Trovavansi in Taranto sette emigrati còrsi, che si erano colá portati a causa di procurarsi un
imbarco per la Sicilia. I continui venti di scirocco, che impediscono colá l'uscita dal porto,
impedirono la partenza de' còrsi, i quali loro malgrado furono presenti allorché fu in Taranto
proclamata la repubblica. E, dubitando di poter essere arrestati e cader nelle mani dei francesi, sen
partirono la notte degli 8 febbraio 1799 e si diressero per Brindisi, sperando di trovar un imbarco
per Corfú o per Trieste. Dopo varie miglia di viaggio a piedi, si fermarono ad un villaggio chiamato
Monteasi: qui furono alloggiati da una vecchia donna, alla quale, per esser ben serviti, dissero che vi
era tra essi loro il principe ereditario. Ciò bastò perché la donna uscisse e corresse da un suo parente
chiamato Bonafede Girunda, capo contadino del villaggio. Costui si recò immediatamente dai còrsi,
si inginocchiò al piú giovane e gli protestò tutti gli atti di riverenza e di vassallaggio. I còrsi
rimasero sorpresi, e, dubitando di maggiori guai, appena partito il Girunda, senz'aspettare il giorno,
se ne scapparono immediatamente. Avvertito il Girunda dalla vecchia istessa della partenza del
supposto principe ereditario, montò tosto a cavallo per raggiungerlo; ma tenne una strada diversa. E,
non avendolo incontrato, domandando a tutti se visto avessero il principe ereditario col suo séguito,
sparse una voce, che tosto si diffuse, e bastò per far mettere in armi tutti i paesi per dove passò e per
far correre le popolazioni ad incontrarlo. Il supposto principe fu raggiunto a Mesagne e fu obbligato
dalle circostanze del momento a sostener la parte comica incominciata; ma, non credendosi sicuro
in Mesagne, si ritirò sollecitamente in Brindisi. Qui, rinchiusosi nel forte, cominciò a spedire degli
ordini. Uno dei dispacci conteneva che, dovendo egli partire per la Sicilia a raggiungere il suo
augusto genitore, lasciava suoi vicari nel Regno due suoi generali in capo, che il popolo dipoi credé
due altri principi del sangue. Questi due impostori, uno cognominato Boccheciampe e l'altro De
Cesare, si misero tosto alla testa degl'insurretti. Il primo restò nella provincia di Lecce ed il secondo
si diresse per quella di Bari, conducendo seco il Girunda, che dichiarò generale di divisione.
Con questa truppa, che fu fatta composta di birri, degli uomini d'armi dei baroni, dei galeotti e
carcerati fuggiti dalle case di forza e dai tribunali, e di tutti i facinorosi delle due province, riuscí
loro facile l'impadronirsi di tutti i paesi che proclamata avevano la repubblica e di sottomettere con
un assedio Martina ed Acquaviva, le quali cittá giurato avevano piuttosto morire che riconoscer
gl'impostori. Audaci per i buoni successi avuti, tentarono di provarsi coi francesi, i quali erano giá
padroni di una buona porzione della provincia di Bari; ma, incontratisi con un piccolo
distaccamento francese nel bosco di Casamassima, furono essi intieramente disfatti e sen fuggirono,
il Boccheciampe in Brindisi ed il De Cesare in Francavilla. Il primo però cadde nelle mani dei
francesi; ma il secondo, piú astuto, se ne scappò, dopo la nuova della prigionia del suo compagno,
in Torre di mare, l'antico Metaponto, e andiede ad unirsi al cardinal Ruffo nelle vicinanze di Matera.
La nostra rivoluzione essendo una rivoluzione passiva, l'unico mezzo di condurla a buon fine
era quello di guadagnare l'opinione del popolo. Ma le vedute de' patrioti
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e quelle del popolo non
erano le stesse: essi aveano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse. Quella
stessa ammirazione per gli stranieri, che avea ritardata la nostra coltura ne' tempi del re, quell'istessa
formò, nel principio della nostra repubblica, il piú grande ostacolo allo stabilimento della libertá. La
nazione napolitana si potea considerare come divisa in due popoli, diversi per due secoli di tempo e
per due gradi di clima. Siccome la parte colta si era formata sopra modelli stranieri, cosí la sua
coltura era diversa da quella di cui abbisognava la nazione intera, e che potea sperarsi solamente
dallo sviluppo delle nostre facoltá. Alcuni erano divenuti francesi, altri inglesi; e coloro che erano
rimasti napolitani e che componevano il massimo numero, erano ancora incolti. Cosí la coltura di
pochi non avea giovato alla nazione intera; e questa, a vicenda, quasi disprezzava una coltura che
non l'era utile e che non intendeva
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«Patriota». Che è mai un «patriota»? Questo nome dovrebbe indicare un uomo che ama la patria. Nel decennio
scorso esso era sinonimo di «repubblicano»; ben inteso però che non tutti i repubblicani eran patrioti.
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Il fondo delle maniere e de' costumi di un popolo in origine è sempre barbaro, ma la moltiplicazione degli uomini, il
tempo, le cure de' sapienti possono egualmente raddolcire ogni costume, incivilire ogni maniera. Il dialetto pugliese, per
esempio, che fu il primo a scriversi in Italia, era atto, al pari del toscano, a divenir colto e gentile: se non lo è divenuto, è
colpa de' nostri, che lo hanno abbandonato per seguire il toscano. Noi ammiriamo le maniere degli esteri, senza riflettere
che questa ammirazione appunto ha recato pregiudizio alle nostre: esse sarebbero state eguali, e forse superiori a quelle
degli esteri, se le avremmo coltivate. Una nazione che si sviluppa da sé acquista una civiltá eguale in tutte le sue parti, e
la coltura diventa un bene generale della nazione. Cosí in Atene la femminuccia parlava colla stessa eleganza di
Teofrasto ed il ciabattino giudicava Demostene. Ammirando ed imitando le nazioni straniere, né si coltivano tutti gli