalitore e l'assalito cercano entrambi di rendersi a vicenda
spaventevoli più che per loro si possa; ciascuno d'essi possiede a questo fine mezzi speciali, i quali,
cosa singolare, si rinvengono talvolta pressochè identici. Concludo: da un lato fra i serpenti gli
individui privilegiati, ch'erano i più capaci di spaventare i loro nemici, sfuggirono più facilmente
alla morte; d'altra parte fra questi nemici prosperarono sovratutto coloro che poteano meglio vincere
le difficoltà presentate dalla caccia ai serpenti velenosi; nell'un caso e nell'altro, ed ammettendo la
variabilità delle specie, risulta che le variazioni utili si sono conservate per la sopravvivenza degli
individui più adatti.
Arrovesciamento delle orecchie all'indietro. - In un gran numero di animali, i movimenti delle
orecchie costituiscono un mezzo espressivo di grande valore; in certe specie all'incontro, ad esempio
nell'uomo, nelle scimie superiori, e in molti ruminanti, questi organi, sotto il punto di vista della
espressione, non presentano utilità veruna. Bastano spesso leggiere oscillazioni per accusare nel
modo più evidente differenti stati dell'animo, come tuttodì osserviamo nel cane. Ma noi qui ci
occuperemo soltanto di quello speciale movimento per cui le orecchie s'arrovesciano
completamente all'indietro e si applicano contro la superficie della testa. Questo movimento indica
ostili disposizioni, ma solo nel caso in cui si tratti di animali che combattono a colpi di denti; e ciò
si spiega in allora naturalmente colla preoccupazione che hanno questi animali, combattendo, di
garantire codeste appendici esposte e d'impedire all'avversario di afferrarle. L'influenza
dell'abitudine e dell'associazione fa loro in seguito eseguire lo stesso movimento tutte le volte che
sono stizziti, anche ad un debole grado, o ch'essi vogliono, giocando, darsene l'aria. A convincersi
che questa spiegazione è veramente l'espressione della realtà, basta considerare la relazione che in
un gran numero di specie animali esiste fra codesta contrazione delle orecchie ed il modo di
combattere.
Tutti i carnivori lottano coi denti canini, e tutti eziandio, almeno nei limiti delle osservazioni
che potei fare, arrovesciano le orecchie per esprimere ostili disposizioni. Gli è ciò che ogni giorno
puossi osservare negli alani, quando si battono seriamente fra loro, e nei piccoli cani, allorchè
lottano per dilettarsi. Questo movimento è ben distinto dall'abbassamento delle orecchie
accompagnato da un leggiero arrovesciamento all'indietro, che si nota in un cane festevole e
carezzato dal padrone. Lo si può eziandio constatare nei piccoli gatti quando lottano giocando, come
anche nei gatti adulti, allorchè sono realmente di un umore intrattabile (vedi più addietro la fig. 9).
Lo si sa: benchè efficacemente protette fino ad un certo punto dalla posizione che prendono allora,
le orecchie non escono mai sane e salve dalla battaglia, e nei vecchi gatti si veggono di spesso
scorticature più o meno profonde, tracce delle loro bellicose rivalità. Nei serragli di belve, questo
stesso movimento è assai manifesto nelle tigri, nei leopardi, ecc., quando s'accosciano brontolando
sul pasto. La lince possiede orecchie di lunghezza notevole; se si avvicina uno di questi animali
nella sua gabbia, ei le contrae con energia, in una maniera che esprime al massimo grado ostili
intenzioni. Una foca, l'Otaria pusilla, che ha orecchie piccolissime, le arrovescia egualmente
all'indietro quando si slancia incollerita alle gambe del suo guardiano.
Allorchè i cavalli lottano fra loro, mordono cogl'incisivi e battono colle estremità anteriori,
molto più che non tirino calci colle gambe di dietro. Codeste osservazioni vennero eseguite su
stalloni fuggiti; ciò d'altra parte risulta in modo evidente dalla natura delle ferite che
vicendevolmente si fanno. Ciascuno conosce l'aspetto vizioso che questo arrovesciamento di
orecchie dà ad un cavallo, arrovesciamento perfettamente distinto dal movimento per cui esso presta
attenzione ad un rumore prodotto dietro a lui. Se un cavallo di cattivo carattere, collocato nella
propria stalla, ha disposizioni a tirar calci, le sue orecchie si contraggono per abitudine, avvegnachè
ei non abbia l'intenzione o il potere di mordere. Osservate all'incontro un cavallo che liberamente si
slancia o che riceve una scudisciata; ei lancia vigoroso le estremità posteriori, ma in generale non
arrovescia le orecchie, perocchè in quel caso non è incollerito. I Guanachi si battono ad oltranza coi
denti; codeste lotte devono anche essere frequenti, perchè io ho trovato di spesso squarci profondi
nella pelle di quelli che uccisi in Patagonia. I camelli fanno egualmente. Ora, in queste due specie,
le orecchie si arrovesciano ancora molto all'indietro, in segno di ostilità. Ho rimarcato che i
Guanachi contraggono le orecchie anche allorquando non hanno l'intenzione di mordere, ma solo di
lanciare lontano la loro ripugnante saliva sull'aggressore. L'ippopotamo stesso, quando s'avanza
minaccioso, colla bocca spalancata, sopra un animale della propria specie, arrovescia le sue piccole
orecchie, proprio come il cavallo.
Quale contrasto tra i precedenti animali ed i buoi, i montoni, le capre, che non adoperano mai
i denti per combattere e che giammai contraggono le orecchie sotto l'influenza della collera! Per
quanto mansueti appaiano i montoni e le capre, i loro maschi appiccano talvolta lotte accanite. I
cervi costituiscono una famiglia molto vicina ai precedenti; ed io, non sapendo che lottassero coi
denti, rimasi un giorno sorpreso trovando in un racconto del maggiore Ross King i seguenti dettagli
sull'alce d'America, da lui osservato al Canadà: «Quando avviene che due maschi s'incontrino, ei
dice, si precipitano l'uno sull'altro con spaventoso furore, rovesciando le orecchie e ringhiando»
(
88
)
.
Appresi dappoi dal signor Bartlett che alcune specie di cervi si battono furiosamente a colpi di
denti, dimodochè il rovesciamento delle orecchie dell'alce è ancora una conferma della regola
generale. Molte specie di kangurù, conservate al Giardino zoologico, combattono graffiando coi
piedi davanti e tirando calci coi posteriori; non si mordono mai, i loro custodi li ebbero mai visti
a rovesciare le orecchie, quand'erano irritati. I conigli si battono sopratutto a colpi di pedi e di
artigli, ma per giunta si mordono, ed io conosco un esempio nel quale l'uno dei due strappò con un
colpo di denti mezza coda dell'avversario. Al principio della lotta essi arrovesciano le orecchie, ma
poi, quando si precipitano gli uni sugli altri e si battono a colpi di piedi, le mantengono ritte o le
muovono vivamente in tutti i sensi.
Il signor Bartlett fu testimonio di un accanito combattimento tra un cinghiale e la femmina di
lui; entrambi avevano aperta la bocca e le orecchie arrovesciate. Tuttavia ei non pare che questa
attitudine sia abituale ai maiali domestici nelle loro querele. I cinghiali combattono colpendo dal
basso in alto colle zanne; Bartlett non osa affermare che arrovescino le orecchie. Gli elefanti, che
lottano pure colle zanne, non contraggono codeste appendici, ma al contrario le drizzano,
precipitandosi gli uni sugli altri o sovra un nemico.
I rinoceronti del Giardino zoologico si battono col corno nasale, si vide giammai che
tentassero di mordersi, se non per gioco; ed i loro custodi asseriscono che per manifestare ostili
disposizioni, non arrovesciano mai le orecchie, a somiglianza dei cavalli o dei cani. posso
spiegarmi come sir S. Baker, narrando che un rinoceronte, ucciso da lui, aveva perdute le orecchie,
aggiunga: «Ell'erano state strappate con una dentata, lottando con un altro animale della medesima
specie; del resto tale mutilazione non è rara»
(
89
)
.
Per terminare, un cenno sulle scimie. Alcune specie, che posseggono orecchie mobili e si
battono a colpi di denti, valga ad esempio il Cercopithecus ruber, quando sono irritate arrovesciano
le orecchie, precisamente al pari dei cani; prendono allora un aspetto notevolmente feroce. In altre,
come l'Inuus ecaudatus, nulla si osserva di simile. Altre infine - e la è codesta una singolare
anomalia - allorchè si carezzano, contraggono le orecchie, mostrano i denti e fanno sentire un
mugolio di soddisfazione. Osservai ciò su due o tre specie di macachi e sul Cynopithecus niger. Per
certo, senz'esserne prevenuti, siccome siamo avvezzi alla fisionomia dei cani, ci riescirebbe difficile
riconoscere nei precedenti caratteri l'espressione della gioia o del piacere.
Raddrizzamento delle orecchie - Su questo movimento ho poco da dire. Ogni animale che
possa movere liberamente le orecchie, quand'è spaventato o guarda con attenzione un oggetto, le
dirige verso quest'oggetto medesimo, allo scopo di afferrare ogni suono che provenir ne possa.
Nello stesso tempo solleva generalmente la testa; tutti i suoi sensi sono allora in attenzione; alcuni
animali di piccola statura si rizzano per giunta sulle zampe di dietro. Anche le specie che
s'accosciano sul suolo o che fuggono immediatamente in faccia al pericolo, sul primo momento
assumono in generale la precedente attitudine, allo scopo di scoprire la sorgente e la natura del
periglio che le minaccia. La testa sollevata, le orecchie rizzate ed il guardo diretto in avanti dànno a
qualunque animale un'espressione di profonda attenzione che non si può disconoscere.
88
()
The Sportsman and Naturalist in Canada, 1866, p. 53.
89
()
The Nile Tributaries of Abyssinia, 1867, p. 443.
CAPITOLO V.
ESPRESSIONI SPECIALI DEGLI ANIMALI
Diversi movimenti espressivi nel cane. - Gatto. - Cavallo. - Ruminanti. - Scimie. - Espressioni di gioia e d'affetto, di
dolore, di collera, di stupore e di spavento in questi animali.
Cane. - Ho già descritto l'aspetto d'un cane che s'avvicina ad un altro con ostili intenzioni (fig.
5 e 7); le orecchie si rizzano, il guardo si dirige fisso in avanti; il pelo si erige sul collo e sul dorso,
l'andatura è notevolmente rigida, la coda levata in aria e in linea retta. Di questi vari caratteri, due
soli, la rigidi dell'incesso e il rizzamento della coda, richieggono ancora qualche sviluppo. Sir C.
Bell fa osservare
(
90
)
, che, quando un tigre od un lupo, battuto dal suo guardiano, monta improvviso
in furore, «tutti i muscoli sono tesi e le estremità sono in una attitudine di contrazione forzata:
l'animale è pronto a slanciarsi». Questa tensione dei muscoli e la rigidità dell'attitudine che ne risulta
possono trovar spiegazione nel principio dell'associazione delle abitudini; infatti, la collera ha
sempre spinto a sforzi furibondi e quindi a mettere violentemente in azione i muscoli tutti del corpo.
Ora v'hanno ragioni per supporre che il sistema muscolare, prima di poter produrre un'energica
azione, esiga in qualche modo una rapida preparazione, un certo grado di innervazione. Le
sensazioni mie proprie confermano per conto mio questa ipotesi, che pure, a quanto ne so, non è
ammessa dai fisiologi. Tuttavia sir J. Paget mi apprende che, quando i muscoli si contraggono
bruscamente con grandissima forza, senza preparazione veruna, possono rompersi; gli è ciò che
talora si osserva in un uomo, il quale fa un passo falso e sdrucciola improvvisamente e senza
aspettarsela; una simile rottura al contrario si produce molto di rado, quando l'atto muscolare, per
quanto violento, è compiuto di proposito deliberato e sotto l'influenza della volontà.
Fig. 14 - Testa d'un cane che ringhia. Dal vero, del sig. Wood.
Riguardo alla posizione rialzata della coda, sembra dipendere da un'eccessiva potenza dei
muscoli elevatori sugli abbassatori: eccesso che avrebbe naturalmente per effetto di collocare
quest'organo in posizione orizzontale, quando tutti i muscoli della parte posteriore del corpo sono
contratti. Non posso asserir tuttavia che questa interpretazione sia l'espressione della verità. Un cane
che trotta festevole innanzi al padrone con un'andatura gaia e briosa, tien d'ordinario la coda in aria,
ma assai meno rigida di quando è irritato. Un cavallo che per la prima volta si slancia sulla libera
90
()
The Anatomy of Expression, 1844, p. 190.
via, corre d'un trotto grazioso ed aperto, tenendo alta la testa e la coda. Le vacche medesime,
allorchè saltellano allegramente, alzano la coda in modo grottesco. Al Giardino zoologico si può
fare la stessa osservazione su diversi animali. Tuttavia, in certi casi, la posizione della coda è
determinata da speciali circostanze; ad esempio, appena un cavallo si slancia al galoppo, abbassa
costantemente la coda, in modo da offrir meno presa che sia possibile alla resistenza dell'aria.
Quando un cane sta per islanciarsi sovra un nemico, manda un grugnito selvaggio; le sue
orecchie si arrovesciano completamente all'indietro, e il labbro superiore si contrae per lasciar liberi
i denti e specialmente i canini (fig. 14). Questi stessi movimenti possono pure osservarsi negli alani
e nei piccoli cani, quando giuocano assieme. Tuttavia, se a mezzo del giuoco l'animale incollerisce
sul serio, la sua espressione cangia immediatamente; il che consiste solo in ciò, che le labbra e le
orecchie si contraggono con energia di molto maggiore. Se un cane brontola contro di un altro, il
suo labbro si contrae generalmente da un lato soltanto, da quello cioè che guarda il nemico.
Ho descritto nel capitolo II le movenze di un cane ch'esprime il suo affetto al padrone (fig. 6
ed 8). La testa ed il corpo intiero si abbassano e si aggirano in movimenti flessuosi; la coda è distesa
e si dondola da un lato a quell'altro. Le orecchie stanno abbassate e portate un tantino all'indietro,
attitudine che sforza le palpebre ad allungarsi e modifica l'apparenza di tutta la faccia. Le labbra
sono rilassate e pendenti; il pelo si mantiene liscio. Tutti questi movimenti e queste attitudini
possono, io credo, spiegarsi col principio dell'antitesi; perocchè sono in completa opposizione con
quelli naturalmente eseguiti da un cane irritato, cioè sottomesso ad uno stato d'animo precisamente
inverso. Allorchè un uomo parla semplicemente al suo cane, o gli indica un oggetto da richiamar
l'attenzione, si veggono le ultime vestigia di questi movimenti nel dondolamento della coda, che
solo fra tutti persiste e nemmeno s'accompagna coll'abbassamento delle orecchie. Il cane manifesta
eziandio la sua affezione sfregandosi contro il padrone; lo stesso sentimento lo porta a desiderare
anche lo strofinamento o l'amichevole picchiar della mano.
Gratiolet rende conto delle affettuose manifestazioni ora indicate nel modo seguente: il lettore
giudicherà da se stesso sul valore delle interpretazioni di lui. Parlando degli animali in generale,
compresovi il cane: «È sempre, egli dice, la parte più sensibile del loro corpo che ricerca le carezze
o le fa. Quando i fianchi ed il corpo sono sensibili per tutta la loro lunghezza, l'animale serpeggia e
striscia sotto le carezze, e propagandosi le ondulazioni lungo i muscoli analoghi dai segmenti sino
all'estremità della colonna vertebrale, la coda si piega e si agita»
(
91
)
. Più lungi egli aggiunge che i
cani, esprimendo il loro affetto, abbassano le orecchie, onde scacciare ogni percezione sonora e
concentrare tutta l'attenzione sulle carezze del loro padrone!
I cani hanno un'altra notevolissima maniera di palesare il loro affetto, e consiste nel leccare le
mani od il viso. Talvolta si leccano fra loro, e in tal caso lo fanno sempre sul muso. Ho visto ancora
dei cani leccare dei gatti coi quali vivevano in buona armonia. Codesta abitudine deriva
probabilmente dal fatto che le femmine leccano i propri piccini, oggetto del loro più tenero affetto,
onde pulirli. Di spesso si veggono ancora, dopo una breve assenza, dare alcune rapide leccate ai loro
nati, che sembrano semplicemente destinate ad esprimere la loro affezione. È così che questa
abitudine dovette associarsi colle emozioni affettuose, sia qualsivoglia l'origine di queste. Oggi ell'è
fortemente acquisita per eredità od innata, che si trasmette egualmente ai due sessi. Ultimamente
si uccisero a casa mia i piccoli d'una femmina di cane terriero, che io posseggo e che si è sempre
mostrata affettuosissima; in questa circostanza fui veramente colpito dal modo con cui essa tentò di
soddisfare il suo istintivo amore materno, riportandolo sopra di me: il suo desiderio di leccarmi le
mani era passato allo stato di passione insaziabile.
Lo stesso principio spiega probabilmente perchè i cani, onde esprimere la propria affezione,
amino di strofinarsi contro i loro padroni e di venirne strofinati o amichevolmente picchiati. Infatti,
durante l'allattamento dei loro piccini, il contatto con un oggetto amato si associò fortemente nel
loro spirito colle emozioni affettuose.
Il sentimento d'affezione d'un cane per il suo padrone si mesce ad un profondo sentimento di
sommissione, che s'avvicina un po' alla paura. Anche certi cani non si limitano di abbassare le
orecchie e di strisciare un po' approssimandosi ai loro padroni, ma s'allungano sul suolo, col ventre
in aria. Gli è codesto un movimento assolutamente opposto ad ogni dimostrazione di resistenza. Ho
posseduto un tempo un gran cane che non temeva punto di misurarsi con avversari della sua specie;
91
()
De la Physionomie, 1865, p. 187, 218.
nelle vicinanze v'aveva nullameno un cane da pastore, specie di cane-lupo, d'umore pacifico ed assai
meno forte, che esercitava su lui una strana influenza. Quando per caso essi s'incontravano, il mio
cane aveva costume di corrergli incontro, colla coda fra le gambe ed il pelo liscio; poi si sdraiava in
terra col ventre in aria. Pareva che gli dicesse, meglio che per ogni discorso: «A te! io sono tuo
schiavo».
Certi cani esprimono in modo assai particolare una disposizione dell'animo gioconda, gaia, e
nello stesso tempo affettuosa, voglio dire con una specie di ghigno. Somerville aveva fatto già da
gran tempo questa osservazione, quando diceva: «E il cane con ghignare giocondo ti saluta,
dimenando la coda, s'accuccia, spalanca le ampie narici, e i grandi suoi occhi neri si effondono in
dolci carezze e in umile gioia».
Il famoso levriere scozzese di Walter-Scott, Maïda, aveva quest'abitudine, comune del resto ai
terrieri. Io l'ho constatato anche in un pòmero ed in un cane da pastore. Rivière, che s'è occupato con
particolare attenzione di questa espressione, m'apprende ch'essa si produce assai comunemente ad
un debole grado. Il labbro superiore allora si contrae come per il brontolio, in modo che i canini si
scoprono; contemporaneamente le orecchie si portano indietro; peraltro l'aspetto generale
dell'animale indica chiaramente ch'ei non è irritato. «Il cane, dice sir C. Bell, per esprimere la
tenerezza, rovescia leggermente le labbra, e saltellando, fa smorfie e respira per le narici, in un
modo che rassomiglia al riso»
(
92
)
. Alcuni considerano infatti queste smorfie come un sorriso; ma se
realmente lo fossero, noi vedremmo in quest'animale, quando abbaia di gioia, un simile movimento
delle labbra e delle orecchie, benchè più pronunciato. Ora ciò non avviene; solo si osserva che i due
fenomeni succedonsi frequentemente. D'altra parte, quando i cani giuocano coi loro compagni o coi
padroni, hanno quasi sempre l'aria di voler mordere, ed allora contraggono (poco energicamente, è
vero) le labbra e le orecchie. Così pure io credo che in certi cani, quando provano un vivo piacere
unito ad un sentimento affettuoso, esista una tendenza ad agire sui medesimi muscoli, per effetto
dell'abitudine e dell'associazione, come se volessero ancor morsicchiare qualche compagno di
giuoco o le mani dei loro padroni.
Nel capitolo II ho descritto l'attitudine e la fisionomia del cane allora ch'è festevole, e la
distinta opposizione ch'esse presentano quando l'animale è abbattuto e scorato. Allora abbassa la
testa, le orecchie, il corpo, la coda e la mascella, ed i suoi occhi divengono tristi. Se all'incontro un
gran piacere l'attenda, ei balza e saltella in modo stravagante, abbaiando di gioia. In codesto stato
dell'animo, la tendenza ad abbaiare fu acquistata per eredità; essa è penetrata nel sangue; si sa che i
levrieri abbaiano di rado; osservate al contrario un pòmero che il padrone sta per condurre al
passeggio: i suoi abbaiamenti continui diventano penosi.
Nel cane un vivo dolore si manifesta press'a poco come nella maggior parte degli animali, vale
a dire con urli, contorsioni e movimenti convulsivi per tutto il corpo.
L'attenzione viene espressa sollevando la testa, raddrizzando le orecchie e dirigendo fisso lo
sguardo sull'oggetto o sul punto che la provoca. Se trattasi di un rumore di origine ignota, vediamo
di spesso il cane girare obliquamente la testa da destra a sinistra nel modo più espressivo,
probabilmente per giudicare con maggior esattezza da qual parte venga lo strepito. Ho visto un cane,
vivamente sorpreso di sentire un suono nuovo per lui, girare in questa maniera la testa, per effetto
dell'abitudine, avvegnachè ne scorgesse chiaramente la fonte. Feci di già osservare che un cane, il
quale stia comunque in attenzione, spii un oggetto o presti l'orecchia a qualche rumore, alza spesso
una zampa (fig. 4) e la tien ripiegata, quasi volesse disporsi ad avvicinarsi lentamente e con
precauzione.
Sotto l'influenza d'un estremo terrore, il cane si rotola a terra, urla e lascia sfuggire i propri
escrementi. Io credo che in tali circostanze non gli si rizzi mai il pelo, a meno che non provi
contemporaneamente la collera a un grado più o meno spiccato. Ho visto un cane spaventato
all'udire una musica strepitosa eseguita in istrada da una brigata di suonatori: tutti i muscoli del suo
corpo tremavano; il cuore gli palpitava con tale rapidità da poterne difficilmente numerare i battiti;
la sua respirazione era anelante, ed egli spalancava la bocca: questi sintomi sono pur quelli che
caratterizzano lo spavento nell'uomo. Ben inteso che questo cane non aveva fatto alcun esercizio; ei
camminava placido e lento lungo la stanza; aggiungerò che faceva freddo.
Il terrore, anche a un debolissimo grado, si manifesta costantemente dalla posizione della coda
92
()
The Anatomy of Expression, 1844, p. 140.
che si nasconde tra le gambe. Nello stesso tempo le orecchie si portano indietro, ma senza applicarsi
esattamente contro la testa e senza abbassarsi; movimenti che si producono, il primo quando il cane
brontola, il secondo allora ch'è festevole e vuol dimostrare la propria affezione. Quando due giovani
cani s'inseguono per giuoco, quello che fugge cela sempre la coda fra le gambe. La stessa attitudine
vien presa dal cane che, al colmo della gioia, gironzola come pazzo attorno al padrone descrivendo
dei cerchi o degli otto. Esso opera allora come fosse inseguito da un altro cane. Codesta foggia
singolare di gioia, nota a tutti che abbiano osservato questo animale, è frequente in particolare
allorchè è un po' sorpreso o spaventato, quando, ad esempio, il padrone si getta bruscamente su lui
nell'oscurità. In tal caso, come pure quando due giovani cani s'inseguono l'un l'altro per giuoco, pare
che l'inseguito tema di venir afferrato per la coda; eppure, a mio sapere, questi animali non si
assalgono così che assai raramente. Un dilettante, il quale aveva osservato per tutta la vita cani in
corsa, m'assicurò di non averne giammai visto uno afferrare una volpe per la coda; osservazione
confermata da altri sperimentati cacciatori. Sembra che quando un cane è inseguito o corre pericolo
di venir colpito per di dietro, od è esposto alla caduta di un oggetto qualunque, ei voglia ritirare il
più presto possibile le estremità posteriori; allora, in seguito a qualche simpatia o a qualche
connessione tra i muscoli, la coda si ritira completamente all'indentro e si cela in mezzo alle gambe.
Un analogo movimento, che talvolta interessa le estremità posteriori e la coda, può constatarsi
nella iena. Secondo le osservazioni di Bartlett, quando due di questi animali lottano insieme,
ciascun d'essi conosce perfettamente la potenza della mascella del proprio avversario, ed entrambi
sono pieni di diffidenza e di precauzione. E sanno che se una delle loro gambe vien presa, sarà
senza tempo di mezzo fatta in minuzzoli. Gli è perciò che s'avvicinano colle ginocchia piegate, colle
gambe più che sia possibile in dentro e tutto il corpo curvato, in modo da non presentare alcun
punto sagliente; nello stesso tempo la coda si cela affatto fra le gambe. In questa attitudine, essi
s'approssimano di fianco ed anche un po' per di dietro. Parecchie specie di cervi, lottando,
nascondono pur essi nello stesso modo la coda. Quando un cavallo tenta per giuoco di mordere le
estremità posteriori di un altro cavallo, quando un brutale monello batte un asino per di dietro, si
veggono ancora le gambe posteriori e la coda dell'animale portarsi in basso ed in dentro, quantunque
sia difficile dire se unico scopo di tal movimento sia quello di mettere la coda al salvo da ogni
lesione. Noi abbiamo parlato più in su dell'opposto movimento; quando un animale corre d'un trotto
allegro ed aperto, la coda è quasi sempre sollevata in aria.
Siccome vedemmo, un cane inseguito e che fugge dirige le orecchie all'indietro; ma le
conserva aperte, evidentemente allo scopo di udire i passi di chi lo insegue. Per effetto
dell'abitudine, le orecchie si mantengono spesso nella medesima posizione, mentre la coda si cela
fra le gambe, anche allora che il pericolo è manifestamente rimpetto. Ho sovente osservato in un
mio pauroso terriero, che quando è spaventato da qualche oggetto che gli sta dinanzi, ond'ei sa la
perfetta natura e che non ha bisogno di riconoscere, conserva tuttavia per lungo tempo la coda e le
orecchie in questa posizione, mostrando un evidente malessere. La contrarietà, senza spavento, si
esprime nella medesima foggia; così, io uscivo un giorno proprio al momento in cui questo stesso
cane sapeva che gli si dava a mangiare: io nol chiamava; egli aveva voglia di accompagnarmi, ma
contemporaneamente desiderava il cibo; e restava immobile, guardando ora avanti ora indietro,
colla coda tra le gambe e le orecchie pendenti, presentando un'apparenza d'indecisione e di
contrarietà intorno alla quale non si poteva ingannarsi.
Quasi tutti i movimenti descritti qui sopra sono innati od istintivi; perchè comuni a tutti
gl'individui, giovani o vecchi, di tutte le specie; bisogna però eccettuare la piacevole smorfia
ch'esprime la gioia. La maggior parte di questi movimenti è pure comune ai progenitori aborigeni
del cane, cioè al lupo ed allo sciacallo, ed alcuni ad altre specie del medesimo gruppo. I lupi e gli
sciacalli addimesticati quando si carezzano, saltellano di gioia, agitano la coda, abbassano le
orecchie, leccano le mani del padrone, s'accosciano ed anche si rotolano sul suolo col ventre in aria
(
93
)
. Ho visto uno sciacallo d'Africa, originario dal Gabon, e molto rassomigliante ad una volpe,
93
()
GUELDENSTAEDT alcuni dettagli su questo argomento nel suo lavoro sullo sciacallo (Nov. Comm. Acad.
Sc. Imp. Pétrop., 1775, t. XX, p. 449). Veggasi ancora un bellissimo articolo sulle andature ed i giuochi di questo
animale nel Land and Water, ottobre 1869. Il luogotenente Annesley, dell'armata inglese, m'ha eziandio comunicate
alcune particolarità relative allo sciacallo. Ho riunito un gran numero di informazioni sui lupi e gli sciacalli nel Giardino
zoologico, ed io stesso osservai gli uni e gli altri.
abbassare le orecchie allorchè lo si carezzava. Il lupo e lo sciacallo, atterriti, nascondono di certo la
coda fra le gambe. Ho udito narrare che uno sciacallo addomesticato girava attorno al padrone
descrivendo, proprio a somiglianza di un cane, dei circoli e degli otto, e celando la coda nella stessa
maniera.
Si sostenne l'idea
(
94
)
che la volpe, anche addomesticata, non eseguisce giammai alcuno dei
movimenti espressivi or ora citati; tuttavia ciò non è rigorosamente vero. Da già molti anni io
osservai al Giardino zoologico una volpe inglese domesticissima, la quale, accarezzata dal proprio
padrone, agitava la coda, abbassava le orecchie, poi si rotolava in terra col ventre in aria. Questo
fatto fu da me pubblicato in quell'epoca. La volpe nera dell'America settentrionale abbassa pure le
orecchie a un debole grado. Ma io credo che le volpi non lecchino mai le mani dei loro padroni, e
mi sono accertato che sotto l'influenza della paura non nascondono la coda. Ammettendo
l'interpretazione ch'io diedi alla espressione dei sentimenti affettuosi nel cane, sembra che animali, i
quali non passarono mai allo stato di domesticità - come il lupo, lo sciacallo ed anche la volpe -
abbiano tuttavia acquisiti, in virtù del principio dell'antitesi, alcuni gesti espressivi; in fatto non è
cosa probabile che questi animali, racchiusi nelle loro gabbie, abbiano potuto apprendere codesti
movimenti imitando dei cani.
Gatto. - Ho già descritta la condotta di un gatto irritato, senza spavento (fig. 9). Ei s'accoscia e
striscia sul suolo; talvolta avanza la zampa anteriore, facendo sporgere le unghie, ond'essere pronto
a colpire. La coda è distesa e si move ondulando o batte vivamente da una parte all'altra. Il pelo non
si rizza: ciò almeno è quello ch'io vidi nei casi in cui ebbi occasione di osservare. L'animale rovescia
molto le orecchie all'indietro e mostra i denti mandando sordi brontolii. Perchè l'attitudine di un
gatto che si dispone a lottare con un altro, o che è violentemente irritato in un modo qualunque,
differisca così da quella che prende il cane in circostanze simili, si può comprendere pensando che il
gatto colpisce colle zampe anteriori, il che rende comoda od anche necessaria la posizione
accosciata. Per giunta esso, assai più che il cane, ha l'abitudine di imboscarsi per piombar
bruscamente sovra la preda. Quanto ai movimenti della coda, è impossibile assegnarvi una causa
con qualche certezza. Essi s'incontrano in molte altre specie, ad esempio nel Puma, nel punto in cui
si dispone allo slancio
(
95
)
; non si osservano all'incontro nel cane, nella volpe, secondo le
osservazioni fatte da Saint-John sopra una volpe in agguato, mentre appostava una lepre. Vedemmo
di già che certe specie di sauriani ed alcuni serpenti agitano rapidamente l'estremità della coda in
segno di collera. Ei sembra che, sotto l'influenza di una energica eccitazione, si produca un
irresistibile bisogno di movimento di qualsivoglia natura dovuto alla sovrabbondanza di forza
nervosa emanata dal sensorio; allora la coda, che resta libera e i di cui movimenti non turbano punto
l'attitudine generale del corpo, si dondola o sferza l'aria da una parte e dall'altra.
Allorchè un gatto vuol palesare la propria affezione, tutti i suoi movimenti sono
completamente in antitesi con quelli or ora descritti. Ei si tiene ritto sulle zampe, col dorso
leggermente arcuato, la coda alzata verticalmente, le orecchie rizzate; nello stesso tempo strofina il
muso ed i fianchi contro il padrone o la padrona. Questo desiderio di sfregarsi contro qualche cosa è
così intenso nei gatti, che si veggono di spesso strofinarsi contro i piedi delle sedie o delle tavole, o
contro gli stipiti delle porte. Codesta maniera di esprimere l'affetto deriva probabilmente, per via
d'associazione come nel cane, dalle carezze che la madre prodiga a' suoi piccoli durante
l'allattamento, e forse ancora dall'amicizia che i nati stessi si nutrono a vicenda e si manifestano nei
loro giuochi. Ho già descritto un altro gesto, molto diverso, per cui questo animale esprime il
piacere; intendo parlare del modo curioso col quale i gatti giovani, ed anche vecchi, avanzano
alternativamente le zampe anteriori scostando le dita, quasi fossero tuttora sospesi alla mammella
materna.
Quest'abitudine è così analoga all'altra di strofinarsi contro qualche cosa, che tanto l'una come
l'altra devono derivare da atti compiuti durante il periodo dell'allattamento. Perchè il gatto manifesti
il suo affetto sfregandosi molto più del cane, avvegnachè quest'ultimo ami il contatto del proprio
padrone; perchè il gatto lecchi di raro le mani di coloro che ama, mentre il cane lo fa di continuo,
non so dire. Il gatto si pulisce leccando la sua pelliccia molto più regolarmente del cane; eppure la
lingua del primo parrebbe molto meno disposta per questo genere di lavoro in confronto della lingua
94
()
Land and Water, 6 nov. 1869.
95
()
AZARA, Quadrupèdes du Paraguay, 1801, t. I, p. 136.
molto più lunga e più flessibile del secondo.
Fig. 15 - Gatto spaventato da un cane. Dal vero, dis. dal sig. Wood.
Sotto l'influenza del terrore, il gatto si drizza più alto che può, arcuando il dorso in modo noto
e ridicolo. Esso sputacchia, soffia o brontola. Il suo pelo si erige in tutto il corpo e particolarmente
alla coda. Negli esempi osservati da me, la coda medesima si rialzava verso la base, mentre
l'estremità si portava da un lato; talvolta quest'appendice si solleva un po' solo e s'inclina
lateralmente quasi presso la sua radice. Le orecchie si portavano indietro; i denti scoprivansi.
Quando due piccoli gatti giuocano assieme, noi vediamo di spesso che cercano di spaventarsi a
vicenda coi gesti. Se rammentiamo quel che abbiamo veduto nei precedenti capitoli, possiamo
spiegare tutti i caratteri espressivi qui sopra esposti, tranne uno solo, l'esagerata arcuazione del
dorso (fig. 15). Io inclino a credere che, come molti uccelli rizzano le piume e distendono le ali e la
coda per mostrarsi più grandi che sanno, così il gatto si rizza fin che può, inarca il dorso, solleva
spesso la base della coda ed erige il pelo, tutto al medesimo scopo. Dicesi che anche la lince,
quando è attaccata, inarca il dorso; gli è in codesta attitudine che Brehm l'ha rappresentata. I custodi
del Giardino zoologico non ebbero mai a constatare la minima tendenza ad assumere questa
posizione nei felini di grande statura, tigri, leoni, ecc., i quali, veramente, hanno pochi motivi per
essere spaventati da alcun altro animale.
Il gatto impiega frequentemente la voce come mezzo di espressione; egli emette, sotto
l'influenza di emozioni o di desiderii diversi, almeno sei o sette differenti suoni. Il mugolìo di
soddisfazione ch'ei produce nella inspirazione e nella espirazione, è uno dei più curiosi. Il puma, il
cheetah e l'ocelot fanno anche la ruota; la tigre esprime il piacere «con un breve soffio nasale tutto
particolare, accompagnato dall'avvicinamento delle palpebre»
(
96
)
. Sembra che il leone, lo jaguar ed il
leopardo non faccian la ruota.
96
()
Land and Water, 1867, p. 657. Veggasi anche intorno al Puma, AZARA (loc. cit.).
Cavallo. - Quando vuole manifestare ostili intenzioni, il cavallo arrovescia completamente le
orecchie all'indietro, avanza la testa e discopre in parte i denti incisivi, ond'essere pronto a mordere.
Se è disposto a tirar calci, l'abitudine gli fa ancora rovesciare le orecchie; per giunta i suoi occhi si
volgono indietro in modo particolare
(
97
)
. Per esprimere il piacere, quando, ad esempio, nella scuderia
gli si mette davanti un pasto desiderato, solleva la testa e la porta indietro, drizza le orecchie, segue
con attento sguardo l'amico che giunge a soddisfare il desiderio di lui, e spesso nitrisce. Egli
esprime l'impazienza battendo il suolo col piede.
L'attitudine d'un cavallo improvvisamente atterrito è espressiva al massimo grado. Osservai un
il mio cavallo spaventato alla vista d'una macchina seminatrice coperta da una tela incerata e
abbandonata in mezzo alla via. Sollevò la testa tant'alto che il collo gli venne quasi verticale; era
questo evidentemente un gesto di pura abitudine, perocchè, essendo la macchina collocata in un
pendio sotto di lui, non potea giovare a fargliela veder più distinta, ad udir meglio il rumore
ch'essa avrebbe potuto mandare. Gli occhi e le orecchie erano fissamente diretti in avanti.
Attraverso la sella, io sentivo i rapidi battiti del suo cuore. Respirava con violenza per le narici,
rosse e dilatate. La dilatazione delle narici non ha per iscopo di fiutare la sorgente del pericolo,
perchè quando un cavallo fiuta con cura un oggetto, senz'essere spaventato, questa dilatazione non
si produce. Per la presenza di una valvola nella gola, il cavallo che palpita non respira per la bocca
aperta, ma per le narici, le quali per conseguenza hanno dovuto acquistare un'attitudine di
espansione molto spiccata. Questa espansione, siccome l'ansare ed i palpiti del cuore, sono atti che,
per lungo seguito di generazioni; dovettero fortemente associarsi alle emozioni del terrore; perocchè
il terrore ha spinto abitualmente il cavallo al più violento esercizio, per fuggir a precipizio la causa
del pericolo.
Ruminanti. - I buoi ed i montoni sono notevoli per la scarsità dei mezzi, coll'aiuto dei quali
esprimono generalmente le loro emozioni o le loro sensazioni; bisogna però eccettuarne l'estremo
dolore. Un toro furioso non manifesta il proprio furore che nel modo onde abbassa la testa,
dilatando le narici e muggendo. Talvolta eziandio batte il suolo col piede, ma questo movimento
dev'essere assai diverso da quello d'un cavallo impaziente; perocchè quando il terreno è polveroso,
ei solleva turbini di polvere. Ritengo che il toro si comporti in siffatta maniera, allor ch'è vessato
dalle mosche, allo scopo di liberarsene. Le razze di montoni selvaggi ed il camoscio, quando sono
atterriti, batton col piede e sibilano per le narici, avvertendo così del pericolo i loro compagni. Il bue
muschiato delle regioni artiche batte parimenti il suolo, in faccia a un nemico
(
98
)
. Qual sia l'origine
di questo gesto, non saprei indovinare, perchè dalle mie ricerche non pare che alcuno di questi
animali lotti colle gambe davanti.
Certe specie di cervi manifestano la collera in una maniera molto più espressiva che non i
buoi, i montoni e le capre. Infatti vedemmo che questi animali arrovesciano le orecchie all'indietro,
digrignano i denti, rizzano il pelo, mandano grida, battono il suolo col piede e scuotono le corna. Un
giorno, al Giardino zoologico, il Cervus pseudaxis s'avvicinò a me in una singolare attitudine, colla
testa un po' obliqua ed il muso levato in aria, in modo che le corna erano riverse sul collo.
L'espressione del suo sguardo m'indicava evidentemente ostili intenzioni; ei s'approssimò
lentamente, poi, arrivando all'inferriata, in luogo d'abbassare la testa per colpirmi, raccolse
d'improvviso il collo e venne ad urtar fortemente colle corna le sbarre di ferro. Il Bartlett
m'apprende che alcune altre specie di cervi, allorchè sono furiose, assumono la stessa attitudine.
Scimie. - Le scimie delle diverse specie e dei diversi generi esprimono i propri sentimenti in
maniere assai varie. Questo fatto è interessante, perchè fino ad un certo punto sta in relazione colla
questione di sapere se le pretese razze umane debbano venir considerate come specie o come
varietà; in fatti, lo vedremo fra breve, le varie razze umane esprimono le loro emozioni e le loro
sensazioni con una notevole uniformità su tutta la superficie del globo. Alcuni atti espressivi delle
scimie riescono interessanti sotto un altro punto di vista, perchè, cioè, sono esattamente analoghi a
quelli dell'uomo. Siccome non ebbi l'occasione d'osservare alcuna specie del gruppo in tutte le
circostanze possibili, le sparse annotazioni che potei fare saranno meglio classate sotto il capitolo
dei vari stati dell'animo.
97
()
Sir C. BELL, Anatomy of Expression, 3
a
ediz., p. 123. Veggasi anche a p. 126, sulla dilatazione delle narici nel
cavallo, e suoi rapporti colla mancanza della respirazione per la bocca.
98
()
Land and Water, 1869, p. 152.
Piacere, gioia, affezione. - Nelle scimie, almeno senza esperienza maggiore di quella ch'io
m'abbia, è impossibile distinguere l'espressione del piacere o della gioia da quella dell'affezione. I
giovani chimpanzè fanno sentire una specie di abbaiamento, ond'esprimere la gioia che provano pel
ritorno d'una persona a cui nutrono affetto. Producendo questo rumore, che i custodi qualificano col
nome di riso, essi sporgono le labbra. Questo movimento del resto è comune alla espressione di
alcune altre emozioni; per altro, in seguito alle mie osservazioni, la forma delle labbra è un po' varia
a seconda ch'esprime il piacere o la collera. Allorchè si solletica un giovane chimpanzè (come nei
fanciulli, è sovratutto l'ascella che si mostra sensibile al solletico), esso articola un gaio suono od un
riso abbastanza caratteristico, che però qualche volta è un riso muto. Gli angoli della bocca sono
allora tirati all'indietro, il che talvolta increspa un poco le palpebre inferiori. Tuttavia questo
increspamento delle palpebre, ch'è un tratto caratteristico del riso umano, s'osserva meglio in altre
scimie. I denti della mascella superiore non si discoprono, ciò che distingue il ridere del chimpanzè
dal nostro. D'altra parte, secondo le osservazioni di W. L. Martin, che studiò in una maniera affatto
speciale l'espressione nelle scimie
(
99
)
, gli occhi del chimpanzè sfavillano e si fan più brillanti.
Quando si solletica un giovane orango, ci fa un'analoga smorfia piacevole e produce un
rumore di soddisfazione, e, secondo Martin, i suoi occhi divengono nello stesso tempo più brillanti.
Appena cessa questo riso, si vede passargli sulla faccia un'espressione, che, da un'osservazione di
Wallace, può paragonarsi a un sorriso. Io ho notato qualche cosa di analogo nel chimpanzè. Il dottor
Duchenne - potrei citare autorità migliore - mi narrò d'aver conservato per un anno in sua casa
una scimia perfettamente addomesticata; quando, al momento del pasto, ei le dava qualche
leccornìa, vedea leggermente elevarsi gli angoli della bocca di lei, ed allora distingueva assai
nettamente sulla faccia di questo animale una espressione di compiacenza simigliante ad un
abbozzo di sorriso e che richiamava quel che di spesso si osserva sul volto dell'uomo.
Anche il Cebus Azarae
(
100
)
emette un suono particolare, una specie di ghigno (in tedesco
kichernden), per esprimere la contentezza che prova nel rivedere una persona amata. Ei palesa
eziandio sensazioni gradite tirando indietro gli angoli della bocca, senza produrre strepito alcuno.
Rengger dà il titolo di riso a questo movimento, ma più esattamente si potrebbe chiamare un sorriso.
La forma della bocca è affatto diversa nella espressione del dolore o dello spavento, i quali si
manifestano inoltre con penetranti grida. Al Giardino zoologico si osserva un'altra specie di Cebus
(C. hypoleucus), che palesa la propria soddisfazione mandando una nota acuta, penetrante, ripetuta,
e tirando del pari all'indietro le commessure delle sue labbra, probabilmente per la contrazione dei
medesimi muscoli che si contraggono in noi. Nella scimia di Barberia (Inuus ecaudatus), questo
movimento è singolarmente pronunciato, e la pelle della palpebra inferiore s'increspa. Nello stesso
tempo l'animale muove spasmodicamente la mascella inferiore o le labbra e scopre i denti; ma lo
strepito ch'esso produce non è guari più distinto di quello che noi designiamo talvolta sotto il nome
di riso muto. Quand'io non avevo ancora alcuna esperienza sulle abitudini di questi animali,
avendomi un giorno due fra i loro custodi asserito che questo strepito appena percettibile costituiva
realmente la loro maniera di ridere, io esposi qualche dubbio in proposito; allora essi collocarono
uno di quegli animali in presenza d'una scimia Entellus che vivea nella medesima gabbia e ch'ei
detestava. Ben tosto l'espressione della faccia dell'Inuus cangiò affatto: esso aprì molto di più la
bocca, scoperse più completamente i denti canini e mandò un suono rauco e latrante.
99
()
Natural History of Mammalia, 1841, vol. I, p. 383, 410.
100
()
RENGGER (Säugethiere von Paraguay, 1830, p. 46) ha conservato scimie di questa specie per molti anni in
gabbia, al Paraguay, loro patria.
Fig. 16 - Cynopithecus niger, in riposo.
Dal vero, dis. dal sig. Wood.
Fig. 17 - Lo stesso accarezzato e ch'esprime la
propria soddisfazione.
Ho visto un guardiano provocar prima un babbuino Anubis (Cynocephalus anubis) e ridurlo
così facilmente in uno stato di rabbia violenta, poi far la pace con lui e stendergli la mano. Al
momento di questa riconciliazione, il babbuino movea rapidamente d'alto in basso le mascelle e le
labbra, con una espressione di visibile compiacenza. Quando noi sghignazziamo, le nostre mascelle
son agitate da un movimento o da un tremito simile più o meno distinto; solo, nell'uomo, i muscoli
del petto sono più specialmente messi in azione; nel babbuino all'incontro e in alcune altre scimie,
gli è sui muscoli delle mascelle e delle labbra che si produce questo movimento spasmodico.
Ebbi di già l'occasione di far osservare la singolare maniera onde due o tre specie di macachi
ed il Cynopithecus niger esprimono la soddisfazione che loro procurano le carezze, contraendo le
orecchie all'indietro e facendo sentire un leggiero cinguettare. Nel Cynopithecus (fig. 17) gli angoli
della bocca sono nel medesimo tempo tirati indietro ed in alto, in modo che i denti si scoprono.
Senza esserne prevenuti, riescirebbe difficile di riconoscere in questi caratteri una espressione di
piacere. Il lungo ciuffo di peli che adorna la fronte si appiana e i tegumenti di tutta la testa sembrano
tesi all'indietro. Anche le palpebre si sollevano un poco e lo sguardo assume un'aria sbalordita. Le
palpebre inferiori s'increspano leggermente, ma quest'ultimo carattere non è molto visibile, in causa
delle rughe che solcano in direzione trasversale e permanentemente la faccia.
Emozioni e sensazioni dolorose. - Nelle scimie l'espressione di un leggiero dolore o di
qualsivoglia emozione penosa, affanno, contrarietà, gelosia, ecc., si distingue difficilmente
dall'espressione di una collera moderata: d'altra parte questi stati d'animo si trasformano
agevolmente e rapidamente gli uni negli altri. Tuttavia in certe specie l'angoscia si manifesta di
certo col pianto. Una donna, la quale vendette alla Società zoologica una scimia che fu supposto
provenisse da Borneo (Macacus maurus o M. inornatus di Gray), asserì ch'essa piangea di
frequente; infatti, più tardi, Bartlett e Sutton videro a più riprese questo stesso animale piangere così
quand'era affannato o semplicemente intenerito, che le lagrime gli colavano sulle guancie. Peraltro,
in questo fatto v'ha qualche cosa di strano, perchè non si videro mai a piangere due altri individui,
conservati dappoi al Giardino zoologico e considerati siccome appartenenti alla medesima specie,
avvegnac fossero stati attentamente osservati dal loro custode e da me stesso, quand'erano molto
afflitti e gridavano con forza. Secondo Rengger
(
101
)
, gli occhi del Cebus Azarae, quando è assai
atterrito o quando gli s'impedisce d'impadronirsi d'un oggetto molto desiderato, si riempiono di
lagrime, ma non tanto in copia da poterne colare. Humboldt pretende ancora che gli occhi del
Callithrix sciureus, colpito di paura, si riempiano istantaneamente di lagrime. Tuttavia, allorchè al
Giardino zoologico si aizzava questa leggiadra scimietta, in modo da farle mandar forti grida, nulla
si osservava di simile. Non è però ch'io voglia mettere menomamente in dubbio l'esattezza
dell'asserzione di Humboldt.
L'aspetto abbattuto, negli orang e nei chimpanzè giovani, quando sono malati, è altrettanto
101
()
RENGGER, ivi, p. 46. - HUMBOLDT, Personal Narrative, trad. ingl., vol. IV, p. 527.
manifesto e quasi altrettanto espressivo che nei nostri fanciulli. Questo stato dell'animo e del corpo
è fatto palese dai movimenti trascurati, dalla fisionomia abbattuta, dallo sguardo languido e dal
colorito alterato.
Collera. - Questa emozione, manifestata di spesso dalle scimie di diverse specie, si esprime
nelle più differenti maniere. «Certe specie, dice Martin
(
102
)
, sporgono le labbra, fissano uno sguardo
scintillante e feroce sul loro nemico; fanno ripetuti saltelli come per islanciarsi in avanti, ed
emettono un suono gutturale e soffocato. Altre palesano la collera avanzandosi bruscamente,
eseguendo salti interrotti, aprendo la bocca ed increspando le labbra in modo da nascondere i denti,
fissando audacemente gli occhi sul loro nemico, quasi ad indicare una feroce diffidenza. Altre
infine, e precipuamente le scimie a lunga coda o bertuccie, mostrano i denti ed accompagnano le
loro maliziose smorfie con un grido acuto, tronco, ripetuto». Sutton conferma il fatto che certe
specie, in segno di furore, scoprono i denti, mentre altre li nascondono avanzando le labbra. In
talune le orecchie si arrovesciano indietro. Il Cynopithecus niger, onde abbiam già parlato, si
comporta egualmente, nello stesso tempo in cui abbassa il ciuffo di peli che gli adorna la fronte e
mostra i denti; dimodochè la disposizione dei lineamenti della sua faccia è quasi la stessa sotto
l'influenza della collera e sotto quella del piacere, e senz'avere una grande esperienza sulla
fisionomia dell'animale in discorso, riesce difficile distinguere l'una dall'altra queste due espressioni.
I babbuini manifestano spesso la collera e minacciano i nemici in un modo molto bizzarro:
spalancano la bocca come volessero sbadigliare. Bartlett vide più fiate due babbuini, collocati per la
prima volta nella medesima gabbia, assidersi in faccia l'uno dell'altro ed aprire alternativamente la
bocca: atto che sembra per giunta terminarsi di frequente con un vero sbadiglio. Bartlett pensa che i
due animali vogliano così mostrarsi a vicenda che son forniti di formidabili file di denti, il che è
vero. Siccome io duravo fatica a prestar fede alla realtà di un tal movimento, il signor Bartlett
provocò un giorno in mia presenza un vecchio babbuino e lo ridusse in uno stato di estremo furore;
il babbuino quasi subito aprì la bocca. Alcune specie di Macachi e di Cercopitechi
(
103
)
si comportano
nella stessa maniera. In seguito alle osservazioni fatte da Brehm su quelli ch'ei tenne vivi in
Abissinia, il babbuino manifesta la collera anche in un'altra maniera, battendo, cioè, il suolo con una
mano «come un uomo irritato batte col pugno una tavola che gli sta dinanzi». Infatti io constatai
questo gesto nei babbuini del Giardino zoologico; ma sembra piuttosto ch'essi abbiano sovente lo
scopo di cercare una pietra o qualche altro oggetto nel loro strame di paglia.
Il signor Sutton osservò spesse volte che quando un Macacus rhesus montava nel massimo
furore, la faccia di lui diveniva rossa. Nel momento stesso in cui mi descrivea questo fatto, un'altra
scimia attaccò un rhesus, ed io vidi in realtà la faccia di quest'ultimo arrossare così palesemente
come il volto d'un uomo in un accesso di collera violenta. Dopo la lotta, la faccia della scimia in
capo ad alcuni minuti riprende il colorito abituale. Ei mi sembra che la parte posteriore, glabra, del
tronco, la quale è normalmente rossa, lo divenisse ancor più insieme alla faccia; peraltro non posso
asserirlo. Si dice che quando il mandrillo è irritato in un modo qualunque, le parti glabre della sua
pelle, ch'hanno tinte vivaci, assumano un colorito ancora più spiccato.
In molte specie di babbuini la parte superiore della fronte sporge d'assai al di sopra degli occhi
ed è fornita di un piccolo numero di lunghi peli, che rappresentano le nostre sopracciglia, Codesti
animali osservano incessantemente da tutte le bande, e, per guardare in alto, sollevano questa parte
del fronte. Secondo ogni apparenza, è così che dovettero acquistar l'abitudine di movere
frequentemente i sopraccigli. Comunque sia, molte specie di scimie e specialmente i babbuini, sotto
l'influenza della collera o in faccia ad una provocazione qualunque, li agitano rapidamente e
continuamente dall'alto in basso insieme al peloso tegumento del fronte
(
104
)
. Siccome abbiam presa
l'abitudine di associare nella specie umana l'elevazione e l'abbassamento dei sopraccigli con certi
stati dell'animo, il movimento quasi incessante di questi organi nelle scimie loro una fisionomia
affatto insensata. Ebbi l'occasione di osservare un individuo che avea il ghiribizzo di levar di
continuo le sopracciglia senza che vi corrispondesse verun sentimento, cosa che gli dava l'aria di un
imbecille. Ed è lo stesso di certe persone, le. quali hanno costantemente gli angoli della bocca un po'
102
()
Nat. Hist. of Mammalia, 1841, p. 351.
103
()
BREHM, Thierleben, vol. I, p. 84. - Quanto al gesto dei babbuini, vedi p. 61.
104
()
BREHM fa osservare (Thierleben, p. 68) che l'Inuus ecaudatus, quand'è irritato, move di spesso le sopracciglia
dall'alto in basso.
rialzati e tesi all'indietro, come per abbozzare un sorriso, senza che provino il minimo sentimento di
gioia e di allegrezza il quale giustifichi una tale attitudine.
Fig. 18 - Chimpanzè disgustato e di cattivo umore.
Dal vero, dis. dal sig. Wood.
Un giovane orango, geloso delle premure che il suo custode accordava ad un'altra scimia,
scoprì leggermente i denti, poi, facendo sentire un grido di cattivo umore analogo al suo tish-shist,
gli vol la schiena. Sotto l'influenza d'una collera un po' più intensa, gli orang ed i chimpanzè
sporgono molto le labbra e mandano un rauco guaìto. Un giovane chimpanzè femmina, in un
accesso di collera violenta, offrì una curiosa rassomiglianza con un fanciullo che si trovi nel
medesimo stato d'animo. Colla bocca spalancata, le labbre contratte ed i denti completamente
scoperti, mandava risonanti grida. Lanciava d'ogni banda le braccia e le riuniva talvolta sopra la
testa. Rotolavasi in terra, ora sul dorso, ora sul ventre e mordea tutto che gli era a portata. In base ad
una descrizione
(
105
)
, un giovane gibbone (Hylobates syndactylus) in un accesso di collera si
comportò quasi esattamente nella stessa maniera.
I giovani orang ed i chimpanzè in diverse circostanze sporgono le labbra, talvolta in modo
meraviglioso. Essi operano così, non solo quando sono leggermente stizziti, sguaiati o disgustati,
ma anche allorchè sono atterriti da un oggetto qualunque, - ad esempio, venendo ad un caso
particolare, alla vista di una testuggine
(
106
)
- ed eziandio quando sono allegri. Tuttavia io credo che
il grado di questa proiezione delle labbra, la forma della bocca sieno esattamente identici in
tutti i casi. Per giunta, i suoni emessi in queste diverse circostanze variano assai. Il disegno qui
annesso rappresenta un chimpanzè ridotto di cattivo umore, togliendogli un arancio che prima gli
era stato offerto. Nei fanciulli sguaiati puossi osservare un analogo movimento delle labbra,
avvegnachè men pronunciato.
Alcuni anni or sono, io collocai un giorno sul pavimento, al Giardino zoologico, uno specchio
dinanzi a due giovani orang, i quali, per quanto almeno mi consta, non avevano giammai visto nulla
di simile. Essi cominciarono a guardarlo colla più manifesta sorpresa, cangiando spesso il punto di
vista. Poi vi si avvicinarono affatto, sporgendo le labbra verso la loro immagine, quasi per darle un
bacio, precisamente come aveano fatto fra loro alcuni giorni avanti, quand'erano stati messi per la
105
()
G. BENNETT, Wanderings in New South Wales, ecc., vol. II, 1834, p. 153.
106
()
W. C. MARTIN, Nat. Hist. of Mamm. Animals, 1841, p. 405.
prima volta nella medesima gabbia. Quindi eseguirono ogni specie di smorfie e si collocarono in
faccia allo specchio nelle più svariate attitudini: s'appoggiavano sulla sua superficie e la sfregavano;
mettevano le mani a diverse distanze dietro di esso; finalmente parvero quasi atterriti, rincularono
alquanto, divennero di cattivo umore e rifiutarono di guardarlo più a lungo.
Allorchè noi cerchiamo di compiere qualche atto che richiede poca forza, ma è minuzioso ed
esige precisione, quando, ad esempio, vogliamo infilare un ago, serriamo di solito le labbra con
energia, allo scopo, io penso, di non turbare i nostri movimenti col respiro. Ho visto un giovine
orang comportarsi in modo simile. La povera bestiuola era malata e si dilettava tentando di uccidere
colle dita sui vetri le mosche che ronzavano attorno; ad ogni tentativo chiudeva esattamente le
labbra e le sporgeva alquanto.
Così, in certe circostanze, nell'orang e nel chimpanzè la fisionomia e più ancora l'attitudine
sono notevolmente espressive; tuttavia io credo che lo sieno ancor più in altre specie di scimie. Tale
differenza puossi spiegare in parte coll'immobilità delle orecchie, nelle scimie antropomorfe, in
parte colla nudità dei loro sopraccigli, i di cui movimenti sono quindi meno apparenti. Peraltro
quando elevano le sopracciglia, la loro fronte si copre, come in noi, di rughe trasversali. Confrontata
a quella dell'uomo, la loro faccia è inespressiva; il che dipende precipuamente da ciò che nessuna
emozione fa in esse aggrottar le sopracciglia, per quanto almeno io potei osservare (ed è questo un
punto sul quale portai la mia particolare attenzione). L'aggrottamento dei sopraccigli, uno dei segni
più importanti nell'espressione del volto umano, è dovuto alla contrazione dei sopraccigliari, che
abbassano gl'integumenti e li avvicinano alla radice del naso, in modo da produr sulla fronte delle
pieghe verticali. Pare
(
107
)
che l'orang ed il chimpanzè posseggano entrambi questo muscolo, ma pare
altresì che lo mettano raramente in azione, almeno in maniera molto visibile. Avendo disposte le
mie mani così da formare una specie di gabbia, ed avendovi chiuse delle frutta appetitose, lascia
fare all'orang ed al chimpanzè tutti gli sforzi per impadronirsene: essi finirono col mettersi alquanto
di cattivo umore, ma non osservai traccia veruna di sopracciglia aggrottate. Nè, quando montano in
furia, se ne può scorgere alcuna. Due volte feci bruscamente passare due chimpanzè dalla relativa
oscurità della loro gabbia alla viva luce del sole, che ad un uomo avrebbe di certo fatto aggrottare il
sopracciglio; essi batteano gli occhi, ma solo una volta mi fu dato osservare un leggerissimo
aggrottamento. In un'altra occasione, solleticai con una paglia il naso d'un chimpanzè, e siccome
contraeva il viso, vidi apparire tra i sopraccigli delle grinze verticali poco distinte. Non ho mai
osservato verun aggrottamento sulla fronte dell'orang.
Quando il gorilla è in furore, si dice che rizzi la cresta di peli, abbassi il labbro inferiore, dilati
le narici e mandi spaventevoli urli. Secondo i signori Savage e Vyman
(
108
)
, il cuoio capelluto può
muoversi libero dall'indietro all'avanti, e, sotto l'influenza della collera «si contrae» vivamente. Io
credo che con quest'ultima espressione essi vogliano dire che il cuoio capelluto si abbassa, «quando
grida, egli ha le sopracciglia molto contratte». La grande mobilità del cuoio capelluto nel gorilla, in
molti babbuini e in parecchie altre scimie, merita di venir segnalata a causa del rapporto tra questo
fenomeno e la facoltà che posseggono alcuni uomini di muoverlo anche volontariamente per un
effetto di riversione o di persistenza
(
109
)
.
Stupore, spavento. - Un dì, al Giardino zoologico, feci collocare una testuggine d'acqua dolce,
viva, nella medesima gabbia con molte scimie; esse manifestarono uno smisurato stupore, ed
insieme un po' di spavento. Restavano immobili, guardando fisso, cogli occhi spalancati, e movendo
frequentemente le palpebre dall'alto in basso. Il loro viso pareva alquanto allungato. Di quando in
quando si sollevavano sulle gambe di dietro per veder meglio. Spesso rinculavano di alcuni passi,
poi si rimettevano a guardare con attenzione, girando la testa sovra una spalla. Cosa curiosa, erano
assai meno sgomentate dalla vista di questa testuggine che da quella di un serpente vivo da me
giorni addietro collocato nella loro gabbia
(
110
)
; perocchè, in capo ad alcuni minuti, parecchie di esse
107
()
Vedi sull'orang. il prof. OWEN, Proc. Zool. Soc., 1830, p. 28. Sul chimpanzè vedi il professore
MACALISTER, Annals and Mag. of Nat. Hist., vol. VII, 1871, p. 342: questo osservatore constatò che il sopraccigliare
non può venir separato dall'orbicolare delle palpebre.
108
()
Boston Journal of Nat. Hist., 1845-47, vol. V, p. 423. - Sul chimpanzè, vedi lo stesso, ivi 1843-44, vol. IV, p.
365.
109
()
Veggasi su questo argomento l'Origine dell'Uomo, trad. ital., pag. 21.
110
()
Origine dell'Uomo, trad. ital., pag. 37.
s'azzardarono di avvicinarsi e di toccar la testuggine. Peraltro taluno fra i più grandi babbuini era
atterrito al massimo grado, e mostrava i denti come fosse stato sul punto di mandar delle grida. Feci
vedere al Cynopithecus niger una piccola fantoccia vestita: ei s'arrestò immobile, cogli occhi
spalancati e fissi, e le orecchie piegate alquanto in avanti. Ma quando fu collocata la testuggine nella
sua gabbia, questa scimmia cominciò a muover le labbra in un modo singolare, rapido e rumoroso,
il che, a dir del custode, aveva per iscopo di carezzare o di allettar la testuggine.
Non ebbi mai agio di osservare nettamente se, nella espressione dello stupore, le sopracciglia
della scimia si mantengono permanentemente elevate, mentre le ho viste spesse volte muoversi
dall'alto in basso. Nell'uomo, l'attenzione, che precede lo stupore, si esprime con una leggera
elevazione delle sopracciglia. Il dottor Duchenne m'ha narrato che, quando presentava alla scimia
onde già m'intrattenni qualche novella e sconosciuta leccornìa, questo animale dapprima rialzava
alquanto le sopracciglia e si dava un'aria di profonda attenzione; prendeva quindi l'oggetto tra le
dita, e colle sopracciglia abbassate o rettilinee, lo grattava, lo fiutava, lo esaminava, ed in allora
assumeva un'espressione riflessiva. Quando a quando rovesciava un po' la testa all'indietro e
ricominciava il suo esame alzando bruscamente le sopracciglia; infine lo assaporava.
Le scimie non aprono mai la bocca in segno di stupore. Il signor Sutton, che per mio conto
osservò a lungo un giovane orang ed un chimpanzè, non li vide mai aprire la bocca, nemmeno
quando erano affatto sbalorditi o quando prestavano l'orecchio a qualche inusitato rumore. Questo
fatto è curioso, imperocchè nell'uomo, sotto l'impressione della sorpresa, non v'ha forse carattere
espressivo più generale della bocca spalancata. Per quanto potei osservare, la scimia respira per le
narici più liberamente dell'uomo, il che può dare spiegazione al precedente fenomeno; infatti,
vedremo in uno dei seguenti capitoli che l'uomo, colpito di stupore, apre probabilmente la bocca,
prima per effettuare una profonda inspirazione, e in secondo luogo, per respirare più facilmente che
sia possibile.
Molte specie di scimie esprimono il terrore mandando penetranti grida; nello stesso tempo le
labbra si ritirano indietro, in modo da mettere a nudo i denti. Il pelo si erige, sopratutto quando un
po' di collera si mesce al predetto sentimento. Il sig. Sutton vide distintamente la faccia del
Macacus rhesus farsi pallida sotto l'influenza dello spavento. Il terrore fa tremare anche le scimie,
che lasciano talora sfuggire i loro escrementi. N'ebbi a veder una la quale tutte le volte che la si
afferrava, per eccessivo terrore cadeva quasi in deliquio.
In presenza al numero considerevole di fatti che abbiamo citati relativamente alle espressioni
dei diversi animali, è impossibile condividere l'opinione di sir C. Bell, quando dice
(
111
)
che «la faccia
degli animali sembra principalmente capace di esprimere la collera e lo spavento», ed altrove, che
tutte le loro espressioni «possono essere rapportate, più o meno completamente, ai loro atti di
volizione o ai loro istinti necessari». Se vuolsi bene osservare un cane nel punto in cui si dispone ad
attaccare un altro cane od un uomo, e lo stesso animale quando carezza il proprio padrone; se si
studia la fisionomia d'una scimia allorchè è provocata e quando è carezzata dal suo custode, si dovrà
ad ogni costo riconoscere che i moti dei lineamenti ed i gesti sono quasi altrettanto espressivi in
questi animali che nell'uomo. Avvegnachè alcune di codeste espressioni negli animali non possano
ancora ricevere interpretazione soddisfacente, nullameno già ci è dato spiegare il maggior numero di
esse coi tre principii enunciati sul cominciar del primo capitolo.
CAPITOLO VI.
ESPRESSIONI SPECIALI ALL'UOMO: DOLORE E PIANTO
Grida e pianto nel fanciullo. - Aspetto dei lineamenti. - Età in cui comincia il pianto. - Effetti della repressione abituale
del pianto. - Singulto. - Causa della contrazione dei muscoli che attorniano l'occhio durante le grida. - Causa
della secrezione delle lagrime.
111
()
Anatomy of Expression, terza edizione, 1844, p. 138, 121.
In questo e nei seguenti capitoli mi propongo di descrivere e di spiegare - per quanto è
possibile - le espressioni manifestate dall'umana fisonomia sotto l'influenza dei vari stati dell'animo.
E disporrò le mie osservazioni secondo l'ordine che a me pare più logico, vale a dire facendo, in
maniera generale, succedere l'una all'altra emozioni o sensazioni di carattere opposto.
Dolori fisici e morali; pianto. - Nel capitolo III ho già descritto con sufficienti dettagli, quali
segni di un estremo dolore, le grida o i gemiti, le convulsioni di tutto il corpo, il restringimento delle
mascelle o il digrignare dei denti. Questi segni sono spesso accompagnati o seguiti da un
abbondante sudore, dalla pallidezza, dal tremito, da una completa prostrazione, dal deliquio. Non
v'ha dolore più grande di quello cagionato da una paura o da un orrore spinto all'ultimo limite; ma,
in questo caso, entra in giuoco una speciale e distinta emozione, sulla quale avremo a ritornare. Il
dolore prolungato, sovratutto il dolore morale, si trasforma in abbattimento, tristezza,
scoraggiamento, disperazione; questi stati diversi formeranno soggetto del seguente capitolo. Per
ora m'intratterrò quasi esclusivamente sul pianto e sulle grida, in particolare nel fanciullo.
Quando il bambino soffre un dolore anche leggiero, una fame moderata, una semplice
contrarietà, manda grida violente e prolungate. Infrattanto i suoi occhi si chiudono energicamente e
si cingono di pieghe; la fronte s'aggrinza e il sopracciglio s'increspa. La bocca spalancasi e le labbra
contraggonsi in un modo speciale, che a questo orifizio una forma pressochè quadrangolare; le
gengive od i denti si discoprono più o meno. La respirazione si precipita e diviene quasi
spasmodica. Non è cosa difficile far codeste osservazioni sopra un fanciullo mentre grida; ma io
credo si ottengano migliori. risultati ricorrendo a fotografie istantanee, le quali si possono studiare a
bell'agio e con ogni attenzione. Io riunii una dozzina di queste fotografie, la maggior parte eseguite
per conto mio: esse rappresentano tutte gli stessi generali caratteri; ond'io ne feci riprodurre sei
(Tavola I) coll'incisione eliografica
(
112
)
.
L'energico rinserrar delle palpebre, che costituisce un elemento di primo ordine nelle varie
espressioni della fisonomia, e la compressione esercitata sui globi oculari, che n'è la conseguenza,
proteggono gli occhi, come sarà or ora spiegato, contro il pericolo di un afflusso sanguigno troppo
considerevole. Quanto all'ordine, secondo il quale i vari muscoli si contraggono per produrre tale
compressione, fu questo, da parte del dottor Langstaff, di Southampton, l'oggetto di alcune
osservazioni, cui mi volle comunicare e ch'io ho verificate dappoi. A rendersene conto, il miglior
mezzo è quello di pregare una persona a voler alzare dapprima le sopracciglia in modo da solcare la
fronte di rughe trasverse, poi di contrarre lentamente tutti i muscoli che attorniano gli occhi con una
energia gradualmente crescente ed infine con tutte le forze. Prego qui il lettore poco famigliarizzato
colle cognizioni anatomiche di gettare lo sguardo sulle figure 1, 2 e 3. Pare che i corrugatori
sopraccigliari (corrugatores supercilii) sieno i primi muscoli che si contraggono; essi attirano gli
integumenti in basso ed in dentro verso la base del naso, facendo comparire le pieghe verticali che
costituiscono l'aggrottamento dei sopraccigli, e tolgono nello stesso tempo le grinze trasversali del
fronte. Quasi simultaneamente, entrano in azione i muscoli orbicolari ed increspano gl'integumenti
che attorniano gli occhi; tuttavia sembra che la loro contrazione acquisti una maggiore energia,
appena quella dei sopraccigliari ha dato loro un punto d'appoggio. Ultimi entrano in giuoco i
piramidali del naso, abbassando ancora le sopracciglia e la pelle del fronte, e producendo delle corte
rughe trasverse sulla radice del naso
(
113
)
. A dir breve, noi distingueremo spesso l'insieme di questi
diversi muscoli col termine generale di muscoli orbicolari o peri-oculari.
112
()
Le migliori fotografie della mia collezione sono dovute al signor Rejlander, di Londra (Victoria Street), ed al
signor Kindermann, di Amburgo. Le figure 1, 3, 4 e 6 sono del primo; le figure 2 e 5 del secondo. La figura 6
rappresenta un fanciullo di età più avanzata che piange moderatamente.
113
()
HENLE (Handbuch d. Syst. Anat., 1858, vol. I, p. 139) concorda col sig. Duchenne nell'attribuir questo effetto
alla contrazione del m. pyramidalis nasi.
Tav. I
Quando gli anzidetti muscoli sieno energicamente contratti, quelli che corrono al labbro
superiore
(
114
)
, entrano alla lor volta in azione e lo elevano; conseguenza facile a prevedersi, allorchè
si rammentino le connessioni esistenti almeno fra uno di loro, il malaris e l'orbicolare. Contraete
grado grado i muscoli peri-oculari, e sentirete quasi subito, a misura che lo sforzo diverrà più
energico, il vostro labbro superiore sollevarsi alquanto in uno alle pinne del naso, che in parte sono
dirette dai medesimi muscoli. Nello stesso tempo tenete la bocca perfettamente chiusa, poi lasciate
andar bruscamente le labbra e sentirete ben presto farsi maggiore la pressione esercitata sui vostri
occhi. Esaminate parimenti una persona che, esposta ad una vivida luce o volendo fissare un oggetto
lontano, è costretta a chiudere in parte le palpebre, - e quasi sempre osserverete che il suo labbro
superiore leggermente s'innalza. In alcuni individui, i quali, per una miopia, hanno l'abitudine di
restringere, guardando, l'orifizio palpebrale, si vede che la bocca assume, dopo lungo tempo,
un'espressione di smorfia.
L'elevazione del labbro attira la parte superiore delle guancie, e luogo su ciascuna di esse
ad uno spiccatissimo solco, il solco naso-labiale, che, partendo daccanto alla pinna del naso, si
prolunga fino al di sotto della commissura. Questo solco può osservarsi su tutte le mie fotografie;
114
()
Questi muscoli sono: l'elevatore comune del labbro superiore e della pinna, l'elevatore proprio del labbro
superiore, il malare ed il piccolo zigomatico. Quest'ultimo muscolo è collocato parallelamente e al disotto del grande
zigomatico e s'attacca alla parte esterna del labbro superiore. Esso è rappresentato nella fig. 2 ma non nelle figure 1 e 3.
Il dott. DUCHENNE dimostrò per il primo l'importanza della contrazione di questo muscolo in rapporto al grido
(Mécanisme de la Physionomie Humaine. Album, 1862, p. 39). Henle considera i muscoli su nominati (eccettuato il
malaris) come suddivisioni di un solo e medesimo muscolo, il quadratus labii superioris.
esso costituisce un segno assai caratteristico della fisonomia del fanciullo che piange; per altro se ne
produce uno quasi eguale nell'atto del riso o del sorriso
(
115
)
.
Mentre, come abbiamo spiegato, il labbro superiore, durante le grida, è a questo modo teso in
alto, i muscoli abbassatori degli angoli della bocca (fig. 1 e 2 K), per mantenere questa spalancata e
lasciar passare un volume considerevole di suono, vengono energicamente contratti. Codesta azione
antagonista dei muscoli superiori ed inferiori tende a dare all'apertura boccale una forma oblunga,
pressochè quadrata; gli è ciò che si vede nelle annesse fotografie. Un romanziere, osservatore
eccellente
(
116
)
, descrivendo un bambino che grida mentre gli sia mangiare, dice: «La sua bocca si
faceva quadrata, e la zuppa sfuggiva dai quattro angoli». Io penso - e d'altra parte torneremo su
questo punto in un altro capitolo - io penso che gli abbassatori degli angoli della bocca sieno meno
soggetti al controllo isolato della volontà che i muscoli vicini; dimodochè, quando un fanciullo si
dispone a piangere senza esservi ancora ben deciso, questi muscoli sono in generale i primi a
contrarsi, e gli ultimi a cessare d'essere contratti. Allorchè un fanciullo d'età più avanzata comincia a
piangere, i muscoli che corrono al labbro superiore sono spesso i primi a contrarsi; forse perchè il
fanciullo più avanti cogli anni ha meno tendenza a piangere fragorosamente e di conseguenza a
tener la bocca spalancata, dimodochè i muscoli abbassatori su accennati non agiscono tanto
energicamente.
Ho osservato di spesso in uno de' miei figliuoli, a partire dall'ottavo giorno dalla sua nascita e
per qualche tempo dopo che il primo segno d'un accesso di grida, quando pure lo si poteva cogliere,
era un leggiero aggrottamento delle sopracciglia dovuto alla contrazione dei sopraccigliari; nello
stesso tempo, i vasi capillari della faccia e della testa, sprovvista di capelli, si riempiono di sangue.
Appena l'accesso cominciava realmente, tutti i muscoli peri-oculari si contraevano con forza e la
bocca si spalancava nel modo su esposto; per la qual cosa, fin da un'età così tenera, i lineamenti
assumono già la medesima forma che ad un'epoca più avanzata.
Il. dottor Piderit
(
117
)
insiste molto sulla contrazione di certi muscoli che tirano in basso il naso
e restringono le narici, come se questo fosse un segno eminentemente caratteristico della
espressione del pianto. I depressori (depressores anguli oris), siccome vedemmo, sono
generalmente contratti nel medesimo tempo, e, secondo il dottor Duchenne, tendono indirettamente
ad agire nello stesso modo sul naso. Questa stessa apparenza di restrizione del naso si può notare
nei fanciulli molto infreddati: apparenza in parte dovuta, come m'ha fatto osservare il dottor
Langstaff, al loro continuo respirar per il naso ed alla pressione dell'atmosfera che in seguito si
esercita da ciascun lato. Lo scopo di questa contrazione delle narici nei fanciulli che sono infreddati
o che piangono, sembra esser quello d'opporsi al flusso del muco o delle lagrime e d'impedire a
questi fluidi di riversarsi sul labbro superiore.
Dopo un accesso di grida prolungato e violento, il cuoio capelluto, il volto e gli occhi si fanno
rossi, in seguito all'ostacolo arrecato alla circolazione centripeta dagli sforzi violenti di espirazione;
ma l'arrossamento degli occhi irritati si deve all'abbondante spargimento di lagrime. I vari muscoli
della faccia, che furono energicamente contratti, stirano ancora un po' i lineamenti, ed il labbro
115
()
Il dott. DUCHENNE studiò con minuziosa cura la contrazione dei diversi muscoli e le pieghe che si producono
sul viso nel pianto; mi sembra tuttavia che nelle sue risultanze v'abbia ancora qualche imperfezione, qualche lacuna, che
d'altra parte mi è impossibile precisare. Infatti nel suo album (fig. 48) si trova una Tavola, in cui, galvanizzando i
muscoli opportuni, s'è fatta sorridere una metà della faccia, mentre l'altra metà comincia a piangere. Ora, su ventuna
persone a cui ho mostrata questa figura, quasi tutti (diciannove) riconobbero subito l'espressione del lato sorridente. Per
l'altro lato, al contrario, sei persone soltanto giudicarono giusto o quasi, trovandovi effettivamente la espressione della
tristezza, della sofferenza, della contrarietà; le altre quindici commisero i più singolari errori e credettero scorgervi le
espressioni di una folle allegria, della soddisfazione, dell'astuzia, del disgusto, ecc. Puossi conchiudere che nella
espressione v'ha qualche cosa di inesatto. Ciò che può aver tratto in errore gli è, che non s'immagina di veder piangere
un vecchio, e che non v'ha traccia alcuna di lagrime. In un'altra figura del dottore DUCHENNE (fig. 49), nella quale i
muscoli d'una metà della faccia sono galvanizzati allo scopo di rappresentare un uomo che comincia a piangere, col
sopracciglio del medesimo lato obliquo, - ciò ch'è un segno caratteristico dell'affanno, - l'espressione venne riconosciuta
da un numero di persone proporzionalmente più grande. Su ventitre, quattordici risposero con esattezza: angoscia,
afflizione, dolore, pianto imminente, sofferenza, ecc.; le altre nove non seppero formarsi un giudizio o colpirono
assolutamente in fallo, e risposero astuzia, allegria, abbagliamento, sforzo per rilevare un oggetto lontano, ecc.
116
()
Madama GASKELL, Mary Barton, nuova edizione, pag. 84.
117
()
Mimik und Physiognomik, 1867, pag. 102. DUCHENNE, Mécanisme de la Physionomie humaine. Album, p.
34.
superiore è leggermente rialzato o rovesciato
(
118
)
, mentre gli angoli orali un poco si abbassano. Ho
provato io stesso, ed osservai su altre persone adulte, che quando si dura fatica a trattenere le
lagrime, siccome alla lettura di un commovente racconto, è quasi impossibile impedire che i vari
muscoli, i quali agiscono così energicamente nei fanciulli durante gli accessi di grida, sussultino o
tremino leggermente.
Nelle prime settimane di vita il bambino, come san bene le nutrici ed i medici, non isparge
lagrime. ciò dipende solo dall'inettitudine delle glandule lacrimali a secernere; imperocchè
(l'ebbi a notare per la prima volta) avendo sfiorato accidentalmente colla fodera del mio soprabito
l'occhio aperto di un mio figliuolino di settantasette giorni, glie ne venne un'abbondante
lagrimazione; e quantunque il bambino mandasse grida violente, l'altro occhio si mantenne asciutto,
o per lo meno non s'umettò che assai leggermente. Dieci avanti, in un accesso di grida, avevo
osservato questo debole spargimento di lagrime su entrambi gli occhi. In questo medesimo
pargoletto, a cento e ventidue giorni, le lagrime non celavano ancora sotto le palpebre,
discendevano lungo le guancie. Ciò avvenne per la prima volta diciassette giorni più tardi, ci
all'età di centotrentanove dì. Feci sottoporre all'osservazione anche altri bambini, e l'epoca in cui
appaiono veramente le lagrime mi sembra molto variabile. In un caso gli occhi si umettano
leggermente a soli venti giorni di vita; in un altro a sessantadue. In due altri bambini le lagrime non
colavano ancora sul viso a ottantaquattro e a cento e dieci giorni; in un terzo, a cento e quattro. Mi
venne asserito che in un pargoletto si videro colare le lagrime all'età notevolmente precoce di
quarantadue giorni. Sembra che le glandule lacrimali abbiano uopo di una certa abitudine acquisita
prima di poter entrare agevolmente in azione, quasi nella stessa maniera con cui i vari movimenti e
gusti consensuali trasmessi per eredità richiedono un certo esercizio prima d'essere stabiliti e ridotti
al loro stato definitivo. Questa ipotesi è sovratutto verosimile per un'abitudine qual è quella del
pianto, che dev'essere stata acquisita posteriormente all'epoca in cui l'uomo si è separato dalla
origine comune del genere Uomo e dalle Scimie antropomorfe, le quali non piangono.
Ell'è cosa notevole che il dolore, alcun'altra emozione provochi nel primo periodo della
vita la secrezione delle lagrime, le quali più tardi diventano l'espressione più generale e più spiccata.
Una volta che il fanciullo acquistò l'abitudine, essa esprime nel modo più chiaro la sofferenza di
ogni genere, il dolore corporale come l'angoscia dell'anima, anche allora che questa si accompagna
ad altre emozioni, come la paura o la collera. Peraltro il carattere del pianto si modifica molto per
tempo, siccome osservai sui miei propri figli, ed il pianto della collera differisce da quello del
dolore. M'ha narrato una madre, che la sua figliuolina, di nove mesi, quand'è in collera, grida con
violenza, ma senza piangere; ma se la si punisce facendola sedere col dorso contro la tavola, le sue
lagrime cominciano a cadere. Questo divario deve forse attribuirsi al fatto che, avanzando in età, noi
reprimiamo il pianto nella maggior parte dei casi, tranne nell'angoscia; e a quell'altro che l'influenza
di codesta abituale repressione si trasmette per eredità ad un'epoca della vita più precoce di quella in
cui fu dapprima esercitata.
Nell'adulto, e sovratutto nel sesso maschile, il dolore fisico non provoca più lo spargimento di
lagrime, e questo espressivo carattere sparisce assai presto. Ciò si spiega pensando che tanto le
nazioni civilizzate quanto le razze barbare considerano una indegna viltà per un uomo di
manifestare con segni esteriori il dolore fisico. Fattane questa eccezione, si sa che i selvaggi versano
abbondanti lagrime per cause estremamente futili. Sir J. Lubbock raccolse «molte osservazioni in
proposito
(
119
)
. Un capo della Nuova Zelanda «si mise a piangere come un fanciullo, perchè i marinai
avevano lordato il suo mantello prediletto spandendovi della farina». Nella Terra del Fuoco ho visto
un naturale, orbo appena del fratello, che, passando alternativamente dal dolore alla gaiezza,
piangeva con una violenza isterica, e un momento dopo sghignazzava di tutto che poteva distrarlo.
Del resto le nazioni civilizzate dell'Europa, in riguardo alla frequenza del pianto, presentano
spiccatissime differenze. L'Inglese non piange che sotto l'incubo di un eccessivo dolore; in alcune
parti del continente, all'incontro, gli uomini spargono lagrime molto più facilmente ed in copia
maggiore.
È noto che gli alienati si abbandonano senza ritegno, o quasi, a qualunque emozione. Secondo
le informazioni fornitemi dal dottor J. Crichton Browne, il sintomo più caratteristico della semplice
118
()
Questa osservazione fu fatta dal dottor DUCHENNE, Mécanisme de la Physionomie humaine, Album, p. 39.
119
()
The Origin of Civilization, 1870, p. 355.
malinconia, anche nel sesso maschile, è una tendenza a piangere per i più futili motivi, ed eziandio
senza causa veruna, o a piangere in un modo affatto esagerato in presenza d'un reale argomento
d'affanno. Il tempo per cui possono piangere certi malati di questa categoria, siccome la quantità
delle lagrime sparse, son veramente prodigiosi. Una giovinetta, colta da malinconia, dopo aver
pianto per tutto un giorno, fi col confessare al dottor Browne che ciò dipendeva unicamente dalla
ricordanza di essersi rase un le sopracciglia, onde avessero a crescer più fitte. Nell'Asilo si
veggono talvolta malati star ore intiere a dondolarsi dall'avanti all'indietro, e «se si fa per parlare a
loro, s'arrestano, increspano gli occhi, abbassano gli angoli della bocca e scoppiano in lagrime». In
certi casi sembra che un motto, un saluto benevolo bastino ad inspirar loro qualche idea fantastica e
mesta; altre volte, è uno sforzo di qualunque natura che provoca il pianto, indipendentemente da
ogni doloroso pensiero. Gli individui colti da acuta manìa hanno anche, in mezzo al loro incoerente
delirio, violenti accessi di pianto. Non bisogna peraltro considerare questi abbondanti spargimenti di
lagrime negli alienati, siccome unicamente dovuti alla mancanza di ogni ritegno; perocchè certe
affezioni cerebrali, come l'emiplegia, il rammollimento e il marasmo, presentano pure una speciale
disposizione a provocare le lagrime. D'altra parte, negli alienati il pianto è frequente anche poichè
hanno raggiunto uno stato di completa imbecillità e perduta la facoltà di parlare. I nati idioti
piangono pur essi
(
120
)
; sembra che così non avvenga dei cretini.
In seguito a ciò che osserviamo nel fanciullo, sembra che il pianto costituisca l'espressione
naturale e primitiva di ogni dolore, del dolore morale, e del dolore fisico quando questo non è spinto
agli ultimi limiti. Tuttavia i precedenti fatti e la continua esperienza ci mostrano che uno sforzo
ripetuto sovente per soffocare le lagrime, associato a certi stati dell'animo, agisce molto efficace, ed
alla fine ci dà, sotto questo riguardo, un grande impero su noi medesimi. Sembra all'incontro che
l'abitudine abbia anche il potere di accrescere la facoltà di piangere: così il reverendo R. Taylor
(
121
)
,
che tenne a lungo sua residenza nella Nuova Zelanda, asserisce che le donne possono
volontariamente spargere abbondanti lagrime: elleno si riuniscono a pianger sui morti, e si gloriano
di farlo «a gara nel modo più compassionevole».
Sembra che uno sforzo isolato allo scopo di reprimere le lagrime eserciti poca influenza sulle
glandule lacrimali, ed anzi che abbia di spesso un effetto contrario a quello che se n'attende. Un
vecchio medico, ricco d'esperienza, mi dicea di non aver mai trovato che un solo mezzo per metter
un termine agl'indomabili accessi di pianto che talvolta vediamo prodursi nelle donne: ed era di
pregarle con insistenza onde non facessero sforzo veruno per contenersi e d'assicurarle che nulla
porterebbe loro sollievo meglio d'un lungo e copioso spargimento di lagrime.
Nel bambino le grida consistono in prolungate espirazioni, interrotte da inspirazioni corte e
rapide, quasi spasmodiche; ad un'età più avanzata appare il singhiozzo. Secondo Gratiolet
(
122
)
la
glottide ha il principale uffizio nell'atto del singhiozzo, che si produce «al momento in cui
l'inspirazione vince la resistenza della glottide e l'aria si precipita nel petto». Nullameno l'atto
completo della respirazione è parimente spasmodico e violento. In generale le spalle si sollevano,
moto che rende più facile la respirazione. In un mio figliuoletto, quand'avea settantasette giorni, le
inspirazioni erano rapide e forti, che il loro carattere s'avvicinava a quello del singhiozzo: solo
all'età di cento e trentotto giorni notai per la prima volta un distinto singulto, e da questo momento,
ogni accesso violento di pianto era seguito da singhiozzi. Come si sa, i movimenti respiratorii sono
in parte volontari ed in parte involontari, ed io credo che il singhiozzo, almeno parzialmente, sia
dovuto al fatto che il bambino, poco dopo la nascita, acquista una certa potenza per comandare ai
propri organi vocali e per arrestare le grida, mentre fruisce d'un potere ben inferiore sui muscoli
respiratorii, i quali, messi violentemente in azione, continuano ancor qualche tempo ad agire in
modo involontario o spasmodico. Il singulto sembra speciale alla specie umana; infatti, i custodi del
Giardino zoologico mi hanno asserito di non aver giammai osservato nulla di simile in veruna
specie di Scimia; quantunque le Scimie, inseguite o prese, mandino spesso acute grida e restino
dappoi per lungo tempo anelanti. Così tra il singhiozzo e l'abbondante spargimento di lagrime esiste
un'intima analogia; infatti, il singulto non comincia dalla più tenera infanzia, ma comparisce più
120
()
Vedi ad esempio le osservazioni del signor MARSHALL sopra un idiota in Philosoph. Transact., p. 526. Sui
cretini, vedi dott. PIDERIT, Mimik und Physiognomik, 1867, p. 61.
121
()
New Zealand and its Inhabitants, 1855, p. 175.
122
()
De la Physionomie, 1865, p. 126.
tardi e quasi improvviso, per seguire in avanti ogni accesso di pianto, fino a che codesta abitudine
col progredir dell'età venga repressa.
Cause della contrazione dei muscoli, che circondano l'occhio, durante le grida. - Vedemmo
che i bambini, nell'infanzia ed anche nella puerizia, allora che gridano, per la contrazione dei
muscoli circostanti, chiudono invariabilmente gli occhi con energia, in modo da produr sulla pelle
delle pliche caratteristiche. Nel giovinetto ed eziandio nell'adulto, tutte le volte in cui si produca un
accesso di pianto violento e senza ritegno, puossi pure notare una tendenza alla contrazione di
questi medesimi muscoli; tuttavia la volontà fa spesso ostacolo a tal contrazione, onde la vista non
ne sia incomodata.
Sir C. Bell spiega questo fatto nel modo seguente
(
123
)
: «Quando si produce un violento sforzo
di espirazione, sia che si tratti di ghigno, di pianto, di tosse o di starnuto, il globo dell'occhio vien
fortemente compresso dalle fibre dell'orbicolare; questa compressione ha lo scopo di proteggere il
sistema vascolare dell'interno dell'occhio contro un impulso retrogrado comunicato in tal momento
al sangue venoso. Allorchè si contrae il petto per espellere l'aria, il sangue s'arresta nelle vene del
collo e della testa, e, nei più energici sforzi, esso non si limita a distendere i vasi, ma rifluisce nei
ramoscelli vascolari. Se in questo momento l'occhio non andasse soggetto ad una conveniente
pressione, opponendo resistenza all'urto sanguigno, potrebbero avvenire irreparabili lesioni nei
delicatissimi tessuti del globo oculare». E più avanti, lo stesso autore aggiunge: «Se si sollevano le
palpebre d'un fanciullo per esaminare i suoi occhi, nell'istante in cui piange e grida con collera, la
congiuntiva s'inietta bruscamente di sangue e le palpebre vengono respinte, perchè a questo modo è
soppresso il punto d'appoggio naturale del sistema vascolare dell'occhio ed insieme l'ostacolo
opposto alla corrente circolatoria d'invadere i canali sanguigni».
In base alla nota di sir C. Bell, spesso confermata dalle mie proprie osservazioni, i muscoli
peri-oculari si contraggono con energia non solo durante il pianto, il riso, la tosse e lo starnuto, ma
ancora in vari altri atti di analoga natura. Osservate ad esempio un individuo che si soffi il naso con
forza. Pregai un dì un mio ragazzo a mandar con ogni sua possa un grido violento; ben tosto ei prese
a contrarre i muscoli orbicolari: ripetei varie volte la stessa esperienza col medesimo risultato; e
quando gli chiesi perchè ad ogni momento chiudesse tanto gli occhi, conobbi ch'ei non se
n'accorgeva nemmanco; per la qual cosa egli agiva per istinto e affatto inconscientemente.
Affinchè questi muscoli entrino in azione, non è indispensabile che l'aria sia realmente
cacciata fuori del petto; basta che i muscoli del torace e dell'addome si contraggano con gran forza,
mentre l'occlusione della glottide impedisce all'aria di sfuggire. Nel vomito e nella nausea, l'aria
riempie i polmoni e fa scendere il diaframma, che in seguito è mantenuto in posizione dalla chiusura
della glottide «e dalla contrazione delle sue proprie fibre»
(
124
)
. I muscoli addominali si contraggono
allora vigorosamente, comprimendo lo stomaco, le di cui fibre agiscono contemporaneamente, ed il
contenuto ne viene così espulso. Durante ogni sforzo di vomito, «nasce una forte congestione alla
testa, il viso si fa rosso e si gonfia, e le grosse vene che solcano la faccia e le tempia si dilatano
visibilmente». Io ho constatato che nel medesimo tempo i muscoli circostanti dell'occhio sono in
istato di forzata contrazione. Ed è pur così quando i muscoli dell'addome agiscono dall'alto in basso,
con insolita energia, per espellere il contenuto del canale intestinale.
L'azione dei muscoli del corpo, per quanto sia energica, non provoca la contrazione dei
muscoli peri-oculari, se anche il torace non agisce vigorosamente per espellere l'aria o per
comprimerla nei polmoni. Osservai i miei figliuoli al momento in cui facevano gli sforzi più
violenti nei loro esercizi ginnastici, quando, ad esempio, si sollevavano sulle braccia più volte di
seguito, o quando portavano pesi notevoli, ma non vi seppi scorgere che una traccia appena
apprezzabile di contrazione nei muscoli peri-oculari.
Siccome la contrazione di questi muscoli, ad uno scopo di protezione per gli occhi durante
una espirazione violenta, costituisce indirettamente, come vedremo più tardi, un elemento
fondamentale di molte fra le nostre più importanti espressioni, così io bramava moltissimo di sapere
123
()
The Anatomy of Expression, 1844 p. 106. Veggasi anche una Memoria dello stesso autore in Philosophical
Transactions, 1822. p. 284; ibid., 1823, p. 166 e 289. Veggasi ancora The Nervous System of the Human Body, terza
ediz., 1836, p. 175.
124
()
Veggasi la descrizione del dottor BRINTON sul vomito in Todd's Cyclop. of Anatomy and Physiology, 1859,
vol. V, supplemento, p. 318.
fino a qual punto l'opinione di sir C. Bell fosse suscettibile di dimostrazione. Il professore Donders,
d'Utrecht
(
125
)
, conosciuto come una delle più competenti autorità in Europa su tutte le quistioni che
si riferiscono alla visione ed alla struttura dell'occhio, volle, dietro mia inchiesta, intraprendere
questo studio, giovandosi dei processi così ingegnosi della scienza moderna; ed ha recentemente
pubblicati i risultati ottenuti
(
126
)
. Ei dimostrò che durante una violenta espirazione, i vasi intra-
oculari, estraoculari e retro-oculari sono tutti impressionati in due modi, prima per l'aumento della
pressione sanguigna nelle arterie, e in secondo luogo per la impedita circolazione centripeta nelle
vene. Per conseguenza egli è certo che le arterie e le vene dell'occhio, durante ogni energico sforzo
di espirazione, vengono più o meno distese. In quanto alle particolarità sulle prove offerte dal
professore Donders, mi limito a rimandare alla sua pregevole Memoria. L'iniezione delle vene della
testa si riconosce facilmente al loro turgore ed al colore purpureo che assume la faccia, ad esempio,
in un uomo che quasi si soffoca perchè tosse con violenza. Appoggiandomi alla stessa autorità,
posso aggiungere che il globo oculare, nel suo complesso, senza alcun dubbio sporge alquanto ad
ogni violenta espirazione. Questo fenomeno è dovuto alla dilatazione dei vasi retro-oculari, e poteva
agevolmente prevedersi in seguito alle intime connessioni esistenti tra l'occhio ed il cervello; infatti,
levando una porzione della volta craniana, si vide il cervello sollevarsi ed abbassarsi ad ogni
movimento respiratorio; movimento che nei bambini può constatarsi alle suture non ancora chiuse.
Ed io credo che tale sia pur la ragione per cui gli occhi di un uomo strangolato sembrano sporgenti e
lì lì per ischizzar dalle orbite.
In riguardo a ciò che concerne l'influenza protettrice della pressione delle palpebre sugli occhi,
durante violenti sforzi di espirazione, il professore Donders, in seguito a svariate osservazioni,
conclude che codesta pressione certamente limita, anzi inceppa affatto la dilatazione dei vasi
(
127
)
. In
tali circostanze, egli aggiunge, noi vediamo varie volte le mani portarsi involontariamente al volto e
poggiarsi sovra le palpebre, quasi per venir loro in aiuto e prestare più efficace protezione agli
occhi.
Bisogna però convenire che i fatti sui quali ci è dato di basarci per dimostrare che gli occhi
possono infatti soffrire più o meno pel difetto d'un resistente punto d'appoggio nelle violente
espirazioni, non sono fino al presente molto numerosi; nullameno alcuni se ne possono citare. Egli è
certo «che energici sforzi espiratorii, durante la tosse od il vomito ed in particolare nello starnuto,
producono talvolta delle rotture nei vasellini (esteriori) dell'occhio»
(
128
)
. Il dottor Gunning ebbe a
riferire di recente un caso di tosse canina, seguita da esoftalmia, attribuendo questa complicazione
alla rottura dei vasi profondi dell'orbita. E s'osservarono parecchi analoghi fatti. Ma è probabile che
una semplice sensazione di tormento abbia dovuto bastare per condurre all'abitudine associata di
proteggere i globi oculari colla contrazione dei muscoli circostanti. E senza dubbio dovette bastarvi
l'attesa di una lesione e la sua possibilità; gli è così che un oggetto che s'avvicina troppo agli occhi
provoca un involontario ammiccar delle palpebre. Per le quali cose, dalle osservazioni di sir C. Bell,
e meglio dalle ricerche più precise del professore Donders, noi possiamo con ogni sicurezza
conchiudere che l'energico serrar delle palpebre in un fanciullo che grida, è un atto pieno di senso e
di una reale utilità.
Vedemmo di già che la contrazione dei muscoli orbicolari fa pur sollevare il labbro superiore,
125
()
Devo ringraziare il sig. Bowman, che m'ha messo in relazione col prof. Donders, e che m'ha aiutato a decidere
questo grande fisiologo ad intraprendere studi su tale soggetto. Sono pur debitore al signor Bowman per le varie
informazioni fornitemi colla maggior compiacenza su molti punti.
126
()
La Memoria del sig. DONDERS apparve dapprima nel Nederlandsch Archief voor Genees en Natuurkunde,
Deel, 5, 1870. Fu tradotta dal dottor W. D. MOORE, sotto il titolo: On the Action of the Eyelids in determination of
Blood from expiratory effort, negli Archives of Medicine, pubblicati dal dottor L. S. BEALE, 1870, vol. V, p. 20.
127
()
Il prof. DONDERS fa osservare (Archives of Medicine, pubblicati dal dott. L. S. BEALE, 1870, vol. V, p. 28)
che «in seguito ad una lesione dell'occhio, in seguito ad operazioni, ed in alcune forme d'infiammazione interna, noi
annettiamo un'estrema importanza alla uniforme compressione esercitata dalla chiusura delle palpebre, e l'aumentiamo
talvolta applicandovi una benda. In ogni caso, cerchiamo di evitare grandi sforzi espiratorii, gl'inconvenienti dei quali
sono ben conosciut. Il signor Bowman m'apprende che, in casi di eccessiva fotofobia, la quale accompagna ciò che nei
fanciulli prende nome di oftalmia scrofolosa - allorchè la luce riesce così penosa a sopportarsi da far chiudere
energicamente le palpebre per settimane e mesi intieri, - ei fu spesso meravigliato al pallore del globo oculare, o per dir
meglio, alla mancanza di quell'arrossamento ch'ei poteva aspettarsi sopra una superficie alquanto infiammata. Egli
inclina ad attribuire codesto pallore all'energico serrar delle palpebre.
128
()
DONDERS, ibid., p. 36.
ed in appresso, se la bocca si tiene spalancata, deprime le commessure per la contrazione dei
muscoli abbassatori. La formazione del solco naso-labiale è pure una conseguenza della elevazione
del labbro superiore. Così i principali movimenti espressivi del volto, mentre si piange, sembrano
tutti risultare dalla contrazione dei muscoli che attorniano gli occhi. E vedremo bentosto che anche
lo spargimento delle lagrime dipende dalla contrazione di questi stessi muscoli, od almeno vi ha un
certo rapporto.
In alcuno dei precedenti fatti, e particolarmente nella tosse e nello starnuto, può darsi che la
contrazione dei muscoli orbicolari serva accessoriamente a proteggere gli occhi contro la scossa o la
troppo intensa vibrazione prodotta dallo strepito che accompagna simili atti. Io credo che sia così;
imperocchè i cani ed i gatti, quando maciullano ossa dure fra' denti e talvolta anche quando
starnutano, chiudono certamente le palpebre; eppure i cani nol fanno allorchè abbaiano
fragorosamente. Il signor Sutton, avendo, dietro mia inchiesta, osservato con cura un giovane orang
ed un chimpanzè, constatò che l'uno e l'altro serravano sempre gli occhi tossendo o starnutando,
giammai all'incontro quando gridavano violentemente. Avendo io stesso amministrata una presuccia
di tabacco ad una scimia americana, un Cebus, vidi che starnutando serrava le palpebre; mentre in
altra occasione, mandando acute grida, tenea gli occhi aperti.
Causa della secrezione delle lagrime. - In ogni teoria riguardante l'influenza esercitata dallo
stato dell'animo sulla secrezione delle lagrime, v'ha un fatto importante che fa d'uopo tenere a
memoria. Ed è questo. Tutte le volte che i muscoli peri-oculari si contraggono involontariamente e
con energia onde proteggere gli occhi comprimendo i vasi sanguigni, la secrezione lacrimale è
attivata, e spesso diventa tanto abbondante, che le lagrime colano giù giù per le guancie. Questo
fenomeno si osserva sotto l'influenza delle più varie emozioni, come pure quando non ce n'ha
veruna. L'unica eccezione - ed anche questa solamente parziale - presentata da codesto rapporto tra
l'energica ed involontaria contrazione di questi muscoli e la secrezione delle lagrime, esiste nei
bambini; allorchè, tenendo le palpebre perfettamente chiuse, gridano con violenza: in fatto, si sa che
il pianto non apparisce che all'età di due a tre o quattro mesi. Tuttavia, anche avanti quest'epoca si
veggono gli occhi leggermente umettarsi. Ei sembra, come abbiam già fatto notare, che nel primo
periodo della vita le glandule lacrimali non posseggano tutta la loro attività funzionante; in seguito
ad un difetto d'abitudine o per qualche altra causa ignota. Quando il fanciullo è giunto ad un'età più
avanzata, le grida ed i pianti ch'esprimono il dolore s'accompagnano così regolarmente allo
spargimento delle lagrime, che le parole piangere e gridare sono quasi sinonime
(
129
)
.
Finchè il riso, ch'è una manifestazione delle emozioni contrarie alle precedenti, vale a dire
della gioia o del piacere, si mantien moderato, si produce appena una leggiera contrazione dei
muscoli peri-oculari, dimodochè le sopracciglia non s'aggrottano; ma alloraquando passa allo stato
di sghignazzata, con espirazioni rapide, violente, spasmodiche, il viso si asperge di lagrime.
Osservai a varie riprese la figura di certe persone, in seguito a violenti accessi di riso, e rimarcai che
i muscoli degli occhi e del labbro superiore erano ancora parzialmente contratti; le guancie si
vedeano umettate di lagrime, e queste due circostanze davano alla metà superiore della faccia una
espressione, cui sarebbe riescito impossibile distinguere da quella che caratterizza la figura d'un
fanciullo ancora agitata dai singhiozzi. Come vedremo più tardi, lo spargimento delle lagrime sul
volto, sotto l'influenza del riso violento, è un fenomeno comune a tutte le razze umane.
In un violento accesso di tosse, e specialmente in uno stato di semi-soffocazione, la faccia
diventa purpurea, le vene distendonsi, i muscoli orbicolari si contraggono energicamente e le
lagrime grondano sulle gote. Anche dopo un accesso ordinario di tosse, si sente quasi sempre il
bisogno di asciugarsi gli occhi. Nei violenti sforzi della nausea o del vomito, i muscoli orbicolari
son vivamente contratti, e talora le lagrime scorrono copiose sul volto: ebbi a fare queste
osservazioni su me stesso e su altri. Avendo udito avanzar l'opinione che tali fenomeni poteano
essere semplicemente dovuti alla introduzione nelle narici di sostanze irritanti, la cui presenza
provocherebbe per azione riflessa una sovrattività della secrezione lagrimale, io pregai un medico -
uno di quelli che mi furono cortesi d'aiuto in questo lavoro - a rivolgere la propria attenzione sugli
effetti degli sforzi di vomito, allorchè nulla venisse espulso dallo stomaco. Per una singolare
coincidenza, all'indomani questo medico fu preso egli stesso da nausee violente, e tre giorni dopo
129
()
ll signor HENSLEIGH WEDGW00D (Dict. of English Etymology, 1859, vol. I, p. 410) dice: «Il verbo to weep
deriva dall'anglo-sassone wop, il di cui senso originale è semplicemente gridare (outcry)».
ebbe l'occasione d'osservare una cliente in simili circostanze. In ciascun dei due casi, non v'ebbe un
atomo di materia reietta fuor dello stomaco, eppure i muscoli orbicolari si contrassero con forza e
sgorgarono lagrime copiose. Posso eziandio indubitatamente asserire che gli stessi muscoli si
contraggono con energia e che questa contrazione è accompagnata dalla secrezione delle lagrime,
quando i muscoli addominali agiscono con forza insolita dall'alto in basso sul canale intestinale.
Lo sbadiglio principia con una profonda inspirazione, seguita da una espirazione lunga ed
energica; nello stesso tempo quasi tutti i muscoli del corpo, compresi quelli che circondano gli
occhi, sono vivamente contratti: spesso si attiva la secrezione delle lagrime e talvolta ancora si
veggono colar per le gote.
Osservai di sovente che, quando in causa d'insopportabile prurito ci grattiamo, chiudiamo con
forza le palpebre; ma non credo che si cominci dal fare una profonda inspirazione per cacciar quindi
rigorosamente l'aria; ebbi mai a notare che in simili circostanze gli occhi si riempissero di
lagrime: non posso peraltro dire con certezza che così mai non avvenga. Forse l'energica occlusione
delle palpebre si rannoda semplicemente all'azione generale che ritira nello stesso momento tutti i
muscoli del corpo. Ell'è affatto diversa da quel dolce chiuder degli occhi che, secondo
un'osservazione di Gratiolet
(
130
)
, accompagna spesso la percezione d'un soave profumo per mezzo
dell'odorato o d'uno squisito sapore per via del gusto, e che senza dubbio è dovuto in origine al
desiderio di sbandire ogni estranea impressione.
Il professore Donders mi descrive il fatto seguente: «Ho osservato, egli dice, alcuni casi d'una
curiosissima affezione: in seguito ad un leggiero tocco, prodotto, per esempio, da un vestito e che
non cagiona lesione, contusione, si manifestano spasimi nei muscoli orbicolari, accompagnati da
copiosissimo spargimento di lagrime, che può durare per circa un'ora. Più tardi, e tal fiata dopo un
intervallo di molte settimane, si rinnovellano spasimi violenti dei medesimi muscoli, pur
accompagnati da lagrime e da antecedente o susseguente arrossamento degli occhi». Casi affatto
analoghi vennero talvolta osservati dal signor Bowman; in taluno fra questi non ci avea
arrossamento, nè infiammazione agli occhi.
Ero molto curioso di sapere, se in qualche animale esistesse un analogo rapporto tra la
contrazione dei muscoli orbicolari durante una espirazione, e la secrezione delle lagrime. Per
disavventura non ci ha che assai pochi animali i quali contraggano questi muscoli in modo
prolungato, ed assai pochi che piangano. Il Macacus maurus, ch'altra volta vedeasi piangere, al
Giardino zoologico, tanto copiosamente, sarebbe stato un eccellente individuo per tali osservazioni;
ma le due scimie che attualmente vi sono e che si crede appartengano alla medesima specie, non
piangono. Nullameno vennero studiate con cura dal signor Bartlett e da me, mentre mandavano
acute grida, e ci parve che contraessero questi muscoli; ma esse saltellavano da un lato all'altro della
gabbia con tale rapidità, che riesciva difficile istituire osservazioni precise. Per quanto io mi sappia,
nessun'altra scimia, gridando, contrae i muscoli orbicolari.
Si sa che qualche volta l'elefante indiano piange. Sir E. Tennent, descrivendo quei veduti da
lui catturati e prigioni a Ceylan, si esprime così: «Alcuni si manteneano immobili, accosciati sul
suolo, senza manifestare il proprio dolore altrimenti che per mezzo di lagrime le quali bagnavan
loro gli occhi e sgorgavano incessanti». E parlando d'un altro elefante: «Quando fu vinto e legato,
mostrò estremo dolore; la violenza die' luogo ad una completa prostrazione, ed ei piombò a terra,
mandando grida soffocate e colla faccia bagnata di lagrime»
(
131
)
. Al Giardino zoologico, il custode
degli elefanti indiani m'ha positivamente asserito d'aver visto molte volte cascar delle lagrime sulla
130
()
De la Physionomie, 1865, p. 217.
131
()
Ceylon, terza ediz., 1859, vol. II, p. 364, 376. Mi sono indirizzato al signor Thwaites, a Ceylan, per avere altre
informazioni relative al pianto dell'elefante; ebbi in risposta una lettera dal reverendo signor Glenie, che volle
gentilmente osservare per conto mio, insieme ad alcune altre persone, una truppa di elefanti catturati da poco. Allorchè
si recava loro molestia, mandavano grida violente, ma senza mai contrarre i muscoli peri-oculari e senza mai versar
lagrime. D'altra parte i cacciatori indigeni assicurano di non aver mai veduto un elefante a piangere. Nullameno mi pare
che non si possa mettere in dubbio i dettagli circostanziati offerti da sir E. Tennent, confermati per giunta dalle positive
affermazioni dei custodi del Giardino zoologico. È certo che i due elefanti del Giardino, nel punto in cui cominciavano a
gridare, contraevano invariabilmente i muscoli orbicolari. V'ha un solo mezzo per conciliare queste diverse asserzioni:
supporre cioè che gli elefanti recentemente catturati di Ceylan, furiosi o sgomenti, desiderassero osservare i loro
persecutori, contraessero quindi i muscoli orbicolari, per non disturbar la visione. Quelli che il signor Tennent vide
spargere lagrime erano abbattuti, e disperati, avean rinunciato alla lotta. Gli elefanti che, al Giardino zoologico,
gridavano obbedendo a un comando, non erano evidentemente atterriti, nè furibondi.
faccia della vecchia femmina, allorchè la si separava dal suo piccino. Mi pungea gran vaghezza di
constatare un fatto che veniva in appoggio della relazione esistente nell'uomo tra la contrazione dei
muscoli orbicolari e lo spargimento delle lagrime, e di verificare se gli elefanti, quando gridavano o
soffiavano fragorosamente colla proboscide, mettessero questi muscoli in azione. Alla preghiera del
signor Bartlett, il custode ordinò ai due elefanti, giovane e vecchio, di gridare e noi constatammo, a
varie riprese, sull'uno e sull'altro, che quand'essi cominciavano a gridare, i muscoli peri-oculari, e
sopratutto gl'inferiori, si contraevano assai nettamente. In un'altra occasione, avendo il custode fatto
gridar l'elefante molto più fortemente, vedemmo volta per volta i medesimi muscoli contrarsi
energicamente, così i superiori che gl'inferiori. Cosa singolare, l'elefante d'Africa - il quale, bisogna
dirlo, è tanto diverso da quello delle Indie, che certi naturalisti ne fanno un sotto-genere distinto -
non mostrò, in due circostanze in cui si provocarono le sue grida, la menoma traccia di contrazione
dei muscoli peri-oculari.
Concludendo dai vari esempi citati relativi alla specie umana, par cosa certa che la
contrazione dei muscoli peri-oculari, durante una violenta espirazione od un'energica compressione
del torace dilatato, sia in un modo o nell'altro intimamente connessa colla secrezione delle lagrime;
d'altra parte questi fenomeni si osservano sotto l'influenza di emozioni affatto diverse, ed anche
senza il concorso di emozione veruna. Ciò non vuol dire di certo che la secrezione delle lagrime non
possa prodursi senza la contrazione dei muscoli in discorso; tutti sanno infatti che le lagrime
sgorgano spesso copiose senza che le palpebre sieno chiuse e le sopracciglia aggrottate. La
contrazione può essere talvolta involontaria e prolungata, come durante un accesso di soffocamento,
o rapida ed energica, come in uno starnuto. Il solo ammiccar involontario delle palpebre non porta
lagrime agli occhi, benchè si ripeta frequente; basta la volontaria e prolungata contrazione dei
numerosi muscoli circostanti. Siccome nell'infanzia le glandule lacrimali entrano facilmente in
azione, io indussi i miei figli e molti altri di età diversa a contrarre questi muscoli più volte di
seguito, con tutta la forza e per quanto poteano durarvi: l'effetto riescì quasi nullo. Talvolta osservai
una leggiera umidità degli occhi, che potea perfettamente spiegare la semplice espulsione di lagrime
già esistenti nelle glandule dopo una secrezione anteriore.
Non si può precisare con esattezza la natura della relazione fra la involontaria ed energica
contrazione dei muscoli peri-oculari e la secrezione delle lagrime; nullameno possiamo emettere
una ipotesi probabile. La principale funzione della secrezione lacrimale è quella di rendere lubrica la
superficie dell'occhio, insieme a un po' di muco; di più, secondo l'opinione di alcuni fisiologi, essa
giova a umettare costantemente le nari, in modo da saturare d'umidità l'aria inspirata
(
132
)
, e favorire
così l'uffizio dell'odorato. Ma un'altra funzione delle lagrime, almeno tanto importante quanto le
precedenti, consiste nel portar via le particelle di polvere, o qualunque altro corpuscolo che può
cascar sugli occhi. L'importanza di quest'uffizio è dimostrata in quei casi nei quali la cornea
s'infiamma e diventa opaca, in seguito ad aderenze tra il globo oculare e la palpebra, che rendono
quest'ultima immobile ed impediscono il trasporto di queste molecole
(
133
)
. La secrezione delle
lagrime sotto l'influenza dell'irritazione prodotta dalla presenza di un corpo straniero è un atto
riflesso: questo corpo irrita un nervo periferico che impressiona alcune cellule nervose sensitive, le
quali trasmettono l'impressione ad altre cellule, e queste alla lor volta reagiscono sulla glandula
lagrimale. L'impressione trasmessa alla glandula produce (si hanno almeno buone ragioni per
crederlo) il rilassamento della tonaca muscolare delle piccole arterie; il sangue allora passa in
maggior quantità traverso il tessuto glandulare, e provoca una copiosa secrezione di lagrime.
Quando le piccole arterie della faccia, comprese quelle della retina, si dilatano sotto l'influsso di
circostanze assai varie, particolarmente durante un intenso rossore, le glandule lagrimali sottostanno
talvolta ad una simile impressione, e gli occhi si umettano di lagrime.
Ell'è cosa difficile rendersi conto sul modo d'origine di certe azioni riflesse; tuttavia, in
rapporto al caso attuale della impressionabilità delle glandule lagrimali prodotta da una irritazione
portata sulla superficie dell'occhio, è forse utile cosa notare che, appena alcune forme animali
primitive acquistarono una maniera di esistere per metà terrestre, e gli occhi poterono quindi
ricevere particelle di polvere, queste, se non fossero state cacciate, avrebbero provocata una intensa
irritazione; allora, solo in virtù del principio dell'azione della forza nervosa irradiante verso le
132
()
BERGEON, citato nel Journal of Anatomy and Physiology, nov. 1871, p. 235.
133
()
Veggasi, ad esempio, un caso riferito da sir C. Bell: Phylosophical Transactions,1823, p. 177.
cellule vicine, le glandole lagrimali dovettero essere costrette ad entrare in azione. Essendosi
ripetuto di frequente questo fenomeno, e per la tendenza della forza nervosa a ripassare agevolmente
per le vie da lei d'ordinario seguite, una leggiera irritazione dovette alla fine bastare per produrre
una copiosa secrezione di lagrime.
Una volta che codesta azione riflessa, con questo meccanismo o con qualunque altro, fu
stabilita e resa facile, irritazioni di varia natura cagionate alla superficie dell'occhio - l'impressione
d'un vento freddo, una lenta azione infiammatoria, un colpo sulle palpebre - dovettero provocare
un'abbondante secrezione di lagrime. Ed infatti sappiamo che avviene proprio in tal modo. Anche in
seguito ad una eccitazione portata sugli organi vicini, le glandule lagrimali entrano in azione. Così,
allorchè le narici vengono irritate da acri vapori, sgorgano le lagrime, anche se le palpebre stanno
completamente serrate; e la stessa cosa si nota dopo un colpo ricevuto sul naso, per esempio
facendo le pugna. Ho visto che una scudisciata sul viso produce il medesimo effetto. In questi ultimi
casi, la secrezione delle lagrime è un fenomeno accessorio e senza utilità diretta. Siccome tutte le
parti della faccia, comprese le glandule lagrimali ricevono le ramificazioni d'uno stesso tronco
nervoso, il trigemino od il quinto paio, ci è dato di comprendere fino ad un certo punto come gli
effetti dell'eccitazione d'una delle sue branche possa propagarsi alle cellule nervose che sono le
origini delle altre branche.
In certe condizioni, le parti interne del globo oculare agiscono pure, per azione riflessa, sulle
glandule lagrimali. Le osservazioni seguenti mi vennero gentilmente comunicate dal signor
Browman: tali quistioni del resto sono molto complesse, per le intime connessioni che legano tutte
le parti dell'occhio e per la loro estrema sensibilità ad ogni eccitazione. Se la retina è nel suo stato
normale, una intensa luce provoca assai difficilmente le lagrime; ma in alcune malattie, per esempio
nei fanciulli che hanno piccole e vecchie ulcere sulla cornea, la retina diventa estremamente
impressionabile, e la semplice azione della luce diffusa provoca una energica e prolungata
occlusione delle palpebre, accompagnata da un copioso spargimento di lagrime. Quando si comincia
a far uso di lenti convesse e si sforza il potere affievolito dell'accomodamento, la secrezione
lagrimale si esagera spesso in modo eccessivo e la retina si fa sensibilissima alla luce. In generale, le
affezioni morbose della superficie dell'occhio e degli organi ciliari che agiscono nel fenomeno
dell'accomodamento, s'accoppiano d'ordinario ad un'anormale secrezione di lagrime. L'indurimento
del globo dell'occhio che non giunge all'infiammazione, ma indica semplicemente un difetto
d'equilibrio tra il circolo diretto e quello in ritorno nei vasi intra-oculari, non è d'ordinario seguìto da
lagrimazione. Questa si produce piuttosto quando il difetto dell'equilibrio s'inverte e l'occhio si
rammollisce. Infine, ci ha molteplici stati morbosi ed organiche alterazioni dell'occhio, ed eziandio
gravissime infiammazioni, che possono essere semplicemente accoppiati ad una secrezione
lagrimale nulla od insignificante.
Bisogna pur notare, siccome cosa che sta in rapporto indiretto colla quistione in discorso, che
l'occhio e le parti vicine sottostanno ad un numero considerevole di movimenti, di sensazioni, di atti
riflessi ed associati, esclusi quelli che interessano la glandula lagrimale. Una vivida luce colpisca la
retina d'uno fra gli occhi: l'iride si contrae; ma dopo un notevole intervallo di tempo, l'iride dell'altro
occhio entra alla sua volta in azione. L'iride eseguisce dei movimenti anche nell'atto di
accomodamento a lontana od a breve distanza, come pure quando si fanno convergere gli occhi
(
134
)
.
Tutti provarono con quanta irresistibile forza le sopracciglia si abbassino sotto l'azione di vivissima
luce. Noi ammicchiamo pur involontariamente le palpebre, allorchè un oggetto s'agita presso ai
nostri occhi, o quando ci perviene un imprevisto rumore. Il caso comune dello starnuto provocato in
certe persone da una viva luce, è più curioso; imperocchè qui la forza nervosa irradia da alcune
cellule in connessione colla retina alle cellule sensorie destinate alla mucosa nasale, producendovi
un pizzicore, e dialle cellule che presiedono ai vari muscoli respiratorii (compresi gli orbicolari),
i quali espellono l'aria così, ch'ella esce per le sole narici.
Ritorniamo al nostro argomento: perchè ci ha secrezione di lagrime nel momento di un
accesso di grida o durante altri sforzi respiratorii violenti? Giacchè un leggiero tocco alle palpebre
provoca un abbondante spargimento di lagrime, è almeno possibile che la spasmodica contrazione
di questi organi premendo vivamente il globo dell'occhio, agisca in simile foggia. È certo però che
134
()
Vedi su questi argomenti: On the Anomalies of Accommodation and Refraction of the Eye, del prof.
DONDERS, 1864, p. 573.
la volontaria contrazione dei medesimi muscoli non produce effetto veruno; ma ciò non mi sembra
possa creare obbiezione al precedente modo di vedere. Sappiamo che un uomo non può
volontariamente starnutare, tossire con quella energia che spiegherebbe ove questi atti fossero
automatici: la stessa cosa avviene per la contrazione dei muscoli orbicolari. Sir C. Bell, con
parecchie esperienze, constatò che chiudendo bruscamente e vivamente gli occhi all'oscuro, si
scorgono delle scintille luminose simili a quelle che produconsi battendo lievemente le palpebre
coll'estremità delle dita; «ma nello starnuto, egli dice, la compressione talvolta è più rapida ed
energica, e le scintille sono più brillanti». D'altra parte egli è certo che queste sono dovute alla
contrazione delle palpebre, imperocchè, «se nell'atto dello starnuto si tengono aperte, ogni luminosa
sensazione scompare». Nei casi particolari citati dal professore Donders e dal signor Bowman,
vedemmo che, alcune settimane dopo una leggera lesione dell'occhio, sovraggiungono spasmodiche
contrazioni delle palpebre, accompagnate da una copiosa lagrimazione. Nell'atto dello sbadiglio, le
lagrime senza dubbio sono esclusivamente prodotte dalla contrazione spasmodica dei muscoli peri-
oculari. Malgrado questi ultimi esempi, è malagevole a credere che la pressione esercitata dalle
palpebre sulla superficie dell'occhio, benchè spasmodica e quindi più energica che non se fosse
volontaria, possa bastare a provocar per azione riflessa la secrezione delle lagrime in molti casi nei
quali questa si produce durante violenti sforzi respiratorii.
Un'altra causa può ancora concorrervi. Vedemmo che, in certe condizioni, le parti profonde
dell'occhio agiscono, per azione riflessa, sulle glandule lagrimali. D'altro canto si sa che negli
energici sforzi di espirazione è aumentata la pressione del sangue arterioso nei vasi oculari, mentre
si turba la circolazione che torna per le vene. Sembra quindi probabile che la distensione dei vasi
oculari, a questo modo prodotta, possa agire per azione riflessa sulle glandule lagrimali ed unire fin
d'allora i suoi effetti a quelli dovuti alla compressione cagionata dalle palpebre alla superficie
dell'occhio.
Per giudicare su codesta probabilità, rammentiamo che gli occhi dei fanciulli per innumerevoli
generazioni funzionarono in queste due maniere, tutte le volte in cui mandavano grida; e siccome la
forza nervosa tende a passare lungo le vie da lei abitualmente seguìte, così una compressione anche
poco considerevole dei globi oculari ed una moderata dilatazione dei loro vasi dovettero alla fine
bastare per agire sovra le glandule lagrimali. Noi troviamo un analogo fenomeno nella leggiera
contrazione dei muscoli peri-oculari, contrazione che si produce eziandio in un moderato accesso di
grida, allorquando non può esservi dilatazione dei vasi, nè sensazione dolorosa agli occhi.
Inoltre, quando atti o movimenti complessi, dopo essere stati compiuti e strettamente associati
fra loro, vengono poi per una ragione qualunque impediti, prima dalla volontà e quindi
dall'abitudine, ove si presentino convenienti condizioni eccitatrici, la parte dell'atto o del movimento
meno sottoposta al controllo della volontà sarà ancora spesso involontariamente compiuta. La
secrezione delle lagrime in generale è assai indipendente dall'influenza della volontà; anche allora
che, in seguito all'avanzare dell'età nell'individuo, od al progresso della civilizzazione nella razza,
venga repressa l'abitudine del pianto o delle grida, e quindi non vi abbia più dilatazione dei vasi
sanguigni nell'occhio, anche allora, dico, può avvenire che si secernano lagrime. Come ho fatto
notare, possiamo vedere i muscoli peri-oculari d'un individuo che legge un'istoria commovente,
ammiccare e tremolare così leggermente, da renderne quasi impercettibile la contrazione. In tali
casi, non v'ebbero grida, dilatazione dei vasi sanguigni, e pur tuttavia, per effetto dell'abitudine,
alcune cellule nervose inviarono una piccola quantità di forza nervosa alle cellule donde dipendono
i muscoli peri-oculari, ed esse ne trasmisero al pari quelle dalle quali dipendono le glandule
lagrimali, perocchè gli occhi, precisamente nel medesimo istante, s'umettano spesso di lagrime. Se
lo stiramento dei muscoli peri-oculari e la secrezione delle lagrime fossero stati completamente
repressi, egli è quasi certo che sarebbe nullameno esistita una tendenza della forza nervosa a
trasmettersi in queste stesse direzioni. Ora, siccome le glandule lagrimali sono assai indipendenti
dal controllo della volontà, elle dovevano essere eminentemente suscettibili di entrare ancora in
azione, richiamando così, in difetto d'ogni altro segno esteriore, i commoventi pensieri che
attraversano lo spirito di colui che legge.
A conferma della su esposta ipotesi, posso fare un'osservazione: se nel primo periodo della
vita, quando è facile che si stabiliscano abitudini di qualunque natura - i nostri fanciulli fossero stati
accostumati ad esprimere la gioia con fragorosi scoppi di risa (nei quali i vasi oculari vengono
distesi), così spesso ed a lungo come furono avvezzi ad esprimere l'affanno col mezzo di grida, è
probabile che in progresso di tempo si sarebbe prodotta un'abbondante e regolare secrezione di
lagrime nell'uno stato e nell'altro. Un riso moderato, un sorriso, spesso ancora un'idea gaia avrebbe
in tal caso potuto provocare un leggiero spargimento di lagrime. Ed infatti, esiste un'evidente
tendenza in questo senso, come vedremo trattando dei sentimenti affettuosi. Secondo Freycinet
(
135
)
,
presso gl'indigeni delle isole Sandwich, il pianto viene considerato proprio come segno di prospera
fortuna; per altro sarebbe buona cosa avere di un tal fatto prova migliore che non sia l'affermazione
d'un viaggiatore che vi fu solo di passaggio. Così pure, se i nostri fanciulli, vuoi considerati tutti
assieme durante parecchie generazioni, vuoi individualmente per molti anni, avessero sofferto quasi
ogni giorno accessi prolungati di soffocamento, nei quali i vasi dell'occhio dilatansi e le lagrime
sgorgano abbondanti, è probabile (tanto potente è la forza delle abitudini associate) che in seguito
avria bastato la sola idea d'uno di questi accessi per trarre le lagrime agli occhi, senza che l'animo
fosse menomamente attristato.
A riassumere questo capitolo, diremo che il pianto, in fine dei conti, risulta probabilmente da
una successione di fenomeni più o meno analoga alla seguente: il fanciullo, reclamando il cibo o
provando un dolore qualsiasi, cominciò dal mandare acute grida, come fanno i piccoli di molti
animali, in parte per chiamare i genitori in aiuto, in parte ancora perchè queste grida costituiscono
da per se stesse un sollievo. Strilli prolungati cagionarono inevitabilmente l'ingorgo dei vasi
sanguigni dell'occhio, ingorgo che dovette provocare, prima scientemente e poi per semplice effetto
dell'abitudine, la contrazione dei muscoli che attorniano gli occhi, per proteggere questi organi.
Nello stesso tempo, la pressione spasmodica esercitata sulla superficie degli occhi e la dilatazione
dei vasi intraoculari, senza svegliare per ciò veruna sensazione cosciente, ma solo per effetto di
azione riflessa, dovettero impressionare le glandule lagrimali. Infine, in virtù dell'azione combinata
di tre principii, cioè: - il facile passaggio della forza nervosa traverso le vie da lei abitualmente
percorse, - l'associazione, ch'è tanto potente, - la differenza che esiste fra atti diversi relativamente
all'impero esercitato su loro dalla volontà; - in virtù di questi tre principii ne venne che il dolore
provoca agevolmente la secrezione delle lagrime, senza che queste debbano essere accompagnate da
verun'altra manifestazione.
Secondo questa teoria, il pianto non sarebbe che un fenomeno accessorio, senza utilità veruna,
come lo spargimento di lacrime in seguito ad un colpo alla superficie dell'occhio o lo starnuto
prodotto da vivida luce. Nullameno ciò non toglie menomamente valore al fatto che la secrezione
delle lagrime allevia il dolore. Quanto più violento e nervoso è l'accesso di pianto, tanto maggiore
sarà il sollievo provatone: vediamo infatti che le contorsioni del corpo, il digrignare dei denti e le
emissioni di grida strazianti diminuiscono la intensità di una sofferenza fisica.
CAPITOLO VII.
ABBATTIMENTO - ANSIETÀ - AFFANNO -
SCORAGGIAMENTO - DISPERAZIONE
Effetti generali dell'affanno sulla economia. - Obliquità dei sopraccigli sotto l'influenza del dolore. - Causa di questa
obliquità. - Abbassamento degli angoli della bocca.
Dopo una violenta crisi di sofferenze morali e quando la causa di questo dolore è tuttavia
sussistente, noi caschiamo in uno stato di abbattimento, e talvolta piombiamo accasciati e
scoraggiati. In generale, il dolore fisico prolungato, sia pure sofferto per poco, porta il medesimo
effetto. Allorchè prevediamo di dover soffrire, siamo inquieti; quando non ci sorregge alcuna
speranza di venir consolati, piombiamo nella disperazione.
Avviene di sovente che certe persone, in preda ad angoscia eccessiva, cercano sollievo in
movimenti violenti e quasi frenetici, come indicammo nel precedente capitolo. Tuttavia quando il
135
()
Citato da sir J. LUBBOCK, Prehistoric Times, 1865, p. 458.
loro dolore, avvegnachè continuo, sminuisce di lena, non tentano più di muoversi, ma stanno
immobili e passive, ed è molto se qualche volta si dondolano da un lato a quell'altro. La circolazione
illanguidisce, si fa pallido il viso, i muscoli fiacchi; le palpebre s'abbassano; la testa si reclina sul
petto oppresso; le labbra, le guancie e la mascella inferiore s'accasciano sotto al proprio peso. Ne
segue che i lineamenti si allungano; ed è così che, parlando di persona cui pervenga dolorosa
notizia, diciamo che ha la faccia lunga. Una banda d'indigeni della Terra del Fuoco, volendo farci
comprendere lo scoramento di un loro amico, capitano di un vascello a vele, presero a stirarsi le
guancie con ambe le mani, in modo da rendere il proprio viso più lungo che fosse possibile. So dal
signor Bunnet, che quando gli aborigeni australiesi sono annoiati, mostransi pallidi in viso. Un
prolungato dolore rende lo sguardo offuscato, inespressivo e spesso bagnato di lagrime. E in questo
caso non di raro si vede che le sopracciglia prendono una posizione obliqua, prodotta dall'elevarsi
della loro estremità interna. E così si determinano sulla fronte certe rughe particolari molto diverse
dal semplice aggrottare dei sopraccigli; ci ha peraltro dei casi nei quali si produce soltanto
quest'ultimo movimento. Gli angoli della bocca si abbassano, e codesto atto è così universalmente
riconosciuto come segno di abbattimento, che è quasi divenuto proverbiale.
La respirazione si fa lenta e debole: spesso interrotta, da profondi sospiri. Come osserva
Gratiolet, ogni volta che la nostra attenzione si concentra per lungo tempo su qualche oggetto, noi
dimentichiamo di respirare, e viene un momento in cui una profonda inspirazione ci ristora.
Comunque sia, i sospiri d'una persona rattristata, in uno al lento respiro ed alla circolazione
languente, sono eminentemente caratteristici
(
136
)
. Un individuo in tale condizione dell'animo è
soggetto a nuovi accessi ed a recrudescenze di dolore, che lo assalgono con forza novella; ne
seguono contrazioni spasmodiche dei muscoli respiratorii, e qualche cosa di analogo a ciò che si
disse il globus hystericus gli sale alla gola. Questi movimenti spasmodici manifestano chiaramente
la stessa natura dei singhiozzi dei fanciulli, e sono gli avanzi degli spasimi più seri, i quali fanno
dire di una persona che ella soffoca d'angoscia
(
137
)
.
Obliquità delle sopracciglia. - Nell'antecedente descrizione solo due punti richieggono una
più ampia spiegazione, due punti che sono curiosissimi: intendo dire della elevazione dell'estremità
interna dei sopraccigli e della depressione degli angoli labiali. Quanto alle sopracciglia, si osserva
che talvolta prendono una posizione obliqua nelle persone in preda ad un profondo abbattimento o
ad una viva inquietudine; io, ad esempio, ebbi a notare questo movimento in una madre che parlava
di suo figlio malato; però può dipendere anche da cause insignificanti o momentanee di affanno
reale o supposto. La posizione obliqua dei sopraccigli è dovuta al fatto che la contrazione di certi
muscoli (particolarmente dei muscoli orbicolari, sovraccigliari e piramidali del naso, che hanno
l'uffizio comune di abbassare e di aggrottare i sopraccigli) viene in parte neutralizzata dall'azione
più potente dei fasci mediani del muscolo frontale. Questi elevano solo le estremità interne dei
sopraccigli; nel medesimo tempo i sopraccigliari le ravvicinano, onde ne avviene che codeste
estremità si riuniscono increspandosi od ingrossandosi. Le pliche che per tal maniera risultano,
costituiscono un tratto assai caratteristico nella espressione, prodotto dall'obliquità dei sopraccigli,
come si può vedere nelle figure 2 e 5 della Tavola II. Contemporaneamente le sopracciglia si
mostrano alquanto arruffate, perchè i peli sono portati in avanti. Il dott. J. Crichton Browne ha
eziandio spesse volte osservato negli alienati malinconici, i quali tengono costantemente oblique le
sopracciglia, «una particolare arcata acuta della palpebra superiore». Una traccia di codesto fatto
puossi vedere, confrontando fra loro la palpebra destra e la sinistra del giovane rappresentato nella
fotografia (fig. 2, Tav. II); infatti questo individuo non poteva agire egualmente sui due sopraccigli.
La stessa cosa apparisce nella differenza delle rughe sui due lati del fronte. Io credo che quando le
palpebre sono molto arcuate, ciò dipenda dal fatto che si rialza solo l'estremità interna dei
sopraccigli; perocchè quando il sopracciglio è sollevato ed arcuato completamente, la palpebra
superiore segue in debole grado il medesimo moto.
136
()
Le precedenti descrizioni sono in parte frutto delle mie osservazioni, ma specialmente sono tratte da
GRATIOLET (De la Physionomie, p, 53, 337; sui sospiri, 232). Questo autore ha pertrattato l'argomento sotto ogni
punto di vista. - Veggasi anche HUSCHKE, Mimices et Physiognomices, Fragmentum Physiologicum, 1821, p. 21.
Intorno all'espressione sbiadita del guardo, veggasi il dottor PIDERIT, Mimik und Physiognomik, 1867, p. 65.
137
()
Per l'influenza dell'affanno sugli organi respiratorii, veggasi specialmente sir C. BELL, Anatomy of Expression,
terza edizione, 1844, p. 151.
Il più notevole risultato della opposta contrazione dei muscoli anzidetti si manifesta nelle
rughe particolari che si formano sulla pelle del fronte. Per maggiore concisione, a questi muscoli
che agiscono simultanei ed antagonisti, possiamo dare il nome di muscoli del dolore. Se noi
solleviamo le sopracciglia contraendo affatto i frontali, si producono delle righe trasversali su tutta
la fronte; nel caso presente, al contrario, si contraggono solamente i fasci situati sulla linea mediana,
e per conseguenza le pieghe trasverse appaiono solo sul mezzo del fronte. Nello stesso tempo la
pelle che sormonta la parte esterna dei sopraccigli è tratta in basso e resa liscia per la contrazione
delle porzioni esterne dei muscoli orbicolari. Di più, contraendo simultaneamente i sopraccigliari
(
138
)
, le sopracciglia sono ravvicinate; e codesta contrazione determina delle pieghe verticali fra la
parte esterna e abbassata della pelle del fronte e la parte centrale, ch'è sollevata. L'unione di queste
rughe verticali con quelle mediane e trasversali (vedi fig. 2 e 3) produce sulla fronte una figura che
fu paragonata ad un ferro da cavallo; ma è più esatto il dire che le pieghe formano i tre lati d'un
quadrilatero. Spesse volte essi si veggono assai distinti sul fronte degl'individui adulti o quasi,
allorchè le loro sopracciglia prendono una posizione obliqua; ma nei giovanetti, la pelle dei quali
non si raggrinza facilmente, si vedono di rado o non se ne scoprono che semplici traccie.
Queste rughe particolari sono rappresentate assai bene (fig. 3, Tav. II) sulla fronte di una
ragazza che possiede in grado straordinario la facoltà di mettere in movimento i muscoli in
questione. Mentre la si fotografava, ella pensava all'esito dell'operazione, ed il suo volto esprimeva
nulla di triste; gli è perciò che ne ho rappresentata solo la fronte. La figura 1 della medesima Tavola,
tratta dall'opera del dottor Duchenne
(
139
)
, rappresenta, in iscala ridotta, il viso di un giovane attore di
gran bravura, nel suo stato naturale. Alla figura 2, lo si vede simulare il dolore; solo, come abbiamo
fatto prima notare, le due sopracciglia non sono egualmente contratte. La verità dell'espressione è
meravigliosa; infatti, su quindici persone a cui ho fatto vedere la fotografia originale, senza
avvertirle in nessuna maniera di ciò che rappresentava, quattordici riconobbero immediatamente o
un affanno disperato, o la sofferenza, o la malinconia, e così di seguito. La storia della fig. 5 è
molto curiosa: la vidi nella vetrina d'un magazzino e la portai al signor Rejlander per cercare di
scoprirne l'autore, facendogli rimarcare la grande espressione dei lineamenti. «L'ho fatta io - mi
rispose - e deve infatti essere espressiva, chè dopo alcuni momenti questo fanciullo scoppiò in
lagrime». Ei mostrommi allora una fotografia dello stesso ragazzino con un'espressione tranquilla,
ed io la feci riprodurre (fig. 4). Alla figura 6 si può distinguere una traccia di obliquità nei
sopraccigli; ma essa ha lo scopo, come la fig. 7, di mostrare la depressione degli angoli della bocca,
sulla quale devo ritornare.
Senza un certo studio, è piuttosto difficile agire volontariamente sui muscoli del dolore;
tuttavia molte persone vi riescono dopo ripetuti sforzi; altre però non vi giungono mai. Il grado di
obliquità dei sopraccigli, sia poi questa volontaria o no, varia d'assai secondo gl'individui. In taluni,
nei quali i muscoli piramidali appariscono d'una forza più che ordinaria, la contrazione dei fasci
mediani del muscolo frontale, quantunque energica, come lo provano le rughe quadrangolari del
fronte, non solleva le estremità interne dei sopraccigli, ma solo impedisce loro di essere abbassate
138
()
Nelle precedenti osservazioni sul modo con cui le sopracciglia si fanno oblique, ho seguito l'opinione generale
di tutti gli anatomici de' quali ho consultato le opere od intesi verbalmente le idee sull'azione dei muscoli su menzionati.
Nel corso di quest'opera, terrò lo stesso metodo relativamente all'azione dei muscoli corrugator supercilii, orbicularis,
pyramidalis nasi e frontalis. Tuttavia il dottor Duchenne ritiene (e ciascuna delle conclusioni a cui giunge merita una
seria considerazione) che il muscolo che solleva l'estremità interna, ed è l'antagonista della parte superiore ed interna
dell'orbicolare, come anche del pyramidalis nasi, dei sopraccigli, sia il corrugator, chiamato da lui sopraccigliare (vedi
Mécanisme de la Physionomie humaine, 1862, in-foglio, art. V testo, e figure dalla 19 alla 29; edizione in-8°, 1862, p.
43, testo). Peraltro quest'autore ammette che il corrugator ravvicini le sopracciglia, producendo così delle rughe
verticali sopra la radice del naso o quel che si dice un aggrottamento di sopraccigli. Ei crede ancora che, relativamente
ai due terzi esterni del sopracciglio, il corrugator agisca in comunanza colla parte superiore dell'orbicolare e che questi
due muscoli siano gli antagonisti del frontale. A me, dopo i disegni di HENLE (fig. 3), riesce impossibile comprendere
come il corrugator possa agire nel modo descritto dal signor Duchenne. Veggansi pure su questo argomento le
osservazioni del prof. DONDERS (Archives of Medicine, 1870, vol. V, p. 34). J. Wood, così celebre per i minuziosi
suoi studi sui muscoli del corpo umano, mi dice ch'ei crede esatta la mia teoria intorno all'azione del sopraccigliare. Ma
ciò non ha alcuna importanza relativamente all'espressione cagionata dall'obliquità dei sopraccigli, e non ne ha di più
per ispiegarne l'origine.
139
()
Sono obbligatissimo al dottor Duchenne del permesso concessomi di far riprodurre a mezzo della eliotipia
queste due fotografie (fig. 1 e 2) tolte dalla sua opera in-foglio. Molte fra le precedenti operazioni sull'increspamento
della pelle, quando le sopracciglia diventano oblique, sono tratte dal suo bellissimo capitolo su questo argomento.
così come lo sarebbero state senza questa contrazione. In seguito alle mie osservazioni, i muscoli
del dolore entrano in azione molto più di frequente nel fanciullo e nella donna che nell'uomo.
Almeno nell'adulto, è raro il caso in cui vengano messi in giuoco dal dolore fisico; quasi
esclusivamente invece dall'angoscia morale. Due individui, i quali, dopo alcuni studi, erano giunti a
governare i muscoli del dolore, osservarono, guardandosi in uno specchio, che quando rendevano
oblique le sopracciglia, abbassavano contemporaneamente, senza volerlo, gli angoli della bocca;
fatto che si avvera di spesso anche nelle espressioni naturali.
Come quasi tutte le facoltà umane, pare che anche quella di agire facilmente sui muscoli del
dolore sia ereditaria. Una donna, discendente da una famiglia celebre per il numero considerevole di
rinomati autori ed attrici che vennero da essa, e che pur sapeva «con una singolare precisione»
assumere l'espressione in discorso, narrò al dottor Crichton Browne, che tutti i suoi antenati
avevano posseduto ad un notevole grado questa medesima facoltà. E' sembra eziandio che l'ultimo
discendente della famiglia, la di cui storia inspirò il romanzo di Walter Scott, intitolato Red
Gauntlet, abbia pure ereditata codesta stessa tendenza di razza. So questo fatto dal dottor Browne;
solamente il romanziere fe' che il suo eroe si coprisse la fronte di rughe ogniqualvolta soffriva una
violenta emozione. Io pure conobbi una ragazza che teneva quasi sempre la fronte così raggrinzata,
indipendentemente da ogni sentimento.
I muscoli del dolore agiscono di rado; e siccome la loro azione il più delle volte è
momentanea, è facile che sfugga all'osservazione. Quantunque questa espressione si riconosca
subito e sempre per quella dell'affanno o dell'ansietà, pure una persona su mille, senz'avere studiata
la quistione, non può indicare con esattezza il fenomeno che si opera a questo punto sul viso.
Codesta probabilmente è la causa per cui non è fatto cenno di tale espressione in alcuna opera
d'immaginazione, per quanto almeno io seppi osservare, toltone il Red Gauntlet ed un altro
romanzo, lavoro, mi si disse, d'una signora che appartiene appunto alla famosa famiglia d'attori
onde or ora tenni parola; dimodochè la sua attenzione potè essere particolarmente attirata su questo
argomento.
Come risulta dalle statue di Laocoonte e d'Aretino, quest'espressione era famigliare agli
antichi scultori greci; ma (l'osserva anche Duchenne) essi commettevano un errore anatomico
facendo correre tutta la larghezza del fronte dalle rughe trasverse: - ed altrettanto può dirsi di certe
statue moderne. Peraltro è cosa più verosimile credere che artisti d'una perspicacia tanto
meravigliosa, non abbiano volontariamente fatto sacrificio della verità alla bellezza; imperocchè è
certo che rughe rettangolari nel mezzo della fronte non avrebbero fatto grande effetto sul marmo. E
probabilmente per la stessa ragione, questa espressione elevata al massimo grado non è
rappresentata di spesso, per quanto almeno mi consta, nelle tele degli antichi maestri; tuttavia una
donna, che la conosceva perfettamente, mi disse che nella Discesa dalla croce di frà Angelico, a
Firenze, la si distingue nettamente sull'una delle figure di destra; - e potrei qui ancora citare alcuni
altri esempi.
Dietro mia inchiesta, il dottor Crichton Browne si è premurosamente studiato di cogliere
questa espressione nei numerosi alienati affidati alle sue cure, nell'Asilo di West Riding; d'altra
parte ei conosceva perfettamente le fotografie del signor Duchenne relative all'azione dei muscoli
del dolore. Egli m'informa che si può vedere questi muscoli agire con costante energia in alcuni casi
di melanconia e sopratutto di ipocondria, e che le linee o rughe persistenti, dovute alla loro abituale
contrazione, sono segni caratteristici della fisonomia degli alienati appartenenti a queste due classi.
Anche il dottore Browne si è compiaciuto di osservare con cura, per un tempo notevole, tre casi
d'ipocondria, nei quali i muscoli del dolore restavano continuamente contratti. Nell'uno di questi
casi, trattavasi d'una vedova, di cinquantun anno, che si figurava di aver perdute tutte le proprie
viscere e credeva di avere il corpo affatto vuoto: ella mostrava un'espressione di profondo cordoglio
e batteva l'una contro l'altra le mani semichiuse con un movimento ritmico che durava ore intiere. I
muscoli del dolore erano permanentemente contratti, le palpebre superiori arcuate. Questo stato
durò molti mesi, dopo di che l'inferma si ristabilì e riprese la naturale espressione. Un secondo
malato presentò presso a poco le stesse particolarità, col solo divario, che in questo vi aveva di più
una depressione degli angoli della bocca.
Il signor Patrick Nicol ebbe pure la bontà di studiare per me molti casi, nell'Asilo degli
alienati di Sussex. Ei mi comunicò ampli dettagli su tre fra di loro, ma non è qui il posto per essi. In
seguito alle proprie osservazioni sui malati malinconici, il signor Nicol giunge alla conclusione, che
le interne estremità dei sopraccigli sono quasi sempre più o meno rialzate, e la fronte più o meno
aggrinzata. In una ragazza, si notò che queste rughe del fronte erano continuamente in moto. In certi
casi gli angoli della bocca sono depressi, il più delle volte però, in un modo appena sensibile. D'altra
parte, v'ha quasi sempre divario nella espressione dei diversi melanconici. In generale, le palpebre
sono cascanti, e la pelle fa delle pieghe in vicinanza e al di sotto dei loro angoli esterni. Il solco
naso-labiale, che dalle ali del naso va ai lati della bocca, e che è tanto visibile nel fanciullo che
piange, è spesse volte molto spiccato in questi malati.
Negli alienati i muscoli del dolore si contraggono spesso con persistenza; nei sani si osservano
pure fugaci contrazioni di questi muscoli, provocate da cause affatto insignificanti e completamente
incoscienti. Un signore fa ad una ragazza un presente d'infimo valore; ella se ne chiama offesa, e,
mentre gli rinfaccia la condotta di lui, rende assai oblique le sopracciglia e raggrinza la fronte.
Un'altra signorina ed un giovane, ambidue di lietissimo umore, discorrono vivamente fra loro con
una straordinaria volubilità; io noto che tutte le volte in cui la ragazza è vinta, sa trovare
abbastanza presto la parola, le si sollevano oblique le sopracciglia e la fronte si raggrinza di rughe
rettangolari. Questo segno è un indizio di cordoglio, che nello spazio di alcuni minuti ella mostra
una mezza dozzina di volte. Per il momento io non vi faccio verun rimarco; ma, in un'altra
occasione, la prego di mettere in moto i muscoli del dolore, mentre un'altra fanciulla, che è
presente e che può farlo a volontà, le spiega ciò che voglio da lei. Ella tenta a varie riprese, ma non
sa mai riescirvi; eppure bastolle una leggerissima contrarietà, quella, cioè, di non poter parlare
abbastanza presto, per mettere più volte in azione questi muscoli senza intervallo e con energia.
L'espressione dell'affanno, dovuta alla contrazione dei muscoli del dolore, non è esclusiva agli
Europei, ma sembra comune a tutte le razze umane. Infatti, ne ho ricevuto prove degne di fede per
ciò che concerne gli Hindus, i Dhangar (una delle tribù aborigene dell'India, che abita le montagne,
ed appartiene ad una razza affatto distinta dagli Hindus), i Malesi, i Negri e gli Australiesi. Quanto a
queste ultime, due osservatori mi danno una risposta affermativa, ma senza entrare in dettagli;
peraltro, il signor Taplin aggiunge alla succinta descrizione della mia raccolta di quesiti, queste
semplici parole: «Ciò è esatto». Per i Negri, la stessa signora che mi descrisse il quadro di fra
Angelico, osservò in un Negro che rimburchiava un battello sul Nilo, che ad ogni ostacolo si
produceva una energica contrazione dei muscoli del dolore, ed il mezzo del fronte si raggrinzava
notevolmente. Il signor Geach osservò a Malacca, sopra un Malese, una spiccata depressione degli
angoli della bocca, l'obliquità dei sopraccigli ed un corrugamento del fronte prodotto da grinze corte
e profonde. Questa espressione fu di brevissima durata, e Geach aggiunge «ch'ella era strana e
somigliava quella d'una persona che sta per piangere al punto in cui le sorgiunge una grave perdita».
Il signor H. Erskine constatò che questa espressione è famigliare agli indigeni dell'India; e J.
Scott, del Giardino botanico di Calcutta, mi spedì assai gentilmente una dettagliata descrizione di
due casi nei quali l'ebbe a notare. Egli osservò per qualche tempo, senza essere visto, una
giovanissima donna Dhangar di Nagpore, sposa ad uno dei giardinieri, mentre porgeva la poppa al
figliuolo presso a morire; ei vide distintissimamente che le sopracciglia di lei erano sollevate ai capi
interni, le palpebre cascanti, la fronte aggrinzata nel mezzo e la bocca aperta cogli angoli fortemente
depressi. Dopo un momento, egli uscì da un cespuglio che l'aveva tenuto celato, e parlò alla povera
donna, che die' in un sussulto, scoppiò in lagrime e supplicò di guarire il suo bimbo. Nel secondo
caso, trattasi di un Indostano, obbligato dall'indigenza e da malattia a vendere la sua capra favorita.
Dopo averne ricevuto il prezzo, guardò a più riprese il danaro che tenea nella mano, poscia la capra,
quasi fosse tentato di stornare il contratto; s'avvicinò alla bestia, già legata e che stava per essere
tradotta di là; bentosto l'animale impennossi e si pose a leccargli le mani. Gli occhi dell'infelice
vagarono allora da una parte all'altra: «teneva semichiusa la bocca, cogli angoli fortemente
abbassati». Alla fine parve prendesse il partito di separarsi dalla capra, e in quell'istante Scott
osservò che le sopracciglia di lui diventavano leggermente oblique, e vide prodursi il corrugamento
o rigonfiamento caratteristico delle interne estremità, senza che sulla fronte vi fosse alcuna grinza.
Stette così circa un minuto, poi, mandando un profondo sospiro, die' in lagrime, levò ambo le mani,
benedisse alla capra, e allontanossi senza volgersi indietro.
Causa dell'obliquità dei sopraccigli sotto l'influenza del dolore. - Per molti anni, veruna
espressione mi parve più difficile a spiegarsi come quella che ora ci occupa. Perchè l'affanno o
l'ansietà provocano la contrazione dei soli fasci mediani del muscolo frontale, in uno a quella dei
muscoli che attorniano gli occhi? E' sembra che in ciò noi abbiamo un movimento complesso
unicamente destinato ad esprimere l'affanno, e nullameno questa espressione relativamente è rara e
passa sovente inosservata. Io ritengo che la spiegazione non sia tanto difficile, quanto potrebbe a
prima vista sembrare. Il dottor Duchenne una fotografia del giovane, onde già tenni parola, presa
nel punto in cui egli, guardando fisso un oggetto vivamente illuminato, contraeva fortemente e
senza volerlo i muscoli del dolore. Io avevo dimenticata del tutto questa fotografia, quando un bel
giorno, essendo a cavallo ed avendo il sole a tergo, incontrai una fanciulla che levò gli occhi su me;
le sopracciglia di lei divennero subito oblique e la fronte si coprì quindi di rughe. Più tardi ebbi ad
osservare di spesso questo movimento in analoghe circostanze. Tornato a casa, senza dir loro il mio
scopo, pregai tre de' miei figli a fissare, quanto più a lungo potessero, il sommo di un alto albero che
spiccava sopra un cielo fulgidissimo. In tutti tre, i muscoli orbicolari, sovraccigliari e piramidali si
contrassero energicamente, in seguito ad un'azione riflessa che susseguiva all'eccitazione della
retina ed aveva per iscopo di proteggere gli occhi contro il brillare della luce. I fanciulli si
studiavano in ogni maniera di guardar alto; mi offrivano così lo spettacolo d'una curiosa lotta, piena
di sforzi spasmodici, stabilita fra il muscolo frontale nel suo complesso o solamente nella sua parte
mediana, ed i vari muscoli che servono ad abbassare le sopracciglia ed a chiudere le palpebre. La
involontaria contrazione dei muscoli piramidali produceva sulla radice del naso delle rughe
profonde e trasversali. In uno dei tre fanciulli, le sopracciglia venivano volta a volta sollevate e
abbassate per l'alternativa contrazione di tutto il muscolo frontale e dei muscoli peri-oculari;
dimodochè la superficie del fronte ora si mostrava coperta di rughe, ora perfettamente liscia. La
fronte degli altri due si raggrinzava solo nel mezzo, il che dava luogo a rughe rettangolari; e le
sopracciglia erano oblique, mentre i capi interni di queste si corrugavano e si gonfiavano. Codesto
fenomeno si produsse assai leggermente in uno de' fanciulli, nell'altro invece ad uno spiccatissimo
grado. Questo divario nell'obliquità dei sopraccigli dipende probabilmente da una correlativa
differenza nella loro mobilità generale e nella forza dei muscoli piramidali. Nei casi ora citati, le
sopracciglia e la fronte, sotto l'influenza d'una vivida luce, erano messe in movimento assolutamente
nella stessa maniera e colle medesime particolarità caratteristiche, che sotto l'azione dell'affanno e
dell'ansietà.
Il signor Duchenne constatò che il muscolo piramidale del naso dipende meno
immediatamente dal controllo della volontà che gli altri muscoli peri-oculari. Ei fa notare che il
giovane precitato, il quale esercitava un grande impero tanto sui muscoli dell'affanno quanto sulla
maggior parte degli altri muscoli facciali, non poteva contrar tuttavia i muscoli piramidali
(
140
)
. È
certo però che questa facoltà offre vari gradi a seconda degl'individui. Il muscolo piramidale tira in
basso la pelle del fronte che sta fra le sopracciglia ed insieme i capi interni di queste. Le fibre
mediane del frontale sono antagoniste del piramidale; e per equilibrare la contrazione di
quest'ultimo fa d'uopo che queste fibre mediane si raccorcino. Ne risulta che nelle persone dotate di
potenti muscoli piramidali, ove, mentre sono esposte ad una viva luce, si produca un desiderio
inconsciente d'impedire l'abbassamento dei sopraccigli, le fibre mediane del frontale devono venir
messe in gioco, e la loro contrazione, se sufficiente a dominare i piramidali, insieme a quella dei
muscoli sopraccigliari e orbicolari, agirà precisamente nel modo or ora descritto sui sopraccigli e sul
fronte.
Come già vedemmo, quando i fanciulli gridano o piangono, contraggono i muscoli orbicolari,
sopraccigliari e piramidali, prima di tutto per comprimere gli occhi ed impedir loro di irrorarsi di
sangue, poi per abitudine. Io ne aveva concluso che quando i fanciulli si studiano di prevenire un
accesso di pianto o di arrestarlo, dovessero impedire la contrazione dei muscoli su nominati come
allora che guardano una vivida luce; pensava quindi che i fasci mediani del muscolo frontale
avessero ad entrare spesso in azione. Mi posi dunque ad osservare fanciulli messi in tale condizione,
e pregai varie persone, specialmente medici, a fare altrettanto. Questo esame richiede una grande
attenzione; infatti nel fanciullo la speciale azione antagonista di questi muscoli è definita assai men
nettamente che nell'adulto, imperocchè è difficile che la fronte di quello s'increspi. Tuttavia ebbi
agio a riconoscere di subito che, in tali occasioni, i muscoli del dolore erano quasi sempre messi in
azione nella più evidente maniera. Tornerebbe cosa vana riferir qui tutti i casi osservati: io ne citerò
140
()
Mécanisme de la Phys. humaine. Album, p. 15.
solo alcuni. Una bimba d'un anno e mezzo era molestata da altri ragazzi; le sopracciglia di lei
divennero notevolmente oblique prima che scoppiasse in pianto. Una fanciulletta più avanzata in età
diede a vedere la stessa obliquità nei sopraccigli; e si notò per giunta che i loro capi interni erano
sensibilmente increspati e che nel medesimo tempo gli angoli della bocca si deprimevano. Dopochè
si mise a piangere, le si modificarono affatto i lineamenti e questa speciale espressione svanì. Altro
esempio; un ragazzino appena vaccinato gridava e piangeva con violenza; il chirurgo, a calmarlo,
gli diede un arancio, portato appunto per ciò e che piacque molto al fanciullo. Quando cessò dal
piangere, fu dato di osservare tutti i movimenti caratteristici onde abbiamo parlato, compresa pure la
formazione delle rughe rettangolari nel mezzo del fronte. Per ultimo, incontrai un giorno per via una
fanciullina di tre o quattro anni, cui un cane aveva sgomenta, e quando le chiesi che avesse, lasciò di
piangere e le sue sopracciglia presero tosto una posizione singolarmente obliqua.
Dunque, senza alcun dubbio, noi abbiamo in ciò la chiave del problema che ci presenta
l'antagonismo tra la contrazione delle fibre centrali del frontale e quella dei muscoli peri-oculari,
sotto l'influenza del dolore, - tanto che questa contrazione sia prolungata, come negli alienati
malinconici, quanto ch'ella sia momentanea e suscitata da una contrarietà insignificante. Nella
nostra infanzia, tutti contraemmo spesse volte i muscoli orbicolari, sopraccigliari e piramidali, onde
protegger gli occhi, mandando sempre delle grida; prima di noi, i nostri antenati fecero lo stesso per
molte generazioni, e quantunque, progredendo in età, ci riesca facile di trattenere le grida al provare
qualche dolore, tuttavia non possiamo vincere ogni volta l'effetto d'una lunga abitudine ed impedire
una leggiera contrazione dei muscoli anzidetti: che se questa contrazione è molto debole, non la
notiamo nemmanco, cerchiamo di reprimerla. Ma sembra che i piramidali dipendano dalla.
volontà meno degli altri muscoli onde tenemmo parola, e che, quando sono bene sviluppati, la loro
contrazione non possa venir arrestata che dalla contrazione antagonista dei fasci mediani del
frontale. Per le quali cose, se questi ultimi fasci si contraggono con energia, devono necessariamente
risultarne un obliquo innalzamento di sopraccigli, un increspamento dei loro capi interni e la
formazione di rughe rettangolari nel mezzo del fronte. Siccome i fanciulli e le donne piangono
molto più facilmente degli uomini, e gli adulti dei due sessi non piangono che sotto l'influenza del
dolore morale, puossi comprendere il perchè avvenga (com'io l'ebbi ad osservare) che i muscoli del
dolore entrano in azione più spesso nel fanciullo e nella donna, che nell'uomo e, generalmente
nell'adulto, non si contraggono che per dolore dell'animo. In alcuni dei casi di già citati, in quelli, ad
esempio, della sciagurata Dhangar e dell'Indostano, alla contrazione dei muscoli del dolore susseguì
subito il pianto. In ogni contrarietà, grande o piccola, il nostro cervello, causa una lunga abitudine,
tende ad inviare a certi muscoli l'ordine di contrarsi, quasi noi fossimo ancora fanciulli, pronti a
scioglierci in lagrime. Nullameno, mercè al meraviglioso potere della volontà, e mercè pure agli
effetti dell'abitudine, noi possiamo parzialmente resistere a quest'ordine, senza aver tuttavia
coscienza di tal resistenza, o per lo meno del meccanismo per cui ella agisce.
Depressione degli angoli della bocca. - Questa depressione è prodotta dai depressores anguli
oris (triangolari del mento, fig. 1 e 2, K). Le fibre di questo muscolo divergono verso la parte
inferiore; le loro estremità superiori, convergenti, s'attaccano agli angoli della bocca, e per un breve
tratto alla parte esterna del labbro inferiore
(
141
)
. Alcune di queste fibre sembrano essere antagoniste a
quelle del gran zigomatico e di vari muscoli che s'appigliano alla parte esterna del labbro superiore.
La contrazione del triangolare tira in basso ed in fuori gli angoli della bocca, e così pure la parte
esterna del labbro superiore, ed anche, in debole grado, le ali del naso. Quando, essendo chiusa la
bocca, questo muscolo entra in azione, la linea di congiunzione dei due labbri forma una curva a
concavità inferiore
(
142
)
, e le labbra stesse, specialmente l'inferiore, sono tratte alquanto in avanti.
Codesta disposizione della bocca è ben rappresentata nelle due fotografie del signor Rejlander
(Tavola II, fig. 6 e 7). Nella fig. 6 si osserva un giovanetto che patì da un compagno uno schiaffo sul
viso e lascia appena di piangere: è precisamente l'istante scelto per fotografarlo.
L'espressione di cattivo umore, di affanno o di abbattimento, dovuta alla contrazione dei
triangolari, venne osservata da tutti coloro che si occuparono di tali quistioni. In inglese, dire che un
individuo ha la bocca abbassata significa che egli è di umore depresso. Come già dissi, in seguito
141
()
HENLE, Handbuch der Anat. des Menschen,1858, vol. I, p. 148, fig. 68 e 69.
142
()
Veggasi lo studio sull'azione di questo muscolo, del dott. DUCHENNE, Mécanisme de la Physionomie
humaine. Album (1862), VIII, p. 34.
alla testimonianza del dottor Crichton Browne e del sig. Nicol, la depressione degli angoli della
bocca si osserva spesso negli alienati malinconici: la si vede spiccatissima in alcune fotografie di
certi malati molto inclinati al suicidio, che mi vennero spedite dal signor Browne. D'altro canto la si
constatò in uomini appartenenti a razze diverse, negl'Hindus, nelle tribù negre delle montagne
dell'India, nei Malesi, e finalmente sulla fede del rev. signor Hagenauer, negli aborigeni
dell'Australia.
Il bambino che grida contrae energicamente i muscoli peri-oculari, e di conseguenza solleva il
labbro superiore. Siccome poi egli deve nello stesso tempo tener la bocca spalancata, i muscoli
abbassatori che confinano colle commessure entrano pure vigorosamente in azione. In generale, non
sempre però, ne risulta una leggiera curvatura angolosa d'ambo i lati del labbro inferiore, in
vicinanza di queste commessure. I movimenti combinati delle due labbra danno all'orifizio boccale
una forma quadrangolare. La contrazione del muscolo triangolare si vede assai bene nel bambino,
allorchè strilla senza troppa violenza, e meglio ancora nel punto in cui comincia o finisce di gridare.
Il suo visino prende allora una miserissima espressione, ch'io osservai molte volte su' miei stessi
figliuoli dall'età di circa sei settimane a due o tre mesi. Talvolta, quando il fanciullo lotta contro un
accesso di pianto, l'inflessione della bocca s'esagera tanto, che questa assume la forma d'un
semicerchio; l'espressione di profonda desolazione che prende allora il suo viso costituisce
veramente una ridicola caricatura.
Egli è probabile che la contrazione del triangolare, sotto l'influenza del cattivo umore o
dell'abbattimento, si spieghi cogli stessi principii generali onde vedemmo l'applicazione a proposito
dell'obliquità dei sopraccigli. Il dott. Duchenne, dalle proprie osservazioni di molt'anni, conclude
che, fra tutti quei della faccia, questo muscolo è uno dei meno sottomessi al controllo della volontà.
In appoggio di codesta credenza, noi possiamo richiamare l'osservazione già fatta riguardo a un
fanciullo ch'è presso a piangere, ma ch'esita ancora, o si sforza di trattenere le lagrime: in questi
casi, per solito, la sua volontà agisce su tutti i muscoli del viso più efficacemente che sugli
abbassatori delle commessure labiali. Due egregi osservatori, medico l'uno, dietro mia inchiesta,
furono tanto gentili da studiare, con cura e senz'alcuna idea preconcetta, dei fanciulli vari in età e
delle donne, nel punto in cui, malgrado gli sforzi per contenersi, stavano per piangere: questi due
osservatori asseriscono che i triangolari entrano in azione prima di tutti gli altri muscoli. Per lo che,
siccome nell'infanzia questi muscoli vennero fatti agir di sovente, per lungo seguito di generazioni,
la forza nervosa, in virtù del principio dell'associazione delle abitudini, dee tendere a portarsi verso
questi muscoli, come pure verso gli altri della faccia, tutte le volte in cui si prova un senso, anche
leggiero, di tristezza. Ma, siccome i triangolari, in confronto di altri muscoli, sono alquanto meno
sottomessi al controllo della volontà, noi li vedremo leggermente contrarsi, quando gli altri
rimangono inerti. Ed è curioso vedere come una leggerissima depressione degli angoli della bocca
basti per dare alla fisionomia un'espressione di cattivo umore o d'abbattimento; dimodochè una
lievissima contrazione dei triangolari manifesta da sola questi stati dell'animo.
Terminerò raccontando una piccola osservazione, che in qualche modo servirà a riassumere
ciò che s'è detto. Un mi trovai assiso in uno scompartimento di vagone, di faccia ad una vecchia
signora, la quale mostrava nel volto un'espressione serena, avvegnachè concentrata. Guardandola,
notai che i muscoli triangolari le si contraevano assai leggermente, ma in modo spiccato. Tuttavia,
siccome la sua fisonomia conservavasi sempre calma, io pensai (quantunque potessi facilmente
ingannarmi) che questa contrazione dovea essere affatto incosciente. Avevo appena concepita
codesta idea, che gli occhi di quella signora s'ammollirono improvvisamente di lagrime, le quali
parevano pronte a scorrer le guancie, mentre dalla figura di lei traspariva l'abbattimento. Certamente
qualche triste ricordo, forse quello d'un figliuolo tempo addietro perduto, aveale in quel punto
traversata la mente. Non appena il sensorio era stato in lei così impressionato, alcune cellule
nervose, in seguito ad un'inveterata abitudine, avevano istantaneamente trasmesso l'ordine a tutti i
muscoli respiratorii ed a quelli del volto, onde disporli ad un accesso di pianto. Ma la volontà, o
piuttosto un'abitudine posteriormente acquistata, intervenendo allora, aveva respinto quest'ordine; e
tutti i muscoli avevano prestato obbedienza all'ultimo comando, tranne i triangolari, che soli erano
entrati leggermente in azione, deprimendo alquanto le commessure de' labbri. Del resto, la bocca era
rimasta chiusa, e la respirazione tranquilla, come allo stato normale.
Nell'istante in cui la bocca di questa signora aveva cominciato a prendere, in maniera
involontaria e incosciente, la forma che caratterizza un accesso di pianto, un'impressione aveva
dovuto trasmettersi, certo per le vie da lungo tempo usate a tutti i muscoli respiratorii, come pure ai
muscoli peri-oculari ed al centro vasomotore che regge la circolazione sanguigna nelle glandule
lagrimali. Quest'ultimo fatto trovava chiara spiegazione nella subita presenza delle lagrime che
emettevano gli occhi, presenza facile a comprendersi, giacchè le glandule lagrimali, in confronto dei
muscoli facciali, sono molto meno sottomesse all'influenza della volontà. Nello stesso tempo,
doveva senza dubbio esistere nei muscoli peri-oculari una disposizione a contrarsi, come per
proteggere gli occhi contro i pericoli d'un ingorgo sanguigno; ma questa disposizione era stata
contrariata e completamente soggiogata dalla volontà, per modo che il sopracciglio non si mosse.
Se, come avviene in molte persone, il piramidale, il sopraccigliare e gli orbicolari fossero stati meno
obbedienti all'azione della volontà, e' sarebbero entrati leggermente in giuoco, allora anche le fibre
mediane del frontale si sarebbero contratte in senso inverso, le sopracciglia avrebbero presa una
direzione obliqua e sul fronte sarebbero apparse delle crespe rettangolari. In allora anche la
fisionomia avrebbe rivestita, in modo ancor più spiccato, l'espressione dell'abbattimento o, meglio,
dell'affanno.
E così procedendo, possiamo comprendere come, allorchè qualche pensiero malinconico ci
attraversa la mente, si produca un'impercettibile depressione degli angoli della bocca, od una
leggera elevazione delle estremità interne dei sopraccigli, od ancora l'una e l'altra insieme, tosto
seguite da lieve spargimento di lagrime. La forza nervosa, trasmessa per le sue vie abituali, riesce
efficace dovunque la volontà non ha acquisita, per una lunga abitudine, forza bastante ad opporvisi.
I su accennati fenomeni possono dunque tenersi quali vestigia rudimentali degli accessi di grida,
tanto frequenti e prolungati nell'infanzia. In questo caso, come in molti altri, i legami che annodano
la causa all'effetto, per dar luogo a diverse espressioni dell'umana fisonomia, sono davvero
meravigliose, e ne dànno spiegazione di alcuni movimenti che noi compiamo involontariamente e
inscientemente tutte le volte in cui certe passeggiere emozioni traversano lo spirito nostro.
CAPITOLO VIII.
GIOIA - ALLEGREZZA - AMORE - SENTIMENTI
AFFETTUOSI - DEVOZIONE
Riso, prima espressione della gioia. - Idee piacevoli. - Moti e lineamenti del volto durante il riso. - Natura del suono
prodotto. - Secrezione di lagrime che accompagna lo sghignazzamento. - Gradi intermedi fra lo sghignazzare e il
sorridere. - Allegria. - Espressione dell'amore. - Sentimenti affettuosi. - Devozione.
Una vivissima gioia provoca parecchi inutili movimenti: si balla, si battono le mani, si
pestano i piedi, ecc.; e nel medesimo tempo si ride fragorosamente. Ciò si vede palese nei fanciulli,
i quali, giuocando, ridono quasi che di continuo. Nella giovinezza, l'allegria si manifesta pure
frequente con iscoppi di risa che sono giustificati da nulla. Omero chiama il riso degli Dei
«l'esuberanza della loro gioia celeste dopo il quotidiano convito». Si sorride (e vedremo che il
sorriso passa grado grado al riso), si sorride quando s'incontra per via un vecchio amico; si sorride
anche sotto l'influenza del più leggiero piacere, ad esempio, aspirando un soave profumo
(
143
)
. Laura
Bridgman, cieca e sorda, non poteva certo aver imparato da altrui veruna maniera di esprimersi; or
bene, allorchè, coll'aiuto di segni, le si comunicava una lettera di qualche amico, «rideva, batteva le
mani e le si colorivano le guancie». In altre occasioni fu vista a pestare i piedi in segno di gioia
(
144
)
.
Anche gl'idioti e gl'imbecilli ci forniscono buone prove in appoggio dell'opinione, che il riso
od il sorriso esprimono di prima mano la gioia o la felicità. Il dottor Crichton Browne, che volle
gentilmente comunicarmi, su questo argomento come su molti altri, i risultati della sua vasta
sperienza, m'apprende che negli idioti il riso è la più generale e la più frequente di tutte le
espressioni. Certi idioti sono fastidiosi, irascibili, turbolenti, cattivi, od anche affatto stupidi: codesti
143
()
HERBERT SPENCER, Essays Scientific, ecc., 1858, p. 360.
144
()
F. LIEBER, sui suoni vocali di L. BRIDGMAN, Smithsonian Contributions, 1851, vol. II p. 6.
non ridono mai. Certi altri ridono spesso del riso più sciocco. Così, nell'Asilo, un giovane idiota,
privo dell'uso della parola, lamentavasi un giorno a mezzo di segni col dottor Browne, perchè un
compagno gli aveva fatto male ad un occhio; «queste doglianze erano interrotte da scoppi di risa, e
la faccia di lui s'illuminava di larghi sorrisi». Ci ha un'altra classe d'idioti, assai numerosa, i quali
sono costantemente allegri e inoffensivi, e questi ridono o sorridono sempre
(
145
)
. La loro fisonomia
s'impronta sovente d'un riso stereotipo; mettendo loro davanti una vivanda qualunque, carezzandoli,
mostrando ad essi dei brillanti colori, o facendo loro sentire della musica, si fanno più allegri, si
rasserenano, ridono e mandano grida soffocate. Alcuni ridono più del solito, quando camminano od
eseguiscono un esercizio muscolare qualunque. Secondo le osservazioni del dottor Browne,
l'allegria della maggior parte di questi idioti non è menomamente associata con alcun determinato
pensiero; essi provano soltanto un piacere, e l'esprimono ridendo o sorridendo. Negli imbecilli, i
quali nella scala degli alienati occupano un gradino più in su, sembra che la vanità personale sia la
causa più comune del riso, e, dopo questa, il piacere prodotto dall'approvazione concessa alla loro
condotta.
Nell'adulto il riso viene provocato da cause ben differenti, che non nell'infante; peraltro non
avviene lo stesso per il sorriso. Sotto questo riguardo, il riso ha analogia colle lagrime, che
nell'adulto colano solo sotto l'influenza del dolore morale, mentre nel fanciullo sono eccitate da ogni
sofferenza, fisica o no, come pure dal terrore o dalla collera. Molti autori discussero in modo
curioso intorno alle cause del riso nell'adulto: ell'è codesta una quistione molto complessa. Ei pare
che, nella maggior parte dei casi, la causa provocatrice del riso sia una cosa incongrua o bizzarra, la
quale produca sorpresa od un sentimento più o meno spiccato di superiorità - ammesso per altro che
lo spirito sia bene disposto
(
146
)
. Le circostanze che lo producono non devono essere di un'importante
natura: così un povero diavolo, che apprende improvvisamente di aver fatto una grossa eredità, non
avrà voglia di ridere, di sorridere. Se, mentre l'animo è vivamente eccitato da giocondi
sentimenti, accade qualche cosa d'inatteso, se un'idea impreveduta colpisca la mente, allora, a dire
del signor Herbert Spencer
(
147
)
, «la forza nervosa in notevole quantità, che stava per dispensarsi
producendo una quantità equivalente di pensieri e di nuove emozioni, si trova improvvisamente
sviata.... Bisogna che quest'eccesso si scarichi in qualche altra direzione, onde ne risulta un flusso
che si precipita, per i nervi motori, fino alle diverse classi di muscoli, e provoca quel complesso di
atti semi-convulsivi a cui si dà il nome di riso». Nell'ultimo assedio di Parigi, un corrispondente fece
un'osservazione, la quale, nell'argomento che ci occupa, ha il suo valore: quando i soldati alemanni
erano profondamente impressionati da una pericolosissima situazione, cui riuscivano di scampare,
erano in modo speciale disposti a dare in fragorosi scoppi di risa per la più futile causa. Così pure,
quando i bambini cominciano a piangere, basta talvolta una circostanza brusca e inattesa per farli
passare dalle lagrime al riso; sembra che queste due manifestazioni possano in pari grado servire a
sperdere l'eccesso prodotto di forza nervosa.
Qualche volta si dice che l'immaginazione è solleticata da una piacevole idea: questo solletico
intellettuale presenta curiose analogie col solletico fisico. Tutti conoscono gli smodati scoppi di risa,
le generali convulsioni che il solletico provoca nei fanciulli. Vedemmo che anche le scimie
antropomorfe, quando vengono solleticate, specialmente nel cavo dell'ascella, mandano un suono
interrotto paragonabile al ridere umano. Un giorno strisciai con un pezzo di carta la pianta del piede
d'un mio figliuolino, nato da soli sette giorni; egli ritirò subito la gamba con un brusco movimento,
flettendo le dita, come l'avrebbe potuto fare un fanciullo più avanzato in età. È chiaro che questi
movimenti, come pure il riso provocato dal solletico, sono atti riflessi; e ciò dicasi anche della
contrazione dei piccoli muscoli lisci che erigono i peli in vicinanza ad un punto della pelle
solleticato
(
148
)
. Ma il riso prodotto da un'idea piacevole, quantunque involontario, non può tuttavia
chiamarsi un atto riflesso nello stretto senso della parola. In questo caso, come nell'altro in cui il riso
è cagionato dal solletico, onde quello si produca, bisogna che l'animo sia ben disposto. Così un
145
()
Veggasi anche MARSHALL, Philosophical Transactions, 1864, p. 526.
146
()
Nell'opera del BAIN (The Emotions and the Will, 1865, p. 247) si trova una lunga e interessante discussione
sulle cause del riso. La citazione, trascritta più in su, sul ridere degli Dei è tratta da quest'Opera. - Veggasi anche
MANDEVILLE, The Fable of the Bees, vol. II, p. 168.
147
()
The Physiology of Laughter. Essays, seconda serie, 1863, p. 114.
148
()
LISTER, Quarterly Journal of Microscopical Science, 1853, vol. I, p. 266.
fanciullino, solleticato da una persona sconosciuta, manda grida di spavento. Occorre eziandio che il
contatto sia leggiero, e che l'idea od il fatto che deve provocare il riso, non abbia seria importanza.
Le parti del corpo più sensibili al solletico sono quelle che non sopportano abitualmente il contatto
di superficie straniere, ad esempio le ascelle o le parti interne delle dita; o meglio ancora quelle che
soffrono il contatto di una superficie larga e uniforme, come la pianta dei piedi; peraltro la parte su
cui ci appoggiamo quando siamo seduti, fa spiccata eccezione alla regola. Secondo Gratiolet
(
149
)
,
certi nervi, in confronto di certi altri, sono molto più sensibili al solletico. Un fanciullo riesce
difficilmente a solleticarsi da sè, o per lo meno la sensazione che ne prova è assai meno intensa. di
quando è prodotta da un'altra persona. Da questo fatto sembra risulti che, onde la sensazione del
solletico esista, bisogna che il contatto giunga inatteso; nella stessa maniera, se trattasi dell'animo,
pare che una cosa inaspettata, un'idea repentina o bizzarra, la quale si getti traverso un corso
ordinato di pensieri, costituisca un notevole elemento nelle cause del riso.
Lo strepito che accompagna il ridere è prodotto da una profonda inspirazione, seguita da una
contrazione breve, interrotta, spasmodica dei muscoli toracici e specialmente del diaframma
(
150
)
. Gli
è da ciò che deriva l'espressione: ridere da tenersi le coste. In seguito alle scosse impresse al corpo,
la testa è smossa da una parte all'altra. La mascella inferiore tremola spesso dall'alto al basso;
movimento quest'ultimo che notasi pure in alcune specie di babbuini, quando sono sotto l'impero di
una viva gioia.
Ridendo, la bocca si apre più o meno; le commessure sono tratte assai indietro e un po' in alto;
il labbro superiore si solleva leggermente. Ove meglio si osserva la trazione all'indietro delle
commessure, gli è in un riso moderato o in un largo sorriso; d'altra parte l'epiteto applicato alla
parola sorriso indica che la bocca si apre di molto. Nella Tavola III si veggono (fig. 1-3) delle
fotografie che rappresentano il sorriso e diversi gradi del riso. La figura della fanciullina con sul
capo un cappello, è del dottor Wallich: l'espressione ne è naturalissima. Le due altre sono del signor
Rejlander. Il dottore Duchenne fa più volte notare
(
151
)
che, sotto l'influenza di un sentimento
giocondo, la bocca subisce l'azione di un muscolo solo, il gran zigomatico, il quale ne tira gli angoli
in alto e all'indietro; tuttavia, a voler giudicare dal modo con cui i denti superiori si scoprono
costantemente nel riso o nel largo sorriso, e riportandomi per giunta alla testimonianza delle mie
sensazioni personali, non posso dubitare che alcuni dei muscoli che s'inseriscono sul labbro
superiore non entrino pur leggermente in azione. Nello stesso tempo le porzioni superiore ed
inferiore dei muscoli orbicolari si contraggono più o meno; e, come vedemmo parlando del pianto,
esiste un'intima connessione tra questi muscoli (specie gl'inferiori) ed alcuni di quelli che confinano
col labbro superiore. Su questo proposito Henle fa osservare
(
152
)
che, quando un uomo chiude
perfettamente un occhio, non può a meno di sollevare il labbro superiore dello stesso lato; e
viceversa, se, dopo di aver collocato un dito sulla palpebra inferiore, si cerca di scoprire più che sia
possibile i denti incisivi superiori, si sente, man mano che il labbro si solleva con energia, che i
muscoli della palpebra entrano in contrazione. Nel disegno di Henle, riprodotto alla fig. 2, si può
vedere che il muscolo malaris (H), il quale si getta nel labbro superiore, appartiene quasi
integralmente alla parte inferiore dell'orbicolare.
Il dottor Duchenne pubblicò due grandi fotografie, che noi presentiamo ridotte alle figure 4 e
5 della Tavola III, e che rappresentano il volto di un vecchio: la prima, allo stato normale,
impassibile, - la seconda, naturalmente sorridente. L'espressione di quest'ultima venne riconosciuta
a primo aspetto da tutti che la videro. Nello stesso tempo egli diede, come esempio di un sorriso
prodotto artificialmente, un'altra fotografia (fig. 6) del medesimo vecchio, cogli angoli della bocca
fortemente contratti per la galvanizzazione dei muscoli gran zigomatici. Ora, è cosa evidente che
codesta espressione non è naturale, perocchè, di ventiquattro persone, a cui ne feci vedere la
fotografia, tre non seppero trovarvi espressione veruna, e le altre, pur riconoscendo che si trattava di
qualche cosa più o meno analoga ad un sorriso, proposero gli appellativi seguenti: buffonata, riso
forzato, ridere smorfioso, ridere mezzo balordo, ecc. Il dottore Duchenne attribuisce la falsità
149
()
De la Physionomie, p. 186.
150
()
Sir C. BELL (Anat. of Expressions; p. 147) fa alcune osservazioni sul movimento del diaframma durante il
riso.
151
()
Mécanisme de la Physionomie humaine. Album, leggenda VI.
152
()
Handbuch der
,
System. Anat. des Menschen,1858, vol. I, p. 144. - Veggasi la mia fig. 2, H.
dell'espressione all'insufficiente contrazione degli orbicolari a livello delle palpebre inferiori, ed a
buon diritto annette grande importanza alla contrazione di questi muscoli nell'espressione della
gioia. In codesta foggia di vedere vi ha senza dubbio qualche cosa di vero, ma tuttavia a' miei occhi
non esprime ancora tutta la verità. Come abbiamo già visto, la contrazione della parte inferiore degli
orbicolari è sempre accompagnata da un sollevamento del labbro superiore. Così, nella figura 6, se
il labbro si fosse leggermente elevato, la curvatura sarebbe riescita assai meno brusca, il solco naso-
labiale avrebbe alquanto cangiato di forme, e l'insieme dell'espressione sarebbe stato, io credo, più
naturale, senza calcolare ciò che vi avrebbe giovato una più energica contrazione delle palpebre
inferiori. Di più, nella figura 6, il sopraccigliare è contratto così da increspare le sopracciglia; ora, a
meno che non si tratti di un riso molto accentuato o violento, questo muscolo, sotto l'influenza della
gioia, non agisce giammai.
Per la contrazione del gran zigomatico, dunque, le commessure si deprimono e si sollevano,
ed il labbro superiore s'innalza; ne viene da ciò che anche le guancie sono tratte in su. Sotto gli
occhi, e, nei vecchi, alla loro estremità esterna, si formano delle pieghe, e queste pieghe sono
eminentemente caratteristiche del riso o del sorriso. Quando un individuo passa da un leggiero
sorriso ad un sorriso bene distinto o ad un riso spiegato, s'ei presta attenzione alle proprie sensazioni
e si guardi allo specchio, può constatare che, man mano che il labbro superiore si solleva e si
contraggono gli orbicolari inferiori, le rughe che si veggono alla palpebra inferiore e all'ingiro degli
occhi si fanno ognora più spiccate. Nello stesso tempo, in base ad un'osservazione da me spesse
volte eseguita, le sopracciglia si abbassano leggermente, il che prova che gli orbicolari superiori
entrano, come gli inferiori, in contrazione, almeno fino ad un certo grado, avvegnachè quest'ultimo
fenomeno non ci sia fatto palese dalle nostre sensazioni. Chi voglia confrontare le due fotografie
che rappresentano il vecchio in discorso, alla figura 4 nel suo stato ordinario, ed alla figura 5
naturalmente sorridente, s'avvedrà che in quest'ultima le sopracciglia sono alquanto abbassate. Io
credo che ciò sia un effetto dei muscoli orbicolari superiori, i quali, per l'influenza di un'abitudine
lungamente associata, tendono ad entrare più o meno in azione di concerto cogli orbicolari inferiori,
che si contraggono quando il labbro superiore s'innalza.
La disposizione dei muscoli zigomatici a contrarsi sotto l'influenza di sentimenti giocondi è
dimostrata da un fatto curioso, che mi fu comunicato dal dottore Browne, relativo ai malati colpiti
dalla paralisi generale degli alienati
(
153
)
: «In questi malati, si constata quasi invariabilmente un certo
che di ottimismo - illusioni di salute, di posizione, di grandezza - un'allegria insensata, della
benevolenza, della prodigalità; d'altra parte, il primo sintomo fisico di quest'affezione consiste nel
tremito delle commessure labiali e degli angoli esterni degli occhi. Gli è codesto un fatto ben
dimostrato. La continua agitazione della palpebra inferiore, il tremito dei muscoli gran zigomatici
sono segni patognomonici del primo periodo della paralisi generale. La fisionomia poi offre
un'espressione di soddisfazione e di benevolenza. Man mano che la malattia progredisce, altri
muscoli vengono alla loro volta contratti; ma fino al grado della completa imbecillità, l'espressione
dominante è sempre quella di una stupida bonarietà».
Nel riso e nello spiccato sorriso, in seguito all'elevazione delle guancie e del labbro superiore,
il naso sembra accorciarsi; la pelle mediana si copre di sottili rughe trasversali, e quella sui lati di
crespe longitudinali od oblique. Per solito si scoprono gl'incisivi superiori; e si forma un
profondissimo solco naso-labiale, che, partendo dall'ala del naso, arriva agli angoli della bocca,
solco che nei vecchi spesse volte è doppio.
La soddisfazione o il diletto è caratterizzato eziandio dallo sguardo vivace e brillante, come
pure dalla contrazione delle commessure e del labbro superiore e dalle pieghe che vi si
accompagnano. Negli idioti microcefali stessi, che sono così digradati da non apprendere mai a
parlare, gli occhi, sotto l'influenza del piacere, brillano un poco
(
154
)
. Nel riso violento, gli occhi sono
troppo pieni di lagrime per poter brillare; invece, nel riso moderato o nel sorriso, l'umidità secreta
dalle glandule lagrimali può giovare a renderli vivaci; tuttavia questa circostanza non deve avere
che un'importanza secondaria, imperocchè, sotto l'influenza dell'affanno, l'occhio si scolorisce,
quantunque non di rado sia contemporaneamente pieno di lagrime. La vivacità dello sguardo sembra
153
()
Si veggano anche le osservazioni del dott. J. CRICHTON BROWNE, relative allo stesso argomento, nel
Journal of Mental Science, aprile 1871, p. 149.
154
()
C. VOGT, Mémoire sur les Microcéphales, 1867, p. 21.
principalmente dipendere dalla sua interna tensione
(
155
)
, dovuta alla contrazione dei muscoli
orbicolari ed alla pressione delle guancie rialzate. Tuttavia, secondo il dottore Piderit, che studiò
l'argomento più di ogni altro scrittore
(
156
)
, questa tensione può venire in gran parte attribuita
all'ingorgo dei globi oculari prodotto dal sangue e dagli altri fluidi, che risulta dal circolo accelerato
dovuto all'eccitazione del piacere. Quest'autore fa notare il contrasto esistente tra l'aspetto degli
occhi d'un malato di tisi in cui il circolo è rapido, e quel degli occhi d'un individuo colpito di
cholera, e nel quale quasi tutti i fluidi sono consumati. Ogni causa che rallenta la circolazione
ammortisce lo sguardo. Mi ricordo d'aver visto un uomo affatto sfinito per lungo e violento
esercizio in giornata caldissima; un vicino paragonava gli occhi di lui a quelli d'un merluzzo bollito.
Ma torniamo ai suoni che accompagnano il riso. Noi possiamo quasi comprendere come
l'emissione di suoni d'un genere qualunque abbia dovuto naturalmente associarsi ad un giocondo
stato dell'animo; infatti, una gran parte del regno animale impiega i suoni vocali od istrumentali sia
come richiamo, sia come mezzo di seduzione fra i sessi. In certe riunioni tra i genitori e la loro
progenie, o fra membri d'una stessa comunità questi suoni vengono usati anche come segni di gioia.
Ma per quale ragione i suoni emessi dall'uomo sotto l'influenza della gioia abbiano la specialità di
venire ripetuti, specialità che caratterizza il riso, non ci è dato spiegare. Tuttavia si può ammettere
che, per quanto era possibile, questi suoni abbiano dovuto naturalmente rivestire una forma diversa
da quella delle grida che esprimono il dolore; e giacchè nella produzione di queste, le espirazioni
sono lunghe e continue, le inspirazioni brevi e interrotte, i suoni provocati dalla gioia doveano
certamente avere espirazioni corte ed a scosse con ispirazioni prolungate. Infatti accade proprio
così.
Ma ecco una quistione, la cui soluzione non è meno difficile: Perchè, nel riso ordinario, gli
angoli della bocca si contraggono ed il labbro superiore sollevasi? La bocca non può spalancarsi;
imperocchè, quando ciò avviene in un parossismo di sgangherate risa, n'esce un suono appena
apprezzabile, od almeno il suono emesso cangia di tuono e sembra venire dal più profondo della
gola. I muscoli che presiedono alla respirazione ed anche quelli degli arti vengono
contemporaneamente messi in azione ed eseguiscono rapidi movimenti vibratorii. La mascella
inferiore partecipa spesso a questi movimenti, il che impedisce alla bocca di spalancarsi. Tuttavia,
siccome bisogna emettere un volume considerevole di suono, l'apertura boccale dev'essere
sufficiente, ed è forse a tal uopo che si contraggono le commessure e si solleva il labbro superiore.
Se ci riesce difficile spiegare la forma che prende la bocca durante il riso e che provoca la
formazione di rughe sotto gli occhi, come pure lo speciale suono interrotto che l'accompagna e il
tremolìo della mascella, possiamo almeno supporre che tutti questi effetti derivino da una medesima
causa. Infatti, tutti caratterizzano l'espressione del piacere in diverse specie di scimie.
Dal riso sgangherato alla semplice espressione dell'allegria v'ha una gradazione non interrotta,
passando per il riso moderato, il largo sorriso ed il sorriso leggiero. Quando si ride
sgangheratamente, il corpo spesse volte si getta indietro e si scuote, o cade quasi in convulsioni; la
respirazione è turbatissima, la testa e la faccia si riempiono di sangue, le vene si dilatano, i muscoli
peri-oculari si contraggono spasmodicamente per proteggere gli occhi. Sgorgano abbondanti le
lagrime; però, come ho già fatto notare, è appena possibile di riconoscere una differenza qualunque
sul viso bagnato di lagrime dopo un accesso di riso e dopo un trasporto di pianto
(
157
)
. Gli è
probabilmente per l'esatta rassomiglianza tra i movimenti convulsivi causati da sentimenti così
diversi, che i malati isterici passano alternativamente dal pianto al riso violento e che ciò qualche
volta si avvera anche nei bambini. Il signor Swinhoe mi dice d'aver osservato di spesso dei Cinesi,
tormentati da un profondo affanno, scoppiare in accessi isterici di risa.
Desideravo conoscere se lo sghignazzamento provocasse un'abbondante effusione di lagrime
nella maggior parte delle razze umane: le risposte che mi diedero in proposito i miei corrispondenti,
permettono di rispondervi affermativamente. Uno degli esempi citati si riferisce a certi Indù, nei
quali d'altra parte, per loro propria testimonianza, il fatto non è raro. Avviene lo stesso per i Cinesi.
155
()
Sir C. BELL, Anatomy of Expression, p. 133.
156
()
Mimik und Physiognomik, 1867, p. 63-67.
157
()
Veggansi le osservazioni di sir J. REYNOLDS (Discourses, XII, p. 100). «Egli è curioso, ei dice, osservare
come gli estremi delle passioni s'esprimano, salvo leggerissime differenze, coi medesimi atti». Ad esempio, egli cita il
piacere frenetico d'una Baccante ed il dolore d'una Maria Maddalena.
In una tribù selvaggia di Malesi, nei dintorni dell'isola di Malacca, si vede talvolta (benchè, a dir
vero, assai raramente) che le donne, sganasciandosi dalle risa, versano lagrime. Nei Dyak di Borneo
invece, almeno fra le donne, il fatto dev'essere frequente; imperocchè il Rajah C. Brooke mi riferì
ch'essi di solito usano la frase: ridere fino alle lagrime. Gli aborigeni Australiesi si abbandonano
senza ritegno ai loro sentimenti; al dire de' miei corrispondenti, essi saltano e battono le mani in
segno di gioia, e ridendo mandano spesso veri ruggiti; secondo la testimonianza di quattro fra questi
osservatori, i loro occhi in tali circostanze si umettano, e in uno dei casi citati, le lagrime colavano
lungo le guancie. Il signor Bulmer, che percorse in qualità di missionario le remote regioni di
Victoria, osserva che «i naturali si mostrano sensibilissimi alle buffonate; essi sono mimi eccellenti,
e quando uno di loro si mette a contraffare le originalità di qualche membro assente della tribù, il
campo tutto ride di spesso fino a divenirne convulso». Ci è noto che anche presso gli Europei
l'imitazione è una delle cose che provocano più agevolmente il riso; or è abbastanza curioso
riscontrare la stessa particolarità nei selvaggi Australiesi, che costituiscono una fra le razze meglio
definite del globo.
Nell'Africa meridionale, in due tribù di Cafri, specialmente nelle donne, avviene spesse volte
che nel bel mezzo del ridere gli occhi si riempiono di lagrime. Gaika, fratello del capo Sandilli, da
me interpellato su questo argomento, mi risponde: «Sì, è generalmente la loro abitudine». Sir
Andrew Smith vide il viso tatuato di una donna Ottentota solcato da lagrime dopo un trasporto di
risa. La stessa osservazione fu fatta negli Abissini dell'Africa settentrionale. Infine il fatto fu
constatato nell'America del Nord, presso una tribù notevolmente selvaggia ed isolata; in un'altra
tribù lo si ebbe a notare una volta soltanto.
Come abbiamo già detto, dallo sghignazzamento, per transazioni insensibili, si passa al riso
moderato. In questo, i muscoli peri-oculari si contraggono assai meno e l'increspamento dei
sopraccigli è poco distinto o nullo. Fra un riso moderato ed un largo sorriso, quasi non corre
differenza veruna; solamente quest'ultimo non è accompagnato da veruna emissione di suono.
Tuttavia, al cominciare d'un sorriso, si ode sovente una espirazione più forte; un lieve rumore, una
specie di rudimento del riso. Sopra una faccia che ride moderatamente, la contrazione dei muscoli
orbicolari superiori qualche volta si manifesta anche per un leggiero abbassamento dei sopraccigli.
Quella dei muscoli orbicolari inferiori e palpebrali è più visibile, ed è palesata dall'increspamento
delle palpebre inferiori e dei sottostanti tegumenti, come pure da una debole elevazione del labbro
superiore. Dal più largo sorriso si passa al più leggiero per una serie di gradini insensibili. Al limite
estremo, i lineamenti si alterano pochissimo, molto più lentamente, e la bocca resta chiusa. Anche la
curva del solco naso-labiale si modifica leggermente. Per lo che, basati sulle movenze dei
lineamenti, riesce impossibile stabilire una linea qualunque di spiccata demarcazione tra il riso più
violento e il più lieve sorriso
(
158
)
.
Si potrebbe credere perciò che il sorridere costituisca la prima fase nello sviluppo del riso.
Tuttavia si può considerare la cosa sotto un altro punto di vista, probabilmente più esatto: l'abitudine
di tradurre una gioconda sensazione colla emissione di suoni fragorosi e interrotti ha sul principio
provocato lo stiramento degli angoli della bocca e del labbro superiore, come pure la contrazione
dei muscoli orbicolari; da quel momento, mercè l'associazione e la prolungata abitudine, gli stessi
muscoli devono adesso entrare leggermente in azione, quando una causa qualunque eccita in noi un
sentimento che, più intenso, avrebbe cagionato il riso; da ciò risulta il sorriso.
Sia che si voglia considerare il riso come il completo sviluppo del sorriso; sia (ed è più
probabile) che un debole sorriso rappresenti l'ultimo vestigio dell'abitudine profondamente
inveterata per molte generazioni di manifestare la gioia col riso, noi possiamo seguire nei nostri
fanciulli il graduato passaggio dal primo di questi fenomeni all'altro. Chi alleva bambini sa bene
quanto è difficile di riconoscere con esattezza se certi movimenti della loro bocca esprimano
qualche cosa, di riconoscere cioè, s'essi realmente sorridano. Io ho assoggettato i miei propri
figliuoli ad un'attenta osservazione. L'un d'essi, trovandosi in una felice disposizione morale, sorrise
all'età di quarantacinque giorni, vale a dire che gli angoli della sua bocca si stirarono e nel
medesimo tempo lo sguardo di lui si fe' brillantissimo. L'indomani notai lo stesso fenomeno; ma il
terzo dì, essendo il bambino indisposto, non v'ebbe più traccia di sorriso, fatto che rende probabile
la realtà dei precedenti. Nei quindici dì che susseguirono, i suoi occhi splendeano in modo notevole,
158
()
Il dott. PIDERIT giunse alle medesime conclusioni, ibid., p. 99.
tutte le volte ch'ei sorrideva, ed il naso gli s'increspava trasversalmente. Questo movimento era
accompagnato da una specie di piccolo belato, che forse rappresentava un riso. A cento tredici
giorni, questi lievi romori che si producevano sempre durante l'espirazione, mutarono un po' di
carattere; essi divennero più tronchi o interrotti, come nel singhiozzo; senza dubbio era questo il
principio del riso. Ei mi parve che codesta modificazione del suono fosse collegata
all'ingrandimento laterale della bocca, che avveniva man mano che il sorriso si facea più spiegato.
In un secondo fanciullo osservai un vero sorriso per la prima volta a quarantacinque giorni (ad
un'età quindi poco diversa), ed in un terzo un po' prima. A sessantacinque giorni, il sorriso del
fanciullo era molto più netto, molto più disteso che quello del primo alla medesima età; a questo
tempo ei cominciava eziandio ad emettere suoni molto analoghi ad un vero riso. In codesto graduato
sviluppo del riso noi troviamo, fino a un dato punto, qualche cosa di analogo a quel che avviene per
il pianto. Ei pare che in entrambi i casi sia necessario un certo esercizio, com'è necessario per
acquisire i movimenti ordinari del corpo, valgan quelli del passo. All'incontro l'abitudine di gridare,
la cui utilità pel bambino è evidente, raggiunge fin dai primi giorni di vita il suo completo sviluppo.
Buon umore, allegria. - In generale, un uomo di buon umore ha la tendenza di stirare gli
angoli della bocca, senza propriamente sorridere. L'eccitazione del piacere accelera il circolo; si
fanno più brillanti gli occhi, più vivo il color della faccia. Il cervello, stimolato da un afflusso più
copioso di sangue, reagisce sulle facoltà intellettuali; piacevoli idee corron rapide traverso la mente,
ed i sentimenti affettuosi diventano meglio espansivi. Un fanciullo di circa quattr'anni, al quale si
chiese che cosa significasse essere di buon umore, rispose: «Vuol dire ridere, parlare ed
abbracciare». Sarebbe difficile trovare una definizione più vera e più pratica. In questa condizione
morale, l'uomo sta ritto, colla testa alta, gli occhi aperti. Non v'ha alterazione dei lineamenti, non
contrazione dei sopraccigli. Secondo un'osservazione di Moreau
(
159
)
, invece, il muscolo frontale
tende a contrarsi leggermente, e questa contrazione liscia la fronte, inarca alquanto le sopracciglia e
solleva le palpebre. Da ciò la frase latina exporrigere frontem, distendere le sopracciglia, che vuol
dire esser allegro e contento. L'uomo di buon umore ha una fisonomia precisamente contraria a
quella dell'uomo affannato. Secondo sir C. Bell, «in tutti i sentimenti di letizia le sopracciglia, le
palpebre, le narici e gli angoli della bocca sono rialzati. Invece nelle sensazioni dolorose avviene
tutto l'inverso». Sotto l'influenza di quest'ultima il fronte si deprime; le palpebre, le guancie, la
bocca e la testa tutta si abbassano; lo sguardo è abbattuto, la fisonomia pallida e la respirazione
lenta. Nella gioia il viso si allarga, nell'affanno invece si allunga. Non voglio peraltro asserire che ad
acquistare queste opposte espressioni abbia avuto un uffizio il principio dell'antitesi, di concerto
colle cause dirette di cui ho già parlato, e che sono abbastanza evidenti.
In tutte le razze umane, l'espressione del buon umore sembra esser la stessa, e si riconosce
facilmente. Ciò risulta dalle risposte che m'inviarono i miei corrispondenti dalle varie parti
dell'antico e del nuovo mondo. Ebbi alcuni dettagli intorno agl'Indù, ai Malesi ed agli abitanti della
Nuova Zelanda. La vivacità dello sguardo degli Australiesi ha colpito quattro osservatori, e lo stesso
fatto fu osservato negl'lndù, nei Dyak di Borneo e nei Neo-Zelandesi.
Qualche volta i selvaggi esprimono la loro soddisfazione non solamente sorridendo, ma
eziandio con gesti derivati dal piacer di mangiare. Così, a dire di Petherick, il sig. Wedgwood
(
160
)
racconta che, avendo esibite le sue collane ai Negri del Nilo superiore, si posero tutti a stropicciarsi
il ventre. Leichhardt dice che gli Australiesi facevano scoppiettare le labbra alla vista dei suoi
cavalli, dei suoi buoi e sopratutto dei suoi cani. I Groenlandesi, «quando annuiscono con piacere a
qualche cosa, aspirano l'aria con un particolare rumore»
(
161
)
, il che può essere un'imitazione del
movimento prodotto deglutendo un cibo saporito.
Per reprimere il riso si contrae energicamente il muscolo circolare della bocca, il quale
s'oppone all'azione del gran zigomatico e degli altri muscoli che avrebbero per effetto di tirare le
labbra in alto e all'indietro. Per giunta, il labbro inferiore è trattenuto qualche volta fra i denti, il che
alla fisonomia una maliziosa espressione, come venne osservato nella cieca e sorda Laura
159
()
La Physionomie, di G. LAVATER, edizione del 1820, vol. IV, p. 224. - Per la citazione seguente veggasi
anche sir C. BELL, Anatomy of Expression, p. 172.
160
()
Dictionary of English Etymology, seconda ediz., 1872. Introduzione, p. XLIV.
161
()
CRANTZ, citato da TYLOR, Primitive culture, 1871, vol. I, p. 169.
Bridgman
(
162
)
. Il gran zigomatico, del resto, va soggetto ad alcune variazioni, ed io ho visto in una
ragazza i depressores anguli oris contribuire potentemente alla repressione del sorriso; tuttavia,
siccome le brillavano gli occhi, la contrazione di questi muscoli impartiva niente di malinconico alla
fisonomia di lei.
Tante volte, per dissimulare qualche stato dell'animo, e la collera stessa, si ricorre ad un riso
forzato. Alcune persone se ne servono di spesso per celare la vergogna e la timidezza. Quando
increspiamo le labbra, come a prevenire un sorriso, allorchè non v'ha nulla che possa o eccitarlo o
impedire che vi ci abbandoniamo liberamente, ne risulta un'espressione affettata, studiata o pedante.
Egli è inutile intrattenerci su codeste espressioni ibride. Il riso di motteggio, sia desso reale o
forzato, prende parte spesse volte all'espressione particolare del disdegno, che può trasformarsi in
collera sprezzante o semplicemente in disprezzo. In tali circostanze, il riso od il sorriso hanno lo
scopo di mostrare all'offensore ch'ei non giunge ad altro che a sollazzarci.
Amore, sentimenti affettuosi, ecc. - Avvegnachè il sentimento dell'amore, quello, ad esempio,
d'una madre per il proprio figliuolo, sia uno dei più grandi che il cuore possa concepire, è pur
nullameno difficile assegnargli un mezzo qualunque, proprio o speciale, di espressione; e ciò
dipende perchè in generale questo sentimento non provoca atti d'una particolare e determinata
natura. Egli è certo però che l'affezione, la quale è un sentimento gradito, si manifesta di solito con
un debole sorriso e con una vivacità degli occhi un po' più pronunciata. Si desidera vivamente d'aver
accanto la persona amata: ecco la più completa espressione dell'amore
(
163
)
. Gli è perciò che noi
bramiamo di stringere fra le braccia le persone che amiamo teneramente. E probabilmente questo
desiderio si deve all'abitudine ereditaria, associandosi agli effetti dell'allattamento e delle cure che
prodighiamo ai nostri figliuoli, come pure all'influenza delle vicendevoli carezze degli amanti.
Anche negli animali si osserva che il piacere derivato dal contatto si associa all'affetto e gli
giova di mezzo espressivo. È certo che i cani ed i gatti godono a strofinarsi contro i loro padroni, o a
venirne stropicciati o dolcemente picchiati. I custodi del Giardino zoologico mi asserirono che
molte specie di scimie amano carezzarsi fra loro, come pure di venir carezzate dalle persone per cui
nutrono affetto. Il sig. Bartlett mi riferì la condotta tenuta da due chimpanzè, che avevano un'età
alquanto più avanzata di quelli trasportati di solito nel nostro paese. Messi insieme per la prima
volta, essi s'assisero l'uno in faccia dell'altro, misero a contatto le loro labbra molto sporte in fuori, e
ciascuno di loro portò la mano sulla spalla del compagno; poscia si strinsero in un mutuo abbraccio;
finalmente si alzarono, colle braccia sulle spalle, levando la testa, aprendo la bocca ed urlando di
piacere.
Noi Europei ci siamo così abituati ad esprimere l'affezione col bacio, che si potrebbe supporre
esser questo un segno espressivo innato nella specie umana. Tuttavia non è vero, e Steele s'ingannò
quando disse: «La natura il creò, ed ei nacque col primo amore». Un abitante della Terra del Fuoco,
Jemmy Button mi disse che il bacio in quel paese non si sa pur cosa sia. È sconosciuto del pari
presso gl'indigeni della Nuova Zelanda e di Tahiti, presso i Papuesi, gli Australiesi, i Somalis
dell'Africa e gli Esquimesi
(
164
)
. È tuttavia così naturale, ch'esso probabilmente deriva dal piacere
prodotto a mezzo dell'intimo contatto d'una persona amata; e in certe parti del mondo è rimpiazzato
da alcuni gesti che sembrano avere la medesima origine. Quei della Nuova Zelanda e della Lapponia
si strofinano il naso; altrove si stropicciano o si battono amichevolmente sul braccio, sul petto o
sullo epigastro; ed in altri luoghi ancora si toccano il viso colle mani o coi piedi. Anche l'abitudine
di soffiare su varie parti del corpo, in segno di affetto, deriva forse dallo stesso principio
(
165
)
.
I sentimenti ai quali si l'appellativo di affettuosi sono difficili ad analizzarsi; e' pare che
sieno composti di affezione, di gioia e specialmente di simpatia. In se stessi sono di natura
gioconda, tranne però la pietà, quando oltrepassa certi limiti ed è, per esempio, sostituita dall'orrore
che si prova al racconto di torture inflitte ad un uomo o ad un bruto. È da notarsi il fatto che questi
162
()
F. LIEBER, Smithsonian Contributions, 1851, vol. II, p. 7.
163
()
Il signor BAIN fa notare (Mental and Moral Science, 1868, p. 239) che «la tenerezza è un gradito sentimento,
derivato da varie cause, e che ha per effetto di spingere gli uomini ad abbracciarsi a vicenda».
164
()
In sir J. LUBBOCK (Prehistoric Times, seconda ediz., 1869, p. 552) si trovano le ragioni che giustificano
queste asserzioni. La citazione di Steele è tolta da quest'Opera.
165
()
Veggasi uno studio completo di tale quistione, con ogni spiegazione, in E. B. TYLOR, Researches into the
Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 51.
sentimenti provocano assai facilmente lo spargimento di lagrime. Infatti non è raro il caso nel quale
un padre ed un figlio piangano ritrovandosi dopo una lunga separazione, tanto più se l'incontro è
inatteso. Fu dimostrato che una vivissima gioia tende per se stessa ad agire sopra le glandule
lagrimali; ma è puranco probabile che, in circostanze simili a quelle da noi or ora accennate, passi
per la mente del padre e del figlio come una vaga idea del dolore che avrebbero provato se non si
fossero riveduti giammai, e questo triste pensiero attiri naturalmente il pianto. Così, al ritorno di
Ulisse è detto:
. . . . . . . «Il figlio (Telemaco) allora
Del genitor s'abbandonò sul collo,
In lagrime scoppiando ed in singhiozzi.
Ambi un vivo desir sentian del pianto:
. . . . . . . . . . . . . . .
E già piangenti e sospirosi ancora
Lasciati avriali, tramontando, il Sole,
Se il figlio al padre non dicea: . . . . .»
Odissea (lib. XVI, traduz. Pindemonte).
E più avanti, allora che Penelope riconosce finalmente lo sposo:
«Poscia corse vêr lui dirittamente,
Disciogliendosi in lagrime; ed al collo
Ambe le braccia gli gittava intorno,
E baciavagli il capo e gli dicea:»
Libro XXIII (id.).
La rimembranza del luogo ove trascorremmo l'infanzia, o quella dei giorni felici da lungo
tempo spariti, presentandosi viva alla nostra mente, c'inumidisce spesse volte gli occhi; qui pure
interviene un doloroso pensiero, il pensiero che più non verranno quei dì. In tali circostanze può
dirsi che abbiamo compassione di noi stessi, confrontando il presente al passato. La pietà per le
disgrazie altrui chiama facilmente le lagrime agli occhi, anche ove si tratti della sfortunata eroina di
qualche triste episodio, personaggio fantastico, pel quale non sapremmo nutrir affezione. Ed è pure
così della simpatia che proviamo per la felicità degli altri, valga per quella d'un amante messo in
scena da romanziere provetto e i voti del quale sono appagati dopo innumerevoli sforzi, dopo una
serqua di ostacoli.
Pare che la simpatia costituisca un sentimento separato e distinto, atto specialmente ad agire
sulle glandule lacrimali, tanto di colui che la prova, quanto di quel che la provoca. Tutti sanno come
i fanciulli scoppiino facilmente in singhiozzi, allorchè si lamentano di qualche futile malanno. In
seguito alle informazioni fornitemi dal dott. Crichton Browne, negli alienati malinconici basta solo
una dolce parola a provocare indomabili accessi di pianto. Quando noi ci mostriamo pietosi verso
un amico affannato, gli occhi ci si bagnano spesso di lagrime. Per solito il sentimento della simpatia
si spiega col supporre che, vedendo o sentendo un altro a soffrire, l'idea del dolore s'impadronisce
dell'animo nostro così, da far patire noi stessi. Tuttavia questa interpretazione a me non par
sufficiente, perocchè non rende conto dell'intimo legame che annoda la simpatia all'affetto: egli è
certo che noi simpatizziamo assai più per una persona diletta, che per un'altra che ci sia indifferente;
e le prove di simpatia che ne tributa un amico ci riescono pure le meglio accette. Non è men vero,
però, che si possa aver compassione delle sciagure d'un uomo cui non ci lega affetto veruno.
Vedemmo nel precedente capitolo la ragione per cui quando si soffre, si piange. Ora
l'espressione naturale ed universale della gioia è il riso, e, in tutte le razze umane, lo
sghignazzamento eccita la secrezione lagrimale più energicamente di ogn'altra causa, eccettuato il
dolore. E' mi sembra che, se la gioia inumidisce gli occhi anche quando non c'è ombra di riso,
questo fenomeno, in virtù dell'abitudine e dell'associazione, si possa proprio spiegare come abbiamo
interpretato lo spargimento di lagrime sotto l'influenza dell'affanno anche allora che non avvengono
grida. Tuttavia è cosa molto notevole (ed è un fatto certissimo) che i dolori altrui ci fanno sparger
più lagrime che non i nostri medesimi. Chi non ha visto almeno una volta un uomo, il quale non
saprebbe versare una stilla di pianto per i propri dolori, piangere a quelli d'un amico diletto? Cosa
più notevole ancora: la felicità o la contentezza di coloro che amiamo teneramente provoca le nostre
lagrime, mentre, se una simil ventura tocca a noi, ne resta secco il ciglio. Si potrebbe quindi
supporre che se ci è dato, mercè un'inveterata abitudine, di resistere efficacemente al pianto sotto
l'influenza del dolore fisico, codesta potenza repressiva non fu d'altra parte mai messa in giuoco per
impedire la leggera effusione di lagrime prodotta alla vista delle disgrazie e delle sfortune altrui.
Come altrove ho cercato di dimostrare
(
166
)
, la musica ha un meraviglioso potere di far
rinascere, in modo vago e indefinito, quelle potenti sensazioni che, nelle remote età, provarono i
nostri antichi progenitori, probabilmente allorquando impiegavano i suoni vocali quale mezzo di
seduzione fra i sessi. Noi sappiamo che molte delle nostre più potenti emozioni, affanno, viva gioia,
amore, simpatia, agiscono sulla secrezione lagrimale; or non è a meravigliare se anche la musica
può muovere al pianto, specialmente quando siamo già inteneriti da qualche sentimento pietoso. Ma
la musica cagiona di spesso un altro singolare fenomeno. Si sa che le emozioni o le violente
eccitazioni - estremo dolore, rabbia, terrore, gioia, passione amorosa - hanno tutte una speciale
tendenza a produrre un tremito nei muscoli; ora la musica, in quelle persone che ne risentono
vivamente l'impressione, induce una specie di brivido o di tremolio nella spina dorsale e nelle
membra. Ei pare che fra questo fenomeno ed il tremare del corpo a cui ora accennammo corra lo
stesso rapporto che si riscontra tra il leggero spargimento di lagrime prodotto dalla musica ed il
pianto in seguito ad una reale e violenta sensazione.
Devozione. - Benchè la primitiva natura della devozione sia il rispetto, misto spesse volte a
timore, pure essa s'avvicina fino a un dato punto all'affezione; onde avrem poco da dire sulla
espressione di questo stato dell'animo. Certe sêtte, antiche che moderne, hanno stranamente
mescolato la religione e l'amore, sostenendo perfino (gli è un fatto ben compassionevole) che il
santo bacio di amore differisce appena da quello che un uomo ad una donna o una donna ad un
uomo
(
167
)
. La divozione si esprime sopra tutto sollevando la testa al cielo e volgendo in alto gli
occhi. Sir Carlo Bell fa notare che, all'approssimarsi del sonno, o d'uno svenimento, o della morte,
le pupille si dirigono in alto e all'indentro; ed ei pensa che, «quando siamo assorti in devozione e
non ci curiamo delle impressioni esterne, alziamo lo sguardo per un atto innato o istintivo», ciò che
dev'essere attribuito alla medesima causa addotta nei casi su esposti
(
168
)
. Secondo il prof. Donders, è
fuori di dubbio che nel sonno gli occhi si girano in alto. Quando un bambino succia il latte materno,
questo movimento dei globi oculari spesse volte una stupida espressione di piacere estatico alla
sua fisonomia, e in codesta circostanza si può vedere benissimo come il bimbo lotti contro una
posizione che gli è naturale nel sonno. Sir Carlo Bell spiega questo fatto, supponendo che alcuni
muscoli, meglio che altri, sieno sottoposti al controllo della volontà. Il prof. Donders, però, ritiene
tale interpretazione inesatta. Durante le preghiere, si alzano spesse volte gli occhi, senza che l'animo
vi sia così assorto, da simulare lo stato di non-coscienza che caratterizza il sonno; or dunque è
probabile che le loro movenze siero puramente convenzionali, e risultino dalla volgare credenza che
il Cielo, seggio della potenza divina a cui s'indirizza la prece, sia collocato al di sopra di noi.
A veder una persona in atto umile, ginocchioni, colle braccia sollevate e le mani giunte, ci
sembra, per effetto di una lunga abitudine, che quella postura si adatti così ad esprimere la
divozione, da poter credere un tale atteggiamento innato; eppure io non ne rinvengo alcuna traccia
in varie razze umane extraeuropee. pare che i Romani, durante il classico periodo della loro
istoria, avessero l'abitudine di giungere le mani pregando; e qui mi appoggio sopra una autorità
competentissima. Hensleigh Wedgwood probabilmente ne diede la vera spiegazione, supponendo
essere l'atteggiamento in discorso quello d'una sommissione servile
(
169
)
: «Quando un uomo, egli
dice, s'inginocchia per pregare, solleva le braccia e congiunge le mani, ei rappresenta un captivo,
che mostra l'assoluta sua sommissione porgendo le mani ai ceppi del vincitore. Si tratta proprio del
dare manus latino, che vuol dire sottomettersi». Per lo che egli è probabile che nè gli occhi levati al
cielo, le mani giunte sotto l'influenza de' sentimenti devoti, non sieno atti innati, veramente
166
()
Origine dell'Uomo, trad. italiana di M. LESSONA, pag. 532.
167
()
Veggasi lo studio di questo fatto in Body and Mind, del dott. MAUDSLEY, 1870, p. 85.
168
()
The Anatomy of Expression, p. 103, e Philosophical Transactions, 1823, p. 182.
169
()
The Origin of Language, 1866, pag. 146. - TYLOR (Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 48)
attribuisce un'origine più complessa alla posizione delle mani durante la preghiera.
espressivi; del resto doveva essere così, perocchè è a dubitare d'assai che gli uomini non civilizzati
delle antiche età sieno stati suscettibili di provare sentimenti analoghi a quelli che noi collochiamo
in questa categoria.
CAPITOLO IX.
RIFLESSIONE - MEDITAZIONE - CATTIVO UMORE -
BORBOTTAMENTO - DETERMINAZIONE
Corrugamento delle sopracciglia. - Riflessione accompagnata da sforzo o dalla percezione di una cosa difficile o
disaggradevole. - Meditazione astratta. - Cattivo umore. - Tetraggine. - Ostinazione. - Borbottamento, smorfia. -
Decisione o determinazione. - Energica chiusura della bocca.
La contrazione dei sopraccigliari abbassa ed avvicina le sopracciglia, producendo sul fronte le
strie verticali che si distinguono col nome di corrugamento dei sopraccigli. Sir C. Bell, il quale
credeva a torto che il sopraccigliare fosse proprio soltanto della specie umana, lo considerava come
«il più notevole fra i muscoli facciali dell'uomo. Esso contrae le sopracciglia con un energico sforzo,
ch'esprime il pensiero, in maniera inesplicabile sì, ma certa». Ed altrove aggiunge «Quando le
sopracciglia sono increspate, l'energia intellettuale è fatta evidente, e si produce in allora una
espressione ove lottano insieme il pensiero ed il sentimento dell'uomo e la feroce brutalità della
bestia!»
(
170
)
. In codeste osservazioni ci ha molto di vero, ma non però tutto. Il dottor Duchenne
chiamò il sopraccigliare il muscolo della riflessione
(
171
)
; peraltro tale qualifica dev'essere considerata
esatta solo con certe restrizioni.
Supponiamo un uomo assorto in profondi pensieri; fino a che nessun ostacolo sorgerà a
contrastare il corso dei suoi ragionamenti, fino a che questi non saranno sturbati o interrotti, il
sopracciglio di lui potrà restarsene immobile; ma se gli avvenisse l'uno o l'altro di tali inconvenienti,
vedremmo corrugarglisi tosto la fronte. Un uomo affamato riflette profondamente ai mezzi per
procurarsi il cibo; ma, in generale, ei non increspa il sopracciglio che quando gli si pari dinanzi una
qualche difficoltà, sia nel progetto, sia nell'esecuzione, o quando trovi cattivo il nutrimento ottenuto.
Ho notato una cosa quasi a tutti comune; se, mangiando, avvenga di sentire qualche strano o
disaggradevole sapore, le sopracciglia si increspano. Un giorno pregai molte persone, senza dir loro
a che scopo, di prestare l'orecchio ad un leggerissimo strepito, onde conoscevano perfettamente e
natura e sorgente: nessuno corrugò il sopracciglio; ma un tale giunto in quel mentre, e che non
poteva concepire ciò che noi facevamo in così profondo silenzio, pregato alla sua volta di porgere
ascolto, increspò energicamente le sopracciglia, avvegnachè non fosse di cattivo umore, dicendo che
non capiva quel che noi cercavamo. Il dott. Piderit
(
172
)
, che pubblicò delle osservazioni sullo stesso
fenomeno, aggiunge che i balbuzienti, parlando, increspano generalmente, le sopracciglia, e che per
solito si fa altrettanto, levandosi gli stivali, se sono troppo stretti. Alcune persone sono abituate a ciò
da tanto tempo, che il semplice sforzo della parola basta quasi sempre per provocare in essi un tal
movimento.
170
()
Anatomy of Expression, p. 137-139. Non è a stupire se i sopraccigliari assunsero maggior sviluppo nell'uomo
che non nelle scimie antropomorfe, imperocchè l'uomo li mette in moto continuamente e nelle più svariate circostanze,
ond'essi ebbero a fortificarsi per l'uso, e questo carattere dovette trasmettersi per eredità. Vedemmo l'importanza del loro
uffizio, in uno a quello dei muscoli orbicolari, proteggendo gli occhi contro i pericoli di un afflusso sanguigno troppo
notevole durante violente espirazioni. Quando si chiudono gli occhi con ogni possibile forza e prestezza, per esempio a
schivare una percossa, si contraggono le sopracciglia. Nei selvaggi ed in generale presso gli uomini che stanno
abitualmente a testa scoperta, le sopracciglia sono sempre abbassate e contratte per riparare gli occhi da troppo vivida
luce; questo movimento, in parte effettuato dai sopraccigliari, dovette riescire specialmente utile ai primi antenati
dell'uomo, allorchè cominciarono ad assumere la stazione eretta. Recentemente il prof. DONDERS espose l'opinione
che i sopraccigliari giovino a spingere il globo dell'occhio in avanti per la visione degli oggetti vicini (Arch. of Medic.,
ed. da L. BEALE, 1870, vol. V, p. 34).
171
()
Mécanisme de la Physionomie Humaine. Album, leggenda III.
172
()
Mimik und Physiognomik, p. 46.
Dalle risposte ricevute ai miei quesiti, gli uomini di tutte le razze increspano il sopracciglio,
quand'hanno l'animo perplesso per una causa qualunque; ma devo confessare che tali quistioni erano
mal redatte, avendo io confuso la semplice meditazione colla perplessità. Tuttavia è certo che gli
Australiesi, i Malesi, gl'Indù ed i Cafri del sud dell'Africa corrugano le sopracciglia quando sono
imbarazzati. Dobritzhoffer fa notare che i Guaranesi dell'America del Sud, in simili circostanze, si
comportano nella stessa maniera
(
173
)
.
Dalle precedenti considerazioni possiamo conchiudere che l'increspamento delle sopracciglia
non esprime la semplice riflessione o l'attenzione, sieno pur desse profonde od elevate, ma bensì
una difficoltà, un ostacolo nel corso dei pensieri o nell'azione. Nullameno, siccome è cosa rara che
una profonda meditazione possa seguitare a lungo senza qualche impedimento, così essa è
d'ordinario accompagnata dal corrugamento dei sopraccigli. Da ciò viene che per solito questo
increspamento alla fisonomia, come fu osservato da sir C. Bell, una espressione di energia
intellettuale. Ma, perchè quest'effetto possa aver luogo, il guardo dev'essere sereno e fisso, o ben
diretto in basso, il che avviene appunto di spesso nella profonda riflessione. Per giunta la fisionomia
non dev'essere turbata da verun altro pensiero. Così, ad esempio, in un individuo di cattivo umore o
affannato, in un uomo che, all'occhio spento e alla mascella pendente, manifesta gli effetti di un
lungo dolore, in un tale che trova disaggradevole il cibo, o prova qualche difficoltà a compiere un
atto minuzioso, valga ad infilare un ago, in tutti codesti, dico, le sopracciglia si corrugano, sì, di
spesso, ma questo corrugamento è accompagnato da qualche altra espressione, che scaccia affatto
ogni apparenza di energia intellettuale o di profonda riflessione.
Ed ora possiamo chiederci donde venga che un aggrottamento dei sopraccigli può esprimere
l'idea di qualche cosa di difficile o di sgradevole, pensiero od azione. Nello studio dei movimenti
della espressione, conviene adottare, per quanto è possibile, il metodo dei naturalisti, i quali stimano
necessario di seguire lo sviluppo embrionale di un organo, per comprenderne perfettamente la
struttura. La prima espressione, la sola quasi che sia visibile nei primi della vita, in cui appare di
spesso, è quella manifestata durante le grida. Ora, nella prima età e qualche tempo dopo, le grida
vengono eccitate da ogni sensazione, da ogni emozione dolorosa e spiacevole, come la fame, la
sofferenza, la collera, l'invidia, la paura, ecc. In quei tempi, i muscoli che stanno attorno agli occhi
sono vivamente contratti, e questo fatto spiega, io credo, in gran parte il corrugamento delle
sopracciglia, che si mantiene per tutta la vita. Più volte portai l'attenzione sui miei figliuoli, a partire
dall'ottavo di lor vita all'età di due o tre mesi, ed osservai che, quando capitava grado grado un
accesso di pianto, il primo indizio visibile era la contrazione dei sopraccigliari, che produceva un
leggiero aggrottamento, tosto tosto seguito dalla contrazione degli altri muscoli che stanno attorno
agli occhi. Quando un fanciullo è inquieto o sofferente, io constatai che sul volto di lui corrono
continui e ratti come ombra, leggieri increspamenti dei sopraccigli. Di solito, peraltro non sempre,
essi sono presto o tardi seguiti da un accesso di pianto. Per esempio, osservai spesse volte un
bambino di sette ad otto settimane, mentre succiava del latte freddo, che doveva certo riescirgli
sgradito. Per tutto questo tempo, scorsi sul viso di lui un continuo aggrottamento di sopracciglia,
leggiero, sì, ma ben caratterizzato; peraltro nol vidi mai degenerare in pianto, benchè si potessero
notare le diverse fasi che l'annunziavano vicino.
Codesta abitudine di contrarre le sopracciglia al cominciar di ogni accesso di pianto e di grida,
essendosi mantenuta nei bambini per innumerevoli generazioni, finì coll'associarsi strettamente ad
ogni sensazione dolorosa o sgradita. Donde consegue che, in circostanze analoghe, questa abitudine
può conservarsi nell'età matura, benchè allora mai non degeneri in pianto. Fin dai primi anni si
comincia a frenare il pianto e le grida, mentre in nessuna età si riesce a reprimere lo aggrottamento
dei sopraccigli. Forse è bene notare che in que' fanciulli i quali piangono facilmente, la minima
inquietudine provoca subito lo spargimento di lagrime, mentre nella maggior parte dei ragazzini
darebbe luogo soltanto ad un increspamento delle sopracciglia. In alcune forme di alienazione
mentale avviene lo stesso: il minimo sforzo morale cagiona indomabile pianto, mentre invece in un
individuo allo stato ordinario, provocherebbe semplicemente un aggrottamento dei sopraccigli.
ci deve stupire se l'abitudine di contrarre le sopracciglia trovandoci bruscamente in faccia ad una
impressione penosa qualunque, benchè assunta nell'infanzia, si conserva per tutta la vita; non
vediamo forse molte altre abitudini associate, acquisite nell'età giovanile, persistere sempre
173
()
History of the Abipones, trad. ingl., vol. II, p, 59, citata da LUBBOCK, Origin of Civilization, 1870, p. 355.
nell'uomo e negli animali? I gatti adulti, ad esempio, provando una sensazione di benessere e di
calore, stendono ancora le zampe anteriori, facendone uscire le unghie, abitudine alla quale si
abbandonavano con uno scopo determinato allorquando poppavano alle mammelle materne.
Anche un'altra causa di ordine diverso ha probabilmente corroborata l'abitudine di aggrottare
le sopracciglia ogni volta in cui l'animo si applica a qualche cosa o trovasi di faccia a qualche
difficoltà. Fra tutti i sensi, la vista è la più importante: nelle prime epoche, dev'essersi fatta una
grandissima e continua. attenzione agli oggetti lontani, tanto allo scopo di procurarsi una preda,
quanto per evitare un pericolo. Nei miei viaggi in alcune parti dell'America del Sud, resi pericolosi
dalla presenza degl'Indiani, mi ricordo d'essere stato colpito dalla persistenza con cui i Gauchos
semi-selvaggi esaminavano attentamente tutti i punti dell'orizzonte, quasi direi per istinto e senza
mostrare d'averne coscienza. Ora quando un individuo a capo scoperto (il che dev'essere stato la
prima condizione dell'uomo) si sforza di distinguere di giorno, sopratutto se splende il sole, un
oggetto lontano, contrae quasi invariabilmente le sopracciglia, per impedire l'accesso di una luce
eccessiva; nello stesso tempo, la palpebra inferiore, le guancie ed il labbro superiore si sollevano in
modo da diminuire l'apertura delle palpebre. A questo fine (poste le su accennate circostanze) chiesi
a molte persone giovani e vecchie di guardare degli oggetti lontani; facendo credere ad essi che
avevo il semplice scopo di provare la loro vista; tutti si comportarono come ho detto poc'anzi.
Taluno giovossi ancora della mano per difendere l'occhio da un eccesso di luce. Gratiolet, dopo
avere riferite alcune osservazioni del medesimo genere
(
174
)
, aggiunge: «Codesti sono atteggiamenti
di difficile visione». Ei conclude che i muscoli peri-oculari si contraggono in parte per allontanare
l'eccesso di luce (ciò che infatti sembra il punto di maggiore importanza), in parte per permettere di
colpire la retina soltanto ai raggi che provengono direttamente dall'oggetto esaminato. Bowman,
ch'io consultai in argomento, pensa che la contrazione di questi muscoli «p inoltre giovare più o
meno ai movimenti sinergici degli occhi, dando loro un punto d'appoggio più fisso, mentre i
muscoli dell'orbita mettono i globi in posizione adatta alla visione binoculare».
Siccome riguardare attentamente un oggetto lontano, anche di giorno, è cosa difficile e
penosa; siccome questo sforzo fu accompagnato di solito, per innumerevole corso di generazioni,
dalla contrazione dei sopraccigli, così tal contrazione dovette divenire inveterata. Nullameno la sua
origine si rinviene in fenomeni di un ordine affatto diverso: noi la dobbiamo cercare nell'infanzia;
essa ha dato un primo mezzo di protezione agli occhi durante le grida. Dal lato della condizione
morale esiste certamente una grande analogia fra l'attento esame d'un oggetto lontano, una serie
complicata di pensieri e l'esecuzione di qualche lavoro meccanico, minuzioso e difficile. L'idea che
l'abitudine di contrarre le sopracciglia si continui anche quando non v'ha più bisogno di allontanare
un eccesso di luce, è confermato dal caso su esposto, nel quale le sopracciglia e le palpebre sono
messe in moto senza necessità, e solamente per c che codesti organi vennero messi in azione in
analoghe circostanze e ad un utile scopo. Ad esempio, quando non vogliam vedere un oggetto,
chiudiamo volontariamente gli occhi, e siam portati a chiuderli anche allora che rigettiamo una
proposta, quasi non potessimo, volessimo vederla, o quando pensiamo a qualche cosa che ci
mette orrore. Se vogliam guardare rapidamente tutt'attorno di noi, alziamo le sopracciglia, ed
avviene spesse volte lo stesso sforzandoci di richiamare un pensiero; in allora operiamo come se il
nostro sguardo potesse cercarlo e scoprirlo.
Distrazione, Meditazione. - Quando una persona è assorta nei suoi pensieri, collo spirito
distratto, quando noi siamo, come talvolta si dice, «immersi in una tetra meditazione», le
sopracciglia non ci si aggrottano, ma il nostro sguardo sembra vuoto; le palpebre inferiori in
generale si elevano e si raggrinzano, come avviene in un individuo miope che si sforza di
distinguere un oggetto lontano; nello stesso tempo la parte superiore dei muscoli orbicolari si
contrae leggermente. L'increspamento delle palpebre inferiori in tali circostanze fu osservato in
alcuni selvaggi: Dyson Lacy l'ha constatato negli Australiesi di Queensland, e Geach l'osservò
spesse volte nei Malesi dell'interno di Malacca. Fino al dì d'oggi è impossibile determinarne la causa
ed il significato: notiamo soltanto che si ha in ciò esempio novello d'un movimento dei muscoli
peri-oculari avente un determinato rapporto con una speciale condizione dell'animo.
174
()
De la Physionomie, p. 15, 144, 146. - HERBERT SPENCER attribuisce l'increspamento dei sopraccigli
esclusivamente all'abitudine di contrarli, onde far ombra agli occhi e proteggerli contro una troppo vivida luce. Vedi
Principles of Psychology, seconda ediz., 1872, p. 546.
L'espressione vuota degli occhi è assai particolare; essa indica a un tratto che un uomo è
assorto ne' suoi pensieri. Dietro mia inchiesta il professore Donders, colla consueta sua gentilezza,
si compiacque d'instituire studi accurati su tale argomento; egli esaminò questa espressione in un
certo numero di persone, e sottomise se stesso alle osservazioni del prof. Engelmann. Sembra che in
allora gli occhi, a vece di fissarsi sovra un oggetto lontano, come avevo creduto, non guardano alcun
punto preciso. Spesso ancora gli assi visuali dei due globi si fanno un po' divergenti; posta la testa
verticalmente ed il piano della visione orizzontale, questa divergenza può raggiungere un angolo
massimo di 2°. A ciò si venne osservando la immagine doppia e incrociata di un oggetto lontano.
Nasce di spesso che, quando un uomo è assorto in pensieri, la testa gli s'inchina sul petto, causa il
generale rilassamento dei muscoli; in questo caso, se il piano visuale resta ancora orizzontale, gli
occhi sono necessariamente volti un po' in su, ed allora la divergenza arriva a o 3°,5'; se
l'elevazione degli occhi è anche più notevole, la divergenza oscilla da 6° a 7°. Il professore Donders
attribuisce questa divergenza al quasi completo rilassamento di alcuni fra i muscoli degli occhi, il
quale risulterebbe dall'eccessivo travaglio dell'animo
(
175
)
. Infatti, quando agiscono i muscoli
dell'occhio, i globi sono convergenti. Il professore Donders, a proposito della loro divergenza nel
caso presente, fa osservare che un occhio cieco dopo breve tempo devia sempre all'infuori; infatti i
muscoli che di solito servono a ricondurre il globo all'indentro per permettere la visione binoculare,
non vengono più messi in azione.
Quando riflettiamo e siamo perplessi, compiamo per solito certi movimenti, certi gesti. È così,
per esempio, che si porta la mano alla fronte, o alla bocca, o al mento. Per lo incontro, non ho mai
osservato niente d'analogo in chi sta semplicemente immerso in una profonda meditazione, senza
dar di cozzo a veruna difficoltà. Plauto, descrivendo in una commedia
(
176
)
un uomo imbarazzato,
dice: «Guardatelo là, col mento poggiato sovra la mano». E questo medesimo gesto, che in
apparenza è futile, sì poco espressivo, questo portar la mano al viso, fu riscontrato in certi
selvaggi. J. Mansel Weale l'osservò nei Cafri del sud dell'Africa, ed il capo indigeno Gaika narra
che «in codeste circostanze si tirano qualche volta la barba». Washington Matthews, che studiò
alcune fra le più selvaggie tribù indiane delle regioni occidentali degli Stati Uniti, dice d'aver visti
questi Indiani, «mentre erano assorti in pensieri, a metter la mano, e più di solito il pollice e l'indice,
a contatto con qualche parte del viso, e sopratutto col labbro superiore». Se si riesce a comprendere
per quale ragione chi è travagliato da qualche serio pensiero si comprima o si strofini la fronte, egli
è assai meno facile spiegare perchè si porti la mano alla bocca ed al volto.
Cattivo umore. - Vedemmo che, quando si incontra qualche difficoltà, o quando sopravviene
un pensiero, una sensazione sgradevole, si aggrottano le sopracciglia: una persona la quale vada
spesso soggetta ad impressioni di questo genere e vi s'abbandoni facilmente, sarà predisposta a
mostrarsi di cattivo umore, irritabile e scortese, e manifesterà un tale stato dell'animo con un
continuo aggrottare di sopracciglia. Tuttavia la sgradita espressione che consegue da questo
increspamento può venir neutralizzata dalla dolce espressione d'una bocca sempre sorridente e da
uno sguardo gaio e brillante. Così è parimente se l'occhio è risoluto e sereno, la fisionomia seria e
meditabonda. L'aggrottamento delle sopracciglia, accompagnato dalla depressione degli angoli della
bocca, segno caratteristico di affanno, una stravagante apparenza. Quando un fanciullo,
piangendo (vedi la Tavola IV, fig. 2)
(
177
)
, corruga energicamente le sopracciglia, senza vivamente
contrarre, come di consueto, i muscoli orbicolari, la faccia di lui assume una marcata espressione di
collera ed anche di rabbia, mista a dolore.
Allorchè il sopracciglio si aggrotta e nello stesso tempo si abbassa di molto, causa la
contrazione dei muscoli piramidali del naso, - il che produce alcune rughe o pliche trasversali alla
base di quest'organo, - la fisonomia esprime umore tetro. Il dottore Duchenne ritiene che la
contrazione di tali muscoli dia una netta espressione di durezza
(
178
)
, quando non è accompagnata
175
()
GRATIOLET osserva (De la Physionomie, p. 55) che: «quando fissa l'attenzione su qualche immagine ideale,
l'occhio vaga nel vuoto e s'associa automaticamente alla contemplazione dell'animo». A vero dire, è già molto se a
questa osservazione si dà il nome di schiarimento.
176
()
Miles Gloriosus, atto II, scena seconda.
177
()
La fotografia originale del sig. Kindermann è molto più espressiva di questa copia, perocchè si distinguono
assai meglio le pieghe della fronte.
178
()
Mécanisme de la Physionomie humaine. Album, leggenda IV, fig. 16-18.
dall'aggrottare dei sopraccigli. Io pe dubito assai che la sia codesta una vera o naturale
espressione. Mostrai ad alcune persone (fra cui alcuni artisti) una fotografia del sig. Duchenne, che
rappresentava un giovinotto nel quale i piramidali erano vivamente contratti per azione
dell'elettricità; nessuno seppe rendersi conto di ciò che quella espressione significasse, eccettuata
una ragazza che vi scoperse con giustezza una «riserva arcigna». Quando io stesso vidi la prima
volta quella fotografia, sapendo ciò ch'esprimeva, credo che la mia fantasia v'abbia aggiunto quel
che mancava, le pliche, cioè, della fronte, ed allora l'espressione mi parve vera ed estremamente
stizzosa.
Labbra serrate e sopracciglia abbassate e corrugate dànno alla fisonomia un che di risolutezza
e possono renderla anche ostinata e stizzosa. Perchè l'increspamento della bocca impartisce questa
espressione di pertinacia? Discuteremo fra poco codesta quistione. L'espressione dell'ostinazione
affannata fu distintissimamente riconosciuta dai miei corrispondenti nei naturali delle sei diverse
regioni dell'Australia. Secondo il sig. Scott, ell'è molto spiccata negl'Indù. La si rinvenne nei Malesi,
nei Cinesi, nei Cafri, negli Abissini; il dottor Rothrock la constatò ad un grado notevole nei selvaggi
dell'America del Nord, il sig. D. Forbes negli Aymaras di Bolivia. Io pure l'osservai negli Araucani
del Chilì meridionale. Dyson Lacy ebbe a notare che gl'indigeni Australiesi, sotto l'influenza di
questa disposizione morale, incrociano tal fiata le braccia sul petto, atteggiamento che qualche volta
si vede anche presso di noi. Una ferma risoluzione, la quale giunga alla caponaggine, si esprime
pure in certi casi alzando continuamente le spalle, gesto di cui spiegheremo il significato nel
seguente capitolo.
I fanciulli manifestano il malumore brontolando o, come si dice, facendo il viso duro
(
179
)
.
Quando gli angoli della bocca sono molto abbassati, il labbro inferiore si rovescia e sporge
alquanto: ciò s'appella parimente una smorfia. Ma la varietà di smorfie a cui facciamo qui allusione
consiste nello avanzamento di entrambe le labbra a foggia di tubo, avanzamento che talvolta le fa
giungere a livello della punta del naso, posto sempre che questo sia corto. Le smorfie sono di solito
accompagnate da un increspamento dei sopraccigli, e talvolta dall'emissione di un rumore
particolare. Codesta espressione è notevole per ciò ch'ella, a quant'io so, è quasi la sola che (almeno
negli Europei) si manifesta più nettamente nell'infanzia che non nell'età matura. Tuttavia in tutte le
razze, gli adulti, in preda a gran collera, hanno qualche tendenza a sporgere le labbra. Alcuni
fanciulli fanno il cattivo viso per timidezza, ma allora non si può dire che fanno il broncio.
In base alle informazioni che mi son procurate da varie famiglie assai numerose, non par che
le smorfie sieno molto comuni nei fanciulli europei; ma esistono in tutti, e probabilmente sono assai
diffuse e spiccate nella maggior parte delle razze selvaggie, perocchè molti osservatori ne furono
sorpresi. Le si constatarono in otto diversi distretti dell'Australia, e la persona che mi fornì queste
informazioni dicevami d'essere stato colpito dall'allungamento onde in tali occasioni sono
suscettibili le labbra dei fanciulli. Due osservatori trovarono le smorfie infantili negli Indù; tre nei
Cafri, nei Fingi del sud dell'Africa e negli Ottentoti; due negli Indiani selvaggi dell'America
settentrionale. Furono pure osservate nei Cinesi, negli Abissini, nei Malesi di Malacca, nei Dyak di
Borneo, e spesse volte negl'indigeni della Nuova Zelanda. Il sig. Mansel Weale mi apprende d'aver
visto un allungamento pronunziatissimo delle labbra nei Cafri, quand'erano di cattivo umore, non
pur sui fanciulli, ma ancor sugli adulti d'entrambi i sessi. Il signor Stack fe' qualche volta la
medesima osservazione negli uomini, e assai frequente nelle donne della Nuova Zelanda. Per
ultimo, anche nell'adulto europeo si riconoscono tal fiata traccie di questa stessa espressione.
Per lo che si vede che l'allungamento delle labbra, particolarmente nel fanciullo, è un segno
caratteristico del malumore, presso quasi tutte le razze umane. E' pare che questo movimento risulti
dall'essersi conservata un'antica abitudine, specialmente nella gioventù, o da un momentaneo
regresso verso la medesima. Come abbiam già veduto, i giovani orangotani ed i giovani chimpanzè,
quando sono scontenti, leggermente irritati o di umore cattivo, allungano oltremodo le labbra; e le
allungano pure, quando provino una viva sorpresa, un po' di paura ed una lieve soddisfazione.
Allora essi sporgono il labbro, certo allo scopo di emettere i diversi suoni propri a questi diversi
stati dell'animo. Come già dissi, la forma della bocca nel chimpanzè varia leggermente, sia che si
tratti di grida di piacere, sia di collera. Appena questi animali montano in furore, la forma della
bocca cangia del tutto ed i denti vengono messi allo scoperto. Pare che, quando l'orango adulto è
179
()
HENSLEIGH WEDGWOOD in The origin of Language, 1866, p. 78.
ferito, «mandi un grido speciale, che incomincia acuto e finisce in un sordo muggito; mentre emette
le note elevate, sporge le labbra a foggia d'imbuto, ma, quando giunge alle gravi, tiene spalancata la
bocca»
(
180
)
. Sembra che il labbro inferiore del gorilla possa allungarsi moltissimo. Se noi
ammettiamo che i nostri antenati, uomini a mezzo, quand'erano stizziti o alquanto irritati,
sporgessero le labbra, come ora fanno le scimie antropomorfe, riesce un fatto interessante, ma non
anomalo, che i nostri fanciulli, sotto l'influenza di analoghe impressioni, ci presentano traccie della
stessa espressione e tendono insieme ad emettere alcuni suoni. Ed invero gli animali nella giovane
età mantengono spesso in un modo più o meno perfetto (per perderli poi) certi caratteri, propri in
origine ai loro antenati adulti e che si trovano ancora in altre specie distinte, loro vicini parenti.
Ed è pur naturale che i fanciulli selvaggi, a paragone di quelli europei, manifestino, quando
sono stizziti, una più viva tendenza a sporger le labbra; imperocchè la caratteristica della condizione
selvaggia sembra appunto risiedere in questa conservazione d'uno stato primitivo, conservazione
che talora si fa pur palese nelle qualità fisiche
(
181
)
. Nullameno, a codesta foggia di vedere intorno
l'origine delle smorfie, potrebbesi opporre che le scimie antropomorfe allungano parimente le labbra
sotto l'influenza dello stupore ed anche d'un leggiero contento; in noi, per lo incontro, questa
espressione apparisce soltanto allora che siamo di cattivo umore. Ma in uno dei susseguenti capitoli
vedremo che in certe razze umane la sorpresa produce talora un lieve avanzamento delle labbra;
peraltro una viva sorpresa, un profondo stupore si palesano più di sovente collo spalancar della
bocca. Del resto, siccome, ridendo o sorridendo, tiriamo indietro gli angoli della bocca, così noi
dovemmo perdere ogni tendenza a sporger le labbra sotto l'influenza del piacere, pur supponendo
che i nostri antichi progenitori abbiano veramente espresso in siffatta maniera il loro contento.
E qui dev'esser fatta menzione d'un altro piccolo movimento che s'osserva nei fanciulli
stizziti, e cioè l'alzare una delle spalle. Questo gesto ha un significato diverso da quello che consiste
nell'alzare ambedue le spalle. Un fanciullo, di cattivo umore, seduto sulle ginocchia del padre o
della mamma, alza la spalla ch'è più vicina a chi lo porta, poi con atto brusco la ritira, quasi a
sottrarsi da una carezza, e dà quindi una scossa all'indietro, come per respingere qualcuno. Io vidi un
fanciullo, il quale, sebbene alquanto lontano da ogni persona, espresse nettamente i suoi sentimenti
alzando una spalla, imprimendole poscia un leggiero movimento all'indietro, ed infine tutta
scotendo la sua personcina.
Risolutezza o determinatezza. - L'energico serrar della bocca tende a dare alla fisonomia
un'espressione di risoluzione o di determinazione. Probabilmente non s'è mai visto un uomo di
carattere risoluto tener la bocca aperta. In generale si considera pur come indizio di fiacchezza
morale una mascella inferiore piccola e debole, onde sembra che la bocca non sia d'ordinario ben
chiusa. Uno sforzo prolungato, di qualsivoglia natura, fisico od intellettuale, implica una precedente
determinazione; ora, s'egli è dimostrato che prima e durante un violento e continuato esercizio del
sistema muscolare si chiude forte la bocca, il principio dell'associazione fa prevedere quasi certo
ch'esso si chiuderà parimente quando prendesi un'energica risoluzione. Molti osservatori notarono
infatti che quando un uomo imprende qualche esercizio muscolare violento, comincia sempre col
gonfiar d'aria i polmoni, che poscia comprime contraendo vigorosamente i muscoli toracici e
tenendo perfettamente chiusa la bocca. Inoltre, anche quando quest'uomo è costretto a riprendere
fiato, tien dilatato il petto, più ch'è possibile.
A codesto modo d'agire si attribuirono parecchie interpretazioni. Sir C. Bell sostiene
(
182
)
che,
in tali circostanze, gonfiasi il petto e lo si mantiene disteso, per fornire uno stabile punto d'appoggio
ai muscoli che vi s'inseriscono. Donde, egli aggiunge, consegue che, quando due uomini sono
impegnati in disperata lotta, regna fra loro un terribile silenzio, solo interrotto dal respiro soffocato e
penoso. Questo silenzio dipende da ciò che l'espulsione dell'aria per emetter dei suoni indebolirebbe
il punto d'appoggio dei muscoli delle braccia. Che se la lotta avvien fra le tenebre, e si ode un grido,
quel grido ne avverte che l'uno dei rivali non ha più speranza di vincere.
Secondo Gratiolet
(
183
)
, un uomo che voglia lottare all'ultimo sangue contro un altr'uomo, o che
dee sostenere un pesante fardello, od anche mantenere per lungo tratto di tempo un atteggiamento
180
()
MÜLLER, citato da HUXLEY, Man's Place in Nature, 1863, p. 38.
181
()
Ne ho dato molti esempi nella mia Origine dell'Uomo (vol. I, cap. IV).
182
()
Anatomy of Expression, p. 190.
183
()
De la Physionomie, p. 118-121.
penoso, deve bensì far dapprima una forte ispirazione, e poi lasciar di respirare; ma nullameno
quest'autore ritiene come erronea la spiegazione di Bell. Egli sostiene (cosa alla quale, a mio
credere, è impossibile mettere dubbio) che arrestare il respiro è ritardare la circolazione del sangue,
e qui chiama in aiuto curiosissime prove, tratte dalla struttura degli animali inferiori, per dimostrare,
primieramente, che, onde prolungare lo sforzo muscolare, è necessario ritardare la circolazione, in
secondo luogo, che senza un rapido circolo non avvengono rapidi movimenti. Quindi, quando noi ci
disponiamo ad eseguire un grande sforzo, chiudiamo la bocca e cessiamo dal respirare, per ritardare
la circolazione del sangue. Gratiolet riassume la quistione dicendo: «Ecco la vera teoria dello sforzo
prolungato»; peraltro non so sino a qual punto venga ammessa questa teoria dagli altri fisiologi.
Il dott. Piderit
(
184
)
, per ispiegare onde avvenga che durante un energico sforzo muscolare si
chiude perfettamente la bocca, ricorse alla seguente teoria: l'influenza della volontà non si estende
soltanto a que' muscoli che sono necessariamente messi in azione da un particolare sforzo
qualunque; è dunque naturale che i muscoli i quali servono alla respirazione, e quei della bocca, che
vengono usati tanto di spesso, sieno più specialmente soggetti a questa influenza. Mi sembra che in
ciò siavi pur qualche cosa di vero, imperocchè, compiendo un violento esercizio, ci sentiamo
inclinati a chiudere i denti con forza, il che non serve ad impedire la circolazione, mentre i muscoli
del petto sono vivamente contratti.
Per ultimo, un uomo chiude generalmente la bocca e cessa un istante di respirare, anche
quando si accinge a un lavoro, delicato e difficile sì, ma che non richiede alcuno sforzo. In questo
caso peraltro egli agisce così, solamente perchè i movimenti del petto non gl'inceppino quei delle
braccia. Per questa ragione, ad esempio, una persona che infili un ago stringe le labbra, ed anche
sospende il respiro o respira lievissimamente. Come abbiamo già detto, la stessa osservazione fu
fatta sopra un giovane chimpanzè malato, mentre dilettavasi ad uccidere le mosche che ronzavano
sui vetri della finestra. Un atto, quando è difficile, sia pure insignificante, richiede sempre fino a un
certo punto un'antecedente determinazione.
Egli è probabile che le diverse cause su accennate abbiano potuto venir messe in giuoco in
differente grado, sia complessivamente, sia separatamente, in diverse occasioni. Ne dovette seguire
un'inveterata abitudine, oggi definitivamente ereditaria, di chiudere strettamente la bocca prima e
durante ogni sforzo prolungato e violento, prima e durante ogni delicato lavoro. In virtù del
principio di associazione, non appena lo spirito abbia preso una risoluzione relativa a qualche atto
speciale, a qualche via da tenere, deve esister puranco una spiccata tendenza a riprodurre
quell'abitudine, tendenza che può manifestarsi prima che sia necessario ogni sforzo fisico, e pur
allorquando non ve ne sarebbe bisogno veruno. Così l'abituale ed energico serrar della bocca giunse
sino ad esprimere la risolutezza del carattere, ed è noto quanto facilmente la risolutezza degeneri in
ostinazione.
CAPITOLO X.
ODIO E COLLERA
Odio. - Furore, suoi effetti sul fisico. - Atto di scoprire i denti. - Furore degli alienati. - Collera e sdegno. - Loro
espressione nelle varie razze umane. - Derisione e disfida. - Atto di scoprire il dente canino da una parte sola.
Se un individuo ci ha fatto volontariamente un torto, se ci ha offesi in qualsivoglia maniera, o
se crediamo ch'egli abbia ostili intenzioni a nostro riguardo, nutriamo per lui avversione, che
facilmente degenera in odio. Questi sentimenti, provati in debole grado, non hanno alcun particolare
movimento che li esprima nettamente, toltone forse una certa rigidezza nell'atteggiamento od un
poco di malumore. Nullameno pochissimi sanno fermare a lungo il pensiero sopra una persona
odiata, senza provare e lasciarsi sfuggire segni d'indignazione o di rabbia. Che se però l'offensore ci
sta molto al di sotto, null'altro sentiamo che sdegno e disprezzo. Se l'offensore, all'incontro, è molto
potente, il nostro odio si trasforma in terrore; prova terrore uno schiavo pensando a un padrone
184
()
Mimik und Physiognomik, p. 79.
crudele, o un selvaggio rammentando una divinità malefica e sanguinaria
(
185
)
. La maggior parte delle
nostre sensazioni è così strettamente legata alla loro espressione, che nessuna di esse può esistere fin
che il corpo sta inerte, poichè la natura della espressione dipende principalmente dalla natura degli
atti che di solito si producono in questo o in quello stato speciale dell'animo. Per esempio, un uomo
può sapere benissimo che la sua vita è esposta al maggiore dei pericoli e desiderare ardentemente di
salvarla, eppure può dire, come Luigi XVI attorniato da un popolaccio furioso: «Credete ch'io abbia
paura? Tastate il mio polso». Così ancora, un uomo può odiare con tutta la forza un altro uomo,
senza che si abbia a supporre il furore che l'accende, sino a che questo non viene palesato dal corpo.
Furore. - Ebbi di già occasione di parlare intorno a questo sentimento nel capitolo III, quando
mostrai la diretta influenza del sensorio sulla economia, combinata con gli effetti di atti
ordinariamente associati. Il furore si palesa nelle più varie maniere. Il cuore e la circolazione sono
sempre impressionati; il volto viene rosso o purpureo, e le vene della fronte e del collo si gonfiano.
Il rossore della pelle fu osservato negli Indiani rossi dell'America del Sud
(
186
)
, ed anche, pare, sulle
cicatrici bianche lasciate nella pelle dei negri da antiche ferite
(
187
)
. Anche le scimie arrossiscono di
collera. Ho più volte osservato in un mio figliuoletto, a meno di quattro mesi, che l'afflusso del
sangue che faceva rossa la sua calva testina, era il primo indizio di un accesso di collera. Talvolta
invece il furore inceppa le funzioni del cuore così, da rendere il volto pallido o livido
(
188
)
, e bene di
spesso si videro malati di cuore cascar morti sotto il peso di questa potente emozione.
La stessa respirazione ne è presa di mezzo: il petto si solleva e le narici si dilatano e fremono
(
189
)
. Tennyson disse: «Il soffio violento della collera gonfiava le sue narici di fata». Da ciò le
espressioni: respirare la vendetta, e fumare di collera
(
190
)
.
L'eccitazione del cervello invigorisce i muscoli e nello stesso tempo rafferma la volontà.
D'ordinario il corpo sta ritto, pronto a reagire; qualche volta peraltro si piega verso l'aggressore e le
membra sono più o meno tese. Di solito la bocca, perfettamente chiusa, esprime una determinazione
già presa, ed i denti o stanno stretti o battono gli uni contro gli altri. Spesse volte si alzano le braccia
e si stringono i pugni, quasi a colpire l'aggressore. Al colmo dell'irritazione, ed intimando a
qualcuno di uscire, è assai raro il caso che non si faccia il moto di batterlo o di cacciarlo fuori a
violenza. Ben più; questo desìo di colpire è spesso potente così, che si percuotono o si gettano a
terra corpi inanimati; del resto, le movenze diventano il più delle volte disordinate e frenetiche.
Quando i fanciulli sono infuriati, si rotolano per terra, gridando, pestando i piedi, graffiando e
percuotendo tutto quello che viene loro alle mani. Dalle informazioni di Scott risulta che i fanciulli
Indù fanno lo stesso, e noi abbiamo visto che le scimie antropomorfe non si regolano in modo
diverso.
Tuttavia il sistema muscolare può venire impressionato in maniera del tutto contraria; infatti,
la conseguenza di un eccessivo furore è spesse volte il fremito. Allora le labbra, paralizzate, non
rispondono più agli ordini della volontà, «e la voce s'arresta alla strozza»
(
191
)
; altre volte essa si fa
più vigorosa e rauca e stuonata; e se si parla molto e con volubilità, la bocca si riempie di schiuma.
Talora i capelli si rizzano; ma su questo punto tornerò in un altro capitolo, parlando del sentimento
185
()
Veggansi a questo proposito le osservazioni di M. BAIN, The Emotions und the Will, ediz. seconda, 1865, p.
127.
186
()
RENGGER, Naturgesch. der Säugethiere von Paraguay, 1830, p. 3.
187
()
Sir C. BELL, Anatomy of Expression, p. 96. - Il dott. BURGESS (Physiology of Blushing, 1839, p. 31)
descrive il rossore che in una negra, sotto l'impero di cause morali, si riproduceva sopra una cicatrice.
188
()
Moreau e Gratiolet discussero intorno al colore del viso sotto l'influenza d'una collera intensa. Veggasi
l'edizione del 1820 di LAVATER, vol. IV, p. 282 e 300, e GRATIOLET, De la Physionomie, p. 345.
189
()
Sir C. BELL (Anatomy of Expression, p. 91-107) trattò a lungo su tale quistione. MOREAU, appoggiandosi
sull'autorità di Portal, fa osservare (nell'edizione del 1820 della Physionomie, per G. LAVATER, vol. IV, p. 237) che gli
asmatici finiscono col presentare una permanente dilatazione delle narici, dovuta all'abituale contrazione dei muscoli
elevatori dell'ala del naso. - Il dottor PIDERIT (Mimik und Physiognomik, p. 82) spiega la dilatazione delle narici,
dicendo ch'essa ha lo scopo di permettere la respirazione, mentre è chiusa la bocca e sono stretti i denti. Parmi che a
questa interpretazione sia da preferirsi quella di sir C. Bell, il quale attribuisce questo stato alla simpatia (cioè
all'abituale sinergia) di tutti i muscoli respiratorii. Un uomo in collera dilata le narici, anche a bocca aperta.
190
()
WEDGWOOD (On the Origin of Language, 1866, p. 76) fa parimente osservare che il suono prodotto da una
brusca espirazione viene espresso dalle sillabe puff, huff, whiff; ora il motto inglese huff significa precisamente un
eccesso di collera.
191
()
Sir C. BELL (Anatomy of Expression, p. 95) fece delle bellissime osservazioni sull'espressione del furore.
misto, composto di collera e di terrore. Nella maggior parte dei casi, si determina un
pronunciatissimo increspamento dei sopraccigli, segno caratteristico della preoccupazione della
mente, in faccia a qualche fastidio o a qualche ostacolo. Talvolta, all'incontro, la pelle del fronte, in
luogo di venire contratta ed abbassata, si mantiene liscia, e gli occhi, scintillanti, stanno spalancati.
Gli occhi brillano sempre, e, seguendo l'espressione di Omero, sono pieni di fiamme. In certi casi si
veggono iniettati di sangue, e schizzano, come si dice, dalle orbite: conseguenza evidente
dell'assoluta congestione cerebrale, congestione, del resto, manifestata dalla dilatazione delle vene.
Secondo Gratiolet
(
192
)
, nei furiosi le pupille sono sempre contratte; il dottor Crichton Browne mi ha
detto che altrettanto si avvera nel delirio violento della meningite: bisogna confessare peraltro, che i
moti dell'iride sotto l'influenza dei vari sentimenti sono ancora assai poco conosciuti.
Shakespeare riassume così i caratteri principali del furore:
Nulla più l'uomo nella pace adorna
Dell'umiltà, della modesta calma.
Ma se di guerra vi sorprende l'ora,
Diventate del tigre imitatori.
Dure le membra, il sangue suscitato,
All'occhio date il più feroce aspetto,
Stringete i denti ed ampie fian le nari,
Raffrenate il respiro, ed all'estremo
Sian gli spirti vital sospinti, o Inglesi.
Sotto l'influenza del furore, talvolta si protendono le labbra; io so spiegarmi lo scopo di
questo movimento, a meno che non si debba la nostra origine ad una qualche forma scimiesca. Se
ne osservarono degli esempi non solo presso gli Europei, ma ben anco negli Australiesi e negli Indù.
Più di spesso, peraltro, le labbra sono ritirate e lasciano allo scoperto i denti, stretti. È questa
l'osservazione generale di tutti gli autori che scrissero sulla espressione
(
193
)
. Pare che i denti vengano
messi a nudo per essere pronti ad assalire ed a stracciare l'avversario, anche se non v'ha alcuna
intenzione di questo genere. Dyson Lacy osservò questa minacciosa espressione negli Australiesi,
quando sono in alterco, e Gaika nei Cafri del Sud dell'Africa. Carlo Dickens
(
194
)
, narrando l'arresto di
un bandito, descrive il popolaccio furioso che l'attorniava, «precipitandosi, digrignando i denti e
mandando urli da bestie feroci». Tutti coloro che avvicinano dei bambini, sanno quanta disposizione
abbiano a mordere, allorchè sono in collera. In essi, quest'atto è naturalissimo, e pare istintivo, quasi
come nei giovani coccodrilli, che fanno crocchiare le loro piccole mascelle, appena usciti dall'uovo.
Qualche volta si vede che l'avanzamento delle labbra è accompagnato da un riso di minaccia.
Un buon osservatore narra di aver potuto studiare l'odio (che quasi si confonde col furore più o
meno dissimulato) sugli Orientali, ed una volta, sopra una donna inglese, alquanto avanzata in età.
In tutti questi casi, si riscontrava «non un aggrottamento di sopracciglia, ma un riso minaccioso; le
labbra sporgevano, le guancie erano rilassate, semichiusi gli occhi; la fronte perfettamente calma ed
immobile»
(
195
)
.
Questo movimento che ritira le labbra e discopre i denti, negli accessi di furore, come per
mordere un avversario, è molto notevole, avuto riguardo alla rarità dei casi nei quali, presso la
specie umana, i denti sono impiegati alla lotta. Mi sono anche indirizzato al dottor G. Crichton
Browne, per sapere se questa abitudine fosse comune agli alienati, che s'abbandonano senza ritegno
alla foga della collera. Ei mi scrive d'averla realmente osservata a varie riprese negli alienati e negli
192
()
De la Physionomie, 1865, p. 346.
193
()
Sir C. BELL, Anatomy of Expression, p. 177. - GRATIOLET (De la Physionomie, p. 369) dice: «I denti si
scoprono ed imitano simbolicamente l'azione del lacerare e del mordere». Gratiolet sarebbe stato più facilmente
compreso, se, in luogo di usare la parola vaga simbolicamente, avesse detto che quest'atto è il vestigio di un'abitudine
tempo addietro acquisita, quando i nostri antenati, uomini a mezzo, lottavano a colpi di denti, come presentemente lo
fanno i gorilla e gli oranghi. - Il dottor PIDERIT (Mimik ecc., p. 82) parla anche della tensione del labbro superiore
durante un accesso di furore. - Nella incisione d'una fra le stupende pitture di Hogarth, agli occhi brillanti e spalancati,
alla fronte aggrottata, ai denti scoperti, risulta, mirabilmente rappresentata, l'espressione della collera.
194
()
Oliver Twist, vol. III, p. 245.
195
()
The Spectator, 11 luglio 1868, p. 819.
idioti, e me ne cita i seguenti esempi
Pochi momenti prima di ricevere la mia lettera, egli era stato testimonio di un accesso di
collera sfrenata e di mal fondata gelosia, in una donna pazza. Questa, colla schiuma alla bocca,
cominciò dall'aggravare di rimprocci il marito; poi gli si avvicinò, colle labbra strette e le
sopracciglia energicamente contratte. Infine ritrasse le labbra, sopratutto le estremità laterali del
superiore, e mostrò i denti, scagliando un vigoroso pugno. Secondo esempio: un vecchio soldato,
invitato a sottomettersi alle regole dello stabilimento, si disgusta e ne viene furioso. Per solito, ei
comincia col domandare al dottor Browne se non sia cosa vergognosa trattarlo così. Allora si mette
a giurare ed a bestemmiare, cammina a lunghi passi, si sbraccia a destra ed a manca, e scaglia
invettive a tutti quelli che l'attorniano. Infine, giunto al colmo della esasperazione, si precipita sul
dottor Browne con un movimento obliquo particolare, facendo crocchiare le mascelle e proferendo
minaccie di morte. A questo punto può vedersi che il suo labbro superiore è sollevato, specialmente
verso alle estremità, onde vengono messi a nudo i suoi enormi canini. Egli grida maledizioni coi
denti stretti, e tutto l'assieme della sua espressione riveste un'estrema ferocia. La stessa descrizione
può servire anche per un terzo individuo, eccettuato, peraltro, che questi quasi sempre schiuma e
sputacchia, tutto abbandonandosi agli scambietti ed ai salti più strani, ed imprecando con una voce
di falsetto acutissima.
Il dottor Browne mi comunica ancora l'osservazione di un idiota epilettico, incapace di
ragionati movimenti, e che passa di solito tutto intero il giorno trastullandosi con dei balocchi;
nullameno è di umore fastidioso e diventa facilmente intrattabile. Se qualcuno gli tocca un
giocattolo, leva adagio adagio la testa, che d'ordinario tiene abbassata, e fissa gli occhi
sull'importuno con sguardo arcigno ed irritato. Se poi lo si contraria ripetutamente, ritira le sue
grosse labbra, e denuda una fila sporgente di ributtanti dentacci, fra' quali si distinguono sopratutto i
canini; poscia colla mano aperta colpisce con rapidità e violenza colui che l'annoia. La rapidità di
questo gesto, dice il dottore Browne, contrasta meravigliosamente col torpore ordinario di lui, tale
ch'ei mette di solito quindici secondi a volgere la testa da una parte all'altra, quando la sua
attenzione è risvegliata da qualche rumore. Allorchè trovasi in questo stato di esasperazione, se un
oggetto qualunque, un fazzoletto, un libro, gli cade fra mano, lo porta alla bocca e lo morde. Nicol
mi fece un'analoga descrizione, risguardante due alienati, le labbra dei quali si ritraevano anche
negli accessi di furore.
Il dottor Maudsley, dopo aver riferiti parecchi atti che ravvicinano l'idiota al bruto, si domanda
se non faccia d'uopo vedervi il ritorno di primitivi istinti, «un'eco affievolita di un remoto passato,
che manifesta una parentela onde l'uomo si è quasi liberato del tutto». Ei rammenta che il cervello
umano, nel corso del suo sviluppo, passa traverso vari stati, identici a quelli offerti dagli altri
vertebrati; e siccome la condizione del cervello dell'idiota rappresenta uno sviluppo arrestato, è
lecito supporre «che debba compiere la stessa funzione che aveva in origine, in luogo dell'ufficio più
elevato del cervello dell'uomo sano». Secondo il dottore Maudsley, può dirsi altrettanto circa lo
stato in cui sono ridotte le funzioni cerebrali di certi alienati. «Donde vengono in essi, ei si
domanda, il grugnito selvaggio, la brama di distruggere, gli osceni discorsi, gli urli feroci, le
abitudini di violenza? Come mai un essere umano, per ciò solo che manca della ragione,
assumerebbe un carattere tanto brutale, se in lui non esistesse realmente una natura di bruto?»
(
196
)
. Ei
pare che tale quistione debba risolversi affermativamente.
Collera e sdegno. - Queste condizioni dell'animo differiscono dal furore solo per il grado,
havvi distinzione spiccata fra i gesti che li caratterizzano. Sotto l'impero di una collera moderata,
l'azione del cuore si sovreccita leggermente; si colora la faccia e brillano gli occhi. Anche la
respirazione è alquanto più celere, e siccome tutti i muscoli che servono a quest'ufficio agiscono
assieme, le ali del naso si sollevano un poco, in modo da lasciare libero accesso all'aria, segno assai
caratteristico della indignazione. Il più delle volte la bocca è chiusa, e le sopracciglia sempre
contratte. Nessun gesto frenetico come nell'estremo furore; soltanto, l'uomo in preda allo sdegno si
colloca, senz'averne coscienza, in un atteggiamento adatto per assalire o battere il nemico, che
squadra talvolta, dal capo alle piante con aria di sfida. Alta la testa, il petto sollevato, ed i piedi
premono fortemente il suolo. Le braccia assumono posizioni diverse: ora stanno tese lungo il corpo
ed immobili, ora l'uno dei gomiti o entrambi sono piegati. Negli Europei spesse volte si vede che si
196
()
Body and Mind, 1870, p. 51-53.
stringono i pugni
(
197
)
. Le figure 1 e 2 della Tavola VI rappresentano assai bene uomini che fingono
lo sdegno. Ciascuno può fare la seguente esperienza: si collochi davanti uno specchio, immagini di
venir insultato, e, risentito, ne chieda soddisfazione; bentosto egli assumerà, senza pur rendersene
conto, un atteggiamento simile a quello or ora descritto.
Il furore, la collera e lo sdegno si esprimono dovunque quasi nella stessa maniera; le
descrizioni che seguono gioveranno a dimostrarlo e ad appoggiar con esempi le precedenti
osservazioni. Ci ha peraltro una eccezione, relativa all'atto di stringere i pugni, e che sembra
speciale a coloro che lottano usando di questi. Negli Australiesi, ad esempio, uno solo dei miei
corrispondenti lo potè osservare. Tutti, del resto, concordano a dire che il corpo è mantenuto diritto,
e tutti ancora, due soli eccettuati, constatano il pronunciato aggrottamento dei sopraccigli. Alcuni
fanno menzione delle labbra totalmente chiuse, delle narici dilatate, dello sguardo lampeggiante.
Secondo il rev. sig. Taplin, gli Australiesi esprimono il furore sporgendo le labbra e tenendo
spalancati gli occhi; le donne corrono per tutte le bande e gettano polvere in aria. Un altro
osservatore dice che gl'indigeni, quando sono infuriati, scaglian le braccia a destra ed a manca.
Quanto ai Malesi della penisola di Malacca, agli Abissini ed ai naturali del Sud dell'Africa, io
raccolsi identici fatti, salvo per quello che si riferisce ai pugni. Posso citare eziandio gl'Indiani
Dakota dell'America del Nord; secondo il signor Matthews, essi tengono la testa diritta, le
sopracciglia aggrottate, e camminano sovente a gran passi. Il sig. Bridges notò che gli abitanti della
Terra del Fuoco, sotto l'influenza del furore, spesse volte pestano la terra coi piedi, giran qua e là, e
talora piangono e impallidiscono. Il rev. sig. Stack osservò un uomo e una donna della Nuova
Zelanda, mentre altercavano, e raccolse nel suo portafoglio le note seguenti: «Occhio spalancato,
corpo violentemente portato indietro ed innanzi, testa inclinata in avanti, pugni stretti, ora spinti
dietro le spalle, ora messi a vicenda sotto il naso». Il sig. Swinhoe dice che la mia descrizione
concorda colle sue osservazioni sopra i Cinesi; bisogna peraltro aggiungere la circostanza che un
uomo in collera d'ordinario si piega verso l'avversario e lo tempesta d'ingiurie.
Ultimamente il sig J. Scott m'inviò una particolareggiata descrizione degli atti e delle
espressioni degl'indigeni Indiani, quando sono infuriati. Due Bengalesi di bassa sfera altercavano
per un prestito. In sulle prime, calma; ma ben tosto divennero furiosi e si scambiarono le più
grossolane ingiurie, a carico degli amici e dei loro parenti, anche molto lontani. Gestivano assai
diversamente dagli Europei: in fatti, benchè avessero il petto dilatato e rialzate le spalle, teneano
rigidamente piegate le braccia ed i gomiti in dentro, aprivano e chiudevano successivamente le mani
ed alzavano e abbassavano a varie riprese le spalle. I loro sguardi erano sguardi di belva e
adombravano le sopracciglia abbassate e vivamente aggrottate; le loro labbra sporgeano e
fortemente stringeansi. Si fecero l'un l'altro vicini, la testa ed il collo in avanti, e cominciarono a
dimenarsi, a graffiarsi, a scuotersi. Questo atteggiamento della testa e del corpo sembra esser
comune alle genti furiose: io lo notai in Inghilterra nelle femmine dell'infima classe, quando
altercavano in mezzo alla via. In tal caso possiamo supporre che nessuno dei due avversari aspetta
di venir assalito dall'altro.
Un Bengalese, impiegato al Giardino botanico, era accusato dal sorvegliante indigeno, in
presenza di Scott, d'aver involata una pianta rara. Egli ascoltò l'accusa senza proferire parola e con
disprezzo, tenendo il corpo eretto, il petto dilatato, la bocca chiusa, sporte le labbra, il guardo fisso e
penetrante. Poscia, colle braccia rialzate e chiuse le mani, la testa sporta in avanti, gli occhi
spalancati e le sopracciglia elevate, protestò arditamente la propria innocenza. Il signor Scott
osservò pure due Mechis a Sikhim, mentre contendeano per la ripartizione del soldo. Montarono
ben presto in violento furore, e a questo punto curvarono alquanto il corpo e piegarono la testa in
avanti. Si faceano visacci, avean rialzate le spalle, le braccia rigidamente piegate coi gomiti in
dentro, le mani strette convulsivamente, senza peraltro stringere proprio i pugni. Avanzavano e
retrocedean di continuo, e spesso levavano le braccia come per iscagliare dei colpi, ma in allora
tenevano aperta la mano e non colpivano. Scott fece analoghe osservazioni sopra i Lepchas, ch'ei
vide spesse volte in disputa, e notò che teneano le braccia rigide e stese lungo il corpo, quasi
197
()
Nel suo famoso libro: Conférence sur l'Expression (La Physionomie, per LAVATER, edizione del 1820, vol.
IX, p. 268) LEBRUN fa osservare che la collera si esprime stringendo i pugni. - Veggasi pure, su questo argomento,
HUSCHKE, Mimices et Physiognomices, Fragmentum Physiologicum, 1824, p. 20, ed ancora sir C. BELL, Anatomy of
Expression, p. 219.
parallelamente, mentre le mani erano portate alquanto indietro del dorso e chiuse a metà, ma senza
che i pugni fossero stretti.
Sogghigno, aria di sfida, azione di scoprire il dente canino d'un lato. - L'espressione che ora
passiamo a trattare differisce pochissimo dalle descritte, nelle quali le labbra sono ritratte, ed i denti,
stretti, vengono messi a nudo. L'unica differenza sta nel modo d'elevare il labbro superiore, che
lascia vedere solamente il canino d'un lato, mentre di solito la faccia è rivolta un po' in su e per metà
allontanata dall'offensore. Gli altri sintomi caratteristici del furore posson mancare. Qualche volta
questa espressione si nota in un individuo che si fa beffa di un altro o lo sfida, anche quando ei non
è proprio in collera; la si osserva, a mo' d'esempio, sul volto d'una persona che viene per ischerzo
accusata di qualche cosa e che risponde: «Tali imputazioni non giungono a me: io le disprezzo».
Codesta espressione non avviene di spesso: l'ho peraltro osservata assai nettamente in una signora
che era derisa. Parsons ne fece una descrizione che risale al 1746; ell'è accompagnata da una figura
sulla quale si vede scoperto il dente canino sol d'una parte
(
198
)
. Il signor Rejlander, prima ancora
ch'io gliene tenessi parola, mi chiese se avevo mai osservata questa espressione, ond'egli stesso era
stato molto colpito. Ei fotografò per mio conto (Tav. IV, fig. 1) una donna, la quale talvolta scopre
inavvedutamente il canino d'un lato, e può riprodurre a volontà, con una eccezionale precisione,
questo espressivo movimento.
L'aria quasi festevole d'una persona che sogghigna può degenerare per via di successive
trasformazioni in una espressione di estrema ferocia, se, mentre le sopracciglia si contraggono
vivamente e brillan gli occhi, anche il dente canino vien messo a nudo. Un fanciullo bengalese era
accusato d'un misfatto, in presenza del sig. Scott; il piccolo colpevole non osava esprimere il suo
corruccio a parole, ma questo gli trasparia dagli atti e si faceva palese ora per mezzo di un superbo
aggrottamento di sopracciglia, ora per «uno speciale movimento che scopriva il canino della parte
rivolta all'accusatore; in quell'istante ei sollevava il lato del labbro corrispondente a questo canino,
che in lui era largo e sporgentissimo». Sir C. Bell riferisce
(
199
)
che il grand'attore Cooke sapeva
esprimere l'odio più violento, «guardando obliquamente e sollevando la parte esterna del labbro
superiore, in modo da mettere a nudo un canino tagliente ed aguzzo».
Questo scoprirsi del dente canino, sotto l'influenza di certi stati dell'animo, risulta da due
movimenti. L'angolo o la commessura della bocca è alquanto tratta all'indietro, e nello stesso tempo
un muscolo vicino e parallelo al naso tira in su la parte esterna del labbro superiore, e mette a nudo
il canino del lato corrispondente. La contrazione di questo muscolo produce un distintissimo solco
sovra la guancia e delle marcatissime rughe al di sotto, e specialmente all'angolo interno dell'occhio.
Questo fenomeno è identico a quello che si nota in un cane che brontola; un cane che desidera di
azzuffarsi alza spesse volte il labbro dalla parte dell'avversario. Il motto inglese sneer (sogghigno)
in fondo in fondo è identico alla parola snarl (brontolìo), che tempo addietro era snar: la lettera l,
aggiuntavi, «indica semplicemente la continuità di un'azione»
(
200
)
.
Io ritengo che quel che si chiama sorriso sardonico o beffa sia un vestigio di questa stessa
espressione. Qui la bocca resta chiusa o quasi, ma uno de' suoi angoli è ritirato dalla parte della
persona derisa; ora, questa contrazione all'indietro dell'angolo della bocca costituisce uno degli
elementi del sogghigno propriamente detto. A dir vero, ci ha taluni i quali sorridono da un lato del
viso più che dall'altro; tuttavia non è facile comprender perchè, nella espressione del motteggio, il
sorriso, se pur ve n'ha uno, spesse volte si limiti ad una parte soltanto. Per giunta, io osservai un
leggiero sussulto del muscolo che alza il labbro superiore; ora questo movimento, se si fosse più
dichiarato, avrebbe scoperto il canino e determinata la vera espressione del sogghigno.
Il sig. Bulmer, missionario in un remoto distretto di Gipp's Land (Australia), risponde a quella
fra le mie questioni relativa al movimento di scoprire il canino da una parte sola: «Ho notato che,
quando gl'indigeni brontolano assieme, parlano coi denti stretti, col labbro superiore teso da un lato
e nel complesso dei lineamenti esprimendo la collera; ma essi guardano in faccia il loro
interlocutore». Tre altre persone che istituirono delle osservazioni in Australia, una quarta in
Abissinia ed una quinta in Cina, rispondono affermativamente alla mia domanda; ma siccome
198
()
Transact. Philos. Soc., Appendix, 1746, p. 65.
199
()
Anatomy of Expression, p. 136. - Sir C. BELL (p. 131) al muscolo che scopre i canini il nome di «muscolo
del brontolìo» (snarling muscles).
200
()
HENSLEIGH WEDGWOOD, Dictionary of English Etymology, 1865, vol. III, p. 240-243.
questa espressione è rara ed eglino non entrano in verun dettaglio, così non oso prestare una
completa fiducia alle loro parole. Tuttavia niente di più probabile che questa espressione semi-
bestiale sia più frequente presso i selvaggi che nelle razze civilizzate. Il sig. Geach, il quale merita
assoluta credenza, constatolla una volta sopra un Malese, nell'interno di Malacca. Il rev. S. O.
Glenie mi risponde: «Abbiamo osservata questa espressione negl'indigeni di Ceylan, ma molto di
rado». Recentemente, nell'America del Nord, il dottor Rothrock la riscontrò in alcuni Indiani
selvaggi, e spesse volte in una tribù vicina agli Atnà.
Se avviene talora che sgridando o sfidando qualcuno, si sollevi il labbro superiore da una
parte sola, ciò non vuol dire che questo fatto sia costante; perchè il viso di solito è mezzo rivolto, e
l'espressione è di spesso fugace. Può essere che il movimento limitato ad una parte sola del volto
non sia un'essenziale particolarità dell'espressione; ma dipenda dal fatto che i muscoli destinati a tal
uopo sono incapaci di contrarsi simultaneamente da entrambo i lati. A rendermene ragione, pregai
quattro persone onde cercassero di eseguire volontariamente il movimento in discorso; due di loro
non seppero scoprire il dente canino che dal lato sinistro, una solo dal destro, e la quarta non riuscì a
farlo dall'una dall'altra parte. Nessuno ci assicura però che, se queste stesse persone avessero
sfidato qualcuno sul serio, non avrebbero scoperto, senza saperlo, il dente canino da quel lato,
qualunque si fosse, che stava più vicino all'avversario. In fatti vedemmo che certe persone, le quali
non possono rendere volontariamente oblique le sopracciglia, ci sanno dare peraltro questa
posizione, quando sono realmente irritate, ne sia pure insignificante il motivo. Se dunque la facoltà
di scoprire il dente canino da una parte sola è qualche volta perduta, ciò dipende dal fatto ch'ella è
raramente messa a profitto e costituisce un gesto abortito. Con tutto ciò fa meraviglia che l'uomo
possegga tal facoltà o mostri qualche tendenza ad usarne. In fatti, il signor Sutton, al Giardino
zoologico, non ebbe mai ad osservare niente d'analogo sui nostri più vicini parenti, ci sulle
scimie; ed è certo che i babbuini, quando sono intrattabili e per assalire, benchè muniti di forti
canini, non discoprono uno solo di questi, ma mettono a nudo tutti i denti nello stesso tempo. Ignoro
se i maschi delle scimie antropomorfe adulti, che a paragone delle femmine hanno i canini molto
più grandi, li discoprano al momento della lotta.
La presente espressione, sia che si tratti d'una lepida burla o d'un feroce grugnito, è una delle
più curiose fra quelle offerte dall'uomo. Essa rivela la nostra origine animale; imperocchè nessuno,
dibattendosi per terra in una stretta mortale, pensò mai di servirsi de' suoi canini, piuttosto che degli
altri denti. In questo caso, in base alla nostra rassomiglianza colle scimie antropomorfe, possiamo
supporre con molta probabilità che fra i nostri antenati, uomini a mezzo, i maschi possedessero forti
canini: anche al d'oggi nascono talvolta uomini forniti di canini di straordinaria dimensione, con
appositi diastemi nella mascella opposta per dar loro ricetto
(
201
)
. Possiamo ammettere ancora,
quantunque ci manchi l'analogia, che i nostri antichi progenitori semibruti, preparandosi alla lotta,
scoprissero i canini, come noi lo facciamo tuttora, quando siamo inferociti, o semplicemente quando
sgridiamo o sfidiamo qualcuno, senza aver pure la menoma intenzione di assalire a colpi di denti.
CAPITOLO XI.
DISISTIMA - DISPREZZO - DISGUSTO - ORGOGLIO, ECC. -
IMPOTENZA - PAZIENZA - AFFERMAZIONE E NEGAZIONE
Disprezzo, alterigia e disistima; diversità nella loro espressione. - Sorriso sarcastico. - Gesti che esprimono il disprezzo.
- Disgusto. - Colpevolezza, astuzia, orgoglio, ecc. - Rassegnazione, debolezza o impotenza. - Pazienza. -
Ostinazione. - Stringimento delle spalle, gesto comune a quasi tutte le razze umane. - Segni di affermazione e di
negazione.
L'alterigia e la disistima non differenziano dal disprezzo che per una maggiore irritazione.
si possono perfettamente distinguere dai sentimenti studiati nel precedente capitolo sotto il nome di
201
()
) Origine dell'Uomo, trad. italiana di M. LESSONA, pag. 96.
sogghigno e d'aria di sfida. Il disgusto è una impressione di natura un po' meglio definita, provocata
prima da una impressione che ripugna al senso del gusto, e poi da tutto quello che può dar luogo ad
una simile impressione, col mezzo dell'odorato, del tatto e puranco della vista. Checchè ne sia, corre
poca differenza tra il disgusto e lo sprezzo spinto al massimo grado, che talvolta prende il nome di
ripulsione. Queste diverse condizioni dell'animo sono dunque molto affini, ed ognuna di esse può
manifestarsi nelle più varie maniere. Gli autori si sono principalmente dilungati su questo e su quel
mezzo espressivo che loro si conviene, ed il signor Lemoine se ne fece sgabello
(
202
)
per sostenere
che le loro descrizioni avevano nulla di fondato. Ma noi vedremo come sia naturale che i sentimenti
in discorso possano esprimersi in molte maniere diverse, imperocchè, in virtù del principio
dell'associazione, atti consuetudinari diversi sono egualmente adatti a manifestarli.
L'alterigia e la disistima, al pari del sogghigno e dell'aria di sfida, possono esprimersi
scoprendo leggermente il dente canino da una parte sola, e questo movimento par che degeneri in
una specie di sorriso. Altre volte il motteggio si palesa con un sorriso o con un vero riso, ed è
quando l'offensore è tanto meschino da risvegliare in noi solamente allegria, la quale per altro non è
mai propriamente gioia. Gaika, rispondendo alle mie domande, nota che d'ordinario i Cafri, suoi
compatrioti, esprimono il disprezzo sorridendo; il principe indiano Brooke fa la medesima
osservazione riguardo ai Dyak di Borneo. Siccome la primitiva espressione della gioia propriamente
detta è il riso; così io non credo che i bambini giovanissimi ridano mai in segno di burla.
Il parziale abbassamento delle palpebre, come l'afferma il signor Duchenne
(
203
)
, od anche
l'azione di distogliere gli occhi ed il corpo tutto, esprimono pure con molta esattezza lo sdegno.
Sembra che questi atti dicano che la persona sprezzata è indegna d'un guardo o che la sua vista ci
spiace. La qui annessa fotografia (Tavola V, fig. 1), fatta dal signor Rejlander, mostra questa specie
di sdegno. Essa rappresenta una ragazza mentre sta lacerando la fotografia di un amante da lei
disprezzato.
La più comune maniera di manifestare il disprezzo consiste in certi movimenti delle regioni
nasale e boccale; questi ultimi, peraltro, quando sono molto pronunciati, esprimono il disgusto.
Qualche volta il naso si rialza alquanto, il che certamente proviene dal sollevarsi del labbro
superiore; tal altra il movimento si riduce ad un semplice increspamento della pelle del naso. Spesso
le narici vengono debolmente contratte, come per restringere il loro orificio
(
204
)
, e
contemporaneamente si determina una breve espirazione nasale. E questi medesimi atti avvengono
pure quando si percepisce uno sgradevole odore, che desideriamo evitare o di cui vogliamo
sbarazzarci. Secondo il dottore Piderit
(
205
)
, in quei casi nei quali questi fenomeni raggiungono il
massimo grado, si sporgono e si sollevano ambe le labbra, o il superiore soltanto, in modo da
chiudere le narici con una specie di valvola, e contemporaneamente si rialza il naso. Ei pare che noi
vogliamo così far intendere all'individuo sprezzato che la sua vicinanza ci appesta
(
206
)
, quasi nella
stessa maniera con cui gli significhiamo ch'egli è indegno di attirare il nostro sguardo, quando
chiudiamo a mezzo gli occhi o distogliamo il capo. Non è a credere però che tali raziocinii ci
traversino la mente proprio nel punto in cui manifestiamo il nostro disprezzo. Tutte le volte in cui
fummo esposti a sentire o a vedere un oggetto sgradevole, si compirono atti di questo genere, i quali
perciò divennero abituali, si resero fissi, ed ora rinnovansi sotto l'impero di ogni analogo stato
dell'animo.
202
()
De la Physionomie et de la Parole, 1865, p. 89.
203
()
Physionomie humaine. Album, leggenda VIII, p. 35. - GRATIOLET (De la Phys., 1865, p. 52) parla anche
dell'atto che consiste nel distorre gli occhi ed il corpo.
204
()
Il dott. W. OGLE, in una interessante Memoria sul senso dell'odorato (Medico-Chirurgical Transactions, Vol.
LIII, p. 268), dimostra che, volendo gustare un profumo, non immettiamo l'aria per il naso profondamente, ma con
piccole inspirazioni, rapide e ripetute. Se «durante questo tempo si osservano le narici, si vedrà che, ben lungi dal
dilatarsi, si contraggono a ciascuna aspirazione. La contrazione poi non si estende a tutta l'apertura delle narici, ma
solamente alla porzione posteriore». Poscia quest'autore spiega la causa di tal movimento. - All'incontro, quando
vogliamo evitare un odore, la contrazione, mi pare, non interessa che la parte anteriore.
205
()
Mimik und Physiognomik, p. 84-93. - GRATIOLET (ibid., p. 155) è quasi d'accordo col dottor Piderit
relativamente all'espressione del disprezzo e del disgusto.
206
()
L'alterigia implica una dose considerevole di spregio; e secondo il sig. WEDGWOOD (Dict. of English
Etymology, vol. III, p. 125), una delle radici della parola alterigia (scorn) significa lordura o fango. Una persona che si
tratta con alterigia è tenuta qual fango.
Anche altri piccoli gesti singolari esprimono il disprezzo: citerò quello che consiste nel far
chioccare le dita. Secondo l'osservazione del signor Tylor
(
207
)
: «non è molto facile comprendere
questo atto, tal quale abitualmente si osserva; ma bisogna riflettere che questo stesso movimento,
eseguito con ogni delicatezza, come se si trattasse di rotolare fra l'indice e il pollice qualche oggetto
minuto, o di lanciarlo lontano colle medesime dita, costituisce pei sordo-muti un gesto comunissimo
e perfettamente compreso, che vuol indicare qualche cosa di piccolo, di insignificante, di
spregevole; sembra quindi che noi abbiamo semplicemente esagerato e reso convenzionale un atto
del tutto naturale, al punto da perdere affatto di vista il suo primitivo significato. Una curiosa
menzione di questo gesto si rinviene in Strabone». Il signor Washington Matthews m'apprende che
gl'Indiani Dakota, dell'America settentrionale, esprimono il disprezzo non solo con movimenti della
faccia, ma eziandio «avvicinando dapprima al petto la mano chiusa, poi stendendo bruscamente
l'avambraccio, aprendo la mano e scostando l'uno dall'altro le dita. Che se l'individuo che provoca
questo disprezzo è presente, la mano si porta verso di lui, mentre qualche volta se ne distoglie il
capo». Questa maniera di lanciare vivamente le braccia aprendo la mano indica forse l'idea di lasciar
cadere o di respingere qualche oggetto senza valore.
La parola disgusto, nel più stretto significato, si applica ad ogni sensazione che offende il
senso del gusto. È curioso vedere come questo sentimento venga provocato facilmente da tutto
quello che si scosta dalle nostre abitudini, sia nell'aspetto, nell'odore o nella natura del cibo. Alla
Terra del Fuoco, un indigeno, avendo toccato col dito un pezzo di carne fredda conservata ch'io
stavo per mangiare al bivacco, manifestò il massimo disgusto sentendone la pastosità; mentre io dal
mio canto provai un vivo disgusto al vedere che un selvaggio portava le mani sul mio nutrimento,
quantunque non mi sembrassero sporche. Una barba imbrattata di broda ci riesce stomachevole,
sebbene la broda in se stessa abbia nulla di disgustoso. Io credo che questo fenomeno risulti dalla
potente associazione ch'esiste nell'animo nostro tra la vista del cibo in qualunque circostanza e l'idea
di mangiare questo cibo.
Giacchè la sensazione di disgusto deriva primitivamente dall'atto di mangiare o di gustare, è
naturale che la sua espressione sarà principalmente determinata da movimenti della bocca. Ma
siccome il disgusto provoca anche della contrarietà, così questi movimenti sono di solito
accompagnati dall'aggrottamento dei sopraccigli, e spesse volte da gesti destinati a respingere
l'oggetto che lo determina od a schermirsi dal suo contatto. Nelle due fotografie rappresentate alla
Tavola V (fig. 2 e 3), il signor Rejlander ha tentato, con qualche successo, di riprodurre questa
espressione. Sul volto, il disgusto, quando è moderato, si manifesta in diverse maniere: si spalanca
la bocca, come per gettar fuori il boccone che ha offeso il senso del gusto, si sputa, si soffia
sporgendo le labbra; e si produce una specie di rastiamento della gola. Questo suono gutturale può
esprimersi con ah o euh. La sua emissione è talvolta accompagnata da un brivido, mentre le braccia
si stringono al petto e le spalle sollevansi, come nell'espressione dell'orrore
(
208
)
. Un sommo disgusto
vien espresso con movimenti boccali simili a quelli che precedono il vomito. La bocca si spalanca
affatto, il labbro superiore si contrae energicamente, le porzioni laterali del naso s'increspano, il
labbro inferiore s'abbassa e s'arrovescia quanto è possibile. Quest'ultimo movimento esige la
contrazione dei muscoli che tirano in basso gli angoli della bocca
(
209
)
.
È notevole la facilità con cui certe persone, solo all'idea di prendere un cibo inusato, di
mangiare, per esempio, la carne d'un animale che non si adopera per consueto alimento, soffrono
immediatamente nausee o vomiti, anche quando questo cibo nulla contiene che possa produrre
alterazione allo stomaco. Quando il vomito risulta, come atto riflesso, da qualche causa materiale,
un disordine, l'ingerimento d'una vivanda guasta, d'un emetico, non si produce sul punto, ma di
solito avviene dopo un notevole intervallo di tempo. E per ispiegare come la nausea od anche il
vomito possano immediatamente succedere alla semplice percezione d'una idea, è lecito supporre
che i nostri antichi progenitori abbiano dovuto possedere, al pari dei ruminanti e di parecchi altri
207
()
Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 45.
208
()
Veggasi, su questo fenomeno, HENSLEIGH WEDGWOOD, Dictionary of English Etymology, introduzione,
seconda ediz., 1872, p. XXXVII.
209
()
Il dottore Duchenne crede che nel rovesciamento del labbro inferiore, le commessure sieno abbassate dai
depressores anguli oris. HENLE al contrario ritiene che quest'ufficio sia disimpegnato dal quadrato del mento
(Handbuch d. Anat. des Menschen, 1858, vol. I, p. 151).
animali, la facoltà di rigurgitare volontariamente il nutrimento che tornava loro d'incomodo. Al
d'oggi questa facoltà non è più sottomessa all'azione della volontà, ma, per effetto d'una inveterata
abitudine, si riproduce involontariamente tutte le volte in cui lo spirito si ribella all'idea di prendere
questo o quel cibo, o più in generale tutte le volte ch'esso si trova dinanzi a qualche oggetto che
inspira disgusto. Tale opinione è confermata da un fatto attestatomi dal signor Sutton: le scimie del
Giardino zoologico, benchè affatto sane, vomitano spesso, proprio come se questo atto dipendesse
dalla loro volontà. Si comprende d'altra parte che, potendo l'uomo insegnare, per mezzo del
linguaggio, ai suoi figli ed ai propri simili da quali cibi si debba astenersi, poche sarebbero le
occasioni da mettere a profitto questa facoltà di volontaria espulsione; quindi ne viene ch'essa
dovette disparire man mano per non-uso.
Il senso dell'odorato sta in intimo nesso con quello del gusto. Non di rado si vede che in certe
persone un odore molto cattivo, al pari dell'idea d'un cibo ributtante, provoca nausea e vomito, e che
per conseguenza un odore moderatamente sgradevole suscita le diverse manifestazioni che
esprimono il disgusto. In sul principio la disposizione alla nausea provocata da un fetido odore si
aumenta in modo curioso; ma poi disparisce, perchè se n'è presa l'abitudine, ed anche perchè la
volontà vi esercita un'influenza repressiva. Io mi ricordo, per esempio, d'aver voluto un giorno
apparecchiare uno scheletro d'uccello, non ancora macerato a sufficienza; l'odore ch'esso spandeva
provocò al mio assistente ed a me stesso, molto poco abituati a tali operazioni, una nausea tanto
violenta, che fummo obbligati a lasciar lì. Nei giorni avanti avevo esaminato alcuni altri scheletri,
il loro leggiero odore m'avea punto impressionato; ma da quel momento, per parecchi non mi
fu possibile maneggiare quei medesimi scheletri senza sentirmi subito sconvolto lo stomaco.
Dalle informazioni avute dai miei corrispondenti, sembra che i diversi movimenti descritti
come espressivi del disprezzo e del disgusto sieno identici in una gran parte del mondo. Il dottor
Rothrock, ad esempio, risponde proprio affermativamente alle mie domande su questo argomento,
per quanto riguarda alcune tri indiane selvaggie dell'America del Nord. Crantz racconta che,
quando un Groenlandese rifiuta qualche cosa con disprezzo o con orrore, alza il naso e ne fa uscire
un debole suono. Il signor Scott m'inviò una pittoresca descrizione della fisonomia d'un giovane
Indù, al vedere dell'olio di castoro che gli si voleva far trangugiare
(
210
)
. Il sig. Scott ha pure osservata
la stessa espressione sul volto di indigeni d'una classe elevata, quando si avvicinavano a qualche
sucido oggetto. Il Bridges dice che i naturali della Terra del Fuoco «esprimono il disprezzo
sporgendo la labbra, fischiando e rialzando il naso». Molti fra i miei corrispondenti notano la
tendenza a soffiar per il naso, o ad emettere un suono più o meno analogo ad euh od ah.
Sembra che il disprezzo o il disgusto si esprimano quasi dovunque coll'atto di sputare, il quale
rappresenta evidentemente l'espulsione dalla bocca di qualche oggetto ributtante. Shakspeare fa dire
al duca di Norfolk: «Io gli sputo addosso: ei non è che un infame e miserabile calunniatore». In altro
luogo, Falstaff dice: «Hal, se in quel che ti dico c'è l'ombra d'una menzogna, sputami in faccia».
Leichhardt fa osservare che gli Australiesi «probabilmente per esprimere il loro disgusto,
interrompevano i discorsi, sputando ed emettendo un suono somigliante a puh! puh!» Il capitano
Burton parla di certi negri che «sputavano in terra con disgusto»
(
211
)
. Il capitano Speedy mi notifica
che lo stesso fatto si osserva negli Abissini. Secondo il signor Geach, nei Malesi di Malacca, il
disgusto «si esprime sputando»; e, a dire del sig. Bridges, presso gl'indigeni della Terra del Fuoco,
«il segno più caratteristico del disprezzo per un individuo consiste nello sputargli addosso».
Non ho mai osservato l'espressione del disgusto tanto significante come in un mio figliuoletto
di cinque mesi, quando per la prima volta gli si pose in bocca un po' d'acqua fredda, e un mese
dopo, un pezzetto di ciliegia matura. Le labbra e la bocca tutta assunsero una forma che doveva far
colare il contenuto o lasciarlo immediatamente cascare; nello stesso tempo la lingua si portava in
avanti. Codesti movimenti erano accompagnati da un leggiero fremito. Ed ella era cosa tanto più
comica, in quanto che io dubito che il bambino provasse in fatto del disgusto, perocchè gli occhi
esprimevano ad un alto grado sorpresa e riflessione. Lo sporger della lingua per lasciar cadere dalla
bocca un oggetto ripugnante può spiegare perchè dappertutto si avanzi la lingua in segno di sprezzo
e di odio
(
212
)
.
210
()
Citato da TYLOR, Primitive culture, 1871, p. 169.
211
()
Queste due citazioni sono riprodotte dal signor il. WEDGWOOD, On the Origin of Language, 1866, p. 75.
212
()
Questo fatto è asserito dal sig. TYLOR (Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 52); egli poi
Così, per quanto vedemmo, lo sdegno, il disprezzo e il disgusto sono espressi in molte
maniere, da speciali movenze dei lineamenti e da parecchi gesti; gesti e movenze comuni a tutte le
parti del mondo. Consistono tutti in atti che rappresentano l'espulsione o il rigettamento di qualche
oggetto materiale che ci repugnerebbe, senza però eccitare in noi verun'altra energica emozione,
quali sarieno la rabbia o il terrore; in virtù della forza dell'abitudine e dell'associazione, codesti atti
sono eseguiti tutte le volte in cui nell'animo nostro avvengono sensazioni di simil genere.
Gelosia, Invidia, Avarizia, Rancore, Sospetto, Perfidia, Astuzia, Colpevolezza, Vanità,
Ambizione, Orgoglio, Umiltà, ecc. - La maggior parte dei sentimenti ora citati non hanno, a dir vero,
una determinata espressione, abbastanza distinta da poter essere descritta o delineata. Quando
Shakspeare disse: l'Invidia dallo scarno volto, la nera o la pallida Invidia, - la Gelosia, mostro
dagli occhi verdi; - quando Spencer applicò al Sospetto gli epiteti di sporco, deforme, arcigno, l'uno
e l'altro degli autori dovettero certo conoscere questa difficoltà. Tuttavia codesti sentimenti, almeno
la maggior parte, possono dedursi dallo sguardo; ma in molti casi noi ci lasciamo guidare anzitutto,
e ben più di quello che nol pensiamo, dall'anteriore conoscenza delle persone o delle circostanze.
Possiamo noi riconoscere nelle diverse razze umane l'espressione della colpevolezza e
dell'astuzia? Quasi tutti i miei corrispondenti rispondono affermativamente a questa domanda; ed io
ritengo tanto più degne di fede le loro asserzioni, inquantochè in generale concordano nel dire che la
gelosia, per converso, non si manifesta con alcun segno visibile. Allorchè le osservazioni sono date
con qualche dettaglio, si tratta quasi sempre degli occhi. L'uomo colpevole evita lo sguardo del
proprio accusatore, ed egli stesso lancia occhiate furtive. Gli occhi sono diretti «obliquamente», o
meglio, «vagano da una parte all'altra», o, per dir meglio ancora, «le palpebre sono abbassate e
semichiuse». Quest'ultima osservazione fu fatta dal signor Hagenauer su certi Australiesi, e da
Gaika su Cafri. Come vedremo trattando della vergogna, il moversi incessante degli occhi risulta
probabilmente dal fatto che l'uomo colpevole non può sopportare lo sguardo del suo accusatore. Io
posso aggiungere d'aver osservata l'espressione della colpevolezza, senza ombra di paura, in alcuni
dei miei figliuoli di un'età assai precoce. Una volta, per esempio, ho visto questa espressione
spiccatissima in un fanciullo di due anni e sette mesi, e fu per essa che riuscii a scoprire il piccolo
fallo di lui. Esaminando le mie note di quell'epoca, trovo che la si manifestava con un insolito
risplendere degli occhi e con uno strano ed affettato atteggiamento che torna vano descrivere.
Quanto all'astuzia, ritengo che essa pure sia espressa principalmente da movenze degli occhi o
dei tegumenti che vi stanno vicini; infatti questi movimenti, a paragone di quelli del corpo, sono
meno sottomessi al controllo della volontà, mercè l'influenza della lunga abitudine. «Quando noi
desideriamo, dice il signor Herbert Spencer
(
213
)
, di guadagnare qualche cosa in una data parte del
campo visuale, senza darlo a divedere, cerchiamo di impedire l'inclinazione della testa che potrebbe
tradirci, e di eseguire il necessario movimento solo cogli occhi, i quali devono quindi assumere una
direzione laterale molto spiccata. Anche, quando giriamo a destra e a sinistra gli occhi, senza che la
faccia ne accompagni le movenze, la nostra fisionomia assume l'espressione dell'astuzia».
Fra tutti i complessi sentimenti su accennati, l'orgoglio è forse quello che si esprime nella più
decisa maniera. Un orgoglioso palesa il proprio sentimento di superiorità sugli altri raddrizzando la
testa ed il corpo tutto. Egli è borioso, e vuol apparire più grande che sia possibile; metaforicamente
anche si dice ch'è pieno o gonfio d'orgoglio. Un pavone od un tacchino, che colle piume spiegate
incede pomposo, è considerato talvolta come l'emblema dell'orgoglio
(
214
)
. L'uomo arrogante squadra
gli altri dall'alto, e, colle palpebre abbassate, gli degna appena d'uno sguardo; oppure palesa il suo
disprezzo con leggieri movimenti delle narici o delle labbra, analoghi a quelli descritti più in su.
Anche il muscolo che arrovescia il labbro inferiore. ricevette il nome di musculus superbus. Su
alcune fotografie di uomini affetti della monomanìa della superbia e che io devo al dottor Crichton
Browne, si veggono la testa ed il corpo irrigiditi e strettamente chiusa la bocca. Io credo che
quest'ultimo gesto, ch'esprime la decisione, risulti dall'assoluta fiducia in se stesso che l'orgoglio
possiede. Il complesso della espressione dell'orgoglio è perfettamente in antitesi con quella
dell'umiltà; e qui non è necessario di intrattenerci più oltre su quest'ultimo stato dell'animo.
aggiunge: «L'origine di questo movimento non è chiara».
213
()
Principles of Psychology, seconda ediz., 1872, p. 552.
214
()
GRATIOLET (De la Phys., p. 351) fa questa osservazione, ed offre alcune buone note sulla espressione
dell'orgoglio. - Veggasi sir C. BELL (Anatomy of Expression, p. 111) a proposito dell'azione del musculus superbus.
Rassegnazione, Impotenza, Stringimento di spalle. - Spesse volte, allorchè un uomo vuol
esprimere che non può far una cosa, o impedirne un'altra, rialza, con un rapido movimento, le
spalle. Nello stesso tempo, per compiere la posa, tenendo le braccia piegate, porta i gomiti in dentro;
alza le mani aperte e le gira all'infuori, staccando l'un dall'altro le dita. Di spesso la testa si reclina
alquanto da un lato; le sopracciglia si sollevano, onde ne vengono alcune rughe trasversali sul
fronte, e per solito s'apre anche la bocca. Queste varie movenze sono affatto incoscienti; ei
m'accadde non di rado di rialzare volontariamente le spalle per osservare la posizione delle braccia,
senza pure pensare che le mie sopracciglia si alzassero ed aprissi nello stesso tempo la bocca. Sol
me n'avvidi quando ricorsi allo specchio, e da quel punto osservai questi movimenti medesimi sul
volto altrui. Nella Tavola VI, fig. 3 e 4, il signor Rejlander ha felicemente riprodotto il gesto del
sollevare le spalle.
Gl'Inglesi sono meno espressivi di molte altre nazioni europee, ed essi rialzano le spalle molto
più di raro e con meno energia, che no 'l facciano i Francesi o gl'Italiani. D'altra parte, questo gesto
varia dal complesso movimento su esposto fino ad una elevazione rapida e quasi impercettibile
delle due spalle, oppure (come ebbi agio di osservare in una signora seduta sur una poltroncina) sino
ad un semplice e leggerissimo moto all'infuori delle mani aperte colle dita disgiunte. Non vidi mai i
fanciulli inglesi assai giovani alzar le spalle. Tuttavia il caso che segue fu accuratamente notato da
un professore di medicina, abile osservatore, che me lo volle comunicare. Il padre del gentiluomo in
quistione era parigino; scozzese la madre. Sua moglie discendeva da genitori inglesi; ed il mio
corrispondente ritiene ch'ella in tutta la vita non abbia mai alzate le spalle. I suoi figli furono allevati
in Inghilterra, e la nutrice è un'Inglese puro sangue, cui nessuno vide giammai a sollevare le spalle.
Ora, si osservò questo gesto nella sua figlia primogenita, tra sedici e diciotto mesi; onde la madre
ebbe a sclamare: «Guardate mo' questa piccola Francese, che solleva le spalle!» In sul principio
l'atto si ripetè di frequente; nello stesso tempo la fanciulla rovesciava talvolta la testa alquanto
all'indietro e da un lato; ma non s'ebbe mai a vedere ch'ella movesse i gomiti e le mani nel modo
ordinario. Grado grado quest'abitudine disparve; e la ragazzina, che oggi conta più di quattr'anni,
l'ha completamente perduta. Il padre alzava qualche volta le spalle, in ispecie quando discuteva con
taluno; ma è molto improbabile che la sua figliuoletta, ad un'età precoce, operasse per imitazione,
poichè ella ben di rado avea potuto vederlo a fare quel gesto. Per giunta, se fosse stata veramente
l'imitazione a farle acquistare quell'abitudine, ben difficilmente la fanciulla l'avrebbe
spontaneamente perduta, mentre il padre continuava a vivere in famiglia. Dal canto mio, posso
aggiungere che codesta bambina riproduce in maniera molto strana i lineamenti del nonno. Presenta
pure con lui un'altra curiosa rassomiglianza, che consiste in un ticchio comune: quando desidera
qualche cosa con impazienza, gira in fuori la sua manina e batte rapidamente il pollice contro
l'indice e il medio. In analoghe circostanze suo nonno eseguiva spesse volte il medesimo gesto.
Anche la seconda figliuola dello stesso gentiluomo, fino all'età di otto mesi, alzava le spalle,
ma poscia ne lasciò l'abitudine. Può essere che questa abbia imitata la sorella primogenita; per altro
ella continuò anche dopo che l'altra aveva cessato. Rassomigliava meno all'avo parigino che non la
sorella alla medesima età; ma presentemente gli si assomiglia molto. A manifestare la propria
impazienza, usa pur essa di battere il pollice contro due delle altre dita.
In questo fatto noi troviamo un buon esempio della trasmissione ereditaria d'un ghiribizzo o
d'un gesto, simile a quelli offerti in uno dei precedenti capitoli; imperocchè nessuno, io credo, vorrà
attribuire ad una semplice coincidenza la comunanza di un'abitudine così particolare ad un nonno e
a due nipoti di lui, che non l'aveano mai visto.
Se si considerano tutte le circostanze della precedente osservazione, bisogna assolutamente
ammettere che queste fanciulle abbiano ereditata l'abitudine di rialzare le spalle dai loro parenti
francesi, quantunque avessero nelle vene solo un quarto di sangue francese, ed il gesto non fosse
molto frequente nel nonno. Certamente codesto fatto è interessante; non però molto straordinario,
chè in molte specie di animali, i piccoli conservano per un tempo più o meno lungo certi caratteri, i
quali più tardi spariscono.
Mi pareva assai poco probabile che un gesto tanto complesso com'è quello del sollevare le
spalle cogli svariati movimenti che l'accompagnano, potesse essere innato. Onde mi pungeva
vaghezza di conoscere se lo eseguisse Laura Bridgman, che, cieca e sorda, non poteva certo averlo
appreso per via d'imitazione. E, col mezzo del dottor Innes, seppi da una donna, la quale aveva
recentemente prestate le sue cure a questa infelice, ch'essa alzava le spalle, girava i gomiti in dentro,
e sollevava le sopracciglia, come tutti lo fanno, e nelle circostanze medesime. Bramavo eziandio
d'imparare se quest'atto esistesse nelle diverse razze umane, e particolarmente in quelle che non
ebbero mai relazione cogli Europei. E vedremo che è proprio così; solamente, ei pare che si riduca
talvolta ad una semplice elevazione delle spalle, senza essere accompagnata dagli altri movimenti su
esposti.
A Calcutta, il signor Scott constatò di frequente l'atto di alzare le spalle nei Bengalesi e nei
Dangar (questi ultimi appartengono ad una razza distinta), che sono impiegati al Giardino botanico;
quando, per esempio, dichiaravano che era loro impossibile di eseguire qualche lavoro, di sollevare
qualche peso troppo grave. Un giorno diede l'ordine ad un Bengalese di arrampicarsi sovra un alto
albero; questi, alzando le spalle e piegando bruscamente la testa da un lato, rispose che non n'era
capace; e siccome il signor Scott, persuaso che codesta era una menzogna inspirata dalla pigrizia,
insisteva affinchè si provasse, il viso del Bengalese impallidì, le braccia gli caddero penzoloni, la
bocca e gli occhi si spalancarono, misurando tutta l'altezza dell'albero, gettò una torva occhiata al
signor Scott, alzò le spalle, rovesciò i gomiti, stese aperte le mani, fece alcuni piccoli movimenti
laterali della testa, e dichiarò che non poteva obbedire. Il signor H. Erskine osservò che anche gli
indigeni Indiani alzavano le spalle, ma non li vide giammai a girare in dentro i gomiti in una
maniera così spiccata come avviene da noi; essi, quando eseguiscono quest'atto, applicano qualche
volta le mani sul petto, senza incrociarle.
Il signor Geach notò spesso il gesto in questione presso i Malesi selvaggi dell'interno di
Malacca e presso i Bugi, che sono veri Malesi, benchè parlino una lingua diversa. Io credo poi che
lo eseguiscano completamente, perchè nella sua risposta alle mie domande ed alle mie descrizioni
sui movimenti delle spalle, delle braccia, delle mani e del viso, il signor Geach constata che tali
movenze «si compiono in maniera notevole». Ho smarrito un estratto di un viaggio scientifico, nel
quale il sollevamento delle spalle era perfettamente descritto in relazione a certi indigeni
(Micronesiani) dell'Arcipelago della Carolina, nell'Oceano Pacifico. Il capitano Speedy mi apprende
che gli Abissini alzano le spalle, ma non entra in altri dettagli. La signora Asa Gray vide in
Alessandria un dragomanno arabo comportarsi proprio secondo la descrizione da me fatta nelle mie
inchieste, nel momento in cui un vecchio gentiluomo ricusò di camminare nella precisa direzione
che gli era stata indicata.
Il signor Washington Matthews, parlando delle tribù indiane selvaggie delle regioni
occidentali degli Stati Uniti, mi scrive: «In alcune rare occasioni ho riscontrato degli uomini che in
segno d'impotenza mostravano un leggero sollevamento delle spalle, ma nulla ho giammai
constatato che risponda al resto della vostra descrizione». Fritz Müller mi riferisce di aver visto nel
Brasile i negri ad alzare le spalle; ma può essere che abbiano appreso questo gesto imitando i
Portoghesi. La signora Barber osservò nulla di simile nei Cafri del Sud dell'Africa; Gaika, a
giudicare dalla sua risposta, non ha pure compreso ciò che esprimesse la mia descrizione. Il signor
Swinhoe è incerto riguardo ai Cinesi; peraltro, in quelle circostanze per le quali noi avremmo alzate
le spalle, ei li vide premere al fianco il gomito destro, sollevare le sopracciglia, portare in alto le
mani girando la palma verso l'interlocutore, e scuoterla da destra a sinistra. Infine, relativamente agli
Australiesi, quattro de' miei corrispondenti mi rispondono con una semplice negazione, ed un solo
affermando, senz'altro. Il signor Bunnett, al quale si offersero occasioni molto propizie di
osservazioni sui confini della colonia di Victoria, risponde così: «Sì», aggiungendo peraltro che
l'atto in questione si eseguisce «in una maniera più indecisa e meno espressiva che non nelle nazioni
civilizzate». Circostanza codesta, la quale forse spiega perchè quattro de' miei corrispondenti non
l'abbiano saputo trovare.
I precedenti documenti, relativi agli Europei, agli Indù, alle tribù selvaggie dell'India, ai
Malesi, ai Micronesiani, agli Abissini, agli Arabi, ai Negri, agli Indiani dell'America settentrionale,
e probabilmente agli Australiesi - razze di cui la maggior parte non ebbe quasi relazione veruna
cogli Europei, - questi documenti, dico, bastano a dimostrare che il sollevamento delle spalle,
accompagnato in certi casi da altre speciali movenze, è un gesto naturale alla specie umana.
Questo gesto esprime la costatazione di un fatto che noi non abbiamo voluto, che non
abbiamo potuto evitare, od anche della nostra impotenza a compiere una data azione o ad impedire
un'altra persona di eseguirla. E contemporaneamente si dice quel che segue o qualche cosa di simile:
«Non ce n'ho colpa; - mi è impossibile di accordare questo favore; - ch'ei segua pure la sua via: io
nol posso arrestare». Il sollevamento delle spalle esprime pure la pazienza, o la nessuna idea di
resistere. Gli è perciò che i muscoli che sollevano le spalle si chiamano talvolta, come mi ha detto
un artista, «muscoli della pazienza». L'ebreo Shylock dice:
«O mio signor Antonio, molto e spesso
Voi m'avete in Rialto vilipeso,
Pel mio danar, per l'interessi miei,
Paziente fui, mi strinsi nelle spalle».
Il mercante di Venezia (atto I, scena terza).
Sir Carlo Bell pubblicò
(
215
)
una figura di stupenda naturalezza, ove vedesi un uomo che rincula
davanti a qualche terribile pericolo e sta per gridar di terrore. Le spalle si sollevano fin quasi alle
orecchie, il che dinota senz'altro la nessuna idea di resistere.
Se in generale l'alzare delle spalle vuol dire: «Non posso far questo o quello», con una
leggiera modificazione significa: «Io non voglio farlo». Il movimento indica allora una ferma
determinazione di non operare. Olmsted
(
216
)
racconta che un indiano del Texas alzò vigorosamente
le spalle sentendo che una truppa d'uomini era composta di Tedeschi e non d'Americani, volendo
dire così ch'egli nulla avrebbe a fare con essi. In un fanciullo malcreato e caparbio possiamo vedere
ambe le spalle vivamente rialzate; ma questo gesto non è associato alle altre movenze che di solito
accompagnano il vero sollevamento. Un romanziere, abilissimo osservatore
(
217
)
, descrivendo un
giovane deciso a non cedere ai desiderii del padre, dice: «Jack cacciò con forza le mani nelle
saccoccie, ed alzò le spalle fino alle orecchie, modo bellissimo per indicare che, a torto od a ragione,
egli sarebbe inflessibile al pari di una rupe, e che tornerebbe vana ogni rimostranza in proposito».
Appena il figliuolo ottenne il voler suo, «ritornò colle spalle alla posizione naturale».
Qualche volta la rassegnazione si esprime collocando sulla parte inferiore del corpo le mani
aperte, una sopra l'altra. Io non avrei creduto necessario di notare questo gesto poco importante, se il
dottor W. Ogle non mi avesse detto di averlo osservato due o tre volte su certi malati ch'ei si
accingeva ad anestetizzare col cloroformio prima di operare su loro. Mostravano poca paura; e con
quella posizione delle mani, pareva dicessero che avevano tranquillo lo spirito e che erano
rassegnati a subire ciò che non potevano evitare.
Ora chiediamoci perchè, in tutte le parti del mondo, l'uomo che sente di non potere o di non
voler fare una cosa, o di non opporsi ad una cosa fatta da un altro - sia ch'ei voglia manifestare
questo sentimento o no - alza le spalle, piega i gomiti in dentro, presenta il palmo della mano,
disgiunge le dita, inclina sovente la testa alquanto da un lato, solleva le sopracciglia ed apre la
bocca. Fra questi stati dell'animo, gli uni sono semplicemente passivi, gli altri al contrario
esprimono una determinazione di non operare. Nessuno dei movimenti su esposti porta il ben che
minimo giovamento. Non v'ha dubbio: la spiegazione si deve cercare nel principio dell'antitesi
incosciente. Ei sembra che qui tale principio entri in giuoco in una maniera tanto evidente come nel
caso di un cane, il quale, ringhioso, assume la posa conveniente ad attaccare e a darsi l'aspetto più
formidabile, e, sottomesso ed affettuoso, imprime a tutto il suo corpo un atteggiamento affatto
diverso, benchè questo non gli riesca di veruna utilità. Osservate come un uomo adirato, cui punge
vivamente un'offesa e la rigetta, erge la testa, quadra le spalle e solleva il petto. Spesse volte stringe
i pugni, e contraendo i muscoli tutti, prende con un braccio o con amendue la posizione richiesta per
assalire o difendersi. Aggrotta le sopracciglia, cioè le contrae e le abbassa, e, preso un partito,
stringe le labbra. I gesti e l'atteggiamento di un uomo impotente e rassegnato sono, sotto ogni punto
di vista, rigorosamente inversi. Nella Tavola VI, una delle figure del lato sinistro par che dica: «Che
pretendete voi insultandomi?» - mentre una di quelle che stanno a man destra sembra dire: «Io
proprio non poteva impedirlo». L'uomo impotente contrae, senza averne coscienza, i muscoli del
fronte, antagonisti a quelli che determinano l'aggrottamento dei sopraccigli, e così li rialza; nel
medesimo tempo si rilasciano i muscoli attorno alla bocca, onde la mascella inferiore s'abbassa.
215
()
Anatomy of Expression, p. 166.
216
()
Journey through Texas, p. 352.
217
()
Madama OLIPHANT, The Brownlows, vol. II, p. 206.
L'antitesi è completa sotto ogni riguardo, non solo nelle movenze dei lineamenti, ma
eziandio nella posizione delle braccia e nell'atteggiamento di tutto il corpo: lo si può osservare nella
Tavola qui annessa. Siccome l'uomo che non ha più speranza od è impotente desidera spesse volte
di palesare lo stato dell'animo suo, così in tali casi ei si comporta in maniera manifesta od
espressiva.
Vedemmo che lo sdegno o l'aggressione non si esprimono in tutti gl'individui di tutte le razze
coll'allontanamento dei gomiti e collo stringere dei pugni; così pure, in varie parti del mondo, si
osserva che l'uomo sconfortato o impotente palesa questi suoi sentimenti alzando semplicemente le
spalle, senza aprire le mani e senza girare i gomiti in dentro. L'uomo, o il fanciullo ostinato o
rassegnato a qualche grave sciagura, non pensa giammai di opporre viva resistenza; egli mostra lo
stato dell'animo suo solamente tenendo sollevate le spalle e incrocicchiando talora le braccia sul
petto.
Segni di affermazione o di approvazione, di negazione o di biasimo; atti di piegare e di
scuotere la testa. - Ero curioso di sapere fino a qual punto i segni, che noi usiamo di solito per
indicare l'affermazione e la negazione, si riscontrassero nelle varie parti del mondo. Fino ad un certo
grado, questi segni esprimono i nostri sentimenti: dinanzi ai nostri figliuoli, quando vogliamo
approvare la loro condotta, pieghiamo, sorridendo, il capo dall'alto al basso; biasimandola, invece,
lo crolliamo da un lato a quell'altro. Nel bambino, il primo atto di rifiuto consiste nel ricusare il
nutrimento che gli viene offerto; ora, io osservai ben molte volte sui miei propri figliuoli, ch'essi lo
eseguivano allontanando lateralmente la testa dalla mammella o da qualunque cibo che fosse loro
presentato in un cucchiaio. Quando all'incontro gradiscono il nutrimento e lo ricevono in bocca,
piegano il capo in avanti. Dopo aver fatte codeste osservazioni, seppi che Charma aveva avuto la
medesima idea
(
218
)
. È notevole il fatto che, accettando o prendendo il cibo, si determina unicamente
un movimento in avanti, e che l'affermazione si esprime pur essa con una semplice inclinazione del
capo. Per converso, il fanciullo che rifiuta l'alimento offertogli, specialmente quando s'insiste,
spesso rimuove la testa da una parte all'altra: il gesto preciso che facciamo anche noi quando
neghiamo. avviene di raro che si esprima il rifiuto ripiegando la testa all'indietro, o, ancora,
chiudendo ermeticamente la bocca; per lo che questi movimenti possono servire come segni di
negazione. Su tale argomento, il signor Wedgwood fa osservare che «l'azione degli organi vocali,
quando i denti o le labbra sono stretti, produce il suono delle lettere n od m. Questo fatto può
spiegare l'uso della particella non per indicare il diniego, e forse anche quello del greco,
adoperato al medesimo scopo»
(
219
)
.
Questi segni, almeno negli Anglo-Sassoni, sono innati o istintivi; se non altro, ciò pare quasi
dimostrato dall'esempio della cieca e sorda Laura Bridgman, «la quale accompagna costantemente il
suo colla ordinaria inclinazione affermativa del capo, ed il no con quel ripetuto movimento della
testa, che in noi caratterizza la negazione». Se il signor Lieber non avesse dimostrato il contrario
(
220
)
,
io, considerando la prodigiosa esattezza ond'ella apprezzava col tatto le movenze altrui, avrei
creduto che avesse potuto acquistare questi gesti od apprenderli. Come si sa, gli idioti microcefali
sono così degradati, che non imparano mai a parlare; ora, Vogt racconta
(
221
)
che uno di loro,
interrogato se volesse ancora mangiare o bere, rispondeva inchinando la testa o crollandola. Nella
sua dotta dissertazione sulla educazione dei sordo-muti e dei fanciulli quasi idioti, Schmalz
asserisce che gli uni e gli altri possono sempre comprendere ed eseguire i segni ordinari di
affermazione e di negazione
(
222
)
.
Se ora passiamo a considerare le varie razze umane, riconosciamo che questi modi non sono
così universalmente impiegati, come avremmo potuto credere; nullameno essi hanno un'estensione
troppo generale, perchè sia lecito di considerarli come affatto convenzionali o artificiali. I miei
corrispondenti asseriscono che i due gesti in questione sono in uso presso i Malesi, gl'indigeni di
Ceylan, i Cinesi e i Negri della costa di Guinea; Gaika li ebbe ad osservare nei Cafri del sud
218
()
Essai sur le Langage, seconda ediz., 1846. Devo i miei ringraziamenti a miss Wedgwood, che m'ha dato questo
ragguaglio, insieme ad un'analisi dell'opera in questione.
219
()
On the Origin of Language, 1866, p. 91.
220
()
On the vocal Sounds of L. Bridgman. Smithsonian Contributions, 1851, vol. II, p. 11.
221
()
Mémoire sur le Microcéphales, 1867, p. 27.
222
()
Citato da TYLOR, Early history of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 38.
dell'Africa; peraltro la signora Barber non riuscì mai a vedere che quest'ultimo popolo adoperasse,
per negare, il ripetuto movimento laterale del capo. Quanto agli Australiesi, sette osservatori
concordano a dire ch'eglino usano della inclinazione per affermare; cinque di loro sono pure
d'accordo in riguardo al movimento di negazione, sia questo accompagnato o no dalla parola; ma il
sig. Dyson Lacy non ha mai notato quest'ultimo segno a Queensland, e il signor Bulmer dice che a
Gipp's Land, la negazione si esprime rovesciando leggermente la testa all'indietro e traendo la
lingua. All'estremità settentrionale del continente, vicino allo stretto di Torres, gl'indigeni,
«articolando una negazione, non crollano mai la testa, ma levano la mano destra e l'agitano
facendola girare due o tre volte in circolo»
(
223
)
. Sembra che i Greci moderni e i Turchi esprimano la
negazione rovesciando il capo all'indietro e facendo chioccare la lingua; e che i Turchi, affermando,
eseguiscano un movimento simile a quello che noi facciamo quando crolliamo la testa
(
224
)
. Il
capitano Speedy m'informa che gli Abissini manifestano la negazione piegando il capo sulla spalla
destra, e facendo, a bocca chiusa, lievemente scoppiettare la lingua; ed esprimono l'affermazione
rovesciando indietro la testa e sollevando rapidamente le sopracciglia. I Tagali di Luzon,
nell'Arcipelago delle Filippine, secondo quello che ho inteso dire al dottore Alfonso Meyer,
rovesciano parimenti il capo, alloraquando affermano. Sulla testimonianza del principe indiano
Brooke, i Dyak di Borneo esprimono l'affermazione rialzando le sopracciglia, e la negazione
contraendole lievemente, guardando in una maniera particolare. Il professore Asa Gray e sua moglie
dicono che gli Arabi del Nilo impiegano di rado l'inclinazione affermativa, e mai il movimento
laterale di negazione, del quale non comprendono nemmanco il significato. Negli Eschimesi
(
225
)
, il
viene espresso da un'inclinazione del capo, ed il no con un ammiccamento. Gl'indigeni della
Nuova Zelanda «in segno di assenso, levano, in luogo di abbassarli, la testa ed il mento»
(
226
)
.
In base agli studi fatti da parecchi Europei e da alcuni osservatori indigeni sovra gl'Indù, il sig.
H. Erskine conclude che in questi i segni affermativi e negativi vanno soggetti a variazioni. Talvolta
sono identici ai nostri; ma più d'ordinario la negazione si esprime rovesciando bruscamente la testa
all'indietro e alquanto di fianco, e facendo chioccare la lingua; io so proprio indovinare il
significato di tale scoppiettio, che del resto fu osservato in diverse nazioni. Un osservatore indigeno
pretende che l'affermazione spesse volte si esprima portando a sinistra la testa. Il sig. Scott, che io
avevo pregato di rivolgere la sua speciale attenzione su questo argomento, dopo numerose
osservazioni, crede che gl'indigeni, per affermare, non impieghino ordinariamente una inclinazione
verticale, ma dapprima rovescino il capo a destra o a sinistra, e poi lo pieghino obliquamente in
avanti una sola volta. Un osservatore meno preciso avrebbe forse descritta questa movenza come
una semplice scossa laterale. Il sig. Scott stabilisce eziandio che nell'atto negativo il capo di solito è
mantenuto quasi ritto e scosso più volte di seguito.
Il sig. Bridges m'informa che i naturali della Terra del Fuoco, affermando, piegano al pari di
noi il capo dall'alto al basso, e negando, lo crollano da destra a sinistra. Secondo il sig. Washington
Matthews, gl'Indiani selvaggi dell'America settentrionale appresero questi due movimenti dagli
Europei; perocchè allo stato naturale non li posseggono. Essi esprimono l'affermazione «tenendo,
toltone l'indice, tutte le dita piegate, e descrivendo colla mano una linea curva in basso ed in fuori a
partire dal corpo; e la negazione portando all'infuori la mano aperta, col palmo rivolto in dentro». A
dire di altri osservatori, il segno dell'affermazione presso gl'Indiani consiste nell'alzare il dito indice,
per poi abbassarlo verso il suolo, od anche nel dondolare davanti al viso la mano, tenendola
verticale; i segno della negazione, invece, consiste nello scuotere il dito o tutta la mano da destra a
sinistra
(
227
)
. Quest'ultimo moto supplisce e rappresenta probabilmente il nostro movimento laterale
del capo. Si dice che anche gl'Italiani, per indicare il diniego, alzino il dito e lo crollino; moto, del
resto, che qualche volta si osserva pur negli Inglesi.
Somma fatta, noi constatiamo una notevole diversità nei segni dell'affermazione e della
negazione, secondo le differenti razze umane. Tuttavia, per quanto concerne all'atto negativo, se noi
223
()
J. B. JUKES, Letters and Extracts, ecc., 1871, p. 248.
224
()
F. LIEBER, On the Vocal Sounds, ecc., p. 11. - TYLOR, ibid., p. 53.
225
()
Dott. KING, Edinburgh Phil. Journal, 1845, p. 313.
226
()
TYLOR, Early History of Mankind, seconda ediz., 1870, p. 53.
227
()
LUBBOCK, The Origin of Civilization, 1870, p. 277. - TYLOR, ibid., p. 38. - LIEBER (ibid., p. 11) fa alcune
osservazioni sui segni negativi degl'Italiani.
supponiamo che le scosse impresse da destra a sinistra al dito o alla mano simboleggino il
movimento laterale del capo, e se ammettiamo che questa brusca movenza della testa rappresenti
pur ella uno degli atti spesso compiti dal bambino che rifiuta di mangiare, dobbiamo ammettere una
grande uniformità in tutto il mondo nella espressione del diniego, e nello stesso tempo possiamo
comprendere quale sia l'origine di questa espressione. Gli Arabi, gli Eschimesi, alcune tribù
dell'Australia ed i Dyak ci presentano le più spiccate eccezioni. Questi ultimi, negando, corrugano le
sopracciglia: atto che in noi si associa di spesso al movimento laterale del capo.
Quanto all'inclinazione della testa come segno affermativo, le eccezioni un po' più numerose
si riscontrano in certi Indù, nei Turchi, negli Abissini, nei Dyak, nei Tagal e negli abitanti della
Nuova Zelanda. Qualche volta l'affermazione si esprime sollevando le sopracciglia; quando un
uomo guarda l'individuo a cui s'indirizza, sporge la testa in avanti ed in basso, ed è quindi costretto
a rialzare le sopracciglia, il che può avere determinato questo novello segno espressivo. Così pure,
presso i naturali della Nuova Zelanda, l'alzare del mento e del capo in segno affermativo,
rappresenta forse, sotto una forma abbreviata, il movimento regressivo della testa, dopo che venne
inclinata in basso ed in avanti.
CAPITOLO XII.
SORPRESA - STUPORE - PAURA - ORRORE
Sorpresa, stupore. - Sopracciglia rialzate. - Bocca aperta. - Labbra sporte. - Gesti che accompagnano la sorpresa. -
Ammirazione. - Paura. - Terrore. - Erezione dei capelli. - Contrazione del muscolo pellicciaio. - Dilatazione delle
pupille. - Orrore. - Conclusione.
Allorchè l'attenzione viene provocata improvvisamente e vivamente, ella si trasforma in
sorpresa; questa conduce allo stupore, donde poscia si passa allo sbalordimento ed allo spavento.
Codest'ultimo stato dell'animo è molto analogo al terrore. L'attenzione, il vedemmo di già, è
palesata da una leggiera elevazione di sopracciglia; mentre nella sorpresa, queste si rialzano assai
più energicamente, e gli occhi e la bocca spalancansi. E tale sollevamento delle sopracciglia,
necessario perchè gli occhi possano aprirsi largamente e rapidamente, determina la formazione di
strie trasversali sul fronte. Il grado a cui s'aprono gli occhi e la bocca corrisponde all'intensità della
sorpresa provata; d'altra parte questi due movimenti deggiono eseguirsi con atto simultaneo: di fatti,
come l'ha dimostrato il dottore Duchenne in una sua fotografia, tenendo la bocca spalancata e le
sopracciglia leggermente rialzate, si esprime proprio niente
(
228
)
. Spesse volte, invece, si finge la
sorpresa semplicemente sollevando le sopracciglia.
Una delle fotografie del dottor Duchenne rappresenta un vecchio, nel quale, per la
galvanizzazione del muscolo frontale, le sopracciglia sono rialzate e ad arco, mentre la bocca è
mantenuta volontariamente aperta. La sorpresa vi è espressa con toccante verità. Io la mostrai a
ventiquattro persone, senza dir loro una parola in proposito: una sola non seppe dirne il significato.
Un'altra la chiamò terrore, parola non molto lontana dal vero; alcune, ai motti: sorpresa o stupore,
aggiunsero gli appellativi seguenti: orribile, desolato, triste o disgustoso.
Gli occhi e la bocca spalancati costituiscono una espressione universalmente riconosciuta
come quella della sorpresa o dello stupore. Shakespeare dice: «Vidi un fabbro, ritto, colla bocca
aperta, che divorava avidamente le storie d'un sarto» (Re Giovanni, atto IV, scena II). Ed altrove: «Si
guardavano reciprocamente, e i loro occhi pareano per ischizzar dalle orbite; il loro silenzio
parlava, i loro gesti traboccavano di eloquenza: si avrebbe detto che ascoltavano la fine del mondo»
(Novelle d'inverno, atto V, scena II).
I miei corrispondenti rispondono con una notevole uniformità alle mie inchieste sulla
espressione della sorpresa nelle diverse razze umane; le movenze dei lineamenti qui sopra accennate
s'associano talvolta a certi gesti od alla emissione di suoni che descriverò tra breve. Su questo
punto, dodici osservatori, in diverse parti dell'Australia, sono d'accordo. Il sig. Winwood Reade
228
()
Mécanisme de la Physionomie. Album, 1862, p. 42.
ebbe a constatare questa espressione nei Negri della costa di Guinea. Il capo Gaika ed altri con lui
rispondono affermativamente alle mie domande sui Cafri del Sud dell'Africa; parecchi altri
osservatori sono altrettanto espliciti riguardo agli Abissini, a quei di Ceylan, ai Cinesi, agl'indigeni
della Terra del Fuoco, a certe tribù dell'America settentrionale ed ai naturali della Nuova Zelanda.
Fra questi ultimi, a dire del sig. Stack, in taluni individui l'espressione è più spiccata che in altri,
avvegnac tutti si studiino di dissimulare, quant'è possibile, i loro sentimenti. Secondo il principe
indiano Brooke, i Dyak di Borneo, allorchè sono stupiti, spalancano la bocca; nello stesso tempo
dondolano a destra ed a manca la testa e si battono il petto. Il signor Scott mi narra che a Calcutta è
severamente proibito di fumare agli operai del Giardino botanico; ma essi trasgrediscono spesse
volte l'ordine, ed ove sieno sorpresi in flagrante delitto, spalancano immediatamente gli occhi e la
bocca. Poi, quando vedono che non c'è proprio scampo, alzano sovente le spalle, oppure aggrottano
le sopracciglia, pestando dispettosamente in terra. Ma dalla sorpresa si rimettono bentosto, e la
paura servile che li assale si palesa all'assoluto rilassamento dei muscoli; par che la loro testa si
sprofondi entro le spalle; girano smarrito lo sguardo e balbettano scuse.
Il sig. Stuart, quel celebre esploratore dell'Australia, ha dato
(
229
)
una magnifica relazione dello
stupido spavento, mischiato a terrore, che scorgendolo provò un indigeno il quale non aveva mai
visto un uomo a cavallo. Essendosi il sig. Stuart avvicinato a lui senz'essere scorto ed avendolo
chiamato ad una breve distanza: «Ei si rivolse, dice, e mi vide. Non so ciò ch'ei pensasse ch'io mi
fossi; so peraltro che fu quella per me la più toccante espressione della paura e dello stupore. Ei
fermossi, incapace di movere un dito, inchiodato al suolo, colla bocca aperta, cogli occhi fissi.... Si
mantenne immobile fino a che io giunsi a qualche metro da lui; allora, gettando il suo fardello, saltò
oltre una siepe con tutto lo slancio che gli permetteano le proprie forze. Non poteva parlare, non
rispondeva un accento alle inchieste che il negro gli indirizzava; ma, tutto tutto tremando, agitava le
palme per tenerci lontani».
L'elevazione dei sopraccigli, sotto l'influenza della sorpresa, dev'essere un movimento innato
o istintivo: possiamo concluderlo dal fatto che Laura Bridgman, quando è in preda allo stupore,
agisce invariabilmente così. Ciò mi venne affermato dalla donna ultimamente incaricata di
assisterla. Siccome la sorpresa è provocata da qualche cosa d'inatteso o d'ignoto, è naturale che noi
desideriamo di riconoscere al più presto la causa che l'ha fatta nascere; gli è perciò che
spalanchiamo gli occhi, in modo da aumentare il campo della visione e da poter facilmente diriger
lo sguardo verso una direzione qualunque. Tuttavia codesta interpretazione non ispiega guari il
sollevamento così pronunciato dei sopraccigli, il selvaggio fissar degli occhi spalancati. Io
ritengo che la spiegazione di questi fenomeni si debba cercare nella impossibilità di aprire
rapidissimamente gli occhi con un semplice movimento delle palpebre superiori; a riescirvi, bisogna
sollevare energicamente le sopracciglia. Provatevi, dinanzi a uno specchio, ad aprire, più che potete,
gli occhi, e vedrete che eseguirete realmente quest'atto; tale energica elevazione delle sopracciglia
spalanca gli occhi così, ch'essi prendono un'espressione di particolare immobilità, dovuta alla
comparsa della bianca sclerotica, che si mostra tutt'attorno dell'iride. Per giunta, codesta posizione
delle sopracciglia offre un vantaggio per guardare in alto, perocchè, sino a che restano basse,
intercettano la vista in su. Sir C. Bell
(
230
)
una curiosa prova dell'uffizio che adempiono le
sopracciglia nell'apertura delle palpebre. In un uomo abbrutito dalla ubbriachezza, tutti i muscoli
sono rilassati, e di conseguente le palpebre ricadono proprio come in un uomo che non può più
resistere al sonno. Per lottare contro questa attitudine, il beone rialza le sopracciglia, onde gli si
vede quel guardo imbarazzato e stupido ch'è perfettamente riprodotto in un disegno di Hogarth. Una
volta acquisita l'abitudine di sollevare le sopracciglia allo scopo di vedere più presto che sia
possibile tutto quanto ci attornia, questo movimento dovette subire, al pari di tanti altri, l'influenza
della forza di associazione, ed al presente deve prodursi tutte le volte in cui proviamo stupore per
una causa qualunque, anche per l'effetto d'un suono improvviso o d'un inatteso pensiero.
Nell'uomo adulto, quando si sollevano le sopracciglia, tutta la fronte è solcata da rughe
trasversali; nel fanciullo, questo fenomeno si produce solo in debole grado. Le strie si dispongono in
linee concentriche, parallele a ciascun sopracciglio, e si confondono in parte sulla linea mediana.
229
()
The Polyglot News Letter, Melbourne, dic. 1858, p. 2.
230
()
The Anatomy of Expression, p. 106.
Esse esprimono per eccellenza la sorpresa o lo stupore. Come nota il sig. Duchenne
(
231
)
, ogni
sopracciglio, elevandosi, si fa alquanto curvo.
Perchè, sotto l'influenza dello stupore, s'apre la bocca? Codesta è fra le più complesse
quistioni. E' par che assai cause concorrano a produrre un tal movimento. Fu a più riprese
accampata l'opinione
(
232
)
che questo atteggiamento giovi all'esercizio del senso dell'udito; io peraltro
osservai delle persone che prestavano attento l'orecchio ad un leggiero rumore, di cui conosceano a
perfezione la sorgente e la natura, nè ebbi mai a vederle ad aprire la bocca. Per la qual cosa io avevo
supposto che l'aprir della bocca potesse servire a riconoscere la provenienza d'un suono,
permettendo alle vibrazioni di penetrare per la tromba d'Eustachio fino all'orecchio. Ma il dottor W.
Ogle
(
233
)
, ch'ebbe la gentilezza di consultare per mio conto le migliori autorità contemporanee
intorno alle funzioni della tromba d'Eustachio, m'apprende che oramai è quasi dimostrato aprirsi
essa solo nell'atto della deglutizione; e che in quelle persone ove resta anormalmente spalancata,
l'audizione dei suoni esteriori non riesce affatto perfezionata, mentre invece è affievolita dal rumore
della respirazione, che si fa più distinto. Mettetevi in bocca un orologio, senza che ne tocchi le
pareti, e voi sentirete il tic-tac assai men nettamente, che non se l'aveste fuori. In quegli individui
che, per una costipazione o per qualunque altra affezione morbosa, hanno permanentemente o
momentaneamente ostruita la tromba d'Eustachio, il senso dell'udito è fatto più debole; ma di questo
si può trovar la ragione nella presenza del muco accumulato entro la tromba e che impedisce il
passaggio dell'aria. Onde possiamo conchiudere che, se sotto l'influenza dello stupore s'apre la
bocca, ciò non è allo scopo di sentire più distintamente; è certo però che molti sordi tengono la
bocca abitualmente aperta.
Ogni sentimento improvviso, e lo stupore per primo, accelera i battiti del cuore ed insieme i
movimenti della respirazione. Ora, come osserva Gratiolet
(
234
)
e come ritengo pur io, noi possiamo
respirare assai più liberamente per la bocca aperta che per le narici. Anche quando vogliamo
prestare attento l'orecchio ad un suono, arrestiamo il respiro o, aprendo la bocca, respiriamo più
tranquillamente che sia possibile, tenendo tutto il corpo immobile. Una volta un de' miei figli fu
risvegliato nel fitto della notte da un suono particolare, in circostanze che stimolavano vivamente la
sua attenzione: dopo alcuni minuti s'accorse d'aver la bocca spalancata, ed allora si risovvenne
d'averla aperta allo scopo di respirare più silenziosamente che fosse possibile. Questo modo di
vedere è confermato dal fatto inverso che si produce nei cani; quando, in seguito ad un esercizio
violento, oppure in una giornata caldissima, un cane è anelante, esso respira fragorosamente; ma se
la sua attenzione è d'improvviso richiamata, drizza ben tosto le orecchie per ascoltare, chiude la
bocca e respira in silenzio per le narici, ciò che la sua organizzazione gli permette di eseguire senza
difficoltà.
Allorchè l'attenzione resta lungo tempo concentrata su qualche oggetto o su qualche
argomento, tutti gli organi del corpo sono dimenticati e negletti
(
235
)
; e, siccome la quantità della
forza nervosa, in un dato individuo, è limitata, così se ne trasmette solo una piccola proporzione a
tutte le parti del sistema, salvo a quella che in quel punto vien messa energicamente in azione; onde
la maggior parte dei muscoli tendono a rilasciarsi, e la mascella ricade per il suo proprio peso. Così
trovano spiegazione la mascella abbassata e la bocca aperta dell'uomo stupefatto e sgomento, lo sia
pure in debole grado. Dalle indicazioni che trovo nelle mie note, io ho realmente osservato questo
fenomeno in fanciulli giovanissimi, sotto l'influenza d'una moderata sorpresa.
Havvi ancora una causa, assai importante, che provoca l'aprirsi della bocca, sotto l'influenza
dello stupore e più specialmente d'una subitanea sorpresa. Ci riesce molto più facile eseguire una
vigorosa e profonda inspirazione traverso la bocca aperta che traverso le narici. Ora, quando noi,
all'udire qualche brusco suono, al vedere qualche oggetto inatteso, sussultiamo, quasi tutti i muscoli
entrano momentaneamente e involontariamente in azione con energia, per metterci in condizione di
231
()
Mécanisme de la Physionomie. Album, p. 6.
232
()
Veggasi, ad esempio, l'accurato studio del dott. PIDERIT (Mimik und Physiognomik, p. 88) sulla espressione
della sorpresa.
233
()
Anche il dottor Murie mi diede parecchie informazioni che conducono alla stessa conclusione, e sono in parte
fornite dall'anatomia comparata.
234
()
De la Physionomie, 1865, p. 234.
235
()
Veggasi, su questo argomento, GRATIOLET, ivi, p. 254.
difenderci o di fuggirlo, associando per abitudine appunto l'idea del pericolo a tutto ciò che viene
inatteso. Ma, come dicemmo già, tutte le volte in cui ci prepariamo ad un atto energico qualunque,
eseguiamo anzi tutto, senza pure averne coscienza, una profonda inspirazione, per lo che
cominciamo collo spalancare la bocca. Se non si produce alcun atto e se il nostro stupore continua,
lasciamo un istante di respirare, o per lo meno la nostra respirazione si fa leggiera leggiera, allo
scopo di udire nettamente ogni suono che potesse colpirci all'orecchio. Infine, se la nostra attenzione
si prolunga d'assai e l'animo nostro vi sia completamente assorto, ne viene un generale rilasciamento
dei muscoli, e la mascella, dapprima bruscamente abbassata, mantiene codesta posizione. Molte
cause concorrono pure a produrre questo stesso movimento, tutte le volte in cui proviamo sorpresa,
meraviglia o stupore.
Avvegnachè le precedenti emozioni per solito si manifestino aprendo la bocca, pur elle
s'esprimono spesso anche sporgendo un pochettino le labbra; questo fatto ci ricorda il movimento,
peraltro assai meglio spiccato, che indica lo stupore nel chimpanzè e nell'orango. I vari suoni che di
consueto completano l'espressione della sorpresa possono probabilmente trovare spiegazione
nell'energica espirazione che precede spontanea alla profonda inspirazione compiuta in sul
principiare dell'atto, e nella posizione delle labbra ora indicata. Tal fiata sentesi solo una viva
espirazione: così Laura Bridgman, sorpresa, rotonda e sporge le labbra, le apre e respira con energia
(
236
)
. Uno dei più comuni suoni consiste in un profondo oh, che naturalmente risulta, come
Helmholtz spiegò, dalla forma che prendono la bocca moderatamente aperta e le labbra avanzate.
Nel fitto d'una queta notte, a bordo del Beagle, ancorato in un piccolo seno di Tahiti, si mandarono
in aria alcuni razzi per dilettare gl'indigeni; ad ogni razzo che partiva, il silenzio, dapprima assoluto,
era ben tosto interrotto da una specie di grugnito, un oh! che risuonava tutt'attorno alla baja. Il
signor Washington Matthews dice che gl'indiani dell'America settentrionale esprimono lo stupore
con un grugnito; secondo il signor Winwood Reade, i Negri della costa occidentale dell'Africa
sporgono le labbra e fanno sentire un suono simile a questo: aie, aie. Se, mentre le labbra sono
notevolmente avanzate, la bocca non s'apre molto, si determina un rumore come di soffio o di sibilo.
Il signor R. Brough Smith mi narrò che un Australiese dell'interno, condotto al teatro per assistere
alle rapide capriole d'un acrobata «ne fu profondamente stupito: egli sporgeva le labbra, mandando
colla bocca un suono simile a quello che si produce quando si smorza uno zolfanello». A dire del
signor Bulmer, allorchè gli Australiesi sono meravigliati, fanno sentire l'esclamazione korki, «la
quale è prodotta allungando la bocca come a fischiare». Gli Europei, del resto, fischiano spesso in
segno di sorpresa; così, in un romanzo pubblicato da poco
(
237
)
, si legge: «Qui l'uomo espresse il
proprio stupore e la sua disapprovazione con un prolungato sibilo». Il signor J. Mansel Weale mi
narrò che una fanciullina cafra «udendo il prezzo elevato d'una merce, alzò le sopracciglia e fischiò
propriamente come avrebbe fatto un Europeo». Wedgwood fa notare che, in inglese, i suoni di
questo genere si scrivono whew, e che sono impiegati come interiezioni per esprimere la sorpresa.
Secondo tre altri osservatori, gli Australiesi palesano spesse volte lo stupore con una specie di
scoppiettìo. Anche gli Europei esprimono talora una dolce sorpresa con un leggiero rumore
metallico quasi eguale. Il vedemmo di già: sussultando di sorpresa, la nostra bocca
improvvisamente si apre; ora, se in tal momento la lingua è perfettamente applicata contro la vôlta
palatina, nel repentino staccarsene, produrrà un suono di questo genere, il quale, per tal modo, può
essere considerato come un segno espressivo dello stupore.
E siamo all'atteggiamento del corpo. Una persona sorpresa leva di spesso le mani, aprendole
al di sopra della testa; oppure, ripiegando le braccia, le porta all'altezza del viso. Il palmo della
mano è rivolto verso l'individuo che provoca lo stupore; le dita son distese e disgiunte. Questo gesto
fu rappresentato dal signor Rejlander, nella Tavola VII, fig. 1. Nella Cena, di Leonardo da Vinci, si
veggono due degli apostoli, i quali, colle braccia levate, mostrano a chiare note il loro stupore. Un
osservatore degno di fede, narrandomi d'essersi ultimamente trovato in presenza di sua moglie nelle
più inattese circostanze, aggiunge: «Ella sussultò, spalancò la bocca e gli occhi, e portò ambo le
braccia sovra la testa». Alcuni anni or sono, fui sorpreso di vedere alcuni dei miei figliuoli, che,
accosciati sul suolo, pareano profondamente intenti a qualche lavoro: essendo troppo grande la
distanza che mi disgiungeva da essi per permettermi di chiedere di che mai si trattasse, portai sopra
236
()
LIEBER, On the Vocal Sounds of Laura Bridgman, Smithsonian Contributions, 1851, vol. II, p. 7.
237
()
Wenderholme, vol. II, p. 91.
la testa ambo le mani, aperte e colle dita distese. Appena eseguito questo gesto, io avea già
compreso qual era l'oggetto della loro attenzione; ma attesi in silenzio, per vedere se aveano capito
il mio movimento. Ed infatti li vidi corrermi incontro gridando: «Ci siamo accorti della vostra
sorpresa!» - Non so se quest'atto sia comune alle diverse razze umane, siccome trascurai di fare
ricerche su tale argomento. Si può conchiudere ch'esso è innato o naturale per ciò, che Laura
Bridgman, quand'è stupefatta «stende le braccia e solleva le mani staccando le dita»
(
238
)
; infatti,
siccome la sorpresa è un sentimento, quasi direi istantaneo, non è probabile che la povera donna
abbia potuto apprendere questa movenza col senso del tatto, sia pure in essa perfetto.
Huschke descrive
(
239
)
un gesto alquanto diverso, ma peraltro di simil natura, che, egli dice,
accompagna in certi individui l'espressione dello stupore. Gl'individui in quistione si mantengono
ritti; coi lineamenti del viso quali furono or ora descritti da me, ma stendendo le braccia all'indietro
e separando le dita uno dall'altro. Io, per parte mia, non ho mai osservato quest'atto; tuttavia
Huschke ha probabilmente ragione, però che, avendo un amico chiesto ad un altro come
esprimerebbe un grande stupore, questi prese senza tempo di mezzo codesta postura.
I diversi gesti anzidetti possono spiegarsi, io credo, col principio dell'antitesi. Vedemmo che
l'uomo sdegnato solleva la testa, quadra le spalle, gira i gomiti in fuori, spesso stringe i pugni,
aggrotta le sopracciglia e serra la bocca; mentre l'atteggiamento dell'uomo impotente e rassegnato è
perfettamente l'inverso. Qui noi riscontriamo una novella applicazione dello stesso principio. Un
uomo che sia nello stato ordinario, che faccia nulla e a nulla pensi di particolare, tiene per solito le
braccia penzoloni, colle mani semichiuse e le dita vicine fra loro. Sollevare bruscamente le braccia e
gli avambracci, aprire le mani, separare le dita, od ancora raddrizzare le braccia stendendole indietro
colle dita disgiunte, costituiscono altrettanti movimenti in completa antitesi con quelli che
caratterizzano codesto stato indifferente dell'animo, e devono per conseguenza essere
inconsciamente eseguiti da un uomo stupito. Spesse volte alla sorpresa si accompagna il desiderio di
esprimerla in modo palese; ora, gli atteggiamenti su esposti si prestano mirabilmente allo scopo.
Qui si potrebbe domandare, perchè soltanto la sorpresa e alcuni altri sentimenti, in piccolo numero,
sieno espressi da gesti in antitesi. Risponderò che questo principio non ebbe evidentemente ad avere
un uffizio importante riguardo a quei sentimenti i quali, come il terrore, la gioia, la sofferenza, la
rabbia, conducono per via naturale a certi atti tipici e producono certi effetti determinati sul corpo;
siccome il nostro fisico tutto ne è anticipatamente impressionato in modo speciale, codesti
sentimenti sono già espressi così colla maggiore chiarezza.
Ci ha un altro piccolo gesto espressivo dello stupore, sul quale io non posso proporre
spiegazione veruna; intendo parlare di quello per cui le mani corrono alla bocca o sopra una parte
qualunque del corpo. Eppure fu riscontrato in un numero grande di razze umane, da aver
certamente un'origine naturale. Un selvaggio Australiese, introdotto in una grande stanza ripiena di
fogli ufficiali, n'ebbe molto stupore, e prese a gridare: cluck, cluck, cluck, portando il dorso della
mano davanti alle labbra. La signora Barber dice che i Cafri ed i Fingi esprimono lo stupore con una
seria occhiata e mettendo la mano destra sopra la bocca: nello stesso tempo pronunciano la parola
mawo, che vuol dire meraviglioso. Sembra
(
240
)
che i Boschimani portino la mano destra al collo,
rovesciando il capo all'indietro. Il sig. Winwood Reade osservò dei Negri della costa occidentale
dell'Africa i quali esprimeano la sorpresa battendosi colla mano la bocca, ed ebbe ad udire essere
codesto un atto abituale con cui eglino palesano il proprio stupore. Il capitano Speedy mi narra che
gli Abissini collocano la mano destra sul fronte, col palmo all'infuori. Per ultimo, il signor
Washington Matthews riferisce che il segno convenzionale dello stupore, presso le tribù selvaggie
delle regioni occidentali degli Stati Uniti, «consiste in portare la mano semichiusa sopra la bocca,
mentre la testa spesse volte si piega in avanti, e talora escono dalle loro labbra parole o sordi
grugniti». Catlin
(
241
)
nota questo medesimo gesto anche presso i Mandani e diverse altre tribù
indiane.
238
()
LIEBER, On the Vocal Sounds, ecc., ibid. p. 7.
239
()
HUSCHKE, Mimices et Physiognomices, 1821, p. 18. - GRATIOLET (De la Physion., p. 255) una figura
che rappresenta un uomo in questo atteggiamento, che peraltro a me sembra raffiguri la paura mista allo stupore. -
Anche LE BRUN nota (Lavater, vol. IX, p. 299) le mani aperte d'un uomo stupito.
240
()
HUSCHKE, Mimices et Physiognomices, p. 18.
241
()
North American Indians, terza ediz., 1842, vol. I, p. 105.
Ammirazione. - Su quest'argomento ben poco ho a dire. L'ammirazione sembra consistere in
una miscela di sorpresa, di piacere e di approvazione. Quand'è viva, le sopracciglia sollevansi; gli
occhi si aprono e brillano, mentre nel semplice stupore essi restano smorti; infine la bocca, invece di
spalancarsi, si apre lievemente e modella un sorriso.
Paura, Terrore. - Ei pare che la voce paura derivi etimologicamente dai vocaboli che
rispondono alle nozioni di improvviso e di pericoloso
(
242
)
; quella di terrore ebbe pure ad origine il
tremito delle corde vocali e delle membra. Io adopero la parola terrore per estremo spavento;
tuttavia alcuni scrittori ritengono doversi ella usare allorquando viene più specialmente impiegata la
immaginazione. Spesse volte la paura è preceduta da stupore, ed è tanto affine a quest'ultimo
sentimento, che istantaneamente risvegliano, l'uno che l'altra, i sensi della vista e dell'udito.
L'uomo spaventato resta in sul principio immobile al par d'una statua, soffocando il respiro, oppure
istintivamente si rannicchia per togliere di venire scoperto.
Il cuore martella rapidi colpi e violenti e solleva il petto. Pur nullameno egli è molto incerto se
quest'organo compia un lavorìo maggiore o migliore che non allo stato normale, cioè se mandi una
più grande quantità di sangue in tutte le parti dell'organismo: in fatto la pelle si fa bianca bianca d'un
tratto, come presso a deliquio. Tuttavia codesto pallore della superficie cutanea è probabilmente
dovuto, se non del tutto, in gran parte alla impressione ricevuta dal centro vaso-motore, che provoca
la contrazione delle piccole arterie dei tegumenti. L'impressionabilità della pelle in causa d'un
intenso spavento si manifesta eziandio nella prodigiosa e inesplicabile foggia onde questo provoca
immediatamente la traspirazione. E tanto più è notevole tale fenomeno, che, in questo momento, la
superficie cutanea è fredda; d'onde il termine di sudor freddo; di solito, infatti, le glandole
sudoripare funzionano specialmente quando questa superficie è calda. I peli si rizzano, e fremono i
muscoli superficiali. Si turba la circolazione, e la respirazione precipita. Le glandole salivali
agiscono imperfettamente; la bocca inaridisce
(
243
)
; essa si apre e si chiude con frequenza. Io ho anche
osservato che una leggiera paura determina una forte disposizione allo sbadiglio. Uno dei sintomi
più spiccati dello spavento è il tremito che signoreggia i muscoli tutti del corpo e che spesso
compare, prima che altrove, sui labbri. Codesto tremore, al par dell'aridità della bocca, altera la
voce, che si fa rauca, o indistinta, o disparisce affatto: «obstupui, steteruntque comae, et vox
faucibus haesit».
Nel libro di Giobbe si legge una notevole e ben conosciuta descrizione della paura vaga: - «In
mezzo ai pensieri suscitati dalle visioni notturne, mentre un sonno profondo avvolgeva gli uomini,
m'incolse la paura, ed un tremito che mi facea scricchiolare tutte le ossa. Uno spirito mi vagolò
dinanzi: e il pelo della mia carne arricciossi. I' m'arrestai, ma non seppi distinguerne la forma; mi
stava davanti un'immagine, e in quel funebre silenzio, mi giunse una voce che dicea: L'uomo
mortale sarà forse più giusto di Dio? un uomo sarà egli più puro del suo Creatore?» (Job., IV,13).
Quando la paura grado grado s'accresce e giunge al terrore angoscioso, noi riscontriamo, come
avviene per tutte le emozioni violente, molteplici fenomeni. Il cuore batte tumultuoso; altre volte
lascia di contraersi, e ne segue il deliquio; il pallore è cadaverico e la respirazione affannosa; le ali
del naso sono largamente dilatate: «le labbra si muovono convulsivamente, le guancie tremano e si
fanno infossate, la gola geme sotto la pressione di un incubo»
(
244
)
; gli occhi spalancati e sporgenti
fissano l'oggetto, causa del terrore, oppure corrono incessanti da una parte a quell'altra: huc illuc
volvens oculos totumque pererrat
(
245
)
. Le pupille appaiono straordinariamente dilatate. Tutti i
muscoli del corpo irrigidiscono o sono presi da convulsioni. Le mani, spesso anche con bruschi
movimenti, alternano fra lo star chiuse e l'aprirsi. Le braccia si portano qualche volta in avanti,
come a schermirsi da un orrendo periglio, oppure si sollevano in tumulto sopra la testa. Il reverendo
242
()
H. WEDGWOOD, Dict. of English Etymology, 1862, vol. II, p. 35. - Veggasi anche GRATIOLET (De la
Physionomie, p. 135) sull'origine delle parole terror, horror, rigidus, frigidus, ecc.
243
()
Il sig. BAIN (The Emotions and the Will, 1865, p. 54) spiega nel modo seguente il costume indiano «di
sottomettere i delinquenti alla prova del riso. L'accusato dee riempirsi la bocca di riso e rigettarlo dopo qualche
momento. Se questo s'è conservato affatto secco, si ritiene colpevole il giudicabile, perocchè in lui la rea coscienza ebbe
a paralizzare gli organi salivali».
244
()
Veggasi sir C. BELL, Transactions of Royal Phil. Soc., 1822, p. 308. - Anatomy of Expression, p. 88 e 164.-
169.
245
()
Sullo stralunare degli occhi, veggasi MOREAU, nell'ediz. del 1820 di Lavater, tomo IV, p. 263. - V. anche
GRATIOLET, De la Physionomie, p. 17.
signor Hagenauer ebbe ad osservare quest'ultimo atto in un Australiese atterrito. In altri casi si prova
una subita tendenza invincibile di fuggire a rompicollo; ed è ella cotanto potente, che vi cedono i
più valorosi soldati, improvvisamente assaliti da panico.
Allorchè lo spavento giunge al massimo grado, ne sorge l' orribile grido del terrore. Grossi
goccioloni di sudore solcan la pelle. Si rilasciano tutti i muscoli del corpo. Prostrazione rapida e
completa: le facoltà mentali sospese. Le intestina ne sono impressionate; gli sfinteri non sanno più
agire e lasciano sfuggire le escrezioni.
Il dott. J. Crichton Browne mi fece una relazione così toccante d'un intenso spavento provato
da un'alienata di trentacinque anni, che non posso lasciare di riferirla. Quando le viene un assalto,
ella grida: «Ecco l'inferno! V'è una donna nera! Impossibile fuggirne!» ed altre esclamazioni di simil
genere. In questo frattempo, passa alternativamente da un tremito generale al convulso. Un istante
chiude le mani, tende rigidamente avanti a le braccia flesse a metà; poscia si curva con brusco
atto all'innanzi, si ripiega rapidamente a destra ed a manca, caccia le dita in mezzo ai capelli, porta
al collo le mani e tenta di lacerarsi le vesti. I muscoli sterno-cleido-mastodei (che fanno inclinare la
testa sul petto) vengono sporgentissimi, come se tumefatti, e la pelle della regione anteriore del
collo si copre di profonde grinze. I capelli, che dietro la testa sono rasi e che allo stato normale si
mantengono lisci, si rizzano; mentre le mani arruffano quelli che coprono la regione anteriore. Dalla
fisionomia traluce una straziante angoscia dell'animo. La pelle vien rossa sul viso e sul collo fin alle
clavicole, e le vene del fronte e del collo sporgono, come fossero cordoni. Il labbro inferiore si
abbassa e tal fiata s'arrovescia. La bocca è semichiusa; la mascella inferiore si protrae in avanti. Le
guancie s'infossano e sono profondamente solcate da linee ad arco che corrono dalle ali del naso agli
angoli della bocca. Anche le narici si sollevano e si dilatano. Si spalancano gli occhi, e al di sotto la
pelle par gonfia; le pupille mostransi dilatate. La fronte è coperta da numerose strie trasversali;
verso l'estremità interna dei sopraccigli, essa presenta dei solchi profondi e divergenti, dovuti
all'energica e persistente contrazione dei muscoli sopraccigliari.
Anche il sig. Bell descrisse
(
246
)
una scena d'angoscia, di terrore e di disperazione, ond'egli
stesso fu testimonio, a Torino, in un omicida che si menava al supplizio. «Ai lati della carretta
stavano assisi i preti officianti; in mezzo il condannato. Era impossibile contemplare lo stato di quel
miserabile senz'essere compresi di terrore, e pur tuttavia gli occhi erano inchiodati sull'orrendo
spettacolo, quasi obbedissero ad una strana malìa. Parea ch'avesse trentacinqu'anni all'incirca, era
alto e muscoloso della persona; i lineamenti del viso accentuati e feroci; mezzo nudo, pallido come
la morte, straziato dal terrore, le membra stravolte per angoscia, le mani convulsivamente serrate, il
viso inondato di sudore, il sopracciglio ricurvo e aggrottato, egli stringea di continuo l'immagine di
Cristo, dipinta sulla bandiera che gli pendeva dinnanzi, ma con un'angoscia così selvaggia e
disperata, da disgradarne ogni cenno che volesse offrirne la ben che minima idea».
Non citerò più che un caso relativo ad un uomo completamente abbattuto dal terrore. Uno
sciagurato, assassino di due persone, fu condotto in un ospitale, perocchè si credette, a torto, ch'ei si
fosse avvelenato. Il dottor W. Ogle l'esaminò attentamente l'indomani mattina, nel punto in cui la
polizia veniva ad arrestarlo e a impadronirsi di lui. Era estremo il suo pallore, e tanta la
prostrazione, che durava fatica a vestirsi. Avea la pelle in traspirazione; le palpebre tanto abbassate
e la testa reclinata così, che riusciva impossibile gettare un solo sguardo sugli occhi di lui.
Penzolavagli la mascella inferiore. Nessun muscolo della faccia era contratto, il dottor Ogle è quasi
sicuro che i capelli non erano eretti; però che, osservandolo da presso, li riconobbe tinti,
probabilmente ad arte, per isfuggire alle mani della giustizia.
Diciamo sulla espressione della paura nelle diverse razze umane. I miei corrispondenti
s'accordano nello asserire essere dovunque i segni di codesto sentimento i medesimi che negli
Europei. Negl'Indù e negl'indigeni di Ceylan si manifestano in eccessiva maniera. Il sig. Geach vide
dei Malesi atterriti impallidire e tremare; il sig. Brough Smyth narra che un naturale australiese
«colto un giorno da estremo spavento, mutò cera e prese una tinta simile al pallore, quale possiamo
immaginare in un uomo nero». Il sig. Dyson Lacy assistette al terrore di un Australiese, manifestato
da un tremito nervoso delle mani, dei piedi e delle labbra, e dalla comparsa di goccie di sudore sulla
pelle. Molti popoli selvaggi non reprimono i segni della paura, come fanno gli Europei, e sovente si
veggono tremar con violenza. «Nei Cafri, dice Gaika, il tremito del corpo è spiccatissimo, e gli
246
()
Observations on Italy, 1825, p. 48, citato nella Anatomy of Expression, p. 168.
occhi si spalancano». Nei selvaggi i muscoli sfinteri spesse volte rilasciansi. Questo medesimo
sintomo si osserva nei cani, quando sono assai spaventati, ed io l'ebbi pur a notare in scimie atterrite
cui si dava la caccia.
Capelli irti. - Ci ha qualche segno dello spavento che merita uno studio un po' più profondo. I
poeti parlano continuamente di capelli rizzati sulla testa; Bruto dice all'ombra di Cesare: «Tu mi fai
gelare il sangue e rizzare i capelli». Dopo l'assassinio di Gloucester, il cardinale Beaufort sì grida:
«Ma riordina dunque i suoi capelli; o non vedi che gli si rizzan sul capo?» Siccome io non ero
sicuro che i poeti non avessero applicato all'uomo ciò che di spesso aveano osservato negli animali,
chiesi al dottor Crichton Browne alcune informazioni sugli alienati. Ei mi rispose d'aver visto
spessissimo rizzarsi in questi i capelli sotto l'influenza di un improvviso ed estremo terrore. Una
pazza, ad esempio, cui s'è talvolta obbligati di praticare delle iniezioni sotto-cutanee di morfina,
teme oltremodo questa operazione, avvegnachè pochissimo dolorosa, perchè s'è fissa in mente che
le s'introduca un veleno atto a rammollirle le ossa e a ridurre le sue carni in polvere. Ella vien
pallida come la morte; soggiace ad una specie di spasmo tetanico, e parte dei capelli le si rizzano sul
davanti del capo.
Il dottor Browne fa notare eziandio che l'erezione dei capelli, tanto comune negli alienati, non
è sempre associata al terrore. Questo fenomeno sopratutto si vede nei malati di manìa cronica, che
delirano ed hanno idee di suicidio; ed è specialmente nel parossismo dei loro eccessi che questa
erezione si rende notevole. Il fatto del rizzarsi dei capelli sotto la duplice influenza della rabbia e
dello spavento s'accorda appuntino con quel che vedemmo a proposito degli animali. Il dottor
Browne cita in appoggio molti esempi: così, in un individuo, che attualmente è all'Asilo, avanti ogni
assalto di manìa, «si rizzano i capelli sul fronte come la criniera di un poney delle Shetland». Ei
m'inviò le fotografie di due femmine, tratte negl'intervalli dei loro accessi; e, quanto all'una di
queste due donne, m'aggiunge che «lo stato della capigliatura di lei è una dimostrazione convincente
e bastante della condizione dell'animo». Io ho fatto copiare una di queste fotografie; e ad una breve
distanza, l'incisione l'esatta sensazione dell'originale, toltone forse che i capelli paiono un po'
troppo ruvidi e crespi. Lo straordinario stato della capigliatura, negli alienati, è dovuta, non solo alla
erezione di essa, ma eziandio alla sua aridità e durezza, fenomeni questi che stanno in nesso colla
inazione delle glandule sottocutanee. Il dottor Bucknill disse
(
247
)
che un lunatico «è lunatico fino alla
punta delle dita»; egli avrebbe potuto aggiungere che spesse volte lo è fin alla estremità dei capelli.
Il dottor Browne cita il fatto seguente, a empirica conferma del rapporto ch'esiste negli alienati
tra lo stato della capigliatura e quello dell'animo. Un medico curava una donna malata di acuta
malattia e compresa da una paura terribile della morte per sè, pel marito e pei figli. Ora, la vigilia
stessa del in cui gli giunse la mia lettera, la moglie di questo medico avevagli detto: «Io ritengo
che la signora *** guarirà presto, perocchè i suoi capelli cominciano a farsi morbidi: ho sempre
osservato che i nostri malati migliorano allorchè i loro capelli lasciano d'essere ruvidi e ribelli al
pettine».
Il dottor Browne attribuisce la ruvidi persistente dei capelli in molti alienati, parte
all'alterazione ond'è sempre più o meno avvolto l'animo loro, parte all'influenza dell'abitudine, vale
a dire alla erezione che si produce spesso e con forza nei loro frequenti attacchi. In quegli infelici
nei quali questo sintomo è molto spiccato, la malattia in generale è incurabile e mena alla morte; in
quegli altri, avvece, in cui è moderato, la capigliatura ritorna alla morbidezza ordinaria, non appena
l'affezione mentale è guarita.
In uno dei precedenti capitoli vedemmo che negli animali il pelo è rizzato dalla contrazione
dei piccoli muscoli lisci, involontari, che s'appendono a ciascun de' follicoli. Nell'uomo,
indipendentemente da quest'azione, in base alle convincentissime esperienze che il sig. Wood mi
comunica, i capelli della testa che s'inseriscono verso il davanti e quelli della nuca che s'impiantano
all'indietro, sono tratti in direzione opposta dalla contrazione dell'occipito-frontale o muscolo del
cuoio capelluto. Così questo muscolo sembra contribuisca a produrre l'erezione dei capelli
nell'uomo, come il muscolo analogo - panniculus carnosus - giova, od anche esercita il principale
uffizio, nella erezione delle spine sul dorso di certi animali.
Contrazione del muscolo pellicciaio. - Questo muscolo si stende sulle parti laterali del collo;
discende un po' al di sotto delle clavicole, e rimonta fino alla parte inferiore delle guancie. Nella fig.
247
()
Citato dal dottor MAUDSLEY, Body and Mind, 1870, p. 41.
2, se ne vede una porzione (M); conosciuta col nome di risorius; la contrazione di questo muscolo
tira gli angoli della bocca e la parte inferiore delle guancie in basso e all'indietro.
Contemporaneamente, negli individui giovani, appariscono sui lati del collo dei rilievi divergenti,
longitudinali e ben distinti; nei vecchi immagriti, vi si veggono, invece, fine strie trasversali.
Talvolta si disse che il pellicciaio non è sottomesso all'impero della volontà; eppure, chiedete al
primo venuto di stirare con gran forza gli angoli della bocca in basso e all'indietro, e quasi sempre
egli farà agir questo muscolo. Io ho sentito parlare d'un uomo che poteva a volontà metterlo in
azione da una parte sola.
Sir C. Bell
(
248
)
ed altri autori stabilirono che il pellicciaio si contrae vivamente sotto l'influenza
dello spavento; il dottore Duchenne gli attribuisce tanta importanza nella espressione di questo
sentimento, da chiamarlo il muscolo della paura
(
249
)
. Ammette peraltro che la contrazione di lui
riesca affatto inespressiva, se non è associata a quella dei muscoli che spalancano gli occhi e la
bocca. Ei pubblicò una fotografia (che diamo ridotta nella fig. 20) di quel medesimo vecchio che già
più volte ci comparve dinanzi, colle sopracciglia vivamente rialzate, la bocca aperta e il pellicciaio
contratto, il tutto a mezzo della elettricità. Mostrai la fotografia originale a ventiquattro persone, e,
senza dare veruno schiarimento, chiesi loro che cosa esprimesse; venti risposero subito: intensa
paura od orrore; tre dissero: affanno, ed una: estrema indisposizione. Il dottor Duchenne diede
un'altra fotografia dello stesso vecchio, col pellicciaio contratto, la bocca e gli occhi aperti e le
sopracciglia fatte oblique a mezzo del galvanismo. L'espressione ottenutane è naturalissima (V.
Tavola VII, fig. 2); l'obliquità dei sopraccigli vi aggiunge l'apparenza d'un gran dolore intellettuale.
Mostrato l'originale a quindici persone, dodici risposero: terrore od orrore, e tre angoscia o grande
dolore. In base a questi esempi ed allo studio delle altre fotografie pubblicate dal dott. Duchenne,
colle note annessevi, io credo doversi ammettere per cosa sicura che la contrazione del pellicciaio
giova potentemente alla espressione dello spavento. Nullameno è impossibile accettare per esso la
denominazione di muscolo della paura, imperocchè la sua contrazione non è certo necessariamente
legata a questo stato dell'animo.
Fig. 20 - Terrore (da una fotografia del dott. Duchenne)
248
()
Anatomy of Expression, p. 168.
249
()
Mécanisme de la Physionomie humaine. Album, leggenda XI.
Un estremo terrore può benissimo manifestarsi con una pallidezza mortale, colla traspirazione
della pelle e con un'assoluta prostrazione, essendo tutti i muscoli del corpo, compresovi il
pellicciaio, affatto rilasciati. Il dottor Browne, che spesso negli alienati vide questo muscolo tremare
e contraersi, non seppe però riferirne l'azione a verun sentimento da loro provato; eppure studiò con
cura particolare i malati assaliti da una grande paura. Il sig. Nicol, al contrario, ebbe ad osservare tre
casi nei quali questo muscolo appariva più o meno permanentemente contratto, sotto la duplice
influenza della malinconia e della paura; peraltro in uno di tali casi anche parecchi altri muscoli del
collo e della testa erano soggetti a contrazioni spasmodiche.
Il dottor W. Ogle osservò, dietro mia richiesta, in uno degli ospitali di Londra, una ventina di
malati, nell'istante in cui si sommetteano all'anestesia col cloroformio per operarli. Tremavano un
po', ma non aveano un grande terrore. Solo in quattro casi il pellicciaio si contrasse visibilmente;
prendeva a contraersi che quando i malati cominciavano a gridare. E' pareva che codesta
contrazione avvenisse ad ogni profonda inspirazione; ond'è assai dubbioso a dirsi s'ella avesse
qualche dipendenza da un senso di paura. In un quinto caso, il paziente, cui non s'avea praticata
l'anestesia, era molto sgomento; il pellicciaio di lui si contraeva più vivamente e con maggior
persistenza che non negli altri. Ma pur qui ci ha luogo a dubitare; imperocchè il sig. Ogle vide
questo muscolo, che d'altra parte appariva sviluppato fuor del consueto, contraersi nel punto in cui
l'infelice, terminata l'operazione, levò la testa dal guanciale.
Non sapendo giustificarmi come mai la paura potesse in molti casi esercitare un'azione sopra
un muscolo superficiale del collo, feci ricorso ai miei numerosi e gentili corrispondenti, per averne
notizie sulla contrazione di questo muscolo manifestata in altre circostanze. Tornerebbe superfluo
riprodurre tutte le risposte ottenute. Esse dimostrano che il pellicciaio spesse volte agisce in
differente maniera e a gradi diversi, in circostanze numerose e svariate. Nell'idrofobia si contrae con
violenza, e un po' meno energicamente nel trismo; talora codesta contrazione è pure spiccata,
durante l'insensibili prodotta dal cloroformio. Il dottor W. Ogle osservò due malati di sesso
mascolino, che soffriano così a respirare, da dover loro aprir la trachea; in ambedue, il pellicciaio
era vivamente contratto. L'un d'essi intese la conversazione dei chirurgi che gli stavan dattorno, e
quando potè parlare, dichiarò di non aver avuto paura. In altri casi di affannosissima respirazione,
nei quali non s'ebbe ricorso alla tracheotomia - casi osservati dai dottori Ogle e Langstaff - il
pellicciaio non si contrasse.
Il signor J. Wood, che studiò con tanta cura, come risulta dalle varie sue pubblicazioni, i
muscoli del corpo umano, ebbe spesse volte a vedere il pelliccaio a contraersi nel vomito, nella
nausea e nella svogliatezza; notollo, per giunta, in fanciulli e in adulti, sotto l'influenza del furore,
ad esempio in certe femmine irlandesi che altercavano e si provocavano con gesti di collera. In
questo caso, forse, il fenomeno dipendeva dal tuono acuto e stridente della loro voce irritata; infatti
io conosco una signora, distinta cantante, la quale, emettendo certe note elevate, contrae sempre il
muscolo pellicciaio. E il medesimo fatto constatai in un giovane, allorchè cava talune note dal
flauto. Il signor J. Wood m'apprende d'aver visto più sviluppato il pellicciaio in quelle persone che
hanno il collo sottile e larghe le spalle; e m'aggiunge che nelle famiglie ove questi caratteri sono
ereditari, il suo sviluppo d'ordinario si lega con una maggiore potenza della volontà sopra il suo
analogo, l'occipito-frontale, che fa muovere il cuoio capelluto.
Pare che nessuno dei precedenti fatti fornisca un po' di luce intorno all'azione dello spavento
sul pellicciaio; ma avviene altrimenti, mi sembra, di quelli che seguono. L'individuo del quale ho
già tenuto parola, e che può agire a volontà su questo muscolo - da una parte sola - lo contrae senza
dubbio da entrambi i lati tutte le volte in cui sussulta per sorpresa. Ho già dimostrato con varie
prove che tal fiata questo muscolo agisce, forse allo scopo di spalancare la bocca, quando il respiro
è reso difficile da qualche malattia, od ancora durante la profonda inspirazione degli accessi di
grida, avanti un'operazione. Ora, allorchè una persona sussulta a qualche oggetto imprevisto o ad un
improvviso rumore, immediatamente in un profondo respiro; gli è perciò che la contrazione del
pellicciaio ha potuto associarsi al sentimento del terrore. Nullameno io ritengo che tra i due
fenomeni ci abbia un più possente legame. Una sensazione di paura o il pensiero d'una cosa
spaventevole provoca di solito un fremito. Io stesso mi sono sorpreso provando un leggiero
raccapriccio a qualche penosa idea, ed in allora m'accorgevo benissimo che mi si contraeva il
pellicciaio; che se io simulo un brivido, e' si contrae del pari. Pregai parecchie persone di fare
altrettanto, e vidi questo muscolo agir negli uni e non negli altri. Uno dei miei figli, balzando un
giorno dal letto, rabbrividì di freddo, ed avendo portata a caso la mano sul collo, sentii
perfettamente la viva contrazione del suo pellicciaio. In progresso, ei fremette involontariamente,
come aveva fatto altre volte, ma il pellicciaio fu muto. Anche il signor J. Wood ebbe ad osservare di
spesso la contrazione di questo muscolo in certi malati, cui si toglieano le vesti per esaminarli, e non
perchè avessero paura, ma solo perchè tremavano di freddo. Malauguratamente non mi venne dato
verificare se esso entri in azione quando tutto il corpo trema, come nel periodo di freddo in un
accesso di febbre. Così, giacchè il pellicciaio si contrae sovente nel raccappriccio, e poichè spesse
volte il principio d'una sensazione di paura è accompagnata da un raccapriccio o da un tremito, ei mi
sembra che in ciò v'abbia una concatenazione di fenomeni, la quale può spiegarci la contrazione del
muscolo sotto l'influenza di quest'ultimo sentimento
(
250
)
. Nullameno codesta contrazione non
accompagna sempre la paura; perocchè è probabile ch'essa non si produca mai sotto l'influenza
dell'eccessivo terrore che provoca la prostrazione.
Dilatazione delle pupille. - Gratiolet insiste a più riprese
(
251
)
sul fatto, che le pupille, nel
terrore, si dilatano vivamente. Io non ho alcun motivo di dubitare sull'esattezza di tale asserzione;
peraltro non seppi trovarne prove affermative, toltane quella già detta, d'una donna pazza, presa da
sommo spavento. Quando i romanzieri parlano di occhi straordinariamente dilatati, io ritengo che
intendano dir delle palpebre. Secondo Munro
(
252
)
, nei pappagalli l'iride è impressionata dai
sentimenti, indipendentemente dall'influenza della luce; ma il professore Donders m'informa d'aver
constatato di spesso nella pupilla di questi uccelli certi movimenti ch'ei crede si debbano rapportare
agli effetti dell'accomodamento a diverse distanze; gli è così che, in noi, si contraggono le pupille
quando gli occhi convergono per veder davvicino. Gratiolet fa osservare che le pupille dilatate
dànno all'occhio la stessa apparenza offerta in una profonda oscurità; or è certo che l'uomo deve
avere provato spesse volte lo spavento nell'oscurità; non tanto spesso però, così esclusivamente,
da poterne provare l'origine e la persistenza di un'abitudine associata di questo genere; ci sembra più
probabile - supponendo esatta l'asserzione di Gratiolet - che il cervello sia direttamente
impressionato dal vivo sentimento della paura, e ch'esso reagisca sulla pupilla; peraltro il professore
Donders mi dice essere codesta una quistione estremamente complessa. E qui posso aggiungere
(cosa che forse potrà spargere un po' di luce sull'argomento) che il dottor Fyffe, dell'ospitale Netley,
osservò, in due malati, che le pupille erano nettamente dilatate durante il periodo di freddo in un
accesso di febbre. Anche il prof. Donders ha constatato di spesso la dilatazione della pupilla sul
principiar del deliquio.
Orrore. - Lo stato morale espresso da questa parola presuppone del terrore, e, in certi casi,
questi due termini sono quasi sinonimi. Ben molti infelici, avanti la meravigliosa scoperta del
cloroformio, ebbero a provare orrore pensando a un'operazione chirurgica cui dovean sottoporsi.
Quando si teme un individuo, quando lo si abborre, si prova, secondo l'espressione di Milton,
dell'orrore per lui. La vista di qualcheduno, per esempio d'un fanciullo esposto ad un grave pericolo,
ne ispira orrore. Ben pochi, al d'oggi, non proverebbero questo sentimento colla più grande
intensità, se vedessero un uomo alla tortura o sul punto di subirla. In que' casi, noi non corriamo
pericolo alcuno, ma, per la potenza dell'immaginazione e della simpatia, ci mettiamo al posto del
paziente, e soffriam qualche cosa che s'assomiglia a paura.
250
()
Il dott. DUCHENNE adotta questo modo di vedere (ibid. p. 45), giacchè egli attribuisce la contrazione del
pellicciaio al fremito della paura; tuttavia in altro luogo ei confronta questo fenomeno con quel che determina il
sollevamento del pelo in un quadrupede sgomento, paragone ch'è difficile ammettere come perfettamente corretto.
251
()
De la Physionomie, p. 51, 256, 346.
252
()
Citato in WHITE, Gradation in Man, p. 57.
Fig. 21 - Orrore ed angoscia (da una fotografia del dott. Duchenne).
Sir C. Bell
(
253
)
osserva che «l'orrore è un sentimento assai energico; il corpo è in uno stato di
estrema tensione, quando pure non sia snervato dalla paura». Dietro a ciò, ei parrebbe che l'orrore
dovesse accompagnarsi ad uno spiccatissimo corrugamento di sopracciglia; ma siccome in codesta
emozione entra in parte la paura, gli occhi e la bocca devono aprirsi e sollevarsi le sopracciglia, per
quanto almeno il consente l'azione antagonistica dei sopraccigliari. Una fotografia del dottor
Duchenne
(
254
)
(fig. 21) ci mostra il solito vecchio, cogli occhi fissi, le soppraciglia un po' sollevate,
ma nello stesso tempo increspatissime, la bocca aperta e il pelliciaio contratto, tutto per effetto della
elettricità. L'espressione così ottenuta esprime, secondo il signor Duchenne, un estremo terrore,
accompagnato da un orribile dolore, da una vera tortura. È a ritenersi che un uomo messo alla
tortura presenterebbe l'espressione d'un orrore assoluto, finchè le sue sofferenze gli permettono di
concepire timori per avvenire. Io ho mostrato il saggio della fotografia in discorso a ventitre persone
d'entrambi i sessi e di diverse età; tredici di loro pronunciarono immediatamente le parole di orrore,
grave sofferenza, tortura o agonia; tre corsero col pensiero a un grande spavento; in complesso
sedici giudizi, presso a poco concordi con la maniera di vedere del signor Duchenne. Per altro ve
n'ebbero sei, le quali credettero riconoscervi un'espressione di collera, senza dubbio colpite dalla
viva contrazione dei sopraccigli e trascurando la particolare apertura della bocca. Un'altra volle
vedervi il disgusto. Somma fatta, gli è chiaro che in quella fotografia noi abbiamo un'eccellente
rappresentazione dell'orrore e dell'angoscia. La fotografia più addietro citata (Tav. VII, fig. 2)
esprime del pari l'orrore; ma la posizione obliqua dei sopraccigli che ivi si rimarca, in luogo di
energia, indica un profondo cordoglio.
L'orrore di solito è accompagnato da diversi gesti che variano secondo gl'individui. A
giudicare da certe descrizioni, tutto il corpo è spesso impressionato o tremante, oppure le braccia
sono violentemente tese in avanti, come a respingere uno spaventevole oggetto.
L'atto che più di consueto si produce, per quanto almeno si può giudicarne dal modo di agire
in quelli che cercano di rappresentare al naturale una scena d'orrore, consiste nel sollevare le spalle,
253
()
Anatomy of Expression, p. 169.
254
()
Mécanisme de la Physionomie. Album, tav. 65, p. 44-45.
mentre le braccia sono strettamente serrate in sui fianchi o sul dinanzi del petto. In generale, questi
movimenti sono quasi gli stessi che si eseguiscono quando si soffre assai freddo, e s'accompagnano
d'ordinario da un fremito, come pure da una profonda espirazione o inspirazione, a seconda che il
petto in questo istante si trova dilatato o contratto. I suoni prodotti in tali circostanze possono
esprimersi più o meno esattamente colle parole uh o uhg
(
255
)
. Checchè ne sia, è sempre difficile il
dire perchè, quando sentiam freddo o palesiamo un sentimento d'orrore, serriamo contro il corpo le
braccia piegate, solleviamo le spalle e rabbrividiamo.
Conclusione. - Ho tentato di descrivere le varie espressioni della paura nei diversi gradi, dalla
semplice attenzione e dal sussulto della sorpresa fino all'estremo terrore ed all'orrore. Alcune fra le
espressioni che la rivelano si possono spiegare col mezzo dei principii dell'abitudine,
dell'associazione e della eredità; avviene così, per esempio, dell'atto che consiste nello spalancare
gli occhi e la bocca, rialzando le sopracciglia in modo da gettare più rapidamente che sia possibile
lo sguardo attorno a noi e da intendere distintamente il minimo suono che possa colpirci l'orecchio;
in fatto è proprio così che ci siam abituati a riconoscere o ad affrontare un pericolo qualunque. E
coll'aiuto degli stessi principii si può ancora rendersi conto, almeno in parte, di alcuni altri segni
dello spavento. Da innumerevoli generazioni, ad esempio, gli uomini cercarono di sottrarsi ai
nemici o al pericolo, sia con una fuga precipitosa, sia con una lotta accanita; ora simili sforzi
dovettero produrre in effetto il rapido battito del cuore, l'accelerazione del respiro, il sollevamento
del petto e la dilatazione delle narici. E siccome questi sforzi si prolungarono spesso fino
all'estremo, il risultato finale dovette essere un'assoluta prostrazione, pallore, traspirazione, il
tremito di tutti i muscoli o il loro completo rilasso. Pur adesso, ogni volta in cui si prova un vivo
senso di spavento, anche allora che questo non dovrebbe produrre alcuno sforzo, gli stessi fenomeni
tendono a ricomparire, in virtù del potere dell'eredità e dell'associazione.
Nullostante è probabile che, se non tutti, almeno un grande numero dei su citati sintomi del
terrore, come il battito del cuore, il tremito dei muscoli, il sudor freddo, ecc., sieno in molta parte
direttamente dovuti a perturbazioni avvenute nella trasmissione della forza nervosa che il sistema
cerebro-spinale distribuisce alle varie parti del corpo, od anche alla sua completa interruzione, causa
la profonda impressione fatta sull'animo dell'individuo. Noi possiamo indubbiamente riferire a
questa causa affatto indipendente dall'abitudine e dall'associazione, gli esempi nei quali sono
modificate le secrezioni del canale intestinale, e quegli altri in cui sono abolite le funzioni di certe
glandule. Quanto all'involontaria erezione dei peli negli animali, ci ha di buone ragioni per credere
che questo fenomeno, ne sia qualsivoglia l'origine, concorra con certi movimenti volontari a dar loro
un aspetto formidabile in faccia al nemico; ora, siccome le stesse movenze, involontarie e
volontarie, sono compiute da animali assai prossimi all'uomo, siamo indotti ad ammettere che questi
ne abbia conservate, per via ereditaria, talune vestigia, presentemente inutili. La permanenza fino al
d'oggi dei piccoli muscoli che fanno rizzare i peli scarsi sul corpo quasi glabro dell'uomo, è
senza dubbio un fatto molto notevole: offre meno interesse osservare che questi muscoli si
contraggono ancora sotto l'influenza delle stesse emozioni (valgano il terrore e la rabbia) che
determinano l'erezione del pelo negli animali collocati sugli ultimi gradini dell'ordine cui l'uomo
appartiene.
CAPITOLO XIII.
ATTENZIONE RIVOLTA SU SE STESSI - VERGOGNA -
TIMIDEZZA - MODESTIA - ROSSORE
Natura del rossore. - Eredità. - Parti del corpo che vi sono più soggette. - Il rossore nelle diverse razze umane. - Gesti
concomitanti. - Confusione. - Cause del rossore.- L'attenzione rivolta su se stessi ne è l'elemento fondamentale. -
Timidezza. - Vergogna, determinata dalla violazione delle leggi morali e delle regole di convenienza. - Modestia.
- Teoria del rossore. - Ricapitolazione.
255
()
Veggansi, su questo argomento, le osservazioni del sig. WEDGWOOD nell'introduzione del suo Dictionary of
English Etymology, seconda ediz., 1872, p. XXXVII.
Fra tutte le forme dell'espressione la più speciale all'uomo è il rossore. Le scimie diventano
rosse di collera; ma sarebbe necessaria una enorme quantità di prove per persuaderci, che un
animale possa arrossire. Il color rosso del volto, quale conseguenza del rossore, dipende dal
rilassamento delle pareti muscolose delle piccole arterie che trasmettono il sangue ai capillari e
questo rilassamento è determinato da un'affezione delle parti centrali dell'apparato vasomotore. È
fuori di dubbio che un forte eccitamento dello spirito ha per conseguenza una modificazione della
circolazione generale; ma non è da attribuirsi all'attività del cuore, se la rete dei capillari del volto si
riempie di sangue, quando domina un sentimento di vergogna. Noi possiamo produrre il riso col
mezzo di un solletico esercitato sulla pelle, possiamo produrre il pianto o il corrugamento del fronte
con un urto, il tremito infondendo paura o cagionando dolore, ecc.; ma non possiamo mai, come
osserva il dott. Burgess
(
256
)
, produrre il rossore con nessun mezzo fisico, vale a dire con nessuna
azione esercitata sul corpo. È lo spirito che deve essere impressionato. Il rossore non solo è
involontario, ma il desiderio di soffocarlo ne aumenta in realtà la tendenza, rendendoci attenti su noi
stessi.
Gli individui giovani arrossiscono molto più facilmente e più frequentemente che i vecchi,
non però durante la prima infanzia
(
257
)
; ciò che è meraviglioso, perchè sappiamo, che i bambini
diventano rossi in età assai tenera per collera. Io ho notizie autentiche di due bambine che all'età di
due a tre anni arrossivano, e d'un fanciullo assai sensibile e più vecchio d'un anno, il quale arrossiva
allorchè veniva biasimato per un qualche fallo. Molti fanciulli arrossiscono ad età un poco più
avanzata in un modo assai evidente. Sembra che le forze mentali dei piccoli fanciulli non siano
ancora abbastanza bene sviluppate, per permetterne il rossore. Per la stessa ragione avviene pure che
gli idioti solo di rado arrossiscono. Il dottor Crichton Browne osservò per mio conto gli idioti
affidati alle sue cure, ma non vide mai un vero rossore, sibbene vide diventar rosso il loro volto
probabilmente per la gioia, quando veniva loro apprestato il nutrimento, oppure per collera. Tuttavia
ve ne sono di quelli che, non degradati in estremo grado, sono capaci di arrossire. Il dott. Behn
(
258
)
,
per es., ha descritto un idiota microcefalo di tredici anni, i di cui occhi splendevano un poco, quando
provava gioia od era di umore allegro, e che arrossiva e si volgeva da un lato, quando veniva
svestito per la visita medica.
Le donne arrossiscono assai più degli uomini. È raro il caso di veder arrossire un uomo
avanzato in età, ma non è altrettanto raro il veder arrossire una donna attempata. I ciechi non si
sottraggono al rossore. Laura Bridgman, nata in questo stato e per di più completamente sorda,
arrossisce
(
259
)
. Il sig. R. H. Blair, ispettore del collegio di Worcester, afferma, che tre fanciulli nati
ciechi dell'età fra i sette e gli otto anni, i quali al presente si trovano in quell'Istituto, arrossiscono
spesso ed assai fortemente. Dapprincipio i ciechi non hanno la coscienza di essere osservati ed è,
come mi fa sapere il sig. Blair, uno dei momenti più importanti nella loro educazione, lo sviluppare
in essi questa coscienza; l'impressione in tal modo ricevuta potrebbe aumentare la tendenza al
rossore per il rafforzamento dell'abitudine di rivolgere l'attenzione su se stessi.
La tendenza ad arrossire è ereditaria. Il dott. Burgess racconta il caso d'una famiglia
(
260
)
,
composta del padre, della madre e di dieci figli, i quali tutti senza eccezione avevano una tendenza
ad arrossire in un grado oltremodo penoso. I figli crebbero in età, «ed alcuni furono mandati in
viaggio, per vincere questa patologica sensibilità; ma nulla giovò». Anche certe particolarità nel
rossore sembrano essere ereditarie. Sir James Paget, nell'esaminare la spina dorsale d'una giovinetta,
fu sorpreso dal modo particolare in cui essa arrossiva; una grande macchia rossa appariva dapprima
su di una guancia, poi soppravvenivano altre macchie sparse in modo vario sul viso e sul collo. Egli
interrogò poscia la madre, se la di lei figlia avesse sempre arrossito in questo modo particolare ed
256
()
The Physiology or Mechanism of Blushing, 1839, p. 156. Io avrò occasione più volte di citare questo libro nel
presente capitolo.
257
()
Dott. BURGESS, op. cit, pag. 56. A pag. 33 osserva pure che le donne arrossiscono più degli uomini, come si
dirà più sotto.
258
()
Citato da C. VOGT, Mémoire sur les Microcéphales, 1864, p. 20. - Il dott. BURGESS dubita (op. cit., pag.
56) che gli idioti possano arrossire.
259
()
LIEBER, Ond the Vocal Sounds, ecc., in Smithsonian Contributions, vol. II, 1851, p. 6.
260
()
Op. cit., p. 182.
ebbe in risposta: «Sì, essa segue le mie pedate». E qui sir J. Paget osservò che la sua domanda aveva
provocato il rossore nella madre; essa presentava le stesse particolarità della figlia.
Nella maggior parte dei casi sono la faccia, le orecchie e il collo le sole parti che divengono
rosse; ma molte persone sentono, quando il loro rossore è intenso, per tutto il corpo un calore ed un
prudore particolare; ciò dimostra, che l'intiera superficie del corpo dev'essere in qualche modo
modificata. Si dice talora che il rossore comincia sulla fronte, più spesso però comincia sulle
guancie e di si diffonde poi fino alle orecchie e al collo
(
261
)
. Nei due albini esaminati dal dottor
Burgess il rossore cominciava con una piccola macchia definita sulle guancie sopra la rete nervosa
della parotide e si diffondeva poi circolarmente. Fra il rossore di questa regione e quello del collo si
osservava una evidente linea di demarcazione, quantunque avvenissero contemporaneamente. La
retina, che negli albini è naturalmente rossa, aumentava nello stesso tempo invariabilmente il suo
colore rosso
(
262
)
. Ognuno deve aver osservato, come avvenga sovente che uno il quale abbia
cominciato ad arrossire, si senta nuove correnti di rossore salire alla faccia. Il rossore è preceduto da
una sensazione particolare della cute. Secondo il dottor Burgess, al rossore segue generalmente un
debole pallore, il quale dimostra che i capillari dopo la dilatazione si contraggono. In alcuni rari casi
avvenne che quelle cause le quali per loro natura dovrebbero produrre rossore, produssero invece
pallore. Così mi raccontò una giovine signora, che essa in una numerosa e nobile società restò
attaccata coi suoi capelli così fortemente ad un bottone d'un servo che passava che fu d'uopo di
qualche tempo per liberarsene. Essa s'immaginò, dietro le sue sensazioni, di esser diventata di color
rosso acceso in volto, e tuttavia un'amica la assicurò che era diventata invece estremamente pallida.
Io era curioso di sapere quanto si diffondesse il rossore verso le parti inferiori del corpo. Sir
James Paget, il quale necessariamente ha frequente occasione di poter fare simili osservazioni, fu
tanto cortese di osservare questo punto, dietro mio invito per due o tre anni. Egli trova che nelle
donne, le quali divengono d'un color rosso intenso sul volto, sulle orecchie e sulla parte posteriore
del collo, il rossore non si estende ordinariamente più sotto di queste parti. Si osserva di rado il
rossore diffondersi fino alle clavicole e alla scapola; egli non ha mai osservato alcun caso, in cui il
rossore si sia esteso più in della parte superiore del petto. Lo stesso ha pure osservato, che il
rossore talvolta non va a cessare dall'alto del corpo verso il basso successivamente, e gradatamente,
ma con macchie rosso-pallide irregolari. Il dott. Langstaff ha pure osservato per mio conto parecchie
donne, e vide il loro corpo non diventare rosso menomamente, mentre il viso era rosso-purpureo,
per rossore. Negli alienati, alcuni dei quali sembrano avere una gran tendenza ad arrossire, il dott.
Crichton Browne ha osservato più volte il rossore estendersi fino alle clavicole e in due casi persino
fino al petto. Lo stesso mi narra il caso d'una donna maritata di ventisette anni sofferente d'epilessia.
Il mattino susseguente al giorno del di lei arrivo nell'Istituto il dott. Browne la esaminò in
compagnia dei suoi assistenti, mentre essa giaceva a letto. Nel momento in cui egli le si avvicinava,
un intenso rossore si diffuse sulle di lei guancie e sulle tempia e ben presto si estese fino alle
orecchie. Essa era molto eccitata e tremava leggermente. Il dott. Browne sciolse il bavero della di lei
camicia, per esaminare lo stato dei polmoni, e qui vide diffondersi un intenso rossore sul di lei
petto, estendersi in una linea circolare sul terzo superiore delle mammelle e fra di esse giungere fino
al processo ensiforme dello sterno. Questo fatto è interessante per ciò, che il rossore non si estese
tanto in basso se non quando divenne molto intenso, per essersi fissata la di lei attenzione a questa
parte del corpo. Nell'ulteriore processo dell'esame, essa divenne tranquilla e il rossore sparì; ma in
ulteriori osservazioni il fenomeno si rinnovò nello stesso modo.
I casi fin qui ricordati dimostrano, che nelle donne inglesi di solito il rossore non si estende
più in là del collo e della parte superiore del petto. Tuttavia sir James Paget mi fa sapere, aver egli
avuto recentemente da fonte attendibile, notizia d'un caso d'una giovane fanciulla, la quale
ritenendosi offesa per un atto che era secondo le sue idee poco riguardoso, arrossì su tutto l'addome,
e le parti superiori delle gambe. Anche Moreau
(
263
)
racconta, sull'autorità d'un rinomato pittore, che
il petto, le spalle, le braccia e l'intiero corpo d'una ragazza che si aveva persuasa non senza
opposizione a servire di modello, divennero rossi, quando per la prima volta fu spogliata del vestito.
È una questione abbastanza meravigliosa, perchè nella maggior parte dei casi solo il volto, le
261
()
MOREAU, ediz. del LAVATER del 1820, vol. IV, p. 303.
262
()
BURGESS, op. cit., p. 38; sul pallore che segue il rossore, p. 177.
263
()
V. LAVATER, ediz. del 1820, vol. IV, p. 303.
orecchie ed il collo diventino rossi, mentre tuttavia si diffonda sovente per tutta la superficie del
corpo un calore e un prudore particolare. Questo fatto sembra dipendere principalmente da ciò che
la faccia e le parti ad essa adiacenti, sono esposte generalmente all'azione dell'aria, della luce e dei
cambiamenti di temperatura, e in causa di ciò le piccole arterie hanno presa l'abitudine di dilatarsi e
di contrarsi facilmente non solo, ma sembrano anche essersi sviluppate in modo straordinario di
fronte a quelle di altre parti della superficie del corpo
(
264
)
. Come Moreau e il dott. Burgess hanno
osservato, è probabilmente questa la causa per cui la faccia anche per altre ragioni diventa
facilmente rossa (come per un assalto di febbre, per uno straordinario calore, per fatica violenta, per
collera, per un leggero urto, ecc.), e d'altro lato diventa facilmente pallida per freddo o per paura, e
di color sbiadito durante la gravidanza. La faccia è soggetta anche ad essere attaccata in modo
particolare nelle malattie della pelle, come nel vaiuolo, risipola, ecc. Questa idea è anche appoggiata
dal fatto, che uomini di certe razze, le quali vanno quasi sempre ignude, arrossiscono spesso sulle
braccia, sul petto e sul resto inferiore del loro corpo. Una signora, soggetta ad arrossire facilmente e
intensamente, come mi fa sapere il dott. Browne, allorchè si vergogna od è agitata, le si copre di
rossore la faccia, il collo, le articolazioni delle mani e le mani stesse, in una parola tutte le parti del
corpo scoperte. Si può dubitare tuttavia, se l'abituale esposizione della pelle della faccia e del collo e
la proprietà da essa determinata di reagire per ogni eccitamento, sia sufficiente a spiegare la
tendenza delle inglesi ad arrossire in queste parti più che in altre. Poichè le mani sono
sufficientemente provviste di nervi e di piccoli vasi e sono esposte all'aria nello stesso modo che la
faccia od il collo, e tuttavia si coprono raramente di rossore. Noi vedremo ben presto come si possa
trovare una spiegazione probabilmente bastante, nel fatto che l'attenzione dello spirito è più
frequentemente e più intensamente rivolta alla faccia che ad altre parti del corpo.
Il rossore nelle diverse razze umane. - I piccoli vasi della faccia si riempiono di sangue in
quasi tutte le razze umane in conseguenza della vergogna, quantunque nelle razze molto oscure non
si possa osservare nessun evidente cambiamento di colore. Il rossore è spiccato in tutte le nazioni
varie dell'Europa e in un certo grado anche in quelle delle Indie orientali. Ma il signor Erskine non
ha mai osservato coprirsi di rossore il collo degli Indus. Nei Lepchas dello Sikkim il sig. Scott ha
osservato spesso un leggero rossore sulle guancie, ed alla base delle orecchie e ai lati del collo,
accompagnato dallo sguardo abbassato e dal capo piegato all'ingiù. Ciò è successo ogniqualvolta
egli scopriva in essi qualche falsità o si erano resi colpevoli d'ingratitudine. Il colore smorto d'un
pallore particolare della faccia di questa gente fa risaltare in essi il rossore molto più, che nella
maggior parte degli indigeni dell'India. Secondo le notizie del sig. Scott, la vergogna in questi
ultimi, potrebbe essere in parte anche paura, si manifesta più chiaramente al volgere e all'abbassarsi
del capo e allo sguardo che gira incerto di qua e di od è rivolto da un lato, come pure per un
qualche cambiamento di colore della pelle.
Le razze semitiche arrossiscono facilmente ed intensamente, come è da aspettarsi per la
somiglianza generale cogli Ariani. Dei Giudei sta scritto in Geremia (cap. VI, vs. 15): «Essi
vogliono essere senza macchia e non vogliono vergognarsi (arrossire)». La signora Asa Gray vide
un Arabo, il quale maneggiava poco abilmente sul Nilo il suo battello; e, poichè i suoi compagni lo
deridevano «arrossì perfettamente fino alla nuca». Lady Duff Gordon osserva, che un giovane Arabo
arrossiva quando le veniva vicino
(
265
)
.
Il signor Swinhoe vide i Cinesi arrossire, ma crede, che ciò avvenga di rado. Tuttavia hanno
l'espressione «divenir rossi per vergogna». Il signor Geach mi fa sapere, che i Cinesi emigrati in
Malacca e gli indigeni malesi dell'interno, arrossiscono. Alcune di queste genti vanno pressochè
nude e il signor Geach potè quindi osservare benissimo l'estensione del rossore nelle parti basse del
corpo. Lasciando da parte i casi, in cui fu visto coprirsi di rossore la sola faccia, il signor Geach
osservò diventar rossi per vergogna la faccia, le braccia e il petto di un Cinese di ventiquattro anni, e
un altro Cinese lo vide coprirsi di rossore per tutto il corpo, essendo interrogato, perchè non avesse
fatto meglio il proprio lavoro. Il signor Geach vide due Malesi coprirsi di rossore sulla faccia, sul
collo, sul petto e sulle braccia, e in un terzo Malese fu visto il rossore estendersi fino all'ombellico
264
()
BURGESS, op. cit., p. 114, 122; MOREAU in LAVATER, op. cit., vol. IV, p. 293.
265
()
Letters from Egypt, 1865, p. 66. Lady GORDON erra quando dice che i Malesi e i Mulatti non arrossiscono
mai.
(
266
)
.
I Polinesi arrossiscono assai. Il signor Stack ha osservato centinaia di casi fra gli abitanti della
Nuova Zelanda. Il seguente caso è degno d'essere ricordato, poichè si riferisce ad un uomo
attempato di colore straordinariamente oscuro e parzialmente tatuato. Esso, dopo aver affittato la
sua campagna ad un Inglese per una piccola rendita annuale, fu preso da una forte passione di
comperarsi una carrozza che era recentemente venuta in moda presso i Maori. A tal uopo desiderava
d'avere tutto l'affitto anticipato per quattro anni dal suo affittuale e consultò il signor Stack, se ciò
potesse fare. Quell'uomo era vecchio, cadente, povero e cencioso, e l'idea che egli possa girare
attorno facendosi ammirare nella propria carrozza, destò nel signor Stack tanta ilarità, che non potè
far a meno di scoppiare in una risata, la qual cosa «fece arrossire il pover'uomo fino alla radice dei
capelli». Forster
(
267
)
dice, che sulle guancie delle più belle donne di Tahiti «si può osservare
facilmente un rossore che va diffondendosi». Anche gli indigeni di parecchi altri arcipelaghi
dell'Oceano Pacifico furono visti arrossire.
Il signor Washington Matthews ha osservato spesso il rossore sulla faccia delle giovani
fanciulle, appartenenti a diverse razze selvagge d'Indiani dell'America settentrionale. All'estremità
opposta del continente, nella Terra del Fuoco, arrossiscono gl'indigeni, secondo le notizie del signor
Bridges, «assai, ma specialmente le donne; ma esse arrossiscono di certo anche per causa del loro
esteriore». Quest'ultima notizia s'accorda con quello che io mi ricordo di Jemmy Button della Terra
del Fuoco, il quale arrossiva, quando veniva beffeggiato per la cura che metteva nel lustrare le sue
scarpe, e nell'adornarsi in qualunque altro modo. Rispetto agli Indiani di Aymara, abitanti
sull'elevato altipiano della Bolivia, il Forbes
(
268
)
dice, essere impossibile vedere chiaramente il loro
rossore, come nelle razze bianche. «Si può però osservare, in quelle circostanze che in noi
produrrebbero rossore, sempre la stessa espressione di modestia e d'imbarazzo, e anche all'oscuro si
può constatare l'elevazione della temperatura della pelle della faccia, come succede agli Europei».
Negli Indiani che abitano le parti uniformemente calde ed umide dell'America meridionale, sembra
che la pelle non risponda all'eccitamento morale così bene come negli indigeni delle regioni
nordiche e meridionali del continente, che sono state soggette a grandi cambiamenti di temperatura;
poichè Humboldt cita, senza protestare, l'osservazione beffarda degli Spagnuoli: «Come si può
fidarsi di coloro che non possono arrossire?»
(
269
)
. Spix e Martius, parlando degli aborigeni del
Brasile, affermano, non potersi propriamente dire, che essi arrossiscano; «soltanto dopo lungo
commercio coi bianchi, e dopochè hanno ricevuto una certa educazione, abbiamo potuto osservare
negli Indiani un certo cambiamento di colore, molto espressivo per le emozioni del loro spirito»
(
270
)
.
Egli è peraltro incredibile, che la facoltà di arrossire possa esser nata in questo modo: l'abitudine a
rivolgere l'attenzione su se stessi, conseguenza della loro educazione e del nuovo loro modo di vita,
potrebbe aver sensibilmente aumentata la tendenza innata ad arrossire.
Parecchi osservatori degni di fede mi hanno assicurato, d'aver osservato sul volto dei Negri un
fenomeno simile al rossore, ad onta della colorazione nera della loro pelle, e precisamente
verificandosi circostanze che ecciterebbero in noi il rossore. Alcuni lo descrivono come un bruno
rossore; ma la maggior parte dicono che in questi casi il color nero della pelle diventa più intenso.
266
()
Il cap. OSBORN (Quedah, p. 199), parlando di un Malese che accusa di crudeltà, dice di aver sentito piacere
quando lo vide arrossire.
267
()
J. R. FORSTER, Observations during a Voyage round the World, 4°, 1778, p. 229. - WAITZ, Introd. To
Anthropology, trad. ingl. 1863, vol. I, pag. 135, dà nuove prove relative ad altre isole dell'Oceano Pacifico. - Vedi anche
DAMPIER, sul rossore dei Toncinesi (vol. II, p. 40); io non ho però veduta quest'opera. Waitz cita la testimonianza di
Bergmann per dimostrare che i Calmucchi non arrossiscono; di ciò si può dubitare, dopo quello che abbiamo detto
rispetto ai Cinesi. Egli cita anche Roth, il quale nega che gli Abissini arrossiscano. Disgraziatamente il capitano Speedy,
il quale visse a lungo fra gli Abissini, non ha risposto alla mia domanda su questo punto. Infine devo pure aggiungere
che il rajah Brooke non ha mai visto il menomo indizio di rossore nei Dyak di Borneo; e all'apposto essi stessi
affermano, che nelle condizioni le quali in noi ecciterebbero rossore «si sentono, come se il sangue si ritirasse dalla
faccia».
268
()
Transact. of the Ethnolog. Society, vol. II, 1870, p. 16.
269
()
HUMBOLDT, Personal Narrative. Engl. Transl., vol. III, p. 229.
270
()
Citato da PRICHARD, Phys. History of Mankind, quarta ediz., vol. I, 1851, p. 271.
Un afflusso maggiore di sangue nella pelle sembra accrescerne in un certo modo la nerezza del
colore; così certe malattie esantematiche fanno apparire più neri nei Negri i punti infetti della pelle,
invece di farli divenire più rossi, come avverrebbe a noi
(
271
)
. Forse potrebbe anche la pelle, resa più
tesa per il riempimento dei capillari, riflettere un colore un po' diverso da quello che rifletteva
prima. Che i capillari della faccia dei Negri si iniettino di sangue per vergogna, possiamo
ammetterlo con sicurezza, poichè una Negra perfettamente albina, descritta da Buffon
(
272
)
,
presentava una leggera tinta purpurea sulle sue guancie, quando era costretta a farsi vedere ignuda.
Cicatrici della pelle si presentano per lungo tempo bianche nei Negri, e il dott. Burgess, il quale
ebbe occasione di osservare una tale cicatrice sul volto d'una Negra, ha potuto distintamente vedere
come la cicatrice «diventasse invariabilmente rossa, ogniqualvolta le veniva rivolta la parola
d'improvviso o era incolpata di qualche insignificante mancanza»
(
273
)
. Si poteva osservare il rossore
che cominciava dalla periferia della cicatrice estendersi fino quasi al centro di essa, senza
raggiungerlo però mai. I mulatti arrossiscono spesso e fortemente, e nel far ciò si sentono scorrere
sulla faccia una corrente dopo l'altra di rossore. Questi fatti dimostrano indubbiamente che i Negri
arrossiscono, sebbene il rossore non si renda visibile sulla pelle.
I signori Gaika e Barber mi hanno entrambi assicurato che i Cafri dell'Africa meridionale non
arrossiscono mai. Ciò potrebbe solo significare, che non si può distinguere in essi alcun
cambiamento di colore. Gaika aggiunge, che i suoi connazionali posti in circostanze che farebbero
arrossire un Europeo, «si vergognano di tener alto il capo».
Quattro dei miei corrispondenti mi hanno notificato, che gli Australesi, i quali sono d'un
colore quasi così nero che quello dei Negri, non arrossiscono mai. Un quinto di essi risponde all mia
271
()
Vedi su questo punto BURGESS, op. cit., p. 32 e WAITZ, Introd. to Anthrop., trad. inglese I, 135. - MOREAU dà
una notizia dettagliata (LAVATER, 1820, tom. IV, p. 302) del rossore di una schiava negra del Madagascar, costretta
dal suo padrone a mostrare il petto nudo.
272
()
Citato da PRICHARD, Phys. History of Mankind, quarta ediz., vol. I, 1854, p. 225.
273
()
BURGESS, op. cit., p. 31. Sul rossore dei mulatti, ivi, p. 33. Io ebbi, rispetto ai mulatti, descrizioni simili.
domanda con un dubbio ed osserva che per la luridezza della loro pelle non si potrebbe rendere
visibile in essi, se non un rossore assai intenso. Tre osservatori affermano, che gli Australesi
realmente arrossiscono
(
274
)
; il signor S. Wilson aggiunge, che il rossore si rende visibile solo in
causa d'una forte emozione, e solo nel caso che la pelle non sia troppo oscura in conseguenza d'una
esposizione troppo continua, o per mancanza di nettezza. Il signor Lang risponde così: «Io ho
osservato che la vergogna è causa quasi sempre di rossore, il quale spesso si estende fino a tutto il
collo». Egli aggiunge inoltre, che la vergogna si manifesta ancora «col volgere dello sguardo ora da
una parte ora dall'altra». Essendo il signor Lang maestro in una scuola d'indigeni, egli hai fatto
probabilmente le sue osservazioni in ispecial modo su ragazzi, e noi sappiamo che essi arrossiscono
più degli adulti. Il signor G. Taplin ha visto arrossire dei meticci mezzo sangue, e dice, che gli
indigeni hanno una parola che significa vergogna. Il signor Hagenauer, uno di quelli che non hanno
mai visto gli Australesi arrossire, dice, che «li ha veduti abbassare a terra lo sguardo per vergogna»;
e il missionario signor Bulmer osserva: «Quantunque io non abbia potuto scoprire niente di simile al
rossore negli indigeni adulti, tuttavia ho osservato, che gli occhi dei fanciulli vergognosi, presentano
un aspetto simile a quello d'una superficie di acqua agitata, e pare non sappiano dove rivolgere lo
sguardo».
I fatti fin qui esposti bastano a dimostrare, che il rossore, abbia luogo o no un cambiamento di
colore, è una facoltà comune alla maggior parte e forse a tutte le razze umane.
Movimenti e gesti, che accompagnano il rossore. - Un intenso sentimento di vergogna fa
nascere in noi un forte desiderio di nasconderci
(
275
)
. Noi rivolgiamo da un lato l'intiero corpo e
specialmente la faccia, cui cerchiamo in un qualche modo di nascondere. Una persona vergognosa
può difficilmente sopportare l'incontro dello sguardo delle persone presenti, per cui quasi
invariabilmente abbassa lo sguardo o si volge da un lato guardando in alto. Poichè comunemente
esiste nello stesso tempo un forte desiderio di evitare la espressione della vergogna, così si fa un
vano tentativo di guardare direttamente in faccia la persona che fa nascere questo sentimento; e il
contrasto fra queste due opposte tendenze origine a vari movimenti d'inquietezza dell'occhio. Io
ho osservato due signore, le quali nell'arrossire, cosa che avveniva assai sovente, si erano abituate
ad un movimento che sembra oltremodo singolare, vale a dire a muovere continuamente le palpebre
con grande velocità. Un rossore intenso è talvolta accompagnato da un leggero spargimento di
lagrime
(
276
)
, ed io suppongo dipendere questo fatto ciò, che le glandule lacrimali partecipano
all'aumentato afflusso del sangue, che, come sappiamo, si precipita nei capillari delle parti vicine,
compresa la retina.
Molti scrittori, tanto antichi che recenti, hanno osservato i movimenti sopraccennati ed è già
dimostrato che gli aborigeni di parecchie regioni della terra esprimono la loro vergogna
coll'abbassare o col volger da un lato lo sguardo, oppure con movimenti agitati dei loro occhi. Esdra
esclama (cap. IX, vers. 6): «Mio Dio, io mi vergogno e tremo ad innalzare lo sguardo a te, mio
Dio!» In Isaia (cap. L, vers. 6) troviamo le parole: «Non nascosi il mio volto per vergogna». Seneca
osserva (Epistolæ, XI, 5) «che gli attori romani volendo esprimere vergogna piegano il capo,
abbassano gli occhi al suolo, ma non sono capaci di arrossire». Secondo Macrobio, che visse nel
quinto secolo (Saturnalia, l. VII, c. 11), «affermano i filosofi naturali, che la natura agitata per la
vergogna distende il sangue avanti di come un velo, poichè chi arrossisce lo vediamo spesso
portare le mani davanti al volt. Shakespeare fa dire da Marco alla nipote (Titus Andronicus, atto
II, sc. 5
a
): «Ah, tu rivolgi ora il capo per vergogna?» Una signora mi fa sapere che essa ha trovato
nell'ospitale di Lock una fanciulla, da lei già prima conosciuta, e che era diventata una perduta.
Quando essa si avvicinò a quella povera creatura, questa nascose il suo viso sotto le coltri e non si
potè convincerla a lasciarsi vedere. Noi vediamo spesso dei giovanetti i quali, essendo timidi e
274
()
Anche BARRINGTON dice, che gli Australesi del Nuovo Wales meridionale arrossiscono, v. cit. di Waitz, op.
cit., p. 135.
275
()
Il Sig. WEDGWOOD dice, Diction, of English Etymology, vol. III, 1865, p. 155) che la parola vergogna
(shame) «ha origine nell'idea di ombra e di nascondiglio e può essere illustrata dal tedesco Schemen, Schatten». -
GRATIOLET (De la Physionomie, p. 357-362) ha dato una bella descrizione dei gesti che accompagnano la vergogna;
ma alcune sue osservazioni mi sembrano fantastiche. Vedi anche BURGESS (op. cit., p. 69) sullo stesso soggetto.
276
()
BURGESS, op. cit., p. 181, 182. - BOERHAAVE (citato da GRATIOLET, op. cit., p. 361) fa cenno della
tendenza a sparger lagrime nel rossore. Come notammo, il signor Bulmer parla degli occhi umidi dei fanciulli indigeni
dell'Australia quando hanno vergogna.
vergognosi, si voltano in là e nascondono la loro faccia fra le vesti della madre o si gettano nel di lei
seno colla faccia rivolta all'ingiù.
Confusione della mente. - La maggior parte delle persone si confondono, quando arrossiscono
intensamente. Ciò è riconosciuto da espressioni molto comuni del linguaggio, come: «essa cadde in
grande imbarazzo». Le persone che si trovano in tale condizione d'animo perdono la loro presenza
di spirito e fanno delle osservazioni a sproposito. Sovente sono assai distratte, balbettano ed
eseguiscono dei movimenti stravolti o dei gesti strani. In certi casi si possono osservare contrazioni
involontarie d'alcuni muscoli della faccia. Mi ha detto una giovane signora, che va soggetta ad
intenso rossore, che essa in tali casi non sa neppure quello che si dica. Essendole stata espressa
l'opinione, che ciò sia una conseguenza del di lei dispiacere proveniente dalla coscienza che altri
osservano il di lei rossore, rispose, non poter questo essere il caso, «poichè si è sentita talvolta tanto
sciocca da arrossire, mentre era sola nella sua stanza, per un suo pensiero».
Io voglio portare un esempio d'un turbamento straordinario dello spirito, a cui vanno soggetti
certi uomini molto sensibili. Un signore, di cui posso fidarmi, mi assicura essere egli stato
testimonio oculare della seguente scena: - Fu dato un piccolo pranzo in onore d'un uomo oltremodo
timido. Quando egli si alzò per ringraziare, recitò un discorso che evidentemente aveva imparato a
memoria, restando in assoluto silenzio e senza poter pronunciare una sola parola, mentre frattanto
egli gesticolava, come se parlasse, con grande enfasi. Accorgendosi gli amici di lui come stesse la
cosa, applaudivano alla immaginaria eloquenza dell'animo, ogniqualvolta i suoi gesti indicavano
una pausa e il pover'uomo non si accorse nemmeno che aveva taciuto per tutto quel tempo. Al
contrario, disse più tardi al mio amico con molta soddisfazione, che credeva d'aversela cavata con
onore.
Quando uno è preso da forte vergogna od è molto timido ed arrossisce istintivamente, il cuore
gli batte violentemente e la respirazione gli si turba. Questo fatto non si può altrimenti spiegare che
ammettendo un'alterazione della circolazione del sangue nel cervello e fors'anco un'alterazione delle
facoltà intellettuali. Ma è dubbioso, giudicando dall'influenza ancora maggiore della collera e della
paura sulla circolazione, se con ciò noi possiamo spiegare la confusione che nasce nelle persone,
mentre arrossiscono intensamente.
La spiegazione retta sta, a quanto sembra, nell'intima simpatia esistente fra la circolazione dei
capillari della superficie del capo e della faccia con quella del cervello. Io mi rivolsi per la
spiegazione al dott. Crichton Browne, ed egli mi ha comunicato vari fatti risguardanti questo punto.
Se si taglia il nervo gran simpatico in un lato del capo, i capillari si rilassano da quella parte e si
riempiono di sangue, d'onde ne nasce un arrossamento, un riscaldamento della pelle e un
contemporaneo aumento di temperatura nell'interno di quella parte del cranio. La meningite ha per
conseguenza una grande iniezione di sangue nei vasi della faccia, delle orecchie e degli occhi. Il
primo stadio di un assalto epilettico sembra essere una contrazione dei vasi del cervello e la prima
esterna manifestazione di esso è uno straordinario pallore della faccia. La risipola del capo cagiona
ordinariamente delirio. Anche il sollievo che si ottiene nei grandi dolori di capo col mezzo d'un
forte strofinamento che aumenta il calore della pelle, suppongo abbia a dipendere dallo stesso
principio.
Il dottor Browne ha impiegato spesso coi suoi pazienti i vapori di nitrato d'etere amilico
(
277
)
, il
quale ha la proprietà speciale di provocare una intensa colorazione rossa della faccia nello spazio di
trenta a sessanta secondi. Questa colorazione rossa è simile in quasi tutti i dettagli col rossore
prodotto dalla vergogna: essa comincia in parecchi punti diversi della faccia e si distende sopra tutta
la superficie del capo, del collo e della porzione anteriore del petto. In un solo caso fu vista
estendersi fino all'addome. Le arterie della retina si allargano, gli occhi splendono e in un caso
avvenne un leggero spargimento di lagrime. I pazienti hanno dapprima delle sensazioni soavi, ma
coll'aumentare dell'intensità della colorazione nasce in essi confusione e turbamento. Una donna,
che fu sottoposta spesso al trattamento con questi vapori, afferma, che appena era riscaldata, le
sembrava d'essere avvolta come in una nebbia. Nelle persone che cominciano ad arrossire, sembra,
se si giudica dai loro occhi splendenti e dal loro contegno irrequieto, che le loro facoltà intellettuali
siano alquanto eccitate. Solo quando il rossore è eccessivo, lo spirito si confonde. Da ciò
277
()
Vedi anche gli scritti del dott. J. CRICHTON BROWNE su questo soggetto in The West Riding Lunatic
Asylum Medical Report, 1871, p. 95-98.
sembrerebbe potersi conchiudere, che i capillari della faccia, tanto nella inspirazione dei vapori di
etere amilico, come nel rossore, vengano impressionati prima della porzione del cervello che
presiede alle facoltà intellettuali.
Se all'opposto ha luogo dapprima una impressione nel cervello, la circolazione della pelle se
ne risente per azione secondaria. Il dott. Browne ha osservato, come mi disse, sovente macchie rosse
ed altre segnature sparse sul petto degli ammalati d'epilessia. Se in questi casi la pelle del petto o
dell'addome viene leggermente strofinata con un pennello o in casi molto evidenti anche solo
toccata con un dito, i punti toccati si coprono in meno di mezzo minuto di macchie rosso-pallide, le
quali si estendono per un piccolo tratto ai lati del punto toccato e persistono per parecchi minuti.
Sono queste le «macchie cerebrali» di Trousseau. Esse significano, come osserva il dott. Browne,
uno stato in alto grado modificato del sistema vascolare cutaneo. Se dunque, come non può essere
messo in dubbio, esiste un'intima simpatia fra la circolazione capillare delle parti del cervello da cui
dipendono le nostre facoltà intellettuali e quella della pelle della faccia, non dobbiamo
meravigliarci, se cause morali che provocano un intenso rossore, cagionino contemporaneamente ed
indipendentemente della loro propria influenza perturbatrice, una forte confusione dello spirito.
Cause del rossore. - Le cause del rossore sono timidezza, vergogna e modestia; l'elemento
fondamentale ne è l'attenzione rivolta su se stessi. Molte ragioni si possono addurre in sostegno
dell'idea, che originariamente questa attenzione rivolta sull'esteriore della nostra persona e
relativamente al giudizio degli altri, sia stata la causa eccitante del rossore. Lo stesso effetto s'ebbe
più tardi, in conseguenza della forza d'associazione, anche in causa dell'attenzione rivolta su se
stessi relativamente al contegno morale. Non è il semplice atto di rivolgere l'attenzione sul nostro
esteriore, che ha potere di provocare il rossore, sibbene il pensiero del giudizio che faranno gli altri
di noi. La persona più sensibile, trovandosi in solitudine assoluta, è completamente indifferente
riguardo al suo esterno. Noi siamo più sensibili al biasimo e alla disapprovazione che
all'approvazione; in conseguenza di ciò le osservazioni sprezzanti o che ci rendono ridicoli, siano
esse relative alla nostra persona o al nostro contegno, provocano molto più facilmente il rossore di
quello che non faccia la lode. Una bella ragazza arrossisce, se un uomo la guarda fisso, sebbene sia
perfettamente persuasa che egli non la sprezza. Molti fanciulli ed anche persone attempate
arrossiscono se vengono lodate. Più tardi si tratterà la questione, qual sia la causa per cui la
coscienza che altri presta attenzione alla nostra persona, determina istantaneamente un riempimento
di sangue dei vasi capillari, specialmente della faccia.
Io esporrò ora le ragioni le quali mi inducono a credere, che l'attenzione rivolta al nostro
esteriore e non al nostro contegno morale, sia stata l'elemento fondamentale dell'abitudine acquisita
di arrossire. Sono motivi insignificanti, presi isolatamente, ma considerati nell'insieme mi sembrano
d'un valore notevole. È notorio che niente fa arrossire tanto una persona timida, quanto la più
insignificante osservazione risguardante il di lei esteriore. Non si può neanche osservare il vestito
d'una donna molto inclinata ad arrossire, senza che perciò il suo viso si colori prontamente di
porpora. Basta guardare fisso certe persone, come osserva Coleridge, per farle arrossire: «Chi può,
spieghi questo fatto»
(
278
)
.
I due albini osservati dal dott. Burgess
(
279
)
arrossivano invariabilmente in un grado assai
intenso, al menomo tentativo che si faceva per esaminare le loro particolarità. «Le donne sono molto
più sensibili rispetto al loro esterno di quello che lo siano gli uomini, e specialmente le donne
attempate più degli uomini vecchi. Esse arrossiscono anche più facilmente. I giovani d'ambo i sessi
sono sotto questo rapporto molto più sensibili degli adulti ed essi arrossiscono anche molto più
facilmente dei vecchi. I ragazzi nella prima età non arrossiscono e non manifestano neppure gli altri
segni di consapevolezza, che accompagnano generalmente il rossore ed è una delle loro attrattive
principali quella che essi non pensano al giudizio che altri si fanno di loro. In questa prima età essi
possono fissare uno sconosciuto con sguardo sicuro e con occhio tranquillo come se fosse un
oggetto inanimato, in un modo che noi adulti non siamo in istato di imitare.
È chiaro ad ognuno, che i giovani dei due sessi sono in alto grado sensibili al reciproco
giudizio sul loro esterno, ed essi arrossiscono senza confronto più in presenza d'individui di sesso
278
()
Nel corso d'una dissertazione sul così detto magnetismo animale, in Table Talk, vol. I.
279
()
Op. cit., pag. 40.
diverso, che alla presenza di quelli dello stesso sesso
(
280
)
. Un giovane non facile ad arrossire,
arrossirà intensamente per una qualche insignificante e ridicola osservazione d'una ragazza
risguardante il suo esteriore, mentre non farebbe il menomo conto del giudizio della stessa sopra un
oggetto importante. Nessuna coppia felice di giovani amanti, i quali pregiano la stima e l'amore
dell'altro più di qualunque altra cosa al mondo, si è mai probabilmente dichiarato il proprio amore
senza un qualche rossore. Gli stessi barbari della Terra del Fuoco, a quanto dice il signor Bridges,
arrossiscono «principalmente di fronte alle donne, ma certamente ancora sopra il loro esteriore».
Fra tutte le parti del corpo la faccia è quella che più viene osservata e considerata, come è
naturale, essendo essa la sede principale dell'espressione e la sorgente della voce. Essa è anche la
sede principale della bellezza e della bruttezza e su tutta la terra è la parte che più s'adorna e
s'abbellisce
(
281
)
. Per questa ragione la faccia sarà stata soggetta per una lunga serie di generazioni ad
un'attenzione speciale e più profonda di quello che non lo sia stata qualunque altra parte del corpo; e
concordemente alla legge sopra accennata, possiamo comprendere perchè più d'ogni altra sia
soggetta ad arrossire. Quantunque la circostanza dell'esposizione alle alternative della temperatura,
ecc. abbia, secondo ogni probabilità, aumentata considerevolmente le facoltà di dilatazione e di
contrazione dei capillari della faccia e delle parti vicine, tuttavia ciò non basta a spiegare la tendenza
maggiore ad arrossire di queste parti di fronte al resto del corpo; poichè non spiega il fatto che le
mani arrossiscono solo assai di rado. Negli Europei, quando la faccia è coperta d'intenso rossore, si
fa sentire un leggero prudore per tutta la superficie del corpo, e in quelle razze umane che vanno
abitualmente quasi nude, il rossore si diffonde su una parte molto maggiore del corpo, che presso di
noi. Questi fatti si spiegano fino ad un certo punto, poichè l'attenzione degli uomini primitivi come
di quelle razze umane ora esistenti le quali vanno ancora ignude, non sarà stata tanto esclusivamente
limitata alla faccia, come accade ora dei popoli che usano vestirsi.
Noi abbiano veduto, che in tutte le parti della terra le persone, che sentono vergogna per una
qualche colpa morale, hanno la tendenza a volgere da una parte la loro faccia, ad abbassarla od a
nasconderla, indipendentemente da qualunque pensiero relativo al loro esterno. Lo scopo di queste
persone nel far ciò non può essere quello di nascondere il loro rossore, poichè esse voltano la loro
faccia da una parte o la nascondono in tali circostanze, che escludono ogni desiderio di nascondere
la propria vergogna, come quando confessano intieramente la loro colpa e se ne pentono. Egli è
peraltro probabile, che l'uomo primitivo ancor prima di raggiungere una grande sensibilità morale,
sia stato in alto grado sensibile per riguardo al suo esterno, almeno di fronte all'altro sesso, e in
conseguenza di ciò avrà provato dispiacere per ogni osservazione sprezzante riguardante la sua
persona. Questa è una forma della vergogna; e poichè il viso è quella parte del corpo che più è
soggetta ad essere osservata, si comprende, perchè ognuno il quale provi vergogna in causa del suo
esteriore, abbia ad avere il desiderio di nascondere questa parte del suo corpo. L'abitudine, una volta
raggiunta, si sarà conservata anche nel caso d'una sensazione di vergogna per cause unicamente
morali. Non si può facilmente comprendere in altro modo, perchè in tali circostanze debba
verificarsi ancora questo desiderio di nascondere la faccia, piuttosto che qualunque altra parte del
corpo.
L'abitudine così generale che ha ognuno, il quale provi vergogna, a voltarsi da una parte o ad
abbassare gli occhi o a muoverli irrequieto da un punto ad un altro, è probabilmente una
conseguenza di ciò, che ogni sguardo diretto alle persone presenti gli procura continuamente la
convinzione che è attentamente osservato. Ed egli tenta, col non guardare le persone presenti e
specialmente coll'evitare d'incontrarsi nel loro sguardo, di sfuggire momentaneamente a questa
penosa convinzione.
Timidezza. - Questo meraviglioso stato dell'animo, detto anche peritanza o falsa vergogna e
chiamata dai Francesi mauvaise honte, sembra essere una delle cause più attive del rossore. La
timidezza si fa conoscere principalmente per il rossore della faccia, il volgere o l'abbassare degli
occhi e per particolari movimenti nervosi e stravolti del corpo. Certe donne arrossiscono per questa
causa forse centinaia o migliaia di volte su una sola, in cui arrossiscono in causa d'una loro azione
280
()
Il sig. BAIN osserva (The Emotions and the Will, 1865, p. 65) riguardo alla timidezza delle maniere, che essa
«deve la sua origine al contatto dei due sessi o all'influenza dell'attenzione reciproca, e precisamente in conseguenza del
timore di ambe le parti, di non convenirsi a vicenda».
281
()
Vedi le prove su questo soggetto: Origine dell'Uomo, 535.
vergognosa e di cui sentono realmente vergogna. La timidezza sembra dipendere dalla nostra
sensibilità di fronte al giudizio altrui, sia esso buono o cattivo, risguardante specialmente il nostro
esteriore. La consapevolezza di avere qualche cosa di particolare o solo di nuovo nel vestito, oppure
qualche insignificante punto difettoso nella persona e specialmente nella faccia - punti che
richiamano facilmente l'attenzione degli stranieri - rende il timido d'una peritanza insopportabile.
D'altro lato, noi siamo molto più inclinati alla timidezza in presenza di persone conosciute, il di cui
giudizio noi stimiamo in un certo grado, piuttostochè alla presenza di estranei, in quei casi in cui si
tratti del nostro contegno e non del nostro esteriore. Un medico mi raccontò il caso d'un giovane e
ricco duca, in di cui compagnia aveva viaggiato come medico, il quale arrossiva come una ragazza,
ognivolta che gli pagava il suo onorario. Tuttavia, questo giovane non avrebbe probabilmente
arrossito e non sarebbe divenuto vergognoso, pagando il conto ad un negoziante. Alcune persone
sono tanto sensibili, che il solo atto del parlare quasi con qualunque persona è bastante, per destare
la loro consapevolezza, e un leggero rossore ne è il risultato.
Il biasimo o il ridicolo desta, per la nostra sensibilità in questo punto, vergogna e rossore
molto più facilmente della lode, quantunque anche quest'ultima sia molto attiva in certe persone. Il
presuntuoso è di raro timido, poichè si stima troppo, per potersi aspettare disprezzo. Perchè un
orgoglioso sia spesso timido, come sembra esserne il caso, non è egualmente chiaro, se non fosse
perchè con tutta la sua fiducia di sè, ci tiene però molto in realtà all'opinione degli altri, sebbene in
un senso di disprezzo. Le persone straordinariamente peritose lo sono assai di rado in presenza di
coloro con cui hanno perfetta confidenza e della cui buona opinione e simpatia sono perfettamente
sicure, per es. una ragazza alla presenza della di lei madre. Io ho dimenticato nei miei quesiti
stampati d'indagare, se la timidezza si possa scoprire nelle diverse razze umane. Però un Indù
educato assicurò il signor Erskine che essa è evidente nei suoi connazionali.
Come lo dimostra la derivazione della parola in parecchie lingue
(
282
)
, la timidezza è molto
affine alla paura. Però essa è diversa dalla paura nel senso ordinario di questa parola. Un uomo
timido teme senza dubbio l'osservazione di estranei, ma non si può dire che abbia di essi paura. Può
essere coraggioso, come un eroe, nella battaglia e tuttavia nelle piccole cose non ha alcuna
confidenza in alla presenza d'estranei. Quasi ognuno è straordinariamente nervoso quando parla
per la prima volta in pubblico e la maggior parte degli uomini restano tali per tutta la vita. Ciò
sembra però dipendere dalla consapevolezza di una grande tensione dello spirito che hanno ancora a
sostenere e dagli associati influssi sul corpo, piuttostoc da timidezza
(
283
)
, quantunque un uomo
pauroso o timido soffra senza dubbio in tali circostanze molto più d'un altro. Nei fanciulli di tenera
età è molto difficile distinguere fra paura e timidezza. Quest'ultimo sentimento mi è parso però
sovente assumere in essi almeno parzialmente il carattere di selvatichezza simile ad un animale non
addomesticato. La timidezza si manifesta in età assai tenera. In un mio figlio dell'età di due anni e
tre mesi, ebbi ad osservare una traccia di ciò che parve sicuramente timidezza, e precisamente di
fronte a me stesso, che era stato assente da casa una sola settimana. Ciò si manifestò non solo pel
rossore che gli salì al viso, ma anche per ciò che egli volse per alcuni minuti gli occhi da me. Io ho
osservato in altre circostanze la timidezza e la vera vergogna manifestarsi negli occhi di piccoli
ragazzi, che non avevano ancora conseguita la facoltà di arrossire.
Poichè la timidezza sembra dipendere dall'attenzione rivolta su se stessi, noi possiamo
comprendere, quanto abbiano ragione coloro i quali asseriscono che lo sgridare i fanciulli per la loro
timidezza, invece di giovare in qualche modo ad essi, apporta loro danno, poichè fa sì che essi
rivolgano la propria attenzione su se stessi ancora più intensamente. Si è notato molto a proposito,
che «niente più nuoce ai giovani quanto l'essere costantemente osservati nei loro sentimenti, e il
sapere esaminato il loro volto e misurato il grado della loro sensibilità dal vigile ed inesorabile
occhio dell'osservatore. Sotto l'incubo di tali esami essi non possono pensare ad altro se non che
sono osservati, e non avere altro sentimento se non di vergogna e di inquietudine»
(
284
)
.
282
()
H. WEDGWOOD, Diction. English Etymology, vol. III, 1865, p. 184; lo stesso vale per il latino verecundus.
283
()
Il signor BAIN (The Emotions and the Will, p. 64) ha parlato della timidezza prodottasi in tali circostanze, e
del panico degli attori non abituati alla scena. Sembra che il signor Bain attribuisca questi sentimenti a semplice
inquietudine o timore.
284
()
Essays on Pratical Education, per MARIA e R. L. EDGEWORTH, nuova ediz., vol. II, 1822, p. 38. - Il dott.
BURGESS (op. cit., p. 187) fa risaltare molto bene questo punto.
Cause morali: Colpa. - Nel rossore dipendente da cause strettamente morali riscontriamo lo
stesso principio fondamentale di prima, vale a dire il riguardo al giudizio altrui. Non è la coscienza
che provoca il rossore; poichè un uomo può provare vero rincrescimento d'un fallo insignificante
commesso nella solitudine, oppure può sentire i più acuti rimorsi di coscienza in causa d'un delitto
non scoperto, e tuttavia non arrossirà. «Io arrossisco, dice il dott. Burgess
(
285
)
, in presenza del mio
accusatore». Non è la coscienza della colpa, ma il pensiero che altri ci tengono per colpevoli o
sanno che noi lo siamo, che ci fa salire il rossore alla faccia. Una persona può provare profonda
vergogna d'aver detto una piccola bugia, senza arrossire; ma se egli anche solo suppone d'essere
scoperto, arrossirà all'istante, specialmente se è scoperto da persona da lui stimata.
D'altro lato, una persona può essere persuasa che Dio sia testimonio di tutte le sue azioni, e
può avere la coscienza profonda del suo fallo e dimandarne perdono; ma ciò non provocherà mai
rossore, come pensa una signora, che arrossisce spesso ed intensamente. La differenza fra l'effetto
della coscienza che Dio conosce le nostre azioni e quella che le conoscono gli uomini sta, come io
credo, in ciò, che la disapprovazione degli uomini per un'azione immorale è per sua natura alquanto
affine al disprezzo del nostro esteriore, così che ambedue per associazione conducono agli stessi
risultati, mentre la disapprovazione di Dio non richiama una simile associazione.
Più d'una persona arrossì intensamente essendo stata accusata d'un delitto, di cui era
perfettamente innocente. Fino il pensiero (come ha osservato contro di me la su nominata signora),
che altri possano ritenere, che noi abbiamo fatto una osservazione poco cortese o sciocca, è
sufficiente per produrre il rossore, quantunque noi siamo persuasi d'essere stati assolutamente
fraintesi. Un'azione, sia essa meritevole o di natura indifferente, può essere causa di rossore in una
persona sensibile, se essa suppone soltanto che altri la pensino diversamente. Per esempio, una
signora quando è sola può donare del danaro ad un mendico, senza traccia di rossore; ma se altri
sono presenti ed essa dubita della loro approvazione, ovvero s'immagina che essi possano credere
ch'ella sia determinata a ciò fare dal desiderio di farsi vedere, essa arrossirà. Sarebbe lo stesso caso,
quando essa si offrisse di alleviare la miseria d'una donna decaduta di buona famiglia, specialmente
d'una conosciuta in migliori circostanze, poichè non è sicura del come verrebbe interpretata la sua
azione. Ma tali casi s'avvicinano alla timidezza.
Violazione delle leggi di convenzione. - Le leggi di convenzione sono sempre relative al
nostro contegno nei rapporti con altre persone. Esse non hanno alcun nesso col senso morale e sono
spesso insignificanti. Ma poichè esse dipendono dall'uso stabilito dai nostri eguali e superiori, la di
cui stima noi teniamo in alto pregio, così si considerano quasi altrettanto obbligatorie, quanto lo
sono le leggi dell'onore per un uomo civile. In conseguenza di ciò una lesione delle leggi di
convenzione, vale a dire un atto scortese, un'azione impropria o un'osservazione sconveniente,
anche se accidentale, provoca il rossore più intenso, di cui un uomo sia capace. Perfino la
ricordanza d'un tale atto dopo molti anni determina un calore e un prudore su tutto il corpo. E la
forza della simpatia è così forte, che una persona sensibile, come mi assicura una signora, talvolta
arrossisce per una evidente lesione delle leggi di convenienza commessa da una persona
perfettamente estranea, sebbene l'azione non la riguardi in alcun modo.
Modestia. - La modestia è un'altra causa potente del rossore. Però la parola modestia
racchiude in condizioni dell'animo assai diverse. Essa comprende l'umiltà, che noi deduciamo
spesso da ciò, che una persona prova grande piacere ed arrossisce per una lode insignificante,
oppure da ciò che una lode esercita su di essa una impressione penosa, poichè le sembra troppo
superiore al merito dietro l'umile stregua del proprio giudizio. Il rossore ha in questo caso il
significato solito della stima dell'opinione altrui. La modestia è pure spesso relativa ad atti
d'indelicatezza, e la delicatezza è una legge di convenzione, come lo vediamo evidentemente nei
popoli che vanno completamente o quasi nudi. Chi è costumato ed arrossisce facilmente per azioni
di tal natura, lo fa, perchè esse sono lesioni d'una stabile e savia legge di convenienza. Ciò è provato
in fatto dalla derivazione della parola modestus da modus, regola del nostro contegno. Un rossore in
conseguenza di questa forma di modestia diventa spesso assai intenso, poichè si riferisce
ordinariamente all'altro sesso, e abbiamo visto, come in tutti i casi questa circostanza aumenti la
nostra inclinazione al rossore. Noi chiamiamo modeste quelle persone che hanno una bassa
opinione di sè, oppure sono estremamente impressionabili per una parola o un atto indelicato o
285
()
Op. cit., p. 50.
scostumato, e ciò, a quanto sembra, per la semplice ragione che in ambo i casi esse si coprono
facilmente di rossore; poichè del resto questi due stati dell'animo non hanno nulla di comune fra
loro. Per la stessa ragione si scambia spesso erroneamente la timidezza colla modestia nel senso di
umiltà.
Alcune persone arrossiscono spesso subitaneamente, per un'ingrata ricordanza che si desta
all'improvviso nella loro mente, come ho osservato io stesso e come mi fu assicurato anche da altri.
La causa più frequente sembra essere il ricordarsi all'improvviso di non aver fatta una cosa che si
aveva promesso di fare per un'altra persona. In questo caso sarebbe forse il pensiero «che cosa
penserà essa di me», che passa quasi inconsciamente per la mente? Se così fosse, il rossore che ne
nasce sarebbe della stessa natura di quello cagionato dalla vergogna. È però molto dubbio, se simili
fenomeni di rossore siano nella maggior parte dei casi effetto d'una modificazione della circolazione
capillare; poichè dobbiamo ricordare, che quasi ogni forte sentimento, per es. collera o gioia intensa,
esercita un'influenza sul cuore e produce rossore della faccia.
Il fatto, che si può arrossire in solitudine assoluta, sembra essere contrario all'opinione da noi
espressa che l'abitudine dell'arrossire ripeta la sua primitiva origine dal pensiero del giudizio che gli
altri si fanno di noi. Parecchie signore, che vanno soggette ad arrossire di frequente ed
intensamente, sono d'opinione unanime rispetto alla solitudine, ed alcune di esse credono di aver
arrossito all'oscuro. In seguito a quello che ha narrato il sig. Forbes riguardo agli Aymara, e per le
mie stesse sensazioni, non ho alcun dubbio che quest'ultima affermazione non sia giusta.
Shakespeare s'inganna adunque, quando fa dire da Giulia, che non è neanche sola, a Romeo (atto II,
sc. 2
a
): «Tu lo sai, la notte vela il mio volto, se ciò non fosse il rossore di vergine colorirebbe le mie
guancie per ciò che ti dissi or ora». Ma il rossore prodotto nella solitudine ripete la sua causa quasi
sempre dal pensiero d'altri a nostro riguardo per atti che abbiamo eseguiti alla loro presenza o da
loro immaginati; oppure arrossiamo, quando riflettiamo a ciò che altri avrebbe pensato di noi, se
avesse avuto notizia d'una qualche nostra azione. Ciò nullameno uno o due de' miei corrispondenti
credono d'avere arrossito per azioni che in nessun modo possono riguardare gli altri. Se così è, noi
dobbiamo attribuire un tale risultato alla potenza di un'abitudine radicata e all'associazione di uno
stato d'animo analogo a quello che comunemente provoca rossore. per questo dobbiamo
meravigliarci, se pensiamo che la sola simpatia per un'altra persona che ha commesso un'evidente
lesione delle leggi di convenienza è sufficiente, come abbiamo veduto poco fa, a provocare talvolta,
come molti ritengono, il rossore.
lo vengo finalmente alla conclusione che il rossore, dipenda esso da timidezza o da vergogna
per una vera colpa, oppure da vergogna per una mancanza alle leggi della convenienza, ovvero da
modestia dipendente da umiltà o da morigeratezza offesa per un atto indelicato o scostumato, è in
tutti i casi determinato dallo stesso principio, e questo principio è una viva suscettibilità per
l'opinione e specialmente per la disapprovazione o disprezzo d'altri, risguardante, almeno in origine,
il nostro esteriore, ed in ispecie la nostra faccia, e in seconda linea per forza dell'associazione e
dell'abitudine per riguardo all'opinione altrui sul nostro contegno.
Teoria del rossore. - Noi passiamo ora ad esaminare, perchè l'idea che gli altri pensano
qualche cosa di noi, debba modificare la circolazione dei nostri capillari. Il sig. C. Bell osserva
(
286
)
che il rossore «è un mezzo particolare per l'espressione dei nostri interni sentimenti, come si può
dedurre dal fatto che la colorazione si estende solo alla superficie della faccia, del collo e del petto,
in una parola, alle parti più esposte. Non è una facoltà acquisita ma originaria». Il dottor Burgess
crede che il rossore sia stato dato dal Creatore «perchè l'anima possa avere la sovrana potenza di
rappresentare sulle guancie le varie interne emozioni di senso morale», e affinchè ciò serva a noi
d'ostacolo e agli altri d'avviso, se noi portiamo lesione a quelle leggi, che dovrebbero essere
scrupolosamente osservate. Gratiolet osserva: «Or, comme il est dans l'ordre de la nature que l'être
social le plus intelligent soit aussi le plus intelligible, cette faculté de rougeur et de pâleur qui
distingue l'homme, est un signe naturel de sa haute perfection».
All'opinione, che il rossore sia stato dato dal Creatore ad uno scopo speciale, si oppone la
teoria generale dell'evoluzione, al presente tanto generalmente accettata. Ma non sta qui nel mio
intendimento di trattenermi in argomentazioni sulla questione generale. Coloro che credono ad uno
286
()
BELL, Anatomy of Expression, p. 95. - BURGESS, riguardo al citato che segue, op. cit., p. 49. -
GRATIOLET, De la Physionomie, p. 94.
scopo, potranno assai difficilmente spiegarsi perchè la timidezza sia la causa più frequente e più
attiva del rossore, poichè fa soffrire la persona che arrossisce, come mette in imbarazzo lo
spettatore, senza che ciò apporti la menoma utilità ad alcuno dei due. Essi troveranno ancora assai
difficile la spiegazione del fatto che i Negri e le altre razze umane di colore oscuro arrossiscono,
quantunque sia poco o nulla evidente il cambiamento di colore della loro pelle.
Senza dubbio il viso d'una fanciulla suffuso d'un leggero rossore appare più bello, e le donne
circasse che hanno la facoltà di arrossire sono senza eccezione più pregiate nel serraglio del sultano,
di quelle meno sensibili
(
287
)
. Tuttavia anche colui che crede fermamente all'azione dell'elezione
sessuale, difficilmente ammetterà che il rossore sia stato acquisito come un ornamento sessuale.
Questa opinione sarebbe in opposizione a quanto fu detto poco fa del rossore delle razze umane
colla pelle di colore oscuro, in cui un cambiamento di colore non è manifesto.
L'ipotesi che a me sembra più probabile, sebbene possa parere precipitata, si è che l'attenzione
diretta fissamente su una parte qualunque del corpo tenda a turbare l'ordinaria e tonica contrazione
delle piccole arterie di quella parte. In conseguenza di ciò, in tali circostanze quei vasi si rilassano
più o meno e si riempiono istantaneamente di sangue arterioso. Questa tendenza sarà stata rafforzata
in alto grado, se l'attenzione sia stata diretta spesso e per molte generazioni sulla stessa parte del
corpo, e precisamente perchè la forza nervosa scorre più facilmente per canali spesso usati e per il
principio d'eredità. Ogniqualvolta noi crediamo che altri sprezzi il nostro esteriore o anche soltanto
lo osservi, la nostra attenzione si dirigerà vivamente sulle parti esterne e visibili del nostro corpo, e
di tutte queste parti la più sensibile è senza dubbio la faccia, come lo deve essere stata per molte
delle trascorse generazioni. Se noi dunque ammettiamo pel momento che i capillari possano sentire
l'influenza d'una viva attenzione, quelli della faccia sarebbero diventati nel più alto grado sensibili.
Per la forza d'associazione tenderanno a prodursi gli stessi effetti tutte le volte che noi pensiamo
essere le nostre azioni o il nostro carattere dagli altri osservato e giudicato.
Poichè il fondamento della nostra teoria sta in ciò che l'attenzione del nostro spirito possa
avere una certa influenza sulla circolazione dei capillari, sarà necessario che noi esponiamo una
gran copia di dettagli, che più o meno direttamente si riferiscono a questo punto. Parecchi
osservatori
(
288
)
, i quali per la loro lunga esperienza e per le varie cognizioni sono in grado eminente
capaci di formarsi un giudizio giusto, sono persuasi che l'attenzione o la consapevolezza (come si
esprime il sig. Henry Holland, che crede quest'ultima espressione più propria), quando venga
concentrata l'attenzione su quasi ogni parte del corpo, eserciti una certa diretta influenza tanto sui
muscoli involontari come sui volontari, se questi involontariamente entrano in azione; lo stesso vale
per la secrezione delle glandule, per l'attività dei sensi e delle sensazioni, e perfino per la nutrizione
delle parti.
È noto che i movimenti involontari del cuore sono modificati, se ad essi si rivolge attivamente
l'attenzione. Gratiolet
(
289
)
racconta il caso d'un uomo, il quale, coll'osservare costantemente e col
numerare i battiti del suo polso, fece che alla fine un battito su sei era sempre eliminato. D'altro
canto, mi raccontò mio padre il caso d'un accurato osservatore affetto senza dubbio da una malattia
di cuore, per cui anche morì, il quale affermava in modo positivo che il suo polso era di solito
straordinariamente irregolare, e tuttavia con suo grande dispiacere diventava sempre e senza
eccezione regolare, ogni volta che mio padre entrava nella sua stanza. Sir Henry Holland osserva
(
290
)
287
()
Sull'autorità di Lady Mary Wortley Montague; vedi BURGESS, op. cit., p. 43.
288
()
In Inghilterra fu, come io credo, sir H. HOLLAND il primo a scrivere dell'influenza dell'attenzione del nostro
spirito sulle varie parti del corpo, nelle sue Medical Notes and Reflections, 1839, p. 64. Questo scritto fu ristampato
assai più esteso dallo stesso sir H. HOLLAND nei suoi «Chapters on Mental Physiology,» 1858, p. 79, dalla quale
opera io tolgo le mie citazioni. Press'a poco nello stesso tempo e poi anche più tardi trattò dello stesso soggetto il prof.
LAYCOCK; vedi Edinburgh Medical and Surgical Journal, 1839, luglio, p. 17-22; vedi anche il di lui Treatise on the
Nervous Diseases of Women, 1840, p. 110, e Mind and Brain, vol. II, 1860, p. 327. Le idee del dottor Carpenter sul
mesmerismo tendono allo stesso punto. L'illustre fisiologo Johannes MÜLLER scrisse dell'influenza dell'attenzione sui
sensi: Handbuch der Physiologie des Menschen, trad. ingl., volume II, 1840, pp. 937, 1085. - Sir James PAGET trattò
dell'influenza dello spirito sulla nutrizione degli organi nelle sue Lectures on Surgical Pathology, 1853, vol. I, p. 39. Le
mie citazioni sono tolte dalla terza edizione riveduta dal prof. Turner, 1870, p. 28; vedi pure GRATIOLET, De la
Physionomie, p. 283-287.
289
()
De la Physionomie, p. 283.
290
()
Chapters on Mental Physiology, 1858, p. 111.
che «l'influenza subita dalla circolazione d'una determinata parte del corpo, in conseguenza
dell'attenzione rivolta istantaneamente e concentrata su di essa, si manifesta spesso ed
immediatamente». Il prof. Laycock, che ha rivolto in modo speciale la sua attenzione a fenomeni di
questo genere
(
291
)
, fa notare che, «se l'attenzione viene rivolta ad una determinata parte del corpo, la
innervazione e la circolazione vengono localmente eccitate e sviluppata la funzionale attività di
quella parte».
È universalmente ammesso che i movimenti peristaltici degli intestini possono essere
influenzati dall'attenzione rivolta periodicamente su di essi, e questi movimenti sono determinati
dalla contrazione dei muscoli lisci ed involontari. L'azione anormale dei muscoli volontari
nell'epilessia, nel ballo di san Vito e nell'isterismo è, come si sa, influenzata dalla aspettazione di un
accesso, come pure dalla vista d'altri pazienti analoghi
(
292
)
. Lo stesso vale anche per gli atti
involontari dello sbadiglio e del riso.
Certe glandule vengono intensamente influenzate dal pensiero che si rivolge ad esse, oppure
dalle condizioni sotto le quali esse vengono abitualmente eccitate. Questo fenomeno è notissimo
riguardo alla saliva, di cui s'aumenta la secrezione, quando per es. si presenta in modo vivace alla
mente l'idea d'un frutto intensamente acido
(
293
)
. Nel sesto capitolo di quest'Opera fu dimostrato che
un desiderio serio e continuo di diminuire l'attività delle glandule lagrimali, oppure di aumentarla,
non è senza effetto. Furono comunicati alcuni casi meravigliosi risguardanti donne, della influenza
dello spirito sopra le glandule mammarie e, ciò che è ancor più meraviglioso, sulle funzioni uterine
(
294
)
.
Se noi rivolgiamo tutta la nostra attenzione sopra un senso determinato, si aumenta l'acutezza
di esso
(
295
)
, e l'abitudine continua dei ciechi di concentrare la loro attenzione sull'udito, o dei ciechi e
sordi di concentrarla sul tatto, sembra sviluppare la finezza del senso in questione in modo
permanente. Giudicando dalle facoltà delle diverse razze umane; sembra essere fondata l'opinione
che queste influenze siano ereditarie. Se ci rivolgiamo alle sensazioni comuni, è un fatto noto che il
dolore diventa più acuto, quando si rivolge ad esso l'attenzione; e il signor Benj. Brodie va ancora
più oltre, ammettendo che si possa sentire dolore in ogni parte del corpo, purchè si concentri su esso
tutta l'attenzione
(
296
)
. Sir Henry Holland osserva pure che noi non solo acquistiamo la coscienza
dell'esistenza d'una data parte del corpo, sottoposta ad una concentrata attenzione, ma che
percepiamo nella stessa anche diverse e meravigliose sensazioni; come di peso, di caldo, di freddo,
di punture e di prudore
(
297
)
.
Infine alcuni fisiologi affermano che lo spirito possa influenzare la nutrizione delle parti. Sir J.
Paget ha comunicato un caso meraviglioso della potenza non dello spirito, ma del sistema nervoso,
sui capelli. Una signora che soffre di mali di capo, del così detto nervoso, trova sempre nella
mattina susseguente ad uno di tali accessi, che alcuni punti della sua capigliatura sono diventati
bianchi, quasi fossero cospersi di polvere d'amido. Il cambiamento nasce in una notte, e pochi giorni
dopo i capelli riprendono gradatamente il loro colore bruno-scuro
(
298
)
.
291
()
Mind and Brain, vol. II, 1860, p. 327.
292
()
Chapters on Mental Physiology, p. 104-106.
293
()
Vedi sopra questo punto GRATIOLET, De la Physionomie, p. 287.
294
()
Il dott. CRICHTON BROWNE è persuaso, dietro sue proprie osservazioni fatte sui dementi, che l'attenzione
concentrata per lungo tempo in una parte del corpo o sopra un organo finisce per modificare la circolazione capillare e
la nutrizione di quella parte o di quell'organo. Egli mi ha comunicato alcuni casi singolari; uno di essi, che qui non può
essere raccontato nei suoi particolari, riguarda una sposa di cinquant'anni, la quale ebbe per lungo tempo erroneamente
la più ferma persuasione d'essere incinta. Quando s'avvicinò il tempo prefisso, essa si contenne esattamente come se si
fosse sgravata d'un figlio, e parve ch'essa provasse dolori straordinari, cosicchè il sudore le stava sulla fronte. Il risultato
fu uno stato di cose, il quale era stato sospeso durante i sei anni precedenti, e che durò tre giorni. Il sig. BRAID racconta
nel suo libro Magic, Hypnotism, ecc., 1852, p. 95, e in altre opere, casi analoghi ed altri fatti, i quali dimostrano
l'influenza grande della volontà sulle glandule mammarie, perfino su quella d'un solo lato.
295
()
Il dott. MAUDSLEY ha (The Physiology and Pathology of Mind, seconda ediz., 1868, p. 105) in seguito a
buone osservazioni, pubblicato dei dati meravigliosi relativi al miglioramento del senso del tatto mediante l'uso e
l'attenzione. È degno di nota, che se questo senso ha con questo mezzo guadagnato in perfezione in una data parte del
corpo, per es. in un dito, esso si è perfezionato nello stesso modo anche nell'altro lato del corpo.
296
()
The Lancet, 1838, p. 39-40, citato dal prof. LAYCOCK, Nervous Diseases of Women,1840, p. 110.
297
()
Chapters on Mental Physiology, 1858, p. 91-93.
298
()
Lectures on Surgical Pathology, terza ed., riveduta dal prof. TURNER, 1870, p. 28, 31.
Da quanto abbiamo esposto apparisce chiaramente che un'attenzione intensa modifica certe
parti ed organi del corpo, che non sono propriamente soggetti al controllo della volontà. Con quai
mezzi si produca l'attenzione - forse la più meravigliosa delle facoltà dello spirito - è un punto assai
oscuro. A credere a Giovanni Müller
(
299
)
, il processo per cui le cellule sensitive del cervello sono
rese suscettibili per forza della volontà a ricevere e conservare le impressioni intensamente e
distintamente, è molto analogo a quello per cui le cellule motrici sono eccitate ad inviare la corrente
nervosa ai muscoli volontari. Si hanno molti punti analoghi nell'attività delle cellule sensitive e
motrici del sistema nervoso, per es. il fatto, universalmente conosciuto, che la continuata attenzione
concentrata in un dato senso produce stanchezza, come la tensione lungamente protratta di un
qualche muscolo
(
300
)
. Se quindi noi concentriamo volontariamente la nostra attenzione su una parte
qualunque del nostro corpo, le cellule del cervello, che ricevono impressioni e sensazioni da questa
parte, verranno probabilmente eccitate ad agire in modo non peranco conosciuto. Ciò potrebbe
spiegare come senza una manifesta alterazione nella parte su cui è rivolta intensamente la nostra
attenzione, possano manifestarsi o rafforzarsi un dolore od altre particolari sensazioni.
Se poi questa parte del corpo è provveduta di muscoli, non possiamo essere sicuri, come me
l'ha fatto osservare il signor Michael Foster, che non venga trasmesso inconsciamente un qualche
piccolo impulso a quei muscoli, ciò che cagionerebbe probabilmente un'oscura sensazione nella
parte.
In un grande numero di casi, come nelle glandule salivali e lagrimali, nell'intestino, ecc., la
influenza dell'attenzione sembra consistere principalmente, oppure, come alcuni fisiologi credono,
esclusivamente in ciò, che il sistema vaso-motore è in tal modo modificato da permettere l'afflusso
d'una più grande quantità di sangue nei capillari della parte in questione. Questa aumentata attività
dei capillari può essere combinata in certi casi coll'aumentata attività, che contemporaneamente si
verifica, del sensorio.
Il modo con cui lo spirito influisce sul sistema vaso-motore può concepirsi nella maniera
seguente. Se noi gustiamo un frutto acido, un'impressione sarà trasmessa dai nervi del gusto ad una
parte determinata del sensorio. Questo trasmette forza nervosa al centro vaso-motore, il quale in
conseguenza di ciò permetterà alle parti muscolose delle piccole arterie che si ramificano nelle
glandule salivali, di rilassarsi. In causa di questo rilassamento, maggior copia di sangue affluirà in
queste glandule, ed esse secerneranno una maggior quantità di saliva. Ora sembra non essere
improbabile, che quando noi riflettiamo intensamente sopra una sensazione, quella stessa parte del
sensorio o una parte con essa intimamente legata venga posta in uno stato di attività, nello stesso
modo come se noi provassimo di fatto la sensazione. Se è così, le stesse cellule del cervello
verranno eccitate, forse in un grado minore, quando noi pensiamo intensamente ad un sapore acido
come se in realtà ne avessimo la sensazione, ed esse in un caso come nell'altro trasmetteranno forza
nervosa alle parti centrali del sistema vaso-motore e cogli identici risultati.
Darò un altro esempio sotto un certo riguardo ancora più evidente: se un uomo sta presso un
ardente fuoco, il suo viso si arrossa. Ciò sembra essere, come mi fa sapere il signor Michael Foster,
in parte una conseguenza dell'azione locale del calore, e in parte di un fenomeno riflesso dipendente
dai centri vaso-motori
(
301
)
. In questo ultimo caso il calore agisce sui nervi della faccia; questi
trasmettono un'impressione alle cellule sensitive del cervello, le quali agiscono sulla parte centrale
del sistema vaso-motore, e questo reagisce sulle piccole arterie della faccia, ne produce il
rilassamento, in causa del quale esse si riempiono di sangue. Anche qui sembra non improbabile
che, se noi concentriamo vivamente e ripetutamente la nostra attenzione sulla ricordanza del calore
della nostra faccia, la stessa parte del sensorio che ci procura la coscienza del vero calore, venga
eccitata in un certo grado, e in conseguenza di ciò possa essere trasmessa una certa quantità di forza
nervosa alle parti centrali del sistema vaso-motore, per cui i capillari della faccia si dilatano.
Avendo gli uomini concentrata per una lunghissima serie di generazioni, spesso ed intensamente la
loro attenzione sul loro esteriore e specialmente sulla faccia, la incipiente tendenza dei vasi capillari
299
()
Handbuch der Physiologie des Menschen, Bd. 2, 1840, S. 97.
300
()
Il prof. LAYCOCK ha discusso questo punto in un modo assai interessante. Vedi le sue Nervous Diseases of
Women, 1840, p. 110.
301
()
Sull'azione del sistema vaso-motore, si consulti eziandio una interessante lettura del signor Michael FOSTER,
fatta dinanzi alla Royal Institution, tradotta nella Revue des Cours Scientifiques, 25 set. 1869, p. 683.
della faccia ad essere in tal modo modificati sarà stata col tempo rafforzata in un modo significante,
in forza dei principii poco prima accennati: vale a dire la facilità con cui la forza nervosa percorre i
canali messi spesso in azione, e l'abitudine ereditaria. Mi sembra essere questa una spiegazione
plausibile dei fatti caratteristici concomitanti l'atto del rossore.
Ricapitolazione. - Uomini e donne, e specialmente i giovani, hanno sempre tenuto in alto
pregio l'esteriore della propria persona ed hanno nello stesso modo osservato l'esteriore degli altri.
La faccia è stata soggetta ad essere osservata. La nostra attenzione su noi stessi è determinata quasi
esclusivamente dall'opinione degli altri; poichè nessun uomo vivente in solitudine assoluta vorrebbe
prendersi cura del suo esterno. Ogni persona è molto più sensibile al biasimo che alla lode. Tostochè
noi sappiamo o immaginiamo che altri abbia in isprezzo il nostro esteriore, la nostra attenzione si
dirige assai intensamente su noi stessi e più specialmente sulla nostra faccia. Il probabile effetto di
ciò sarà, come pocanzi fu spiegato, che la parte del sensorio a cui mettono capo i nervi sensitivi
della faccia, sia posta in azione; e quella parte reagirà col mezzo del sistema vaso-motore sui
capillari della faccia. Per effetto della ripetizione durante innumerevoli generazioni, questo processo
sarà entrato in associazione colla credenza, che altri si occupino di noi, in un modo tanto abituale,
che basterà la semplice supposizione del loro disprezzo, perchè i capillari si rilassino, senza che
siamo consapevoli di alcun pensiero relativo alla nostra faccia. Per alcune persone assai suscettibili
basta che altri diriga la propria attenzione sul loro vestito, perchè si ottenga lo stesso effetto. Per la
forza d'associazione e dell'eredità, i nostri capillari si dilatano ancora, quando veniamo a conoscenza
o c'immaginiamo che qualcheduno anche in silenzio biasimi le nostre azioni, i nostri pensieri o il
nostro carattere, oppure quando veniamo altamente lodati.
Col mezzo di questa ipotesi noi veniamo a comprendere perchè la faccia si copra di rossore
molto più che qualunque altra parte del corpo, sebbene l'intiera superficie di esso venga in un certo
grado modificata, in ispecial modo in quelle razze che vanno ancora quasi nude. Non è niente
affatto strano ed incomprensibile che le razze colla pelle di colore oscuro arrossiscano, quantunque
sulla pelle di esse non si renda evidente alcun cambiamento di colore. Per la forza del principio
d'eredità si comprende ancora perchè le persone nate cieche arrossiscano. Noi possiamo spiegarci
perchè i giovani siano molto più soggetti al rossore che i vecchi, e le donne più degli uomini, e
perchè la presenza d'individui di sesso opposto provochi in modo speciale un rossore reciproco.
Diventa chiaro perchè gli appunti personali determinino con speciale facilità il rossore, e perchè la
più prepotente causa di esso sia la timidezza. Imperocchè la timidezza ha riguardo alla presenza o
all'opinione di altri, e i timidi sono sempre più o meno consapevoli di sè. Riguardo alla vera
vergogna quale conseguenza di colpe morali, possiamo comprendere perchè non sia la colpa, ma il
pensiero che altri ci tengono per colpevoli, quello che ci fa arrossire. Un uomo che mediti sopra un
fallo commesso nella solitudine, anche se molestato dai rimorsi della propria coscienza, non
arrossisce. Tuttavia egli arrossirà per la viva ricordanza d'un fallo scoperto oppure commesso in
presenza d'altri, e il grado di rossore sta in istretto rapporto col grado di stima ch'egli nutre per
coloro che hanno scoperto il suo fallo o l'hanno supposto, o alla presenza dei quali fu commesso.
Lesioni delle regole di convenienza nel contegno determinano spesso rossore più intenso che un
delitto scoperto, se esse sono rigorosamente osservate da persone a noi eguali o superiori, e un atto
veramente delittuoso determina appena un aumento del colore della faccia, se non vien biasimato da
persone a noi eguali. La modestia dipendente da umiltà oppure l'eccitamento del senso morale in
causa d'un atto indelicato o scostumato provoca un vivo rossore, poichè ambedue si riferiscono al
giudizio o agli usi stabiliti da altri.
In conseguenza dell'intima simpatia esistente fra la circolazione capillare della superficie del
capo e quella del cervello, un rossore assai intenso sarà anche accompagnato da una certa, spesso
grave confusione dello spirito, la quale alla sua volta sarà accompagnata sovente da movimenti
stravolti e talora da involontarie contrazioni di certi muscoli.
Essendo il rossore, secondo questa ipotesi, un risultato indiretto dell'attenzione rivolta
originariamente al nostro esteriore, vale a dire alla superficie del nostro corpo e in modo speciale
alla faccia, possiamo comprendere il significato dei gesti che accompagnano in ogni parte della terra
il rossore. Questi consistono nel nascondere, nell'abbassare il capo verso il suolo, o nel volgerlo da
una parte. Gli occhi vengono ordinariamente volti da un lato, oppure sono irrequieti; poichè la vista
dell'uomo che fu cagione del nostro rossore o della nostra vergogna risveglia in un modo
insopportabile nel nostro spirito la consapevolezza che il di lui sguardo è fissato su di noi. In forza
del principio dell'associazione delle abitudini, si eseguiscono gli stessi movimenti del capo e degli
occhi, e possono di fatto difficilmente evitarsi, ogniqualvolta noi sappiamo o crediamo che altri
biasimi il nostro contegno morale o lo lodi troppo.
CAPITOLO XIV.
CONSIDERAZIONI FINALI E RICAPITOLAZIONE
I tre principii fondamentali che hanno determinato i principali movimenti dell'espressione. - Loro ereditabilità. - Sulla
parte che hanno avuto la volontà e l'intenzione nel conseguimento dei modi dell'espressione. - Della conoscenza
istintiva dell'espressione. - Rapporti del soggetto colla questione dell'uni specifica delle razze umane. - Sul
graduale conseguimento delle diverse forme dell'espressione nella serie dei progenitori dell'uomo. - Importanza
dell'espressione. - Conclusione.
Io ho fatto del mio meglio per descrivere, nelle pagine precedenti, le azioni principalissime
dell'uomo e di alcuni pochi animali inferiori, che costituiscono l'espressione. Ho anche tentato di
spiegare l'origine e lo sviluppo di dette azioni in base ai tre principii di cui è parola nel primo
capitolo. Il primo di questi principii sta in ciò, che i movimenti utili a soddisfare un qualche bisogno
o ad alleviare una qualche sensazione, ripetuti spesso, diventano abituali così, che vengono eseguiti,
siano essi utili o no, ogni volta che proviamo lo stesso bisogno o la stessa sensazione anche in un
grado assai leggero.
Il nostro secondo principio è quello dell'antitesi. L'abitudine di eseguire volontariamente dei
movimenti contrari in seguito a contrari eccitamenti si è fortemente sviluppata per l'esercizio pratico
durante tutta la nostra vita. Se quindi sono state eseguite regolarmente certe azioni in un determinato
stato dell'animo conforme al nostro primo principio, si verificherà involontariamente una forte
tendenza all'esecuzione di azioni direttamente opposte, siano esse o non siano di qualche utilità,
sotto l'eccitamento d'uno stato opposto dell'animo.
Il nostro terzo principio è quello dell'azione diretta del sistema nervoso irritato sul corpo,
indipendentemente dalla volontà e in gran parte anche dall'abitudine. L'esperienza insegna che si
produce forza nervosa e si fa libera ogni volta che il sistema nervoso cerebro-spinale viene irritato.
La direzione percorsa da questa forza nervosa viene necessariamente determinata dal modo di
unione delle cellule nervose fra loro e colle diverse parti del corpo. Questa direzione viene pure
considerevolmente influenzata dall'abitudine, in quanto che la forza nervosa si propaga facilmente
in canali messi spesso e da lungo tempo in azione.
I movimenti pazzi e dissennati d'un uomo furioso possono ascriversi in parte alla diffusione di
forza nervosa che è priva di particolari condotti, ed in parte all'abitudine; poichè essi rappresentano
spesso in un modo indeterminato l'atto del battere. Essi si connettono per ciò sotto questo riguardo
coi gesti dipendenti dal nostro primo principio; nel caso per es. d'un uomo arrabbiato od indignato
che assume inconsciamente una posizione adatta all'offesa del suo avversario, e senza nessuna
intenzione di recargli di fatto un'offesa. Noi vediamo ancora l'influenza dell'abitudine in tutti i
sentimenti e le sensazioni che vengono chiamati eccitanti; essi hanno assunto questo carattere per
ciò, che ordinariamente hanno provocato delle azioni energiche; ma un'attività modifica in modo
indiretto il sistema respiratorio e circolatorio, e quest'ultimo reagisce alla sua volta sul cervello.
Ogni volta che noi proviamo questi eccitamenti o sensazioni in grado anche insignificante,
quantunque essi in questo caso non producano nessuno sforzo, tuttavia tutto il nostro corpo si turba
per la forza dell'abitudine e dell'associazione. Altri sentimenti e sensazioni vengono detti
deprimenti, poichè essi comunemente non hanno provocato azioni energiche, eccezione fatta del
primo momento, come un estremo dolore, la paura e l'affanno; infine essi hanno cagionato
stanchezza o sfinitezza; la loro espressione è per conseguenza formata da segni negativi e da
prostrazione generale. Si dànno inoltre altri sentimenti ancora, come quelli dell'affetto, i quali
ordinariamente non determinano alcuna attività di nessuna specie e conseguentemente non vengono
espressi da segni esteriori distinti. È però vero che l'affetto, in quanto che sia un sentimento
gradevole, provoca i segni ordinari del piacere.
D'altro canto, molti degli effetti, che si manifestano, in conseguenza di un'irritazione del
sistema nervoso, sembrano essere affatto indipendenti dalla corrente di forza nervosa che percorre i
canali diventati abituali in seguito ad antecedenti sforzi della volontà. Simili effetti, i quali
tradiscono spesso lo stato dell'animo delle persone affette in tal maniera, non possono spiegarsi per
ora; come è per esempio il cambiamento di colore dei capelli in seguito a terrore o cordoglio - il
sudor freddo e il tremito dei muscoli per paura - le alterazioni delle secrezioni del tubo digerente - e
il cessare dell'attività in certe glandule.
Quantunque molti fatti relativi al soggetto di cui qui trattiamo siano incomprensibili, si
possono però spiegare fino ad un certo punto tanti movimenti ed attività costituenti una determinata
espressione col mezzo dei tre principii o leggi sopraccennate, che possiamo nutrire fondata speranza
di vederli più tardi tutti spiegati col mezzo di essi o di principii assai analoghi.
Le azioni di qualunque specie che accompagnano regolarmente e costantemente una
determinata modificazione dello spirito si denominano espressioni. Queste possono essere formate
da movimenti di una qualunque parte del corpo; per es. il dimenare della coda del cane, lo stringersi
nelle spalle dell'uomo, l'erigersi dei peli, la secrezione di sudore, la modificazione dei capillari, il
respirare affannoso, e l'attività degli organi della voce e d'altri apparati producenti suono. Perfino gli
insetti esprimono collera, terrore, gelosia ed amore col mezzo dei loro striduli suoni. Nell'uomo gli
organi della respirazione hanno un'importanza speciale nell'espressione, in modo diretto non solo,
ma anche e molto più in modo indiretto.
Pochi punti relativi al presente soggetto sono più interessanti della catena estremamente
complicata di fenomeni che costituiscono certi movimenti molto espressivi. Si consideri per es. la
posizione obliqua delle sopracciglia d'un uomo affetto di dolore o di affanno. Quando piccoli
fanciulli strillano per la fame o per dolore, la circolazione ne vien modificata e gli occhi si
riempiono facilmente di sangue: in conseguenza di ciò i muscoli protettori che circondano l'occhio
si contraggono fortemente. Questo modo d'agire è stato sicuramente reso fisso ed ereditario nel
corso di molte generazioni. E se anche col progredire degli anni e della coltura sia in parte venuta
meno l'abitudine di strillare, i muscoli che circondano l'occhio tendono tuttavia a contrarsi, ogni
qualvolta una sensazione di angustia anche insignificante si manifesti. Di questi muscoli, i
piramidali del naso sono meno soggetti al controllo della volontà che gli altri, e la contrazione può
essere solo impedita da quelle dei fasci mediani del muscolo frontale; questi ultimi fasci sollevano
le estremità interne delle sopracciglia e solcano la fronte in un modo tutto particolare, che noi
immediatamente riconosciamo come espressione del dolore o dell'affanno. Movimenti
insignificanti, come quelli qui accennati, o l'abbassamento appena sensibile dell'angolo orale sono
gli ultimi avanzi o i rudimenti di movimenti ben distinti e comprensibili. Essi hanno per noi,
riguardo all'espressione, la stessa grande importanza che hanno pel naturalista i comuni organi
rudimentali nella classificazione e genealogia degli esseri organici.
Ognuno vorrà concedere che i principali movimenti espressivi presentati dall'uomo e dagli
animali inferiori siano al presente congeniti o ereditati, vale a dire non appresi dall'individuo.
Impararli od imitarli è affatto impossibile per molti di essi, poichè fino dai primi giorni dell'infanzia
e per tutta la vita sono perfettamente esclusi dal controllo della volontà; come per es. il rilassamento
delle arterie della pelle, e l'aumento dell'attività del cuore nella collera. Noi possiamo veder arrossire
per vergogna bambini di due o tre anni anche ciechi nati, e la pelle nuda del capo di piccoli fanciulli
diventar rossa quand'essi sono agitati da qualche passione. I bambini strillano per dolore
immediatamente dopo la nascita, e in allora i lineamenti della loro faccia presentano la stessa forma,
come negli anni posteriori. Questi soli fatti bastano a dimostrare che molti dei nostri più significanti
movimenti espressivi non sono stati appresi; è peraltro meraviglioso che alcuni di essi, senza dubbio
congeniti, abbisognino d'un certo esercizio nell'individuo primachè possano essere eseguiti
completamente e in modo perfetto: per esempio il pianto ed il riso. L'ereditabilità del maggior
numero dei nostri movimenti espressivi spiega il fatto che i fanciulli nati ciechi, come mi dice il rev.
R. H. Blair, eseguiscono gli stessi movimenti e nello stesso modo, come quelli dotati della vista. Per
l'ereditabilità noi possiamo comprendere anche il fatto, che gl'individui, tanto giovani quanto
vecchi, di razze assai distinte, nell'uomo come negli animali, esprimano eguali modificazioni
dell'animo con movimenti eguali.
Il fatto che giovani e vecchi animali esprimono i loro sentimenti nello stesso modo ci è tanto
famigliare, che noi osserviamo appena quanto sia meraviglioso che un giovane cagnolino appena
nato dimeni la coda se è di buon umore, abbassi le orecchie e scopra i denti canini quando vuol
mostrare collera, esattamente come un cane vecchio, oppure che un piccolo micino curvi il suo
dorso ed eriga i suoi peli per paura o per collera, precisamente come un vecchio individuo della sua
specie. Se noi rivolgiamo ora la nostra attenzione a quei gesti, i quali in noi stessi di rado
avvengono e che siamo avvezzi a ritenere artificiali o convenzionali, come lo stringer delle spalle
per esprimere impotenza o il sollevare delle braccia colle mani aperte e le dita allargate per
esprimere meraviglia, ci sorprenderà forse assai di trovare che essi sono congeniti. Noi possiamo
conchiudere che questi ed alcuni altri gesti sono ereditari, considerando che essi vengono eseguiti da
fanciulli molto giovani, dai ciechi nati e da razze umane le più diverse. Noi dobbiamo ancora
ricordare che nuove e molto singolari abitudini, associate con certe modificazioni dello spirito,
sviluppatesi in determinati individui furono in alcuni casi trasmesse alla prole per più d'una
generazione.
Certi altri gesti i quali a noi sembrano tanto naturali, così che ci potremmo facilmente
immaginare che siano congeniti, furono assai probabilmente appresi come i vocabili d'una lingua. Il
sollevare le mani giunte e il volgere degli occhi in alto durante la preghiera sembrano essere di
questo numero. Lo stesso vale pel bacio quale dimostrazione d'affetto; questo è però innato, in
quanto dipende dal piacere che il contatto con una persona amata ci procura. Le prove relative
all'ereditabilità del piegare e dello scuotere del capo in segno d'affermazione e di negazione, sono
dubbie; questi segni non sono affatto comuni a tutti, ma sembrano però troppo diffusi per essere
stati appresi da tutti gli individui di razze tanto numerose in un modo indipendente.
Passiamo ora ad indagare quanta parte abbiano avuto la volontà e la consapevolezza nello
sviluppo dei diversi movimenti dell'espressione. Per quanto noi possiamo giudicare, solo alcuni
pochi movimenti espressivi, come quelli or ora accennati, furono imparati da ciascun individuo,
vale a dire furono consciamente e volontariamente eseguiti nei primi anni della vita ad uno scopo
determinato o ad imitazione di altri, e diventati quindi abituali.
Il massimo numero dei movimenti dell'espressione e fra questi i più significanti sono, come
abbiamo veduto, innati o ereditari, e di questi non si può dire che dipendano dalla volontà
dell'individuo. Tuttavia tutti i movimenti compresi dalla nostra prima legge erano originariamente
eseguiti ad uno scopo determinato, vale a dire per preservare da un qualche pericolo, per alleviare
una sensazione molesta, o per soddisfare un qualche bisogno. Si può, per es., difficilmente dubitare
che gli animali, i quali combattono coi loro denti, non abbiano conseguita l'abitudine di rivolgere le
loro orecchie all'indietro e di premerle contro il capo, per ciò che i loro progenitori hanno
volontariamente agito in tal modo, per difendere le loro orecchie dalle lacerazioni dei loro nemici;
poichè quegli animali che non combattono coi denti non esprimono il loro furore in questo modo.
Noi possiamo ritenere come assai probabile, che noi stessi abbiamo conseguito l'abitudine di
contrarre i muscoli che circondano l'occhio, quando piangiamo quietamente, cioè senza produrre
alcun suono, per ciò che i nostri progenitori specialmente nell'infanzia abbiano provato nell'atto
dello strillare una sensazione molesta al loro globo oculare. Inoltre havvi alcuni movimenti
altamente espressivi, i quali sono il risultato del tentativo di trattenere o di impedire altri movimenti
espressivi; così la posizione obliqua delle sopracciglia e l'abbassamento dell'angolo orale sono
conseguenze del tentativo di evitare o di interrompere, se già è avvenuto, uno scoppio di grida. In
questo caso, è chiaro che la coscienza e la volontà debbono essere da principio in giuoco; il che però
non vuol dire che noi in questi o in altri casi simili sappiamo quali muscoli vengano posti in attività,
ciò che qui non avviene, come non avviene nell'esecuzione dei movimenti volontari i più comuni.
Quanto ai movimenti espressivi determinati dal principio dell'antitesi, è chiaro che la volontà
è venuta in giuoco, sebbene in un modo lontano ed indiretto. Lo stesso vale ancora per quei
movimenti che cadono sotto il nostro terzo principio. Siccome questi sono influenzati da ciò che la
forza nervosa facilmente si propaga entro canali usati, essi furono determinati da antecedenti
ripetute manifestazioni della volontà. Gli effetti indirettamente determinati da questo ultimo
influsso sono spesso complicati, per la forza dell'abitudine e dell'associazione, con quelli che
risultano direttamente dalla irritazione del sistema nervoso cerebro-spinale. Di questo numero
sembra essere l'aumento dell'attività cardiaca sotto l'influsso d'un forte eccitamento dello spirito.
Quando un animale erige il pelo, assume una posa minacciosa ed emette dei suoni furiosi per
incutere paura o terrore ad un nemico, noi vediamo un'ammirabile combinazione di movimenti, i
quali originariamente erano volontari, con degli altri involontari. È però possibile che anche atti
strettamente involontari, come l'erezione dei peli, possano essere stati influenzati dalla misteriosa
potenza della volontà.
Alcuni movimenti espressivi potrebbero esser nati spontaneamente in associazione con certe
modificazioni dell'animo, come quei piccoli tratti particolari di cui fu parlato anche poco prima. Ma
io non conosco nissuna prova di fatto che renda verosimile questa opinione.
La facoltà di comunicazione fra i membri d'uno stesso stipite col mezzo della parola è stata
della più alta importanza rispetto allo sviluppo dell'uomo; e la potenza della parola è rafforzata in
modo significante dei movimenti espressivi della faccia e del corpo. Noi ci accorgiamo di ciò,
quando c'intratteniamo a discorrere sopra un soggetto importante con una persona di cui non
vediamo il volto. Ciò non ostante, per quanto mi fu dato indagare, non vi sono ragioni per ritenere
che un muscolo qualunque sia stato sviluppato o anche solo modificato allo scopo esclusivo
dell'espressione. Gli organi vocali e gli altri apparati che producono suoni assai espressivi sembrano
formare una parziale eccezione; io ho tuttavia in altro luogo tentato di dimostrare che questi organi
dapprima furono sviluppati per scopi sessuali, affinchè col loro mezzo uno dei sessi possa chiamare
e solleticare l'altro. Io non sono neppure in istato di trovare ragioni per ammettere che un
movimento ereditario qualsiasi, il quale serve ora come mezzo della espressione, sia stato eseguito
in origine volontariamente e consciamente per ottenere questo scopo particolare, - come alcuni gesti
e il linguaggio della dita dei sordo-muti. All'opposto sembra che ogni movimento proprio o
ereditario della espressione abbia avuto un'origine naturale e indipendente. Ma una volta raggiunti
questi particolari movimenti, essi possono essere impiegati volontariamente e consciamente quali
ausiliari della reciproca comunicazione. Perfino i bambini s'accorgono in età ancora tenera, se sono
accuratamente allevati, che il loro strillare arreca loro sollievo, e presto imparano a strillare
volontariamente. Noi possiamo osservare spesso come taluno aggrotti involontariamente le
sopracciglia per esprimere stupore, o sorrida per esprimere contentezza e soddisfazione. Spesso
avviene che taluno desideri rendere evidenti e dimostrativi certi gesti; e allora innalza le sue braccia
distese e colle dita allargate sopra il suo capo, per esprimere meraviglia, oppure solleva le spalle
fino alle orecchie per indicare che egli non può o non vuole fare qualche cosa. La tendenza ad
eseguire tali movimenti verrà rafforzata o aumentata, se essi vengono eseguiti nel modo anzidetto
volontariamente e ripetutamente; e simili attitudini possono essere trasmesse.
Vale forse la pena d'esaminare se certi movimenti, i quali dapprincipio furono usati solo da
uno o da pochi individui per esprimere un determinato stato dell'animo, si sieno talvolta estesi ad
altri individui e infine si siano resi comuni per virtù dell'imitazione conscia od inconscia. È certo
che havvi nell'uomo una forte tendenza all'imitazione indipendentemente dalla volontà cosciente.
Ciò si manifesta nel modo più straordinario in certe malattie cerebrali, e specialmente in principio
del rammollimento infiammatorio del cervello. Gl'individui affetti da questa malattia imitano, senza
nulla comprendere, ogni gesto, per quanto assurdo, che venga fatto in loro presenza, e ripetono ogni
parola che venga pronunciata vicino a loro, anche se in una lingua forestiera
(
302
)
. Per quanto riguarda
gli animali, lo sciacallo e il lupo in istato di prigionia hanno imparato ad imitare il latrato del cane.
In qual modo sia stato originariamente imparato il latrato del cane, il quale serve ad esprimere
sentimenti e desiderii diversi, e che è così meraviglioso perchè acquisito dopo che il cane fu ridotto
allo stato domestico e perchè ereditato in diverso grado dalle diverse razze, ci è ignoto; ma non si
potrebbe forse supporre che l'imitazione abbia avuto la sua parte nell'origine di esso, vale a dire nel
senso che i cani sono vissuti per lungo tempo in società con un animale tanto ciarliero come è
l'uomo?
Nel corso delle presenti osservazioni e dell'intiero libro io ho spesso provato una difficoltà
significante relativa all'uso appropriato delle espressioni: volontà, coscienza e intenzione. Azioni, le
quali dapprincipio sono volontarie, diventano presto abituali e infine ereditarie, e allora possono
essere eseguite anche in opposizione alla volontà. Sebbene esse manifestino spesso lo stato
dell'animo, tuttavia questo risultato dapprincipio non era preveduto aspettato. Anche espressioni
simili, come, per es., la seguente: «Certi movimenti servono quai mezzi dell'espressione», possono
302
()
Vedi gli interessanti fatti narrati dal dott. BATEMAN nel suo trattato sull'Afasia, 1870, p. 110.
facilmente condurre in errore, poichè racchiudono l'idea, che questo sia stato il loro scopo primitivo.
Ciò sembra essere avvenuto solo di rado o quasi mai; i movimenti, o sono stati originariamente di
qualche vantaggio diretto, oppure sono effetti indiretti dell'irritazione del sensorio. Un bambino può
strillare a bella posta oppure istintivamente, per dimostrare che ha bisogno di nutrimento; ma non ha
desiderio alcuno alcuno scopo di contorcere i suoi lineamenti in un modo particolare, che indica
tanto chiaramente la pena. E tuttavia alcune forme assai caratteristiche dell'espressione nell'uomo
sono da derivarsi dall'atto dello strillare, come prima fu spiegato.
Sebbene la massima parte delle nostre azioni espressive siano innate o istintive, come ognuno
vorrà concedere, è tuttavia un'altra questione, se noi abbiamo una qualche facoltà istintiva di
riconoscerle. Si è creduto universalmente che questo sia il caso; ma tale opinione fu violentemente
combattuta dal sig. Lemoine
(
303
)
. Le scimie imparano presto a distinguere il suono della voce dei
loro padroni non solo, ma anche l'espressione del loro volto, come un accurato osservatore ha
indicato
(
304
)
. I cani conoscono assai bene la differenza fra i gesti e i suoni carezzevoli e i minacciosi;
e sembra pure che essi riconoscano il suono compassionevole. Ma per quanto io potei dedurre da
ripetuti esperimenti, essi non comprendono nissun movimento limitato alla faccia, ad eccezione del
sorriso e del riso; questi sembrano essere compresi da loro almeno in alcuni casi. Codesto limitato
grado di conoscenza fu conseguito da essi, dalle scimie come dai cani, probabilmente per ciò che
hanno associato coi nostri movimenti un trattamento aspro o benevolo; di certo questa conoscenza
non è istintiva. È fuor di dubbio che i bambini imparano a comprendere i movimenti espressivi di
persone più avanzate in età, nello stesso modo come gli animali quelli dei loro padroni. Inoltre, se
un bambino piange, o ride, sa in un modo generale che cosa egli faccia o senta, così che con un
piccolo dispendio d'intelligenza capirà che cosa significhi in altri il pianto o il riso. La questione si
riduce dunque in questi termini: i nostri bambini conseguiscono essi la conoscenza dell'espressione
soltanto col mezzo dell'esperienza ed in virtù della forza di associazione e dell'intelligenza?
Poichè la massima parte dei movimenti espressivi si sono sviluppati gradatamente e devono
più tardi essere diventati istintivi, sembra a priori esservi un certo grado di probabilità, che anche la
facoltà di riconoscerli sia divenuta istintiva. Almeno questa opinione non incontra difficoltà più
serie di quella, che la femmina d'un mammifero che abbia figliato per la prima volta comprenda il
pianto di dolore ed angustia dei suoi figli, oppure che molti animali conoscano e temano
istintivamente i propri nemici; e di questi due fatti non si può ragionevolmente dubitare. Ma è
d'altronde assai difficile dimostrare che i nostri bambini riconoscano istintivamente il significato
d'una qualsiasi espressione. Io feci delle osservazioni intorno a questo punto sul mio figlio
primogenito, il quale nulla poteva aver imparato pel contatto con altri bambini, e mi convinsi che
egli comprendeva un sorriso, provava piacere nel vederlo e rispondeva con uno simile, mentre era in
un'età troppo tenera per poter aver imparato qualche cosa dall'esperienza. Essendo questo bambino
nell'età di quattro mesi, feci in sua presenza diversi, e strani rumori e gesti stravolti e tentai anche di
fare la brutta ciera; ma se i rumori non erano troppo forti, venivano presi, come i gesti, per celie; io
l'attribuii al tempo e alle circostanze, poichè tutto ciò era preceduto od accompagnato da un sorriso.
A cinque mesi parve intendesse un'espressione e un suono della voce compassionevole. Quando
aveva oltrepassato di pochi giorni i sei mesi, la sua allevatrice finse di piangere, ed io potei
osservare il suo viso assumere all'istante un'espressione malinconica cogli angoli orali fortemente
abbassati. Ora questo bambino poteva aver veduto solo di rado un altro bambino a piangere e mai
una persona adulta; io dubito pure che potesse riflettere su ciò in età tanto tenera. Mi sembra quindi
che un sentimento innato gli debba aver detto che il finto pianto dell'allevatrice esprime dolore: e
ciò provocò in lui dolore per l'istinto di simpatia.
Il signor Lemoine opina che, se l'uomo possedesse una conoscenza innata dell'espressione,
scrittori ed artisti non avrebbero trovato tanta difficoltà, come è notoriamente il caso, nel descrivere
e nell'imitare i segni caratteristici di ogni speciale stato dell'animo. Questo mi sembra non essere un
argomento valevole. Noi possiamo di fatti osservare come l'espressione in un uomo o in un animale
cambi in modo da non ammettere confusione, e tuttavia siamo assolutamente incapaci, come io so
per esperienza, di analizzare la natura del cambiamento. In due fotografie d'uno stesso uomo
attempato prodotte da Duchenne (Tav. III, fig. 5 e 6) quasi ognuno riconobbe, che l'una
303
()
La Physionomie et la Parole, 1865, p. 103, 118.
304
()
RENGGER, Naturgeschichte der Säugethiere von Paraguay, 1830, p, 55.
rappresentava un vero, l'altra un falso sorriso; e tuttavia io trovai grave difficoltà nel decifrare in che
consista tutta la differenza.
Io ebbi spesso a restar sorpreso come di cosa meravigliosa, che tante gradazioni
dell'espressione siano da noi immediatamente riconosciute senza alcun processo di analisi. Io credo
che nessuno possa descrivere esattamente un'espressione di dispiacere e di astuzia; e tuttavia molti
osservatori sono concordi nello asserire che queste forme dell'espressione sono riconoscibili nelle
diverse razze umane. Quasi ognuno a cui ho mostrato la fotografia di Duchenne relativa al giovane
colle sopracciglia obliquamente disposte (Tav. II, fig. 2), dichiarò tosto come essa esprimesse dolore
o qualche sentimento analogo; e tuttavia probabilmente nissuna di queste persone oppure una fra
mille, avrebbe potuto citare qualche particolare della posizione obliqua delle sopracciglia colle
estremità interne ingrossate o dei solchi rettangolari della fronte. Lo stesso accade anche di altre
forme dell'espressione; io lo ho praticamente esperimentato alla pena che si prova nell'insegnare ad
altri quali punti si debbano osservare. Se dunque una grande ignoranza relativamente ai dettagli non
impedisce che noi riconosciamo prontamente e con sicurezza le diverse forme dell'espressione, non
comprendo come si possa addurre tale ignoranza per prova che la nostra conoscenza, quantunque
indeterminata e assai generale, non sia innata.
Io ho avuto cura di dimostrare con una buona copia di dettagli, che le principali forme
dell'espressione presentate dall'uomo sono identiche su tutta la superficie della terra. Questo fatto è
interessante, in quanto che costituisce un nuovo argomento in favore dell'idea che le diverse razze
derivino da un'unica e stessa forma primitiva, la quale deve essere stata quasi perfettamente umana
nella sua struttura e assai avanzata nel suo mentale sviluppo, prima che la divergenza delle razze sia
avvenuta. È bensì vero che apparati analoghi di struttura, adatti allo stesso scopo, furono spesso
conseguiti indipendentemente, per virtù della variabilità e della elezione naturale, da specie diverse;
ma questa idea non spiega la grande somiglianza di specie diverse in un gran numero di
insignificanti particolarità. Se consideriamo le numerose particolari di struttura, estranee
all'espressione, in cui concordano esattamente tutte le razze umane, e aggiungiamo ad esse quelle
ancor numerose - alcune della più grande importanza e molte di valore assai subordinato, - da cui
dipendono i movimenti dell'espressione in un modo diretto od indiretto, mi sembra assai
improbabile, che una grande somiglianza o, per meglio dire, identità di struttura sia stata
determinata da mezzi indipendenti. E tuttavia questo dovrebbe essere stato il caso, se le diverse
razze umane fossero derivate da parecchie specie originariamente diverse. Egli è assai più probabile
che i molti punti di grande somiglianza nelle diverse razze siano conseguenza dell'eredità da
un'unica forma primitiva, la quale abbia già raggiunto il carattere umano.
Sarebbe interessante, sebbene forse penosa, la ricerca dell'epoca in cui, nella lunga serie dei
nostri progenitori, sono successivamente apparsi i diversi movimenti espressivi che l'uomo presenta.
Le seguenti osservazioni possono almeno bastare a richiamare alla memoria alcuni dei punti più
importanti discussi in questo volume. Noi possiamo ritenere con certezza che il riso sia apparso
come segno di gioia o di piacere nei nostri progenitori molto prima ch'essi meritassero il nome di
esseri umani; poichè moltissime specie di scimie emettono, quando provano piacere, un suono
spesso ripetuto, evidentemente analogo al nostro riso, accompagnato da movimenti tremoli delle
loro mascelle e delle labbra, durante il quale gli angoli orali vengono ritratti all'insù ed all'indietro,
le guancie diventano solcate e perfino gli occhi splendenti.
Nello stesso modo noi possiamo conchiudere che la paura già in un tempo estremamente
lontano venisse espressa in un modo quasi identico a quello che ora avviene nell'uomo; vale a dire
col mezzo di tremiti, dell'erezione dei peli, del sudor freddo, del pallore, dello spalancar degli occhi,
del rilassamento della maggior parte dei muscoli, e col rannicchiarsi o coll'immobilità del corpo.
Il dolore avrà prodotto, se intenso, fin da principio il gridare o il ringhiare accompagnato da
contorcimenti del corpo e dal digrignare dei denti. I nostri progenitori però non avranno presentato
quei tratti della faccia tanto espressivi che accompagnano il gridare ed il piangere, prima che i loro
organi della respirazione e della circolazione e i muscoli che attorniano gli occhi abbiano raggiunto
la presente loro struttura. Il lagrimare sembra aver avuto origine da azioni riflesse, risultanti dalla
contrazione convulsiva delle palpebre, in unione forse allo iniettarsi degli occhi di sangue durante
l'atto del gridare. Il pianto apparve quindi probabilmente più tardo nella serie dei nostri progenitori;
questa conclusione concorda col fatto, che i nostri parenti più vicini, le scimie antropomorfe, non
piangono. Tuttavia noi dobbiamo qui procedere con qualche prudenza; poichè, se certe scimie, che
non sono più affini coll'uomo, piangono, quest'abitudine può essersi sviluppata in un tempo molto
lontano, in un ramo secondario del gruppo da cui ha avuto la sua origine l'uomo. Se i nostri antichi
progenitori soffrirono cordoglio od inquietudine, non avranno però disposte obliquamente le
sopracciglia o abbassato l'angolo orale, prima di avere conseguito l'abitudine di tentare di soffocare i
loro gridi. La espressione del cordoglio e della inquietudine è quindi eminentemente umana.
Il furore sarà stato espresso in epoca assai antica da gesti minacciosi o frenetici, dall'arrossarsi
della pelle e dallo sguardo fisso, ma non dal corrugarsi della fronte. L'abitudine di corrugare la
fronte sembra essersi sviluppata per ciò, che i corrugatori delle sopracciglia furono i primi muscoli a
contrarsi, ogni volta che durante la prima infanzia si producevano le sensazioni di dolore o d'ira -
circostanze codeste in cui il pianto è imminente - e in parte anche per ciò che il corrugare della
fronte serviva di riparo, quando la vista era difficile ed intensa. Quest'azione, di farsi riparo agli
occhi colle palpebre, sembra non esser divenuta probabilmente abituale, finchè l'uomo non conseguì
una stazione perfettamente eretta; poichè le scimie non corrugano le loro sopracciglia, quando sono
esposte ad una luce troppo viva. I nostri antichi progenitori avranno probabilmente denudato i loro
denti quando venivano in ira, più di quello che non faccia l'uomo al presente anche quando lascia
libero corso al suo furore, come nel caso di alienazione. Noi possiamo anche ritenere per certo che
essi avranno allungato le loro labbra in caso di malumore o di disinganno, molto più che non lo
facciano al presente i nostri bambini od anche i bambini di razze umane attualmente selvaggie.
I nostri antichi progenitori, sentendosi di malumore o moderatamente sdegnati, non avranno
drizzato il capo, allargato il torace, contratte le spalle e stretti i pugni prima d'aver conseguito il
contegno ordinario e la stazione eretta dell'uomo, e prima di aver imparato a combattere coi loro
pugni o colle mazze. Fino a questa epoca il gesto dell'antitesi, di stringere le spalle in segno
d'impotenza o di pazienza, non sarà stato sviluppato. Per la stessa ragione, la sorpresa in quell'epoca
non si sarà espressa coll'innalzare le braccia colle mani aperte e le dita allargate. lo stupore, a
giudicare dal modo d'agire delle scimie, sarà stato manifestato collo spalancar della bocca; saranno
stati invece spalancati gli occhi e curvate le palpebre. L'orrore o l'avversione si sarà manifestata in
epoca molto antica con movimenti della bocca simili a quelli del vomito, - ciò però solo nel caso
che l'idea, da me espressa in via d'ipotesi (che cioè i nostri progenitori abbiano avuto ed usato delle
facoltà di rigettare dal loro stomaco volontariamente e rapidamente un nutrimento che loro non
convenisse) sia giusta. Il modo più raffinato di esprimere disprezzo o disistima coll'abbassare le
palpebre o col volgere degli occhi e del capo, come se la persona disprezzata non fosse degna d'un
nostro sguardo, non si sarà probabilmente conseguito che in epoca di molto posteriore.
Fra tutte le forme dell'espressione sembra essere il rossore la più umana nello stretto senso
della parola; e tuttavia ell'è propria a tutte o a quasi tutte le razze umane, sia essa accompagnata da
un cambiamento visibile del colore della pelle o no. Il rilassamento delle piccole arterie della
superficie della pelle, da cui il rossore è determinato, sembra essere in prima linea un effetto della
seria attenzione rivolta all'esteriore della nostra persona e in ispecie della nostra faccia, a cui
s'aggiunse poi l'effetto dell'abitudine, dell'eredità e della facilità con cui la forza nervosa percorre vie
usate; più tardi sembra essersi aggiunta per virtù dell'associazione l'attenzione rivolta al contegno
morale. Si può difficilmente dubitare che molti animali siano in istato di pregiare i bei colori e
persino le forme, come si può dedurre dalla cura che impiegano gli individui d'un sesso per far
risaltare la loro bellezza davanti al sesso opposto. Ma non sembra però possibile che un animale
qualsiasi abbia rivolto una seria attenzione sul proprio esteriore e sia divenuto suscettibile riguardo
ad esso, fino a che le sue facoltà intellettuali non sieno state sviluppate in grado eguale o quasi
eguale a quelle dell'uomo. Noi possiamo quindi conchiudere che il rossore è apparso in un'epoca
assai tarda nella nostra lunga serie di discendenza.
Dai diversi fatti accennati e discussi nel corso del presente libro segue che, se la struttura dei
nostri organi della respirazione e della circolazione avessero variato in un grado anche insignificante
dallo stato in cui presentemente si trovano, la massima parte dei nostri modi dell'espressione
sarebbero stati molto diversi. Una variazione, anche assai piccola, nella distribuzione delle arterie e
delle vene del capo avrebbe probabilmente impedito che il sangue possa accumularsi nel nostro
globo oculare in seguito a violente espirazioni; poichè questo fatto si verifica solo in assai pochi
mammiferi. In questo caso noi non avremmo manifestato alcune delle nostre forme dell'espressione
più caratteristiche. Se l'uomo avesse respirato nell'acqua col mezzo di branchie esterne (benchè
quest'idea si possa appena immaginare), invece di inspirare aria col mezzo della bocca e delle narici,
i lineamenti del suo volto non avrebbero espresso meglio i suoi sentimenti, di quello che ora lo
facciano le mani o gli arti. Il furore e l'avversione li avrebbe però sempre potuti esprimere col
mezzo di movimenti delle labbra e della bocca, e gli occhi sarebbero diventati splendenti o languidi
secondo lo stato della circolazione. Se le nostre orecchie fossero restate mobili, i loro movimenti
sarebbero stati in alto grado espressivi; come avviene in tutti quegli animali che combattono coi
denti; e noi possiamo ammettere che i nostri antichi progenitori abbiano combattuto in questo
modo, poichè noi denudiamo ancora invariabilmente il dente canino di un lato quando esprimiamo
scherno o teniamo fronte ad un nemico, e mostriamo tutti i nostri denti se siamo in preda ad un
frenetico furore.
I movimenti dell'espressione della faccia e del corpo, qualunque possa essere la loro origine,
sono in se stessi di grande importanza pel nostro benessere. Essi servono quai primi mezzi di
comunicazione fra la madre ed il figlio; essa gli dimostra con un sorriso la sua approvazione e lo
sprona con ciò a continuare per la retta via, oppure essa manifesta col corrugar della fonte la sua
disapprovazione. Noi ci accorgiamo spesso della simpatia di altri dalla forma della loro espressione;
i nostri dolori vengono con ciò sollevati e aumentate le nostre gioie; e con ciò viene rafforzato il
sentimento reciproco dell'affetto. I movimenti dell'espressione dànno alla nostra parola vivacità ed
energia. Essi mettono in chiaro i pensieri e le intenzioni degli altri meglio che nol facciano le parole,
che possono essere simulate. Per quanto di vero possa esservi nella così detta scienza della
fisionomia, essa sembra dipendere, come già da lungo tempo ha osservato Haller
(
305
)
, da ciò che
persone diverse, a seconda dei loro sentimenti, mettono in frequente azione diversi muscoli della
faccia; così si aumenta forse lo sviluppo di questi muscoli, e le linee o solchi che si formano sulla
faccia in conseguenza dell'abituale loro contrazione diventano più profondi e più evidenti. La libera
espressione d'un sentimento col mezzo di segni esterni lo rende più intenso. D'altro lato, la
eliminazione di ogni segno esterno, per quanto è possibile, rende i nostri sentimenti più miti
(
306
)
. Chi
lascia libero sfogo al proprio furore con gesti violenti, non farà che rafforzarlo; chi non sottopone i
segni esterni della paura al controllo della volontà, sentirà paura in grado più elevato; e chi resta
inattivo, quando vien sopraffatto dal dolore, perde la miglior occasione per riconquistare l'elasticità
dello spirito. Questi risultati scaturiscono in parte dal rapporto intimo che passa fra i sentimenti e la
loro esterna manifestazione, in parte dall'influsso diretto d'una tensione sul cuore e
conseguentemente anche sul cervello. Anche la finzione d'un sentimento è causa ch'esso si risvegli
leggermente nel nostro spirito. Shakespeare, il quale per la sua meravigliosa conoscenza dell'animo
umano dovrebbe essere giudice competente, dice: «Non è egli mostruoso che, per una sventura
immaginaria, per un vano sogno di passioni, quel commediante esalti l'anima sua al livello della
parte ch'ei recita e ne dipinga tutti i moti sull'infiammato suo volto? Occhi umidi di pianto, dolore
scolpito sopra ogni lineamento, voce interrotta da singhiozzi, gesto patetico e conforme allo stato in
cui finge di essere; e tutto ciò per nulla!» (Amleto, atto II, scena 2).
Noi abbiamo veduto che lo studio della teoria dell'espressione conferma fino ad un certo
punto l'idea, che l'uomo abbia avuto la sua origine da una bassa forma animale, e appoggia
l'opinione della specifica o subspecifica identità delle diverse razze umane; ma a mio giudizio, ciò
abbisogna appena di una tale conferma. Noi abbiamo anche visto che l'espressione in o il
linguaggio del sentimento, come fu anche talvolta denominata, è certamente importante per il
benessere dell'umanità. L'imparar a conoscere, per quanto è possibile, la fonte e l'origine delle
diverse espressioni, che ad ogni momento ci è dato osservare sulla faccia degli uomini (per non
parlare affatto degli animali domestici), dovrebbe avere un grande interesse per noi. Per questi
motivi noi possiamo conchiudere che la filosofia del nostro soggetto è degna di tutta l'attenzione che
le fu già concessa da parecchi distinti osservatori e che essa merita uno studio sempre maggiore da
parte di tutti i distinti fisiologi.
305
()
Citato da MOREAU nella sua edizione del LAVATER, 1820, tom. IV, p. 211.
306
()
GRATIOLET (De la Physionomie, 1865, p. 66) afferma la verità di questa conclusione.
Tav. II
Tav. III
Tav. IV
Tav. V
Tav. VI
Tav. VII
INDICE SISTEMATICO DELLE MATERIE
INTRODUZIONE
CAPITOLO I.
PRINCIPII GENERALI DELLA ESPRESSIONE
Determinazione dei tre principii fondamentali. - Primo principio. Gli atti divengono abituali associandosi a certi stati di
spirito, e sono compiuti, anche ove il bisogno non se ne faccia sentire, in ciascun caso particolare. - Potenza
dell'abitudine. - Eredità. - Movimenti associati abituali nell'uomo. - Azioni riflesse. - Trasformazione delle
abitudini in azioni riflesse. - Movimenti associati abituali negli animali. - Conclusioni.
CAPITOLO II.
PRINCIPII GENERALI DELLA ESPRESSIONE (seguito)
Principio dell'antitesi. - Esempi nel cane e nel gatto. - Origine del principio. - Segni convenzionali. - Il principio
dell'antitesi non ha per origine azioni opposte compiute con conoscenza di causa sotto l'influenza di opposti
impulsi.
CAPITOLO III.
PRINCIPII GENERALI DELLA ESPRESSIONE (fine).
Terzo principio: Azione diretta sulla economia dell'eccitazione del sistema nervoso, indipendentemente dalla volontà e,
in parte, dall'abitudine. - Cambiamento di colore dei peli. - Tremito dei muscoli. - Modificazione delle
secrezioni. - Sudore. - Espressione d'un vivo dolore, del furore, della gioia, dello spavento. - Differenza tra le
espressioni che producono o no movimenti espressivi. - Stati dell'animo che eccitano o deprimono. - Riassunto.
CAPITOLO IV.
MEZZI D'ESPRESSIONE NEGLI ANIMALI
Emissione di suoni. - Suoni vocali. - Suoni prodotti da vari meccanismi. - Sollevamento delle appendici cutanee, peli,
piume ecc., sotto l'influenza del furore o dello spavento. - Rovesciamento all'indietro delle orecchie, quale
disposizione alla lotta o come segno di collera. - Raddrizzamento delle orecchie ed elevazione del capo in segno
di attenzione.
CAPITOLO V.
ESPRESSIONI SPECIALI DEGLI ANIMALI
Diversi movimenti espressivi nel cane. - Gatto. - Cavallo. - Ruminanti. - Scimie. - Espressioni di gioia e d'affetto, di
dolore, di collera, di stupore e di spavento in questi animali.
CAPITOLO VI.
ESPRESSIONI SPECIALI ALL'UOMO: DOLORE E PIANTO
Grida e pianto nel fanciullo. - Aspetto dei lineamenti. - Età in cui comincia il pianto. - Effetti della repressione abituale
del pianto. - Singulto. - Causa della contrazione dei muscoli che attorniano l'occhio durante le grida. - Causa
della secrezione delle lagrime.
CAPITOLO VII.
ABBATTIMENTO - ANSIETÀ - AFFANNO - SCORAGGIAMENTO -
DISPERAZIONE
Effetti generali dell'affanno sulla economia. - Obliquità dei sopraccigli sotto l'influenza del dolore. - Causa di questa
obliquità. - Abbassamento degli angoli della bocca.
CAPITOLO VIII.
GIOIA - ALLEGREZZA - AMORE - SENTIMENTI AFFETTUOSI -
DEVOZIONE
Riso, prima espressione della gioia. - Idee piacevoli. - Moti e lineamenti del volto durante il riso. - Natura del suono
prodotto. - Secrezione di lagrime che accompagna lo sghignazzamento. - Gradi intermedi fra lo sghignazzare e il
sorridere. - Allegria. - Espressione dell'amore. - Sentimenti affettuosi. - Devozione.
CAPITOLO IX.
RIFLESSIONE - MEDITAZIONE - CATTIVO UMORE -
BORBOTTAMENTO - DETERMINAZIONE
Corrugamento delle sopracciglia. - Riflessione accompagnata da sforzo o dalla percezione di una cosa difficile o
disaggradevole. - Meditazione astratta. - Cattivo umore. - Tetraggine. - Ostinazione. - Borbottamento, smorfia. -
Decisione o determinazione. - Energica chiusura della bocca.
CAPITOLO X.
ODIO E COLLERA
Odio. - Furore, suoi effetti sul fisico. - Atto di scoprire i denti. - Furore degli alienati. - Collera e sdegno. - Loro
espressione nelle varie razze umane. - Derisione e disfida. - Atto di scoprire il dente canino da una parte sola.
CAPITOLO XI.
DISISTIMA - DISPREZZO - DISGUSTO - ORGOGLIO, ECC. -
IMPOTENZA - PAZIENZA - AFFERMAZIONE E NEGAZIONE
Disprezzo, alterigia e disistima; diversità nella loro espressione. - Sorriso sarcastico. - Gesti che esprimono il disprezzo.
- Disgusto. - Colpevolezza, astuzia, orgoglio, ecc. - Rassegnazione, debolezza o impotenza. - Pazienza. -
Ostinazione. - Stringimento delle spalle, gesto comune a quasi tutte le razze umane. - Segni di affermazione e di
negazione.
CAPITOLO XII.
SORPRESA - STUPORE - PAURA - ORRORE
Sorpresa, stupore. - Sopracciglia rialzate. - Bocca aperta. - Labbra sporte. - Gesti che accompagnano la sorpresa. -
Ammirazione. - Paura. - Terrore. - Erezione dei capelli. - Contrazione del muscolo pellicciaio. - Dilatazione delle
pupille. - Orrore. - Conclusione.
CAPITOLO XIII.
ATTENZIONE RIVOLTA SU SE STESSI - VERGOGNA -
TIMIDEZZA - MODESTIA - ROSSORE
Natura del rossore. - Eredità. - Parti del corpo che vi sono più soggette. - Il rossore nelle diverse razze umane. - Gesti
concomitanti. - Confusione. - Cause del rossore. - L'attenzione rivolta su se stessi ne è l'elemento fondamentale. -
Timidezza. - Vergogna, determinata dalla violazione delle leggi morali e delle regole di convenienza. - Modestia.
- Teoria del rossore. - Ricapitolazione.
CAPITOLO XIV.
CONSIDERAZIONI FINALI E RICAPITOLAZIONE
I tre principii fondamentali che hanno determinato i principali movimenti dell'espressione. - Loro ereditabilità. - Sulla
parte che hanno avuto la volontà e l'intenzione nel conseguimento dei modi dell'espressione. - Della conoscenza
istintiva dell'espressione. - Rapporti del soggetto colla questione dell'uni specifica delle razze umane. - Sul
graduale conseguimento delle diverse forme dell'espressione nella serie dei progenitori dell'uomo. - Importanza
dell'espressione. - Conclusione.
INDICE ALFABETICO
A
Abbattimento.
Abitudine (potenza dell').
Affermazione (segni di).
Albini (rossore negli).
Alce.
Alison (prof.).
Allegria.
Alterigia.
Ambizione.
Ammirazione.
Amore, materno;
» fra i due sessi;
» (espressione dell');
» il bacio, qual segno d';
» provoca lo spargimento di lagrime.
Anatomia e filosofia dell'espressione.
Anderson (dott.).
Animali (espressioni speciali degli). Vedi Espressione;
» movimenti abituali associati negli animali inferiori;
» » nei lupi e negli sciacalli;
» » nei cavalli;
» » nei gatti;
» » nei polli;
» » nelle anitre;
» » nel fenicottero, kagù e piombini.
Annesley (luogot.).
Antitesi (principii dell');
» (principii dell') nei cani;
» gatti;
» segni convenzionali.
Ansietà.
Appendici cutanee (erezione delle);
» nel chimpanzè e nell'orang;
» leone, ecc;
» cane e gatto;
» cavalli e buoi;
» alce;
» pipistrello;
» uccelli;
» sotto l'impressione della collera o della paura.
Arrectores pili.
Associazione (potere dell');
» (esempi di).
Astrazione.
Astuzia.
Audubon.
Avarizia.
Azara.
Azioni, riflesse;
» tosse, starnuto, ecc.;
» contrazioni muscolari di una rana decapitata;
» abbassamento delle palpebre;
» spavento;
» contrazione dell'iride.
B
Babbuino Anubis.
Bacio.
Bain (sig.).
Baker (sir Samuele).
Barber (signora).
Bartlett (signor).
Behn (dott.).
Bell (sig.);
» (sir Charles).
Bennett (G.).
Bergeon.
Bernard (Cl.).
Blair ( rev. R. H.).
Blyth (signor).
Bowman (sig.).
Brehm.
Bridges (signor).
Bridgman (Laura).
Brinton (dott.).
Brodie (sir B.).
Brooke (il principe indiano).
Brown (dott. R.).
Browne (dott. J. Crichton).
Bucknill (dott.).
Bulmer (signor J.).
Bunnett (sig. Templeton).
Buon umore;
» (definizione del), data da un fanciullo.
Burgess (dott.).
Burton (capitano).
Button (Jemmy).
C
Camaleonti.
Camper (Pierre).
Cane (movimenti simpatici del);
» (giri del), prima di mettersi a dormire;
» cane da ferma;
» cane che gratta il suolo;
» (gesti diversi del);
» abbaiamento, quale mezzo di espressione;
» cane che guaisce;
» cane che arrovescia le orecchie all'indietro;
» varii movimenti del cane;
» manifestazioni di affetto;
» ghigno;
» dolore;
» attenzione;
» terrore;
» sollazzo.
Canino (azione di scoprire il dente).
Carpenter, principii di fisiologia comparata.
Catlin.
Caton (J.).
Cattivo umore.
Cavallo;
» (morseggiare e scalpitìo del);
» sue grida nel pericolo;
» sua maniera di combattere;
» suo modo di esprimere la paura, il piacere, ecc.
Cebus Azarae.
Chevreul (signor).
Chimpanzè.
Chioccar delle dita.
Ciechi, loro tendenza ad arrossire.
Cinghiale.
Cisterciani (monaci);
» loro linguaggio per mezzo di segni.
Cobra-de-capello.
Collera;
» nelle scimie.
Combattimento, modo di combattere negli animali;
» tutti i carnivori lottano coi denti canini;
» cani, gatti;
» cavalli, guanachi, ecc.;
» alce;
» conigli;
» cinghiali;
» elefanti;
» rinoceronti;
» scimie.
Comunicazione (potere di), negli animali che vivono in società;
» nei sordo-muti;
» nei cani e nei gatti.
Conigli.
Convenzione (violazione delle leggi di).
Cooke (l'attore).
Cooper (dott.).
Cope (prof.).
Corrugamento delle sopracciglia;
» negli uomini di tutte le razze;
» nei bambini;
» per aguzzare la vista;
» alla viva luce.
Crantz.
Cuore, sensibile alle eccitazioni esterne;
» sua reazione sul cervello;
» influenzato dal furore.
D
Darwin (dott.).
Devozione (espressione della).
Diagrammi dei muscoli della faccia.
Dickens Charles.
Dilatazione delle pupille.
Disegni anatomici di Henle.
Disgusto;
» atto di sputare (in segno di).
Disistima.
Disperazione.
Disprezzo;
» chioccar delle dita.
Dolore (segni esteriori del), negli animali;
» nell'uomo;
» nell'ippopotamo;
» provoca il sudore:
» mena alla prostrazione.
Donders (prof.).
Duchenne (dott.).
E
Edgeworth (Maria et R.-L.).
Elefanti;
» piangenti.
Emissione di suoni. Vedi Suoni.
Engelmann (prof.).
Eredità degli atti abituali;
» dell'azione di arrossire.
Erezione delle appendici cutanee.
Erskine (sig. H.).
Espressione (anatomia e filosofia della);
» (principii generali della);
» principio delle abitudini utili;
» di antitesi;
» azione del sistema nervoso;
» (mezzi di) negli animali;
» emissione di suoni;
» erezione delle appendici cutanee;
» rigonfiamento del corpo;
» arrovesciamento delle orecchie all'indietro;
» raddrizzamento delle orecchie.
Espressioni speciali degli animali;
» cani;
» gatti;
» cavalli;
» ruminanti;
» scimie, babbuini, chimpanzè.
Espressioni speciali all'uomo;
» dolore;
» pianto nei fanciulli;
» contrazione dei muscoli che attorniano l'occhio durante le grida;
» secrezione delle lagrime;
» affanno;
» obliquità delle sopracciglia;
» muscoli del dolore;
» depressione degli angoli della bocca;
» gioia;
» allegrezza, buon umore;
» amore, sentimenti affettuosi;
» devozione.
F
Fanciulli (espressione nei);
» grida;
» pianto.
Fisiologia del riso.
Forbes (sig. dott.).
Ford (sig.).
Forster (J. R.).
Foster (sig. Michael).
Freycinet.
Furore;
» tremito (quale conseguenza del);
» (descrizione del), data da Shakespeare;
» denudamento dei denti.
Fyffe (dott.).
G
Gatto;
» che si prepara alla lotta;
» che carezza il suo padrone;
» che rovescia le orecchie all'indietro;
» che muove la coda;
» movimenti di affezione;
» Gatto spaventato;
» erige il pelo della coda;
» inspirando ed espirando produce un mugolìo di soddisfazione.
Gelosia.
Giobbe, sua descrizione della paura.
Gioia (espressione della);
» nei piccoli fanciulli;
» cani, cavalli;
» scimie;
» riso;
» buon umore, allegria;
» amore, sentimenti affettuosi.
Giuocatore di bigliardo (movimenti del).
Grido, appello al soccorso.
Grinze.
Gypogeranus (Secretary-hawk).
H.
Hagenauer.
Haller.
Handbuch der Anatomie des Menschen.
Harvey.
Helmholtz.
Henderson (sig ).
Henle.
Herpestes.
Holland (sir Henry).
Humboldt.
Huschke.
Huxley (prof.).
I
Idioti (espressione della gioia negli);
» rossore.
Iena.
Impotenza.
Innes (dott.).
Invidia.
Ippocrate.
Istrici.
J
Jerdon (dott.).
Jukes (sig. J. B.).
K
Kangurù.
Kindermann (signor).
King (Major Ross).
Kölliker.
L
Lacy (sig. Dyson).
Lagrime (causa della secrezione delle);
» riso, tosse;
» sbadiglio;
» azioni riflesse.
Lane (sig. H. B.).
Lang (sig. Archibald G.).
Langstaff (dott.).
Lavater (G.).
Laycok (prof.).
Le Brun.
Leichhardt.
Lemoine (signor).
Lepri.
Lessing (Laocoonte di).
Leydig.
Lieber (sig. T.).
Linguaggio mimico.
Lister (signor).
Litchfield (signor).
Lockwood (il rev. S.).
Lorain (signor).
Lubbock (sir John).
M
Malumore;
» (espressione del), che esiste nel mondo intero;
» nelle scimie;
» nei giovani orang, ecc.
Mankind (Early History of).
Marshall (signor).
Martin (W. L.).
Martins.
Matthews (sig. Washington).
Maudsley (dott.).
Mauvaise honte.
May (sig. A.).
Mécanisme de la physionomie humaine.
Meditazione;
» spesso accompagnata da certi gesti.
Meyer (dott. Adolf).
Mente (confusione della), arrossendo.
Modestia.
Moreau (sig.).
Movimenti simbolici;
» simpatici;
» abituali associati negli animali inferiori;
» cani;
» lupi e sciacalli;
» cavalli;
» gatti;
» polli;
» anitre, ecc.
Mowbray (Poultry).
Müller (dott. Ferd.).
Müller (Fritz).
Musica.
N
Nausea o vomito.
Negazione (segni di).
Nicol (sig. Patrick).
O
Occhi, contrazione dei muscoli che li circondano, durante le grida.
Odio;
» furore;
» collera e sdegno;
» derisione, disfida, atto di scoprire il dente canino.
Ogle (dott. W.).
Oliphant (signora).
Olmsted.
Omèro, sua descrizione del riso.
Orecchie, loro arrovesciamento all'indietro;
» cani, gatti, tigri, ecc.;
» cavalli;
» guanachi, ecc.;
» alce;
» conigli;
» cinghiali;
» scimie.
Orecchie (raddrizzamento delle).
Orgoglio.
Orrore.
Owen (prof.).
P
Paget (sir J.).
Parsons (J.).
Paura;
» (descrizione della), data da Giobbe.
Peli (cangiamento di colore dei);
» (erezione dei).
Pellicciaio (contrazione del muscolo).
Perfidia.
Physionomie (de la), et ses mouvemens d'expression.
Pianto;
» l'epoca delle prime lagrime dei fanciulli non è certa;
» nei selvaggi;
» negli alienati;
» aumento o diminuzione della facoltà di piangere (per abitudine del);
» grida e pianto dei fanciulli. Vedi Lagrime.
Piderit (dott.).
Plauto.
Porci, impiegati a distruggere i serpenti a sonaglio.
Pouchet (M. G.).
Predisposizioni ereditarie o istintive.
Prostrazione dell'animo.
Psycology (principles of).
Puff-adder (Clotho arietans).
Pupille (dilatazione delle).
Q
Questioni risguardanti l'espressione, ecc.
R
Rancore.
Rane.
Rassegnazione.
Reade (sig. Winwood).
Rejlander (sig.).
Rengger.
Reynolds (sir J.).
Ricapitolazione.
Riflessione;
» profonda riflessione, generalmente accompagnata da un corrugamento dei sopraccigli.
Rigonfiamento del corpo, ecc.;
» nei rospi e nelle rane;
» camaleonti, ecc.;
» serpenti;
» rinoceronte.
Riso;
» nelle scimie;
» (gioia espressa, dal);
» nei fanciulli;
» negli idioti;
» nell'adulto;
» prodotto da solletico;
» sguardo brillante;
» lagrime cagionate da risa eccessive;
» negli Indù, nei Malesi, ecc.;
» per nascondere i propri sentimenti;
» cominciamento del riso in un bambino.
Risolutezza o determinazione;
» chiusura della bocca.
Rivière (sig.).
Rospi.
Rossore, tendenza ad arrossire acquistata per eredità;
» nelle diverse razze umane;
» movimenti e gesti che l'accompagnano;
» confusione della mente;
» cause del rossore;
» timidezza;
» cause morali, colpa;
» violazione delle leggi di convenzione;
» modestia;
» teoria del rossore.
Rossore (fisiologia o meccanismo del).
Rothrock (dott.).
Ruminanti, loro emozioni.
S
Salvin (sig. F.).
Sandwick (isolani di).
Sauriani.
Savage et Wyman (sig.).
Sbadiglio.
Schmalz.
Scimia gibbone (suoni prodotti dalla).
Scimie;
» (potere di comunicazione e di espressione delle);
» loro espressioni speciali;
» piacere, gioia, ecc.;
» sensazioni dolorose;
» collera;
» diventano rosse per collera;
» loro grida;
» cattivo umore;
» increspamento della fronte e delle sopracciglia;
» stupore, spavento.
Scoraggiamento.
Scott (sir W.);
» (sir J.);
» (dott. W. R.).
Sdegno.
Secrezioni cagionate da vive emozioni.
Segni di affermazione e di negazione;
» convenzionali.
Senses (The, and the Intellect).
Sentimenti affettuosi;
» di simpatia.
Serpenti.
Sfida (aria di).
Sfinge-sparviere.
Shaler (prof.).
Simpatia.
Singhiozzo, particolare alla specie umana.
Sistema nervoso (azione diretta del);
» scoloramento dei peli;
» tremito muscolare;
» impressiona le secrezioni;
» sudore;
» furore;
» gioia;
» terrore;
» amore;
» gelosia;
» sospetti;
» vaso-motore.
Smith (sir Andrew).
Smyth (sig. Brough).
Sofferenze fisiche e morali.
Sogghigno.
Solletico.
Somerville.
Sonaglio (serpente a).
Sopracciglia (obliquità delle).
Sordo-muti istruiti per antitesi.
Sorpresa.
Sorriso;
» nei bambini;
» nei selvaggi.
Sospetto.
Spalle (stringimento di).
Speedy (capitano).
Spencer (sig. Herbert).
Spix (von).
Sputare (atto di), quale segno di disgusto.
St-John (sig.).
Stack (il rev. J. W.).
Stuart (sig.).
Stupore;
» nelle scimie.
Sudore, prodotto da dolore.
Suoni, loro emissione, come mezzo d'espressione;
» fra i sessi;
» tra animali separati;
» di furore;
» abbaiamento del cane;
» degli sciacalli addomesticati;
» piccioni;
» voce umana;
» suoni come mezzo di seduzione;
» musica;
» nei bambini;
» di sorpresa, di disprezzo, di disgusto;
» nei conigli;
» istrici;
» insetti;
» uccelli.
Sutton (sig.).
Swinhoe (sig.).
T
Tadorna (anitra).
Tuplin (il rev. G.).
Taylor (il rev. R.).
Tegetmeier (sig.).
Tennent (sir J. Emerson).
Terrore;
» in una donna alienata;
» nei condannati a morte;
» dilatazione delle pupille.
Thwaites (sig.).
Timidezza.
Tosse (accesso di).
Tremito, prodotto da paura;
» da piacere;
» da una bella musica;
» da collera;
» da spavento.
Turner (prof. W.).
Tylor (sig.).
U
Uccelli, erigono le penne, quando sono irritati;
» le rinserrano strettamente sotto l'influenza dello spavento.
Umiltà.
Umore (buono).
» (cattivo). Vedi Malumore.
Uomo (espressioni speciali dell'). Vedi Espressione.
V
Vanità.
Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico.
Vergogna, suoi gesti;
» (descrizione della), in Isaia ed in Esdra.
Voce umana.
Voeux (sig. Des).
Vogt (C.).
Volpe.
Vomito.
W
Wallich (dott.).
Weale (sig. J. P. Mansel).
Wedgwood (sig. Hensleigh).
Weir (sig. Jenner).
West (sig.).
Wilson (sig.).
» (sig. Samuel).
Wirchow.
Wissenschaftliches sistem der Mimik und Physiognomik.
Wolf (sig.).
Wood (sig. J.).
» (sig. F. W.).
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