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TITOLO: Il libro dell'arte, o Trattato della pittura di Cennino Cennini da Colle di Valdelsa; di
nuovo pubblicato, con molte correzioni e coll'aggiunta di più capitoli, tratti dai codici fiorentini, per
cura di Gaetano e Carlo Milanesi
AUTORE: Cennini, Cennino
TRADUTTORE:
CURATORE: Milanesi, Gaetano
Milanesi, Carlo
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/
TRATTO DA: "Il libro dell'arte, o Trattato della
pittura di Cennino Cennini da Colle
di Valdelsa; di nuovo pubblicato, con
molte correzioni e coll'aggiunta di più
capitoli, tratti dai codici fiorentini,
per cura di Gaetano e Carlo Milanesi;
Felice Le Monnier Editore;
Firenze, 1859
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 30 novembre 2005
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Paolo Dall'Asta, [email protected]t
REVISIONE:
Paolo Dall'Asta, [email protected]t
PUBBLICATO DA:
Claudio Paganelli, [email protected]
Alberto Barberi, [email protected]
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IL LIBRO DELL'ARTE,
O TRATTATO DELLA PITTURA
DI CENNINO CENNINI
da Colle di Valdelsa; di nuovo publicato, con molte correzioni e coll'aggiunta di più capitoli
tratti dai codici fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi
Firenze.
Felice Le Monnier
1859
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Incomincia il libro dell’arte, fatto e composto da Cennino da Colle, a riverenza di Dio, e della
Vergine Maria, e di Santo Eustachio, e di Santo Francesco, e di San Giovanni Batista, e di Santo
Antonio da Padova, e di tutti i Santi e Sante di Dio, e a riverenza di Giotto, di Taddeo, e di Agnolo
maestro di Cennino, e a outilità e bene e guadagno di chi alla detta arte vorrà pervenire.
CAPITOLO I.
Nel principio che Iddio onnipotente creò il cielo e la terra, sopra tutti animali e alimenti creò
l'uomo e la donna alla sua propia immagine, dotandoli di tutte virtù. Poi, per lo inconveniente che
per invidia venne da Lucifero ad Adam, che con sua malizia e segacità lo ingannò di peccato contro
al comandamento di Dio, ci Eva, e poi Eva Adam; onde per questo Iddio si crucciò inverso
d'Adam, e li fe' dall'angelo cacciare, lui e la sua compagna, fuor del Paradiso, dicendo loro:
perché disubbidito avete el comandamento il quale Iddio vi dètte, per vostre fatiche ed esercizii
vostra vita traporterete. Onde cognoscendo Adam il difetto per lui commesso, e sendo dotato da Dio
nobilmente, come radice, principio e padre di tutti noi; rinvenne di sua scienza di bisogno era
trovare modo da vivere manualmente. E così egli incominciò con la zappa, ed Eva col filare. Poi
seguitò molte arti bisognevoli, e differenziate l'una dall'altra; e fu ed è di maggiore scienza l'una che
l'altra; ché tutte non potevano essere uguali; perché la più degna è la scienza; appresso di quella
séguita alcuna discendente da quella, la quale conviene aver fondamento da quella con operazione
di mano: e questa è un'arte che si chiama dipignere, che conviene avere fantasia, con operazione di
mano, di trovare cose non vedute (cacciandosi sotto ombra di naturali), e fermarle con la mano,
dando a dimostrare quello che non è, sia. E con ragione merita metterla a sedere in secondo grado
alla scienza, e coronarla di poesia. La ragione è questa: che il poeta, con la scienza prima che ha, il
fa degno e libero di poter comporre e legare insieme e no come gli piace, secondo sua volontà.
Per lo simile al dipintore dato è libertà potere comporre una figura ritta, a sedere, mezzo uomo,
mezzo cavallo, come gli piace, secondo sua fantasia. Adunque, o per gran cortesia o per amore,
tutte quelle persone che in loro si sentono via o modo di sapere o di potere aiutare ed ornare queste
principali scienze con qualche gioiello, che realmente senza alcuna peritezza si mettano innanzi,
offerendo alle predette scienze quel poco sapere che gli ha Iddio dato.
come piccolo membro essercitante nell'arte di dipintorìa, Cennino di Drea Cennini da Colle
di Valdelsa, nato, fui informato nella detta arte dodici anni da Agnolo di Taddeo da Firenze mio
maestro, il quale imparò la detta arte da Taddeo suo padre; il quale suo padre fu battezzato da
Giotto, e fu suo discepolo anni ventiquattro. Il quale Giotto rimutò l'arte del dipignere di greco in
latino, e ridusse al moderno; ed ebbe l'arte più compiuta che avessi mai più nessuno. Per confortar
tutti quelli che all'arte vogliono venire, di quello che a me fu insegnato dal predetto Agnolo mio
maestro, nota farò, e di quello che con mia mano ho provato; principalmente invocando l'alto Iddio
onnipotente, cioè Padre, Figliuolo, Spirito Santo; secondo, quella dilettissima avvocata di tutti i
peccatori Vergine Maria, e di Santo Luca Evangelista, primo dipintore cristiano, e dell'avvocato mio
Santo Eustachio, e generalmente di tutti i Santi e Sante del paradiso. Amen.
CAPITOLO II.
Come alcuni vengono all'arte, chi per animo gentile, e chi per guadagno.
Non sanza cagione d'animo gentile alcuni si muovono di venire a questa arte, piacendogli per
amore naturale. Lo intelletto al disegno si diletta, solo che da loro medesimi la natura a ciò gli trae,
senza nulla guida di maestro, per gentilezza di animo. E per questo dilettarsi, seguitano a volere
trovare maestro; e con questo si dispongono con amore d'ubbidienza, stando in servitù per venire a
perfezione di ciò. Alcuni sono, che per povertà e necessità del vivere seguitano, per guadagno e
anche per l'amor dell'arte; ma sopra tutti quelli, da commendare è quelli che per amore e per
gentilezza all'arte predetta vengono.
CAPITOLO III.
Come principalmente si de' provedere chi viene alla detta arte.
Adunque, voi che con animo gentile sete amadori di questa virtù, principalmente all'arte venite,
adornatevi prima di questo vestimento: cioè amore, timore, ubbidienza e perseveranza. E quanto più
tosto puoi, incomincia a metterti sotto la guida del maestro a imparare; e quanto più tardi puoi, dal
maestro ti parti.
CAPITOLO IV.
Come ti dimostra la regola in quante parti e membri s'appartengon l'arti.
El fondamento dell'arte, e di tutti questi lavorii di mano principio, è il disegno e 'l colorire.
Queste due parti vogliono questo, cioè: sapere tritare, o ver macinare, incollare, impannare,
ingessare, e radere i gessi, e pulirli, rilevare di gesso, mettere di bolo, mettere d'oro, brunire,
temperare, campeggiare, spolverare, grattare, granare, o vero camusciare, ritagliare, colorire,
adornare, e invernicare in tavola o vero in cona. Lavorare in muro, bisogna bagnare, smaltare,
fregiare, pulire, disegnare, colorire in fresco, trarre a fine in secco, temperare, adornare, finire in
muro. E questa si è la regola dei gradi predetti, sopra i quali, io con quel poco sapere ch'io ho
imparato, dichiarerò di parte in parte.
CAPITOLO V.
A che modo cominci a disegnare in tavoletta, e l'ordine suo.
come detto è, dal disegno t'incominci. Ti conviene avere l'ordine di poter incominciare a
disegnare il più veritevile. Prima, abbi una tavoletta di bosso, di grandezza, per ogni faccia, un
sommesso; ben pulita e netta, cioè lavata con acqua chiara; fregata e pulita di seppia, di quella che
gli orefici adoperano per improntare. E quando la detta tavoletta è asciutta bene, togli tanto osso ben
tritato per due ore, che stia bene; e quanto più sottile, tanto meglio. Poi racco glilo, tiello, e
conservalo involto in una carta asciutta: e quando tu n'hai bisogno per ingessare la detta tavoletta,
togli meno di mezza fava di questo osso, o meno; e colla sciliva rimena questo osso, e va'
distendendo con le dita per tutta questa tavoletta; e innanzi che asciughi, tieni la detta tavoletta dalla
man manca, e col polpastrello della man ritta batti sopra la detta tavoletta tanto, quanto vedi ch'ella
sia bene asciutta. E viene inossata igualmente così in un loco come in un altro.
CAPITOLO VI.
Come in più maniere di tavole si disegna.
A quel medesimo è buona la tavoletta del figàro ben vecchio: ancora certe tavolette le quali
s'usano per mercatanti; che sono di carta pecorina ingessata, e messe di biacca a olio; seguitando lo
inossare con quello ordine che detto ho.
CAPITOLO VII.
Che ragione d'osso è buono per inossare le tavole.
Bisogna sapere che osso è buono. Togli osso delle cosce e delle alie delle galline, o di cappone; e
quanto più vecchi sono, tanto sono migliori. Come gli truovi sotto la mensa, così gli metti nel fuoco;
e quando vedi sono tornati bene bianchi più che cenere, tranegli fuore, e macinagli bene in su
proferito; e adopralo secondo che dico di sopra.
CAPITOLO VIII.
In che modo dèi incominciare a disegnare con istile, e con che luce.
Ancora l'osso della coscia del castrone è buono, e della spalla, cotto per quella forma è detto. E
poi abbi uno stile di argento o d'ottone, o di ciò si sia, purché dalle punte sia d'argento, sottili a
ragione, pulite, e belle. Poi con esempio comincia a ritrarre cose agevoli quanto più si può, per usare
la mano, e collo stile su per la tavoletta leggermente, che appena possi vedere quello che prima
incominci a fare; crescendo i tuo' tratti a poco a poco; più volte ritornando per fare l'ombre: nelle
stremità vuoi fare più scure, tanto vi torna più volte; e così, per lo contrario, in su e rilievi tornavi
poche volte. E 'l timone e la guida di questo potere vedere, si è la luce del sole, la luce dell'occhio
tuo, e la man tua; ché senza queste tre cose nulla non si può fare con ragione. Ma fa' che, quando
disegni, abbi la luce temperata, e il sole ti batta in sul lato manco: e con quella ragione t'incomincia
a usare in sul disegnare, disegnando poco per dì, perché non ti venga a infastidire né a rincrescere.
CAPITOLO IX.
Come tu de' dare (secondo) la ragione della luce, chiaroscuro alle tue figure, dotandole di
ragione di rilievo.
Se per ventura t'avvenisse, quando disegnassi o ritraessi in cappelle, o colorissi in altri luoghi
contrari, che non potessi avere la luce dalla man tua, o a tuo modo, seguita di dare el rilievo alle tue
figure, o veramente disegno, secondo l'ordine delle finestre che trovi ne' detti luoghi, che ti hanno a
dare la luce. E così, seguitando la luce da qual mano si sia, da' el tuo rilievo e l'oscuro, secondo la
ragione detta. E se venisse che la luce venisse o risplendesse per lo mezzo in faccia, o vero in
maestà, per lo simile metti il tuo rilievo chiaro e scuro alla ragione detta. E se la luce prosperasse
con finestra che fusse maggiore d'altra che fusse ne' detti luoghi, seguita sempre la più eccellente
luce, e voglia con debito ragionevole intenderla e seguitarla; perché, ciò mancando, non sarebbe tuo
lavorio con nessuno rilievo, e verrebbe cosa semprice, e con poco maestero.
CAPITOLO X.
El modo e l'ordine del disegnare in carta pecorina e in bambagina, e aombrare di acquerelle.
Ritornando in su 'l diritto del nostro andare, ancor si può disegnare in carta pecorina e
bambagina. Nella pecorina tu puoi disegnare, o vero dibusciare, collo stile detto, mettendo prima del
detto osso, seminato isparso e nettato con zampa di levre, per su per la carta,asciutto, e spolverato in
forma di polvere o di vernice da scrivere. Se vuoi, poiché hai collo stile disegnato, chiarire meglio il
disegno, ferma con inchiostro ne' luoghi stremi e necessari. E puoi aombrare le pieghe di acquerella
d'inchiostro; cioè acqua quanto un guscio di noce tenessi dentro due goccie d'inchiostro; e aombrare
con pennello fatto di code di vaio, mozzetto e squasi sempre asciutto: e così, secondo gli scuri, così
annerisce l'acquerella di più gocciole d'inchiostro. E per lo simile puoi fare e aombrare di colori o di
pezzuole secondo che i miniatori adoperano; temperati i colori con gomma, o veramente con chiara,
o albume d'uovo, ben rotta e liquefatta.
CAPITOLO XI.
Come si può disegnare con istil di piombo.
Ancora puoi senza osso disegnare nella detta carta con istile di piombo; cioè fatto lo stile due
parti piombo, e una parte stagno ben battuto a martellino.
CAPITOLO XII.
Come, se avessi trascorso col disegnare con lo stile del piombo, in che modo lo puoi levar via.
Nella carta bambagina puoi disegnare col predetto piombino, senza osso, ed eziandio con osso. E
se alcuna volta t'avvenisse trascorso, che volessi tor via alcuno segno fatto per lo detto piombino,
togli una poca di midolla di pane, e fregavela su per la carta, e torrai via quello che vorrai. E
similmente su per la detta carta puoi aombrare d'inchiostro, di colori, e di pezzuole con la predetta
tempera.
CAPITOLO XIII.
Come si de' praticare il disegno con penna.
Praticato che hai in su questo esercizio un anno, e più e meno secondo che appetito o diletto tu
arai preso, alcuna volta puoi disegnare in carta bambagina pur con penna che sia temperata sottile; e
poi gentilmente disegna, e vieni conducendo le tue chiare, mezze chiare, e scure, a poco a poco,
colla penna più volte ritornandovi. E se vuoi rimangano i tuoi disegni un poco più lecchetti, davvi
un poco di acquerella, secondo t'ho detto di sopra, con pennello di vaio mozzetto. Sai che ti avverrà,
praticando il disegnare di penna? che ti farà sperto, pratico, e capace di molto disegno entro la testa
tua.
CAPITOLO XIV.
El modo di saper temperar la penna per disegnare.
Se ti bisogna sapere come questa penna d'oca si tempera, togli una penna ben soda, e recatela in
su il diritto delle due dita della man manca, a riverscio; e togli un temperatoio ben tagliente e
gentile; e piglia, per larghezza, un dito della penna per lunghezza; e tagliala, tirando il temperatoio
inverso te, facendo che la tagliatura sia iguali e per mezzo la penna. E poi riponi il temperatoio in su
l'una delle sponde di questa penna, cioè in su 'l lato manco che inverso te guarda, e scarnala, e
assottigliala inverso la punta; e l'altra sponda taglia al tondo, e ridulla a questa medesima punta. Poi
rivolgi la penna volta in giù, e mettitela in sull'unghia del dito grosso della man zanca; e
gentilmente, a poco a poco, scarna e taglia quella puntolina; e fa' la temperatura grossa e sottile,
secondo che vuoi, o per disegnare o per iscrivere.
CAPITOLO XV.
Come dèi pervenire al disegno in carta tinta.
Per venire a luce di grado in grado, e incominciare a volere trovare il principio e la porta del
colorire, vuolsi pigliare altro modo di disegnare che quello di che abbiamo detto perfino a mo. E
questo si chiama disegnare in carta tinta; cioè o in carta pecorina, o in carta bambagina. Sieno elleno
tinte; però che in una medesima forma si tinge l'una che l'altra, e d'una medesima tempera. E puoi
fare le tue tinte o in rossetta, o in biffo, o in verde; o azzurrine, o berrettine cioè colore bigie, o
incarnate, o come ti piace; ché tutte vogliono medesime tempere, e medesimo tempo a macinare
colori; e in tutte per un medesimo modo si può disegnare. È vero che la tinta verde comunemente
per la più gente si usa più e più, ed è più comunale per l'aombrare e sì per lo imbiancheggiare:
benché più innanzi dichiarerone ogni triare di colori, e loro natura, e loro tempere. In brieve, qui ti
darò un brieve modo, per lo bisogno che hai a venire al tuo disegnare, e del tuo tingere delle carte.
CAPITOLO XVI.
Come si fa la tinta verde in carta da disegnare; e 'l modo di temperarla.
Quando tu vuo' tignere carta di cavretto, o veramente foglio di carta bambagina, togli quanto una
mezza noce di verdeterra, e per la metà d'essa un po' d'ocria; e per la metà dell'ocria, biacca soda; e
quanto una fava, d'osso (con quell'osso che indrieto t'ho detto da disegnare); e, quanto mezza fava,
di cinabro; e macina bene tutte queste cose in su prieta proferitica con acqua di pozzo, o di fontana,
o di fiume. E tanto le macina, quanto hai sofferenza di poter macinare, ché mai non possono essere
troppo; ché quanto più le macini, più perfetta tinta vienne. Poi tempera le predette cose con colla di
questa tempera e fortezza: togli uno spicchio di colla dagli speziali, non di pesce, e mettila in uno
pignattello in molle in tanta acqua chiara e netta, quanto possa tenere due mugliuòli comuni, per
ispazio di sei ore. Poi, questo pignattello mettilo a fuoco, che sia temperato; e schiumalo quando
bolle. Quando ha bollito un poco, tanto veggia la colla ben disfatta, colala due volte. Poi togli un
vasello da pintori, grande, e capace ai detti colori macinati; e mettivi tanta di questa colla, che corra
bene al pennello; e togli un pennello di setole, grossetto, che sia morbido. Poi abbi quella tua carta
che vuoi tignere; e di questa tinta ne da' distesamente per lo campo della tua carta, menando la mano
leggiermente, e 'l pennello squasi mezzo asciutto, ora per uno verso ora per l'altro; e così ne da' tre o
quattro volte o cinque, tanto che veggia che ugualmente la carta sia tinta. E sta' di spazio dall'una
volta all'altra tanto, che ciascuna volta asciughi. E se vedessi che per lo tuo tignere aridisse o
incoiasse per la tinta, è segno che la tempera è troppo forte: e però, quando dài la prima fiata, ponvi
rimedio. Come? Mettivi dentro dell'acqua chiara tepida. Quando è asciutta e fatta, togli un coltello,
e va' col taglio fregando su per lo foglio tinto, leggiermente, acciò che levi via se nessun granelluzzo
vi fusse.
CAPITOLO XVII
Come tu dèi tingere la carta di cavretto, e in che modo la debbi brunire.
Quando tu vuoi tignere la carta di cavretto, convienti prima bagnarla con acqua di fontana o di
pozzo, tanto diventi molliccica e morbida. Poi la ferma con bullette tirata su per una asse, a modo di
carta di tamburo; e, per lo simile detto di sopra, le da' la tinta a tempo. Se caso fosse che la carta
bambagina o pecorina non fosse piana a tuo modo, piglia la detta carta, pigliala, e mettila in su
un'asse di noce, o in su una prieta ben piana e pulita. Poi metti un foglio di carta bambagina, ben
netto, sopra quella che hai tinta; e con pietra da brunire oro, brunisci con buona forza di mano; e
così per questo cotal modo verrà morbida e pulita. Vero è che ad alcuni piace molto brunire pur su
per la carta tinta, cioè che la pietra da brunire la tocchi e cerchi, perché l'abbi un poco di lustro. Poi
fa' come a te piace: ma il primo mio modo è migliore. La ragione è questa: che fregando la pietra da
brunire sopra la tinta, per lo suo lustro toglie il lustro dello stile quando disegni; ed eziandio
l'acquerelle, che vi dài su, non vi appariscono sfumanti e chiare, come fa a modo detto in prima. Sed
nihilominus, fa' come tu vuoi ec.
CAPITOLO XVIII.
Come dèi tignere la carta morella, o ver pagonazza.
Ora attendi nel fare di queste tinte. Nel tignere le tue carte nel colore della morella, o vero
pagonazza, togli per quella quantità di fogli che ho detto di sopra, cioè mezza oncia di biacca
grossa, e quanto una fava di lapis amatita: e macina bene insieme quanto più puoi; ché per macinare
assai non si guasta, ma sempre si racconcia. Tempera secondo modo detto usato.
CAPITOLO XIX.
Come dèi tignere le carte di tinta indica.
La tinta indaca. Togli quella quantità di fogli di sopra detta; abbi mezza oncia di biacca, e la
quantità di due fave d'indaco baccadeo; e macina bene insieme; ché per triare bene non se ne guasta
la tinta. Tempera con la medesima tempera, a modo detto di sopra.
CAPITOLO XX.
Come tu de' tignere le carte di colore rossigno, o squasi color di pesco.
Se vuoi tignere di colore rossigno, per quella quantità di fogli detta di sopra, togli mezza oncia di
verdeterra; per la quantità di due fave, di biacca grossa; e quanto una fava, di sinopia chiara. Macina
a modo usato; e così tempera con la tua colla, o ver tempera.
CAPITOLO XXI.
Come de' tignere le carte di color d'incarnazione.
Per fare la tinta ancora bene incarnata, convienti tòrre, alla quantità detta fogli, mezz'oncia di
biacca grossa, e men che una fava di cinabro. Convienti macinare ogni cosa insieme; e tempera a
modo usato detto di sopra.
CAPITOLO XXII.
Come tu de' tignere le carte di tinta berrettina, o vero bigia.
Tinta berrettina, o ver bigia, la farai in questo modo. Prima togli un quarro di biacca grossa;
quanto una fava di ocria chiara, men che mezza fava di nero. Macina queste cose bene insieme a
modo usato. Temperasi, come ti ho detto delle altre, mettendovi a ciascuna sempre per lo meno
quanto una fava d'osso brugiato. E questo ti basti alle carte di più ragioni tinte.
CAPITOLO XXIII.
In che modo puoi ritrarre la sustanza di una buona figura o disegno con carta lucida.
Bisognati essere avvisato, ancora è una carta che si chiama carta lucida, la quale ti può essere
molto utile per ritrarre una testa o una figura o una mezza figura, secondo che l'uomo truova di man
di gran maestri. E per avere bene i contorni, o di carta o di tavola o di muro, che proprio la vogli tor
su, metti questa carta lucida in su la figura, o vero disegno, attaccata gentilmente in quattro canti
con un poco di cera rossa verde. Di subito per lo lustro della carta lucida trasparrà la figura, o ver
disegno, di sotto, in forma e in modo che 'l vedi chiaro. Allora togli o penna temperata ben sottile, o
pennel sottile di vaio sottile; e con inchiostro puoi andare ricercando i contorni e le stremità del
disegno di sotto; e così generalmente toccando alcuna ombra, siccome a te è possibile potere vedere
e fare. E, levando poi la carta, puoi toccare di alcuni bianchetti e rilievi, siccome tu hai i piaceri su.
CAPITOLO XXIV.
Primo modo di sapere fare una carta lucida chiara.
Questa carta lucida ti bisogna, non trovandone della fatta, farne per questo modo. Togli una carta
di cavretto, e dàlla a un cartolaio, e falla tanto raschiare che poco si tegna, e che la conservi raderla
igualmente. È lucida per se medesima. Se la vuoi più lucida, togli olio di lin seme chiaro e bello, e
ugnila con bambagia del detto olio; lasciala bene asciugare per ispazio di più dì; e sarà perfetta e
buona.
CAPITOLO XXV.
Secondo modo a far carta lucida di colla.
Se vuoi fare questa carta lucida per un altro modo, togli una pietra di marmo, o proferitica, ben
pulita. Poi abbi colla di pesce e di spicchi, che vendono gli speziali. Mettila in molle con acqua
chiara, ed in sei spicchi fa' che sia una scodella di acqua chiara. Poi la fa' bollire: e bollita, colala
bene due o tre volte. Poi piglia questa colla colata, e strutta, e tiepida; e con pennello, a modo che
tigni le carte tinte, così ne da' sopra queste pietre che sieno nette; e vogliono essere le dette pietre
prima unte d'olio di uliva. E quando questa colla, data su, è asciutta, togli una punta di coltellino, e
comincia per alcun luogo a spiccare questa tal colla dalla pietra, tanto che con la mano possa
pigliare questa così fatta pelle, o ver carta. E fa' con temperata mano, acciò che questa cotal pelle tu
la possi spiccare dalla prieta con salvamento, a modo di una carta. E se questa tale pelle, o ver carta,
tu vuoi provarla, innanzi la spicchi dalla prieta, togli olio di lin seme ben bollito, a modo che
t'insegnerò ne' mordenti; e con pennello morbido ne da' una volta per tutto, e lasciala asciugare per
due o per tre dì; e sarà poi buona carta lucida.
CAPITOLO XXVI.
Come puoi fare carta lucida di carta bambagina.
Questa medesima carta lucida, di che abbiam detto, si può fare di carta bambagina. Prima, la
carta fatta sottilissima, piana, e ben bianca; poi ugni la detta carta con olio di lin seme, detto di
sopra. Vien lucida, ed è buona.
CAPITOLO XXVII.
Come ti de' ingegnare di ritrarre e disegnare di mano maestri più che puoi.
Pure a te è di bisogno si seguiti innanzi, acciò che possi seguitare il viaggio della detta scienza.
Tu hai fatto le tue carte tinte. È mestieri di seguire di tenere questo modo. Avendo prima usato un
tempo il disegnare, come ti dissi di sopra, cioè in tavoletta, affatìcati e dilèttati di ritrarre sempre le
miglior cose, che trovar puoi per mano fatte di gran maestri. E se se' in luogo dove molti buon
maestri sieno stati, tanto meglio a te. Ma per consiglio io ti do: guarda di pigliare sempre il migliore,
e quello che ha maggior fama; e, seguitando di in dì, contra natura sarà che a te non venga preso
di suo' maniera e di suo' aria; perocché se ti muovi a ritrarre oggi di questo maestro, doman di
quello, maniera dell'uno maniera dell'altro non n'arai, e verrai per forza fantastichetto, per
amor che ciascuna maniera ti straccerà la mente. Ora vuo' fare a modo di questo, doman di quello
altro, e così nessuno n'arai perfetto. Se seguiti l'andar di uno per continovo uso, ben sarà lo intelletto
grosso che non ne pigli qualche cibo. Poi a te interverrà che, se punto di fantasia la natura ti arà
conceduto, verrai a pigliare una maniera propia per te, e non potrà essere altro che buona; perché la
mano e lo intelletto tuo, essendo sempre uso di pigliare fiori, mal saprebbe torre spina.
CAPITOLO XXVIII.
Come, sopra i maestri, tu dèi ritrarre sempre del naturale con continuo uso.
Attendi, che la più perfetta guida che possa avere e migliore timone, si è la trionfal porta del
ritrarre di naturale. E questo avanza tutti gli altri essempi; e sotto questo con ardito cuore sempre ti
fida, e spezialmente come incominci ad avere qualche sentimento nel disegnare. Continuando ogni
dì non manchi disegnar qualche cosa, ché non sarà sì poco che non sia assai; e faratti eccellente pro.
CAPITOLO XXIX.
Come dèi temperare tuo' vita per tua onestà e per condizione della mano; e con che compagnia
e che modo dèi prima pigliare a ritrarre una figura da alto.
La tua vita vuole essere sempre ordinata siccome avessi a studiare in teologia, o filosofia, o altre
scienze, cioè del mangiare e del bere temperatamente, almen due volte il dì, usando pasti leggieri e
di valore, usando vini piccoli; conservando e ritenendo la tua mano, riguardandola dalle fatiche,
come in gittare pietre, palo di ferro, e molte altre cose che sono contrarie alla mano, da darle
cagione di gravarla. Ancor ci è una cagione, che, usandola, può alleggerire tanto la mano, che andrà
più ariegando, e volando assai più che non fa la foglia al vento. E questa si è, [non] usando troppo la
compagnia della femmina. Ritorniamo al fatto nostro. Abbi a modo d'una tasca fatta di fogli
incollati, o pur di legname, leggiera, fatta per ogni quadro, tanto vi metta un foglio reale, cioè
mezzo: e questa t'è buona per tenervi i tuo' disegni, ed eziandio per potervi tenere su il foglio da
disegnare. Poi te ne va' sempre soletto, o con compagnia sia atta a fare quel che tu, e non sia atta a
darti impaccio. E quanto questa compagnia fusse più intendente, tanto sarebbe meglio per te.
Quando se' per le chiese, o per cappelle, e incominci a disegnare, ragguarda prima di che spazio ti
pare o storia o figura che vogli ritrarre; e guarda dove ha gli scuri, e mezzi, e bianchetti: e questo
vuol dire che hai a dare la tua ombra d'acquerelle d'inchiostro; in mezzi, lasciare del campo proprio;
e a' bianchetti, dare di biacca, ec. ec.
CAPITOLO XXX.
In che modo prima dèi incominciare a disegnare in carta con carbone, e tor la misura della
figura, e fermare con stil di argento.
Togli prima il carbone sottile, e temperato com'è una penna o lo stile; e la prima misura che pigli
a disegnare, piglia l'una delle tre che ha il viso, che ne ha in tutto tre, cioè la testa, il viso, e 'l mento
colla bocca. E pigliando una di queste, t'è guida di tutta la figura, de' casamenti, dall'una figura
all'altra, ed è perfetta tuo' guida; aoperando il tuo intelletto di sapere guidar le predette misure. E
questo si fa, perché la storia, o figura, sarà alta, che con mano non potrai aggiugnere per misuralla.
Conviene che con intelletto ti guidi; e troverai la verità, guidandoti per questo modo. E se di primo
tratto non ti viene bene in misura la tua storia o figura, abbi una penna, e co' peli della detta penna,
di gallina o di oca che sia, frega e spazza, sopra quello che hai disegnato, il carbone; andrà via quel
disegno. E ricomincialo da capo tanto e quanto tu vedi che con misura si concordi la tua figura
coll'essemplo; e poi, quando t'avvedi che stia appresso di bene, togli lo stile di argento, e va'
ricercando su per li contorni e stremità de' tuo' disegni, e su per le pieghe maestre. Quando hai fatto
così, togli da capo la penna pelosa, e spazza bene il detto carbone, e rimarrà il tuo disegno fermato
collo stile.
CAPITOLO XXXI.
Come tu dèi disegnare e aombrare in carta tinta di acquerelle, e poi biancheggiare con biacca.
Quando hai la pratica nella mano d'aombrare, togli uno pennello mozzetto; e con acquarella
d'inchiostro in un vasellino, va' col detto pennello tratteggiando l'andare delle pieghe maestre; e poi
va' sfumando, secondo l'andare, lo scuro della piega. E questa tale acquarella vuole essere squasi
come acqua poca tinta; e il pennello si vuole essere squasi sempre siccome asciutto; non
affrettandoti; a poco poco venire aombrando; sempre ritornando col detto pennello ne' luoghi più
scuri. Sai che te ne interviene? che se questa tale acqua è poca tinta, e tu con diletto aombri e senza
fretta, el ti viene le tue ombre a modo di un fummo bene sfumate. Abbia a mente di menare il
pennello sempre di piatto. Quando se' venuto a perfezione di questo aombrare, togli una gocciola o
due d'inchiostro, e metti sopra la detta acquerella, e col detto pennello rimescola bene. E poi al detto
modo va' cercando col detto pennello pur nella profondità delle dette pieghe; cercando bene i lor
fondamenti; avendo sempre la ricordanza in te del tuo aombrare, cioè in tre parti dividere: l'una
parte, ombra; l'altra, tinta del campo che hai; l'altra, biancheggiata. Quando hai fatto così, togli uno
poco di biacca ben triata con gomma arabica (ché più innanzi ti tratterò come la detta gomma si de'
dislinguare e struggerla, e tratterò di tutte le tempere). Ogni poca biacca basta. Abbi in uno vasellino
acqua chiara, e intignivi dentro il pennello tuo detto di sopra, e fregalo su per questa biacca
macinata del vasellino, massimamente s'ella fusse risecca. Poi te l'acconcia in su la mano [o] in sul
dosso del dito grosso; racconciando, e premendo il detto pennello, e discarcandolo, quasi
asciugandolo. E incomincia, di piatto, il detto pennello a fregare sopra e in quelli luoghi dove dee
essere il bianchetto e rilievo; e séguita più volte andando col tuo pennello, e guidalo con sentimento.
Poi, in sulle stremità de' rilievi, nella maggiore altezza, togli un pennello con punta; e va' colla
biacca toccando colla punta del detto pennello, e va' raffermando la sommità de' detti bianchetti. Poi
va' raffermando, con un pennello piccolo, con inchiostro puro, tratteggiando le pieghe, i dintorni,
nasi, occhi e spelature di capelli e di barbe.
CAPITOLO XXXII.
Come tu puoi biancheggiare di acquarelle di biacca, sì come aombri di acquarelle d'inchiostro.
Ancora io t'avviso, quando tu sarai più pratico, a voler perfettamente biancheggiare con
acquerelle, sì come fai l'acquerella d'inchiostro. Togli la biacca macinata con acqua, e temperala con
rossume d'uovo, e sfumma a modo d'acquerelle d'inchiostro. Ma è a te più malagevole, e vuolsi
più pratica. Tutto questo si chiama disegnare in carta tinta, ed è via a menarti all'arte del colorire.
Seguitalo sempre quanto puoi, ch'è il tutto del tuo imparare. Attendivi bene, sollecitamente e con
gran diletto e piacere.
CAPITOLO XXXIII.
In che modo si fanno i carboni da disegnare, buoni e perfetti e sottili.
Prima che più oltre vada, ti voglio mostrare in che forma de' fare i carboni da disegnare. Abbi
qualche bastone di saligàro, secco e gentile; e fanne cotali rocchietti di lunghezza come una palma
di mano, o, se vuoi, quattro dita. Poi dividi questi pezzi in forma di zolfanelli; e come mazzo di
zolfanelli gli asuna insieme; ma prima gli pulisce e aguzza da ogni capo, come stanno i fusi. Poi,
così a mazzi, li lega insieme in tre luoghi per mazzo, cioè nel mezzo e a ciascheduno de' capi, con
filo o di rame o di ferro, sottile. Poi abbi una pignatta nuova, e mettivili dentro tanto, quanto la
pignatta sie piena. Poi abbi un testo da coprirla con crea, in modo che per nessun modo non ne sfiati
di niente. Poi vattene dal fornaro la sera, quando ha lasciato ovra (cioè quando ha finito di cuocere il
pane), e metti questa pignatta nel forno, e lasciavela stare per fino alla mattina; e guarda se i detti
carboni fussino ben cotti e ben negri. Dove non gli trovassi cotti tanto, ti viene rimetterla nel forno,
che sieno cotti. Come ti dèi avvedere che bene istieno? Togli un di questi carboni, e disegna in su
carta, o bambagina o tinta, o tavola o ancona ingessata. E se vedi che 'l carbone lavori, sta bene: e se
fusse troppo cotto, non si tiene al disegno, ch'el si spezza in molte parti. Ancora ti do un altro modo
ai detti carboni fare. Togli una tegliuzza di terra, coperta per lo modo predetto; mettila la sera sotto
il foco, e copri bene il detto foco colla cenere; e vatti a letto. La mattina saranno cotti. E per lo
simile puo' fare de' carboni grandi e de' piccoli; e fare come ti piace, ché miglior carboni non n'è al
mondo.
CAPITOLO XXXIV.
D'una prieta la quale è di natura di carbone da disegnare.
Ancora per disegnare ho trovata certa prìa nera, che vien del Piemonte, la quale è tenera prìa; e
puo'la aguzzare con coltellino, ché ella è tenera e ben negra; e puoi ridurla a quella perfezione che 'l
carbone. E disegna secondo che vuoi.
CAPITOLO XXXV.
Riducendoti al triare de' colori.
Per venire a luce dell'arte di grado in grado, vegniamo al triar de' colori, avvisandoti chi sono i
colori più gentili, e più grossi, e più schifi; quale vuol esser triato o ver macinato poco, quale assai;
quale vuole una tempera, quale ne vuole un'altra; e così come sono svariati ne' colori, così sono
nelle nature delle tempere e del triare.
CAPITOLO XXXVI.
Come ti dimostra i colori naturali; e come dèi macinare il negro.
Sappi che sono sette colori naturali; cioè quattro propri di lor natura terrigna, siccome negro,
rosso, giallo e verde: tre sono i colori naturali, ma voglionsi aiutare artifizialmente, come bianco,
azzurro oltremarino, o della Magna, e giallorino. Non andiamo più innanzi, e torniamo al nero
colore. Per triarlo come si dè', togli una prieta proferitica rossa, la quale è pietra forte e ferma: ché
sono di più ragioni pietre da macinare colori, come proferito, serpentino e marmo. Il serpentino è
tenera prieta, e non è buona; il marmo è piggiore, ch'è troppo tenera. Ma sopra tutto è 'l proferito: e
se togli di quelli così lucidi lucidi, è meglio; e meglio un di quelli che non sieno tanto tanto puliti; e
di larghezza da mezzo braccio in su di quadro. Poi togli una prieta da tenere in mano, pur
proferitica, piana di sotto e colma di sopra, in forma di scodella, e di grandezza men di scodella, in
forma che la mano ne sia donna di poterla menare, e guidarla in qua e come le piace. Poi togli
quantità di questo negro, o di altro color che sia, quanto sarebbe una noce, e metti in su questa prìa;
e con quella che tieni in mano, stritola bene questo negro. Poi togli acqua chiara o di fiume, o di
fontana, o di pozzo, e macina il detto negro per spazio di mezza ora, o di una ora, o di quanto tu
vuoi; ma sappi, se 'l triassi un anno, tanto sarà più negro e miglior colore. Poi togli una stecca di
legno sottile, larga tre dita, c'abbia il taglio come di coltello; e con questo taglio frega su per questa
prìa, e raccogli il detto colore nettamente, e mantiello liquido, e non troppo asciutto, acciò che corra
bene alla pietra, e che 'l possa ben macinare, e ben raccoglierlo. Poi il metti nel vasellino, e mettivi
dentro dell'acqua chiara predetta, tanta che 'l vasello sia pieno; e così lo tieni sempre in molle e ben
coperto dalla polvere e d'ogni cattiveria, cioè in una cassettina atta a tenere più vaselli di licori.
CAPITOLO XXXVII.
Il modo di sapere far di più maniere nero.
Nota che del negro son più maniere di colori. Negro egli è una pietra negra, tenera, e 'l colore è
grasso. Avvisandoti che ogni color magro è migliore che il grasso: salvo che in mettere d'oro, bolio,
o verdeterra, che abbia a mettere d'oro in tavola, quanto più è grasso, tanto viene miglior oro.
Lasciamo star questa parte. Poi è negro il quale si fa di sermenti di viti; i quali sermenti si vogliono
bruciarli; e quando sono bruciati, buttarvi su dell'acqua e spegnerli, e poi triarli a modo dell'altro
nero. E questo è colore negro e magro; ed è de' perfetti colori che adoperiamo, ed è il tutto. È un
altro negro che si fa di guscia di mandorle, o di persichi arsi; e questo è perfetto nero e sottile. È un
altro negro che si fa in questa forma. Togli una lucerna piena d'olio di semenza di lino, e empi la
detta lucerna del detto olio, e impiglia la detta lucerna: poi la metti così impresa sotto una tegghia
ben netta, e fa' che la fiammetta della lucerna stia appresso al fondo della tegghia a due o tre dita, e 'l
fummo ch'esce della fiamma batterà nel fondo della tegghia: affumasi con corpo. Sta' un poco;
piglia la tegghia, e con qualche cosa spazza questo colore, cioè questo fummo, in su carta o in
qualche vasello; e non bisogna triarlo, né macinarlo, perocché egli è sottilissimo colore. Così per più
volte riempi la lucerna del detto olio, e rimetti sotto la tegghia, e fanne per questo modo quanto te
ne bisogna.
CAPITOLO XXXVIII.
Della natura del color rosso, che vien chiamato sinopia.
Rosso è un color naturale che si chiama sinopia, o ver porfido. Il detto colore è di natura magra e
asciutta. Sostien bene il triare; ché quanto più si tria, tanto più vien fine. È buono a lavorallo in
tavola, o ver in ancone o in muro, in fresco e in secco. E questo fresco e secco ti darò a intendere
quando diremo del lavorare in muro. E questo basti al primo rosso.
CAPITOLO XXXIX.
Il modo del fare rosso ch'è chiamato cinabrese, da incarnare in muro; e di suo' natura.
Rosso è un colore che si chiama cinabrese chiara, e questo colore non so che s'usi altrove che a
Firenze; ed è perfettissimo a incarnare, o ver fare incarnazioni di figure in muro, e lavorallo in
fresco. Il qual colore si fa della più bella sinopia che si truovi, e più chiara; ed è missidada e triata
con bianco santogiovanni, il quale così si chiama a Firenze; ed è fatto questo bianco con calcina ben
bianca e ben purgata. E quando questi due colori sono ben triati insieme (cioè le due parti cinabrese,
e il terzo biancozzo), fanne panetti piccoli come mezze noci, e lasciali seccare. Come n'hai bisogno,
tra'ne quel che ti pare; ché il detto colore ti fa grande onore di colorir volti, mani, e ignudi in muro,
come detto ho. E talvolta ne puo' fare di belli vestiri, che in muro paiono di cinabro.
CAPITOLO XL.
Della natura del rosso il quale vien chiamato cinabro; e come si dee triarlo.
Rosso è un colore che si chiama cinabro: e questo colore si fa per archimia, lavorato per
lambicco; del quale, perché sarebbe troppo lungo a porre nel mio dire ogni modo e ricetta, lascio
stare. La ragione? perché, se ti vorrai affaticare, ne troverrai assai ricette, e spezialmente pigliando
amistà di frati. Ma io ti consiglio, perché non perda tempo nelle molte svariazioni di pratiche, pigli
pur di quel che truovi da' speziali per lo tuo denaro: e voglio insegnare a comperallo, e cognoscere il
buon cinabro. Compera sempre cinabro intero, e non pesto né macinato. La ragione? ché le più volte
si froda o con minio, o con matton pesto. Guarda la pezza intera del cinabro; e dove è in maggiore
altezza il tiglio, più disteso e dilicato, questo è il migliore. Allora questo metti in su la prìa detta di
sopra, macinandolo con acqua chiara, quanto più puoi; che se il macinassi ogni persino a venti
anni, sempre sarebbe migliore e più perfetto. Questo colore richiede più tempere, secondo i luoghi
dove l'hai ad operare, che più innanzi ne tratteremo, ed avviserotti dove è più suo luogo. Ma tieni a
mente, che la natura sua non è di vedere aria, ma più sostiene in tavola che in muro; perocché per
lunghezza di tempo, stando all'aria, vien nero quando è lavorato e messo in muro.
CAPITOLO XLI.
Della natura di uno rosso il quale è chiamato minio.
Rosso è un colore che si chiama minio, il quale è artificiato per archimia. Questo colore è solo
buono a lavorare in tavola, ché se l'adoperi in muro, come vede l'aria subito diventa nero, e perde
suo colore.
CAPITOLO XLII.
Della natura di un rosso ch'è chiamato amatisto, o ver amatito.
Rosso è un colore che si chiama amatito. Questo colore è naturale, ed è prieta fortissima e soda.
Ed è tanto soda e perfetta, che se ne fa priete e dentelli da brunire oro in tavola; le quali vengono di
colore nero e perfetto, bruno come un diamante. La prieta pura è di color di pagonazzo, o ver
morello, ed ha un tiglio come cinabro. Pesta prima questa tal prieta in mortaio di bronzo, perché,
rompendola in su la tua proferitica prieta, si potrebbe spezzare; e quando l'hai pesta, mettine quella
quantità che vuoi triare in su la pietra, e macina con acqua chiara; e quanto più la trii, più vien
migliore e più perfetto colore. Questo colore è buono in muro a lavorare in fresco; e fatti un color
cardinalesco, o ver pagonazzo, o ver un color di lacca. Volerlo adoperare in altre cose, o con
tempere, non è buono.
CAPITOLO XLIII.
Della natura di un rosso ch'è chiamato sangue di dragone.
Rosso è un colore che si chiama sangue di dragone. Questo color alcune volte si adopera in carte,
cioè in miniare. Lascialo pur stare, e non te ne curar troppo, ché non è di condizione da farti molto
onore.
CAPITOLO XLIV.
Della natura di un rosso il quale vien chiamato lacca.
Rosso è un colore che si chiama lacca, la quale è colore artifiziato. Ve n'è più ricette; ma io ti
consiglio per lo tuo denaro togli i color fatti, per amor delle pratiche; ma guarda di cognoscer la
buona, perocché ce n'è di più ragioni. Si fa lacca di cimatura di drappo, o ver di panno, ed è molto
bella all'occhio. Di questa ti guarda, però che ella ritiene sempre in grassezza, per cagione
dell'allume, e non dura niente con tempere sanza tempere, e di subito perde suo colore.
Guardatene bene di questa. Ma togli lacca la qual si lavora di gomma, ed è asciutta, magra,
granellosa che quasi par terra, e tien colore sanguineo. Questa non può essere altro che buona e
perfetta. Togli questa, e triala in su la tua prìa; macinala con acqua chiara, ed è buona in tavola. Ed
anche s'adopera in muro con tempera; ma l'aria è sua nimica. Alcuni son che la triano con orina; ma
vien dispiacevole, perché subito puzza.
CAPITOLO XLV.
Della natura di un color giallo ch'è chiamato ocria.
Giallo è un color naturale, il quale si chiama ocria. Questo colore si trova in terra di montagna, là
ove si trovano certe vene come di zolfore; e ov'è queste vene, vi si trova della sinopia, del
verdeterra, e di altre maniere di colori. Vi trovai questo, essendo guidato un per Andrea Cennini
mio padre, menandomi per lo terreno di Colle di Valdelsa, presso a' confini di Casole, nel principio
della selva del comune di Colle, di sopra a una villa che si chiama Dometarìa. E pervegnendo in uno
vallicello, in una grotta molta salvatica, e raschiando la grotta con una zappa, io vidi vene di più
ragioni colori: cioè ocria, sinopia scura e chiara, azzurro e bianco, che 'l tenni il maggior miracolo
del mondo, che bianco possa essere di vena terrigna; ricordandoti che io ne feci la prova di questo
bianco, e trova'lo grasso, che non è da incarnazione. Ancora in nel detto luogo era vena di color
negro. E dimostravansi i predetti colori per questo terreno, sì come si dimostra una margine nel viso
di uno uomo, o di donna. Ritornando al colore dell'ocria, andai col coltellino di dietro cercando alla
margine di questo colore; e t'imprometto che mai non gustai il più bello e perfetto colore di ocria.
Rispondeva non tanto chiaro quanto è giallorino; poco più scuretto; ma in capellatura, in vestimenti,
come per lo innanzi ti farò sperto, mai miglior colore trovai di questo color d'ocria. È di due nature,
chiaro e scuro. Ciascuno colore vuole un medesimo modo di triarlo con acqua chiara, e triarlo assai;
ché sempre vien più perfetto. E sappi che quest'ocria è un comunal colore, spezialmente a lavorare
in fresco, che con altre mescolanze; che, come ti dichiarerò, si adopera in incarnazioni, in vestiri, in
montagne colorite, e casamenti, e cavelliere, e generalmente in molte cose.
CAPITOLO XLVI
Della natura di un color giallo ch'è chiamato giallorino.
Giallo è un colore che si chiama giallorino, el quale è artificiato, ed è molto sodo. È grieve come
prieta, e duro da spezzare. Questo colore si adopera in fresco, e dura sempre, cioè in muro e in
tavola con tempere. Questo colore vuol essere macinato, come gli altri predetti, con acqua chiara.
Non molto vuol essere triato; e innanzi che il trii, perché è molto malagevole a ridurlo in polvere,
convienti per mortaro di bronzo pestarlo, come de' fare del lapis amatito. Ed è, quando l'hai
mettudo in opera, color molto vago in giallo: ché di questo colore con altre mescolanze, come ti
dimostrerò, se ne fa di belle verdure e color d'erbe. E mi do a intendere che questo colore sia
propia prieta, nata in luogo di grandi arsure di montagne: però ti dico sia color artificiato, ma non di
archimia.
CAPITOLO XLVII.
Della natura di un giallo ch'è chiamato orpimento.
Giallo è un colore che si chiama orpimento. Questo tal colore è artificiato, e fatto d'archimia, ed è
propio tosco. Ed è di color più vago giallo; ed è simigliante all'oro, che color che sia. A lavorare in
muro non è buono, in fresco con tempere, però che viene negro come vede l'aria. È buono
molto a dipignere in palvesi e in lancie. Di questo colore mescolando con indaco baccadeo, fa color
verde da erbe e da verdure. La sua tempera non vuol d'altro che di colla. Di questo colore si
medicina gli sparvieri da certa malattia che vien loro. El detto colore è da prima il più rigido colore
da triarlo, che sia nell'arte nostra. E però quando il vuo' triarlo, metti quella quantità che vuoi in su
la tua prieta; e con quella che tieni in mano, va' a poco a poco lusingandolo a stringerlo dall'una
pietra all'altra, mescolandovi un po' di vetro di migliuòlo, perché la polvere del vetro va ritraendo
l'orpimento al greggio della pietra. Quando l'hai spolverato, mettivi su dell'acqua chiara, e trialo
quanto puoi; ché se 'l triassi dieci anni, sempre è più perfetto. Guàrdati da imbrattartene la bocca,
che non ne riceva danno alla persona.
CAPITOLO XLVIII.
Della natura d'un giallo ch'è chiamato risalgallo.
Giallo è un colore giallo che si chiama risalgallo. Questo colore è tossico proprio. Non si adopera
per noi se none alcuna volta in tavola. Non è da tenere suo' compagnia. Volendolo triarlo, tieni di
quelli modi che detto ti ho degli altri colori. Vuole essere macinato assai con acqua chiara; e
guàrdati la persona.
CAPITOLO XLIX.
Della natura di un giallo che si chiama zafferano.
Giallo è un colore che si fa di una spezia che ha nome zafferano. Convienti metterlo in su pezza
lina, in su pria o ver mattone caldo; poi abbi mezzo miuolo, o ver bicchieri, di lisciva ben forte.
Mettivi dentro questo zafferano; trialo in su la priea. Viene colore bello da tignere panno lino, o ver
tela. È buono in carta. E guardi non vegga l'aria, ché subito perde suo colore. E se vuoi fare un
colore il più perfetto che si truova in color d'erba, togli un poco di verderame e di zafferano; cioè,
delle tre parti l'una zafferano; e viene il più perfetto verde in color d'erba che si trovi, temperato con
un poco di colla, come innanzi ti mosterrò.
CAPITOLO L.
Della natura d'un giallo che si chiama àrzica.
Giallo è un colore che s' chiama àrzica; il qual colore è archimiato, e poco si usa. Il più che si
appartenga di lavorar di questo colore, si è a' miniatori, e usasi più in verso Firenze che in altro
luogo. Questo è color sottilissimo; perde all'aria; non è buono in muro; in tavola è buono.
Mescolando un poco d'azzurro della Magna e giallorino, fa bel verde. Vuolsi macinare, come gli
altri colori gentili, con acqua chiara.
CAPITOLO LI.
Della natura di un verde il quale è chiamato verdeterra.
Verde è un color naturale di terra, il quale si chiama verdeterra. Questo colore ha più proprietà:
prima, ch'egli è grassissimo colore, e buono a lavorare in visi, in vestiri, in casamenti, in fresco, in
secco, in muro, in tavola, e dove vuoi. Trialo a modo degli altri colori detti di sopra, con acqua
chiara; e quanto più il trii, tanto è migliore. E temperandolo, come ti mosterrò il bolo da mettere
di oro, così medesimamente puoi mettere d'oro con questo verdeterra. E sappi che gli antichi non
usavano di mettere d'oro in tavola altro che con questo verde.
CAPITOLO LII.
Della natura d'un verde che si chiama verde azzurro.
Verde è un colore el quale è mezzo naturale: e questo si fa artifizialmente, ché si fa d'azzurro
della Magna; e questo si chiama verde azzurro. Non ti metto come si fa, ma compera del fatto.
Questo colore è buono in secco, con tempera di rossume d'uovo, da fare arbori e verdure e da
campeggiare; e chiareggialo con giallorino. Questo colore per se medesimo è grossetto, e par come
sabbionino. Per amor dell'azzurro trialo poco poco, colla man leggiera; però che se troppo il
macinassi, verrebbe in colore stinto e cenderaccio. Vuolsi triarlo con acqua chiara; e quando l'hai
triato, mettilo nel vasello dell'acqua chiara sopra il detto colore, e rimescola bene l'acqua col colore.
Poi el lascia posare per ispazio di una ora, o due, o tre; e butta via l'acqua; e 'l verde riman più bello.
E lavalo per questa forma due o tre volte, e sarà più bello.
CAPITOLO LIII.
Del modo come si fa un verde di orpimento e d'indaco.
Verde è un colore el quale si fa d'orpimento le due parti, e una parte indaco; e triasi bene insieme
con acqua chiara. Questo colore è buono a dipignere palvesi e lancie, e anche si adopera a dipignere
camere in secco. Non vuole tempera se non colla.
CAPITOLO LIV.
Del modo come si fa un verde d'azzurro e giallorino.
Verde è un colore che si chiama azzurro della Magna, e giallorino. Questo è buono in muro e in
tavola, e temperato con rossume d'uovo. Se vuoi che sia bello più, mettivi dentro una poca d'àrzica.
E ancora è bel colore mettendovi entro l'azzurro della Magna, pestando le prugnole salvatiche, e
farne agresto, e di quello agresto metterne quattro o sei gocciole sopra il detto azzurro; ed è un bel
verde; non vuole vedere aria. E per ispazio di tempo quell'acqua delle prugnole viene a mancare.
CAPITOLO LV.
Del modo da fare un verde d'azzurro oltramarino.
Verde è un colore che si fa d'azzurro oltramarino e d'orpimento. Convienti di questi colori
rimescolare con senno. Piglia l'orpimento prima, e mescolavi dell'azzurro. Se vuoi che penda in
chiaro, l'orpimento vinca; se vuoi che penda in iscuro, l'azzurro vinca. Questo colore è buono in
tavola, e none in muro. Tempera con colla.
CAPITOLO LVI.
Della natura di un verde che si chiama verderame.
Verde è un colore il quale si chiama verderame. Per se medesimo è verde assai; ed è artificiato
con archimia, cioè di rame e di aceto. Questo colore è buono in tavola, temperato con colla. Guarda
di none avvicinarlo mai con biacca, perché in tutto sono inimici mortali. Trialo con aceto, che
ritiene secondo suo' natura. E se vuoi fare un verde in erba perfettissimo, è bello all'occhio, ma non
dura. Ed è buono più in carta o bambagina o pecorina, temperato con rossume d'uovo.
CAPITOLO LVII.
Come si fa un verde di biacca e verdeterra, o vuoi bianco sangiovanni.
Verde è un colore di salvia, il quale si fa mischiato di biacca e verdeterra, in tavola, temperato
con rossume d'uovo; o vuoi in muro, in fresco, mescolato el verdeterra con bianco sangiovanni, fatto
di calcina bianca e curata.
CAPITOLO LVIII.
Della natura del bianco sangiovanni.
Bianco è un colore naturale, ma bene è artificiato; el quale si fa per questo modo. Togli la calcina
sfiorata, ben bianca; mettila spolverata in uno mastello per ispazio di otto, rimutando ogni
acqua chiara, e rimescolando ben la calcina e l'acqua, acciò che ne butti fuori ogni grassezza. Poi ne
fa' panetti piccoli, mettili al sole su per li tetti; e quanto più antichi son questi panetti, tanto più è
migliore bianco. Se 'l vuoi far presto e buono, quando i panetti son secchi, triali in su la tua prìa con
acqua, e poi ne fa' panetti, e riseccali; e fa' così due volte, e vedrai come sarà perfetto bianco. Questo
bianco si tria con acqua, e vuole essere bene macinato. È buono da lavorare in fresco, cioè in muro,
senza tempera; e sanza questo non puoi fare niente, come d'incarnazione, ed altri mescolamenti
degli altri colori che si fa in muro, cioè in fresco; e mai non vuole tempera nessuna.
CAPITOLO LIX.
Della natura della biacca.
Bianco è un colore archimiato di piombo, el quale si chiama biacca. Questa biacca è forte,
focosa, ed è a panetti, come mugliòli, o ver bicchieri. E se vuoi cognoscere quella ch'è più fine, togli
sempre di quella di sopra della forma sua, che è a modo d'una tazza. Questo colore quanto più il
macini, tanto è più perfetto, ed è buono in tavola. Ben si adopera in muro: guàrdatene quanto puoi,
ché per ispazio di tempo vien nera. Macinasi con acqua chiara; soffera ogni tempera, ed è tutta tuo'
guida in ischiarare ogni colore in tavola, come ti fa il bianco in muro.
CAPITOLO LX.
Della natura dell'azzurro della Magna.
Azzurro della Magna è un colore naturale, el quale sta intorno e circunda la vena dell'ariento.
Nasce molto in nella Magna, e ancora in quel di Siena. Ben è vero, che con arte, o ver pastello, si
vuole ridurre a perfezione. Di questo azzurro, quando tu hai a campeggiare, si vuole triare poco
poco e leggermente con acqua, perché è forte sdegnoso della prieta. Se 'l vuoi per lavorarlo in
vestiri, o per farne verde come indietro t'ho detto, vuolsi triarlo più. Questo è buono in muro, in
secco, e in tavola. Soffera tempera di rossume d'uovo, e di colla, e di ciò che vuoi.
CAPITOLO LXI.
A contraffare di più colori simiglianti all'azzurro della Magna.
Azzurro che è come sbiadato, e simigliante ad azzurro, sic: togli indaco baccadeo, e trialo
perfettissimamente con acqua; e mescola con esso un poco di biacca, in tavola; e in muro, un poco
di bianco sangiovanni. Torna simigliante ad azzurro. Vuole essere temperato con colla.
CAPITOLO LXII.
Della natura e modo a fare dell'azzurro oltramarino.
Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori; del quale non
se ne potrebbe dire fare quello che non ne sia più. E per la sua eccellenza ne voglio parlare
largo, e dimostrarti appieno come si fa. E attendici bene, però che ne porterai grande onore e utile. E
di quel colore, con l'oro insieme (il quale fiorisce tutti i lavori di nostr'arte), o vuoi in muro, o vuoi
in tavola, ogni cosa risprende. Prima, togli lapis lazzari. E se vuoi cognoscere la buona pietra, togli
quella che vedi sia più piena di colore azzurro, però che ella è mischiata tutta come cenere. Quella
che tiene meno colore di questa cenere, quella è migliore. Ma guar'ti che non fusse pietra d'azzurro
della Magna, che mostra molto bella all'occhio, che pare uno smalto. Pestala in mortaio di bronzo
coverto, perché non ti vada via in polvere; poi la metti in su la tua prìa profferitica, e triala sanza
acqua; poi abbia un tamigio coverto, a modo gli speziali, da tamigiare spezie; e tamigiali e ripestali
come fa per bisogno: e abbi a mente, che quanto la trii più sottile, tanto vien l'azzurro sottile, ma
non bello e violante e di colore ben nero; ché il sottile è più utile ai miniatori, e da fare vestiri
biancheggiati. Quando hai in ordine la detta polvere, togli dagli speziali sei oncie di ragia di pino,
tre oncie di mastrice, tre oncie di cera nuova, per ciascuna libra di lapis lazzari. Poni tutte queste
cose in un pignattello nuovo, e falle struggere insieme. Poi abbi una pezza bianca di lino, e cola
queste cose in una catinella invetriata. Poi abbia una libra di questa polvere di lapis lazzari, e
rimescola bene insieme ogni cosa, e fanne un pastello tutto incorporato insieme. E per potere
maneggiare il detto pastello, abbi olio di semenza di lino, e sempre tieni bene unte le mani di questo
olio. Bisogna che tegni questo cotal pastello per lo men tre e tre notti, rimenando ogni un
pezzo; e abbi a mente, che lo puoi tenere il detto pastello quindici dì, un mese, quanto vuoi. Quando
tu ne vuoi trarre l'azzurro fuora, tieni questo modo. Fa' due bastoni d'un'asta forte, troppo grossa,
né troppo sottile; e sieno lunghi ciascuno un piè, e fa' che sieno ben ritondi da capo e da piè, e puliti
bene. E poi abbi il tuo pastello dentro nella catinella invetriata, dove l'hai tenuto; e mettivi dentro
presso a una scodella di lisciva calda temperatamente; e con questi due bastoni, da catuna mano il
suo, rivolgi e struca e mazzica questo pastello in qua e in là, a modo che con mano si rimena la
pasta da fare pane, propriamente in quel modo. Come hai fatto che vedi la lisciva essere perfetta
azzurra, trannela fuora in una scodella invetriata; poi togli altrettanta lisciva, e mettila sopra il detto
pastello, e rimena con detti bastoni a modo di prima. Quando la lisciva è ben tornata azzurra, mettila
sopra un'altra scodella invetriata, e rimetti in sul pastello altrettanta lisciva, e ripriemi a modo usato.
E quando la lisciva è bene azzurra, mettila in su un'altra scodella invetriata: e per lo simile fa' così
parecchi dì, tanto che il pastello rimanga che non tinga la lisciva; e buttalo poi via, ché non è più
buono. Poi ti reca dinanzi da te in su una tavola per ordine tutte queste scodelle, cioè prima,
seconda, terza, quarta tratta, per ordine seguitando ciascuna: rimescola con mano la lisciva con
l'azzurro che, per gravezza del detto azzurro, sarà andato al fondo; e allora cognoscerai le tratte del
detto azzurro. Dilìberati in te medesimo di quante ragioni tu vuoi azzurri, di tre, o di quattro, o di
sei, e di quante ragioni tu vuoi: avvisandoti che le prime tratte sono migliori, come la prima scodella
è migliore che la seconda. E così se hai diciotto scodelle di tratte, e tu voglia fare tre maniere
d'azzurro, fa' che tocchi sei scodelle, e mescolale insieme, e riducile in una scodella: e sarà una
maniera. E per lo simile delle altre. Ma tieni a mente, che le prime due tratte, se hai buon lapis
lazzari, è di valuta questo tale azzurro di ducati otto l'oncia, e le due tratte di dietro è peggio che
cendere. che sie pratico nell'occhio tuo di non guastare gli azzurri buoni per li cattivi: e ogni
rasciuga le dette scodelle delle dette liscive, tanto che gli azzurri si secchino. Quando son ben
secchi, secondo le partite che hai, secondo le alluoga in cuoro, o in vesciche, o in borse. E nota, che
se la detta prìa lapis lazzari non fusse così perfetta, o che avessi triata la detta prìa che l'azzurro non
rispondesse violante, t'insegno a dargli un poco di colore. Togli una poca di grana pesta, e un poco
di verzino; cuocili insieme; ma fa' che il verzino o tu 'l grattugia, o tu il radi con vetro; e poi insieme
li cuoci con lisciva, e un poco d'allume di rôcca; e quando bogliono, che vedi è perfetto color
vermiglio, innanzi ch'abbi tratto l'azzurro della scodella (ma bene asciutto della lisciva), mettivi su
un poco di questa grana e verzino; e col dito rimescola bene insieme ogni cosa; e tanto lascia stare,
che sia asciutto senza o sole, o fuoco, e senz'aria. Quando il truovi asciutto, mettilo in cuoro o in
borsa, e lascialo godere, ché è buono e perfetto. E tiello in te, ché è una singulare virtù a sapello ben
fare. E sappi ch'ell'è più arte di belle giovani a farlo, che non è a uomini; perché elle si stanno di
continuo in casa, e ferme, ed hanno le mani più dilicate. Guar'ti pur dalle vecchie. Quando ritorni
per volere adoperare del detto azzurro, pigliane quella quantità che ti bisogna: e se hai a lavorare
vestiri biancheggiati, vuolsi un poco triare in su la tua prìa usata: e se 'l vuoi pur per campeggiare,
vuolsi poco poco rimenare sopra la prìa, sempre con acqua chiara chiara, bene lavata e netta la prìa:
e se l'azzurro venisse lordo di niente, piglia un poco di lisciva, o d'acqua chiara, e mettila sopra il
vasellino, e rimescola insieme l'uno e l'altro: e questo farai due o tre mute, e sarà l'azzurro bene
purgato. Non ti tratto delle sue tempere, però che insieme più innanzi ti mosterrò di tutte le tempere
di ciascuni colori in tavola, in muro, in ferro, in carta, in pietra, e in vetro.
CAPITOLO LXIII.
Com'è di bisogno sapere fare i pennelli.
Perché detto ho nominatamente di tutti i colori che con pennello si adoperano, e come si triano (i
quali colori sempre vogliono stare in una cassetta ben coverta, col becco sempre in molle, e
bagnati); ora ti voglio dimostrare ad operarli con tempera e senza tempera. Ma el ti fa pur bisogno
saper a che modo gli puoi mettere in overa; ché non si può fare senza pennelli. Onde lasciamo stare
ogni cosa; e fa' prima che sappi fare i detti pennelli, de' quali si tiene questo modo.
CAPITOLO LXIV.
In che modo si fa pennelli di vaio.
Nell'arte è di bisogno adoperare due ragioni di pennelli: cioè pennelli di vaio, e pennelli di setole
di porco. Quelli di vaio si fanno per questo modo. Togli códole di vaio (ché di nessun altro son
buone); e queste dole vogliono essere cotte e non crude. E i vaiai tel diranno. Abbi questa tal
coda: prima tirane fuori la punta, che sono peli lunghi; e asuna le punte di più code, ché da sei o otto
punte ti farà un pennello morbido da potere mettere d'oro in tavola, cioè bagnare con esso, come
dinanzi ti mosterrò. Ritorna pure alla tua coda, e recatela in mano: e togli i peli del mezzo della
coda, i più diritti e più sodi, e a poco a poco ne fa' cotali particelle; e bagnali in uno mugliuolo di
acqua chiara, e a particella a particella gli premi e strigni con le dita. Poi gli taglia con forbicine; e
quando ne hai fatto più e più parti, asunane insieme tante, che facci di quella grossezza che vuoi i
pennelli; tali che vada in bucciuolo di avvoltoio; tali che vada in bucciuolo di oca; tali che vada in
bucciuolo di penna di gallina o di colombo. Quando hai fatte queste sorte, mettendole insieme ben
gualive l'una punta pari dell'altra, togli filo o seta incerata, e con due groppi, o ver nodi, legale bene
insieme, ciascuna sorta per sé, secondo vuoi grossi i pennelli. Poi togli il tuo bucciuolo di penna
corrispondente alla quantità legata de' peli, e fa' che il bucciuolo sia aperto, o ver tagliato da capo; e
metti questi peli legati su per lo detto cannello, o vero bucciuolo. Tanto fa', che n'esca fuora, delle
dette punte, quanto puoi premerle di fuora, acciò che il pennello venga sodetto; ché quanto vien più
sodo e più corto, tanto è migliore e più dilicato lavorìo fa. Fa' poi un'asticciuola d'àrgiere, o di
castagno, o d'altro legno buono; e falla pulita, netta, ritratta in forma di un fuso, di quella grossezza
che vada a stretto nel detto cannello, e fa' che sia lunga una spanna. E hai come si dee fare il
pennello di vaio. È vero che i pennelli di vaio vogliono essere di più ragioni: come da mettere
d'oro; come lavorare di piatto, che vuole essere un poco mozzetto colle forbicine, e arrotato un
poco in sulla prìa proferitica, tanto che si dimestichi un poco; tale pennello vuole essere appuntato
con perfetta punta per profilare; e tale vuol essere piccinin piccinin, per certi lavori e figurette ben
piccole.
CAPITOLO LXV.
Come e in che modo dèi fare i pennelli di setole.
I pennelli di setole si fanno in questa forma. Prima togli setole di porco bianco, che sono migliori
che le negre (ma fa' che sieno di porco dimestico); e fanne un pennello grosso, dove vada una libra
delle dette setole, e legalo a un'asta grossetta, con groppo o ver nodo di bómare, o ver versuro. E
questo tale pennello si vuole dirozzarlo a imbiancare muri, a bagnare muri dove hai a smaltare; e
dirozzalo tanto, che le dette setole divegnano morbidissime. Poi disfa' questo cotal pennello, e fanne
le sorte come vuoi far d'ogni condizione pennello. E fanne di quelli che le punte sieno ben gualive
di ciascuna setola, che si chiamano pennelli mozzi; e di quelli che sieno puntii, d'ogni maniera di
grossezza. Poi fa' asticciuola di quel legname detto di sopra, e lega ciascheduno mazzuolo con filo
doppio incerato. Mettivi dentro la punta della detta asticciuola, e va' legando gualivamente la metà
del detto mazzuolo di setole, e poi su per l'asticciuola; e medesimamente fa' così di tutti.
CAPITOLO LXVI.
El modo di conservare le códole di vaio che non intarmino.
Se vuoi conservare le code di vaio che non s'intarmino e non si pelino, intingile nella terra intrisa,
o ver crea. Impastavele bene dentro, e appiccale, e lasciale stare. Quando le vuoi adoperare, o farne
pennelli, lavale bene con acqua chiara.
CAPITOLO LXVII.
Il modo e ordine a lavorare in muro, cioè in fresco, e di colorire o incarnare viso giovenile.
Col nome della Santissima Trinità ti voglio mettere al colorire.
Principalmente comincio a lavorare in muro, del quale t'informo che modi dèi tenere a passo a
passo. Quando vuoi lavorare in muro (ch 'l più dolce e il più vago lavorare che sia), prima abbi
calcina e sabbione, tamigiata bene l'una e l'altra. E se la calcina è ben grassa e fresca, richiede le due
parti sabbione, la terza parte calcina. E intridili bene insieme con acqua, e tanta ne intridi, che ti duri
quindici o venti. E lasciala riposare qualche dì, tanto che n'esca il fuoco: ché quando è così
focosa, scoppia poi lo 'ntonaco che fai. Quando se' per ismaltare, spazza bene prima il muro, e
bagnalo bene, ché non può essere troppo bagnato; e togli la calcina tua ben rimenata a cazzuola a
cazzuola; e smalta prima una volta o due, tanto che vegna piano lo 'ntonaco sopra il muro. Poi,
quando vuoi lavorare, abbi prima a mente di fare questo smalto bene arricciato, e un poco rasposo.
Poi, secondo la storia o figura che de' fare, se lo intonaco è secco, togli il carbone, e disegna, e
componi, e cogli bene ogni tuo' misura, battendo prima alcun filo, pigliando i mezzi degli spazi. Poi
batterne alcuno, e coglierne i piani. E a questo che batti per lo mezzo, a cogliere il piano, vuole
essere uno piombino da piè del filo. E poi metti il sesto grande, l'una punta in sul detto filo: e volgi
il sesto mezzo tondo dal lato di sotto; poi metti la punta del sesto in sulla croce del mezzo dell'un
filo e dell'altro, e fa' l'altro mezzo tondo dal lato di sopra, e troverrai che dalla man diritta hai, per gli
fili che si scontrano, fatto una crocetta per costante, dalla man zanca metti il filo da battere, che dia
propio in su tuttadue le crocette: e troverai il tuo filo essere piano a livello. Poi componi col
carbone, come detto ho, storie o figure; e guida i tuo' spazj sempre gualivi, o uguali. Poi piglia un
pennello piccolo e pontìo di setole, con un poco d'ocria, senza tempera, liquida come acqua; e va'
ritraendo e disegnando le tue figure, aombrando come arai fatto con acquerelle quando imparavi a
disegnare. Poi togli un mazzo di penne, e spazza bene il disegno del carbone.
Poi togli un poco di sinopia senza tempera, e col pennello puntìo sottile va' tratteggiando nasi,
occhi e capellature, e tutte stremità e intorni di figure; e fa' che queste figure sieno bene compartite
con ogni misura, perché queste ti fanno cognoscere e provedere delle figure che hai a colorire. Poi
fa' prima i tuoi fregi, o altre cose che voglia fare d'attorno, e come a te convien torre della calcina
predetta, ben rimenata con zappa e con cazzuola, per ordine che paia unguento. Poi considera in te
medesimo quanto il puoi lavorare; ché quello che smalti, ti convien finire in quel dì. È vero che
alcuna volta di verno, a tempo di umido, lavorando in muro di pietra, alcuna volta sostiene lo smalto
fresco in nell'altro dì. Ma, se puoi, non t'indugiare; perché il lavorare in fresco, cioè di quel dì, è la
più forte tempera e migliore, e 'l più dilettevole lavorare che si faccia. Adunque smalta un pezzo
d'intonaco sottiletto (e non troppo) e ben piano, bagnando prima lo 'ntonaco vecchio. Poi abbi il tuo
pennello di setole grosse in mano, intingilo nell'acqua chiara; battilo e bagna sopra il tuo smalto; e
al tondo, con un'assicella di larghezza di una palma di mano, va' fregando su per lo 'ntonaco ben
bagnato, acciò che l'assicella predetta sia donna di levare dove fosse troppa calcina, o porre dove ne
mancasse, e spianare bene il tuo smalto. Poi bagna il detto smalto col detto pennello, se bisogno
n'ha; e colla punta della tua cazzuola, ben piana e ben pulita, la va' fregando su per lo intonaco. Poi
batti le tuo' fila dell'ordine, e misura lo prima fatto allo 'ntonaco di sotto. E facciamo ragione che
abbi a fare per solo una testa di Santa o di Santo giovane, come è quella di Nostra Donna
santissima. Come hai pulita così la calcina del tuo smalto, abbi uno vasellino invetriato; ché tutti i
vaselli vogliono essere invetriati, ritratti come il migliuolo o ver bicchiero, e voglion avere buono e
grave sedere di sotto, acciò che riseggano bene che non si spandessero i colori. Togli quanto una
fava d'ocria scura (ché sono di due ragioni ocrie, chiare e scure); e se non hai della scura, togli della
chiara macinata bene. Mettila nel detto tuo vasellino, e togli un poco di nero, quanto fusse una lente;
mescola colla detta ocria. Togli un poco di bianco sangiovanni, quanto una terza fava; togli quanto
una punta di coltellino di cinabrese chiara; mescola con li predetti i colori tutti insieme per ragioni,
e fa' il detto colore corrente e liquido con acqua chiara, senza tempera. Fa' un pennello sottile acuto
di setole liquide e sottili, che entrino su per uno bucciuolo di penna d'oca; e con questo pennello
atteggia il viso che vuoi fare (ricordandoti che divida il viso in tre parti, cioè la testa, il naso, il
mento con la bocca), e da' col tuo pennello a poco a poco, squasi asciutto, di questo colore, che si
chiama a Firenze verdaccio, a Siena bazzèo. Quando hai dato la forma del tuo viso, e ti paresse o in
le misure, o come si fosse, che non rispondesse secondo che a te paresse; col pennello grosso di
setole, intinto nell'acqua, fregando su per lo detto intonaco, puoi guastarlo e rimendarlo. Poi abbi un
poco di verdeterra ben liquido, in un altro vasello; e con pennello di setole, mozzo, premuto col dito
grosso e col lungo della man zanca, va' e comincia a ombrare sotto il mento, e più dalla parte dove
dee essere più scuro il viso, andando ritrovando sotto il labbro della bocca, e in nelle prode della
bocca, sotto il naso; e dal lato sotto le ciglia, forte verso il naso; un poco nella fine dell'occhio verso
le orecchie: e così con sentimento ricercare tutto 'l viso e le mani dove ha essere incarnazione. Poi
abbi un pennello aguzzo di vaio, e va' rifermando bene ogni contorno (naso, occhi, labbri, e
orecchie), di questo verdaccio. Alcuni maestri sono che adesso, stando il viso in questa forma,
tolgono un poco di bianco sangiovanni, stemperato con acqua; e vanno cercando le sommità e rilievi
del detto volto bene per ordine; poi danno una rossetta ne' labbri e nelle gote cotali meluzzine; poi
vanno sopra con un poco d'acquerella, cioè incarnazione, bene liquida; e rimane colorito.
Toccandolo poi sopra i rilievi d'un poco di bianco, è buon modo. Alcuni campeggiano il volto
d'incarnazione, prima; poi vanno ritrovando con un poco di verdaccio e incarnazione, toccandolo
con alcuno bianchetto: e riman fatto. Questo è un modo di quelli che sanno poco dell'arte: ma tieni
questo modo, di ciò che ti dimosterrò del colorire; però che Giotto, il gran maestro, tenea così. Lui
ebbe per suo discepolo Taddeo Gaddi fiorentino anni ventiquattro; ed era suo figlioccio; Taddeo
ebbe Agnolo suo figliuolo; Agnolo ebbe me anni dodici: onde mi mise in questo modo del colorire;
el quale Agnolo colorì molto più vago e fresco che non fe' Taddeo suo padre.
Prima abbia un vasellino: mettivi dentro, piccola cosa che basta, d'un poco di bianco
sangiovanni, e un poco di cinabrese chiara, squasi tanto dell'uno quanto dell'altro. Con acqua chiara
stempera ben liquidetto; con pennello di setole morbido, e ben premuto con le dita, detto di sopra,
va' sopra il tuo viso, quando l'hai lasciato tocco di verdeterra; e con questa rossetta tocca i labbri, e
le meluzze delle gote. El mio maestro usava ponere queste meluzze più in ver le orecchie che verso
il naso, perché aiutano a dare rilievo al viso; e sfummava le dette meluzze d'attorno. Poi abbi tre
vasellini, i quali dividi in tre parti d'incarnazione; che la più scura, sia per la metà più chiara che la
rossetta; e l'altre due di grado in grado più chiara l'una che l'altra. Or piglia il vasellino della più
chiara, e con pennello di setole ben morbido, mozzetto, togli della detta incarnazione, con le dita
premendo il pennello; e va' ritrovando tutti i rilievi del detto viso. Poi piglia il vasellino della
incarnazione mezzana, e va' ricercando tutti i mezzi del detto viso, e mani e pie' e imbusto, quando
fai uno ignudo. Togli poi il vasellino della terza incarnazione, e va' nella stremità dell'ombre,
lasciando sempre, in nella stremità, che 'l detto verdeterra non perda suo credito; e per questo modo
va' più volte sfumando l'una incarnazione con l'altra, tanto che rimanga bene campeggiato, secondo
che natura 'l promette. Guar'ti bene, se vuoi che la tua opera gitti ben fresca, fa' che col tuo pennello
non eschi di suo luogo ad ogni condizione d'incarnazione, se non con bella arte commettere
gentilmente l'una con l'altra. Ma veggendo tu lavorare, e praticare la mano, ti farebbe più avidente
che vederlo per iscrittura. Quando hai date le tue incarnazioni, fanne un'altra molto più chiara,
squasi bianca; e va' con essa su per le ciglia, su per lo rilievo del naso, su per la sommità del mento
e del coverchio dell'orecchio. Poi togli un pennello di vaio, acuto; e con bianco puro fa' i bianchi
delli occhi, e in su la punta del naso, e un pochettino dalla proda della bocca, e tocca cotali
rilievuzzi, gentili. Poi abbia un poco di negro in altro vasellino, e con detto pennello profila il
contorno delli occhi sopra le luci delli occhi; e fa' le nari del naso, e buchi dentro dell'orecchie. Poi
togli in un vasellino un poco di sinopia scura, profila gli occhi di sotto, il naso d'intorno, le ciglia, la
bocca; e ombra un poco sotto il labbro di sopra, che vuole pendere un poco più scuretto che il labbro
di sotto. Innanzi che profili così i dintorni, togli il detto pennello, col verdaccio va' ritoccando le
capellature; poi col detto pennello con bianco va' trovando le dette capellature; poi piglia
un'acquarella di ocria chiara; va' ricoprendo le dette capellature con pennello mozzo di setole, come
incarnassi. Va' poi col detto pennello ritrovando le stremità con ocria scura; poi va' con un
pennelletto di vaio, acuto, e con ocria chiara e bianco sangiovanni, ritrovando i rilievi della
capellatura. Poi col profilare della sinopia va' ritrovando i contorni e le stremità della capellatura,
come hai fatto il viso, per tutto. E questo ti basti a un viso giovane.
CAPITOLO LXVIII.
Il modo di colorire un viso vecchio in fresco.
Quando vuoi fare un viso di vecchio, a te conviene usare questo medesimo modo che al giovine;
salvo che 'l tuo verdaccio vuole essere più scuretto, e così le incarnazioni; tenendo quel modo e
quella pratica c'hai fatto del giovane, e per costante le mani, e piedi, e 'l busto. Mo sia tu, che 'l tuo
vecchio abbi capellatura e barba canuta. Quando l'hai trovato di verdaccio e di bianco col tuo
pennello di vaio acuto, togli in un vasellino bianco sangiovanni e un poco di negro mescolato,
liquido, e con pennello mozzo e morbido di setole, ben premuto, va' campeggiando barba e
capellatura; e poi fa' di questo miscuglio un poco più scuretto, e vai trovando le scurità. Poi togli un
pennelletto di vaio acuto, e va spelando gentilmente su per li rilievi delle dette capellatura e barba. E
di questo cotal colore tu puo' fare il vaio.
CAPITOLO LXIX.
Il modo di colorire più maniere di barbe e di capellature in fresco.
Quando vuoi fare d'altre capellature e d'altre barbe, o sanguigne, o rossette, o negre, o di qual
maniera tu vuoi, falle pur prima di verdaccio, e ritrovale di bianco; poi le campeggia all'usato modo
detto di sopra. Avvisati pur di qual colore tu vuoi, ché la pratica di vederne delle fatte t'insegnerà.
CAPITOLO LXX.
Le misure che dee avere il corpo dell'uomo fatto perfettamente.
Nota che, innanzi più oltre vada, ti voglio dare a littera le misure dell'uomo. Quelle della
femmina lascio stare, perché non ha nessuna perfetta misura. Prima, come ho detto di sopra, il viso
è diviso in tre parti: cioè la testa, una; il naso, l'altra; e dal naso al mento, l'altra. Dalla proda del
naso per tutta la lunghezza dell'occhio, una di queste misure: dalla fine dell'occhio per fine
all'orecchie, una di queste misure: dall'uno orecchio all'altro, un viso per lunghezza: dal mento sotto
il gozzo al trovare della gola, una delle tre misure: la gola, lunga una misura: dalla forcella della
gola alla sommità dell'omero, un viso; e così dall'altro omero: dall'omero al gomito, un viso: dal
gomito al nodo della mano, un viso ed una delle tre misure: la mano tutta per lunghezza, un viso:
dalla forcella della gola a quella del magone, o vero stomaco, un viso: dallo stomaco al bellico, un
viso: dal bellico al nodo della coscia, un viso: dalla coscia al ginocchio, due visi: dal ginocchio al
tallone della gamba, due visi: dal tallone alla pianta, una delle tre misure: il piè, lungo un viso.
Tant'è lungo l'uomo, quanto per il traverso, over le braccia, distenda; le braccia con le mani,
per fino a mezza la coscia. È tutto l'uomo lungo otto visi e due delle tre misure. Ha l'uomo, men che
la donna, una costola del petto dal lato manco. È in tutto l'uomo ossa ..... Dee avere la natura sua,
cioè la verga, a quella misura che è piacere delle femmine; siano i suoi testicoli piccoli, di bel modo
e freschi. L'uomo bello vuole essere bruno, e la femmina bianca, ec.
Degli animali irrazionali non ti conterò, perché non n'apparai mai nessuna misura. Ritra'ne e
disegna più che puoi del naturale, e proverai. E a ciò fia buona pratica.
CAPITOLO LXXI.
El modo di colorire un vestimento in fresco.
Or ritorniamo pure al nostro colorire in fresco e in muro. Se vuoi colorire un vestire di qual veste
tu vuoi, prima ti conviene disegnarlo gentilmente col tuo verdaccio, e che 'l tuo disegno non si
vegga molto, ma temperatamente. Poi, o vuoi bianco vestire, o vuoi rosso, o vuoi giallo, o verde, o
come tu vuoi, abbi tre vasellini. Pigliane uno, mettivi dentro quel colore che vuoi, diciamo rosso;
togli del cinabrese, un poco di bianco sangiovanni: e questo sia l'un colore, ben rimenato con acqua.
Gli altri due colori, fanne un chiaro, cioè mettendovi assai bianco sangiovanni. Piglia ora del primo
vasello e di questo chiaro, e fa' un colore di mezzo, e ha'ne tre. Piglia ora il primo, cioè lo scuro,e
con pennello di setole, grossetto e un poco puntìo, va' per le pieghe della tua figura ne' più scuri
luoghi, e non passare il mezzo della grossezza della tua figura. Poi piglia il colore di mezzo; va'
campeggiando dall'un tratto scuro all'altro, e commettendoli insieme, e sfummando le tue pieghe
nelle stremità delli scuri. Poi va' pure con questi colori di mezzo a ritrovare le scurità, dove dee
essere il rilievo della figura, mantenendo sempre bene lo gnudo. Poi piglia il terzo colore più chiaro,
e per quello medesimo modo che hai ritrovato e campeggiato l'andare delle pieghe dello scuro, così
fa' del rilievo, assettando le pieghe con buon disegno e sentimento, con buona pratica. Quando hai
campeggiato due o tre volte con ogni colore (non uscendo mai del proposito de' colori, di non dare
tòrre il luogo dell'un colore all'altro, se non quando si vengono a congiugnere), sfummali e
commetteli bene. Abbi poi in un altro vasello ancora color più chiaro, ch'è 'l più chiaro di questi tre;
e va' ritrovando, e biancheggiando la sommità delle pieghe. Poi togli un altro vasello bianco puro, e
va' ritrovando perfettamente tutti i luoghi di rilievo. Poi va' con la cinabrese pura, e va' pe' luoghi
scuri, e per alcuni dintorni; e rimanti il vestire fatto per ordine. Ma veggendo tu lavorare, comprendi
meglio assai che per lo leggere. Quando hai fatto la tua figura, o storia, lasciala asciugare tanto, che
in tutto sia ben risecca la calcina e i colori; e se in secco ti rimane a fare nessun vestire, terrai questo
modo.
CAPITOLO LXXII.
El modo di colorire in muro in secco, e sue tempere.
Ogni colore di quelli che lavori in fresco, puoi anche lavorare in secco; ma in fresco sono colori
che non si può lavorare, come orpimento, cinabro, azzurro della Magna, minio, biacca, verderame, e
lacca. Quelli che si può lavorare in fresco, sono giallorino, bianco san giovanni, nero, ocria,
cinabrese, sinopia, verdeterra, amatisto. Quelli che si lavorano in fresco vogliono per compagnia, a
dichiararli, bianco sangiovanni; e i verdi, quando gli vuoi lasciare per verde, giallorino; quando li
vuoi lasciare verdi in colore di salvia, to' del bianco. Quelli colori che non si possono lavorare in
fresco, vogliono per compagnia, a dichiararli, biacca e giallorino, e alcuna volta orpimento; ma rade
volte orpimento: mo sia tu; credo che sia superfluo. A lavorare un azzurro biancheggiato, togli
quella ragione di tre vaselli, che t'ho insegnato, della incarnazione e della cinabrese; e per lo simile
vuol essere di questo, salvo che dove toglievi il bianco, togli la biacca, e tempera ogni cosa. Due
maniere di tempere ti son buone, l'una miglior che l'altra. La prima tempera, togli la chiara e
rossume dell'uovo, metti dentro alcune tagliature di cime di fico, e ribatti bene insieme; poi metti in
su questi vasellini di questa tempera, temperatamente, non troppa poca, come sarebbe un vino
mezzo innacquato. E poi lavora i tuoi colori o bianco, o verde, o rosso, come ti dimostrai in
fresco; e conducera' i tuoi vestiri, secondo in modo che fai in fresco, con temperata mano,
aspettando il tempo del rasciugare. Se déssi troppa tempera, abbi che di subito scoppierà il colore, e
creperà dal muro. Sia savio, e pratico. Prima ti ricordo, innanzi cominci a colorire, e vogli fare un
vestire di lacca, o d'altro colore, prima che facci niun'altra cosa, togli una spugna ben lavata, e abbi
un rossume d'uovo con la chiara, e mettilo in due scodelle d'acqua chiara rimescolata bene insieme;
e con la detta spugna, mezza premuta, della detta tempera va' ugualmente sopra tutto il lavoro, che
hai a colorire in secco, e ancora adornare d'oro; e poi liberamente va' a colorire come tu vuoi. La
seconda tempera si è propio rossume d'uovo; e sappi che questa tempera è universale, in muro, in
tavole, in ferro; e non ne puoi dare troppo, ma sia savio di pigliare una via di mezzo. Prima vadi più
innanzi, di questa tempera ti voglio fare un vestire in secco come ti feci in fresco di cinabrese.
Ora tel vo' fare di azzurro oltramarino. Togli tre vaselli al modo usato: nel primo metti le due parti
azzurro e 'l terzo biacca: il terzo vasello, le due parti biacca, e 'l terzo azzurro: e rimescola e tempera
secondo che detto t'ho. Poi togli il vasello vuoto, cioè il secondo: togli tanto dell'uno vasello quanto
dell'altro, e fa' una conmestizione insieme ben rimenata con pennello di setole, o vuoi di vaio,
mozzo e sodo; e col primo colore, cioè col più scuro, va' per le stremità ritrovando le pieghe più
scure. Togli poi il mezzan colore, e va' campeggiando di quelle pieghe scure, e ritrova le pieghe
chiare di rilievo della figura. Poi togli il terzo colore, e va' campeggiando, e facendo delle pieghe,
che vengono sopra il rilievo; e va' commettendo bene l'un colore con l'altro, sfummando e
campeggiando, a modo che t'insegnai in fresco. Poi togli 'l colore più chiaro, e mettivi dentro della
biacca con tempera, e va' ritrovando le sommità delle pieghe del rilievo. Poi togli un poco di biacca
pura, e va' su per certi gran rilievi, come richiede il nudo della figura. Poi va' con azzurro
oltramarino, puro, ritrovando la fine delle più scure pieghe e dintorni; e per questo modo leccando il
vestire, secondo i luoghi e suo' colori, sanza mettere o imbrattare l'un colore coll'altro, se non con
dolcezza. E così fa' di lacca e di ciascun colore che lavori in secco ec.
CAPITOLO LXXIII.
El modo di sapere fare un color biffo.
Se vuoi fare un bel colore biffo, togli lacca fina, azzurro oltramarino, tanto dell'uno quanto
dell'altro, temperato. Poi piglia tre vasellini, a modo di sopra; e lascia stare di questo color biffo nel
suo vasellino per ritoccare li scuri. Poi di quello che ne trai, fanne tre ragioni di colori da
campeggiare il vestire, digradanti, più chiaro l'uno che l'altro, a modo detto di sopra.
CAPITOLO LXXIV.
A lavorare un color biffo in fresco.
Se vuoi fare un biffo per lavorare in fresco, togli indaco e amatisto, e mescola sanza tempera a
modo di quello di sopra, e fanne in tutto quattro gradi. Poi lavora il tuo vestire.
CAPITOLO LXXV.
A volere contraffare uno azzurro oltramarino lavorandolo in fresco.
Se vuoi fare un vestire in fresco simigliante all'azzurro oltramarino, togli indaco con bianco
sangiovanni, e digrada insieme i tuo' colori: e poi in secco, toccalo nella stremità, di azzurro
oltramarino.
CAPITOLO LXXVI.
A colorire un vestire pagonazzo, o vero morello, in fresco.
Se vuoi fare in fresco un vestire pagonazzo simigliante alla lacca, togli amatisto, bianco
sangiovanni, digrada i tuoi colori a modo detto; e va'gli sfummando, e commettendoli bene insieme.
Poi in secco, nelle estremità, toccherai con lacca pura e temperata.
CAPITOLO LXXVII.
A colorire un vestire cangiante in verde, in fresco.
Se vuoi fare un vestir d'angelo, cangiante, in fresco, campeggia il vestire di due ragioni
incarnazione, più scura e più chiara, e sfummale bene per lo mezzo della figura; poi la parte più
scura. Aombra lo scuro con azzurro oltramarino; e la incarnazione più chiara ombra con verde terra,
ritoccandolo poi in secco. E nota, che ogni cosa che lavori in fresco vuole essere tratto a fine, e
ritoccato in secco con tempera. Biancheggia il detto vestire in fresco, all'usanza che t'ho detto degli
altri.
CAPITOLO LXXVIII.
A colorire un vestire, in fresco, cangiante di cignerognolo.
Se vuoi fare cangiante in fresco, togli bianco sangiovanni e negro, e fa' un colore di vaio, che si
chiama cignerognolo. Campeggialo; biancheggialo qual vuoi di giallorino, e qual di bianco
sangiovanni. Da' gli scuri, o vuoi di nero, o vuoi di biffo, o vuoi di verde scuro.
CAPITOLO LXXIX.
A colorire un cangiante di lacca, in secco.
Se vuoi fare un cangiante in secco, campeggialo di lacca; biancheggialo d'incarnazione, o vuoi di
giallorino; aombra gli scuri, o vuoi di lacca pura, o vuoi di biffo con tempera.
CAPITOLO LXXX.
A colorire un cangiante, in fresco o in secco, d'ocria.
Se vuoi fare un cangiante in fresco o in secco, campeggialo d'ocria, biancheggialo con bianco, e
l'aombra di verde, nel chiaro; e nell'oscuro, di negro e di sinopia, o vuoi d'amatisto.
CAPITOLO LXXXI
A colorire un vestimento berettino, in fresco o in secco.
Se vuoi fare un vestire berettino, tolli nero e ocria; cioè le due parti ocria, e il terzo nero; e
digrada i colori, come indietro t'ho insegnato, e in fresco e in secco.
CAPITOLO LXXXII
A colorire un vestimento, in fresco e in secco, di colore berettino rispondente al colore di legno.
Se vuoi fare un colore di legno, togli ocria, negro, e sinopia; ma le due parti ocria, e negro e rosso
per la metà dell'ocria. Digrada i tuoi colori di questo in fresco, in secco, e in tempera.
CAPITOLO LXXXIII.
A fare un vestire d'azzurro della Magna, o oltramarino, o mantello di Nostra Donna.
Se vuoi fare un mantello di Nostra Donna d'azzurro della Magna, o altro vestire che voglia fare
solo d'azzurro, prima in fresco campeggia il mantello, o ver vestire, di sinopia e di nero; ma le due
parti sinopia, e il terzo negro. Ma prima gratta la perfezione delle pieghe con qualche puntaruolo di
ferro, o agugiella; poi in secco togli azzurro della Magna lavato bene, o vuoi con lisciva, o vuoi con
acqua chiara, e rimenato un poco poco in su la prìa da triare. Poi, se l'azzurro è di buon colore e
pieno, mettivi dentro un poco di colla stemperata, né troppo forte, né troppo lena, che più innanzi te
ne parlerò. Ancora metti nel detto azzurro un rossume d'uovo; ma se l'azzurro fosse chiaretto, vuole
essere il rossume di questi uovi della villa, che sono bene rossi. Rimescola bene insieme, con
pennello di setole morbido: ne da' tre o quattro volte sopra il detto vestire. Quando l'hai ben
campeggiato, e che sia asciutto, togli un poco d'indaco e di negro, e va' aombrando le pieghe per lo
mantello, il più che puoi; pur di punta ritornando più e più fiate in su le ombre. Se vuoi in su' dossi
delle ginocchia, o altri rilievi biancheggiare un poco, gratta l'azzurro puro con la punta dell'asta del
pennello. Se vuoi mettere in campo, o in vestire, azzurro oltramarino, temperalo all'usato modo
detto di quello della Magna, e sopra quello danne due o tre volte. Se vuoi aombrare le pieghe, togli
un poco di lacca fina, e un poco di negro temperato con rossume d'uovo. E aombralo gentile quanto
puoi, e più nettamente; prima con poca di quella, e poi di punta, e fa' men pieghe che puoi, perché
l'azzurro oltramarino vuol poca vicinanza d'altro miscuglio.
CAPITOLO LXXXIV
A fare un vestire negro di abito di monaco o di frate, in fresco o in secco.
Se vuoi fare un vestire negro d'abito di frate o di monaco, togli il nero puro, digradandolo di più
ragioni, come prima ho detto di sopra, in fresco, in secco, temperato.
CAPITOLO LXXXV.
Del modo di colorire una montagna in fresco o in secco.
Se vuoi fare montagne in fresco e in secco, fa' un colore verdaccio, di negro una parte, d'ocria le
due parti. Digrada i colori, in fresco, di bianco senza tempera; e in secco, con biacca e con tempera;
e dà' loro quella ragione, che dai a una figura di scuro o di rilievo. E quando hai a fare le montagne,
che paiano più a lungi, più fai scuri i tuo' colori; e quando le fai dimostrare più appresso, fa' i colori
più chiari.
CAPITOLO LXXXVI.
Il modo di colorire albori, ed erbe, e verdure, in fresco e in secco.
Se vuoi adornare le dette montagne di boschi d'arbori o d'erbe, metti prima il corpo dell'albero di
nero puro, temperato, ché in fresco mal si possono fare; e poi fa' un grado di foglie di verde scuro, o
pur di verde azzurro, ché di verdeterra non è buono; e fa' che le lavori bene e spesse. Poi fa' un verde
con giallorino, che sia più chiaretto; e fa' delle foglie meno, cominciando a ridurti a trovare delle
cime. Poi tocca i chiarori delle cime pur di giallorino, e vedrai i rilievi degli àlbori e delle verdure;
ma prima, quando hai campeggiato gli àlbori di negro in pie', e alcuni rami degli alberi, e buttavi su
le foglie, e poi i frutti; e sopra le verdure butta alcuni fiori e uselletti.
CAPITOLO LXXXVII.
Come si de' colorire i casamenti, in fresco e in secco.
Se vuoi fare casamenti, pigliali nel tuo disegno della grandezza che vuoi, e batti le fila. Poi
campeggiali con verdaccio, e con verdeterra, o in fresco o in secco, che sia ben liquido; e qual puoi
fare di biffo, qual di cignerognolo, qual di verde, quale in colore berettino, e per lo simile di quel
colore tu vuoi. Poi fa' una riga lunga, diritta e gentile, la quale dall'uno de' tagli sia smussata, che
non s'accosti al muro; ché fregandovi, o andando su col pennello e col colore non t'imbratterà
niente; e lavorrai quelle cornicette con gran piacere e diletto; e per lo simile, base, colonne, capitelli,
frontispizi, fioroni, civori, e tutta l'arte della mazzonarìa, ch'è un bel membro dell'arte nostra, e
vuolsi fare con gran diletto. E tieni a mente, che quella medesima ragione che hai nelle figure dei
lumi e scuri, così conviene avere in questi, e da' a' casamenti per tutti questa ragione: che la cornice
che fai nella sommità del casamento, vuol pendere da lato verso lo scuro in giù; la cornice del
mezzo del casamento, a mezza la faccia, vuole essere ben pari e ugualiva; la cornice del fermamento
del casamento di sotto, vuole alzare in su per lo contrario della cornice di sopra, che pende in giù.
CAPITOLO LXXXVIII.
Il modo del ritrarre una montagna del naturale.
Se vuoi pigliare buona maniera di montagne, e che paino naturali, togli di pietre grandi che sieno
scogliose e non polite; e ritra'ne del naturale, dando i lumi e scuro, secondo che la ragione
t'acconsente.
CAPITOLO LXXXIX.
In che modo si lavora a olio in muro, in tavola, in ferro, e dove vuoi.
Innanzi che più oltre vada, ti voglio insegnare a lavorare d'olio in muro o in tavola, che l'usano
molto i tedeschi: e, per lo simile, in ferro e in pietra. Ma prima diren del muro.
CAPITOLO XC.
Per che modo dèi cominciare a lavorare in muro ad olio.
Ismalta il muro a modo che lavorassi in fresco; salvo che, dove tu smalti a poco a poco, qui tu dei
smaltare distesamente tutto il tuo lavoro. Poi disegna con carbone la tua storia, e fermala o con
inchiostro o con verdaccio temperato. Poi abbia un poco di colla bene innacquata. Ancora è miglior
tempera tutto l'uovo sbattuto con lattificio del fico in una scodella; e mettivi in su 'l detto uovo un
migliuolo d'acqua chiara. Poi, o vuoi con ispugna o vuoi col pennello morbido e mozzetto, daine
una volta per tutto 'l campo che hai a lavorare; e lascialo asciugare almen per un dì.
CAPITOLO XCI.
Come tu dèi fare l'olio buono per tempera, e anche per mordenti, bollito con fuoco.
Perché delle utili cose che a te bisogna sapere per mordenti per molte cose che s'adovra, ti
conviene saper fare quest'olio; imperò togli una libra, o due o tre o quattro, d'olio di semenza di lino,
e mettilo in una pignatta nuova; e s'è invetriata, tanto è migliore. Fa' un fornelletto, e fa' una buca
tonda, che questa pignatta vi stia commessa a punto, che 'l fuoco non possa passare di sopra; perché
'l fuoco vi anderebbe volentieri, e metteresti a pericolo l'olio, e anche di bruciare la casa. Quando hai
fatto il tuo fornello, empiglia un fuoco temperato: ché quanto il farai bollire più adagio, tanto sarà
migliore e più perfetto. E fallo bollire per mezzo, e sta bene. Ma per fare mordenti, quando è tornato
per mezzo, mettivi per ciascuna libra d'olio un'oncia di vernice liquida, che sia bella e chiara: e
questo cotale olio è buono per mordenti.
CAPITOLO XCII.
Come si fa l'olio buono e perfetto, cotto al sole.
Quando tu hai fatto quest'olio (il quale ancora si cuoce per un altro modo, ed è più perfetto da
colorire; ma per mordenti vuol essere pur di fuoco, cioè cotto), abbi il tuo olio di semenza di lino; e
di state mettilo in un catino di bronzo o di rame, o in bacino. E quando è il sole lione, tiello al sole;
il quale, se vel tieni tanto che torni per mezzo, è perfettissimo da colorire. E sappi che a Firenze l'ho
trovato il migliore e 'l più gentile che possa essere.
CAPITOLO XCIII.
Sì come dèi triare i colori ad olio, e adoperarli in muro.
Ritorna a ritriare, o vero macinare, di colore in colore, come facesti a lavorare in fresco; salvo
dove triavi con acqua, tria ora con questo olio. E quando li hai triati, cioè d'ogni colore (ché
ciascheduno colore riceve l'olio, salvo bianco sangiovanni), abbi vasellini dove mettere i detti
colori, di piombo o di stagno. E se non ne truovi, togli degl'invetriati, e mettivi dentro i detti colori
macinati: e pongli in una cassetta, che stieno nettamente. Poi con pennelli di vaio, quando vuoi fare
un vestire di tre ragioni, come t'ho detto, compartiscili e mettili ne' luoghi loro; commettendo
bene l'un colore con l'altro, ben sodetti i colori. Poi sta' alcun dì, e ritorna, e vedi come son coverti, e
ricampeggia come fa mistieri. E così fa' dello incarnare, e di fare ogni lavorìo che vuoi fare: e così
montagne, arbori, ed ogni altro lavoro. Poi abbia una piastra di stagno o di piombo, che sia alta
d'intorno un dito, sì come sta una lucerna; e tiella mezza d'olio, e quivi tieni i tuo' pennelli in riposo,
che non si secchino.
CAPITOLO XCIV.
Come dèi lavorare ad olio in ferro, in tavola, in pietra.
E per lo simile in ferro lavora, e ogni pietra, ogni tavola, incollando sempre prima; e così in
vetro, o dove vuoi lavorare.
CAPITOLO XCV.
Il modo dell'adornare in muro ad oro, o con istagno.
Ora, poi che dimostrato t'ho del modo del lavorare in fresco, in secco, e ad olio, ti voglio
dimostrare a che modo dèi adornare in muro con istagno dorato in bianco, e con oro fine. E nota,
che sopra tutto fa' con meno ariento che puoi, perché non dura, e viene negro in muro e in legno; ma
più tosto perde in muro. Adopera in suo cambio innanzi dello stagno battuto, o vogli stagnuoli.
Ancora ti guarda da oro di metà, ché di subito viene negro.
CAPITOLO XCVI.
Come dèi sempre usare di lavorare oro fine, e di buoni colori.
In muro i più hanno per usanza adornare con stagno dorato, perché è di meno spesa. Bene ti do
questo consiglio, che ti sforzi di adornare sempre d'oro fine, e di buoni colori, massimamente in
nella figura di Nostra Donna. E se vuoi dire: una povera persona non può fare la spesa; rispondoti:
che se lavori bene, e dia tempo nelli tuoi lavorii, e di buoni colori, acquisti fama in tal modo, che
una ricca persona ti verrà a pagare per la povera; e sarà il nome tuo buono in dare buon colore,
che se un maestro arà un ducato d'una figura, a te ne sarà proferto due, e verrai ad avere tua
intenzione; come che proverbio antico sia: chi grossamente lavora, grossamente guadagna. E dove
non ne fossi ben pagato, Iddio e Nostra Donna te ne farà di bene all'anima e al corpo.
CAPITOLO XCVII.
In che modo dèi tagliare lo stagno dorato, e adornare.
Quando adorni di stagno, o bianco o dorato, che l'abbia a tagliare con coltellino; prima abbia
un'asse ben pulita, di noce o di pero o di susino, sottile non troppo, per ogni parte quadra, com'è
un foglio reale. Poi abbi della vernice liquida, ungi bene questa asse, mettivi su il tuo pezzo di
stagno, ben disteso e pulito. Poi va' tagliando con coltellino bene aguzzato nella punta, e con riga
taglia le filuzza di quella larghezza che vuoi fare i fregi, o vuoi pur di stagno, o vuoi larghi, che
gli adorni poi o di negro o di altri colori.
CAPITOLO XCVIII.
Come si fa lo stagno verde per adornare.
Ancora, per adornare i detti fregi, togli del verderame, triato con olio di linseme; e danne
distesamente su per un foglio di stagno bianco, che sarà un bel verde. Lascialo ben seccare al sole,
poi in sull'asse distendi con vernice, poi taglia con coltellino, o vuoi prima con istampa fare o
rosettine, o qualche belle cosette; e con vernice liquida ungi l'asse, e quelle rosette vi pon su; poi
l'attacca al muro. Ancora, se vuoi fare stelle d'oro fino, o mettere la diadema de' Santi, o adornare
con coltellino, come ti ho detto, ti conviene prima mettere l'oro fine in su lo stagno dorato.
CAPITOLO XCIX.
Come si fa lo stagno dorato, e come colla detta doratura si mette d'oro fine.
Lo stagno dorato si fa in questo modo. Abbi un'asse lunga tre o quattro braccia, ben pulita; e
ungesi con grasso o con sevo. Mettevisi su di questo stagno bianco; poi con uno licore, che si
chiama doratura, si mette sopra il detto stagno in tre o in quattro luoghi, poco per luogo; e colla
palma della mano si va battendo su per questo stagno, gualivando questa doratura così in un luogo
come in un altro. Al sole lascialo ben seccare. Quando è squasi asciutta, che poco poco pizza, allora
abbi il tuo oro fine, e ordinatamente metti e cuopri il detto stagno del detto oro fine. Poi puliscilo
con la bambagia ben netta; spicca lo stagno dall'asse. Quando il vuoi adoperare, fa' con vernice
liquida, e fanne quelle stelle o quei lavorii che vuoi, a modo che fai dello stagno dorato.
CAPITOLO C.
Come si debbano fare e tagliare le stelle, e metterle in muro.
In prima hai a tagliare le stelle tutte colla riga; e dove le hai a mettere, metti in su l'azzurro dove
viene la stella, prima una bollottolina di cera; e lavoravi la stella a razzo a razzo, siccome hai
tagliato in su l'asse. E sappi, che si fa molto più lavorìo con meno oro fine, che non fa a mettere a
mordente.
CAPITOLO CI.
Come del detto stagno, mettuto d'oro fine, puoi fare le diademe de' Santi in muro.
Ancora se vuoi fare le diademe de' Santi senza mordenti, quando hai colorita la figura in fresco,
togli una agugella, e gratta su per lo contorno della testa. Poi in secco ungi la diadema di vernice,
mettivi su il tuo stagno dorato, o ver mettudo d'oro fine; mettilo sopra la detta vernice, battilo bene
colla palma della mano, e vedrai i segni che facesti coll'agugella. Togli la punta del coltellino bene
arrotata, e gentilmente va' tagliando il detto oro; e l'avanzo riponi per altri tuoi lavorii.
CAPITOLO CII.
Come dèi rilevare una diadema di calcina, in muro.
Sappi che la diadema si vuole rilevarla in su lo smalto fresco con una cazzuola piccola, in questo
modo. Quando hai disegnata la testa della figura, togli il sesto, e volgi la corona. Poi piglia un poca
di calcina, ben grassa, fatta a modo d'unguento o di pasta, e smalta la detta calcina, grossetta di fuori
intorno intorno, e sottile inverso il capo. Poi ripiglia il sesto, quando hai ben pulita la detta calcina;
e col coltellino va' tagliando la detta calcina su per lo filo del sesto, e rimarrà rilevata. Poi abbi una
stecchetta di legno, forte; e va' battendo i razzi d'attorno della diadema. E questo ordine vuole essere
in muro.
CAPITOLO CIII.
Come dal muro pervieni a colorire in tavola.
Quando non vuoi adornare le tue figure di stagno, puoi adornare di mordenti, de' quali io tratterò
per ordine più innanzi perfettamente (de' quali potrai adoperalli in muro, in tavola, in vetro, in ferro,
e in cia[s]cuna cosa), e quelli che sono forti e sufficienti a stare all'aria, al vento, e all'acqua, e quelli
che sono da vernicare, e quelli che no. Ma vogliamo pure ritornare al nostro colorire, e di muro
andare alle tavole, o vero ancone, ch'è la più dolce arte e la più netta che abbiamo nell'arte nostra. E
tieni bene a mente, che chi imparasse a lavorare prima in muro e poi in tavola, non viene così
perfetto maestro nell'arte, come perviene a imparare prima in tavola e poi in muro.
CAPITOLO CIV.
In che modo dèi pervenire a stare all'arte del lavorare in tavola.
Sappi che non vorrebbe essere men tempo a imparare: come, prima studiare da piccino un anno a
usare il disegno della tavoletta; poi stare con maestro a bottega, che sapesse lavorare di tutti i
membri che appartiene di nostra arte; e stare e incominciare a triare de' colori; e imparare a cuocere
delle colle, e triar de' gessi; e pigliare la pratica dell'ingessare le ancone, e rilevarle, e raderle;
mettere d'oro; granare bene; per tempo di sei anni. E poi, in praticare a colorire, ad ornare di
mordenti, far drappi d'oro, usare di lavorare di muro, per altri sei anni, sempre disegnando, non
abbandonando mai in di festa, in di lavorare. E così la natura per grande uso si
convertisce in buona pratica. Altrimenti, pigliando altri ordini, non sperare mai che vegnino a buona
perfezione. Ché molti son che dicono, che senza essere stati con maestri hanno imparato l'arte. Nol
credere, ché io ti do l'essempro di questo libro: studiandolo il e di notte, e tu non ne veggia
qualche pratica con qualche maestro, non ne verrai mai da niente, che mai possi con buon volto
restare fra i maestri.
CAPITOLO CV.
A che modo si fa la colla di pasta, o ver sugolo.
Incominciando a lavorare in tavola col nome della Santissima Trinità, invocando sempre suo
nome e della gloriosa vergine Maria, fare ci conviene il fondamento: cioè, e' sono chiamate di più
ragioni colle. L'è una colla che si fa di pasta cotta, la quale è buona da cartolari e maestri che fanno
libri, ed è buona ad incollare carte l'una coll'altra, e ancora attaccare stagno con carta. Alcuna volta
ci è di bisogno per incollare carte per fare i strafori. Questa colla si fa per questo modo. Abbi un
pignattello presso a pien d'acqua chiara, fa' che si scaldi bene. Quando vuol bollire, abbi della farina
ben tamigiata; mettine a poco a poco in su 'l pignattello, di continovo rimenando con uno stecco o
cuslieri. Lasciala bollire, e fare che non sia troppo soda. Tra'la fuori, mettila in una scodella; se vuoi
che non puzzi, mettivi del sale: e così l'adopera quando tu n'hai per bisogno.
CAPITOLO CVI.
Come dèi fare la colla da incollare priete.
È una colla ch'è buona a incollare priete: e questa si fa di mastrice, di cera nuova, di pietra pesta,
tamigiata, e poi al fuoco distemperate bene insieme. Abbi la tua prieta, spazzala, scaldala bene,
mettivi di questa colla. Durerà sempre al vento e all'acqua, se ne incollassi ruote da agugiare, o ver
da arrotare, o mole da macinare.
CAPITOLO CVII.
Come si fa la colla da incollare vasi di vetro.
È una colla la quale è buona da incollare vetri, o orciuoli, o altri belli vasi da Domasco o da
Maiolica, che fussero spezzati. Questa tal colla: abbi vernice liquida, un poca di biacca e di
verderame. Mettivi dentro di quel colore ch'è il vetro: s'egli è azzurro, mettivi un poco d'indaco;
s'egli è verde, vinca il verderame, e sic de singulis. E tria bene queste cose insieme, come puoi
sottilissimamente. Piglia i pezzi de' tuo' vasi rotti, o muglioli; e se fossero in mille pezzi, commettili
insieme, ponendovi di questa colla sottilmente. Lasciala seccare per ispazio d'alcuni mesi al sole ed
al vento; e troverai i detti vasi essere più forti, e meglio da difendersi dall'acqua dove sono
spezzati, come dove sono saldi.
CAPITOLO CVIII.
A che modo si adopera la colla di pesce, e come si distempera.
Egli è una colla che si chiama colla di pesce. Questa colla si fa di più ragioni pesce. Questa,
mettendosi così el pezzucolo, o vero spicchio, in bocca tanto bisogni, e un poco fregandola a carte
di pecora o altre carte, attacca insieme fortissimamente. A struggerla, è buona e perfettissima a
incollare liuti, o altre cose gentili di carta o di legname o d'osso. Quando la metti al fuoco, mettivi
per ogni spicchio, mezzo migliuolo d'acqua chiara.
CAPITOLO CIX.
Come si fa la colla di caravella, e come si distempera, e a quante cose è buona.
Egli è una colla che si chiama colla di spicchi, la quale si fa di mozzature di musetti di caravella,
peducci, nervi, e molte mozzature di pelli. Questa tal colla si fa di marzo o di gennaio, quando sono
quelli grandi freddi o venti; e fassi bollire tanto con acqua chiara, che torna men che per mezzo. Poi
la metti ben colata in certi vasi piani, come conche da gialatina o bacini. Lasciala stare una notte.
Poi la mattina con coltello la taglia a fette come di pane; mettila in su stuore a seccare a venti, sanza
sole; e viene perfetta colla. La quale colla è adoperata da' dipintori, da' sellari, da moltissimi maestri,
come per lo innanzi ti mostrerò. Ed è buona colla da legname e da molte cose: della quale
tratteremo compiutamente, a dimostrare in ciò che adoperar si può, e in che modo in gessi, in
temperar colori, far liuti, tarsie, attaccar legni, fogliame insieme, temperar gessi, far gessi rilevati; e
a molte cose è buona.
CAPITOLO CX.
Perfetta colla a temperar gessi da ancone, o ver tavole.
Egli è una colla che si fa di colli di carte di pecora e di cavretti, e mozzature delle dette carte. Le
quali si lavano bene, mettonsi in molle un dì innanzi le metti a bollire; con acqua chiara la fa' bollire
tanto, che torni delle tre parti l'una. E di questa colla voglio, che quando non hai colla di spicchi, che
adoperi sol di questa per ingessare tavole o vero ancone; ché al mondo non puoi avere la migliore.
CAPITOLO CXI.
Colla la quale è buona a temperare azzurri e altri colori.
Egli è una colla la quale si fa di raditura di carta di cavretto o di pecora. Falla bollire, che torni
per terzo, con acqua chiara. Sappi ch'ell'è una colla chiarissima, che pare un cristallo, e buona a
temperare azzurri scuri. E dove avessi campeggiati colori che non fussero stati ben temperati, da'
una man di questa colla, e ritempera i colori, e raffermali; ché gli puoi vernicare a tua posta se sono
in tavola, ed eziandio azzurri di muro. E anche sarebbe buona a temperare gessi, ma ell'è di natura
magra; e al gesso che ha a tenere oro, vuole rispondere grassetta.
CAPITOLO CXII.
A fare una colla di calcina e di formaggio.
Egli è una colla la quale adoperano maestri di legname; la quale si fa di formaggio, mettudo in
mollo nell'acqua. Rimenala con un'assicella a due mani, con un poca di calcina viva: mettila tra
un'asse e un'altra; e poi le conmette e attacca bene insieme l'una coll'altra. E questo ti basti al fare di
più maniere colle.
CAPITOLO CXIII.
Come si dee incominciare a lavorare in tavola, o vero in ancone.
Ora vegniamo al fatto del lavorare in ancona, o vero in tavola. Prima vuol essere l'ancona
lavorata di un legname che si chiama arbero o vero povolare, che sia ben gentile, o tiglio, o saligaro.
E poi abbi il corpo dell'ancona, cioè i piani; e procura, se v'è groppi magagnanti, o se l'asse fusse
niente unta, fa' tagliare tanto dell'asse che l'untume vada via; ché mai non ti potrei dare altro
rimedio.
Fa' che il legname sia ben secco; e se fusse figure di legname o foglie, che le potessi far bollire
in caldaia con acqua chiara, mai quel legname non ti farebbe cattiveria di sfenditure.
Ritorniamo pure ai groppi, o ver nodi, e altre magagne che avesse il piano della tavola. Togli
colla di spicchi forte, tanto che un migliuolo o ver bicchiere di acqua faccia scaldare e bollire due
spicchi in uno pignattello, netto d'unto. Poi abbi in una scodella segatura di legname intrisa di
questa colla; empine i difetti de' nodi, e ripiana con una stecca di legno, e lasciala seccare. Poi con
una punta di coltellino radi, che torni gualiva all'altro piano. Va' ancora procurando se v'è chiovi o
ferro o punta di ferro che avanzasse il piano, sbattilo bene dentro infra l'asse. Abbi poi colla con
pezzuoli di stagno battuto come quattrini, e cuopri bene dov'è ferro: e questo si fa, perché la ruggine
del ferro non passi mai sopra il gesso. Il piano dell'ancone mai non vuole essere troppo pulito. Abbi
prima colla fatta di mozzature di carte pecorine, bollita tanto, che rimanga delle tre parti l'una.
Tastala colle palme delle mani; e quando senti che l'una palma si appicca coll'altra, allora è buona.
Colala due o tre volte. Poi abbi in una pignatta, mezza di questa colla, e il terzo acqua, e falla ben
calda. Poi con un pennello di setole, grosso e morbido, da' di questa colla su per la tua ancona, e
sopra fogliami, civori, o colonnelli, o ciò che lavoro fusse che abbia a ingessare; poi la lascia
seccare. Togli poi della tua prima colla forte, e danne col tuo pennello due volte sopra il detto
lavoro, e lasciala sempre seccare dall'una volta all'altra; e rimane incollata perfettamente. E sai che
fa la prima colla? Un'acqua che viene ad essere men forte; e appunto come fussi digiuno e
mangiassi una presa di confetto, e beessi un bicchiere di vino buono, ch'è un invitarti a desinare.
Così è questa colla: è un farsi accostare il legname a pigliare le colle e gessi.
CAPITOLO CXIV.
Come si dee impannare in tavola.
Incollato che hai, abbi tela, cioè panno lino, vecchio, sottile, di lesco bianco, senza unto di
nessun grasso. Abbi la tua colla migliore; taglia, o straccia listre grandi e piccole di questa tela;
inzuppale in questa colla: valle distendendo colle mani su per li piani delle dette ancone; e leva
prima via le costure, e colle palme delle mani le spiana bene, e lasciale seccare per due dì. E sappi
che lo incollare e ingessare vuole essere il tempo alido e ventoso. Vuole essere la colla più forte di
verno che di state; ché di verno il mettere di oro vuole essere il tempo umido e piovoso.
CAPITOLO CXV.
In che modo si debbe ingessare un piano di tavola, a stecca, di gesso grosso.
Quando l'ancona è ben secca, togli una punta del coltello a modo di una mella, che rada bene; e
va' cercando per lo piano se trovi nocciuoletto, o cucitura nessuna, e togli via. Poi abbi gesso grosso,
cioè volterrano, ch'è purgato, ed è tamigiato a modo di farina. Mettine uno scodellino in su la prieta
proferitica, e macina con questa colla bene, per forza di mano, a modo di colore. Poi il raccogli con
istecca, mettilo in su 'l piano dell'ancona, e con una stecca ben piana e grandicella ne va' coprendo
tutti i piani, e dove puoi darne di questa stecca, 'l fa'. Poi abbi di questo cotal gesso macinato;
scaldalo: togli un pennello di setole morbido, e danne di questo gesso sopra le cornici e sopra le
foglie, e così ne' piani, di stecca. Negli altri luoghi e cornici, ne da' tre o quattro volte; ma ne' piani
non se ne può dar troppo. Lascialo seccare per due o tre . Poi abbi questa mella di ferro; va'
radendo su per lo piano. Fa' fare certi ferretti, che si chiamano raffietti, come vedrai a' dipintori, di
più ragioni fatti. Va' ritrovando ben le cornici e fogliami, che non rimangano pieni, se no gualivi; e
fa' che generalmente ogni difetto di piani e di mancamenti o di cornici si medichino di questo
ingessare.
CAPITOLO CXVI.
Come si fa il gesso sottile da ingessare tavole.
Ora si vuole che tu abbi d'un gesso il quale si chiama gesso sottile; il quale è di questo medesimo
gesso, ma è purgato per bene un mese, e tenuto in molle in un mastello. Rinnuova ogni l'acqua,
ché squasi si inarsisce, ed escene fuori ogni focor di fuoco, e viene morbido come seta. Poi si butta
via l'acqua, fassene come pane, lasciasi asciugare; e di questo gesso si vende poi dalli speziali a noi
dipintori. E di questo gesso si adopera a ingessare, per mettere d'oro, per rilevare, e fare di belle
cose.
CAPITOLO CXVII.
Come s'ingessa un'ancona di gesso sottile, e a che modo si tempera.
Come tu hai ingessato di gesso grosso, e raso bene pulito, e spianato bene e dilicatamente, togli
di questo gesso sottile; a pane a pane mettilo in una catinella d'acqua chiara; lascialo bere
quant'acqua e' vuole. Poi 'l metti a poco a poco in su la prieta proferitica, e senza mettervi altr'acqua
dentro, perfettissimamente il macina nettamente. Poi 'l metti in su un pezzo di pannolino, forte e
bianco; e così fa' tanto, che n'abbi tratto un pane. Poi il rinchiudi in questo panno, e strucalo bene,
che l'acqua n'esca fuori quanto più si può. Quando n'hai macinato quanto ti fa per bisogno (che ti
conviene avvisarti, per non avere a fare di due ragioni gessi temperati, che non ti gitterebbe buona
ragione), abbi di quella medesima colla, di che hai temperato il gesso grosso: tanta se ne vuole fare
per volta, che temperi il gesso sottile e grosso. E vuole essere il gesso sottile temperato meno che il
gesso grosso. La ragione? ché il gesso grosso è tuo fondamento di ogni cosa. E per tanto el ti viene
bene a ragionare, che non potrai strucare tanto il gesso sottile, che qualche poco non vi rimanga di
acqua. E per questa cagione fa' arditamente una medesima colla. Abbi una pignatta nuova, che non
sia unta; e se fusse invetriata, tanto è migliore. Togli 'l pane di questo gesso, e col coltellino il taglia
sottile, come tagliassi formaggio; e metti in questa pignatta. Poi vi metti su della colla; e colla mano
va' disfacendo questo gesso, come facessi una pasta da fare frittelle, pianamente e destramente, che
non ti facci schiuma mai. Poi abbi una caldara d'acqua, e falla ben calda, e mettivi questa pignatta di
gesso temperato. E questa ti tiene il gesso caldo, e non bolle; ché se bollisse, si guasterebbe. Quando
è caldo, togli la tua ancona; e con pennello di setole grossetto e bene morbido, intigni in questa
pignatta, e pigliane temperatamente, troppo poco; e danne distesamente una volta su per li
piani, e per cornici, e per fogliami.
È vero che in questa prima volta, come vai daendo, così colle dita e colla palma della mano al
tondo va' rispianando e fregando su per lo gesso dove il poni: e questo ti fa incorporare bene il
sottile col grosso. Quando hai fatto così, ritorna da capo, e danne distesamente una volta di
pennello, senza fregare più mano. Poi lascialo posare un poco, non tanto che secchi in tutto; e
ridanne un'altra volta per l'altro verso, pur col pennello; e lascialo riposare a modo usato. Poi ne da'
un'altra volta per l'altro verso: e per questo modo, sempre tenendo il tuo gesso caldo, ne da' in su'
piani per lo meno otto volte. In fogliami e altri rilievi si passa di meno; ma in piani non se ne può
dare troppo. Questo è per cagione del radere, che si fa poi.
CAPITOLO CXVIII.
Come si può ingessare di gesso sottile, non avendo ingessato prima di gesso grosso.
Ancora si può bene incollare due o tre volte, come da prima ti dissi, cotali lavoruzzi piccoli e
gentili; e darne solo di gesso sottile tante volte, quanto per pratica vedrai che bisogno sia.
CAPITOLO CXIX.
A che modo dèi temperare e macinare gesso sottile da rilevare.
Ancora son molti che macinano il gesso sottile pur con la colla e con acqua. Questo è buono per
ingessare dove non è ingessato di gesso grosso, che vuol essere più temperato. Questo cotal gesso è
molto buono a rilevare foglie e altri lavori, come è molte volte per bisogno. Ma quando fai questo
gesso da rilevare, mettivi dentro un poco di bolio armenico, tanto che gli dia un poco di colore.
CAPITOLO CXX.
A che modo dèi cominciare a radere un piano d'ancona ingessato di gesso sottile.
Quando hai finito d'ingessare (che vuol essere finito in un dì, e, se bisogna, mettivi della notte,
purché tu dia le tue dótte ordinate), lascialo seccare senza sole due e due notti per lo meno:
quanto lasci più seccare, tanto è meglio. Abbi una pezza con carbone macinato, legata a modo di
balluzza, e va' spolverizzando su per lo gesso di questa ancona. Poi, con un mazzo di penne di
gallina o d'oca, va spazzando e gualivando questa polvere negra su per lo gesso. E questo, perché il
piano non si può radere troppo perfettamente, e perché il ferro è piano con che radi il gesso, dove
lievi, riman bianco come latte. Allora ti avvedi dov'è più di bisogno el radere.
CAPITOLO CXXI.
Sì come si dee radere il gesso sottile su per li piani, e a che è buona la detta raditura.
Abbi prima un raffietto piano e largo un dito, e gentilmente va' intorno intorno al piano radente la
cornice una fia'. Poi va' colla tua mella arrotata, piana quanto puoi al mondo; e con leggier mano,
non tenendo la detta punta con nessuna strettezza di mano, la va' fregando su per lo piano della tua
ancona, spazzandoti dinanzi 'l gesso con le dette penne. E sappi che questa cotale spazzatura è fine a
trarre l'olio delle carte de' libri. E, per lo simile, con i tuo' ferretti va' radendo cornici e fogliami, e
va' pulendo come fusse uno avorio. E alcuna volta (per fretta e per molti lavori ch'abbi) puoi
pulire le cornici e fogliami pur con una pezza lina, bagnata e strucata, fregandola bene su per le
dette cornici e fogliami.
CAPITOLO CXXII.
Come principalmente si disegna in tavola con carbone, e rafferma con inchiostro.
Essendo ben raso il gesso, e tornato a modo d'avorio; la prima cosa che dèi fare, si vuole
disegnare la tua ancona, o ver tavola, con quelli carboni di salice, che per addietro t'insegnai a farli.
Ma vuolsi legare il carbone a una cannuccia o ver bacchetta, acciò che stia di lungi dalla figura; ché
molto ti giova in nel comporre. E abbi una penna appresso; ché quando alcun tratto non ti venisse
ben fatto, che coi peli della detta penna possi torlo via e ridisegnarlo. E disegna con leggier mano, e
quivi aombra le pieghe e i visi, come facessi col pennello, o come facessi con la penna che si
disegna, a modo si penneggiasse. Quando hai compiuto di disegnare la tua figura (spezialmente che
sia d'ancona di gran pregio, che n'aspetti guadagno e onore), lasciala stare per alcun dì, ritornandovi
alcuna volta a rivederla, e medicare dove fusse per bisogno. Quando a te pare che stia presso di bene
(che puoi ritrarre e vedere, delle cose per altri buoni maestri fatte, che a te non è vergogna); staendo
la fiura bene, abbi la detta penna, e va' a poco a poco fregandola su per lo disegno, tanto che squasi
ti metta giù il disegno; non tanto però, che tu non intenda bene i tuoi tratti fatti. E togli in uno
vasellino, mezzo d'acqua chiara, alcune gocciole d'inchiostro; e con un pennelletto di vaio puntìo va'
raffermando tutto il tuo disegno. Poi abbi un mazzetto delle dette penne, e spazza per tutto il
disegno el carbone. Poi abbi un'acquerella del detto inchiostro, e con pennello mozzetto di vaio va'
aombrando alcuna piega e alcuna ombra nel viso. E così ti rimarrà un disegno vago, che farai
innamorare ogni uomo de' fatti tuoi.
CAPITOLO CXXIII.
Sì come dèi segnare i contorni delle figure per mettere in campo d'oro.
Disegnato che hai tutta la tua ancona, abbi una agugella mettuda in una asticciuola; e va'
grattando su per li contorni della figura in verso i campi che hai a mettere d'oro, e i fregi che sono a
fare delle figure, e certi vestiri che si fanno di drappo d'oro.
CAPITOLO CXXIV.
Sì come si rilieva di gesso sottile in tavola, e come si legano le pietre preziose.
Oltre a questo, togli di quel gesso da rilevare, se volessi rilevare fregio o fogliame, o attaccare
cotali priete preziose in certi fregi dinanzi o a Dio Padre o di Nostra Donna, o certi altri
adornamenti, che abbelliscono molto il tuo lavoro; e sono pietre di vetro di più colori. Compartiscile
con ragione, avendo il tuo gesso in uno vasellino su 'n un testo di cenere calda e un vasellino
d'acqua chiara calda, però che spesso ti conviene lavare il pennello; essendo questo pennello di vaio
sottiletto e un poco lunghetto; togliendo bellamente del gesso caldo con la punta del detto pennello,
e andare prestamente a rilevare quello che vuoi. E se rilevassi alcune fogliette, disegnale prima
come fai la figura, e non ti curare di rilevare molte troppe cose confuse; c quanto fai i tuo'
fogliami più chiari, tanto gittano meglio al granare colla rosetta, e possonsi meglio brunire colla
pietra. Alcuni maestri sono, che, poiché hanno rilevato quello che vogliono, dànno una volta o due
di gesso, di quello che hanno ingessato la detta ancona, pur di gesso sottile, con pennelletto morbido
di setole. Ma se rilievi poco, a mio parere viene più gentile e più fermo e sicuro lavoro a far senza
darne filo, per la ragione che prima t'assegnai, di non dare molte ragioni di tempere di gesso.
CAPITOLO CXXV.
Come dèi improntare alcuno rilievo per adornare alcuni spazi d'ancone.
Perché ragioniam del rilevare, te ne dirò alcuna cosa. Di questo tal gesso, o più forte di colla,
puoi buttare alcuna testa di leone, od altre stampe stampate in terra o vero in crea. Ungi la detta
stampa con olio da bruciare, mettivi di questo gesso ben temperato, e lascialo bene fredare; e poi dal
lato della detta stampa solleva il gesso con punta di coltellino, e soffia forte. Usciranne netta.
Lasciala seccare. Poi in alcun adornamento metti con questo modo, del gesso medesimo che ingessi,
o con quello che rilievi; ungi col pennello dove vuoi mettere la detta testa; calcala col dito, e
fermerassi per ordine. Poi togli del detto gesso, e col detto pennello di vaio, alla parte che rilievi,
danne una volta o due, stropicciando col dito su per la detta impronta; e lasciala godere. Va' poi con
punta di coltellino ricercandola, se nessuno nocchiolino vi fusse, e tollo via.
CAPITOLO CXXVI.
Come si dee smaltare ciascun rilievo di muro.
Ancora ti dirò del rilevare in muro. Prima e' sono certi lavorii di muro ritondi, o foglie, che non si
può con cazzuola smaltare. Abbi della calcina ben tamigiata, e sabbion ben tamigiato; metti in un
catino; e con pennello di setole grosso e con acqua chiara, distempera bene a modo di una pasta; e
danne col detto pennello per li detti luoghi più volte. Poi pulisci con cazzuola, e rimarrà bene
smaltata. E lavorala fresca e secca, come se' avvisato in lavorare in fresco.
CAPITOLO CXXVII.
Come si rilieva con calcina in muro; come rilievi con gesso in tavola.
Ancora della predetta calcina, triata un poco in su la pietra, puoi rilevare in muro ciò che tu vuoi;
così, come ti ho detto in tavola, puoi pure nella calcina e intonaco fresco.
CAPITOLO CXXVIII.
Come si fa alcuno rilievo tratto d'impronta di prieta, e come son buoni in muro e in tavola.
Ancora puoi avere una pietra, distagliata di divise di qual ragione che vuoi, e ungere la detta
pietra con lardo o con sugna. Poi avere dello stagno battuto; e con stoppa alcuna cosa bagnata,
mettendola sopra lo stagno ch'è sopra la 'mpronta, e battendolo forte con uno magliuolo di salico,
quanto puoi. Abbi poi gesso grosso macinato con colla, e con la istecca riempi questa cotale stampa.
Ne puoi adornare in muro, in coffani, in prieta, in ciò che vuoi; mettendo poi di mordente di sopra
lo stagno; e, quando morde un poco, metterlo d'oro fine. Attaccala poi al muro quando è secco, con
pece di nave.
CAPITOLO CXXIX.
Come si può rilevare in muro con vernice.
Ancora puoi rilevare in muro. Abbi vernice liquida, mescolata con farina ben triata insieme: e
rileva con pennello puntìo di vaio.
CAPITOLO CXXX.
Come si può rilevare in muro con cera.
Ancora puoi rilevare in muro con cera istrutta e con pece di nave, miscolate insieme: le due parti
cera, la terza pece. Rileva con pennello. Che sia calda.
CAPITOLO CXXXI.
Come si mette il bolio in tavola, e come si tempera.
Ritornando al nostro dire di prima; quando hai finito di rilevare la tua ancona, abbi bolio
armenico, e to'lo buono. Accostalo al tuo labbro di sotto; se vedi che si attacchi, quello è fine. Ora ti
conviene saper fare la tempera perfetta a mettere di oro. Abbi la chiara dell'uovo in scodella
invetriata, ben netta. Togli una scopa con più rami, tagliata gualiva; e, come rompessi lo spinace o
ver minuto, così rompi questa chiara, tanto che venga piena la scodella d'una schiuma soda, che paia
neve. Poi abbi un bicchiere comune, non troppo grande, e non in tutto pien d'acqua ben chiara; e
mettila sopra la detta chiara della scodella. Lasciala riposare e stillare dalla sera alla mattina. Poi,
con questa tempera, macina il detto bolio tanto, quanto più puoi. Abbi una spugna gentile; lavala
bene; e intignila in acqua ben chiara; priemila. Poi, dove vuoi mettere d'oro, va fregando
gentilmente con questa spugna non troppo bagnata. Poi con un pennello grossetto di vaio stempera
di questo bolio, macinato liquido come acqua, per la prima volta; e dove vuoi mettere d'oro, e
dove hai bagnato colla spugna, va' mettendo di questo bolio distesamente, guardandoti dalle ristate
che fa alcuna volta il pennello. Poi sta' un pezzetto: rimetti di questo bolio nel tuo vaselletto, e fa'
che sia la seconda volta con più corpo di colore. E per lo simile modo ne da' la seconda volta.
Ancora il lascia stare un poco: poi vi rimetti su nel detto vasello più bolio, e rimetti all'usato la terza
volta, guardandoti dalle ristate. Poi vi rimetti nel detto vasello più bolio, e per lo simile modo da' la
quarta volta: e per questo modo rimarrà mettudo di bolio. Ora si vuole coprire con tela il detto
lavoro, guardandolo, quanto più puoi, dalla polvere e dal sole e dall'acqua.
CAPITOLO CXXXII.
Altro modo da temperare bolio in tavola, da mettere d'oro.
Ancora si può fare la detta tempera in un altro modo. A macinare il bolo, togli l'albume
dell'uovo, e così intero il metti su la pietra proferitica. Poi abbi il bolo spolverizzato: intridilo in
questo albume. Poi 'l macina bene e sottilmente; e quando ti si risecca infra le mani, aggiungi in su
la pietra acqua ben chiara e netta. Poi, quando è ben macinato, temperalo corrente a pennello, pur
d'acqua chiara; e, per lo simile modo detto di sopra, ne da' sopra il tuo lavoro tre, o quattro volte. Ed
è a te più sicuro questo modo che altra tempera, non avendo molta pratica. Cuopri bene la tua
ancona, o ver tavola, e guardala dalla polvere, come detto ho.
CAPITOLO CXXXIII.
Come si può mettere d'oro con verdeterra in tavola.
Ancora secondo che usavano gli antichi puoi fare; cioè impannare di tela a distesa tutta l'ancona
innanzi che ingessi; e poi mettere di oro con verdeterra, macinando il detto verdeterra a qual modo
vuoi, di queste due ragioni tempere, che di sopra t'ho insegnato.
CAPITOLO CXXXIV.
Di che modo si mette l'oro in tavola.
Come viene tempo morbido e umido, e tu voglia mettere d'oro, abbi la detta ancona riversciata in
su due trespoli. Togli le penne tue: e spazza bene; togli un raffietto, va' con leggier mano cercando il
campo del bolo. Se nulla puzza, e nocciolo o granellino vi fusse, mandalo via. Piglia una pezza di
lesca di panno lino, e va' brunendo questo bolio con una santa ragione. Ancora brunendolo con
dentello, non può altro che giovare. Quando l'hai così brunito e ben netto, togli un migliuolo, presso
a pieno d'acqua chiara ben netta, e mettivi dentro un' poca di quella tempera di quella chiara
dell'uovo. E se fusse niente stantìa, tanto è migliore. Rimescola bene in nel migliuolo con la detta
acqua. Togli un pennello grossetto di vaio, fatto di puntole di codole, come dinanzi ti dissi; togli il
tuo oro fine, e con un paio di mollette o vero pinzette piglia gentilmente il pezzo dell'oro. Abbi una
carta tagliata di quadro, maggiore che 'l pezzo dell'oro, scantonata da ogni cantone. Tiella in man
sinistra; e con questo pennello, con la man diritta, bagna sopra il bolio tanto, quanto de' tenere il
detto pezzo d'oro che hai in mano. E gualivamente bagna, che non sia più quantità d'acqua più in un
luogo che in un altro; poi gentilmente accosta l'oro all'acqua sopra il bolio; ma fa' che l'oro esca
fuori della carta una corda, tanto che la paletta della carta non si bagni. Or, come hai fatto che l'oro
tocchi l'acqua, di subito e presto tira a te la mano con la paletta. E se vedi che l'oro non sia in tutto
accostato all'acqua, togli un poco di bambagia nuova, e leggieri quanto puoi al mondo, calca il detto
oro. E così metti per questo modo degli altri pezzi. E quando bagni per lo secondo pezzo, guarda
d'andare col pennello rasente il pezzo mettuto, che l'acqua non vada di sopra. E fa' che
soprapponga, con quel che metti, quel ch'è messo, una corda: prima alitando sopra esso, perché l'oro
s'attacchi in quella parte dove è soprapposto prima. Come hai mettudo da tre pezzi, ritorna a calcare
con la bambagia il primo, alitando sopra esso, e dimostreratti se ha di bisogno di niuna menda.
Allora ti apparecchia un cuscinello grande come un mattone, o ver pietra cotta, cioè un'asse ben
piana, confittovi su un cuoio gentile, ben bianco, non unto, ma di que' che si fa i sovatti. Chiavalo
ben distesamente, e riempi, tra 'l legno e 'l cuoio, d'un poco di cimatura. Poi in su questo tale
cuscinello mettivi su un pezzo d'oro ben disteso; e con una mella ben piana taglia il detto oro a
pezzuoli, come per bisogno ti fa. Alle mende che rimangono, abbi un pennelletto di vaio con punta,
e con la detta tempera bagna le dette mende; e così bagnando co' labbri un poco da capo l'asticciuola
del pennello, sarà sufficiente a pigliare el pezzolino dell'oro e metterlo sopra la menda. Quando hai
fornito i piani bene che a te sta di metterne, che per quel il possa brunire (come ti dirò quando
hai a mettere cornici o foglie), guarda di cogliere i pezzetti così come fa il maestro che vuole
inseliciare la via; acciò che sempre vadia risparmiando l'oro, il più che puoi facendone masserizia, e
cuoprendo con fazzuoli bianchi quell'oro che hai mettudo.
CAPITOLO CXXXV.
Che pietre son buone a brunire il detto oro mettuto.
Quando comprendi che 'l detto oro sia da brunire, abbi una pietra che si chiama lapis amatita: la
quale ti voglio insegnare com'ella si fa. E non avendo questa pietra (e migliore è, a chi potesse fare
la spesa, zaffiri, smeraldi, balasci, topazi, rubini, e granati; quanto la pietra è più gentile tanto è
migliore), ancora è buono dente di cane, di leone, di lupo, di gatto, di leopardo, e generalmente di
tutti animali che gentilmente si pascono di carne.
CAPITOLO CXXXVI.
Come si fa la pietra da brunire oro.
Abbi un pezzo di lapis amatita, e guarda di sceglierla ben salda, senza nessuna vena, col tiglio
suo tutto disteso da capo a piè. Poi vattene alla mola, e arruotala, e falla ben piana e pulita, di
larghezza di due dita, o come puoi fare. Poi abbi polvere di smeriglio, e valla bene acconciando,
senza abbi taglio, pure un poco di schiena; ritonda bene in ne' canti. Poi la commetti in uno
manichetto di legno con ghiera d'ottone o di rame; e da capo fa' che 'l manico sia ben ritondo e
pulito, acciò che la palma della mano vi si posi ben su. Poi dàlle il lustro per questo modo. Abbi un
proferito ben piano: mettivi su polvere di carbone; e con questa pietra, inforcandola bene in mano
come brunissi, va' brunendo su per lo proferito; e avviene che la tua pietra si assoda, e diviene ben
negra e rilucente che pare un diamante. Allora se ne vuole avere gran guardia, che non si percuota,
tocchi ferro. E quando la vuoi adoperare per brunire oro o ariento, tiella prima in seno per
cagione che non senta di nessuna umidezza, ché l'oro è molto schifo.
CAPITOLO CXXXVII.
Come si dee brunire l'oro, o porre rimedii quando non si potesse brunire.
Ora è di bisogno di brunire l'oro, perché n'è venuto il tempo suo. Egli è vero che di verno tu puoi
mettere d'oro quanto vuoi, essendo il tempo umido e morbido, e non alido. Di state, un'ora mettere
d'oro, un'altra brunire. Mo sarà egli troppo fresco, e verrà una cagione che ti converrà brunire? tiello
in luogo che senta alcun vampore di caldo, o dell'aiere. Mo sarà troppo secco? tiello in luogo umido,
sempre coverto; e, quando lo vuoi ben brunire, scuoprilo piano con sentimento, ché ogni piccola
fregatura gli impaccio. Mettendolo in canove a pie' delle veggie, o ver botti, riviene da brunire.
Mo sarà stato otto o dieci o un mese, che per qualche cosa non si sarà potuto brunire? togli un
fazzuolo, o vero sciugatoio, ben bianco; mettilo sopra il tuo oro in canova, o dove sia. Poi abbia un
altro fazzuolo: bagnalo in acqua chiara, storcilo, e strucalo ben diligentemente; aprilo, e distendilo
sopra il primo fazzuolo che hai mettudo in su l'oro asciutto; e statim riviene l'oro da poterlo brunire.
Ora ti ho detto le condizioni del modo, quando l'oro è atto a lasciarsi brunire.
CAPITOLO CXXXVIII.
Ora ti mostrerò il modo di brunire, e per che verso, spezialmente un piano.
Togli la tua ancona, o quel che sia mettudo di oro. Dispianala in su due trespidi, o in su panca.
Togli la tua prieta da brunire, e fregatela al petto, o dove hai miglior panni che non sieno unti.
Riscaldala bene: poi tasta l'oro, se vuole essere ancora brunito; vallo palpone tastandolo sempre con
dubbio. Se senti alla prieta niente di polvere, o che sgrigioli di niente, sì come farebbe la polvere fra'
denti, togli una codola di vaio, e con leggiera mano spazza sopra l'oro. E così a poco a poco va'
brunendo un piano prima per un verso, poi con la prieta, menandola ben piana, per altro verso. E se
alcuna volta, per lo fregare della pietra, t'avvedessi l'oro non essere gualivo come uno specchio;
allora togli dell'oro, e mettivene su a pezzo o mezzo pezzo, insieme alitando prima col fiato; e di
subito colla prieta a brunillo. E se t'avvenisse caso, che pure il piano dell'oro isdegnasse, che non
venisse bene a tuo modo; ancora per quel modo ve ne rimetti. E se potesse comportare la spesa,
sarebbe perfetta cosa, e per tuo onore, a quel modo rimettere tutto 'l campo. Quando vedrai che sia
ben brunito, allora l'oro viene squasi bruno per la sua chiarezza.
CAPITOLO CXXXIX.
Che oro e di che grossezza è buono a mettere per brunire e per mordenti.
Sappi che l'oro che si mette in piani, non se ne vorrebbe trarre del ducato altro che cento pezzi,
dove se ne trae cento quarantacinque; pe che quel del piano vuole essere oro più appannato. E
guarda, quando vuoi cognoscere l'oro, quando il comperi, toglilo da persona che sia buon battiloro.
E guarda l'oro; che se 'l vedi mareggiante e tosto, come di carta di cavretto, allora tiello buono. In
cornici o in fogliami si passa meglio d'oro più sottile; ma per li fregi gentili delli adornamenti de'
mordenti, vuole essere oro sottilissimo e ragnato.
CAPITOLO CXL.
Come dèi principalmente volgere le diademe, e granare in su l'oro, e ritagliare i contorni delle
figure.
Quando hai brunito e compiuto di mettere la tua ancona, a te conviene principalmente torre il
sesto: voltare le tue corone o ver diademe: granarle, cogliere alcuni fregi: granarle con istampe
minute che brillino come panico; adornare d'altre stampe, e granare se vi è fogliami. Di questo di
bisogno è che ne vegga alcuna pratica. Quando hai così ritrovate le diademe e i fregi, togli in uno
vasellino un poca di biacca ben triata con un poca di colla temperata; e con pennello picciolo di vaio
va' coprendo e ritagliando le figure del campo, come vedrai quelli segnolini che grattasti colla
agugella, innanzi che mettessi di bolo. Ancora, se vuoi fare senza ritagliare con biacca e pennello,
togli i tuo' ferretti, e radi tutto l'oro ch'è di avanzo, o che va sopra la figura: ed è migliore lavoro.
Questo granare che io ti dico, è de' belli membri che abbiamo: e puossi granare a disteso, come ti ho
detto; e puossi granare a rilievo; che con sentimento di fantasia e di mano leggiera tu puoi in un
campo d'oro fare fogliami e fare angioletti e altre figure che traspaiano nell'oro; cioè nelle pieghe e
nelli scuri non granare niente; ne' mezzi un poco, ne' rilievi assai; perché il granare, tanto viene a
dire, chiareggiare l'oro; perché per se medesimo è scuro dove è brunito. Ma prima che grani una
figura o fogliame, disegna in sul campo dell'oro quello che tu vuoi fare, con stile d'argento o ver
d'ottone.
CAPITOLO CXLI.
Come dèi fare un drappo d'oro o negro o verde, o di qual colore tu vuoi, in campo d'oro.
Innanzi che entri a colorire, ti voglio mostrare a fare alcun drappo d'oro. Se vuoi fare un mantello
o una gonnella o un cuscinello di drappo d'oro, metti l'oro con bolio, e gratta le pieghe del vestire
con quello ordine che t'ho insegnato a mettere un campo. Poi, se vuoi fare il drappo rosso,
campeggia questo cotale oro brunito, con cinabro. Se bisogna dargli scuro, dagliele di lacca; se
bisogna biancheggiallo, dagliele di minio, tutti temperati di rossume d'uovo; non fregando però il
tuo pennello troppo forte, troppe volte. Lascialo seccare, e dannegli per lo men due volte. E per
lo simile, se gli vuoi fare verdi, o negri, o come vuoi. Ma se gli volessi fare d'un bello azzurro
oltremarino, campeggia prima l'oro con biacca temperata con rossume d'uovo. Quando è secca,
tempera il tuo azzurro oltremarino con un poco di colla, e un poco di rossume, forse due gocciole; e
campeggia sopra la detta biacca due o tre volte; e lascialo asciugare. Poi, secondo i drappi che vuoi
fare, secondo fai i tuo' spolverezzi; cioè dèi disegnarli prima in carta, e poi forargli con agugella
gentilmente, tenendo sotto la carta una tela o panno; o vuoi forare in su un'asse di albero o ver di
tiglio: questa è migliore che la tela. Quando l'hai forati, abbi secondo i colori de' drappi dove hai a
spolverare. S'egli è drappo bianco, spolvera con polvere di carbone legato in pezzuola; se 'l drappo è
nero, spolvera con biacca, legata la polvere in pezzuola; e sic de singulis. Fa' i tuo' modani, che
rispondano bene ad ogni faccia.
CAPITOLO CXLII.
Come si disegna, si gratta, e si grana un drappo d'oro o d'argento.
Avendo spolverizzato il tuo drappo, abbi uno stiletto di scopa, o di legno forte, o d'osso; punzìo,
come stile proprio da disegnare, dall'un de' lati; dall'altro, pianetto da grattare. E colla punta di
questo cotale stile va' disegnando e ritrovando tutti i tuo' drappi; e coll'altro lato dello stile va'
grattando, e gittandone giù il colore bellamente, che non vadi sfregando l'oro. E gratta qual tu vuoi,
o vuo' il campo, o vuo' l'allacciato; e quello che scuopri, quello con la rosetta grana poi. E se in certi
trattolini non puo' mettere la rosetta, abbi solo un punteruolo di ferro che abbi punta come uno stile
da disegnare. E per questo modo cominci a saper fare i drappi d'oro. Se vuoi fare drappi d'ariento,
quella medesima ragione e condizione si vuole avere a mettere d'ariento che mettere d'oro. Anche ti
dico, se vuoli insegnare ai putti o ver fanciulli a mettere d'oro, fa' lor mettere d'ariento, acciò che ne
piglino qualche pratica; perché è men danno.
CAPITOLO CXLIII.
In qual modo si fa un ricco drappo d'oro o d'argento o di azzurro oltramarino; e come si fa di
stagno dorato in muro.
Ancora, volendo fare un ricco drappo d'oro, si è da rilevare con foglie o con pietre legate di più
colori quel vestire che vuoi fare; mettere poi a distesa d'oro fine; e poi granare, quando è brunito.
Ad idem. Mettere tutto il campo d'oro, brunirlo, disegnarvi su il drappo che vuoi fare, o
cacciagioni, o altri lavorii. Poi granare il campo o granare lacci, cioè i lavorii disegnati.
Ad idem. Mettere il campo d'oro, disegnarvi il lavoro che vuoi, campeggiare ne' campi d'un
verderame ad olio; due volte aombrando alcuna piega; poi universalmente a distesa darne sopra i
campi e sopra i lavorii gualivamente.
Ad idem. Mettere il campo d'oro, brunirlo, e granarlo a rilievo.
Ad idem. Mettere il vestire d'argento; disegnare il tuo drappo quando hai brunito (ché così
s'intende sempre), campeggiare il campo, o vero lacci, di cinabro temperato pur con rossume
d'uovo; poi di una lacca fine ad olio ne da' una volta o due sopra ogni lavorìo, come laccio in
campo.
Ad idem. Se vuoi fare un bel drappo d'azzurro oltremarino, metti il tuo vestire d'ariento
brunito: disegna il tuo drappo; metti, o vuoi i campi o vuoi i lacci, in questo azzurro temperato con
colla. Poi a distesa gualivamente ne da' sopra i campi, e sopra i lacci: ed è un drappo avvellutato.
Ad idem. Campeggia i vestiri, la figura, di quel colore che vuoi aombrarla. Togli poi un
pennello di vaio sottile, ed i mordenti. Spolverato che hai, secondo dove vuoi fare i drappi e lacci,
lavora di mordenti, come innanzi te ne tratterò. E questi mordenti puoi mettere ad oro od ariento; e
rimangono belli drappi, spazzandoli e brunendoli con bambagia.
Ad idem. Avendo lavorato di qual colore tu vuoi, come ho detto qui di sopra, e volendolo
fare cangiante, va' lavorando sopra l'oro di che colore ad olio tu vuoi, pur che svarii dal campo.
Ad idem, in muro. Metti il vestire di stagno dorato; campeggialo del campo che vuoi;
spolvera, lavora, e gratta il drappo con lo stile del legno, temperati i colori sempre con rossume
d'uovo. E sarà assai bel drappo, secondo muro. Ma di mordenti puo' tu lavorare così in muro, come
in tavola.
CAPITOLO CXLIV.
In qual modo si contraffà in muro il velluto, o panno di lana, e così la seta, in muro e in tavola.
Se vuoi contraffare un velluto, fa' il vestire, temperato con rossume, di quel colore che vuoi. Poi
con pennello di vaio va' facendo i peluzzi, come istà il velluto, di color temperato ad olio; e fa' i
pelucci grossetti. E per questo modo puo' fare velluti negri, rossi, e di ciascun colore, temperando
nel detto modo. Egli è alcuna volta buono a fare parere in muro un riverscio, o un vestire che paia
propio panno di lana. E per tanto, quando hai smaltato, pulito e colorito, riserbati, quello che vuoi
fare, di dietro. Abbi tanta assicella piana, poco maggiore di una tavola da giucare; e, con sprizzando
acqua chiara col pennello nel detto o su per lo detto luogo, va' rimenando a tondo con questa
assicella. La calcina viene ruvida e mal pulita. Lasciala stare, e coloriscila come sta, senza pulire; e
parratti proprio panno, o ver drappo di lana.
Ad idem. Se vuoi fare drappo di seta, o in tavola o in muro, campeggia di cinabro, e pallia o
ver vitica di minio; o vuoi di sinopia scura, e pallia di cinabro o di giallorino, in muro; e in tavola,
d'orpimento o di verde, o vuoi di qual colore tu vuoi, campeggia scuro, e pallia chiaro.
Ad idem, in muro in fresco. Campeggia d'indaco, e pallia d'indaco e bianco sangiovanni
mescolato insieme. E se di questo colore vuoi lavorare in tavola o in palvesi, miscola l'indaco con
biacca temperata con colla: e per questo modo puoi fare de' drappi assai e di più ragioni, secondo
tuo intelletto, e come di ciò ti diletterai.
CAPITOLO CXLV.
Come si colorisce in tavola, e come si stemperano i colori.
Credo che per te medesimo tanto intelletto arai con la tua pratica, che per te medesimo
t'ingegnerai, veggendo questo modo, saper lavorare pulitamente di drappi di più maniere. E, per la
grazia di Dio, è di bisogno che vegniamo al colorire in tavola. E sappi che 'l lavorare di tavola è
propio da gentile uomo, ché con velluti in dosso puoi fare ciò che vuoi. Ed è vero che il colorire
della tavola si fa propio come ti mostrai a lavorare in fresco; salvo che tu svarii in tre cose. L'una,
che ti conviene sempre lavorare vestiri e casamenti, prima che visi. La seconda cosa si è, che ti
conviene temperare i tuoi colori sempre con rossume d'uovo, e ben temperati: sempre tanto rossume
quanto il colore che temperi. La terza si è, che i colori vogliono essere più fini, e ben triati come
acqua. E, per tuo gran piacere, sempre incomincia a lavorare vestiri di lacca, con quel modo che in
fresco ti ho mostrato; cioè lascia il primo grado del suo colore, e togli le due parti colore di lacca, il
terzo di biacca. E da questo, temperato che gli è, ne digrada tre gradi, che poco svarii l'uno dall'altro:
temperati bene, come t'ho detto, e dichiarati sempre con biacca ben triata. Poi ti reca la tua ancona
innanzi: e sempre fa' che con lenzuolo la tegni coverta, per amor dell'oro e de' gessi, ché non si
danneggino dalla polvere; e che i lavorii t'eschino bene netti tra le mani. Poi piglia un pennello
mozzetto di vaio, e incomincia a dare il colore scuro, ritrovando le pieghe in quella parte dove dee
essere lo scuro della figura. E all'usato modo piglia il colore di mezzo: e campeggia i dossi e i rilievi
delle pieghe scure, e comincia col detto colore a ritrovare le pieghe del rilievo, e inverso il lume
della figura. Poi piglia il colore chiaro, e campeggia i rilievi e i dossi del lume della figura. E per
questo modo ritorna da capo alle prime pieghe scure della figura col colore scuro. E così, come hai
incominciato, va' più e più volte coi detti colori, mo dell'uno e mo dell'altro, ricampeggiandoli, e
ricommettendoli insieme con bella ragione, sfumati con delicatezza. E di questo hai tempo a poterti
levare del lavorìo, e per qualche spazio riposarti e ritornarti in su 'l detto lavorìo che abbi in tavola:
vuol essere lavorato con gran piacere. Quando hai finito di campeggiare bene, e di commettere i
detti tre colori; del più chiaro fa' un altro più chiaro, lavando sempre il pennello dall'un colore
all'altro; e di questo più chiaro fanne un altro più chiaro, e fa' che poco svarii dall'uno all'altro. Poi
tocca di biacca pura, temperata come detto è; e toccane sopra i maggiori rilievi. E così di mano in
mano fa' degli scuri, per fin che tocchi ne' maggiori scuri di lacca pura. E abbi a mente, come hai
fatto i tuoi colori fatti di grado in grado, così gli metti in tuo' vasellini di grado in grado, acciò che
non erri del pigliarne uno per un altro. E, per lo simile, d'ogni colore che vuoi colorire, tienne questo
modo, o vuoi rossi, o bianchi, o gialli, o verdi. Ma se volessi fare un bel colore biffo, togli lacca ben
fina e azzurro oltramarino ben fine e sottile; e di questo mescuglio con la biacca fa' i tuo' colori, di
grado in grado, sempre temperandoli. Se vuoi fare un vestire con azzurro, biancheggiato, per questo
modo il dichiara con la biacca; e lavoralo per lo soprascritto modo.
CAPITOLO CXLVI.
Come dèi fare vestiri di azzurro, d'oro, o di porpora.
Se vuoi fare un azzurro, cioè un vestire, tutto biancheggiato, né tutto campeggiato, togli di tre
o di quattro partite di azzurro oltremarino: ché ne troverrai di più ragioni, più chiaro l'un che l'altro.
E colorisci secondo il lume della figura, come di sopra ti ho mostrato. E per lo detto modo ne puoi
fare in muro con la sopraddetta tempera in secco. E se non volessi fare la spesa di queste medesime
partite, troverrai azzurri della Magna. E se volessi drapparli d'oro, anche il puoi fare. E puoi toccarli
con un poco di biffo nelli scuri delle pieghe e un poco nelle chiare, ritrovando gentilmente sopra
all'oro, le pieghe. E questi tali vestiri ti piaceranno forte, e spezialmente in vestiri di Domeneddio. E
volendo vestire Nostra Donna d'una porpora, fa' il vestire bianco, aombrato d'un poco di biffo chiaro
chiaro, che poco svarii dal bianco. Drappeggialo d'oro fine, e poi il va' ritoccando, e ritrovando le
pieghe sopra all'oro d'un poco di biffo più scuro: ed è vago vago vestire.
CAPITOLO CXLVII.
In qual modo si coloriscono i visi, le mani, i piedi, e tutte le incarnazioni.
Fatti che hai e coloriti vestimenti, alberi, casamenti, e montagne, dèi venire a colorire i visi: i
quali ti conviene cominciare per questo modo. Abbi un poco di verdeterra con un poco di biacca ben
temperata; e a distesa danne due volte sopra il viso, sopra le mani, sopra i piè, e sopra ignudi. Ma
questo cotal letto vuole essere a' visi di giovani con fresca incarnazione, temperato il letto e le
incarnazioni con rossume d'uovo di gallina della città, perché sono più bianchi rossumi, che quelli
che fanno le galline di contado o di villa, che sono buoni per la loro rossezza a temperare
incarnazioni di vecchi e bruni. E dove in muro fai le tue rosette di cinabrese, abbi a mente che in
tavola vuol essere con cinabro. E quando dai le prime rosette, non fare che sia cinabro puro, fa' che
vi sia un poco di biacca; e così da' un poco di biacca al verdaccio che di prima aombri. Poi secondo
che lavori e colorisci in muro, per quel medesimo modo fa' tre maniere d'incarnazioni, più chiara
l'una che l'altra; mettendo ciascuna incarnazione nel suo luogo delli spazi del viso: non però
appressandoti tanto all'ombre del verdaccio, che in tutto le ricuopra; ma a darle con la incarnazione
più scura, alliquidandole e ammorbidandole come un fummo. E abbi che la tavola richiede essere
più volte campeggiata che in muro; ma non però tanto, che io non voglia che il verde, ch'è sotto le
incarnazioni, sempre un poco traspaia. Quando hai ridotto le tue incarnazioni, che 'l viso stia
appresso di bene, fa' una incarnazione più chiaretta, e va' ricercando su per li dossi del viso,
biancheggiando a poco a poco con dilicato modo, per fino a tanto che pervegna con biacca pura a
toccare sopra alcuno rilievuzzo più in fuora che gli altri, come sarebbe sopra le ciglia, o sopra la
punta del naso. Poi profila gli occhi di sopra un profiluzzo di negro, con alcuno peluzzo (come istà
l'occhio), e le nari del naso. Poi togli un poca di sinopia scura, con un miccino di nero; e profila ogni
stremità di naso, d'occhi, di ciglia, di capellature, di mani, di piè, e generalmente d'ogni cosa, come
in muro ti mostrai; sempre con la detta tempera di rossume d'uovo.
CAPITOLO CXLVIII.
Il modo di colorire un uomo morto, le capellature, e le barbe.
Appresso di questo parleremo del modo del colorire un uomo morto, cioè il viso, il casso, e dove
in ciascun luogo mostrasse lo ignudo, così in tavola come in muro: salvo che in muro non bisogna
per tutto campeggiare con verdeterra; pur che sia dato innanzi o vero in mezzo tra l'ombre e le
incarnazioni, basta. Ma in tavola campeggia all'usato modo, sì come informato ho d'un viso colorito
o vivo; e, per lo usato modo, col medesimo verdaccio aombra. E non dare rosetta alcuna, ché 'l
morto non ha nullo colore; ma togli un poco d'ocria chiara, e digrada da questa tre gradi
d'incarnazione, pur con biacca, e temperali a modo usato; dando di queste tali incarnazioni catuna
nel luogo suo, sfummando bene l'una con l'altra, in nel viso, per lo corpo. E per lo simile,
quando l'hai appresso che coperta, fa' di questa chiara un'altra incarnazione più chiara, tanto che
riduca le maggiori stremità de' rilievi a biacca pura. E co profila ogni contorno di sinopia scura
con un poco di nero temperato; e chiamerassi sanguigno. E per lo medesimo modo le capellature
(ma non che paiano vive, ma morte) con verdacci di più ragioni. E come ti mostrai più ragioni e
modi di barbe in muro, per quel modo fa' in tavola; e così ogni osso di cristiano, o di creature
razionali, fa' di queste incarnazioni sopraddette.
CAPITOLO CXLIX.
Come dèi colorire un uomo ferito, o ver la ferita.
A fare o ver colorire un uomo fedito, o ver fedita, togli cinabro puro; fa' che campeggi dove vuoi
fare sangue. Abbi poi un poco di lacca fina, temperata bene a modo usato; e va' per tutto aombrando
questo sangue o gocciole o fedite, o come si sia.
CAPITOLO CL.
In che modo si colorisce un'acqua o un fiume, con pesci o senza, in muro e in tavola.
Quando volessi fare un'acqua, un fiume, o che acqua tu volessi, o con pesce o sanza, in muro o
vero in tavola; in muro, togli quel medesimo verdaccio che aombri i visi in su la calcina; fa' i pesci,
aombrando con questo verdaccio pur sempre l'ombre in su' dossi: avvisandoti ch'e pesci, e
generalmente ogni animale irrazionale, vuole avere il suo scuro di sopra e 'l lume di sotto. Poi,
quando hai aombrato di verdaccio, biancheggia di sotto di bianco sangiovanni, in muro; e in tavola,
con biacca: e va' facendo sopra i pesci alcuna ombra del medesimo verdaccio, e per tutto 'l campo. E
se volessi fare alcuno disvariato pesce, cardalo d'alcune spine d'oro. In secco dare puoi a distesa, per
tutto 'l campo, verderame ad olio; e per questo modo ancora in tavola. E se non volessi fare ad olio,
togli verdeterra o verde azzurro, e cuopri per tutto ugualmente; ma non tanto, che non traspaia
sempre pesci e onde d'acqua; e, se bisogna, le dette onde biancheggiale un poco in muro con bianco,
e in tavola con biacca temperata. E questo ti basti al fatto del colorire; e pervegniamo all'arte
dell'adornare. Ma prima diremo de' mordenti.
CAPITOLO CLI.
Il modo di fare un buon mordente per mettere d'oro panni e adornamenti.
El si fa un mordente, il quale è perfetto in muro, in tavola, in vetro, in ferro, e in ciascheduno
luogo; il quale si fa in questo modo. Tu torrai il tuo olio cotto al fuoco o al sole, cotto per quel modo
che indietro t'ho mostrato; e tria con questo olio un poco di biacca e di verderame; e quando l'hai
triato come acqua, mettivi dentro un poco di vernice, e lascialo bollire un poco ogni cosa insieme.
Poi togli un tuo vasellino invetriato, e mettivilo dentro, e lascialo godere. E come ne vuoi adoperare,
o per panni o per adornamenti, togline un poco in un vasellino, e uno pennello di vaio fatto in un
bucciuolo di penna di colombo o di gallina, e fallo ben sodetto e punzìo, e che la punta esca poco
poco fuori del bocciuolo. Poi intigni poca cosa della punta in nel mordente, e lavora i tuoi
adornamenti e i tuo' fregi. E, come ti dico, fa' che 'l pennello non sia mai troppo carico. La ragione:
ché ti verrà fatto i tuoi lavori come capelli sottili, ch'è più vago lavoro. Voglia innanzi sentare più a
fargli; poi aspetta di in dì. Tasta poi questi lavori col dito anellario della man diritta, cioè col
polpastrello; e se vedi che piccola cosa morda e tegna, allora togli le pinzette, taglia un mezzo pezzo
d'oro fino, o d'oro di metà, o d'ariento (benché non durano), e mettilo sopra il detto mordente.
Calcalo con bambagia, e poi col detto dito va' leccando di questo pezzo d'oro, e mettendone sopra il
mordente che non n'ha. E non far con altro polpastrello di dito, ché egli è il più gentile che abbi la
mano: e fa' che le tue mani sien sempre nette. Avvisandoti che l'oro che si mette in su' mordenti,
spezialmente in questi lavori sottili, vuole essere il più battuto oro e il più fiebole che possi trovare:
ché s'egli è sodetto, non puoi adoperarlo sì bene. Quando l'hai per tutto mettuto d'oro; se vuoi, il
puoi lasciare stare in nell'altro dì; e poi togli una penna, e spazza per tutto: e se vuoi ricogliere il
detto oro che casca, o vero spazzatura, serbalo; ch'è buono per orefici, o per tua fatti. Poi togli della
bambagia ben netta e nuova, e va' brunendo perfettamente il tuo fregio mettuto d'oro.
CAPITOLO CLII.
Come puoi temperare questo mordente per mettere più presto d'oro.
Se vuoi che questo mordente, detto di sopra, duri otto dì; innanzi che sia da mettere d'oro, non vi
mettere verderame. Se vuoi che duri quattro dì, mettivi un poco di verderame. Se vuoi che 'l
mordente sia buono dall'un vespero all'altro, mettivi dentro assai verderame, e ancora un miccino di
bolo. E se trovassi che nessuna persona ti biasimasse il verderame, perché non pervenisse a
contaminare l'oro, làsciati dire; ché io l'ho provato che l'oro si conserva bene.
CAPITOLO CLIII.
Il modo di fare un altro mordente coll'aglio; e dove sia meglio adoperarlo.
È un altro mordente, il quale si fa per questo modo. Togli agli mondi, in quantità di due o tre
scodelle o una; pestagli in mortaio, strucali con pezza lina due o tre volte. Piglia questo sugo, e tria
con esso un poco di biacca e di bolo, sottile quanto più puoi al mondo. Poi l'asuna; mettilo in un
vasello, cuoprilo e conservalo: ché quanto più è vecchio e antico, tanto più è migliore. Non torre
aglietti agli giovani; togli d'un mezzo tempo. E quando vuoi adoperare del detto mordente,
mettine un poco in un vasellino invetriato, e con poca d'orina, e rimena con un fuscellino bellamente
tanto, a tuo modo, ch'al detto tuo pennello corra da poterlo abilmente lavorare. E per lo sopraddetto
modo, passando mezza ora, il puoi mettere d'oro per lo modo sopraddetto. E questo mordente ha
questa natura, che 'l ti aspetta di mettere d'oro mezza ora, un'ora, un dì, una settimana, un mese, un
anno, e quanto vuoi. Tiello pur bene coperto, e guardalo dalla polvere. Questo cotal mordente non si
difenderebbe né da acqua né da umido: ma in chiese, e dove fusse coperto e mura di mattoni; ma la
sua natura è in tavola e in ferro, o dove fusse cosa che si avessi a vernicare con vernice liquida. E
questi modi di queste due generazioni mordenti ti bastino.
CAPITOLO CLIV.
Del vernicare.
A me pare avere detto assai del modo del colorire in muro, in fresco, in secco, e in tavola. Mo
sopperremo al modo del colorire, e mettere d'oro, e miniare in carta. Ma prima voglio che vediamo
il modo del vernicare in tavola o vero ancona, e qualunque altro lavorìo si fusse, fuori che in muro.
CAPITOLO CLV.
Del tempo e del modo di vernicare le tavole.
Sappi che 'l più bello e migliore vernicare che sia, si è che quanto più indugi dopo il colorire
della tavola, tanto è migliore. E dico: bene indugiando parecchi anni, e per lo meno uno, e più ti
riesce fresco il tuo lavoro. La ragione: il colorire per natura ha quella condizione che ha l'oro, che
non vuole per compagnia d'altri metalli; e per costante hanno i colori, che, quando sono insieme con
le loro tempere, non vogliono altro mescuglio d'altre tempere.
La vernice è un licore forte, ed è dimostrativo, e vuole in tutto essere ubbidito, e annulla ogni
altra tempera. E di subito, come la distendi sopra il tuo lavoro, di subito ogni colore perde di sua
forza, e conviengli ubbidire alla vernice, e non ha mai più possanza d'andarsi ricreando con la sua
tempera. Ond'egli è buono a indugiare a invernicare più che puoi; ché vernicando poi ch'e' colori
con le loro tempere abbin fatto loro corso, e' rivengono poi freschissimi e belli, restando verdanti
nella medesima forma sempre. Adunque togli la tua vernice liquida e lucida e chiara la più che possi
trovare. Metti la tua ancona al sole, e spazzala; forbila dalla polvere e da ogni fastidio, quanto più
puoi; e guarda che sia tempo sanza vento, perché la polvere è sottile, e ogni volta che 'l vento te la
traportasse sopra il tuo lavoro, non potresti bene con abil modo ridurlo a nettezza. Potresti bene
essere in luoghi, come sono prati d'erbe, o in mare, che la polvere non ti potrebbe dare impaccio.
Quando hai la tavola riscaldata dal sole, e medesimamente la vernice, fa' che la tavola stia piana; e
con la mano vi distendi per tutto questa vernice, sottilmente e bene. Ma guarti di non andare di
sopra all'oro, ché non gli piace compagnia di vernice, d'altri licori. Ancora se non vuoi fare con
mano, togli un pezzoletto di spugna ben gentile, intinta nella detta vernice; e rullandola con la mano
sopra l'ancona, vernica per ordine, e leva e poni come fa bisogno. Se volessi che la vernice
asciugasse sanza sole, cuocila bene in prima; ché la tavola l'ha molto per bene a non essere troppo
sforzata dal sole.
CAPITOLO CLVI.
Come in corto tempo puoi far parere invernicata una pittura.
Per parere che in corto tempo un tuo lavoro paia invernicato, e non sia, togli chiara d'uovo ben
rotta con la scopa quanto si può più, tanto che pervegnia spuma ben soda; lasciala stillare una notte.
Togli in un nuovo vaselletto quella ch'è istillata, e con pennello di vaio ne da' a distesa sopra i tuoi
lavori; e parranno vernicati, e ancora sono più forti. Questo cotale invernicare ama molto le figure
distagliate, o del legno o di pietra; e vernicare per questo modo i loro visi e mani e ogni loro
incarnazioni. E questo basti a dire sopra il vernicare; e diremo del colorire e miniare in carta.
CAPITOLO CLVII.
In che modo dèi miniare e mettere d'oro in carta.
Prima, se vuoi miniare, conviene che con piombino o vero stile disegni figure, fogliami, lettere, o
quello che tu vuoi, in carta, cioè in libri; poi conviene che con penna sottilmente raffermi ciò che hai
disegnato. Poi ti conviene d'avere d'un colore cioè d'un gesso, il quale si chiama asiso, e fassi per
questo modo, cioè: abbi un poco di gesso sottile, e un poco di biacca, men che per terza parte del
gesso; poi togli un poco di candi, men che la biacca. Tria queste cose con acqua chiara
sottilissimamente. Poi 'l ricogli; lascialo seccare sanza sole. Quando ne vuoi adoperare per mettere
d'oro, to'ne un poco, quello che per bisogno ti fa; e distemperalo con chiara d'uovo bene sbattuta,
come di sopra t'hone insegnato. E tempera con essa questo mescuglio. Lascialo seccare. Poi abbi il
tuo oro: e con l'alito, e senza alito, il puo' mettere. E mettudo in su l'oro, abbi il tuo dentello o pietra
da brunire, e bruniscilo; ma tieni sotto la carta una tavoletta soda di buono legname, e ben pulita; e
quivi su brunisci. E sappi che di questo asiso puoi scrivere con penna lettere, campi, e ciò che vuoi;
ch'è perfettissimo. E innanzi che lo metta d'oro, guarda s'è di bisogno con punta di coltellino raderlo,
e spianarlo, o nettarlo di niente; ché alcuna volta il tuo pennelletto pone più in un luogo che in un
altro. Di ciò ti guarda sempre.
CAPITOLO CLVIII.
Un altro modo per mettere d'oro in carta.
Se vuoi un'altra maniera d'asiso (ma non è così perfetta, ed è buono a mettere campo d'oro, ma
non è da scrivere), togli gesso sottile, e 'l terzo biacca, e 'l quarto bolo armeniaco, con un poco di
zucchero. Tria tutte queste cose ben sottilmente con chiara d'uovo. Poi all'usato modo campeggia;
lascialo seccare. Poi con punta di coltellino radi e rinetta il tuo gesso. Metti sotto la carta la detta
tavoletta, o pietra ben piana, e brunisci. E se caso venisse che non si brunisse bene, quando metti
l'oro, bagna il gesso con acqua chiara, con un pennelletto di vaio; e quando è secco, bruniscilo.
CAPITOLO CLIX.
Di un colore simile all'oro, il quale si chiama porporina; e in che modo si fa.
Io ti voglio mostrare un colore simile all'oro, il quale è buono in carta di questi miniatori, e
ancora in tavola se n'adoprerebbe; ma guarti come dal fuoco o da veleno che questo colore, il quale
si chiama porporina, non si avvicinasse a nessun campo d'oro: ché io t'avviso, che se fusse un
campo d'oro mettudo, che tenesse di qui a Roma, e quanto mezzo grano di panico fusse d'ariento
vivo e toccasse questo campo d'oro, è sufficiente a guastarlo tutto. E il migliore rimedio che possi
prestamente avere, si è, con punta di coltellino o di agugella fare un frego sopra lo detto oro: e non
andrà impigliando più oltre. Questo colore di porporina si fa per questo modo. Togli sale armeniaco,
stagno, zolfo, ariento vivo, tanto dell'uno, quanto dell'altro: salvo che meno d'ariento. Metti queste
cose in una ampolla di ferro, o di rame, o di vetro. Fondi ogni cosa al fuoco; ed è fatto. Poi tempera
con chiara d'uovo e con gomma arabica, e mettine e lavorane come ti pare. Se ne fai vestiri, aombra
o con lacca o con azzurro con biffo: sempre i tuo' colori temperati con gomma arabica in carta.
CAPITOLO CLX.
In qual modo si macina l'oro e l'argento, e come si tempera per far verdure e adornamenti, e
come si può invernicare il verdeterra.
Se vuoi lavorare in tavola, o in carta, o in muro, o dove vuoi, d'oro, ma none in tutto pieno
come in campo d'oro; o volessi lavorare alcuno àlbore che paresse degli àlbori di paradiso; togli i
pezzi dell'oro fino, in quantità secondo il lavoro che vuoi fare o volessi scrivere con esso; cioè dieci
o venti pezzi. Metteli in su la pietra proferitica, e con chiara d'uovo, bene sbattuta, tria bene il detto
oro, e poi il metti in un vasellino invetriato: mettivi tanta tempera, che corra o a penna o a pennello;
e ne puoi fare ogni lavoro che vuoi. Ancora il puoi macinare con gomma arabica in carta: e se fai
foglie d'àlbori, mescola con questo oro un poco di verde, ben sottile macinato, per le foglie scure.
E per questo modo, mescolando con altri colori, puoi fare cangianti a tuo senno. Di questo così
fatto oro macinato, o ariento, o oro di metà, tu ne puoi ancor cardare vestiri a modo antico, e farne
certi adornamenti, i quali per li altri non molto s'usano, e fànnoti onore. Ma ciò che ti mostro,
convien che per te medesimo adoperi sentimento in saperli ben guidare.
CAPITOLO CLXI.
Dei colori che si adoperano in lavorare in carta.
Egli è verità, che di tutti i colori che adoperi in tavola, puoi adoperare in carta; ma voglionsi
macinare sottilissimamente. Bene è vero che so' certi colori che non hanno corpo, i quali si
chiamano pezzuola, e quali si fa d'ogni colore: e non bisogna se non tôrre un poco di questa
pezzuola di qual colore la si sia tinta o colorita, metterla in un vasellino invetriato, o in una coppa;
mettervi della gomma; ed è buono a lavorare. Ancora si fa d'un colore di verzino bollito con ranno e
allume di rôcca; e poi, quando è freddo, si macina con calcina viva, e fa una rosetta assai bella, e
viene ad avere un poco di corpo.
CAPITOLO CLXII.
Del modo di lavorare in tela o in zendado.
Ora parliamo del modo di lavorare in tela, cioè in pannolino, o in zendado. E terrai questo modo
in tela: che prima ti conviene mettere il telaio bene disteso, e chiavare prima e diritti delle cuciture;
poi d'intorno intorno andare con chiovetti, distenderla egualmente d'una perfetta ragione, che tutta
perfettamente abbi ritrovato bene ciascheduno nerbo. Quando così hai fatto, togli gesso sottile e un
poco d'amido, o vero un poco di zuccaro, e macina queste cose con colla di quella ragione ch'hai
temperato il gesso in tavola; macinato bene sottile; ma prima con questa colla senza gesso, danne
una volta per tutto; e se la colla non fusse così forte come di gesso, non monta nulla. Fa' che sia
calda quanto puoi, e con pennello di setole mozzo e morbido ne da' a ciascuna delle parti, se hai a
dipignere da ogni parte. Piglia poi, quando è asciutta, la tela: abbi una mella di coltello che sia nel
taglio piana e diritta come una riga, e di questo gesso con questa punta ne da' su per la detta tela,
andando ponendo e levando agguagliatamente, come radessi; e quanto men gesso vi lassi, tanto è
meglio: ché spiani pure i bucetti delle fila, assai basta una volta dare di gesso. Quando è asciutta,
togli uno coltellino bene radente, guardando la detta tela se vi fusse nodo ovver groppo, e to'lo via; e
poi piglia il tuo carbone, con quel medesimo modo che disegni in tavola, disegna in tela, e ferma
con acquerellad'inchiostro. Poi ti voglio insegnare, se vuoi mettere le diademe e campo d'oro brunito
come in tavola, che comunemente in ogni tela o zendado si mette a mordente, cioè di quella
semenza di lino; ma perché questo modo è miracoloso infra gli altri che molti hanno fatti, però te ne
avviso; e puossi il panno avvolgere e piegare senza offendere a l'oro e a' colori. Togli prima del
detto gesso sottile con un poco di bolio, e con un poca di chiara d'uovo e di colla tempera il detto
gesso,e danne una volta in quello luogo dove vuoi l'oro mettere. Quando è secco, radilo un
pochettino; poi abbi bolio macinato e temperato come quel proprio che metti in tavola, e per quel
modo ne da' cinque o sei volte: lassalo stare alcun dì. Metti il tuo oro propriamente come fai in
tavola, e bruniscilo, tenendo di sotto alla detta tela una asse bene pulita e soda, avendo uno cuscino
tra la tela e l'asse; e per questo modo granisce e stampa le dette diademe, e saranno proprie come in
tavola. Ma convienti poi, perché alcuna volta questi palii, che si fanno alle chiese, sono portati di
fuora, piovendo; e per tanto bisogna provedere d'avere una vernice ben chiara, e quando vernichi il
colorito, vernica un poco e le dette diademe o ver campo d'oro.
All'usato modo dell'ancone, ti conviene colorire di passo in passo in su la detta tela, ed è più
dolce lavorare che in tavola; però che la tela ritiene un poco il molle; ed è proprio come lavorassi in
fresco, cioè in muro. E ancora t'avviso che, colorendo, vuole essere molte e molte volte campeggiato
i colori, assai più chein tavola, perché la tela non ha corpo come l'ancona, e nel vernicare poi
dimostra non bene, quando è campeggiata male. Medesimamente tempera i colori come in tavola. E
più in ciò non mi distendo.
CAPITOLO CLXIII.
Come si lavori in tela nera o azzurra, o in cortine.
Se tu avessi avere a lavorare in tela nera o azzurra, sì come in cortine, distendi la tua tela a modo
detto di sopra. Non ti bisogna ingessare: non puoi disegnare con carbone. Togli gesso da sartori, e
fanne gentilmente cotali pezzoletti, come fai di carboni; e mettili per un bucciolo di penna d'oca, di
quella grossezza che richiede. Metti una asticciuola nel detto bocciuolo, e disegna leggermente. Poi
rafferma con biacca temperata. Poi da' una mano di quella colla che temperi i gessi in ancone
ovvero in tavola: poi campeggia quanto più puoi, e colorisci vestimenti, visi, montagne, casamenti,
e quello che a te pare, e tempera a modo usato. Ancora a colorire in cortine puoi togliere della tela
bianca, e soprapporla su la tela azzurra, attaccata con sugoli a modo di colla; e mettevi secondo le
tue figure che vuoi spandere per lo campo, e puoi colorire con certe acquerelle di colori, senza
vernicare poi. E fassene assai, e per buono mercato, e sono assai belle al pregio. Ancora in cortine
puoi fare di pennello alcuni fogliamenti, d'indaco con biacca pura, su per lo campo, temperata con
colla; e lasciare fra questi fogliamenti alcuni belli spazi per fare alcuni lavoretti d'oro fatti di
mordenti ad olio.
CAPITOLO CLXIV.
Come si dee disegnare in tela o in zendado per servigio de' ricamatori.
Ancora ti conviene alcune volte servire ricamatori di più ragioni disegni. E pertanto fatti mettere
a' predetti maestri tela o zendado in telaio bene disteso; e se è tela bianca, togli e tuo' carboni usati, e
disegna quello che vuoi. Poi piglia la penna e lo inchiostro puro, e rafferma, come fai in tavola
con pennello. Poi spazza il tuo carbone. Poi abbi una spugna ben lavata, e strucata dell'acqua. Poi
con essa stropiccia la detta tela dal lato dirieto dove non è disegnato, e tanto mena la detta spugna,
che la detta tela rimanga bagnata tanto, quanto tiene la figura. Poi abbi un pennelletto di vaio
mozzetto; intingilo nello inchiostro, e strucalo bene; e con esso comincia ad aombrare ne' luoghi più
scuri, riducendo e sfummando a poco a poco. Tu troverrai che la tela non serà grossa, che per
questo tal modo farai sì le tue ombre sfumate, ch'el ti parrà una maraviglia. E se la tela s'asciugasse
innanzi avessi fornito d'aombrare, ritorna con la detta spugna a ribagnarla a modo usato. E questo ti
basti a l'opera della tela.
CAPITOLO CLXV.
Del lavorare in zendado palii, gonfaloni, stendardi o altri lavori, e del mettere d'oro diademe o
campi.
Se hai a lavorare in zendado, palii o altri lavori, distendili prima in telaro, come ti dissi della
tela; e secondo il campo che ha, secondo to' carboni o neri o bianchi. Fa' il tuo disegno, e rafferma o
con inchiostro o con colore temperato; e se bisogna sia lavorato da ciascuna delle parti una
medesima storia o figura, metti il telaro al sole, vòlto il disegnato verso il sole, ch'el vibatta dentro.
Sta' dal lato di drieto col tuo colore temperato; va' col pennello tuo sottiletto di vaio su per l'ombre
che vedi del disegno fatto. Se hai a disegnare di notte, togli un lume grande verso il lato disegnato, e
un lume piccolo dal lato che disegni. Ciò è al lavorare come fusse un doppiero impreso dal lato
disegnato, e una candela dal lato che disegni. Se non è sole, e hai a disegnare di dì, fa' che 'l lume di
due finestre sia dal lato del disegnato, e da quel che hai a disegnare batta un lume d'una piccola
finestretta. Poi incolla della colla usata dove hai a colorire e metter d'oro, e miscola un poco di
chiara d'uovo con la detta colla, come sarebbe una chiara d'uovo in quattro muglioli o vero bicchieri
di colla; e incollato che hai, se volessi mettere alcuna diadema o campo d'oro brunito, per farti
grande onore e nome, togli gesso sottile, e un poco di bolio armenico macinato insieme
sottilissimamente con un micin di zucchero. Poi con la colla usata, e poca poca di chiara d'uovo
miscolata con poco di biacca, ne da' sottilmente due volte dove vuo' mettere d'oro. Poi da' il tuo
bolio, come el dài in tavola; poi metti il tuo oro con acqua chiara, miscolandovi un poco della
detta tempera del bolio, e brunisci su prieta ben pulita, o asse ben soda e pulita: e così granisci e
stampa in su la detta asse. Ancora puoi colorire ogni cosa a modo usato, temperato i colori con
rossume d'uovo, campeggiati i colori sei o otto volte o dieci per amor del vernicare; e poi puoi
mettere le diademe o campi d'oro con mordenti ad olio, e gli adornamenti con mordenti d'aglio e
vernicati poi; ma meglio è con mordenti ad olio. E questo basti a stendardi e gonfaloni, e tutto.
CAPITOLO CLXVI.
Il modo di colorire e di mettere d'oro in velluti.
Se avessi a lavorare in velluti e disegnare per ricamatori, disegna i tuo' lavorii con penna, o vuoi
inchiostro o vuo' biacca temperata. Se ti conviene colorire alcuna cosa o mettere d'oro, togli colla a
modo usato, e altrettanta chiara d'uovo e un poco di biacca, e con pennello di setole ne da' sopra il
pelo, e abbattilo per forza e maccalo ben giù. Poi colorisci e metti d'oro a modo detto; ma pur l'oro a
mordenti. Ma men fatica ti sarà il lavorare ogni cosa in zendado bianco, tagliato fuora le figure o
altro che facessi: e falle fermare a' ricamatori in sul tuo velluto.
CAPITOLO CLXVII.
Del lavorare in panno di lana.
Se caso ti avviene d'avere a lavorare in panno di lana, per cagione di tornieri o di giostre, (ché
sono alcuni gentili uomini e gran signori gravidi di volere cose stratte, e vorranno d'oro o d'ariento
loro divise su per lo detto panno), togli prima, secondo il colore del drappo, o vero panno, il carbone
che si richiede a disegnare, e ferma con penna, sì come hai fatto nel velluto; e poi togli chiara d'uovo
bene dirotta, sì come da prima t'insegnai, e altrettanta colla a modo usato, e danne su per lo pelo del
detto panno in quello luogo dove hai a mettere d'oro. Poi, quando è asciutto, va' con un dentello, e
brunisci su per lo detto panno; poi ne da' della detta tempera due o tre volte. Quando è ben secca, da'
il tuo mordente, tanto che non esca fuori del temperato, e metti di quello oro e ariento che a te piace
e pare.
CAPITOLO CLXVIII.
Come dèi lavorare coperte da cavalli, divise e giornee per torneamenti e per giostre.
Alcuna volta in questi tornieri e giostre si fa sopra i cavalli coverti e sopra giornee, alcune divise
rilevate e cucite sopra i detti lavorii. E però ti dimosterrò come di carta bambagina si fanno; e queste
tali carte si mettono prima tutto lo foglio della carta ad oro o ad ariento brunito; e fassi in questo
modo, cioè: macina sottilmente quanto più puoi un poco d'ocria o gesso da sartori, un poco poco di
bolio armenico: temperali insieme con colla, la quale sia squasi pura acqua, che non sia forte niente,
ma poco abbi di sustanzia o vero valore; e con pennello di setole morbido, o vuoi con pennello di
vaio, ne darai a distesa una volta su per i fogli della carta bambagina buoni da scrivere e non iscritti;
e quando sono asciutti, ritorna, e parte bagna con pennello di vaio, e parte metti d'oro con quello
modo e ordine che metti in tavola in sul bolo; e guarda poi, quando hai mettuto tutto lo foglio,
quando tempo è di brunirlo. Abbi una prieta ben piana o asse bene pulita e dura, e sopra ciò brunisci
i tuo' fogli: e poni da parte. E di questi cotali fogli tu puoi fare animali, fiori, rose, e di molte
maniere di divise, e fatti grande onore; e fai tosto e bene: e puo'le adornare con alcuno coloruzzo ad
olio.
CAPITOLO CLXIX.
Del fare cimieri o elmi da torneamenti e da rettori.
Quando ti viene il caso di fare alcuno cimieri o elmo da torniero, o da rettori che abbino andare
in signoria; prima ti conviene avere cuoio bianco, el quale non sia concio se non con mòrtina o vuoi
cefalonia: distendilo e disegna il tuo cimiere come lo vuoi fatto; e disegnane due, e cuce insieme
l'uno con l'altro, ma lassa tanto da un de' lati, che vi possa mettere del sabbione, e con una bacchetta
el priemi tanto che gualivamente sia ben pieno. Quando così hai fatto, mettilo al sole per più dì;
quando è bene asciutto, tirane fuori il sabbione; poi della colla usata da ingessare togli, e incollalo
due volte o tre. Poi abbi del gesso grosso macinato con colla, e miscolavi dentro della stoppa
battuta, e fa' che sia sodo a modo di pasta; e di questo gesso va' ponendo e bozzando, daendoli
quella forma o d'uomo o d'animale che abbi a fare o d'uccello, assimigliandolo el più che puoi. Fatto
questo, togli del gesso grosso macinato con colla liquido e corsivo a pennello, e sopra questo cimieri
ne darai tre o quattro volte a pennello. Poi quando è ben secco, radilo e puliscilo, sì come fai quando
lavori in tavola. Poi a quel modo medesimo, come t'ho mostrato a ingessare di gesso sottile in
tavola, per quel modo ingessa questo cimieri. Quando è secco, radilo e puliscilo; e poi se bisogna
fare occhi di vetro, con gesso da rilevare li commetti e rilieva, se di bisogno è. Poi se ha essere d'oro
o d'ariento, metti di bolo, come in tavola, e tieni in ogni cosa quel medesimo modo, e così del
colorire; vernicandolo a modo usato.
CAPITOLO CLXX.
Come dèi lavorar cofani o vero forzieri, e il modo di adornarli e colorirli.
Volendo lavorare cofani o vero forzieri, se li vuoi far realmente, ingessali e tieni tutti que' modi
che tieni a lavorare in tavola, di mettere d'oro, di colorire, e di granare, d'adornare, e di vernicare,
senza distendermi a dirti di punto in punto.
Se vuoi lavorare altri cofani di men pregio, incollali in prima, e impanna le sfenditure, e così
fa' ancora quelli di sopra: ma questi tu puoi ingessare prima a stecca e a pennello, pur con la cendere
bene tamigiata, con colla usata. Quando è ingessato e secco, puliscilo; e, se vuoi, ingessalo di gesso
sottile.
Se vuoi poi adornare di certe figure di stagno o altre divise, tieni questo modo, cioè: abbi una
pietra tenera, piana e macigna, e in su questa pietra intaglia di ciascun lavorìo che vuoi, o tu te la fa'
intagliare; e ogni poco cavo basta. Qui fa' intagliare figure, animali, divise, fiori, stelle, rose, e
d'ogni maniera che nello intelletto tuo desideri. Poi abbi dello stagno battuto, o vuoi giallo o vuoi
bianco, in più doppi, e mettilo sopra la 'mpronta che vuo' fare. Poi abbi a modo d'uno stoppacciolo
di stoppa bagnata bene, e poi premuta, e mettila sopra questo stagno; e abbi da l'altra mano uno
magliuolo non troppo grieve di saligaro, e batti sopra questa stoppa, rimenandola e rivolgendola
coll'altra mano; e quando l'hai bene battuta che vedi dimostrare perfettamente ogni intaglio, togli
gesso grosso macinato con colla sodetta, e con istecca ne da' sopra questo stagno battuto. Quando
hai così fatto, togli un coltellino, e con la punta ritrova l'un pezzo dello stagno, e spiccalo e lievalo
su; poi ritorna col tuo gesso e colla tua stecca a l'usato modo ritrova e separa il pezzo dello stagno a
modo usato. Tanto ne fa' per questo modo, che n'abbi doviziosamente; e mettili asciugare. Come
son secchi, abbi una punta di coltellino ben tagliente, e a pezzo a pezzo di questo stagno metti in su
un'asse di noce ben piana, e va' tagliando fuori tutto stagno che avanza fuor del contorno della tua
figura. E per questo modo ne fa' quella quantità che vuoi.
Quando hai i tuoi cofani in ordine ingessati e campeggiati di quel color che vuoi, abbi della
colla usata e ancor più forte, e bagna bene sopra il gesso delle tue figure o divise, e di subito
l'appicca e compartisci per lo campo del tuo coffano, e con pennello di vaio va' profilando e daendo
alcuno coloruzzo: poi vernica il detto campo. Quando è asciutto, abbi una chiara d'uovo battuta, e
con spugna bagnata in questa chiara la va' fregando su per lo invernicato, e poi con altri colori va'
palliando e adornando il detto campo con ciò che colore tu vuoi, che isvarii partitamente del campo.
E più non mi distendo di ciò parlare, perché se sarai bene sperto e pratico nelle cose grandi, saprai
bene fare in nelle piccole; dimostrandoti qui appresso come si lavora in vetro.
CAPITOLO CLXXI.
Come si lavorano in vetro, finestre.
Per due maniere si lavora in vetro; cioè in nelle finestre, e in pezzi di vetro, i quali si mettono in
anconette, o vero in adornamento d'orliquie. Mo diremo prima del modo delle finestre: vero è che
questa tale arte poco si pratica per l'arte nostra, e praticasi più per quelli che lavorano di ciò; e
comunemente quelli maestri che lavorano, hanno più pratica che disegno, e per mezza forza e per la
guida del disegno pervengono a chi ha l'arte compiuta, cioè che sia universale, e buona pratica. E
per tanto, quando i detti verranno a te, tu piglierai questo modo. E' ti verrà colla misura della sua
finestra, larghezza e lunghezza: tu torrai tanti fogli di carta incollati insieme quanti ti farà per
bisogno alla tua finestra; e disegnerai la tua figura prima con carbone, poi fermerai con inchiostro;
aombrata la tua figura compiutamente come disegni in tavola. Poi il tuo maestro di vetri toglie
questo disegno, e spianalo in sul desco, o tavola, grande e piano; e secondo che colorire vuole i
vestimenti della figura, così di parte in parte va tagliando i vetri, e datti un colore el quale si fa di
limatura di rame ben macinato; e con questo colore tu con pennelletto di vaio, di punta vai
ritrovando a pezzo a pezzo le tue ombre, concordando l'andare delle pieghe e dell'altre cose della
figura, di pezzo in pezzo di vetro, come el maestro ha tagliato e commesso; e di questo cotal
colore tu puoi universalmente aombrare ogni vetro. Poi il maestro, innanzi che leghi insieme l'un
pezzo coll'altro, secondo loro usanza, il cuoce temperatamente in casse di ferro con suo cendere, e
poi li lega insieme. Tu puoi lavorare sopra i detti vetri drappi di seta, vitigare e palliare e far lettere,
ciò è campeggiando del detto colore, e poi grattare, sì come fai in tavola. Hai un vantaggio: che non
ti bisogna dare altro campo, ché trovi vetro d'ogni colore. E se t'avvenissi avere a fare figurette
piccole, o arme o divise piccole, che i vetri non si potesser tagliare; aombrato che hai col predetto
colore, tu puoi colorire alcuni vestimenti, e tratteggiare di colore ad olio: e questo non fa luogo
ricuocere, non si vuol fare, perché non faresti niente. Lascialo pur seccare al sole, come a lui
piace.
CAPITOLO CLXXII.
Come si lavora in opera musaica per adornamento di reliquie; e del musaico di bucciuoli di
penna, e di gusci d'uovo.
Una altra maniera è da lavorare in vetro vaga, gentile e pellegrina quanto più dir si può, la quale è
un membro di gran devozione per adornamento d'orliquie sante, e vuole avere in sé fermo e pronto
disegno; la quale maniera si lavora per questo modo, cioè. Togli un pezzo di vetro bianco che non
verdeggi, ben netto senza vesciche, e lavalo con lisciva e con carboni, fregandovi su poi, e rilava
con acqua ben chiara, e per se medesima el lascia asciugare; ma prima che il lavi, taglialo di quella
quadra che 'l vuoi. Poi abbi la chiara dell'uovo fresco; con una scopa ben netta, dirompila come
fai quella ch'è da mettere d'oro: che sia ben dirotta; e lasciala stillare per una notte.
Poi abbi un pennello di vaio, e di questa chiara col detto pennello bagna il detto vetro, dal suo
rivescio, e quando è bene bagnato ugualmente, togli un pezzo dell'oro, che sia bene fermo oro, cioè
appannato: mettilo in sulla paletta di carta, e gentilmente il metti sopra il detto vetro dove hai
bagnato; e con un poca di bambagia ben netta va' calcando gentilmente, che la chiara non passi di
sopra l'oro; e per questo modo metti tutto il vetro: lascialo seccare sanza sole per spazio d'alcuni dì.
Quando è ben secco, abbi una tavoletta ben piana, foderata o di tela nera o di zendado, e abbi un tuo
studietto, dove alcuna persona non ti dia impaccio nessuno, e che abbi sola una finestra impannata;
alla quale finestra metterai il tuo desco come da scrivere, in forma che la finestra ti batta sopra il
capo, staendo tu volto col viso alla detta finestra; il tuo vetro disteso in sulla detta tela nera. Poi abbi
una agugella legata in una asticciuola, come fusse un pennelletto di vaio, e che sia ben sottile di
punta; e col nome di Dio il comincia leggermente a disegnare con questa agugiella quella figura che
vuoi fare; e fa' che il primo disegno si dimostri poco, perché non mai non si può torre giù; e per
tanto fa' leggermente tanto che fermi il tuo disegno; poi va' lavorando, sì come penneggiassi; perché
il detto lavoro non si può fare se non di punta; e vuoi vedere se ti conviene avere leggiera mano, e
che non sia affaticata? che la più forte ombra che possi fare, si è andare con la punta della detta
agugella per infino al vetro, e più oltre, la mezzana ombra, si è a non in tutto passare l'oro che è così
sottile; e non si vuole lavorare per fretta, anco con gran diletto e piacere. E dòtti questo consiglio:
che il che vuoi lavorare nella detta opera, tiene il dinanzi la mano a collo o vuoi in seno, per
averla bene scarica e temperata da sangue e da fatica.
Avendo il tuo disegno fornito, e vuoi grattare via certi campi che comunemente si vogliono
mettere d'azzurro oltramarino ad olio, togli uno stile di piombo e va' fregando sopra il detto oro, che
tel leva pulitamente via; e va' nettamente dirieto ai contorni della figura. Quando così hai fatto, togli
di più colori macinati ad olio, come azzurro oltramarino, negro, verderame, e lacca: e se vuoi
alcuno vestire o riverscio che risprenda in verde, metti verde; se vuoi in lacca, metti in lacca; se vuoi
in negro, metti in negro. Ma sopra tutto il negro avanza; ché ti scolpisce le figure meglio che
nessuno altro colore: le tue figurette con cosa piana sbattile e priemile nel gesso, ché il lavoro venga
ben piano. E per questo modo lavora il tuo lavorìo.
A questa opra medesima, e molto fine, buccioli di penne tagliati molto minuti come panico e
tinti come detto ho. Ancora puoi lavorare del detto musaico in questo modo. Togli le tue guscia
d'uovo ben peste pur bianche, e in sulla figura disegnata campeggia, riempi e lavora come fussi
coloriti: e poi quando hai campeggiata la tua figura coi colori propii da cassetta, e temperati con un'
poca di chiara d'uovo, va' colorendo la figura di parte in parte, come facessi in su lo 'ngessato
propio, pur d'acquerelle di colori; e poi quando è secco, vernica sì come vernici l'altre cose in tavola.
Per campeggiare le dette figure come fai in muro, a te conviene pigliare questo partito, di
toglier fogliette dorate, o arientate, o oro grosso battuto o ariento grosso battuto: taglialo
minutissimo, e colle dette mollette va' campeggiando a modo che campeggi i tuoi gusci pesti, dove
il campo richiede oro. Ancora, campeggiare di gusci bianchi il campo, bagnare di chiara d'uovo
battuta, di quella che metti il tuo oro in sul vetro; bagna della medesima; metti il tuo oro come trae
il campo; lascia asciugare, e brunisci con bambagia. E questo basti alla detta opera musaica, o vuoi
greca.
CAPITOLO CLXXIII.
Il modo di lavorare colla forma dipinti in panno.
Perché all'arte del pennello ancora s'appartiene di certi lavorii dipinti in panno lino che son buoni
da guarnelli di putti o ver fanciulli, e per certi leggii da chiese, el modo del lavorarli si è questo.
Abbi un telaio fatto sì come fusse una finestra impannata, lungo dua braccia, largo un braccio,
confitto in su regoli pannolino o vuoi canovaccio. Quando vuoi dipignere il tuo pannolino una
quantità di sei o di venti braccia, avvolgilo tutto, e metti la testa del detto panno in sul detto telaio; e
abbi una tavola di noce o di pero, pur che sia di legname ben forte, e sia di spazio come sarebbe una
prieta cotta o vero mattone: la quale tavoletta sia disegnata e cavata una grossa corda; nella quale
vuole essere disegnato d'ogni ragione drappo di seta che vuoi, o di foglie o d'animali; e fa' che sia in
forma distagliata e disegnata, che le facce tra tutte e quattro vengano a riscontrarsi insieme e fare
opera compiuta e legata; e vuole avere manico da poterla levare, e porre in su l'altra faccia che non è
intagliata. Quando vuoi lavorare, togli un guanto in mano sinistra, e prima macina del negro di
sermenti di vite, macinati sottilissimamente con acqua. Poi, asciutto perfettamente o con sole o con
fuoco, puoi da capo macinarlo a secco, e mescolarlo con vernice liquida, tanto che sia bastevole; e
con una mestoletta togli di questo negro, e spianatene su per la palma della mano, cioè sopra il
guanto; e così ne va' imbrattando l'asse dove è intagliata, bellamente, che l'intaglio non si
riempiesse. Comincia, e mettila ordinata e gualiva, e sopra la detta tela distesa in sul telaro, e di
sotto dal telaro: togli in mano destra una scudella o scudellino di legno, e col dosso frega fortemente
per quello spazio quanto l'asse intagliata tiene; e quando hai tanto fregato, che credi bene che 'l
colore sia bene incarnato colla tela o ver pannolino, leva la tua forma su, rimettivi colore da capo, e
per grande ordine rimetti al detto modo tanto che compiutamente fornisca tutta la pezza. Questo
lavorìo richiede essere ordinato d'alcuno altro colore campeggiato in certi luoghi, perché paia di più
vista: onde ti conviene avere colori senza corpo, ciò è giallo, rosso, e verde. Il giallo: togli del
zafferano e scaldane bene al fuoco e stemperalo con lisciva ben forte. Abbi poi un pennello di setole
morbide e mozzetto. Distendi il panno dipinto in su uno desco o tavola, e va' compartendo di questo
giallo, o animali o figure, o fogliami, come a te parrà. Appresso togli del verzino, rasato con vetro;
mettilo in molle in lisciva; fallo bollire con un poco di allume di roccia; fallo bollire un poco, tanto
che venga che abbi il suo colore perfetto vermiglio. Levalo dal fuoco, che non si guasti; poi col
detto pennello compartisci, come hai fatto il giallo. Poi togli del verderame, macinato con aceto e
con un poco di zafferano temperato con una poca di colla non forte. Compartisci col detto pennello
come hai fatto il giallo, e gli altri colori, e fa' che sieno compartiti che si veggia d'ogni animale,
gialli, rossi, verdi e bianchi.
Ancora, a lavorare il detto lavoro è buono abbruciare olio di semenza di lino, sì come addietro
t'ho mostrato, e di quel nero, che è sottilissimo, tempera con vernice liquida; ed è perfettissimo e
sottile negro: ma è di più costo. E 'l predetto lavoro è buono a lavorare in su tela verde, rossa, negra,
e gialla, e azurra o vuoi biava. Se è verde, puoi lavorarla di minio o vuoi cinabro macinato
sottilissimo con acqua. Seccalo bene e spolverezzalo e temperalo con vernice liquida. Metti questo
colore in sul guanto, sì come fai del negro, e per quello medesimo modo lavora. Se è tela rossa, togli
dell'indaco con biacca macinato sottilmente con acqua: asciugalo e seccalo al sole: poi lo
spolverezza: temperalo con vernice liquida a modo usato, e per quello modo lavora che fai di negro.
Se la tela è negra, la puoi lavorare d'un biavo ben chiaro, cioè biacca assai e poco indaco, mescolato,
macinato e temperato, secondo usanza che detto t'ho degli altri colori. Se la tela è biava, togli della
biacca macinata e riseccata e temperata secondo il modo delli altri colori. E generalmente secondo
che truovi i campi, secondo tu puoi trovare altri colori svariati da quelli, e più chiari e più scuri,
secondo che a te parrà che per tua fantasia possa comprendere; ché l'una cosa t'insegnerà l'altra,
per pratica e per sapere d'intelletto. La ragione è, che ciascuna arte di sua natura è abile e
piacevole: chi ne piglia, se n'ha, e simile per lo contrario avviene.
CAPITOLO CLXXIV.
A mettere d'oro brunito una figura di pietra.
Egli accade che s'intenda l'uomo d'un'arte saper lavorare compiutamente d'ogni cosa, e
specialmente di cose che abbino a importare onore: e per tanto non che s'usi, ma perché io n'ho
gustato, però tel mosterrò. E' ti verrà per le mani una figura di pietra o grande o piccola: tu la vorrai
mettere d'oro brunito: pertanto piglierai questo modo, cioè spazza e forbi bene la tua figura; poi
piglia della colla comune, cioè di quella tempera che ingessi l'ancone, e falla bene bogliente; e
quando è così bollente, danne sopra questa figura una volta o due, e lasciala ben seccare. Appresso
di questo, abbi carboni di quercia o vero di rovere, e pestali, e abbi un tamigio, e tamigiane fuori la
polvere del detto carbone. Poi togli uno crivello minuto da uscirne el gran come è 'l miglio e crivella
questo carbone e metti dispersé questa cotal crivellatura, e fanne per questo modo, tanto che a te
basti. Fatto questo, abbi olio di semenza di lino cotto e fatto alla perfezione di fare mordente, e
mescolavi della vernice liquida per terzo. Fa' ben bollire insieme ogni cosa. Quando è ben caldo,
abbi un vasello, mettivi drento la crivellatura del carbone: appresso di questo, mettivi questo tal
mordente: mescola bene insieme, e con pennello o di setole o di vaio grossetto, gualivamente ne da'
in ogni luoco e per tutta la figura o vero altro lavoro. Quando hai così fatto, mettila in luogo che
asciughi bene, o vento o sole, come a te piace. Essendo la tua figura ben secca, togli un' poca della
colla predetta; mettivi dentro, se fusse di quantità d'un bicchieri, mettivi un rossume d'uovo:
mescola bene insieme, e ben caldo: abbi un poco di spugna; intignila in questa tempera, e non
troppo pregna la spugna, va' strupicciando e fregandola in qualunque luogo hai dato del mordente,
col carbone. Dimostrandoti il perché tu dài questo tale mordente, la ragione è questa: perché la
pietra tiene sempre umido, e come il gesso temperato con colla el sentisse, subito marcisce e
spiccasi e guastasi: onde questo tale olio e vernice è arme e mezzo di concordare il gesso con la
pietra, e per questa cagione tel dimostro. El carbone sempre tiene asciutto per l'umidità della pietra.
Onde volendo seguitare il tuo lavoro, abbi gesso grosso e colla distemperata con quel modo che
ingessi un piano di tavola o d'ancona, salvo secondo la quantità, voglio vi metta uno, o due, o tre
rossumi d'uovo, e poi a stecca da' sopra il detto lavoro: e se mescoli insieme con queste cose un
poco di polvere di mattoni pesti, tanto serà migliore: e di questo tale gesso ne a stecca due o tre
volte, e lascialo seccare bene. Secco che è perfettamente, radilo e nettalo, come fai in tavola o in
ancona. Poi abbi gesso sottile o vuoi da oro, e con la medesima colla tempera e macina questo tal
gesso, come fai o ingessi in tavola; salvo ch'è di bisogno che tu vi metta alcuna cosa di rossume
d'uovo, non tanto quanto metti nel gesso grosso: e incomincia a darne la prima volta su per lo detto
lavoro, stropicciando bene colla mano perfettissimamente. Da questa volta in su da' del gesso a
pennello quattro o sei volte, come ingessi in tavola, con quello proprio modo e con quella
diligenzia. Fatto questo, e secco bene, radilo gentilmente: poi il metti di bolo temperato, a quel
modo come fai in tavola, e pur quella via e modo tieni a mettere d'oro e brunire con pietra o con
dentello. Ed è questa così real parte di questa arte, come al mondo possa essere. E se pur ti venisse
caso che pur alcuno lavorìo messo del detto oro avesse a stare in pericolo d'acqua, tu il puoi
vernicare; ma non è sì bello, ma bene più forte.
CAPITOLO CLXXV.
In che modo si può rimediare all'umidità del muro, dove si dee dipingere.
Accade al proposito della detta arte, dover alcuna volta ad alcuni lavorii che si fanno in muri
umidi, porvi rimedio: ond'è di bisogno provedersi con sentimento e con buona pratica. Sappi che
quella operazione fa l'umido in el muro, che fa l'olio in tavola; e come l'umido corrompe la calcina,
così l'olio corrompe il gesso e sue tempere: onde è da sapere di che maniera questo umido può
venire a fare grande nocimento. Come indietro t'ho detto, che la più nobile e forte tempera che far si
possa in muro si è lavorare in fresco, cioè nella calcina fresca; e sappi che se dinanzi entro la faccia
del muro giammai piovesse quanta acqua si potesse, non può nuocere giammai niente; ma quella
che piove dirieto al muro dell'altra faccia, quello è quello il quale forte dannifica, o veramente
alcuna gocciola che piovesse sopra il muro a scoperto: onde a questo è da ponere rimedio: cioè:
prima si dee guardare in che luogo lavori, e come il muro è saldo e come coperto, e farlo coprire con
ogni perfezione. E se è in luogo dove altr'acqua per condotto vada che onestamente non si possa
divietare, tiene questo modo, cioè: sia di che pietra condizione il muro, abbi olio di linseme cotto a
modo di mordente, e stempera con matton pesto insieme e intridi: ma prima di questo olio o ver
mordente ben bogliente ne da' o con pennello o con pezza sopra il detto muro. Appresso di questo,
togli di questo intriso di matton pesto e danne sopra il detto muro, in modo che venga bene rasposo:
lassalo seccare per alcun mese, tanto che sia ben secco: poi con cazzuola abbi calcina ben fresca di
galla; tanto calcina, quanto sabbione; e mescolavi dentro polvere stacciata di matton pesto, e smalta
perfettamente una o due volte, lassando lo smalto bene a riposo e arricciato. Poi quando vuoi
dipignere e lavorarci su, smalta il tuo intonaco sottile, come addietro il modo di lavorare in muro
t'ho mostrato.
CAPITOLO CLXXVI.
Di due altri modi buoni a questo medesimo effetto.
A questo medesimo: prima togli di questa pece da navi e bene bogliente ne da' e imbratta bene il
muro. Quando hai fatto questo, togli della medesima pegola o vero pece e togli mattone ben secco e
nuovo, pesto: d'ogni maniera pesta e incorporane alquanto colla predetta pegola: danne per tutto il
muro, cioè quanto tiene l'umidezza, e più. Ed è molto perfetto smalto. E arriccia colla calcina,
come di sopra t'ho mostrato e detto. Ancora a questo medesimo: avere quantità di vernice liquida
bene bogliente, e darne di prima su per la faccia del muro umido, e per lo simile dare del matton
pesto mescolato con la predetta vernice, è perfettissimo e buono rimedio.
CAPITOLO CLXXVII.
Del lavorare camere o logge a verdeterra in secco.
Alcuna volta si lavora in camera o sotto logge o poggiuoli: ché tutte le volte non si lavora in
fresco: però ch'el trovi per altro tempo smaltato e vuoi lavorare in verde: pertanto togli verdeterra e
ben macinata e temperata con colla da ingessare, non troppo forte, e danne con pennello di setole
grosso per tutto il campo due o tre volte: quando hai fatto questo e che sia asciutto, disegna con
carbone, a modo che fai in tavola, e ferma le tue storie con inchiostro, o vuoi con colore nero, cioè
con carbone di viti trito bene e temperato con uovo e vuoi pure rossume d'uovo e l'albume insieme;
e spazzato di carbone, togli una scudella o catinella grande d'acqua o vuoi metadella a modo di
Toscana. Appresso di questo, vi metti quanto sarebbe un cuslieri di mele e dibatte bene ogni cosa
insieme. Fatto questo, togli una spugna e attuffala in questa acqua; premila un poco, e va con essa
su per lo campo messo di verde: poi con acquerella di nero da' le tue ombre ben dilicate e morbide e
sfumanti. Poi abbi biacca macinata e temperata colla detta tempera d'uovo detto di sopra, e
biancheggia le tue figure, come si richiede di ragion d'arte. Sopra le dette figure tu puoi dare alcuno
coloruzzo svariato dal verde, come d'ocria, cinabrese e d'orpimento; e adornare alcuno fregetto ed
eziandio mettere i campi d'azzurro. E nota che questo tale lavoro tu puoi anche in verde lavorare in
tavola, e ancora in muro in fresco, smaltando e campeggiando col detto verdeterra, o vero che si
vuole biancheggiare con bianco sangiovanni.
CAPITOLO CLXXVIII.
Come si può invernicare una tavola lavorata di verdeterra.
Troverai alcuni che il lavorìo che ti faranno fare in tavole in verde, vorranno che lo vernichi.
Dicoti che non è usanza, e non il richiede il verdeterra; ma tuttavia contentar si vogliono. Or tieni
questo modo, cioè: abbi raditura di carta pecorina: bollila bene con acqua chiara, tanto che vegna a
una comunal tempera, cioè colla: e di questa colla con pennello di vaio grosso gentilmente e
leggiermente da' due o tre volte sopra le tue figure o storie, generalmente per tutto dove hai a
invernicare. Quando hai data la detta colla ben chiara e netta, e ben colata due volte, lascialo il tuo
lavoro seccare bene per ispazio di tre o di quattro dì. Poi va' sicuramente con la tua vernice
invernicando per tutto, che troverrai che il verdeterra vorrà così la vernice, come vuole gli altri
colori.
CAPITOLO CLXXIX.
Come, avendo dipinto il viso umano, si lavi e netti dal colore.
Usando l'arte, per alcune volte t'addiverrà avere a tignere o dipignere in carne, massimamente
colorire un viso d'uomo o di femmina. I tuoi colori puoi fare temperati con uovo; o vuoi, per
caleffare, ad oglio o con vernice liquida, la quale è più forte tempera che sia. Ma vorrai tu lavarla
poi la faccia di questo colore, o ver tempere? togli rossumi d'uovo, a poco a poco gli frega alla
faccia, e con la mano va' istropicciando. Poi togli acqua calda bollita con romola, o ver crusca, e
lavagli la faccia: e poi ripiglia un rossume d'uovo e di nuovo gli stropiccia la faccia. Avendo poi per
lo detto modo dell'acqua calda, rilavagli la faccia. Tante fiate fa' così, che la faccia rimarrà di suo
colore di prima; non contando di più di questa materia.
CAPITOLO CLXXX.
Perché le donne debbansi astenere dall'usare acque medicate per la pelle.
Egli accaderebbe in servigio delle giovani donne, spezialmente di quelle di Toscana, di
dimostrare alcuno colore del quale hanno vaghezza, e usano di farsi belle e di alcune acque. Ma
perché le Padovane non l'usano, e per non dar loro cagione di riprendermi, e similmente è in
dispiacere di Dio e di Nostra Donna; pertanto mi tacerò. Ma ben ti dico, che per volere conservare la
faccia tua gran tempo di suo colore, usa lavarti con acqua di fontana, di pozzo, o di fiume:
avvisandoti che se usi altra manual fattura, il volto viene in corto tempo vizzo, e i denti negri, e
finalmente le donne invecchiano innanzi il corso del tempo, e pervegnon le più sozze vecchie che
possa essere. E questo basti a dire di questa ragione.
CAPITOLO CLXXXI.
Come sia cosa utile l'improntare di naturale.
Oggimai a me pare avere assai detto sopra tutti i modi del colorire. Ora ti voglio toccare
d'un'altra, la quale è molto utile (e al disegno fatti grande onore) in ritrarre e simigliare cose di
naturale; la quale si chiama improntare.
CAPITOLO CLXXXII.
In che modo s'impronta di naturale la faccia d'uomo o di femmina.
Vuo' tu avere una faccia d'un uomo, o di femmina, e di qual condizione si sia? Tienne questo
modo. Abbi il giovane, o donna, o vecchio: benché la barba o capellatura male si può fare, ma fa'
che sia rasa la barba. Togli olio rosato e odorifero; con pennello di vaio grossetto ungeli la faccia:
mettili in capo o berretta o cappuccio; e abbi una benda larga una spanna, e lunga come sarebbe
dall'un omero all'altro, circondando la sommità del capo sopra la berretta: e cuci l'orlo intorno alla
berretta dall'uno orecchio all'altro. Metti in ciascuno orecchio, cinel buso, un' poca di bambagia:
e, tirato l'orlo della detta benda o ver pezza, cucila al principio del collarino; e da' una mezza volta a
mezza la spalla, e torna a' bottoni dinanzi. E per questo modo fa' e cuci ancora dall'altra spalla; e per
quel modo vieni a ritrovare la testa della benda. Fatto questo, rovescia l'uomo o la donna in su un
tappeto, in su desco, o ver tavola. Abbi un cerchio di ferro largo un dito o due, con alcun dente di
sopra in forma d'una sega. E questo cerchio circondi la faccia dell'uomo, e sia più lungo che la
faccia due o tre dita. Fallo tenere ad un tuo compagno sospeso dalla faccia, che non tocchi
l'aspettante. Abbi questa benda, e tirala intorno intorno; posando l'orlo, che non è cucito, a' denti di
questo cerchio; e allora fermandolo in mezzo tra la carne e 'l cerchio, acciò che il cerchio rimanga di
fuori dalla benda, tanto che dalla benda al viso intorno intorno abbia di spazio due dita, o poco
meno, sì come vuoi che la impronta della pasta vegna grossa. Dirotti, che quivi l'hai a buttare.
CAPITOLO CLXXXIII.
Per qual modo si procura il respirare alla persona, della quale s'impronta la faccia.
El t'è di bisogno far lavorare a un orafo due cannelle d'ottone o ver d'ariento, le quali sieno tonde
di sopra, e più aperte che di sotto, come sta la tromba; e sieno di lunghezza squasi una spanna per
ciascuna, e grosse un dito, lavorate le più leggieri che puoi. Dall'altro capo di sotto vogliono essere
frabicate in quella forma, come stanno i busi del naso; e tanto minori, ch'entrino a pelo a pelo ne'
detti busi, senza che il detto naso si abbi a aprire di niente. E fa' che sieno spesso forate dal mezzo in
su con busetti piccoli, e legate insieme; ma da piè, dov'entrano nel naso, artificialmente siano tanto
dispartite l'una dall'altra, quant'è quello spazio della carne, ch'è dall'uno buso del naso all'altro.
CAPITOLO CLXXXIV.
Come si getta di gesso sul vivo la impronta, e come si leva e si conserva e si butta di metallo.
Fatto questo, l'uomo o la donna fa' che stia rivescio: e mettasi queste cannelle in ne' busi del
naso, e lui medesimo se le tegna con mano. Abbi apparecchiato gesso bolognese, e vuoi volterrano,
fatto e cotto, fresco e ben tamigiato. Abbi appresso di te acqua tiepida in un catino, e prestamente vi
metti in su quest'acqua di questo gesso. Fa' presto, ché rappiglia tosto; e fallo corsivo troppo
poco. Abbi un bicchiere. Piglia di questa confezione e mettine e empine intorno al viso. Quando hai
pieno gualivamente, riserba gli occhi a coprire dirieto a tutto il viso. Fagli tenere la bocca e gli occhi
serrati; non isforzatamente, ché non bisogna; ma come dormissi; e quando è pieno il tuo vacuo di
sopra al naso un dito, lascialo riposare un poco, tanto sia appreso. E tieni a mente che se questo
cotale che impronti fosse di gran fatto come signori, re, papa, imperadori, intridi questo gesso pur
con acqua rosa e tiepida: e ad altre persone, d'ogni acqua di fontana o di pozzo o di fiume, tiepida,
basta. Asciutto e risecco la tua confezione, togli gentilmente, con temperatoio o coltellino o forbici,
e sdruci intorno intorno la benda che hai cucita: tiragli fuori le cannelle dal naso, bellamente: fallo
levare a sedere, o in piè, e tenendosi tralle mani la confezione, che ha al viso, adattandosi col viso
gentilmente a trarlo fuori di questa maschera o ver forma. Ripolla, e conservala diligentemente.
Fatta tale opera, abbi una fascia da putti, e circonda intorno intorno questa tale forma, in modo che
la fascia duo dita avanzi l'orlo della forma. Abbi un pennello di vaio grosso; e, con quell'olio tu
vuoi, ugni il vacuo della forma con gran diligenza, acciò che non ti venisse per disavventura guasto
niente. E per lo sopraddetto modo intridi del sopraddetto gesso. E se volessi mescolare dentro
polvere di mattone pesto, ne sarà di meglio assai. E col bicchiere o con iscodella piglia di questo
gesso, e metti sopra della detta forma; e tiella sopra una panca, acciò che quando metti su la
confezione, che con l'altra mano tu isbatti sopra la panca gentilmente, acciò che 'l gesso ugualmente
abbi cagione di rientrare in ogni luogo, sì come fae la cera nel suggello, e che non faccia né vesciche
gallozze. Fatta e ripiena la detta forma, lasciala riposare mezzo dì, o il più, un dì. Abbi un
martellino, e con bel modo va' tastando e rompendo la scorza di fuori, cioè quella della prima
forma, con fatto modo che non si rompa naso cosa alcuna. E sì, per trovare la detta forma
più fiebole a rompere, innanzi che l'empia, abbi un pezzo di sega, e segala in più luoghi dal lato di
fuori; non che passasse dentro, ché sarebbe troppo male. Interverratti che quando sarà piena, in
piccola botta di martellino la spezzerai destramente. Per questo modo arai la effigia, o ver la
filosomia, o vero impronta di ciascun gran signore. E sappi che poi di questa tal forma, poiché hai la
prima, tu puoi fare buttare la detta impronta di rame, di metallo, di bronzo, d'oro, d'ariento, di
piombo, e generalmente di qual metallo tu vuoi. Abbi pure maestri sofficienti, che del fondere e del
buttare s'intendano.
CAPITOLO CLXXXV.
Ti dimostra come si può improntare un ignudo intero d'uomo o di donna, o un animale, e
gettarlo di metallo.
Sappi che nel sopraddetto modo, volendo seguitare in più sottile magistero, t'avviso, che puoi
l'uomo interamente buttarlo e improntarlo, come anticamente si trova di molte buone figure
ignude. Onde di mestiero t'è, a volere un uomo tutto ignudo o donna, prima farlo stare in piè in su 'l
fondo di una cassetta, la quale farai lavorare di altezza dell'uomo per infino al mento; e fa' che la
detta cassa si commetta o vero si scommetta in tutto per lo mezzo dall'un de' lati, e dall'altro per
lunghezza. Ordina che una piastra di rame ben sottile sia dal mezzo della spalla, cominciando
all'orecchie, per insino in su 'l fondo della cassa: e vada circondando leggiermente senza lesione su
per la carne dello ignudo, non accostandosi alla carne una corda. E sia chiavata la detta piastra in su
l'orlo, dove si commette la detta cassa. E per questo modo chiava quattro pezzi di piastra, che
vegnino a conchiudersi insieme, siccome faranno gli orli della cassa. Poi ugni lo 'gnudo: mettilo
ritto nella detta cassa: intridi del gesso abbondantemente, con acqua ben tiepida; e sia con
compagnia, che se empi il dinanzi dell'uomo, che il compagno empia dirieto, acciò che a un
medesimo tempo la cassa vegna piena per infino coperta la gola. Però che 'l viso, siccome t'ho
mostro, puoi fare di per sé. Lascia posare il detto gesso tanto, che sia bene rassodato. Poi apri e
scommetti la cassa, e metti alcuni ingegni e scarpelli tra gli orli della cassa e le piastre di rame o di
ferro che abbi fatto: e aprila, come faresti una noce, tenendo dall'un lato e dall'altro i detti pezzi
della cassa e della impronta che hai fatta. E moderatamente ne trai fuori lo 'gnudo: lavalo
diligentemente con acqua chiara; ché sadiventata la carne sua colorita come rosa. E a quel modo
ancora, quando impronti la faccia, la predetta forma o vero impronta tu la puoi buttare di ciò che
metallo tu vuoi; ma io ti consiglio di cera. La ragione: fa' pure ragione che rompa la pasta senza
lesione della figura, perché tu puoi levare, aggiugnere, e rimendare dove la figura mancasse.
Appresso di questo puoi aggiugnervi la testa; e buttare ogni cosa insieme, e tutta la persona: e per lo
simile di membro in membro spezzatamente puoi improntare; cioè un braccio, una mano, un piè,
una gamba, un uccello, una bestia, e d'ogni condizione animale, pesci, e altri animali simili. Ma
vogliono essere morti, perché non avriano il senno naturale, né la fermezza di star fermi e saldi.
CAPITOLO CLXXXVI.
Come si può improntare la propria persona, e poi gettarla di metallo.
A questo medesimo ancora ti puoi improntare la persona in questo modo. Fa' fare una quantità o
vuoi di pasta, o vuoi di cera: ben rimenata e netta, intrisa sì come fusse unguento, ben morbida; e sia
distesa in su una tavola ben larga, si come è una tavola da mangiare.
Falla mettere in terra. Favvi distendere su questa pasta o ver cera, di altezza di mezzo braccio.
Gittavi su, in quello atto che vuoi, o il dinanzi o il dirietro, o per lato. E se la detta pasta o ver cera ti
riceve bene, fattene trarre fuora nettamente, tirandoti fuori per lo diritto, che non sia menato qua
là. Lascia poi seccare la detta impronta. Quando è secca, falla gittare di piombo. E per lo simile
modo fa' l'altra parte della persona, cioè il contradio di quella che hai fatto. Poi raggiugni insieme;
gittala di piombo tutta intera, o vuoi di altri metalli.
CAPITOLO CLXXXVII.
Dell'improntare figurette di piombo, e come si moltiplicano le impronte col gesso.
Se volessi improntare figurette di piombo o d'altri metalli, ugni le tue figure, e improntale in cera,
e gittale di quel che vuoi: o vero che in tavola ti bisogna alcun rilievo, come teste di uomini e di
lioni o di altri animali, o figurette piccole. Lascia seccare la 'mpronta che hai fatto di cera: poi l'ungi
bene con olio da mangiare, o vuoi da bruciare. Abbi il gesso sottile o grosso, macinato con colla un
poco forte: butta di questo gesso caldo sopra la detta impronta: lascialo freddare. Freddo che è, con
la punta del coltellino dispartisci un poco di questo gesso dalla impronta. Poi in su questo spartito
soffia bene forte. Ricevi in su la mano la tua figuretta di gesso: e sarà fatta. E per questo modo ne
puoi fare assai: e serbatele. E sappi, ch'è migliore farne di verno, che di state.
CAPITOLO CLXXXVIII.
Come s'impronta una moneta in cera o in pasta.
Se vuoi improntare santelene, ne puoi improntare in cera o in pasta. Falle seccare, e poi distruggi
del zolfo: fallo buttare nelle dette impronte, e sarà fatto. E se le volessi fare pure di pasta, mescolavi
minio macinato, cioè la polvere asciutta mescola con la detta pasta. E falla sodetta a tuo modo,
come ti pare.
CAPITOLO CLXXXIX.
Come s'impronta un suggello o moneta con pasta di cenere.
Se volessi improntare suggello o un ducato o altra moneta ben perfettamente, tieni questo modo;
e tiello caro, ch'è cosa molto perfetta. Abbi una catinella mezza di acqua chiara, o piena, come tu
vuoi. Abbi della cenere, mezza scodella. Buttala in questa catinella, e rimenala con la mano. Istà
poco; innanzi che l'acqua rischiari in tutto, vuota di quest'acqua torbidetta in altra catinella; e fa' così
più volte, tanto t'avvisi abbi tanta cenere, quanto ti fa bisogno. Poi lascia riposare, tanto che l'acqua
sia chiara, e che la cenere sia ritornata bene a fondo. Tranne la detta acqua, e asciuga la detta cenere
al sole, o come tu vuoi. Poi la intridi con sale distrutto in acqua, e fanne siccome se fusse una pasta.
Poi sopra la detta pasta impronta suggelli, santelene, figurette, monete, e universalmente ciò che
desideri d'improntare. Fatto questo, lascia asciugare la detta pasta moderatamente, sanza fuoco o
sole. Poi sopra la detta pasta buttavi piombo, argento, o di ciò metallo che vuoi; ché la detta pasta è
sofficiente a ritenere ogni gran pondo.
Pregando l'altissimo Iddio, Nostra Donna, Santo Giovanni, Santo Luca Evangelista e dipintore,
Santo Eustachio, Santo Francesco, e Santo Antonio da Padova, ci donino grazia e fortezza di
sostenere e comportare in pace i pondi e fatiche di questo mondo; e appresso di chi vedrà il detto
libro, gli donino grazia di bene studiare, e ben ritenerlo, acciò che col lor sudore possano in pace
vivere e loro famiglia mantenere in questo mondo per grazia, e finalmente nell'altro per gloria, per
infinita secula seculorum. Amen.
Finito libro referamus gratias Christo 1437.
A dì 31 di luglio ex stincarum ec.
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