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IL GIORNALINO DI GIANBURRASCA
RIVISTO, CORRETTO
E COMPLETATO DA
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Sessantunesima
edizione
Con illustrazioni a nero
e a colori
CASA EDITRICE MARZOCCO
Ecco fatto. Ho voluto ricopiare qui in questo mio giornalino il foglietto del calendario d'oggi, che
segna l'entrata delle truppe italiane in Roma e che è anche il giorno che son nato io, come ci ho
scritto sotto, perché gli amici che vengono in casa si ricordino di farmi il regalo.
Ecco intanto la nota dei regali avuti finora:
l.° Una bella pistola da tirare al bersaglio che mi ha dato il babbo;
2.° Un vestito a quadrettini che mi ha dato mia sorella Ada, ma di questo non me ne importa
nulla, perché non è un balocco;
3.° Una stupenda canna da pescare con la lenza e tutto l'occorrente e che si smonta e diventa un
bastone che mi ha dato mia sorella Virginia, e questo è il regalo che mi ci voleva, perché io vado
matto per la pesca;
4.° Un astuccio con tutto l'occorrente per scrivere, e con un magnifico lapis rosso e blù,
regalatomi da mia sorella Luisa;
5.° Questo giornalino che mi ha regalato la mamma e che è il migliore di tutti.
Ah sì! La mia buona mamma me ne ha fatto uno proprio bello, dandomi questo giornalino perché
ci scriva i miei pensieri e quello che mi succede. Che bel libro, con la rilegatura di tela verde e tutte
le pagine bianche che non so davvero come farò a riempire! Ed era tanto che mi struggevo di avere
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un giornalino mio, dove scriverci le mie memorie, come quello che hanno le mie sorelle Ada, Luisa
e Virginia che tutte le sere prima d'andare a letto, coi capelli sulle spalle e mezze spogliate, stanno a
scrivere delle ore intere.
Non so davvero dove trovino tante cose da scrivere, quelle ragazze!
Io, invece, non so più che cosa dire; e allora come farò a riempire tutte le tue pagine bianche, mio
caro giornalino? Mi aiuterò con la mia facilità di disegnare, e farò qui il mio ritratto come sono ora
all'età di nove anni finiti.
Però in un giornalino bello come questo, bisognerebbe metterci dei pensieri, delle riflessioni...
Mi viene un'idea! Se ricopiassi qui un po' del giornalino di Ada che giusto è fuori insieme alla
mamma a far delle visite?
…………………………………………………………………………………………………………
……….
Ecco qui: sono andato su in camera di Ada, ho aperto la cassetta della sua scrivania, le ho preso il
suo giornale di memorie, e ora posso copiare in pace.
“Oh, se quel vecchiaccio del Capitani non tornasse più! ed invece, è venuto anche stasera. È
impossibile! non mi piace! Non mi piace, e non mi piacerà mai, mai... La mamma ha detto che è
molto ricco; e che se mi chiedesse in moglie, dovrei sposarlo. Non è una crudeltà, questa? Povero
cuore mio! Perché ti mettono a tali torture?! Egli ha certe mani grandi e rosse, e col babbo non sa
parlare d'altro che di vino e di olio, di campi, di contadini e di bestie; e se lo avessi veduto, almeno
una volta vestito a modo... Oh, se questa storia finisse! Se non tornasse più! Mi metterei l'anima in
pace... Iersera, mentre l'accompagnavo all'uscio, ed eravamo soli nella stanza d'ingresso, voleva
baciarmi la mano; ma io fui pronta a scappare, e rimase con un palmo di naso... Ah no! Io amo il
mio caro Alberto De Renzis. Che peccato che Alberto non sia altro che un misero impiegatuccio...
Mi fa continuamente delle scenate, e io non ne posso più! Che delusione! Che delusione è la vita...
Mi sento proprio infelice!!!...
E ora basta, perché ho empito due pagine.
#
Ti riapro prima d'andare a letto, giornalino mio, perché stasera m'è successo un affare serio.
Verso le otto, come al solito, è venuto il signor Adolfo Capitani. È un coso vecchio, brutto,
grosso grosso e rosso... Le mie sorelle hanno proprio ragione di canzonarlo!
Dunque io ero in salotto col mio giornalino in mano, quando ad un tratto lui mi dice con quella
sua vociaccia di gatto scorticato: - Cosa legge di bello il nostro Giannino? - Io, naturalmente, gli ho
dato subito il mio libro di memorie, ed egli si è messo a leggerlo forte, davanti a tutti.
Da principio la mamma e le mie sorelle ridevano come matte. Ma appena ha incominciato a
leggere il pezzo che ho copiato dal giornalino di Ada, questa si è messa a urlare e faceva di tutto per
strapparglielo di mano, ma lui duro; ha voluto arrivai fino in fondo, e poi serio serio mi ha detto:
- Perché hai scritto tutte queste sciocchezze?
Io gli ho risposto che non potevano essere sciocchezze, perché le aveva scritte nel suo libro di
memorie Ada, che è la mia sorella maggiore, e perciò ha più giudizio di me e sa quello che dice.
Appena detto questo, il signor Capitani si è alzato serio serio, ha preso il cappello e se n'è andato
via senza salutare nessuno.
Bella educazione!
E allora la mamma, invece di pigliarsela con lui, se l'è presa con me, gridando e minacciando, e
quella stupida di Ada si è messa a piangere come una fontana!
Andate a far del bene alle sorelle maggiori!
Basta! Sarà meglio andare a letto. Ma intanto son contento perché ho potuto empire tre pagine
zeppe del mio caro giornalino!
21 settembre.
Son proprio nato disgraziato!
In casa non mi possono più soffrire, e tutti non fanno altro che dire che per colpa mia è andato
all'aria un matrimonio che per i tempi che corrono era una gran fortuna, che un marito come il
signor Capitani, con ventimila lire di rendita, non si trova tutti i giorni, che Ada sarà condannata a
restare zittella tutta la vita come la zia Bettina, e via e dàlli, una quantità di storie che non finiscono
mai.
Io vorrei sapere che gran male ho fatto alla fin fine, per copiare un pensiero dallo scartafaccio di
mia sorella!
Oh! ma da ora in avanti, o bene o male, giuro che il giornalino lo scriverò tutto da me, perché
queste scempiaggini delle mie sorelle mi dànno ai nervi.
#
Dopo il fatto di ieri sera, pareva che stamani fosse successa a casa una gran disgrazia. Era già
sonato da un bel pezzo mezzogiorno, e non c'era nemmeno l'idea di mettersi a tavola a far colazione
come gli altri giorni. Io non ne potevo più dalla fame; zitto zitto sono andato in salotto da pranzo, ho
preso dalla credenza tre panini, un bel grappolo d'uva, un'infinità di fichi dottati, e con la lenza sotto
il braccio mi sono avviato verso il fiume per mangiare in pace. Dopo mi son messo a pescare, e non
pensavo che ad acchiappare i pesciolini, quando ad un tratto, ho sentito dare uno strappone alla
canna che reggevo in mano; forse mi sarò proteso un po' troppo in avanti, perché... giù, pùnfete!
sono cascato nell'acqua! Pare incredibile: ma in quel momento non ho potuto fare a meno di pensare
fra me e me: - Ecco, i miei genitori e le mie sorelle saranno contenti ora di non avermi più tra i
piedi! Ora non diranno più che son la rovina della casa! Non mi chiameranno più Gian Burrasca di
soprannome, che mi fa tanta rabbia! -
Affondavo giù giù nell'acqua, e non capivo più nulla, quando mi son sentito tirar su da due
braccia d'acciaio. Ho respirato a pieni polmoni l'aria fresca di settembre, e subito, sentendomi
meglio, ho domandato al barcaiuolo che mi teneva in collo, se aveva pensato di mettere in salvo
anche la mia povera lenza!
Non so perché la mia mamma abbia pianto tanto, quando Gigi mi ha riportato a casa fradicio
mézzo. Io stavo benissimo e glielo dicevo, ma le mie parole erano dette al vento, perché le lacrime
della mamma pareva che non finissero mai. Come ero contento di essere cascato nel fiume, e di
avere corso rischio di affogare! Se no, non avrei avuto tanti complimenti, né tutte quelle moine.
Luisa mi ha messo subito a letto; Ada mi ha portato una tazza di brodo caldo bollente; e tutti,
anche le persone di servizio, sono stati intorno a me, fino all'ora di andare a desinare. Poi,
lasciandomi così infagottato nelle coperte, da farmi davvero morire di soffocazione, sono andati giù,
raccomandandomi di star buono e di non muovermi.
Ma era possibile questo, per un ragazzo della mia età? Che cosa ho fatto appena son rimasto
solo? Mi sono levato, ho tirato fuori dall'armadio il mio vestitino buono a quadrettini, mi son
vestito, e scendendo pian piano le scale per non farmi sentire, sono andato a nascondermi sotto la
tenda della finestra, in salotto. Se mi avessero scoperto, quante gridate avrei avuto!... Non so come
sia andata che mi sono addormentato quasi subito; forse avevo sonno, o ero stanco. Il fatto è, che
dopo una buona dormita, ho aperto gli occhi; e da una fessura della tenda ho veduto Luisa seduta sul
sofà, accanto al dottor Collalto, che chiacchieravano a voce bassa. Virginia strimpellava il piano, in
un angolo della stanza. Ada non c'era; era andata certo a letto, perché sapeva che il Capitani non
veniva.
- Ci vorrà almeno un anno - diceva lui. - Il dottor Baldi, sai, comincia a diventar vecchio, e mi ha
promesso di prendermi come suo aiuto. Ti dispiace di aspettare, amor mio?
- Oh no: e a te? - ha risposto Luisa, e tutt'e due si son messi a ridere. - Ma non lo dire ancora a
nessuno, - ha continuato lui. - Prima di dichiararci fidanzati in pubblico, voglio avere una posizione
sicura...
- Oh ti pare? sarebbe una sciocchezza... -
Mia sorella aveva appena finito di dire così, che si alzò a un tratto, attraversò il salotto e si mise a
sedere lontana dal dottor Collalto. In quel momento appunto entravano nella stanza le Mannelli.
Tutti non facevano che domandare con grande interesse come stava il povero Giannino, quando
la mamma si precipita in salotto, con un viso bianco da far paura, urlando che ero scappato dal letto,
che mi aveva cercato dappertutto, ma che non mi aveva potuto trovare. Allora, perché non si
affannasse di più, che cosa fo io? esco dal nascondiglio cacciando un grande urlo.
Che paura hanno avuto tutti !
- Giannino, Giannino! - si lamentava la mamma piangendo - mi farai ammalare...
- Come! Sei stato tutto questo tempo dietro la tenda? - mi ha domandato Luisa, facendosi di mille
colori.
- Certo: mi predicate sempre di dire la verità; e allora, perché non dite alle vostre amiche che
siete promessi sposi? - ho risposto rivolgendomi a lei e al dottore.
Mia sorella mi ha preso per un braccio, trascinandomi fuori
della stanza, - Lasciami! Lasciami! - gridavo. - Vado da me
solo. Perché ti sei rizzata in piedi quando hai sentito toccare il
campanello? Collalto... - ma non ho potuto finire la frase,
perché Luisa mi ha tappato la bocca, sbatacchiando l’uscio.
- Avrei una gran voglia di bastonarti, - e cominciava a
piangere. Collalto non te la perdonerà più - e singhiozzava,
singhiozzava, poverina, come se avesse perduto il più gran
tesoro del mondo.
- Smetti di piangere, sorellina mia, - io le dicevo. - Ti pare
che sarei venuto fuori dalla tenda senza dir nulla, se sapevo che
il dottore è tanto pauroso? -
In quella è venuta la mamma che mi ha riportato a letto,
raccomandando a Caterina di non lasciarmi finché non fossi
bene addormentato.
Ma come avrei potuto dormire, giornalino mio caro, senza
prima confidarti tutte le peripezie della giornata? Caterina non
ne può più dal sonno, e ogni volta che sbadiglia, pare che la
testa le debba cascare giù dal collo.
Addio, giornalino, addio per stasera.
6 ottobre.
Sono due settimane che non ho più scritto una parola nel mio giornale, perché mi sono ammalato
da quel giorno famoso che fui per affogare e che scappai dal letto mentre sudavo. Collalto è venuto
su a vedermi due volte al giorno; ed è stato così buono con me, che quasi quasi sento rimorso di
averlo fatto spaventare quella sera. Quanto tempo mi ci vorrà per guarire?… Stamani sentivo Ada e
Virginia che parlavano insieme nel corridoio: com'è naturale, mi sono messo ad ascoltare quello che
dicevano. Pare che ci sarà, nientemeno, che una festa da ballo in casa nostra.
Virginia diceva che era contentissima che io sia a letto; così si sentiva più tranquilla, ed era
sicura della riuscita della festa. Essa spera che io debba rimanere in camera un mese intero. Non so
capire perché le sorelle maggiori non vogliano bene ai fratelli più piccoli... Ed io, invece, sono così
buono con Virginia... Quando sto bene vado anche due volte al giorno alla posta, a prenderle e ad
impostarle le lettere; qualche volta, non dico, ne avrò perduta qualcuna; ma ella non l'ha mai saputo,
e non ha nessuna ragione di avercela con me!
Oggi mi sentivo così bene, che mi è venuta la voglia di levarmi. Verso le tre ho sentito venir su
per le scale Caterina che mi portava la merenda; sono sgusciato dal letto, mi sono nascosto dietro
l'uscio di camera, tutto imbacuccato in uno sciallone nero della mamma, e mentre la cameriera stava
per entrare, le sono saltato addosso, abbaiando come un cane... Che credi che abbia fatto quella
stupida?...
Dalla paura ha lasciato cascare in terra il vassoio che reggeva con
tutt'e due le mani... Che peccato!.. Il bricco di porcellana celeste è
andato in mille pezzi; il caffè e latte si è rovesciato sul tappetino che la
mamma mi aveva comprato ieri; e quella sciocca ha cominciato a
urlare così forte, che il babbo, la mamma, le mie sorelle, la cuoca e
Giovanni sono corsi su tutti spaventati, per vedere quello che era
successo... Ci può essere una ragazza più oca di quella?... Al solito, io
sono stato gridato... Ma... appena sono guarito, voglio scappare da
questa casa, e andare lontano lontano, così impareranno a trattare i
ragazzi come si deve!...
7 ottobre.
Finalmente stamani ho avuto il permesso di alzarmi... Ma era possibile che un ragazzo come me
potesse star fermo su una poltrona, con una coperta di lana sulle gambe? C'era da morire di noia;
così mentre Caterina era andata giù un momento a prendermi un bicchiere di acqua inzuccherata,
lesto lesto, butto via ogni cosa, e me ne vo in camera di Luisa a guardare tutte quelle fotografie che
tiene dentro la cassetta della sua scrivania. Le mie sorelle erano in salotto con un'amica, la signorina
Rossi. Caterina, appena tornata col bicchiere e lo zucchero, mi cerca dappertutto, inutilmente...
Sfido!… Mi ero nascosto dentro l'armadio...
Che risate matte ho fatto, con quei ritratti!… Su uno c'era scritto : Un vero imbecille!... Su un
altro: Oh, carino davvero!... Su un altro: Mi ha chiesto, ma... fossi minchiona! E in altri :
Simpaticone!!!... oppure : Che bocca!... In uno poi c'era scritto: Ritratto di un ciuco!...
In tutti c'era una frase di questo genere. Io mi sono impossessato di circa una dozzina di
fotografie delle persone che conosco, per fare qualche burletta innocente, appena uscirò di casa; poi
ho richiuso per benino la cassetta, in modo che Luisa non si accorgerà di nulla...
Ma io non avevo voglia di ritornare nella mia stanzaccia tutta sporca e in disordine; non avevo
voglia di annoiarmi. - Se mi mascherassi da donna? - Ho pensato a un tratto.
Ho trovato un busto vecchio di Ada, una sottana bianca inamidata con lo strascico, ho preso
dall'armadio il vestito di batista color di rosa di Luisa a tramezzi di trina, e ho cominciato a vestirmi.
La gonnella era un po' stretta alla vita e ho dovuto appuntarla con gli spilli. Mi sono bene unto le
gote con una pomata color di rosa di un vasettino, e mi sono guardato allo specchio...
Misericordia!... non ero più io... Che bella signorina ero diventato!... - Che invidia, che invidia,
avranno di me le mie sorelle! - ho esclamato, al colmo della contentezza.
E così dicendo, ero arrivato in fondo alle scale proprio quando la signorina Rossi stava per
andarsene. Che chiasso!
- Il mio vestito di batista rosa! - ha urlato Luisa, facendosi smorta in viso dalla stizza.
La signorina Bice mi ha preso per un braccio rivolgendomi alla luce, e: - “Come mai ti sono
venute quelle belle gote rosse, eh, Giannino?” - mi ha detto in aria di canzonatura.
Luisa mi ha fatto cenno che non parlassi; ma io, facendo finta di non vederla, ho risposto: - “Ho
trovato una pomata in una cassetta...” E quella signorina ha cominciato a ridere in un modo così
malizioso, che non so quello che le avrei fatto.
Mia sorella, dopo, ha detto che Bice Rossi è una pettegola, che non le parrà vero di andare a
raccontare a tutti che mia sorella si tinge la faccia: e questo poi non è vero, e io lo potrei giurare,
perché quella pasta serve a colorire i fiori di seta che Luisa sa fare tanto bene per guarnire i cappelli.
Stavo per ritornare in camera alla svelta, allorché mi sono fermato davanti a Luisa e, guardandola
fissa, le ho strappato una gala in fondo al vestito. Non l'avessi mai fatto!... È diventata una furia, e
mi ha dato uno schiaffo... - Ah, signorina!... - ho detto fra me e me. - Se sapesse che le ho preso i
ritratti! -
Le sorelle credono che le gote dei ragazzi sieno fatte apposta per essere schiaffeggiate... Se
sapessero, invece, i pensieri tetri e disperati che ci vengono in mente quando fanno così!... Sono
stato zitto, ma... a domani!
8 ottobre.
Ah, come mi son divertito oggi a andare a trovare tutti gli originali delle fotografie che presi alle
mie sorelle!
Ho cominciato da Carlo Nelli, il padrone di quel bel negozio di mode che è nel Corso e che va
vestito sempre tutto per l'appunto, e che cammina sempre in punta di piedi perché ha le scarpe
troppo strette, il quale appena mi ha visto entrare mi ha detto:
- Oh, Giannino, sei guarito bene? -
Io gli ho detto di sì, e poi ho risposto per bene a tutte le domande che mi faceva; ed egli mi ha
regalato una bella cravatta tutta rossa.
Io l'ho ringraziato come era mio dovere, e siccome lui ha cominciato
a rivolgermi delle interrogazioni sulle mie sorelle. io ho creduto bene
che quello fosse il momento buono per tirar fuori la fotografia. Sotto
c'era scritto a penna: vecchio gommeux; ma non so che cosa volesse dire.
Di più gli erano stati allungati i baffi e allargata la bocca fino alle
orecchie.
Lui nel vedere il suo ritratto ridotto a quel modo, è diventato rosso
come un peperone e ha detto subito:
- Ah! sei stato tu, eh, brutto birbante? -
Io gli ho risposto di no, che avevo trovato le fotografie a quel modo in
camera delle mie sorelle, e sono scappato via perché aveva un viso da far
paura, e poi non volevo più perder tempo con lui a dargli altre
spiegazioni, avendo da distribuire le altre fotografie che avevo preso.
Infatti sono andato subito in farmacia da Pietrino Masi.
Come è brutto, povero Pietrino, con quei capellacci rossi e con quella
faccia gialla tutta butterata! Ma lui non se lo figura nemmeno...
- Buon giorno, Pietro, - gli ho detto.
- O Giannino! - mi ha risposto. - E a casa stanno tutti bene?
- Sì, e tanti saluti da tutti. -
Lui allora ha tirato giù dallo scaffale un bel barattolo di vetro bianco e
mi ha detto:
- Che ti piacciono le pasticche di menta?
E senza aspettare che gli rispondessi, me ne ha date una manciata di tutti i colori.
È proprio vero che i ragazzi che hanno la fortuna d'avere delle sorelle simpatiche ricevono
sempre mille attenzioni dai giovanotti! Io ho preso tutte le pasticche, poi ho tirato fuori la fotografia,
e facendogli l'occhio pio, gli ho detto:
- Guarda qui: l'ho trovata in casa stamani.
- Fammi vedere! - E Pietrino Masi ha steso la
mano, ma io non gli volevo dare il ritratto a
nessun costo; però lui me l'ha preso per forza, e
così ha potuto leggere quel che c'era scritto di
dietro col lapis blù.
Ha chiesto la mia mano, ma fossi minchiona!
Pietrino è diventato bianco come questo
foglio, e per credevo perfino che gli venisse
uno svenimento. Ma invece ha detto digrignando
i denti:
- È una vergogna che le tue sorelle piglino
così in giro le persone per bene, hai capito? -
Benché io avessi capito benissimo, lui per
spiegarmelo meglio ha alzato una gamba per
appiccicarmi un calcio, ma io ho fatto una
cilecca e ho infilato svelto svelto la porta, e mi
c'è entrato anche di pigliare un'altra manciata di
pasticche di menta che erano rimaste sparse sul
banco. E sono andato da Ugo Bellini.
Ugo Bellini è un avvocato giovanissimo: avrà ventitré anni, e sta nello studio insieme al suo
babbo, che è avvocato anche lui, ma di quelli bravi, in Via Vittorio Emanuele al numero 18. Ugo, a
vederlo camminare, par che sia chi sa chi; va via tutto impettito, col naso per aria, e quando discorre
ha una voce da basso profondo, che pare se la faccia venir su dalle suola delle scarpe.
È proprio buffo, e le mie sorelle hanno ragione; ma io, nel presentarmi a lui, avevo un po' di
tremarella, perché è un tipo che non vuole scherzi. Mi sono affacciato all'uscio e gli ho detto:
- Scusi, sta qui il Vecchio Silva Stendere?
- Ma che hai? - ha risposto.
- Ecco, ho qui una fotografia per lui! -
E gli ho consegnato il suo ritratto sotto il quale era scritto: Pare il Vecchio Silva Stendere! Come
è buffo!
Ugo Bellini l'ha preso, e io via, di corsa! Gli deve aver fatto un grande effetto; perché, mentre
scendevo le scale, l'ho sentito urlare col suo vocione terribile:
- Maleducate! Pettegole! Sguaiate! –
Ah! Se seguitassi a scrivere tutte le scene di stamani, stasera non anderei più a letto!
Che facce spaurite facevano tutti quei giovanotti appena avevan sott’occhio la loro fotografia,
mentre io invece mi sentivo scoppiar dal ridere, vedendo tutte le smorfie che facevano!
Ma quello che mi ha fatto ridere più di tutti è stato Gino Viani quando gli ho dato la sua
fotografia dove in fondo era scritto: Ritratto d’un ciuco. Poveretto! Gli son venute le lacrime agli
occhi e ha detto con un filo di voce:
- La mia vita è spezzata! -
Ma non era vero niente, perché se gli si fosse spezzata la vita non avrebbe potuto camminare in
su e in giù per la stanza come faceva, borbottando una quantità di parole senza senso comune.
9 ottobre.
Oggi Ada, Luisa e Virginia hanno tormentato tutto il giorno la mamma,
perché acconsentisse a dare quella famosa festa da ballo della quale esse
chiacchieran tra loro da tanto tempo. Prega e riprega, la mamma, che è
tanto buona, ha finito per contentarle, e la festa è stata fissata per martedì
di quest'altra settimana.
Il bello è che, discorrendo degli inviti da fare, hanno rammentato,
naturalmente, anche tutti quelli ai quali ho portato ieri le fotografie.
Figuriamoci se dopo quei complimenti scritti dalle mie sorelle in fondo
ai loro ritratti, avranno voglia di venire a ballar con loro!
12 ottobre.
Mio caro giornalino, ho tanto bisogno di sfogarmi con te!
Pare impossibile, ma è proprio vero che i ragazzi non vengono al mondo che per fare dei
malanni, e sarebbe bene che non ne nascesse più nessuno, così i loro genitori sarebbero contenti!
Quante cose mi son successe ieri, e ne avrei tante da confidarti, giornalino mio! Ma appunto
perché ne ho avute tante, non mi è stato possibile scriverle. Ah sì, quante ne ho avute ieri!.. E anche
ora duro fatica a muovermi e non posso star neppure a sedere a causa di tutte quelle cose che ho
detto e che mi ci hanno lasciato, con rispetto parlando, certi vesciconi alti un dito.
Ma ho giurato oggi di descrivere il fatto come è andato, e benché soffra tanto a stare a sedere,
voglio confidare qui tutte le mie sventure...
Ah, giornalino mio, quanto soffro, quanto soffro!... E sempre per la verità e per la giustizia!...
Ti dissi già l'altro giorno che le mie sorelle avevano avuto dalla mamma il permesso di dare una
festa da ballo in casa nostra; e non ti so dire come erano tutte eccitate da questo pensiero. Andavano
e venivano per le stanze, bisbigliavan tra loro, sempre tutte affaccendate... Non si pensava, si
parlava d'altro.
Ieri l'altro, dopo colazione, si eran riunite in salotto a far la nota degli invitati, e parevan tutte al
colmo della contentezza. A un tratto, eccoti una grande scampanellata, e le mie sorelle, sospendendo
la nota degli invitati, si mettono a cinguettare:
- Chi sarà a quest'ora? E che scampanellata!... - Non può esser che un contadino!... - Certo, una
persona senza educazione... - In quel momento comparisce la Caterina sulla porta, esclamando:
- Ah, signorine, che sorpresa!... -
E dietro di lei, eccoti la zia Bettina!... proprio la zia Bettina in pelle e in ossa, la zia Bettina che
sta in campagna e che viene a trovarci due volte l'anno.
Le ragazze dissero con un filo di voce:
- Uh, che bella sorpresa! -
Ma diventarono livide dalla bile, e con la scusa di andare a farle preparare la camera piantarono
la zia con la mamma e andarono a riunirsi nella stanza da lavoro. Io le seguii per godermi la scena.
- Ah brutta vecchiaccia! - disse Ada con gli occhi pieni di lacrime.
- E figuriamoci se non si tratterrà! - esclamò la Virginia con aria ironica. - E come sarà contenta,
anzi, di aver l'occasione della festa da ballo per mettersi il suo vestito di seta verde e i suoi guanti
gialli di cotone e la cuffietta lilla in capo! - Ci farà fare il viso rosso! - soggiunse la Luisa disperata.
- Ah, è impossibile, ecco! Io mi vergogno di presentare una zia così ridicola! -
La zia Bettina è ricca straricca, ma è così antica, poveretta! così antica
che pare uscita dall'arca di Noè: con la differenza che gli animali dell'arca
di Noè vennero fuori tutti a coppie, e la zia Bettina, invece, era venuta
sola, perché non ha mai trovato un cane di marito!
Dunque le mie sorelle non volevano che la zia rimanesse alla festa da
ballo. E siamo giusti: non avevano forse ragione, povere ragazze? Dopo
essersi tanto affaccendate perché la festa riuscisse bene, non era un vero
peccato che questa vecchia ridicola venisse a compromettere l'esito della
serata?
Bisognava salvare la situazione. Bisognava che qualcuno si sacrificasse
per la loro felicità. Ah! non è forse una nobile azione per un ragazzo di
cuore il sacrificio per la felicità delle sue proprie sorelle?
Io avevo il rimorso della vendetta che m'ero già presa di loro con la
brutta celia delle fotografie, e decisi subito di compensare le vittime con
una buona azione.
Perciò ieri l'altro sera, dopo pranzo, presi da parte la zia Bettina e col
tono serio che meritava la circostanza le dissi pigliandola alla larga - Cara
zia, vuol fare una cosa gradita alle sue nipoti?
- Che dici?
- Le dico questo: se lei vuol proprio contente le sue nipoti, faccia il
piacere di andarsene prima della festa da ballo. Capirà, lei è troppo
vecchia e poi si veste in modo troppo ridicolo per queste feste, è naturale
che non ce la vogliono. Non dica che glie l'ho detto
[
io; ma dia retta a me, tornì a casa sua lunedì, e le sue nipoti gliene saranno infinitamente grate. -
Ora domando io: doveva la zia inquietarsi, dopo che avevo parlato con tanta franchezza? E
doveva, dopo che l'avevo pregata non dir nulla a nessuno, andare a spifferare ogni cosa a tutti,
giurando e spergiurando che la mattina dopo, appena alzata, sarebbe ripartita?
E la zia Bettina, infatti, è andata via ieri mattina, facendo il solenne giuramento non metter
mai più piede in casa nostra.
Ma questo non è tutto. Pare che il babbo le avesse chiesto in prestito una certa somma di danaro,
perché essa gli ha rinfacciato il favore che gli aveva fatto, dicendo che era una vera vergogna il dare
le feste da ballo con i quattrini degli altri!
Che colpa ne avevo io, di questo?
Ma al solito, la stizza dì tutti si è riversata su un povero ragazzo di nove anni!
Non voglio avvilire queste pagine col raccontare quel che ho sofferto. Basti dire che iermattina,
appena partita la zia Bettina, le persone che più dovrebbero volermi bene in questo mondo, mi
hanno calato i calzoncini e giù, frustate senza pietà...
Ahi, ahi! Non posso più stare a sedere... oltre al dolore c'è anche la preoccupazione per la festa da
ballo. I preparativi son quasi finiti, e io non son punto tranquillo per quell’affare delle fotografie...
Basta; Dio ce la mandi buona, giornalino mio, e senza vento!
15 ottobre.
Siamo al famoso martedì,
causa di tutte le agitazioni di
questi giorni...
Caterina mi ha messo il vestito
nuovo e quella bella cravatta rossa
tutta di seta che mi ha regalato
l'altro giorno Carlo Nelli, quello
della fotografia dov'era scritto:
vecchio gommeux, che non so
cosa voglia dire.
Le mie sorelle mi hanno fatto
una predica lunga come una
quaresima, con le solite
raccomandazioni d'esser buono, di
non far niente di male, di
comportarmi educatamente con le
persone che verranno in casa, e
altre simili uggiosità che tutti i
ragazzi sanno a memoria a forza
di sentirsele ripetere a tutte l'ore, e
che si stanno a sentire proprio per
dar prova della nostra
condiscendenza verso i nostri
maggiori, pensando, invece, a
tutt'altre cose.
Naturalmente io ho risposto sempre di sì, e allora ho avuto il permesso d'uscir di camera e girare
per tutte le stanze del pian terreno.
Che bellezza! Tutto è pronto per la festa che comincerà fra poco. La casa è tutta illuminata e
mille fiammelle di luce elettrica risplendono qua e là, riflettendosi negli specchi, mentre ogni sorta
di fiori sparsi per tutto fan bella mostra dei lor vivaci colori ed espandono per le sale i loro grati e
delicati profumi.
Ma il più grato profumo è quello della crema alla cioccolata e alla vainiglia nelle grandi scodelle
d'argento, e della gelatina gialla e rossa che trema nei vassoi, e di quei monti di pasticcini e di
biscotti d'ogni qualità che si inalzano in salotto da pranzo, sulla tavola ricoperta da una bella
tovaglia tutta ricamata.
Dovunque è un allegro scintillio di cristalli e d'argento...
Le mie sorelle sono bellissime, tutte vestite di bianco, scollate, con le gote rosse e gli occhi
raggianti di felicità. Esse girano per tutto per vedere se ogni cosa è in ordine e accorrono a ricevere
gli invitati.
Io sono venuto su a pigliare questi appunti sulla festa, ora che ho la mente serena... Perché dopo,
giornalino mio, non posso garantire se sarò in grado di confidarti ancora le mie impressioni.
#
Ho fretta d'andare a letto, ma prima voglio raccontar qui come sono andate le cose.
Quando son ritornato al pian terreno, erano già venute le signorine di nostra conoscenza, come
sarebbero le Mannelli, le Fabiani, Bice Rossi, le Carlini e tante altre, tra le quali quella
seccherellona della Merope Santini, che si dà il belletto in modo indecente e alla quale la mia sorella
Virginia ha appioppato il nome d'uscio ritinto.
Le ragazze erano molte, ma di uomini non c'erano che il dottor
Collalto, il fidanzato di Luisa, e il sonatore di pianoforte che stava
a sedere con le braccia incrociate, aspettando il segnale per
eseguire il primo ballabile.
L'orologio segnava le nove; e il sonatore ha incominciato a
sonare una polca, ma le signorine seguitavano a girar per la sala,
chiacchierando tra di loro.
Poi il sonatore ha sonato una mazurca, e due o tre ragazze si son
decise a ballar tra loro, ma non si divertivano. E intanto l'orologio
segnava già le nove e mezzo.
Le mie povere sorelle non levavano gli occhi dalle lancette che
per rivolgerli all'uscio d'ingresso; e avevano un'aria così desolata,
che facevano proprio compassione.
Anche la mamma era molto preoccupata, tant'è vero che mi son
potuto ingoiare quattro gelati uno dietro l'altro, senza che neppur
se n'accorgesse.
Come mi rimordeva la coscienza! Finalmente, quando
mancavano pochi minuti alle dieci, si è sentito una scampanellata.
Questa sonata di campanello ha rallegrato le invitate più di tutte
le sonate fatte fino allora sul pianoforte. Tutte le signorine hanno
dato un gran respirone di sollievo, voltandosi verso la porta
d'ingresso in attesa dei ballerini da tanto tempo aspettati. Le mie
sorelle si son precipitate per far gli onori di casa...
Ed ecco che, invece degli invitati, entra Caterina con una gran
lettera e la porge all'Ada. Luisa e Virginia le si fanno attorno
esclamando: - Qualcuno che si scusa di non poter venire! -
Altro che scusa! Quella non era una lettera, un biglietto: era una fotografia che esse
conoscevano benissimo e che era stata per tanto tempo chiusa nella scrivania di Luisa. Le mie
sorelle son diventate di mille colori, e passata la prima impressione son cominciate fra loro le
interrogazioni:
- Ma come mai? Ma come può essere? Ma com'è stato?... -
Di li a poco ecco un'altra scampanellata... Le invitate si voltano daccapo verso l'ingresso,
aspettando sempre un ballerino, e come prima si presenta invece Caterina con un'altra lettera che le
mie sorelle aprono trepidanti: è un'altra delle fotografie da me recapitate l'altro giorno ai rispettivi
originali.
E dopo cinque minuti, un'altra scampanellata e un'altra fotografia.
Le mie povere sorelle erano diventate di mille colori; ero così mortificato nel pensare che io ero
l'unica causa di questi loro dispiaceri, che mi misi a mangiar panini gravidi per distrarmi, ma non mi
fu possibile, perché il rimorso era troppo grande, e avrei pagato chi sa che per trovarmi non so dove,
pur di non vedere le mie povere sorelle in quello stato.
Finalmente son venuti Ugo Fabiani ed Eugenio Tinti, che sono stati festeggiati più d'Orazio
Coclite dopo la sua vittoria contro i Curiazi. Ma io ho capito perché il Fabiani e il Tinti non avevano
fatto come gli altri invitati! Mi son ricordato che sul ritratto del Fabiani era scritto: - Che caro
giovane! - e su quello del Tinti: - Bello, bellissimo, troppo bello per questa terra!
Ma anche essendo in tre ballerini, compreso il Collalto che balla come un orso, come potevano
fare a contentare una ventina di signorine?
A un certo punto hanno fatto un carré di lancieri, ma una ragazza ha dovuto far da uomo, e così
è finito che hanno imbrogliato ogni cosa, senza che l'imbroglio facesse rider nessuno.
Le più maliziose bensì, come la Bice, ridevano tra loro nel vedere che la festa non era riuscita, e
che le mie povere sorelle avevano quasi le lacrime agli occhi.
Una cosa molto riuscita, invece, sono stati i rinfreschi; ma, come ho detto prima, io ero molto
angustiato, sicché non ho potuto assaggiare che tre o quattro bibite, delle quali la migliore era quella
di marena, benché anche quella di ribes fosse eccellente.
Mentre stavo passeggiando per la sala, ho sentito Luisa che ha detto piano al dottor Collalto:
- Dio mio! Se potessi saper chi è stato, come mi vorrei vendicare!... È stato uno scherzo indegno!
Domani, certo, saremo sulle bocche di tutti, e non ci potrà più soffrire nessuno! Ah, se potessi avere
almeno la soddisfazione di sapere chi è stato!.. -
In quel momento il Collalto si è fermato dinanzi a me e, guardandomi fisso, ha detto a mia
sorella:
- Forse Giannino te lo potrebbe dire; non è vero, Giannino?
- Di che? - ho risposto io, facendo finta di nulla. Ma mi sentivo il viso infocato, e poi mi tremava
la voce.
- Come di che! O chi ha preso dunque i ritratti dalla camera di Luisa?
- Ah! - ho risposto io, non sapendo più che cosa dire. -- Forse sarà stato Morino...
- Come! - ha detto mia sorella fulminandomi con gli occhi. - Il gatto?
- Già. L'altra settimana gli detti due o tre fotografie perché si divertisse a masticarle e può essere
che lui le abbia portate fuori e le abbia lasciate per la strada...
- Ah, dunque le hai prese tu! - ha esclamato Luisa, rossa come la brace e coli gli occhi che le
uscivano dalla testa.
Pareva mi volesse mangiare. Ho avuto una paura terribile e perciò, dopo essermi empite le tasche
di torrone, sono scappato su in camera.
Assolutamente non voglio essere alzato quando gl'invitati se ne anderanno via. Ora mi spoglio e
vo a letto.
16 ottobre.
È appena giorno.
Ho preso una grande risoluzione e, prima di metterla in effetto, voglio confidarla qui nelle pagine
di questo mio giornalino di memorie, dove registro le mie gioie e i miei dispiaceri che sono tanti,
benché io sia un bambino di nove anni.
Stanotte, finita la festa, ho sentito un gran bisbigliare all'uscio di camera mia, ma io ho fatto finta
di dormire e non hanno avuto il coraggio di svegliarmi: ma stamani, quando si alzeranno, mi
toccheranno certamente delle altre frustate, mentre non mi è ancora cessato il dolore di quell'altre
che ebbi l'altro giorno dal babbo.
Con questo pensiero, non ho potuto chiudere un occhio in tutta la notte.
Non c'è altro scampo, per me, che quello di scappar di casa prima che i miei genitori e le mie
sorelle si sveglino. Così impareranno che i ragazzi si devono correggere ma senza adoprare il
bastone, perché, come ci insegna la storia dove racconta le crudeltà degli Austriaci contro i nostri
più grandi patriotti quando cospiravano per la libertà, il bastone può straziare la carne ma non può
cancellare l'idea.
Perciò mi è venuto l'idea di scappare in campagna, dalla zia Bettina, dove sono stato un'altra
volta. Il treno parte alle sei, e di qui alla stazione in mezz'ora ci si va benissimo.
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Sono bell'e pronto per la fuga: ho fatto un involto mettendovi due paia di calze e una camicia per
cambiarmi... In casa tutto è silenzio, ora scenderò piano piano le scale, e via in campagna, all'aria
aperta...
Viva la libertà!…
A questo punto il giornalino di Gian Burrasca ha una pagina sgualcita, e quasi interamente
occupata dall'impronta di una, mano sudicia di carbone, sopra alla quale è, a caratteri grossi e
incerti come se fosse stata scritta con un pezzo di brace, una frase interrotta da un fregaccio.
Riproduciamo fedelmente anche questo documento, che è di non lieve importanza nelle memorie
del nostro Giannino Stoppani.
17 ottobre.
La zia Bettina non s'è ancora alzata, e io approfitto di questo momento per registrare qui
l'avventura accadutami ieri, e che meriterebbe proprio di esser descritta dalla penna di un Salgari.
Iermattina, dunque, mentre tutti dormivano, fuggii da casa come avevo stabilito, dirigendomi verso
la stazione.
Io avevo già disegnato nella mente il modo di effettuare il mio progetto che era quello di recarmi
a casa della zia Bettina. Non avendo quattrini per prendere il treno e non conoscendo la strada
provinciale per andarvi, mi proponevo di entrare nella stazione, aspettare il treno col quale ero
andato l'altra volta dalla zia Bettina, e dirigermi per la stessa strada, lungo la ferrovia, seguendo le
rotaie, fino al paese presso il quale è la villa Elisabetta dove sta appunto la zia. Così non c'era
pericolo di sbagliare, e io, ricordandomi che ad andarci col treno ci si mette tre ore o poco più, mi
proponevo di arrivarci prima di sera.
Giunto dunque alla stazione, presi il biglietto d'ingresso ed entrai. Il treno arrivò poco dopo, ed
io, per evitare il caso di esser visto da qualche persona di conoscenza, mi diressi verso gli ultimi
vagoni per attraversare la linea e andare dalla parte opposta alla stazione. Ma invece mi fermai
dinanzi all'ultimo vagone che era un carro per bestiame, vuoto, e che aveva la garetta dove sta il
frenatore, vuota anch'essa.
- Se montassi lassù? -
Fu un lampo. Assicuratomi con un'occhiata che nessuno badava a me, saltai sulla scaletta di
ferro, mi arrampicai su, e mi misi seduto nella garetta, col ferro del freno tra le gambe, e le braccia
appoggiate sul manubrio del freno.
Di lì a poco il treno partì e io sentii arrivarmi fin dentro il cervello il fischio della macchina la cui
groppa nera io vedevo, di lassù, distendersi alla testa di tutti i vagoni che si trascinava dietro, tanto
più che il vetro del finestrino della garetta da quella parte era stato rotto, e non ve n'era rimasto che
un pezzetto in un angolo, a punta.
Meglio! Da quel finestrino, aperto proprio all'altezza
della mia testa, io dominavo tutto il treno che si slanciava
a traverso la campagna che era ancora avvolta nella
nebbia. Ero felice, e per festeggiare in qualche modo la
mia fortuna, cavai di tasca un pezzetto di torrone e mi
misi a rosicchiarlo.
Ma la mia felicità durò poco. Il cielo s'era fatto scuro, e
non tardò a venir giù una pioggia fitta fitta e ad alzarsi un
vento impetuoso, mentre una scarica terribile di tuoni si
inseguiva fra l'ombre delle montagne...
Io non ho paura dei tuoni, tutt'altro; ma mi mettono
addosso il nervoso, e perciò appena incominciò a tuonare
mi si presentò alla mente la mia condizione in un quadro
molto diverso da quello col quale mi era apparso da
principio.
Pensavo che in quel treno nel quale viaggiava tanta
gente ero isolato e ignorato da tutti. Nessuno, parenti,
estranei, sapeva che io era lì, sospeso in aria in mezzo
a così tremenda tempesta, sfidando così gravi pericoli.
E pensavo anche che aveva molta ragione il babbo
quando diceva roba da chiodi del servizio ferroviario e
delle condizioni scandalose nelle quali si trova il
materiale. Io ne avevo lì una prova evidente
nel finestrino della garetta dal quale, essendo rotto il vetro come ho detto prima, entrava vento e
pioggia, facendomi gelare la parte destra della faccia che vi si trovava di contro, mentre mi sentivo
la parte sinistra infocata in modo che mi pareva d'esser mezzo ponce e mezzo sorbetto, e ripensavo
malinconicamente alla festa da ballo della sera precedente, che era stata la causa di tanti guai.
E il peggio fu quando incominciarono le gallerie!
Il fumo lanciato dalla macchina si addensava sotto la volta del tunnel, e dal finestrino rotto
invadeva la mia angusta garetta, impedendomi il respiro. Mi pareva d'essere in un bagno a vapore,
dal quale poi, quando il treno usciva dal tunnel, passavo a un tratto al bagno freddo della pioggia.
In un tunnel più lungo degli altri credetti di morire asfissiato. Il fumo caldo mi, avvolgeva tutto,
avevo gli occhi che mi bruciavano per la polvere di carbone che entrava col fumo nella garetta e
che mi accecava, e per quanto mi facessi coraggio sentivo che ormai le forze erano per
abbandonarmi.
In quel momento l'animo mio fu vinto da quella cupa disperazione che in certe avventure
provano anche gli eroi più valorosi come Robinson Crosuè, i Cacciatori di capigliature e tanti altri.
Ormai per me (così mi pareva) la era finita e volendo che almeno rimanessero, come esempio, le
ultime parole di un ragazzo infelice condannato a morire di soffocazione in un treno, nel fiore degli
anni, scrissi nel giornalino con uno zolfino spento che avevo trovato nel sedile della garetta le
parole della pagina 13:
Moio per la Libertà!
Ma non potei finir la parola, perché in quel punto mi sentii un nodo alla gola e non capii più
nulla.
Devo essermi svenuto di certo, e credo che, se non avessi
avuto il ferro del freno tra le gambe che mi reggeva, sarei
caduto giù dalla garetta e morto stritolato sotto il treno.
Quando rientrai in me stesso, la pioggia gelata mi
sferzava di nuovo la faccia e mi prese un freddo così acuto
nelle ossa, che incominciai a battere i denti.
Fortunatamente di a poco il treno si fermò, e sentii
gridare il nome del paese al quale ero diretto. Io volli
scendere alla svelta giù per la scaletta di ferro, ma mi
tremavano le gambe, e all'ultimo scalino inciampai e caddi in
ginocchio.
Subito mi vennero d'intorno due facchini e un impiegato,
che mi raccolsero, e guardandomi con tanto d'occhi, mi
domandarono come mai mi trovavo lassù sulla garetta. Io
risposi che vi ero salito in quel momento, ma loro mi
portarono nell'ufficio del capostazione, il quale mi messe
dinanzi uno specchietto dicendomi:
- Ah, ci sei salito ora, eh? E codesto muso da
spazzacamino quando te lo sei fatto? -
Io nel vedermi nello specchio rimasi senza fiato. Non mi
riconoscevo più. La polvere di carbone, col fumo, durante il
mio disastroso viaggio, mi era penetrata nella pelle della
faccia alterando i miei connotati per modo che parevo un
vero e proprio abissino.
Non dico niente poi degli abiti, ridotti addirittura a brandelli, e sporchi anch'essi come la faccia.
Fui costretto a dire da dove venivo e dove andavo.
- Ah! - disse il capostazione. - Vai dalla signora Bettina Stoppani? Allora pagherà lei per te. -
E disse all'impiegato:
- Faccia un verbale di contravvenzione computandogli tre biglietti di terza classe e la
trasgressione per aver viaggiato in una garetta riservata al personale! -
Io avrei voluto rispondere che questa era una ladronería bella e buona. Come! Mentre le ferrovie
avrebbero dovuto per giustizia rifare un tanto a me che mi ero adattato a viaggiare peggio delle
bestie, che almeno viaggiano al coperto, mi si faceva invece pagare per tre?
Ma siccome mi sentivo male, mi contentai di dire:
- Almeno, giacché il viaggiare nelle garette costa così caro,
procurino che ci sieno i finestrini col vetro! -
Non l'avessi mai detto! Il capostazione mandò subito un
facchino a verificare la garetta dove avevo viaggiato e, saputo
che non c'era il vetro, mi fece aumentare la contravvenzione di
ottanta centesimi come se l'avessi rotto io! Mi accorsi una
volta di più che il mio babbo aveva ragione a dir corna del
servizio ferroviario, e non dissi altro per paura che mi
avessero a mettere nel conto anche il ritardo del treno, e
magari qualche guasto della locomotiva.
Così, accompagnato dall'impiegato, mi avviai verso la villa
Elisabetta, e non vi so dire come rimase la zia Bettina quando
si vide capitar dinanzi uno straccione così sudicio com'ero io
e, peggio ancora, un conto da pagare di sedici lire e venti, e
più la mancia all'impiegato che glielo portava!
- Che è accaduto, mio Dio?... - ha gridato appena ha potuto
capire dalla voce che ero io.
- Senti, zia Bettina, - le ho detto - a te, lo sai, dico sempre
la verità...
- Bravo! Dimmi dunque...
- Ecco: sono scappato di casa.
- Scappato di casa? Come! Hai abbandonato il tuo babbo,
la tua mamma, le tue sor... -
Ma si è interrotta all'improvviso, come se le fosse venuto male. Certo si ricordava in quel
momento che le mie sorelle non l'avevano voluta alla festa.
- È naturale! - ha soggiunto. - Quelle ragazze farebbero perder la pazienza a un Santo!... Vieni in
casa, figliolo mio, a lavarti, che mi sembri un bracino; poi mi racconterai tutto... -
Intanto io guardavo Bianchino, il vecchio Barboncino che è così caro alla zia Bettina, e alla
finestra della villa il vaso di dìttamo al quale ella è così pure affezionata. Nulla è cambiato
dall'ultima volta che ci venni, e mi pare di non essermi mai mosso di qui.
Quando mi fui lavato, la zia Bettina si accòrse che avevo
un po' di febbre e mi mise a letto, benché io tentassi di
persuaderla che era tutta questione d'appetito.
La zia Bettina mi fece alcuni rimproveri a mezza bocca, ma
in fondo mi disse che stessi pur tranquillo, che da lei non
correvo nessun pericolo; e io fui così commosso dalla sua
bontà, che volli farle assaggiare un pezzetto di torrone che
avevo in tasca dei calzoni, e la pregai di prenderlo, ché così ne
avrei mangiato un po' anch'io.
Difatti la zia Bettina fece per metter la mano in tasca, ma
non fu capace di aprirla.
- Ma qui c'è la colla! - disse.
Che era successo? Il torrone, col calore del fumo
rinserratosi nella garetta, si era tutto strutto e aveva
appiccicato la tasca dei calzoni per modo che non era più
possibile di aprirla.
Basta: la zia mi fece compagnia, finché, alla fine, la
stanchezza non mi fece prender sonno... e da allora mi sono
svegliato in questo momento, e il primo mio pensiero è stato
per te, giornalino mio, che mi hai seguìto sempre, mio fido
compagno, a traverso a tanti dispiaceri, a tante avventure e a
tanti pericoli...
Stamani la zia Bettina s'è molto inquietata con me per uno
scherzo innocente che, in fin dei conti, era stato ideato con
l'intenzione di farle piacere.
Ho già detto che la zia è molto affezionata a una pianta di
dìttamo che tiene sulla finestra di camera sua, a pianterreno, e che
annaffia tutte le mattine appena si alza. Basta dire che ci discorre
perfino insieme e gli dice: - Eccomi, bello mio, ora ti da bere!
Bravo, mio caro, come sei cresciuto! - È una sua mania, e si sa che
tutti i vecchi ne hanno qualcuna.
Essendomi dunque alzato prima di lei, stamattina, sono uscito
di casa, e guardando la pianta di dìttamo m'è venuta l'idea di farla
crescere artificialmente per far piacere alla zia Bettina che ci ha
tanta passione.
Lesto lesto, ho preso il vaso e l'ho vuotato. Poi al fusto della
pianta di dìttamo ho aggiunto, legandovelo bene bene con un
pezzo di spago, un bastoncino dritto, sottile ma resistente, che ho
ficcato nel vaso vuoto, facendolo passare a traverso quel foro che è
nel fondo di tutti i vasi da fiori, per farci scolar l'acqua quando si
annaffiano.
Fatto questo, ho riempito il vaso con la terra che vi avevo
levata, in modo che la pianta non pareva fosse stata menomamente
toccata; e ho rimesso il vaso al suo posto, sul terrazzino della
finestra, il cui fondo è di tante assicelle di legno, facendo passare
fra l'una e l'altra di esse il bastoncino che veniva giù dal foro del
vaso e che io tenevo in mano, aspettando il momento di agire.
Dopo neanche cinque minuti, eccoti la zia Bettina che apre la finestra di camera, e incomincia la
sua scena patetica col dìttamo:
- Oh, mio caro, come stai? Oh, poveretto, guarda un po': hai una fogliolina rotta... sarà stato
qualche gatto... qualche bestiaccia... -
Io me ne stavo lì sotto, fermo, e non ne potevo più dal ridere.
- Aspetta, aspetta! - seguitò a dire la zia Bettina. - Ora piglio le forbicine e ti levo la fogliolina
troncata, se no secca,... e ti fa male alla salute, sai, carino!... -
Ed è andata a prendere le forbicine. Io allora ho spinto un po' in su il bastoncino.
- Eccomi, bello mio! - ha detto la zia Bettina tornando alla finestra. - Eccomi, caro!.. -
Ma ha cambiato a un tratto il tono alla voce ed ha esclamato:
- Non sai che t'ho da dire? Che tu mi sembri cresciuto!... -
Io scoppiavo dal ridere, ma mi trattenevo, mentre la zia seguitava a nettare il suo dittamo con le
forbicine e a discorrere:
- Ma sì, che sei cresciuto... E sai che cos'è che ti fa crescere? È l'acqua fresca e limpida che ti
tutte le mattine... Ora, ora... bello mio, te ne dò dell'altra, così crescerai di più... -
Ed è andata a pigliar l'acqua. Io intanto ho spinto in su il
bastoncino, e questa volta l'ho spinto parecchio, in modo che la
pianticella doveva parere un alberello addirittura.
A questo punto ho sentito un urlo e un tonfo.
- Uh, il mio dìttamo!... -
E la zia, per la sorpresa e lo spavento di veder crescere la sua
cara pianta a quel modo, proprio a vista d'occhio, s'era lasciata
cascar di mano la brocca dell'acqua che era andata in mille
bricioli.
Poi sentii che borbottava queste parole:
- Ma questo è un miracolo! Ferdinando mio, Ferdinando
adorato, che forse il tuo spirito è in questa cara pianta che mi
regalasti o desti per la mia festa? -
Io non capivo precisamente quel che voleva dire, ma sentivo
che la sua voce tremava e, per farle più paura che mai, ho spinto
in su più che potevo il bastoncino. Ma mentre la zia vedendo
che il dìttamo seguitava a crescere, continuava a urlare: Ah!
Oh! Oh! Uh!, il bastoncino ha trovato un intoppo nella terra del
vaso, e siccome io lo spingevo con forza per vincere il
contrasto, è successo che il vaso si è rovesciato fuor della
finestra, ed è caduto rompendosi a' miei piedi.
Allora ho alzato gli occhi e ho visto la zia affacciata, con un
viso che faceva paura.
- Ah, sei tu! – ha detto con voce stridula.
Ed è sparita dalla finestra per riapparire subito
sulla porta, armata di un bastone.
Io, naturalmente, me la son data a gambe per il
podere, e poi son salito sopra un fico dove ho fatto
una grande spanciata di fichi verdini, che credevo di
scoppiare -
Quando son ritornato alla villa, ho visto sulla
solita finestra un vaso nuovo con la pianta di
dìttamo e ho pensato che la zia, avendo rimediato al
mal fatto, si fosse calmata. L'ho trovata in salotto
che discorreva con un facchino della stazione e
appena mi ha visto, mi ha detto con aria molto
sostenuta mostrandomi due telegrammi:
- Ecco qui due dispacci di vostro padre. Uno di
iersera che non ha avuto corso perché la stazione era
chiusa, e uno di stamani. Vostro padre è disperato
non sapendo dove vi siete cacciato... Gli ho risposto
che venga a prendervi col prossimo treno! -
Io, quando il facchino è andato via, ho tentato di
rabbonirla, e le ho detto con la mia voce
piagnucolosa che di solito fa un grande effetto
perché ci si sente il ragazzo che è pentito:
- Cara zia, le chiedo scusa di quel che ho fatto... Ma lei ha risposto arrabbiata:
- Vergognatevi!
- Però - ho seguitato a dire con voce sempre più piagnucolosa - Io non sapevo che nel dìttamo ci
fosse lo spirito di quel signor Ferdinando che diceva lei... -
A queste parole la zia Bettina si è cambiata a un tratto. È diventata rossa come il tacchino della
contadina, e ha detto balbettando:
- Zitto, zitto!... Mi prometti di non dir niente a nessuno di quel che è successo?
- Sì, glielo prometto...
- Ebbene, allora non ne parliamo più: e io cercherò di farti perdonare anche dal tuo babbo... -
Il babbo arriverà certamente col treno delle tre, non essendovene altri né prima né dopo. E io sento
una certa tremarella...
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Sono qui, chiuso nel salotto da desinare, e sento di nell'ingresso quella vociaccia stridula della
zia Bettina che si sfoga contro di me con la moglie del contadino e ripete:
- È un demonio! Finirà male!
E tutto questo perché? Per aver fatto il chiasso coi figliuoli del contadino, come fanno tutti i
ragazzi di questo mondo, senza che nessuno ci trovi nulla da ridire. Ma siccome io ho la disgrazia
d'avere tutti parenti che non voglion capire che i ragazzi hanno diritto di divertirsi anche loro, così
mi tocca ora a star qui chiuso e sentirmi dire che finirò male ecc. ecc., mentre invece io volevo che
la zia Bettina finisse col pigliarci gusto anche lei al serraglio di bestie feroci, che m'era riuscito così
bene.
L'idea m'è venuta perché una volta il babbo mi portò a vedere quello di Numa Hava, e da allora
ci ho sempre ripensato, perché il sentire nell'ora del pasto tutti quegli urli dei leoni, delle tigri e di
tanti altri animali che girano in qua e in nelle gabbie stronfiando e raspando è una cosa che fa
grande impressione e non si dimentica tanto facilmente. E poi io ho sempre avuta molta passione
per la storia naturale e a casa ho i Mammiferi illustrati del Figuier che li leggo sempre, guardando le
figure che mi son divertito tante volte a ricopiare.
Ieri, dunque, nel venire qui alla villa avevo visto nella fattoria che
confina col podere della zia due operai che tingevano le persiane della
casa del fattore di verde e le porte della stalla accanto di rosso; sicché
stamani, dopo il fatto della pianta di dìttamo, appena mi è venuto l'idea
del serraglio, mi son subito ricordato dei pentolini di tinta degli operai,
che avevo visto ieri alla fattoria, e ho detto fra me che avrebbero potuto
far comodo, come difatti mi sono stati molto utili.
Prima di tutto mi son messo d'accordo con Angiolino, il figliuolo del
contadino della zia, un ragazzo che ha quasi la mia età ma che non ha
mai visto nulla nella sua vita, sicché mi sta sempre a sentire a bocca
aperta e m'ubbidisce in tutto e per tutto.
- Ti voglio far vedere qui sull'aia il serraglio di Numa Hava - gli ho
detto. - Vedrai!
- Voglio vedere anch' io! - ha esclamato subito la Geppina che è la
sua sorella minore.
- Anch'io! - ha detto Pietrino, un bambino di due anni e mezzo che
non sa ancora camminare e che si trascina per terra con le mani e con le
ginocchia.
nella casa del contadino non c'eran che questi tre ragazzi perché i
loro genitori e i fratelli maggiori eran tutti nel campo a lavorare.
- Va bene,... - ho detto. - Ma bisognerebbe, poter pigliare i pentolini
delle tinte alla fattoria!
- Questo è il momento buono, - ha detto Angiolino - perché è l'ora che
i verniciatori vanno al paese a far colazione. –
E siamo andati tutt'e due alla fattoria. Non c'era nessuno.
Da una parte, a piè di una scala, c'eran due pentoli pieni di tinta a
olio - in uno la tinta rossa e nell’altro la tinta verde; e c'era anche un
bel pennellone grosso come il mio pugno. Angiolino ha preso un
pentolo; io ho preso l'altro e il pennello, e via, siamo ritornati
sull'aia di casa sua, dove Pietrino e la Geppina ci aspettavano
ansiosi.
- Cominceremo dal fare il leone, - ho detto.
A questo scopo avevo portato con me dalla villa, Bianchino, il
vecchio can barbone della zia Bettina, al quale ella è così
affezionata. Gli ho attaccato al collare una fune e l'ho legato alla
stanga del carro da buoi che era sull'aia, e, dato di piglio al
pennellone, ho incominciato a tingerlo tutto di rosso.
- Veramente - ho detto a quei ragazzi perché avessero un'idea
precisa dell'animale che volevo loro rappresentare - il leone è colore
arancione, ma siccome manca il giallo noi lo faremo rosso, che in
fondo viene a esser quasi lo stesso. -
In poco tempo Bianchino, interamente trasformato, non era più
riconoscibile e, mentre esso si andava asciugando al sole, ho pensato
a preparare un'altra belva.
Poco distante da noi c'era una pecorella che pascolava; l'ho legata
alla stanga del carro, accanto al cane, e ho detto:
- Questa la trasformeremo in una bellissima tigre. -
E dopo aver mescolate in una catinella un po' di tinta rossa e un
po' di tinta verde le ho dipinto sul dorso tante ciambelline in modo
che pareva proprio una
tigre del Bengala come quella che avevo visto da Numa Hava, meno che, per quanto le avessi tinto
anche il muso, non aveva quell'espressione feroce che faceva una così bella impressione in quella
vera.
A questo punto ho sentito un grugnito, e ho domandato ad Angiolino:
- Che ci avete anche un maiale?
- Sì: ma è un maialino piccolo: è qui nella stalla, guardi, sor
Giannino. E ha tirato fuori, infatti, un porcellino grasso grasso, con la
pelle color di rosa che era una bellezza.
- Che se ne potrebbe fare? - ho domandato a me stesso. E Angiolino
ha esclamato :
- Perché non ci fa un leofante?
Io mi son messo a ridere.
- Vorrai dire un elefante! - gli ho risposto. - Ma sai che un elefante è
grande come tutta questa casa? E poi con che gli si potrebbe far la
proboscide?
- A questa parola i figliuoli del contadino si son messi a ridere tutt'e tre e finalmente Angiolino
ha domandato:
- O che è ella, codesta cosa così buffa che ha detto lei, sor Giannino?
- È, come un naso lungo lungo quasi quanto la stanga di questo carro e che serve all'elefante per
pigliar la roba per alzare i pesi e per annaffiare i ragazzi quando gli fanno i dispetti. -
Che brutta cosa è l'ignoranza! Quei villanacci di ragazzi non mi hanno voluto credere, e si son
messi a ridere più che mai.
Io intanto riflettevo per trovare il modo di utilizzare il maialino color di rosa che seguitava a
grugnire come un disperato. Alla fine ho risoluto il problema e ho gridato:
- Sapete che cosa farò? Io cambierò questo maialino in un coccodrillo! -
Sul carro c'era una copertaccia da cavallo. L'ho presa e l'ho fermata da un lato, legandola con una
fune intorno alla pancia del maialino; poi, risollevando tutta la parte di coperta che avanzava
strascicando di dietro, l'ho legata stretta stretta a uso salame, in modo che rappresentasse la lunga
coda del coccodrillo. Fatto questo, ho tinto di verde tanto il maialino che la coperta, in modo che, a
lavoro compiuto, l'illusione era perfetta.
Dopo aver legata anche questa belva alla
stanga del carro da buoi, ho pensato di farne
un'altra servendomi dell'asino che ho preso nella
stalla e che, essendo di color grigio, si è prestato
benissimo a far da zebra. Infatti è bastato che gli
dipingessi sul corpo, sul muso e sulle gambe
tante strisce, dopo aver mescolato daccapo il
rosso col verde, per ottenere una zebra
sorprendente, che ho legata con gli altri animali
alla solita stanga. Infine, siccome per rallegrare
la scena mancava la scimmia, con lo stesso
colore ho tinto la faccia di Pietrino che appunto
stava berciando e sgambettando come una
bertuccia,
e servendomi d'uno straccio strettamente legato gli ho anche fabbricato una splendida coda che ho
assicurata alla cintola del marmocchio, sotto la sottanina.
Poi, per rendere la cosa anche più naturale, ho pensato che il vedere la scimmia sopra un albero
avrebbe fatto un bellissimo effetto e perciò, aiutato da Angiolino, ho messo Pietrino su un ramo
dell'albero che è accanto all'aia, assicurandolo con una fune perché non cascasse.
Così ho completato il mio serraglio e ho incominciato la spiegazione.
- Osservino, signori : questa bestia a quattro zampe con la groppa tutta rigata a strisce bige e nere
è la Zebra, un curioso animale fatto come un cavallo ma che non è un cavallo, che morde e tira i
calci come i ciuchi ma che non è un ciuco, e che vive nelle pianure dell'Affrica cibandosi dei sedani
enormi che nascono in quelle regioni, e scorrazzando qua e a causa delle terribili mosche
cavalline che in quei paesi caldi hanno le proporzioni dei nostri pipistrelli...
- Accidempoli! - ha detto Angiolino. - O che può essere?
- Può essere sicuro! - ho risposto io. Ma tu devi stare zitto, perché mentre si la spiegazione
delle bestie feroci, è proibito al pubblico di interrompere perché è pericoloso. Quest'altra belva, che
è qui accanto, è la Tigre del Bengala, che abita in Asia, in Affrica e in altri luoghi dove fa strage
degli uomini e anche delle scimmie... -
A questo punto della mia spiegazione Pietrino ha incominciato a piagnucolare di sull'albero e,
voltandomi in su, ho visto che la fune con la quale l'avevamo legato al ramo s'era allentata ed egli
stava sospeso con gli occhi fuor della testa per la paura. In quella posizione pareva proprio una
scimmia vera quando sta attaccata agli alberi con la coda, e io ho approfittato subito della
circostanza per richiamar l'attenzione del pubblico su questa nuova bestia del mio serraglio.
- Hanno udito, signori e signore? Al solo nome della tigre la Scimmia si è messa a stridere, e con
ragione, perché essa è spesso vittima degli assalti di questo terribile animale ferino. La scimmia che
loro osservano lassù sull'albero è una di quelle che si chiamano volgarmente bertucce e che vivono
abitualmente in cima agli alberi delle foreste vergini, dove si nutrono di bucce di cocomero, di
torsoli di cavolo e di tutto quel che si trova a portata delle loro mani. Questi curiosi e intelligenti
animali hanno il brutto vizio di scimmiottare tutto quel che vedono fare agli altri, e questo è appunto
il motivo per cui i naturalisti hanno messo loro il nome di scimmie... Bertuccia, fate una riverenza a
questi signori!... -
Ma Pietrino non ha voluto saperne di far la riverenza, e ha seguitato a piagnucolare.
- Faresti meglio - gli ho detto - a soffiarti il naso... Ma intanto noi passeremo al Leone, a questo
nobile e generoso animale che ben a ragione è chiamato il re di tutte le bestie perché col suo bel
manto e la sua forza impone soggezione a tutti quanti, essendo capace di mangiarsi anche una
mandra di bovi in un boccone... Esso è il carnivoro più carnivoro di tutti i carnivori, e quando ha
fame non porta rispetto a nessuno, ma non è tanto feroce come altre belve che ammazzano la gente
per puro divertimento; esso invece è un animale di cuore, e si racconta anche nei libri, che una
volta, trovandosi egli a Firenze di passaggio, e avendo incontrato per la strada un piccolo bambino
che si chiamava Orlanduccio e che si era perso, lo prese delicatamente per la giacchetta e lo riportò
pari pari alla sua mamma che se non mori di paura e di consolazione fu un vero miracolo. -
Molte altre cose avrei potuto dire intorno al leone; ma siccome Pietrino seguitava a berciare
sull'albero che pareva lo scannassero, mi sono affrettato a passare al Coccodrillo.
- Guardino, signori, questo terribile anfibio che può vivere tanto nell'acqua che nella terra e che
abita sulle sponde del Nilo dove dà la caccia ai negri e ad altri animali facendoli sparire nell'enorme
bocca come se fossero piccole pasticche di menta!… Esso si chiama coccodrillo perché ha il corpo
ricoperto di grosse squame dure come le noci di cocco fresco che si vendono nei bar, e con le quali
si difende dai morsi delle altre bestie feroci che si aggirano in quei paraggi... -
In così dire ho dato una buona dose di bacchettate sul groppone del maialino che ha incominciato
a grugnire come un disperato, mentre il pubblico rideva a più non posso.
- La caccia al coccodrillo, signori e signore, è molto difficile appunto perché su quel groppone
così duro le armi a punta come la sciabola e il coltello si spuntano, e le armi a fuoco sono inutili
perché le palle rimbalzano e se ne vanno via. I coraggiosi cacciatori però hanno pensato un modo
molto ingegnoso per pigliare i coccodrilli, servendosi di uno stile a due punte in mezzo al quale è
legata una corda, che adoperano così... -
E perché quei due poveri ignoranti capissero qualcosa, ho preso un pezzo di legno, poi col
temperino vi ho fatto le punte da tutt'e due le parti e vi ho legato uno spago nel mezzo; fatto questo,
mi sono avvicinato al maialino, gli ho fatto aprir bocca e vi ho introdotto dentro arditamente il
pezzo di legno, seguitando la mia spiegazione:
- Ecco qua; il cacciatore aspetta che il coccodrillo faccia uno sbadiglio, ciò che gli succede
spesso, dovendo vivere sempre sulle sponde del Nilo dove anche una bestia finisce per annoiarsi; e
allora ficca il suo dardo nell'enorme bocca dell'animale anfibio che naturalmente si affretta a
richiuderla. Ma che cosa succede? Succede che chiudendo la bocca viene a infilarsi da stesso le
due punte del dardo nelle due mascelle, come possono osservare lor signori... -
Infatti il maialino, richiudendo la bocca s'era bucato e mandava certi urli che arrivavano al cielo.
In quel momento, voltandomi, ho visto il babbo e la mamma d'Angiolino, che venivano giù dal
campo trafelati. Il contadino gridava:
- Oh, il mi' maialino!… -
E la contadina sporgeva le braccia verso quel moccione di Pietrino che seguitava anche lui a
piangere, e diceva:
- Uh, povera la mi' creatura!... -
È inutile. I contadini sono ignoranti, e perciò in tutte le cose si lasciano sempre trasportare
all'esagerazione. A vederli correre affannati e fuor della grazia di Dio pareva che gli avessi
ammazzato tutti i figliuoli e tutte le bestie, invece di cercare, come facevo io, di istruire que' villani
tentando di far entrare in que' cervellacci duri, delle spiegazioni sulle cose che non avevano mai
visto.
Ma sapendo quanto sia difficile di far entrar la ragione in quelle zucche, per non compromettermi
ho sciolto alla svelta tutte le bestie feroci e, montato sul ciuco, gli ho dato un par di legnate, e via a
precipizio su per la strada maestra, con Bianchino dietro, che abbaiava a più non posso.
Dopo aver girato un pezzo, finalmente sono arrivato alla villa. La zia Bettina è corsa sulla porta,
e vedendomi sul ciuco ha esclamato:
- Ah, che hai fatto!... -
Poi, vedendo Bianchino tutto tinto di rosso, ha dato un balzo indietro impaurita, come se fosse
stato un leone davvero; ma l'ha riconosciuto subito e allora gli si è buttata addosso, tremando come
una foglia e gemendo:
- Uh, Bianchino mio, Bianchino caro! Come ti hanno ridotto, povero amor mio?... Ah! È stato di
certo questo manigoldo!... -
E si è rialzata tutta inviperita. Ma io ho fatto più presto di lei, e buttatomi giù dal ciuco, son corso
in questa stanza e mi ci son chiuso.
- Starai lì in prigione finché non viene a ripigliarti tuo padre! - ha detto la zia Bettina: e ha chiuso
la porta di fuori, a chiave.
Dopo poco ho sentito la contadina che è venuta a far rapporto di tutto quel che ho fatto sull'aia,
s'intende esagerando ogni cosa. Ha detto che il maiale sputa sangue, che Pietrino è in uno stato da
far pietà, ecc. Basti dire che mi si tiene responsabile anche di quel che non è successo, e infatti è la
decima volta che quell'uggiosa ripete:
- Ma ci pensa, lei, sora padrona, se il mi' Pierino cascava giù dall'albero?... -
Lasciamola dire, bisogna compatire le persone ignoranti, perché loro non ci hanno colpa. Tra
pochi minuti arriverà il babbo e speriamo che egli saprà distinguere quel che è la verità...
17 ottobre.
Eccomi a casa mia, nella mia cameretta, che ho rivisto tanto volentieri!... È proprio vero quel che
dice il proverbio:
Casa mia, casa mia,
Per piccina che tu sia,
Tu mi sembri una badia.
E ora bisogna che ripigli la narrazione al punto dove l'ho lasciata ieri... Che giornata piena di
avvenimenti!...
Avevo appena smesso di scrivere, che arrivò alla villa il mio babbo. La zia Bettina aveva
incominciato a raccontargli le mie prodezze, come le chiamava lei, s'intende esagerando ogni cosa e
mettendo tutto in cattiva luce (ci vuol tanto poco a rappresentare il fatto più innocente come un
atroce delitto, quando si tratta di dare addosso a un povero ragazzo che non ha voce in capitolo!) ma
io ho incominciato a tempestare l'uscio di pugni e di calci, urlando a squarciagola:
- Apritemi! Voglio rivedere il mio babbo, io!...
La zia Bettina mi ha aperto subito e io mi son buttato addosso al babbo, coprendomi il viso colle
mani, perché in quel momento mi sentivo proprio commosso. - Cattivo, - mi ha detto - tu non puoi
figurarti quanto ci hai fatto soffrire tutti quanti!...
- È un infame! - ha aggiunto la zia Bettina. - Vedete un po' come ha ridotto quel mio povero
Bianchino!
- Toh! - ha esclamato il babbo guardando il cane tinto di rosso, e mettendosi a ridere. - Come è
buffo!
- È stato lui! Ed è tinta a olio che non va più via!... Povero Bianchino mio!...
- Che male c'è? - ho borbottato io con voce piagnucolosa. - Lo chiami Rossino da qui avanti...
- Ah ? - ha gridato allora la zia con la sua voce stridula, e tremando dalla rabbia. - Questo
sfacciato ha incominciato di prima mattinata a farmi disperare...
- Ma che ho fatto, dopo tutto? Ho spiantato la pianta di dìttamo, ma io non sapevo che
gliel'avesse regalata il signor Ferdinando per la sua festa e che ora ci fosse dentro lo spirito...
- Basta così! - ha gridato la zia Bettina interrompendomi. - Vattene, e non ritornare mai più in
casa mia, hai capito?
- Silenzio! - ha aggiunto mio padre con voce severa; ma io mi sono accorto che rideva sotto i
baffi.
Poi ha parlato sottovoce con la zia e ho sentito che ricordava spesso mia sorella Luisa. E da
ultimo mi ha preso per la mano, e salutando la zia Bettina le ha detto:
- Dunque ci conto, via! Non sarebbe giusto serio, per un pettegolezzo riportato da un
ragazzo, il mancare a una festa di famiglia così importante. -
Quando siamo stati in treno, ho detto al babbo
- Hai proprio ragione, sai, babbo, a dir male del servizio ferroviario! -
E gli ho raccontato tutte le peripezie del mio viaggio e del finestrino rotto che mi fecero ripagare
per nuovo.
Il babbo mi ha un po' sgridato, ma ho capito che in fondo mi dava ragione, e questo è naturale,
perché io davo ragione a lui.
Ora sono in pace con tutti, e mi sento proprio felice.
Iersera, alla stazione c'era una vera folla ad aspettarmi: parenti, amici, conoscenti, tutti eran
venuti apposta per salutarmi, e non si sentiva dir altro che Giannino qua e Giannino là... Mi
pareva d'essere un soldato reduce dalla guerra, dopo aver vinto una battaglia.
Non dico poi quel che successe a casa; a pensarci solamente mi vien da piangere. La mamma,
povera donna, singhiozzava, le mie sorelle non si saziavano di baciarmi, e la Caterina si asciugava
gli occhi col grembiule e non faceva che ripetere:
- Ah, sor Giovannino! Ah, sor Giovannino!... -
È un fatto positivo che un ragazzo che scappa di casa, quando ritorna, poi, ha di gran belle
soddisfazioni!
Ma poi c'è un'altra cosa che mi rende felice, ed è questa : mia sorella sposa il dottor Collalto e lo
sposalizio si farà tra cinque giorni, e ci sarà un gran pranzo di nozze con un'infinità di dolci di tutte
le specie...
Il Collalto essendosi stancato di aspettare che il dottor Baldi lo prendesse per suo aiuto, aveva
concorso per andare assistente in un grande laboratorio di medicina a Roma che non mi ricordo più
come si chiama, e ora avendo vinto il posto e dovendo partir subito ha deciso di sposare mia sorella
e andar via con lei.
Questo veramente mi fa dispiacere perché io voglio molto bene alla Luisa e anche al dottor
Collalto che è un giovane allegro che spesso fa il chiasso con me e che sa stare alla burletta. Ma
come si fa?
18 ottobre.
Come sono contento! lersera il dottor Collalto mi ha portato una splendida scatola di tinte, e mi
ha detto :
- Tieni: tu che hai tanta disposizione per il disegno, ti potrai esercitare all'acquarello... -
E mia sorella, accarezzandomi i capelli, ha soggiunto:
- E così quando dipingerai penserai un poco
anche alla tua sorella lontana, non è vero? -
La voce con la quale mia sorella ha detto
queste parole era così affettuosa che mi sarei
messo a piangere per la commozione: ma il
piacere di possedere finalmente una bella scatola
di tinte, di quelle complete come la desideravo
da tanto tempo, era troppo grande e mi son
messo a saltare dalla contentezza e poi mi son
rinchiuso qui in camera mia e ho voluto subito
comunicare per il primo la mia gioia al
giornalino, dipingendo il disegno del serraglio
che avevo fatto alla villa della zia Bettina mentre
ero in prigione aspettando il babbo.
Poi ho fatto vedere il mio lavoro al Collalto
che ha detto:
- Ma bravo! Pare proprio un quadro dell'epoca
giottesca! -
Ora dico io: se non avessi avuto l'idea di fare
il serraglio delle belve feroci non avrei avuto
quella di disegnarlo, e allora questo lavoro non ci
sarebbe stato! Dunque, certe
scappate, per un ragazzo che si sente nato per far l'artista, son necessarie, e allora perché i parenti
son sempre lì pronti a sgridarlo e a punirlo?
Basta, quel che è certo è che il Collalto mi ha fatto un bel regalo e che io bisognerà che in
qualche modo gli manifesti la mia gratitudine.
Ho un'idea... ma mi ci vogliono tre o quattro lire per metterla in esecuzione.
Vedremo!
19 ottobre.
Stamani Luisa mi ha condotto in camera sua, mi ha baciato e con le lacrime agli occhi mi ha
regalato un bello scudo d'argento dicendomi, al solito, di esser buono, di non fare sciocchezze,
perché in casa col da fare che c'è per i preparativi dello sposalizio nessuno può badare a me...
L'ho sempre detto, io, che Luisa è la migliore di tutte.
Ho preso lo scudo e via, a mettere in esecuzione la mia idea.
Ho comprato dodici razzi col fischio, sei candele romane, otto tippi-tappi,
quattro belle girandole e altri fuochi artificiali tutti svariati, coi quali
festeggerò gli sposi la sera del matrimonio, in giardino.
Non mi par vero d'arrivare a quel momento. Intanto ho nascosto tutti i
fuochi sull'armadio della mamma perché questa deve essere una sorpresa per
tutti.
24 ottobre.
Eccoci al gran giorno!
È dal 19 che non scrivo più una riga qui nel giornalino, ma ho avuto tanto
da fare!
In questi giorni mi sono accorto che i ragazzi possono essere molto utili
nelle case quando vi sono circostanze solenni, e quando le persone grandi
chiedono loro un piacere con educazione e con garbo.
Giannino qua! Giannino là! Giannino su! Giannino giù! Non riparavo a contentar tutti. Chi
voleva il rocchetto di cotone, chi la matassina di seta, chi i campioni di stoffe, chi mi mandava alla
posta a ritirar lettere, chi a far telegrammi, insomma arrivavo alla sera stanco morto, ma con la
coscienza tranquilla d'aver fatto il mio dovere per l'avvenire di mia sorella.
Finalmente il gran giorno è venuto, oggi ci sarà lo sposalizio e stasera farò i fuochi e così
dimostrerò a Collalto, che ride sempre quando dice che io son suo cognato, come anche i ragazzi
sappiano nutrire l'affetto per i parenti e la gratitudine per le scatole di tinte che ricevono in regalo.
È arrivata anche la zia Bettina per assistere allo sposalizio, e così ha rifatto la pace con tutti.
Però, mentre la Luisa si aspettava da lei in regalo quel paio di diamanti che ebbe in eredità dalla
povera nonna, ha avuto invece una coperta da letto di lana gialla e celeste che la zia Bettina aveva
fatto con le sue mani.
Luisa è rimasta mortificata, e io ho sentito che diceva a Virginia:
- Quella vecchia dispettosa si è voluta vendicare dell'altra volta che venne da noi. -
Però mia sorella ha avuto dei bei regali da tutte le parti...
Non dico nulla dei dolci che ci son preparati in sala da pranzo!.. Una cosa da sbalordire!... Però il
migliore è la panna montata coi cialdoni.
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Tutti son pronti, e fra pochi minuti si andrà al Municipio. Ma la zia Bettina non verrà, perché ha
deciso invece di ritornare a casa sua col treno che parte tra mezz'ora.
Nessuno sa spiegarsi il perché di questa improvvisa
decisione essendo stata accolta con tutti i dovuti riguardi: e
alla mamma che la pregava di dire francamente se qualcuno
le aveva mancato di rispetto senza accorgersene, ella ha
risposto a denti stretti:
- Vo via, anzi, perché mi si rispetta troppo; e dirai a
Luisa che se vuoi rispettarmi anche meglio, mi rimandi la
coperta di lana che io ho avuto la stupidaggine di farle con
le mie mani. -
E così se n'è andata via senza voler dire altro.
Il bello è che io solo so il vero motivo della partenza
della zia, ma non lo dico per non guastare la bella sorpresa
che avrà mia sorella.
Un'ora fa io ho detto alla zia Bettina:
- Cara zia, vuole un buon consiglio? Riporti via quella
copertaccia di lana che ha regalato a Luisa e le regali invece
i diamanti ai quali mia sorella aveva fatto la bocca... Così si
farà più onore, e mia sorella non avrà più ragione di
trattarla di vecchia dispettosa! -
Ebbene, bisogna che riconosca che questa volta la zia
Bettina si è condotta molto bene. Ella deve aver capito di
avere sbagliato, perché ha accettato il mio consiglio e se ne
va di corsa a casa sua a prendere i diamanti per Luisa che
sarà felicissima, e tutto per merito mio.
Ecco che cosa vuoi dire essere un buon fratello!
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Giornalino mio, sono nella massima disperazione, e mentre sto qui chiuso nella mia cameretta
non ho altro conforto che di confidare a te tutta la mia angoscia!...
Il babbo mi ha chiuso qui dentro, dicendomi una filza
di parolacce, in mezzo alle quali invece di virgole ci ha
messo tanti calci così forti, che bisogna che stia a sedere
su una parte sola e cambiando parte ogni cinque minuti...
Bel modo di correggere i ragazzi che son perseguitati
dalla disgrazia e dalle circostanze impreviste!…
È colpa mia, domando io, se stamani il Collalto ha
ricevuto un telegramma ed è dovuto partire insieme alla
Luisa col treno delle sei, invece di trattenersi la sera come
era stato stabilito prima?
Naturalmente io che avevo fatto tutto il mio progetto
per fare i fuochi stasera in giardino son rimasto male; ma
nessuno si piglia mai pensiero di indagare i dolori che si
nascondono nell’anima dei ragazzi, come se fossimo dei
pezzi di legno, mentre invece tutti
si scagliano addosso a noi quando per sfogare il nostro dolore si è fatto qualcosa che ha urtato i
nervi alle persone grandi...
E poi, alla fine, che ho fatto mai? Uno scherzo, un semplice scherzo, che, se il Collalto fosse
stato meno pauroso, tutti avrebbero preso per il suo verso senza far tanto baccano...
Che scena!
Non potendo fare i fuochi la sera, avevo pensato di accendere almeno una girandola e me n'ero
messa in tasca una di quelle più piccole, aspettando il momento opportuno.
Quando gli sposi sono scesi dal Municipio, io mi son messo dietro a loro. Erano così commossi,
che non mi hanno neanche visto. Allora, non so come, m'è venuto l'idea di attaccar la girandola al
bottone di dietro del frak di Collalto e acceso un fiammifero le ho dato fuoco...
Non è possibile ridire quel che è successo... ed è meglio che cerchi di riprodurlo con le tinte che
mi regalò il Collalto stesso, con quelle tinte per le quali io sentivo tanta gratitudine verso di lui da
spendere tutto lo scudo che mi aveva dato sua moglie, che è mia sorella, in tanti fuochi d'artificio!...
Che scena! Il dottore, mentre la girandola gli girava dietro le falde, tremava e urlava senza sapere
che cosa fosse accaduto, Luisa era quasi svenuta, gli invitati anch'essi erano tutti impauriti... e io mi
divertivo un mondo, quando a un tratto mio padre in mezzo alla confusione generale mi ha preso
per un orecchio e mi ha accompagnato fin qui, a forza di parolacce e di pedate.
In quel pandemonio mi pareva d'essere, un rivoluzionario russo dopo un attentato allo Zar!
Ma io non avevo per niente l'intenzione di attentare alla vita di Collalto, e volevo fare
semplicemente uno scherzo per esprimere la mia gioia, tant'è vero che non è accaduto nulla di male,
e se la gente che s'è trovata al fatto fosse stata più coraggiosa, tutto sarebbe finito in una risata.
Purtroppo, però, le buone intenzioni dei ragazzi non sono mai riconosciute, ed eccomi qui in
prigione, vittima innocente delle esagerazioni delle persone grandi, condannato a pane e acqua
mentre giù tutti gozzovigliano e si finiscono i dolci!
#
Che giornata eterna!
Ho sentito il rumore della carrozza che portava via gli sposi, poi la voce di Caterina che cantava
la solita canzonetta della Gran Via, mentre metteva a posto i piatti:
Là sulla spiaggia
Che si vede remota...
Tutti sono allegri e contenti, tutti hanno mangiato a crepapelle, e io son qui solo, condannato a
pane e acqua, e tutto questo mi succede per il troppo amor fraterno che mi ha spinto a festeggiare lo
sposalizio di mia sorella.
Il peggio è che si fa sera e io non ho candela fiammiferi... L'idea di dovere star qui solo al
buio mi mette i brividi, e ora capisco tutto quello che doveva soffrire il povero Silvio Pellico e tanti
altri gloriosi superstiti dalle patrie battaglie ingiustamente perseguitati.
Zitti! sento rumore all'uscio... qualcuno apre di fuori!
#
Quand'ho sentito armeggiare nella serratura dell'uscio mi son nascosto sotto il letto perché avevo
paura che fosse il babbo e che venisse per picchiarmi. Invece era la mia cara sorella Ada.
Sono uscito di sotto il letto e l'ho abbracciata gridando; ma lei mi ha detto subito:
- Silenzio, per carità; il babbo è uscito un momento... Guai, se sapesse che son venuta qui da te!...
Prendi! -
E mi ha dato un panino gravido col prosciutto e un involtino di confetti.
L'ho sempre detto io: Ada è la migliore di tutte, e io le voglio molto bene perché lei compatisce i
ragazzi e non li infastidisce con tante prediche inutili.
Mi ha portato anche una candela e una scatola di fiammiferi e Il Corsaro nero del Salgari. Meno
male... Almeno potrò leggere e dimenticare le ingiustizie!
25 ottobre.
È appena giorno.
Ho letto quasi tutta la notte. Che scrittore questo Salgari! Che romanzi!... Altro che i Promessi
Sposi, con quelle descrizioni noiose che non finiscono mai! Che bella cosa essere un corsaro! E un
corsaro nero, per giunta!
Non so che cosa mi sia entrato nel cervello, leggendo tante avventure una più straordinaria
dell'altra... Ma il fatto è che non posso star fermo e sento proprio la voglia di far qualcosa di grande,
che faccia impressione a quelli che mi perseguitano, dimostrando che in certi momenti anche un
ragazzo può diventare un eroe, purché abbia del sangue nelle vene come il Corsaro nero...
Ora ci penso, e qualcosa alla fine farò...
26 ottobre.
Sono ancora nella mia camera... ma, purtroppo, sono in letto malato, e ho
appena la forza di scrivere poche righe su quel che mi è accaduto iermattina.
Ricordo perfettamente che tagliai con un temperino i lenzuoli del letto in
tante strisce, che le annodai insieme, che le fermai da un 'lato a una gamba del
tavolino, e che afferrandomi ad esse, mi calai arditamente fuor della finestra.
Ma a questo punto i ricordi mi si confondono… Battei la testa, questo è
certo: ma dove? Mi pare nel canale della doccia… Poi battei un fianco in terra...
Forse le strisce del lenzuolo si strapparono… Forse non eran fermate bene al
tavolino... Non so... Il fatto è che a un tratto vidi tutte le stelle... e poi buio
pesto!
Ah! rammento che quando riaprii gli occhi mi trovai qui in letto, e vidi il
babbo che girava in su e in giù e si dava i pugni in testa dicendo:
- È impossibile! È impossibile! Questo ragazzo è la mia disperazione! Sarà la
mia rovina!... -
Io avrei voluto chiedergli perdono di essermi rotto la testa, ma non potevo
parlare...
Poi è venuto il dottore, mi ha fasciato ben bene, e alla mamma che piangeva
ha detto:
- Non si spaventi... suo figlio ha la pelle dura!... -
Intanto, però, i miei genitori e le mie sorelle non mi hanno lasciato un minuto
in tutta la giornata, e ogni pochino erano a domandarmi:
- Come va la testa? -
Nessuno s'è azzardato di farmi un rimprovero.
Sfido! Devono aver capito che in fondo un po' di ragione l'ho anche io. Se il
babbo che si vanta, come tutte le persone grandi, d'essere stato sempre buono
quand'era piccino, fosse stato rinchiuso per un'intera giornata in una camera a
pane e acqua, scommetto avrebbe fatto anche lui quel che ho fatto io per riavere
la libertà...
29 ottobre.
Ora sono proprio contento.
Il dottore aveva ragione a dire che ho la pelle dura: son completamente guarito, e per di più tutti
hanno verso di me mille attenzioni e mille riguardi. Ieri ho sentito il babbo che diceva alla mamma:
- Proviamo a trattarlo con dolcezza, a pigliarlo per il suo verso... -
Dev'essere molto pentito d'avermi trattato con tanta severità; e difatti mi ha promesso di
condurmi stasera al teatro, a vedere il celebre prestigiatore Morgan che è qui di passaggio.
Ci verrà anche l'avvocato Maralli, quello con gli occhiali e con quel barbone, che è stato causa di
una gran discussione in casa perché è socialista, e la mamma non lo può soffrire specialmente
quando dice male dei preti e di tutto, e perciò - come dice l'Ada - è una nota volgare nella nostra
conversazione, mentre il babbo sostiene che in fondo è un buon diavolo, che bisogna andar coi
tempi e che il Maralli si va facendo una buona posizione e che finirà certamente deputato.
30 ottobre.
Ho deciso che quando sarò grande farò il prestigiatore. Iersera mi son divertito immensamente al
teatro. Quel Morgan è molto bravo e ha fatto dei bei giuochi. Io, in tutto il tempo che è durata la
rappresentazione, non gli ho levato gli occhi di dosso per scoprire il segreto dei suoi giuochi, ma
molti son troppo difficili. Qualcuno però scommetto che lo saprei fare anche io, come per esempio
quello delle uova, di ingoiare una spada e di prendere in prestito dalle signore un orologio e poi
pestarlo in un mortaio e farlo sparire...
Oggi voglio esercitarmi ben bene in camera mia e poi quando son sicuro della riuscita voglio
dare una rappresentazione in salotto vendendo i biglietti a due soldi alle mie sorelle e a quelli che
vengono in conversazione, e tutti resteranno a bocca aperta e impareranno così a rispettarmi di più.
Oggi, tanto per provare, ho dato una piccola rappresentazione in giardino ai miei amici Renzo e
Carluccio e a Fofo e Marinella che stanno di casa accanto a noi e sono figli della signora Olga che
scrive i libri stampati ed è sempre distratta e sempre affaccendata.
Il biglietto d'ingresso era di un soldo a testa.
- Mi farebbe la gentilezza qualche signora - ho detto - di prestarmi un
orologio d'oro? Lei? -
- Io non ce l'ho, - ha risposto Marinella - ma posso vedere se mi riesce
di pigliar quello della mamma. -
Infatti è corsa in casa ed è tornata in giardino con un bell'orologino
d'oro.
Io che avevo portato con me un piccolo mortaio dove Caterina pesta le
mandorle e lo zucchero quando fa i dolci, vi ho buttato dentro l'orologio
della signora Olga e col pestello ho incominciato a pestarlo ben bene
come fa il Morgan; ma l'orologio era molto duro e non s'è tritato bene,
meno il cristallo che si è stritolato subito in mille bricioli.
- Osservino, signori! - ho detto. - Come loro vedono, l'orologio della
signora Marinella non è più riconoscibile... -
- È vero! - hanno detto tutti.
Ma noi - ho soggiunto io - lo faremo riapparire come era prima! -
Infatti ho rovesciato il mortaio in un fazzoletto dove ho legato
strettamente i pezzi dell'orologio che mi aveva dato Marinella e con molta
sveltezza mi son cacciato il fagottino in tasca. Poi, facendo finta di niente,
ho cavato fuori del petto un altro fagottino che m'ero preparato prima e
cioè l'orologio della mamma che avevo già involtato in un fazzoletto
simile al primo, e mostrandolo agli invitati ho detto:
- Elà, signori, osservino l'orologio ritornato intatto! -
Tutti hanno applaudito rimanendo molto contenti dello spettacolo, e
Marinella ha preso l'orologio della mamma mia credendolo quello della
sua mamma, e così mi son fatto molto onore.
Stasera darò una grande rappresentazione in casa mia, e credo che andrà splendidamente. Ora
preparo i biglietti d'invito.
31 ottobre.
Ah, giornalino mio, come son nato disgraziato! E quel che mi è successo finora non è niente,
perché c'è il caso che io finisca in galera, come mi è stato predetto da più d'uno e, tra gli altri, dalla
zia Bettina...
Sono così avvilito, che in casa non hanno avuto neanche il coraggio di picchiarmi. La mamma mi
ha accompagnato qui in camera mia, e mi ha detto semplicemente:
- Procura di non farti vedere da nessuno... e prega Dio che abbia pietà di te e di me che, per causa
tua, sono la donna più disgraziata di questa terra! -
Povera mamma! A pensare al suo viso pieno di malinconia mi viene da piangere... Ma, d'altra
parte, che ho a fare se tutte le cose, anche le più semplici, mi vanno a rovescio!
Come avevo stabilito, ieri sera volli dare la rappresentazione di giuochi
di prestigio, nel salotto... e in questo non c'era niente di male, tant'è vero
che tutti dissero: - Vediamo, vediamo questo rivale di Morgan! -
Fra gli spettatori, oltre Mario Marri che fa le poesie e porta la caramella,
la signorina Sturli che le mie sorelle dicono che si stringe troppo, e
l'avvocato, c'era anche Carlo Nelli, quello che va vestito tutto per l'appunto
e che ha rifatto la pace dopo che s'era avuto tanto a male che Virginia gli
avesse scritto sul ritratto: Vecchio gommeux.
- Cominceremo dal giuoco della frittata! - dissi io.
Presi dal cappellinaio il primo cappello che mi capitò fra mano, e lo posi
su una sedia, a una certa distanza dal pubblico: poi presi due uova, le ruppi
e versai le chiare e i torli nel cappello, mettendo i gusci in un piatto.
- Stiano attenti, signori! Ora prepareremo la frittata, e poi la metteremo a cuocere!... -
E con un cucchiaio mi misi a sbattere le uova dentro il cappello, avendo nell'idea, dopo, di
levarci la fodera e farlo ritornar pulito come prima.
Il Carli, nel vedermi sbattere le uova dentro il cappello, dètte in una gran risata e gridò:
- Oh, questa è bella davvero!… -
Io, sempre più incoraggiato nel vedere che tutti quanti si divertivano ai miei giuochi, per finire
l'esperimento proprio alla perfezione come avevo visto fare al celebre Morgan, dissi:
- Ora che le uova sono sbattute, io pregherei un signore di buona volontà a reggere il cappello
mentre vado ad accendere il fuoco... -
E rivolgendomi all'avvocato Maralli, che era il più vicino a me, ripresi: - Lei, signore, vuol avere
la gentilezza di reggere il cappello per un minuto? -
L'avvocato accondiscese, e preso il cappello nella destra vi gettò uno sguardo dentro e si mise a
ridere esclamando:
- Toh! Ma io credevo che ci fosse un doppio fondo... Invece ha sbattuto le uova proprio dentro il
cappello!... -
Carlo Nelli che sentì, dètte in un'altra risata più clamorosa della prima, ripetendo :
- Ah, questa è bella!... questa è proprio graziosa!… -
Io, tutto contento, presi nell'ingresso il candelliere con la candela accesa che avevo già preparato
e, ritornato accanto all'avvocato Maralli, glielo misi nella sinistra, dicendo:
- Ecco acceso il fuoco: ora lei, signore, favorisca di tenerlo sotto al cappello, non tanto vicino per
non bruciarlo... Ecco, così... Bravo... Ora poi la frittata è bell'e cotta e spengeremo il fuoco... Ma
come? Ah! Ecco
qui: noi lo spengeremo con la mia pistola... -
Veramente il Morgan adopera una
carabina; ma io, avendo una di quelle
pistole da ragazzi che si caricano con
quei proiettili di piombo a punta da
una parte e con uno spennacchietto
rosso dall'altra, coi quali si tira nel
bersaglio, avevo creduto che fosse la
stessa cosa; e, impugnata la mia arma,
mi impostai dinanzi all'avvocato
Maralli.
In questo punto, molto importante
per la riuscita dell'esperimento,
dovendo io spengere con un colpo
della mia pistola la candela, fui
distratto improvvisamente da due
grida.
Carlo Nelli, avendo a un tratto
riconosciuto nelle mani dell'avvocato
Maralli il proprio cappello, aveva
smesso subito di ridere gridando con
angoscia:
- Uh! Ma quel cappello è il mio! -
Nello stesso tempo l'avvocato Maralli, vedendomi con la pistola stesa, aveva esclamato
sgranando tanto d'occhi dietro gli occhiali:
- Ma è forse carica?...-
In quel momento lasciai andare il colpo, e si udì un urlo:
- Ah, mi ha ammazzato!... -
E l'avvocato Maralli, lasciandosi cadere dalle mani il candelliere e il cappello con le uova dentro
che si sparsero sul tappeto sporcandolo tutto, si gettò su una sedia premendosi il viso con tutt'e due
le mani...
Le signorine Mannelli si svennero, le altre si dettero a urlare, le mie sorelle si messero a piangere
come fontane; Carlo Nelli si precipitò sul suo cappello, ringhiando:
- Assassino!... -
Mia madre, intanto, aiutata da Mario Marri, aveva afferrato l'avvocato Maralli, sorreggendolo e
scostandogli le mani dal viso, dove vidi con terrore, proprio accanto all'occhio destro, lo
spennacchietto rosso del proiettile a punta che gli s'era conficcato nella carne...
Ebbene: posso giurare che ero il più dispiacente di tutti, ma in quel momento io non potei
trattenermi dal ridere, perché il Maralli, con quello spennacchietto rosso ficcato accanto all'occhio,
era proprio buffo...
Allora Carlo Nelli, che in tutta quella confusione aveva sempre seguitato a ripulire il cappello col
fazzoletto, esclamò al colmo dello sdegno:
- Ma quello lì è un delinquente nato!... -
E la signorina Sturli che si era avvicinata al Maralli per vedere che cosa gli era successo,
accorgendosi d'aver macchiata la camicetta di seta bianca col sangue che usciva dall'occhio del
ferito, si mise anche lei a smacchiarsi col fazzoletto, borbottando tutta stizzita:
- Quel ragazzo finirà in galera!... -
Io smessi di ridere, perché incominciavo a capire che la cosa era molto seria.
Mario Marri, aiutato dagli altri invitati, avevano preso l'avvocato Maralli a braccia e l'avevan
trasportato su nella camera dei forestieri; e intanto Carlo Nelli s'era incaricato d'andar a chiamare il
dottore.
Io, rimasto solo in salotto, mi misi in un cantuccio a singhiozzare e a riflettere ai casi miei... e ci
rimasi così triste, dimenticato da tutti, quasi tutta la notte, finché non mi ha scoperto la mamma che
mi ha accompagnato, come ho scritto prima, qui in camera mia...
Pare che l'avvocato Maralli stia molto male.
E io? Io finirò in galera, come dicono tutti!...
Sono disperato, mi gira la testa, mi sento tutto pesto come se mi avessero bastonato... Non ne
posso più, non ne posso più!...
#
Ho dormito e mi sento meglio.
Che ore sono ? Dev'esser tardi perché sento venir su dalla cucina un odorino di stracotto che mi
rallegra un po' lo spirito in mezzo a questo silenzio sepolcrale...
Ma un'idea terribile mi perseguita sempre: quella del processo, della prigione, dei lavori forzati a
vita... Povero me! Povera la mia famiglia!...
Mi sono affacciato alla finestra, e ho visto giù, in giardino, Caterina in gran conciliabolo con
Gigi, quello che mi salvò la vita quando ero per affogare.
Caterina si sbracciava, si accalorava, e Gigi ogni tanto si tirava il cappello sugli occhi, allungava
il collo e spalancava la bocca, come fa lui quando un discorso gli interessa di molto.
Io li guardavo tutt'e due, e capivo benissimo che Caterina raccontava a Gigi il fatto di iersera
dell'avvocato Maralli e che Gigi era molto impressionato del racconto; e capivo anelare che il far
quei gesti che facevano era segno che l'affare era molto serio, e che probabilmente il povero
avvocato stava molto male... A un certo punto anzi, quando Caterina ha alzato le braccia al cielo,
m'è venuto anche il dubbio terribile che il povero Maralli fosse morto...
Eppure bisogna, giornalino mio, che ti confessi una cosa: nel vedere quei due far tutti quei gesti,
non ne potevo più dal ridere.
Che io sia davvero un delinquente nato, come ha detto iersera Carlo Nelli?
Ma il buffo poi è questo, caro giornalino: che ora, ripensando a questa cosa del
delinquente nato, mi vien da piangere perché più ci rifletto e più mi par proprio
d'essere un ragazzo venuto al mondo per soffrire e far soffrire, e dico fra me: - Oh
quant'era meglio che Gigi mi avesse lasciato affogare quel giorno! -
Zitti!... sento rumore nell'andito...
Ah! forse il Maralli è morto davvero... forse i carabinieri vengono ad arrestarmi
per omicidio...
Ma che carabinieri!... Era la mamma, la mia buona mamma che è
venuta a portarmi da mangiare e a darmi notizie dell'avvocato
Maralli!…
Ah, giornalino mio, che peso mi son levato dalla coscienza!...
Salto e ballo per la stanza come un> pazzo dall'allegria...
L'avvocato non è morto, e non c'è neanche pericolo di morte.
Pare che tutto si ridurrà alla perdita dell'occhio, perché è rimasto
offeso non so che nervo... e il dottore ha assicurato che il Maralli tra
una diecina di giorni potrà andar fuori.
La mamma quand'è venuta era molto seria, ma poi quando è
andata via era allegra come me, certamente perché anche, lei deve
aver capito la ragione.
Siccome quando è entrata in camera io ero molto spaventato
perché credevo che fossero i carabinieri, ella mi ha detto:
- Ah, meno male che, se non altro, hai rimorso di quel che hai
fatto!... Io sono stato zitto, e allora lei mi ha preso tra le braccia, e
guardandomi in viso mi ha detto, ma senza sgridarmi, anzi con voce
piangente:
- Lo vedi, Giannino mio, quanti dispiaceri, quante disgrazie per
colpa tua!... -
Io allora, per consolarla, le ho risposto:
- Sì, lo vedo: ma se son disgrazie, scusa, che colpa ci ho io? -
Lei allora mi ha rimproverato perché io mi ero messo a fare i
giochi di prestigio, e io le ho detto:
- Ma se quando mi son messo a farli, tutti quelli che erano in salotto si divenivano ed erano felici
e contenti!...
- Perché non potevano prevedere quello che hai fatto dopo...
- E io lo potevo forse prevedere? Sono forse indovino io? -
Allora lei ha tirato fuori l'affare del cappello di Carlo Nelli che dice è andato via impermalito,
perché gliel'ho tutto insudiciato con le uova.
- Va bene - ho detto io. - Ma anche quella è stata una disgrazia, perché io ho preso un cappello
qualunque dal cappellinaio, e non sapevo che fosse il suo.
- Ma, Giannino mio, se fosse stato d'un altro non sarebbe stato lo stesso? -
Così ha detto la mamma, ed era qui che l'aspettavo.
- No, che non sarebbe stato lo stesso... per Carlo Nelli! Infatti, quando egli si è accorto che io non
sapevo più come rimediare il giuoco e che il cappello ormai era rovinato, il signor Carlo Nelli
rideva a crepapelle, credendo che il cappello fosse d'un altro, e diceva: - Ah, questa è bella! Questa è
graziosa! - Mentre invece, quando poi s'è accorto che il cappello era suo, ha detto che io ero un
delinquente nato!.. Sempre così!.. Tutti così!.. E anche il Maralli rideva e si divertiva, perché aveva
visto che il cappello non era il suo, e se lo avessi poi anche sfondato con un colpo di pistola, si
sarebbe divertito più che mai... Invece la disgrazia ha voluto che cogliessi lui vicino a un occhio, ed
ecco che allora tutti danno addosso al povero Giannino, e tutti si mettono a gridare che Giannino
finirà in galera... Sempre così!… Tutti così!.. Anche la zia Bettina mi ha detto a questo modo, e ce
l'ha a morte con me... E, in fondo, che avevo fatto di male? Avevo sradicato dal vaso una pianticella
di dìttamo che costerà due centesimi... Ma siccome io son nato disgraziato, per l'appunto s'è data la
combinazione che quella pianta era stata data alla zia Bettina da un certo Ferdinando, e pare anzi, a
quanto dice lei, che ci sia dentro, in quella pianta, lo spirito di questo signore...
A questo punto la mamma mi ha interrotto piena di curiosità, dicendomi:
- Come, come?... Raccontami tutto per bene: come ti disse la zia Bettina?... -
E ha voluto che le dicessi tutto il fatto del dìttamo e le ripetessi quel che mi disse la zia Bettina,
parola per parola; e poi s'è messa a ridere, e poi mi ha detto:
- Cerca di star qui, zitto e tranquillo... Poi ritornerò, e, se sei stato buono, ti porterò per merenda
un po' di conserva di pesche... -
E se n'è andata giù, e ho sentito che chiamava l'Ada e la Virginia dicendo:
- Ah, ve ne voglio raccontare una carina!... -
Meno male. Io l'ho sempre detto: fra tutti, la mamma è quella che capisce di più la ragione, e che
sa distinguere se una cosa succede per disgrazia o per cattiveria.
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C'è stata l'Ada a portarmi la cena e ha voluto anche lei che le raccontassi il fatto del dìttamo della
zia Bettina.
Mi ha dato ottime notizie. Un'ora fa c'è stato il dottore daccapo e ha detto che l'avvocato Maralli
va molto meglio, ma che deve stare in camera al buio almeno per una settimana.
Capisco che dev'essere una cosa seccante: ma è anche più seccante il dovere stare relegati in una
camera senza esser malati, come son costretto a star io.
Ma ci vuol pazienza. Ada mi ha detto che il babbo è molto arrabbiato, che non mi vuol più
vedere e che perciò bisogna aspettare che gli passi l'inquietudine e allora con l'intromissione della
mamma tutto sarà appianato.
Intanto io vo a letto, perché ho molto sonno.
1° novembre
Oggi, mentre il babbo era fuori, Ada è venuta a darmi le notizie dell’avvocato Maralli, che va
sempre migliorando, e a dirmi se volevo scendere in salotto, col patto che dopo una mezz’oretta
ritornassi in camera mia.
Io sono sceso molto volentieri, per cambiare aria; e dopo poco è venuta la signora Olga a far
visita alla mamma e mi ha fatto molte feste, dicendo che ero cresciuto, che avevo gli occhi
intelligenti, e molte altre cose che dicono le donne di noi ragazzi, quando discorrono con le nostre
mamme.
Però mia sorella Virginia, che era venuta in quel momento, ha creduto bene di farmi subito
scomparire, dicendo che ero troppo spensierato, ed è entrata a parlare del fatto dell’altra sera che ha
raccontato naturalmente a modo suo, esagerando, come fa sempre lei, e portando alle stelle la
rassegnazione della povera vittima (così chiama l’avvocato) che rimarrà privo di un occhio per tutta
la vita.
Però, la signora Olga che è una persona molto istruita e che scrive i libri, ha detto che la vittima
era da compiangersi, ma che era stata una disgrazia; e io ho aggiunto subito:
- Sicuro: e una disgrazia voluta, perché se l'avvocato fosse stato fermo come dicevo io, non avrei
sbagliato la mira... -
Dopo molti discorsi la signora Olga ha tirato fuori l'orologio e ha detto:
- Mio Dio! Già le quattro! -
La mamma allora ha osservato:
- Curiosa! Lei ha un orologio che somiglia perfettamente al mio...
- Ah, ? - ha risposto la signora Olga - e se l'è riposto in seno, mentre Virginia che le stava di
dietro faceva dei cenni con le mani alla mamma che non capiva niente.
Quando poi la signora Olga se n'è andata, Virginia, che ha sempre il vizio di chiacchierare e di
ficcare il naso nelle cose che non le appartengono, ha esclamato:
- Ma mamma! Non hai visto che, oltre all'orologio, aveva anche un ciondolo preciso al tuo?... È
una cosa strana!... -
E son salite tutte in camera della mamma per pigliar l'orologio... Ma l'orologio non c'era, perché
l'avevo preso io l'altro giorno per fare i giuochi di prestigio nel giardino.
È impossibile descrivere come son rimaste la mamma, l'Ada e Virginia. L'Ada è corsa subito in
camera sua, ed è tornata dicendo:
- Ma io ve ne dirò un'altra... un'altra che è anche più straordinaria, tanto che, prima di dirla, ho
voluto sincerarmi. Quando la signora Olga si è soffiata il naso ho osservato che aveva un fazzoletto
di tela batista col ricamo come quello che mi regalasti tu, mamma, per la mia festa. Ebbene: ora
sono andata a vedere nel mio cassetto e me ne manca proprio uno!... -
Sfido! È il fazzoletto che presi l'altro giorno per fare il gioco di prestigio in giardino, e che
consegnai a Marinella con dentro l'orologio della mamma!...
Ebbene: per queste due cose così semplici, la mamma e le mie due signore sorelle sono state a
chiacchierare più d'un'ora con mille: Ah! Oh! Uh! e sono andate a ricercare l'ultimo giorno che la
signora Olga era stata da noi, che fu l'altro lunedì, e si son ricordate che la mamma l'aveva fatta
passare in camera sua, e finalmente Ada ha concluso tutte le discussioni così:
- Questo è un caso di cleptomania. -
Questa parola io la conosco per averla letta più di una volta nel giornale del babbo, e so che è una
specie di malattia curiosissima, che spinge la gente a rubare la roba degli altri senza neanche
accorgersene.
Io allora ho detto:
- Sempre l'esagerazioni!... -
E avrei voluto spiegare la cosa, salvando la signora Olga da un'accusa ingiusta; ma siccome
Virginia è saltata su a dire che io sono un ragazzo e che dovevo stare zitto, e guai, anzi, se avessi
detto a qualcuno del fatto al quale avevo assistito, così io le ho piantate, lasciando che se la
sbrigassero fra loro.
Quanta superbia hanno i grandi! Ma questa volta si accorgeranno che, anche essendo ragazzi, si
può giudicare le cose molto meglio di loro, che voglion sempre saper tutto!...
2 novembre.
Oggi è il giorno dei morti e si va al Camposanto a visitare la
tomba dei poveri nonni e quella del povero zio Bartolommeo che
morì due anni sono, purtroppo, e che se fosse campato m'avrebbe
regalato una bella bicicletta che m'aveva promesso tante volte...
La mamma mi ha detto di vestirmi alla svelta, e che in questa
circostanza solenne, se mi porterò bene, il babbo forse rifarà la
pace con me.
Meno male! Finalmente la giustizia trionfa, e l'innocente non è più perseguitato da chi dovrebbe
invece capir la ragione, senza dar sempre addosso al più piccino perché non si può difendere.
#
Prima di andare a letto voglio registrare qui, nel mio caro
giornalino, il fatto d'oggi che è stato quello di essere stato
perdonato dal babbo; però c'è mancato poco che tutto andasse
all'aria, e anche questa volta proprio per una sciocchezza.
Oggi, dunque, prima d'uscir di casa, il babbo mi ha consegnato
una corona di fiori e mi ha detto dandomi del voi, con quella voce
grave che fa sempre quando è stato adirato con me e che, dopo un
pezzo, si decide a ridiscorrere:
- Speriamo che il pensiero dei poveri nostri nonni vi ispirino a
diventar migliore di quel che siete... -
Io, naturalmente, non ho fiatato, ben sapendo che in queste
circostanze ai ragazzi è proibito di dir liberamente le loro ragioni:
ho chinato la testa come si fa quando si diventa rossi, e ho
guardato di sotto in su il babbo, che mi fissava con tanto di
cipiglio.
Intanto la mamma ci ha chiamati, perché la carrozza che aveva
mandato a prendere per Caterina era pronta, e ci siamo montati
tutti, meno la Virginia che è rimasta in casa, perché doveva venire
il dottore dall'avvocato Maralli che va sempre migliorando.
Io ho detto alla mamma:
- Se permetti vado a cassetta, così ci state più comodi. -
E così ho fatto, anche perché a cassetta mi diverto molto di più, specialmente quando si piglia la
carrozza a ore, perché allora si va piano e il fiaccheraio mi lascia anche tener le guide.
- Che bella giornata! - ha detto l'Ada. - E quanta gente!... Infatti quando siamo entrati nel
Camposanto pareva d'essere al passeggio ed era un bel colpo d'occhio il vedere tutte quelle famiglie
che formicolavano nei viali cariche di fiori variopinti per i loro poveri defunti.
Abbiamo visitato le tombe dei poveri nonni e del povero zio, e pregato per loro come si fa tutti
gli anni, e poi si è fatto il giro del Camposanto per vedere le nuove tombe.
A un certo punto ci siamo fermati a una tomba in costruzione e l'Ada ha detto:
- Ecco la cappella della famiglia Rossi della quale discorre tanto la Bice...
- Che lusso! - ha osservato la mamma - quanto costerà?
- Tre o quattromila lire di certo! - ha risposto il babbo.
- Farebbero meglio a pagare i debiti che hanno!... - ha detto l'Ada.
Io ho colto l'occasione per riparlare col babbo e gli ho domandato:
- E a che serve questo fabbricato?
- Serve per seppellirvi via via tutta la famiglia Rossi...
- Come! Sicché anche la signorina Bice sarà sotterrata qui dentro?
- Certamente. -
Io non ne potevo più, e mi son messo a ridere come un matto.
- Che c'è da ridere?
- C'è che questa cosa di farsi fare, quando uno è vivo, la casa per quando sarà morto, mi pare
dimolto buffa, ecco!...
- Eh! - ha detto il babbo - sotto un certo punto di vista, infatti, è una vanità come tante altre...
- Sicuro! - è saltata su a dire Ada. - Come quella di avere il palco di suo al teatro, e non so come
Bice non si vergogni a farcisi vedere, sapendo che suo padre ha dovuto pigliare altri quattrini in
prestito dalla banca... E qui il babbo, la mamma e l'Ada si son messi a chiacchierar tra di loro, e
siccome io mi seccavo, avendo visto di lontano Renzo e Carluccio li ho raggiunti e ci siamo messi a
fare ai cavalli lungo i viali che si prestano molto bene, essendo tutti coperti di ghiaia e avendo ai lati
le barriere da saltare nei recinti pieni d'erba, purché però non veggano i guardiani perché è proibito.
A un tratto mi son sentito pigliar per il goletto. Era il babbo tutto infuriato perché, a quanto pare,
mi cercava da un pezzo con la mamma e l'Ada.
- Proprio non e' è nulla di sacro per te! - mi ha detto con voce severa. - Anche qui, dove si viene
per piangere, trovi il modo di far delle birichinate!...
- Vergogna! - ha soggiunto Ada dandosi una grande aria di superiorità - mettersi a fare il chiasso
in Camposanto!... -
Allora io mi son ribellato e le ho detto:
- Ho fatto il chiasso con Carluccio e Renzo perché son piccino e voglio bene ai miei amici anche
nel Camposanto, mentre invece ci sono le ragazze grandi che vengono qui a dir male delle loro
amiche!... -
Il babbo ha fatto una mossa come per picchiarmi, ma l'Ada l'ha fermato e ho sentito che ha
borbottato:
- Lascialo stare, per carità... Sarebbe capace d'andare a ridirlo a Bice! -
Ecco come sono le sorelle maggiori! Esse difendono qualche volta i loro fratelli minori, ma
sempre per interesse e contro il trionfo della verità e della giustizia!
Credevo che la bufera scoppiasse poi a casa, ma una grande novità che abbiamo trovato al nostro
arrivo ha dissipato ogni malumore.
Virginia ci è venuta incontro, ridendo e piangendo nello stesso tempo, e ci ha raccontato che il
dottore aveva trovato l'avvocato Maralli molto migliorato e che ormai poteva garantire non soltanto
la prossima guarigione, ma anche che non avrebbe altrimenti perduto l'occhio che fino ad ora aveva
creduto in pericolo.
È impossibile ripetere la contentezza prodotta in noi da una sì grata e inaspettata notizia.
Io ho avuto molto piacere, anche perché tutto questo dimostra che in fondo quelle che chiamano
le mie birbonate sono vere inezie, e che sarebbe ora di finirla con le esagerazioni e le persecuzioni!
5 novembre.
In questi giorni non ho avuto un minuto di tempo per scrivere nel mio caro
giornalino, e anche oggi ne ho pochissimo, perché ho da fare le lezioni.
Proprio così. Si sono riaperte le scuole, e io ho messo giudizio e voglio
proprio studiare sul serio e farmi onore, come dice la mamma.
Con tutto questo, non posso esimermi di mettere qui, nel giornalino delle
mie memorie, il ritratto del professore di latino, che è così buffo, specialmente
quando vuol fare il terribile e grida:
- Tutti zitti! Tutti fermi! E guai se vedo muovere un muscolo del viso!
Per questo noialtri fino dai primi giorni gli abbiamo messo il soprannome di Muscolo e ora non
glielo leva più nessuno, campasse mill’anni!
In questi giorni, in casa nulla nuovo. L'avvocato Maralli va sempre migliorando, e tra un paio
di giorni il dottore gli sfascerà l'occhio e gli permetterà di riveder la luce.
Ieri venne in casa una commissione del partito
socialista per rallegrarsi con lui della guarigione,
e c'è stato un po' di battibecco tra la mamma e il
babbo, perché la mamma non voleva lasciar
passare questi eresiarchi, come li chiama lei, e il
babbo invece li fece entrare in camera
dell'avvocato che mi fece proprio ridere perché
disse: - Sono molto contento di vedervi - mentre
invece eran tutti al buio.
Basta: dopo che furono andati via, il Maralli,
parlando col babbo, gli disse che proprio era
felice di avere avuto in questa circostanza tante
manifestazioni di stima e di simpatia dalla
cittadinanza...
E pensare che sul principio, a sentir quelli di
casa mia, pareva che l'avessi ammazzato!...
6 novembre.
Ieri, mentre studiavo la grammatica latina, stando attento a quel che dicevano tra loro la mamma
e Ada, ne ho sentita una carina.
Si tratta della signora Olga e della sua pretesa cleptomania. Pare dunque
che la mamma abbia avvertito della cosa, con tutta la delicatezza possibile, il
marito della signora Olga che è il signor Luigi, un bolognese che discorre in
napoletano quando discorre, ma discorre poco perché è burbero e pare che ce
l'abbia con tutti, benché invece sia il più buon uomo di questo mondo, pieno di
cuore e che vuol bene ai ragazzi e li sa compatire.
Il signor Luigi, a quanto ho sentito, rimase molto sorpreso della notizia che
gli dètte la mamma, e stentava a crederci; ma quando toccò con mano che
l'orologio della signora Olga era quello della mamma, si convinse... e, con una
scusa fece visitare sua moglie da un celebre dottore, il quale sentenziò che la
cosa era possibilissima trattandosi di un temperamento molto nervoso, e
prescrisse una cura ricostituente.
Il fatto che le hanno ordinato questa cura l'ha raccontato lei ieri sera alla
mamma; ma lei crede che sia per una malattia di debolezza che il medico le ha
riscontrato, e ha detto anzi, che se l'è levata di testa lui perché lei sta benissimo
e che fa la cura unicamente per contentar suo marito.
Naturalmente io mi son divertito molto a questa scena, e spero di divertirmi
anche di più in seguito.
Intanto stamani ho colto il momento che nessuno badava a me e sono
andato in camera di Ada dove le ho preso tutti i fazzoletti che ho trovato; poi,
passando dal salotto da pranzo, ho preso l'ampolliera d'argento e me la son
nascosta sotto alla blouse; e finalmente sono andato in giardino, ho chiamata
Marinella e, con la scusa di fare a nascondersi, sono andato in casa sua e ho
lasciato l'ampolliera nella sua stanza da pranzo. In quanto ai fazzoletti li ho
dati a Marinella dicendole di portarli in camera della sua mamma, ciò che ha
fatto subito; e di lei son sicuro, perché Marinella è una bambina piuttosto
silenziosa e sa tenere il segreto.
E ora aspettiamo quest'altro atto della commedia!
7 novembre.
Stamani a scuola alla lezione di latino n'è successa una che merita davvero
d'esser raccontata.
Renzo, che sta di posto accanto a me, aveva portato un po' di pece presa nel
negozio di suo zio, che fa il calzolaio; e io, colto il momento che un compagno
che davanti a noi si era alzato per andare a dir la lezione, ho steso ben bene questa
pallottolina di pece nel posto dove sta a sedere questo ragazzo che è Mario Betti,
ma noi si chiama il Mi' lordo perché va vestito tutto per l'appunto e all'inglese,
mentre invece ha sempre il collo e gli orecchi così sudici, che pare proprio uno
spazzaturaio travestito da signore.
Naturalmente quando è ritornato al suo posto non si è accorto di niente. Ma
dopo un po' di tempo la pece sulla quale stava a sedere gli s'era riscaldata sotto e
ha fatto presa sui calzoni in modo che egli, nel moversi, e nel sentirsi tirare per di
dietro, ha cominciato a borbottare e a smaniare.
Il professore se n'è accorto, e allora tra Muscolo e il Mi' lordo è avvenuta una
scena da crepar dal ridere.
- Che c'è lì? Che ha il Betti?
- Ecco, io...
- Zitto!
- Ma...
- Fermo!...
- Ma io non posso...
- Zitto e fermo! Guai se lo vedo muovere un muscolo!…
- Ma scusi, io non posso...
- Non può? Non può star zitto né fermo? Allora esca dal suo posto...
- Ma io non posso...
- Vada fuori di scuola!
- Non posso...
- Ah!... -
E con un ruggito Muscolo si è scagliato sul povero Mi' lordo e afferratolo
per un braccio lo ha tirato fuori del banco, con l'intenzione di buttarlo fuori di
scuola, ma l'ha lasciato subito, perché ha sentito un gran crac e s'è accorto che
un pezzo dei calzoni di quel povero ragazzo era rimasto attaccato sul sedile.
Muscolo è rimasto male... ma è rimasto peggio il Mi' lordo; e bisognava vederli tutti e due
impappinati a guardarsi in faccia, senza che nessun de' due si potesse spiegare l'accaduto.
Una risata clamorosa è rimbombata nella classe, e il professore, rovesciando su tutti la sua
rabbia, ha urlato:
- Tutti fermi! Tutti zitti! Guai se... -
Ma non ha avuto il coraggio di finire il suo solito ritornello. Eh sì! altro che muscolo! Tutta la
scolaresca era a bocca spalancata, ed era impossibile, anche volendo, che qualcuno si potesse
frenare...
Basta. Dopo, per questo fatto, è venuto il Prèside, e per l'affare della pece siamo stati interrogati
in sette o otto di noialtri, che stiamo nel banco dietro a quello del Mi' lordo, ma non ci sono state
spiate, fortunatamente, e la cosa è rimasta lì.
Però il Prèside, guardandomi fisso, ha detto:
- Stia attento chi è stato, ché può essere che la paghi quando meno se l'aspetta. -
Oggi il dottore ha sfasciato l'occhio all'avvocato Maralli e ha detto che domani potrà
incominciare a tenere l’imposta della finestra un po' aperta, in modo che passi nella camera appena
un filo di luce.
9 novembre.
Ieri la mamma e Ada sono andate a render la visita alla signora Olga e quando
son tornate ho sentito che dicevano fra loro:
- Hai visto? Aveva un altro fazzoletto mio!
- E l'ampolliera d'argento? Ma io mi domando come avrà fatto a portar via
l'ampolliera! Dove se la sarà nascosta?
- Uhm! È proprio una malattia seria... Bisogna avvertire suo marito stasera stessa.
-
Io ridevo dentro di me, ma ho fatto finta di nulla, e anzi, ho detto a un tratto:
- Chi è malato, mamma?
- Nessuno, - ha risposto subito Ada, con quella sua solita aria di superiorità, come
per dire che io, essendo un ragazzo, non devo saper niente.
E pensare che invece ne so tanto più di loro!...
15 novembre.
Sono diversi giorni che non scrivo nulla nel mio giornalino, e questo dipende
dall'avere avuto in questo tempo troppo da lavorare per la scuola. Basta dire sono
stato mandato via due volte perché appunto, con tutta la mia buona volontà, non ero
arrivato a far tutto il compito che ci avevan dato! Ma oggi non posso proprio fare a
meno di registrare qui, in queste pagine dove confido tutti i miei pensieri, una
grande notizia, una notizia strepitosa che dimostra come i ragazzi. anche quando
fanno del male, in fondo lo fanno sempre a fin di bene, mentre i grandi, per quel
gran viziaccio di esagerare che hanno, ci perseguitano ingiustamente, perché qualche
volta son costretti a riconoscere il loro torto come sarebbe appunto nel caso nostro.
Ed ecco la grande notizia: l'avvocato Maralli iersera, in una lunga conversazione che ha avuto col
babbo, gli ha chiesto la mano di Virginia.
Questo fatto ha messo la rivoluzione in casa. La mamma, appena l'ha saputo s'è messa a urlare
che sarebbe stato un delitto il sacrificare una povera figliuola nelle mani di quell'uomo senza
principi e senza religione, e che lei non avrebbe mai e poi mai dato il suo consenso.
Il babbo, invece, sostiene che il Maralli è un ottimo partito per Virginia sotto tutti gli aspetti,
perché è un giovane molto avveduto e che farà carriera e che bisogna adattarsi ai tempi, molto più
che oggi l'essere socialista non è una cosa brutta come venti anni sono.
Virginia ragione al babbo, e ha detto che il Maralli è quel che si può desiderare di meglio, e
che lei, giacché s'è presentata l'occasione d'accasarsi, non se la vuol lasciare scappare.
Anche io avrei piacere che questo sposalizio si facesse, perché così ci sarà un altro pranzo
nozze, e chi sa quanti dolci e quanto rosolio!...
16 novembre.
Stamani Ada ha pianto e strepitato con la mamma, perché dice che non è giusta che anche
Virginia si sposi mentre lei deve marcire in casa, condannata a restare zittellona come la zia Bettina;
e che se il babbo dà il permesso a Virginia di sposare un socialista non c'è ragione di proibire a lei di
sposare il De Renzis che è povero, ma è un giovane distinto, e che in seguito potrà farsi una bella
posizione.
18 novembre.
Le bambine, in generale, sono dei veri tormenti, e non somigliano punto a noi ragazzi. Ora ne
verrà una in casa nostra a passare una settimana, e mi ci vorrà una bella pazienza...
Ma la mamma, se sarò buono, mi ha promesso di regalarmi una bicicletta e io farò il possibile
per dimostrarmi gentile con questa bambina che, a quanto ho sentito, deve arrivare domani.
È questa la sesta volta a far poco che mi promettono un velocipede, e, pare impossibile, tutte le
volte è successo qualche cosa che mi ha impedito di averlo. Speriamo che questa sia la buona!
La bambina che si aspetta è una nipotina dell'avvocato Maralli, il quale ha scritto a una certa
signora Merope Castelli, che è una sua sorella maritata a Bologna, di venire qui con la figlia per
conoscere la sua futura cognata che sarebbe la mia sorella Virginia.
Ormai pare che per lo sposalizio tutto sia concluso, e tanto la mamma che l'Ada, iersera, dopo
una gran predica fatta dal babbo, hanno finito con l'acconsentire.
19 novembre.
Siamo andati alla stazione a prendere la signora Merope Castelli e Maria, che a
vederla è una bambina qualunque, ma che discorre in bolognese in modo che fa
proprio ridere, perché non ci si capisce niente.
Tutti in casa sono felici e contenti che sieno venute queste nostre future parenti,
e anche io ne godo moltissimo, tanto più che Caterina ha preparato due bei dolci,
uno con la crema e uno con la conserva di frutta perché ciascuno scelga secondo il
proprio gusto, come farò io che, non avendo preferenze, li sceglierò tutt'e due.
20 novembre.
È passato un giorno della settimana e ho fatto tutti gli sforzi possibili e immaginabili per esser
buono come promisi l'altro giorno alla mamma.
Ieri, dopo scuola, ho fatto i balocchi con Maria e l'ho trattata molto bene adattandomi a giuocare
tutto il giorno con la sua bambola che è molto bella ma è anche parecchio noiosa.
La bambola di Maria si chiama Flora ed è grande quasi quanto la sua padroncina. Ma l'unica cosa
di divertente che abbia questa bambola è il movimento degli occhi che quando è ritta stanno aperti e
quando la si mette a diacere si chiudono.
Io ho voluto capacitarmi di questa cosa e le ho fatto un buco nella testa dal quale ho potuto
scoprire che il movimento era regolato da un meccanismo interno molto facile a capirsi. Infatti l'ho
smontato e ho spiegato a Maria come stavano le cose, ed ella si è interessata alla spiegazione, ma
dopo, quando ha visto che gli occhi della bambola erano rimasti storti e non si chiudevano più, si è
messa a piangere come se le fosse accaduta una disgrazia sul serio.
Come sono sciocche le bambine!
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La Maria ha fatto la spia al suo zio dell'affare della bambola, e
stasera l'avvocato ,Maralli mi ha detto:
- Ma dunque tu, Giannino mio, ce l'hai proprio con gli occhi degli
altri!... -
Però dopo un poco ha ripreso sorridendo:
- Via, via, faremo accomodare gli occhi della bambola... come si
sono accomodati i miei. E del resto, cara Maria, bisogna consolarsi
nel pensare che tutte le disgrazie non vengono per nuocere. Guarda
quella toccata a me, per esempio! Se Giannino
non mi tirava una pistolettata in un occhio io non sarei stato così pietosamente ospitato e assistito
in questa casa, non avrei avuto modo forse di apprezzare tutta la bontà della mia Virginia... e non
sarei ora il più felice degli uomini! -
A queste parole tutti si sono commossi, e Virginia mi ha abbracciato piangendo.
In quel momento io avrei voluto dire tutto quello che mi passava nell'animo, ricordando le
ingiustizie patite e facendo conoscere col fatto che i grandi hanno torto di perseguitare i ragazzi per
ogni nonnulla, ma sono stato zitto perché ero commosso anch' io.
22 novembre.
Riaprendo il giornalino, e rileggendo le ultime parole scritte ieri l'altro mi si riempie l'anima
malinconia e dico fra me: - Tutto è inutile, e i grandi non si correggeranno mai… -
E intanto anche questa volta, addio bicicletta!
Mentre scrivo sono qui barricato in camera mia, e deciso a non cedere finché non avrò la
sicurezza di non essere picchiato dal babbo.
Il fatto, come sempre, si riduce a una inezia e la causa di esso dovrebbe procurarmi un premio
invece che un gastigo, avendo io fatto di tutto per obbedire la mamma che ieri, prima di andar via di
casa con le mie sorelle e con la signora Merope per far delle visite, mi aveva detto: - Cerca di
divertire Maria, mentre siamo fuori, e abbi giudizio. -
Io, dunque, dopo aver fatto con lei da cucina e qualche altro giuoco, tanto per contentarla,
essendomi seccato a queste stupidaggini da bambini, le ho detto:
- Guarda, è quasi buio e c'è un'ora prima di andare a desinare: vogliamo fare quel bel giuoco,
come ti feci vedere ieri in quel bel libro di figure? Io sarò il signore e tu lo schiavo che io
abbandono nel bosco...
- Sì! Sì! - ha risposto subito.
La mamma, con le mie sorelle e la signora Merope non erano ancora tornate; Caterina era a
preparare da mangiare in cucina: e io ho condotto Maria in camera mia, le ho levato il vestitino
bianco, e le ho messo il mio di panno turchino, perché sembrasse proprio un ragazzo. Poi ho preso
la mia scatola di colori e le ho tinto la faccia da mulatto, ho preso un paio di forbici e siamo scesi
giù nel giardino, dove ho ordinato allo schiavo che mi venisse dietro.
Eravamo giunti in un viale solitario, quando rivolgendomi a Maria, ho raggiunto:
- Senti: ora ti taglio i riccioli, come nel racconto, se no ti riconoscono.
- La mamma non vuole che tu mi tagli i capelli! - ha risposto lei mettendosi a piangere. Ma io
non le ho dato retta: le ho tagliato tutti i riccioli perché altrimenti non era possibile fare quel gioco.
Poi l'ho messa a sedere su una pietra, vicino alla siepe, dicendole che doveva far finta d'essere
smarrita. E mi sono avviato tranquillamente verso casa.
Intanto ella urlava, urlava proprio come se fosse stato uno schiavo vero, e io mi tappavo gli
orecchi per non sentire perché volevo seguitare il gioco fino in fondo. Il cielo era stato tutto il
giorno coperto di nuvole, e in quel momento cominciarono a venir giù certi goccioloni grossi
grossi... Quando sono entrato in salotto tutti erano a tavola ad aspettarci. Sulla tovaglia c'era un
bellissimo vassoio pieno di crema e di savoiardi che mi hanno fatto venir subito l'acquolina in
bocca.
- Oh, eccoli finalmente! - ha esclamato la mamma vedendomi, con un respirone di sollievo. -
Dov'è Maria? Dille che venga a pranzo.
- Abbiamo fatto il gioco dello schiavo, - ho risposto. - Maria deve fingere di essersi smarrita.
- E dove si è smarrita? - ha domandato la mamma ridendo.
- Oh, qui vicino, nel viale dei Platani, - ho continuato, mettendomi a tavola a sedere.
Ma il babbo, la mamma, la signora Merope e l'avvocato Maralli sono scattati in piedi, come se la
casa fosse stata colpita da un fulmine, mentre invece tonava appena appena.
- Dici sul serio? - mi ha domandato il babbo, stringendomi forte il braccio, e imponendo agli altri
di mettersi a sedere.
- Sì; abbiamo fatto quel giuoco del signore e dello schiavo. Per questo ho dovuto travestirla da
mulatto; e io che facevo il padrone che l'abbandonava l'ho lasciata sola laggiù; poi viene la fata, che
la conduce in un palazzo incantato, e lei diventa, non si sa come, la più potente regina della terra. -
Nessuno ha più messo un boccone in bocca, dopo che ebbi detto questo, meno io. La signora
Merope si torceva le mani dalla disperazione e diceva che la bambina sarebbe morta dallo spavento,
che aveva paura dei tuoni, che le sarebbe venuta certamente una malattia, e altre esagerazioni simili.
A sentirla, pareva che dovessero succedere tutti i guai del mondo per un po' di freddo e un po'
d'umidità.
- Brutto! Cattivo! Scellerato! - ha esclamato Virginia, strappandomi di mano i biscotti che stavo
per mangiare. - Non la finisci mai con le birbonate? Che coraggio hai avuto di venire in casa e di
lasciare quell'angiolo caro, laggiù. sola, al freddo e al buio? Ma che cosa ti viene fuori dalla tasca?
- Oh nulla, sono i capelli di Maria. Glieli ho dovuti tagliare perché non fosse riconosciuta. Non
ho detto che l'ho travestita da mulatto, con i capelli corti e la faccia nera? -
Qui la signora Merope si è fatta pallida pallida, ed ha chinato la testa.
La mamma ha cominciato a spruzzarle il viso con l'aceto, e piangeva e singhiozzava. Il babbo si
è alzato per andare a prendere una lanterna. Che furia d'andare a cercare quella bambina! Nemmeno
se fosse stata un oggetto di valore! Mi faceva stizza di veder la casa in iscompiglio per una cosa da
nulla. Il fatto è che mi è toccato di smetter di mangiare per andare a far vedere in che posto avevo
lasciato Maria.
Era una vergogna sentire quello che dicevano di me; pareva che non fossi presente! Dicevano
che ero un disubbidiente, uno sbarazzino, uno scellerato, un ragazzo senza cuore, come se le avessi
tagliato la testa, invece dei capelli!
Questo è il fatto nella sua semplicità. La signora Merope parte oggi per Bologna, perché non mi
può più vedere, e perché ha piovuto mentre che la sua bambina era smarrita nel viale. E io che mi
infradiciai tutto per andare a cercare Maria, non ebbi in ricompensa baci, abbracci, non ebbi
una tazza di brodo bollente con l'uovo dentro, come lei, non ebbi un bicchierino di marsala con i
biscottini, la crema e le frutte, mi stesero sul sofà per farmi tante carezze. Neppur per sogno! Fui
invece cacciato in camera come un cane, e il babbo disse che sarebbe venuto su per conciarmi per il
delle feste. So purtroppo quel che vogliono dire queste minacce. Ma io feci le barricate, come
nelle città in tempo di guerra, e non mi prenderanno che sulle rovine del lavamano e del tavolino da
scrivere che ho messo contro l'uscio.
Zitto! Sento del rumore... che sia l'ora del combattimento? Ho le provvigioni in camera, l'uscio è
chiuso a chiave, ci ho messo davanti il letto, sopra il letto c'è il tavolino da scrivere, sul tavolino lo
specchio grande.
Ecco il babbo... picchia alla porta perché gli apra, ma non gli rispondo. Voglio star qui zitto zitto,
come il gatto quando è in cantina. Oh, se per un miracolo un ragno filasse la tela, a un tratto, a
traverso l'uscio! Il nemico crederebbe la camera vuota, e se n'andrebbe.
E se volesse aprir per forza? Sento un gran fracasso! Spingono la porta... Andrà a finire che lo
specchio cadrà, e andrà in bricioli, e dopo la colpa sarà mia, tanto per mutare.. ...Sempre così: è il
ragazzaccio cattivo, è il famoso Gian Burrasca che fa sempre tutti i malanni... Roba vecchia!
23 novembre.
Niente di nuovo.
Ieri, com'era stato stabilito, è partita la signora Merope con quella leziosa di Maria, e bisognava
sentire quanti complimenti! Pare sia andato anche l'avvocato Maralli ad accompagnarle fino a
Bologna.
All'uscio di camera mia non ci sono stati più assalti.
In ogni modo io son deciso a resistere. Ho rinforzato la barricata e ho messo insieme anche una
discreta quanti di provvigioni procuratemi da Caterina per mezzo d'un panierino che ho calato
dalla finestra del giardino, mentre la mia famiglia era andata ad accompagnare alla stazione la
signora Merope.
24 novembre.
Dopo la tempesta viene la calma! Tre giorni fa il cielo era cupo, ora invece è sereno. La pace è
conclusa, l'assedio è levato.
Stamani, dal buco della serratura, mi è stato promesso di non darmi più bastonate, e io ho promesso
solennemente di ritornare a scuola, di studiare e di esser buono.
Così l'onore è stato salvo... e anche la mobilia e lo specchio grande, perché ho levato la barricata e
sono uscito di camera.
Viva la libertà!
28 novembre.
In questi giorni non ho scritto nulla nel giornalino, perché ho avuto molto da fare per mettermi in
pari con le lezioni. In casa tutti son contenti di me, e il babbo ieri mi ha detto:
- Forse ti si presenta l'occasione di riguadagnare la bicicletta che hai perduta per la tua cattiveria con
Maria. Vedremo! -
29 novembre.
Con oggi incomincia la nuova prova... e questa volta voglio proprio vedere se mi riesce
d'acchiappare questa famosa bicicletta che da tanto tempo mi vedo scappare davanti agli occhi.
A casa non ci siamo che io, Virginia e Caterina. I miei genitori con Ada sono andati a passare una
settimana da Luisa. La mamma è partita, dicendo che questo viaggio non le farà pro; che si
struggerà tutto il tempo che starà fuori, per la paura che io ne faccia delle solite. ma io le ho
raccomandato di non stare in pensiero, promettendole che sarò buono, che anderò tutti i giorni a
scuola, che ritornerò a casa appena finite le lezioni, e obbedirò a mia sorella; insomma sarò un
ragazzo modello.
Voglio invocare tutti i santi del Paradiso che mi aiutino a cacciare le cattive tentazioni. Caterina
dice che tutto sta a cominciare; che non è poi una cosa tanto difficile esser buoni per una settimana
sola: basta volere. Non so come fa a sapere queste cose, lei che non è stata mai un ragazzo. Ma è
certo che per aver finalmente una bicicletta, credo che potrò fare a meno di gettare i sassi dietro i
cani per la strada, e salar la scuola. Non c'è che dire, quest'altra settimana potrò girare su e giù per il
paese tutto trionfante su una bella Raleigh! E la mia buona condotta sarà portata per esempio agli
altri ragazzi... Mi sembra di sognare!
30 novembre.
È passata una notte sola, da che il babbo, la mamma e Ada sono
andati via, e posso dire di essere abbastanza contento di me. È
vero che ieri ruppi lo specchio in camera della mamma, ma
quella fu proprio una disgrazia. Ero con Carluccio a giocare a
palla in quella stanza, con l'uscio chiuso, perché Virginia non
sentisse, quando la palla, che avevo legata alle calosce di mia
sorella, per vedere se rimbalzava di più, andava a colpire lo
specchio sul cassettone, che, com'è naturale, si ruppe in mille
pezzi, rovesciando sul tappeto nuovo una bottiglia d'acqua di
Colonia.
Allora pensammo di andare a giocare in giardino; ma ecco che
dopo pochi minuti comincia a pioviscolare. Fummo costretti a
rifugiarci in soffitta e rovistare tutte quelle antichità.
Quando più tardi andai a pranzo, mi misi addosso una vecchia
zimarra del nonno, che avevo trovato appunto in soffitta; e non
so dire le risate che fecero Virginia e Caterina nel vedermi così
travestito.
Avrò la bicicletta? Mi pare di essere stato abbastanza buono.
1° dicembre.
Sono due giorni e due notti che i miei genitori sono partiti, e non ho fatto altro che pensare alla
bicicletta.
Questa volta sono proprio sicuro d'acchiapparla.
Oggi è stata una giornata veramente di Paradiso:
tirava un bel venticello fresco, che mi ha fatto venire
la voglia di andare a pescare, badando bene però di
non affogare come mi successe l'altra volta, se no
addio bicicletta! Dopo scuola sono andato a comprare
una lenza nuova, degli ami, e mi sono avviato in riva
al fiume. Da principio non venivano su che delle
erbacce, poi ho preso due ghiozzi, che sono sguizzati
un'altra volta nell'acqua; ma verso buio ecco
un'anguilla vera, grossa come un coccodrillo.
Che dovevo farne? Naturalmente, l'ho portata a casa per mangiarla domani mattina a colazione, e
per divertirmici stasera ho pensato di metterla per benino sul pianoforte, in salotto da ricevere. Dopo
pranzo, Caterina ha acceso i lumi in quella stanza, e mia sorella è scesa giù e si è messa a sonare e
cantare la solita romanza che canta sempre e che comincia: Nessuno ci vede, nessuno ci sente...
A un tratto, ha dato un grand'urlo:
- Ah! Una vipera!... Uh!... Ah!... Oh!... Ih!... Eh!... -
Che urli!... Il fischio della locomotiva non c'è per niente, a paragone! Io sono subito corso in salotto
per vedere quello che era successo; Caterina pure è accorsa; e abbiamo visto Virginia che si
contorceva sul canapè come un cane arrabbiato.
- Scommetto che c'è qualcosa sul piano, - ho detto a Caterina. Caterina si è avvicinata al pianoforte
per vedere, e poi via, con un balzo è corsa alla porta di casa urlando: - Aiuto!... -.
Allora ha incominciato a entrare in casa la gente del vicinato, e tutti, appena data un'occhiata al
pianoforte, a urlare come disperati.
- Ma se è un'anguilla! - ho detto io, stanco finalmente di tutte queste esagerazioni.
- Che cosa? Che cosa? - hanno domandato tutti in coro.
- È un'anguilla innocente! - ho ripetuto, mettendomi a ridere.
Le donne sono proprio sciocche, di buttare all'aria la casa per un'anguilla, che poi mangiano con
tanto gusto, quando viene portata a tavola cucinata e condita.
Mi hanno detto che sono cattivo, per aver fatto spaventare Virginia... Si sa; è sempre la medesima
storia. Anche se ho la disgrazia di avere una sorella che non riconosce un'anguilla da una vipera, la
colpa dev'essere sempre mia...
2 dicembre.
Virginia ha brontolato anche oggi perché sono stato tutto il giorno a pescare; ma il peggio è che,
avendo il vestito buono, ho fatto un bello strappo ai calzoni e una macchia di sugna alla
giacchettina. Tornando a casa, verso le cinque, son salito su dall'usciolino di cucina, per cambiarmi
il vestito.
A pranzo mia sorella mi ha detto:
- Giannino, anche oggi è venuto il maestro a fare il rapporto della tua assenza; se seguiti così, lo
dirò certamente al babbo... quando torna.
- Domani andrò a scuola.
- Meno male. E hai portato a casa un altro serpente? -
Ho risposto di no, che uno bastava.
Mi preme la bicicletta e non voglio comprometterla per simili sciocchezze.
3 dicembre.
Com'è paurosa mia sorella! Ha tanta paura dei ladri, che non può dormire la notte, ora che il babbo e
la mamma non sono a casa. La sera guarda sotto il letto, dietro gli usci, dietro la tenda della finestra,
per vedere se c'è qualcuno in camera, e non spengerebbe mai il lume. Non capisco perché le ragazze
debbano essere così sciocche!
Ieri sera erano appena due ore che dormivo saporitamente, quando fui svegliato da urla tremende,
come se la casa fosse addirittura in preda alle fiamme. Balzo dal letto, e mi affaccio al corridoio; in
questo mentre Virginia entra precipitosamente in camera mia, in camicia da notte, mi prende per un
braccio, e chiude l'uscio a chiave.
- Giannino! Giannino!... c'è un ladro sotto il letto! - esclama con la voce affannosa.
Poi spalanca la finestra, e si mette a gridare:
- Aiuto!... aiuto!... al ladro!... al ladro!... -
Tutte le persone del vicinato si destano a quelle grida; e in men che non si dice, sono all'uscio di
casa nostra, Caterina e Virginia, che ha avuto appena il tempo di infilarsi una veste da camera, si
precipitano giù, nelle braccia dei vicini che domandano ansiosamente:
- Ma che cosa c'è? che cosa c'è?
- Un uomo sotto il mio letto!... l'ho veduto io con i miei occhi! Presto! Andate a vedere... Ma per
carità, non andate su senza un revolver!... -
Due di quelli che avevano più coraggio salirono su; gli altri due rimasero con Virginia a rincorarla.
Andai anch'io in camera di mia sorella. Quei valorosi guardarono adagino adagino sotto il letto. Era
proprio vero; c’era un uomo. Lo presero per una gamba, e lo trascinarono fuori. Egli lasciava fare
non pensando nemmeno a sparare la pistola che aveva in mano. Uno dei coraggiosi accorsi aveva
afferrato intanto una seggiola, per lanciargliela addosso, e l'altro stava col braccio steso armato di
revolver, nel caso che avesse opposto resistenza. Ad un tratto, tutti si rivolsero a guardarmi con gli
occhi spalancati.
- Giannino, anche questa è opera tua!
- Già, appunto; - risposi - Virginia crede sempre che ci sia un ladro sotto il letto, e ho pensato che
non le sarebbe parso strano di trovarcene uno, almeno per una volta. -
Giornalino mio caro, sai che cos'era che aveva fatto tanta paura a mia sorella e aveva messo
sottosopra il vicinato?
Un semplice vestito vecchio del babbo ripieno di innocentissima paglia!...
4 dicembre.
Sono cinque giorni che i miei genitori son partiti; ma Virginia ha mandato oggi un telegramma
pregandoli di anticipare il ritorno.
Ella va dicendo a tutti che, se seguita a rimaner sola con me, si ammalerà certamente...
E io intanto perderò anche questa volta la bicicletta... e perché? Perché ho la disgrazia di avere una
sorella nervosa che di nulla nulla si spaventa.
È giusta?
5 dicembre.
Oggi è tornato il babbo, la mamma e l'Ada, tutti di cattivissimo umore.
È inutile dire che si sono sfogati tutti contro di me, ripetendo che sono un pessimo soggetto, un
ragazzaccio incorreggibile, e tutte le solite cose che oramai so a mente da un pezzo.
Il babbo per l'affare del fantoccio mi ha fatto una predica d'un'ora, dicendo che è stata un'azione
degna di uno sciagurato senza cervello e senza cuore come sono io.
Anche questo è un complimento vecchio, oramai, e mi piacerebbe che si rimettesse un po' a
nuovo. Non mi si potrebbe chiamare qualche volta, tanto per cambiare, uno sciagurato senza fegato
e senza milza, o uno sciagurato senza ventricolo e senza coratella?...
Ma oggi era destino che fosse la mia beneficiata, la beneficiata di questo infelice Gian Burrasca
- come mi chiamano tutti i miei persecutori apposta perché sanno di farmi dispetto - e le disgrazie
mi capitano a due a due come le ciliege, con la differenza che le ciliege si ha piacere che capitino
così, mentre le disgrazie sarebbe bene che venissero a una per volta, altrimenti non ci si resiste.
Il fatto è che il babbo non aveva ancora finita la predica per lo spavento avuto da Virginia,
quando è arrivata una lettera di quel caro signor Prèside il quale ha voluto fare il suo bravo rapporto
per una sciocchezza accaduta ieri in scuola, una cosa alla quale si è voluto dare una grande
importanza, non si sa perché.
Ecco come sta il fatto.
Ieri avevo portato a scuola una boccettina d'inchiostro rosso che avevo trovato sulla scrivania del
babbo... e in questo mi pare non ci sia nulla di male.
Io ho sempre detto che sono un gran disgraziato, e lo ripeto. Infatti guardate: io porto a scuola
una bottiglietta d'inchiostro rosso proprio nel giorno in cui alla mamma del Betti viene in mente di
mettergli una golettona inamidata di due metri; e lei mette al suo figliuolo quella golettona proprio
nel giorno che mi viene il capriccio di portare a scuola una bottiglia d'inchiostro rosso.
Basta. Non so come mi è venuta l'idea di utilizzare la goletta del
Betti, la quale era così grande, così bianca, così luccicante... e intinta la
penna dalla parte del manico nell'inchiostro rosso, piano piano perché il
Betti non sentisse, gli ho scritto sulla goletta questi versi:
Tutti fermi! tutti zitti,
Che se vi vede Muscolo
Siete tutti fritti!
Poco dopo il professor Muscolo ha chiamato il Betti alla lavagna, e
tutti leggendo su quella bella goletta bianca scritti questi tre versi in un
bel color rosso, hanno dato in una grande risata.
Da principio Muscolo non capiva, e non capiva nulla neppure il Betti,
proprio come l'altra volta quando gli messi la pece sotto i calzoni che gli
rimasero attaccati sulla panca. Ma poi il professore lesse i versi e diventò
una tigre.
Andò subito dal Prèside il quale, al solito, venne a fare un'inchiesta.
Io nel frattempo avevo fatto sparire la boccettina dell'inchiostro rosso
nascondendola
sotto la base di legno del banco; ma il Prèside volle far la rivista delle cartelle di tutti noi, che
stavamo di posto dietro al Betti (cosa insopportabile perché l'andare a frugare nella roba degli altri è
proprio un modo di procedere degno della Russia) e nella mia trovò la penna col cannello tinto di
rosso.
- Lo sapevo che era stato lei! - mi disse il Prèside - come fu lei a metter la pece sotto i calzoni
dello stesso Betti... Va bene! Tanto va la gatta al lardo... -
E per questa cosa mi ha fatto rapporto.
- Lo vedi? - ha gridato il babbo mettendomi la lettera del Prèside sotto il naso. - Lo vedi? Non si
finisce di rimproverarti di una birbonata che ne vien fuori un'altra peggio!... -
È verissimo, ne convengo. Ma è colpa mia, se è venuta la lettera del Prèside proprio nel
momento in cui il babbo mi rimproverava per l'affare del fantoccio?
6 dicembre.
Scrivo dopo aver divorate tutte le mie lacrime. Proprio così; perché ho finito in questo momento
di mangiare una scodella di minestra piangendovi dentro per la rabbia di doverla mangiare.
Il babbo ieri ha decretato che la mia punizione per l'affare del fantoccio di Virginia e per l'altra
sciocchezza dei versi contro il professor Muscolo debba consistere nel darmi da mangiare per sei
giorni consecutivi sempre minestra, niente altro che minestra.
E questo, si capisce, perché sanno che io le minestre non le posso soffrire... Se per combinazione
la minestra mi piacesse, si può esser sicuri che mi avrebbero tenuto sei giorni senza minestra... E poi
dicono che son dispettosi i ragazzi!...
Il fatto è che ho resistito tutto il giorno rifiutandomi di mangiare, deciso a morir di fame piuttosto
che sottostare a una prepotenza così feroce. Ma purtroppo stasera non ne potevo più e... ho dovuto
piegarmi alla necessità, piangendo amaramente sul mio infelice destino e sulla minestra di capellini
che ho terminata in questo momento.
7 dicembre.
È l'ottava minestra che mangio in due giorni... e
tutte di capellini. Io domando se anche ai tempi
dell'inquisizione s'è mai pensato a infliggere un si
terribile supplizio a un povero innocente.
Ma tutto ha un limite, e io comincio a ribellarmi a questa indegna persecuzione. Un'ora fa sono
entrato in cucina nel momento in cui Caterina non c'era e ho messo una manciata di sale nella
cazzeruola dove era a cuocere lo stufato.
Il bello è che oggi c'è a pranzo anche l'avvocato Maralli!
Meglio così: io in camera mia mangerò la mia nona minestra di capellini, ma loro non potranno
mangiare il loro stufato!
#
Oggi, dopo aver trangugiato la minestra non ho
saputo resistere alla curiosità di vedere che effetto
faceva lo stufato con tutto quel sale, e sceso al
pianterreno sono andato a far capolino all'uscio della
stanza da desinare.
È stato bene, perché così ho potuto ascoltare una
parte di conversazione che m'interessava da vicino.
- Dunque, - ha detto la mamma - domani l'altro
bisognerà alzarsi alle cinque!
- Sicuro, - ha risposto il babbo perché la carrozza sarà
qui alle sei precise, e per andar lassù ci vogliono almeno
un paio d'ore. La funzione durerà una mezz'oretta, e così
prima dell'undici saremo di ritorno...
- Io alle sei precise sarò qui, - ha detto il Maralli.
E voleva dir di più, ma in quel momento ha messo in bocca un pezzo di stufato e s'è messo a
tossire e a sbuffare come se avesse ingoiato un mulino a vento.
Tutti si son messi a dire:
- Che è? Che cos'è stato?
- Ah!... Assaggiatelo!... - ha risposto l'avvocato.
L'hanno assaggiato, e allora è stato un coro generale di tosse e starnuti e tutti hanno incominciato
a urlare:
- Caterina! Caterina! -
Io non ne potevo più dal ridere, e sono scappato in camera mia.
Vorrei sapere dove anderanno tutti domani l'altro alle sei di mattina, in carrozza...
Credono di farla a me, ma io starò all'erta!
9 dicembre.
Sono alla diciannovesima minestra di capellini... ma continuo nelle mie vendette.
Loro non sanno immaginare che cosa possa diventare di cattivo un povero ragazzo obbligato a
mangiare fin cinque e sei minestre al giorno, tutte di capellini, ma se n'accorgeranno.
Intanto stamani sono andato in cucina e ho messo un bel pizzicotto di pepe nel caffè... ed era un
divertimento, dopo, il vedere come sputavano tutti quanti!
Oggi poi c'è stato in casa un viavai di gente, e da ultimo è venuto il garzone del pasticciere con
una grande scatola di cartone e un sacchetto pieno che Caterina ha riposto subito nella credenza,
chiudendola a chiave.
Io però, sapendo che la chiave della camera di Ada apre benissimo anche la credenza, ho colto il
momento opportuno e ho voluto vedere che cosa ci fosse in quella scatola e in quel sacchetto.
Lo dico subito: la scatola era piena di altre piccole scatole tonde sulle quali era scritto con lettere
dorate: Nozze Stoppani- Maralli.
È stata una rivelazione per me.
- Ah! - ho detto - c'è uno sposalizio in casa e non mi si dice nulla? Ah, c'è una festa in famiglia e
il povero Giannino si tiene all’oscuro di tutto, condannato a mangiar minestre di capellini dalla
mattina alla sera? -
E aperto il sacchetto portato dal pasticciere, e il cui contenuto, dopo aver scoperto quello della
scatola, non era più un mistero per me, mi son fatto una bella scorpacciata di confetti esclamando:
- No, cari miei! Deve festeggiare gli sposi anche Giannino, perché Giannino è proprio quello che
ha fatto nascere lo sposalizio e sarebbe una vera ingratitudine il non fargli prender parte alla festa! -
10 dicembre.
Evviva gli sposi! Evviva Giannino!… E
abbasso le minestre di capellini! Finalmente la
pace è tornata in famiglia e tutto per merito mio.
Stamattina dunque, come mi ero ripromesso,
io stavo all'erta; e quando ho sentito un po' di
rumore in casa, zitto zitto mi sono alzato, mi son
vestito e sono stato ad aspettare gli eventi.
Nessuno pensava a me.
Ho sentito il babbo, la mamma, Ada e Virginia che sono scesi giù dalle loro camere; poi è venuto
l'avvocato Maralli, e in ultimo ha suonato il campanello il vetturino e tutti sono usciti.
Allora io che stavo pronto, lesto come una saetta, sono sbucato dalla mia camera, sono uscito di
casa, e via a corsa precipitosa dietro la carrozza che si era appena mossa.
L'ho raggiunta poco distante da casa, ho agguantato la traversa di legno che è in fondo, dietro il
mantice, e mi son ficcato lì a sedere, come fanno i ragazzi di strada, pensando fra me:
- Ecco che ora non potrete più nascondermi dove andate!... -
Il più bello poi è questo: che stando lì, udivo tutti i discorsi che facevano dentro la carrozza...
E tra l'altro ho sentito il Maralli che diceva:
- Per carità, badate che quel tremoto di Gian Burrasca non sappia niente di questa nostra gita...
altrimenti lo ridice a mezzo mondo! -
Cammina cammina, dopo molto tempo la carrozza s'è fermata e tutti sono scesi. Ho aspettato un
poco e poi sono sceso anch' io.
Oh maraviglia!
Si era davanti a una chiesetta di campagna, nella quale erano entrati i miei genitori, le mie sorelle
e il Maralli.
- Che chiesa è questa? - ho domandato a un contadino che era lì fuori.
- È la chiesa di San Francesco al Monte. -
Sono entrato anch'io, e ho visto dinanzi all'altar maggiore inginocchiati davanti al prete
l'avvocato Maralli e Virginia, e più indietro Ada, il babbo e la mamma.
Io strisciando lungo la parete della chiesa mi sono avvicinato all'altare senza che nessuno si
accorgesse di me, e così ho potuto assistere a tutto lo sposalizio, e quando il prete ha domandato a
Virginia e al Maralli se erano contenti di sposarsi e che loro hanno risposto di sì, allora sono uscito
a un tratto fuori dell'ombra e ho detto:
- Sono contento anch'io; e allora perché non mi avete detto niente, brutti cattivi? -
Non so perché, ma in quel momento m'è venuto da piangere, perché quell'azione mi era
dispiaciuta davvero, e tutti sono rimasti così meravigliati della mia apparizione, che nessuno ha
fiatato.
Ma subito la mamma si è messa a singhiozzare e mi ha preso tra le braccia e mi ha baciato,
domandandomi con voce tremante:
- Giannino mio, Giannino mio, ma come hai fatto a venir fin qui? -
Il babbo ha borbottato:
- Una delle solite! -
Anche Virginia, dopo lo sposalizio, piangeva e mi ha abbracciato e baciato, ma il Maralli m'è
parso molto malcontento, e presomi per un braccio mi ha detto:
- Bada bene, Giannino, che non ti scappi detto a nessuno, in città, quello che hai visto... Hai
inteso?
- E perché?
- Non ti impicciare del perché. Non son cose che possono capire i ragazzi, queste. Sta' zitto e
basta. -
Ecco dunque un'altra delle tante solite cose che i ragazzi non possono capire! Ed è possibile -
domando io - che delle persone grandi credano sul serio che una ragione simile possa soddisfare un
ragazzo?
Basta. L'interessante per me è che ora tutti mi vogliono bene; siamo tornati a casa, e nel ritorno
sono stato a cassetta col vetturino, e ho guidato quasi sempre io; e, quel che più conta, ora non
mangerò più minestre di capellini per un pezzo.
12 dicembre.
Gran bella cosa per un ragazzo avere delle sorelle
grandi che piglian marito!
Giù la sala da pranzo pare diventata una bottega di
pasticcere... Vi sono preparate paste di tutte le qualità:
le migliori però sono quelle con la conserva di frutta,
ma son buoni anche i diti con la crema dentro, sebbene
abbiano il difetto che quando si mettono in bocca da
una parte per mangiarli, la crema scappa via da
quell'altra, e anche le maddalene nella loro semplicità
sono
squisite, ma in quanto alla delicatezza le marenghe bisogna lasciarle stare... Io però non le ho
lasciate stare, e di quelle ne ho mangiate nove... Sono così fragili, che si struggono in bocca e non
durano nulla.
Tra un'ora gli sposi torneranno dal Municipio con i testimoni e tutti gli invitati, e allora avrà
principio il rinfresco...
In casa c'è soltanto Ada che piange, poveretta, perché vede che tutte le sorelle piglian marito e lei
ha paura di far come la zia Bettina.
A proposito: la zia Bettina non è venuta, benché il babbo l'abbia invitata. Ha risposto che non si
sentiva di affrontare il viaggio, e che mandava tanti augurii di felicità dal fondo del cuore, ma
Virginia ha detto che non sa che se ne fare, e che sarebbe stato meglio se quell’avaraccia le avesse
mandato un regalo.
#
Giornalino mio, rieccoci daccapo chiusi in camera, e forse, Dio non voglia, condannati alle
minestre di capellini!
Quanto sono disgraziato!... Sono tanto disgraziato che piangerei chi sa come, se non mi venisse
da ridere nel ripensare alla faccia del Maralli quando è scoppiata la gola del camminetto. Com'era
buffo, con quel barbone che gli tremava tutto dalla paura!
Il disastro è stato grande; ed è inutile dire che la causa sono stato io, perché io sono la
disperazione dei miei genitori e la rovina della casa... per quanto, alla fin dei conti, la rovina si
riduca a una sola stanza e precisamente al salotto di ricevimento.
Ecco dunque com'è andato il fatto.
Quando il Maralli, mia sorella, il babbo, la mamma e tutti gli altri son tornati dal Municipio
faceva un gran freddo, ragione per cui uno degli invitati, entrando nella sala da pranzo, ha detto:
- Siamo tutti intirizziti; se ci date anche il rinfresco, moriremo qui assiderati! -
Allora Virginia e l'avvocato Maralli hanno chiamato subito Caterina e le han fatto accendere il
caminetto nella sala da ricevere.
La Caterina, poveretta, ha obbedito e...
Dio, che bomba!
È parsa proprio una bomba; e poi per lì, tra la polvere, sotto 1a pioggia dei calcinacci che
schizzavano qua e là si è creduto che rovinasse tutta la casa.
Caterina è cascata lunga distesa senza più dar segno di vita; Virginia, che stava a vederle
accendere il caminetto, ha cacciato un urlo come quando trovò il fantoccio sotto il letto; e il Maralli,
bianco come un cencio lavato, scoteva il barbone e ballettava per la stanza ripetendo:
- Mamma mia, il terremoto! Mamma mia, il terremoto! -
Molti invitati sono scappati via. Il babbo, invece, è corso subito sul luogo del disastro, ma
nessuno capiva il perché si era schiantata la gola del caminetto, facendo rovinare giù mezza parete
della stanza.
A un tratto, quando tutto pareva finito, si è sentito dentro il camino un fischio e tutti son rimasti
senza fiato per la sorpresa.
Il Maralli ha detto:
- Ah! Li dentro c'è un incendiario! Bisogna chiamar le guardie! Bisogna farlo arrestare!... -
Ma io che avevo capito tutto non ho potuto fare a meno di esternare il mio dispiacere:
- Ah, i miei razzi col fischio! -
Mi ero ricordato in quel momento che quando avevo comperato i fuochi per festeggiare il
matrimonio di Luisa, non avendoli potuti più adoperare li avevo ficcati appunto su per la gola del
camino nel salone di ricevimento, dove non andava mai nessuno, perché il babbo non me li
trovasse, ché altrimenti me li avrebbe sequestrati.
Naturalmente la mia esclamazione è stata un lampo di luce per tutti.
- Ah! - ha gridato l'avvocato Maralli imbestialito - ma tu sei addirittura il mio flagello! Ero
scapolo e tentasti di accecarmi, ora piglio moglie e tenti di incenerirmi!... -
La mamma intanto mi aveva preso per un braccio e, per salvarmi dal babbo, mi ha portato qui in
camera mia, tanto per mutare.
Fortuna che quando ci sono dei rinfreschi in casa, io ho la precauzione di farmi sempre la parte
prima che incomincino!
13 dicembre.
Stamattina essendo terminati i sei giorni di sospensione che mi aveva dati il Prèside per quei tre
versi che mettevano in ridicolo il professor Muscolo, la mamma mi ha accompagnato a scuola.
- Ti ci accompagno io, - ha detto - perché se ti ci accompagnasse il babbo ha giurato che ti
farebbe trovar davanti all'uscio di scuola senza neppure toccar terra...
- Come! - ho detto - in pallone? -
Ho detto così, ma avevo capito benissimo che l'idea era di accompagnarmi a furia di pedate nel
medesimo posto...
Appena arrivato mi è toccato naturalmente di sentire una gran predica del Prèside in presenza
alla mamma che sospirava e ripeteva le solite frasi che dicono i genitori in queste circostanze:
- Lei ha proprio ragione... Sì, è cattivo... Dovrebbe esser grato, invece, ai professori che son così
buoni... Ma ora ha promesso di correggersi... Dio voglia che la lezione gli frutti!... Staremo a
vedere... Speriamo bene...
Io ho tenuto sempre la testa bassa e ho detto sempre di sì; ma da ultimo mi son seccato di far
quella figura da mammalucco e quando il Prèside ha detto sgranando gli occhi dietro le lenti e
sbuffando come un mantice:
- Vergogna, mettere il soprannome ai professori che si sacrificano per voi!
- E io allora che dovrei dire? - ho risposto. - Tutti mi chiamano Gian Burrasca!
- Ti chiamano così perché sei peggio della grandine! - ha esclamato mia madre.
- E poi tu sei un ragazzo! - ha aggiunto il Prèside.
La sinfonia è sempre questa: i ragazzi devono portar rispetto a tutti, ma nessuno è obbligato a
portar rispetto ai ragazzi...
E questo si chiama ragionare; e con questo credono di persuaderci e di correggerci!...
Basta. A scuola tutto è andato bene, e tutto è andato bene anche a casa, perché la mamma ha fatto
in modo, anche al ritorno, di non farmi incontrare col babbo che, come ho detto, vuol farmi
camminare senza toccar la terra coi piedi.
Passando dal pianerottolo ho visto un gran viavai di muratori: stanno accomodando la gola del
camino del salotto da ricevere.
14 dicembre.
Niente di nuovo, a scuola, in casa. Non ho ancora rivisto il babbo e ormai spero che
quando lo rivedrò gli sarà già passato ogni cosa.
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Ah, stasera purtroppo, giornalino mio, l'ho visto e l'ho
sentito!...
Scrivo col lapis, stando disteso sul letto... perché mi
sarebbe impossibile stare a sedere dopo avercene prese
tante!
Che umiliazione! Che avvilimento!...
Vorrei scrivere ancora raccontando la causa di questa
nuova bufera che mi s'è scaricata sulle spalle... anzi, per
essere più esatti, sotto le spalle: ma non posso; soffro
troppo nel morale per l'amore proprio che è stato colpito a
sangue, e anche nel materiale che è stato purtroppo anch'
esso colpito a sangue senza nessuna pietà.
15 dicembre.
Sono stato a scuola: e rinunzio a dire quel che ho provato nell'andare, nello stare e nel tornare.
Scrivo in piedi perché... mi stanco meno.
Il motivo, dunque, delle busse avute ieri è da ricercarsi nella manìa che ha la Caterina di
occuparsi sempre delle cose che non la riguardano invece di pensare alle sue faccende. E si sa,
ormai, che in ultimo, chi ci va di mezzo son sempre io, anche se si tratta di antiche sciocchezze che
a quest'ora dovrebbero essere dimenticate.
lersera Caterina cercando non so che in un armadio, pescò un paio di calzoni miei da mezza
stagione che non mi ero più messo da quest'autunno; e frugando nelle tasche trovò, involtato in un
fazzoletto, un orologio d'oro da donna ridotto in bricioli.
Invece di lasciar la roba dove l'aveva trovata come le avrebbe dovuto suggerire la più elementare
delicatezza, che cosa fece la Caterina? Andò subito dall'Ada, la quale andò dalla mamma e tanto
chiacchierarono tutt'e due su questa faccenda che arrivò il babbo e volle sapere anche lui di che cosa
si trattava.
E allora vennero tutti da me per le spiegazioni.
- Non è niente, - dissi io - è una cosa proprio da nulla. conto neanche di parlarne...
- Ma come! Un orologio d'oro...
- Sì, ma è inservibile.
- Sfido! È ridotto in mille bricioli.
- Appunto. Serviva per fare certi giochi tra noi ragazzi... ma è passato tanto tempo!
- Meno discorsi! - disse il babbo a un tratto - e sentiamo subito di che si tratta. -
Mi è toccato naturalmente a raccontare tutta la storia del gioco di prestigio che feci tanto tempo
fa con Fofo e con Marinella facendomi dare l'orologio della signora Olga che pestai nel mortaio e
che sostituii poi con quello della mamma. Appena ebbi finito il mio racconto fa un diluvio di
esclamazioni, di rimproveri, di minacce.
- Come! - gridava la mamma. – Ah! Ora capisco! Ora si spiega tutto! La signora Olga che è tanto
distratta non si è mai accorta della sostituzione...
- Sicuro! proprio così! - urlava Ada. - E noi che abbiam creduto a un caso di cleptomania! E quel
che è peggio lo abbiam fatto credere anche a suo marito! Che figura!..
- Ma tu, - ripigliava a gridare la mamma - tu, sciagurato, perché non dicesti niente? -
E qui le aspettavo.
- Io anzi lo volevo dire! - risposi. - Mi ricordo benissimo che incominciai a dirvi che non era per
niente un caso di cleptomania, e allora saltaste su tutte a gridare che io in queste cose non dovevo
metter bocca, che i ragazzi non devono impicciarsi di quel che dicono i grandi, che non posson
capire l'importanza delle cose... e via dicendo. Io stetti zitto per obbedienza.
- E la nostra ampolliera d'argento che ritrovammo poi in casa della signora Olga?
- E i miei fazzoletti ricamati?
- Anche questa roba la portai io in casa della signora Olga per divertirmi. -
A questo punto s'è avanzato verso di me il babbo, spalancando gli occhi ed esclamando con voce
minacciosa:
- Ah tu ti diverti così? Ora ti farò vedere come mi diverto io!... –
Ma io ho incominciato a girare intorno alla tavola, mentre dicevo le mie ragioni:
- Ma è colpa mia se loro s'eran messe in testa l'affare della cleptomania?
- Brutto birbante, ora l'hai da pagar tutte!
- Ma pensa, babbo, - seguitavo io a dire piagnucolando - pensa che son cose passate... I fuochi li
misi nella gola del camino quando prese marito la Luisa... L'affare dell'orologio è dell'ottobre...
Capirei che tu mi avessi picchiato allora... Ma ora no, ecco, ora son cose passate, babbo, non me ne
ricordo più... -
Qui il babbo riuscì ad acciuffarmi, e disse con accento feroce:
- Ora, invece, io te ne farò ricordare per un pezzo! -
E infatti... mi ha lasciato molti segni nel taccuino!
È giusta? Se è giusta mi aspetto un giorno o l'altro d'esser picchiato per le bizze che facevo
quando ero piccino di due anni!...
16 dicembre.
Oggi ho avuto una gran soddisfazione.
Era stato stabilito che appena tornato da scuola dovessi andare con la mamma e l'Ada dalla
signora Olga a confessare quella che chiamano la mia colpa e a chieder perdono.
Infatti siamo andati da lei, e io, tutto confuso, ho incominciato subito a raccontarle il fatto del
gioco dì prestigio, che la signora Olga ha ascoltato con molta curiosità.
Poi ha detto:
- Ma vedete un po' che testa ho io! Ho tenuto per tanto tempo un orologio che non è mio senza
neppure accorgermene! -
Ed è corsa a pigliarlo per restituirlo alla mamma che diceva:
- Ma le pare! Ma le pare! -
Ecco! Questo si chiama ragionare! Infatti se la signora Olga si fosse accorta subito dell'orologio,
tutto si sarebbe spiegato a suo tempo. È colpa mia dunque, se la signora Olga è tanto distratta?
Ma il più bello è stato quando la mamma e l'Ada hanno dovuto raccontare la faccenda della
cleptomania.
Via via che procedeva il racconto, la signora Olga si interessava divertendosi come se si fosse
trattato di un'altra persona invece che di lei, e da ultimo dette in una solenne risata, agitandosi sul
canapè esclamando:
- Ah bella! Ah bellissima! Come! Mi hanno fatto prendere anche delle medicine per guarire della
cleptomania? Ah! Ma questo è un episodio graziosissimo, degno di un romanzo!... E tu, birichino, ti
ci divertivi, eh? Chi sa quanto hai riso!... Sfido! mi ci sarei divertita anche io!... - E mi ha
acchiappato per la testa e mi ha coperto di baci.
Come è buona la signora Olga! Come si capisce subito che è una donna piena di cuore e piena
d'ingegno, senza tutte le esagerazioni che hanno le altre donne!
La mamma e l'Ada son rimaste molto confuse perché si aspettavano, invece, chi sa che scena!
Ma quando siamo venuti via non ho potuto far a meno di dir loro:
- Imparate dalla signora Olga come si devono trattare i ragazzi!... -
E mi son grattato dove mi duole tanto a camminare.
17 dicembre.
Oggi a scuola ho avuto che dire con Cecchino Bellucci per causa di
Virginia.
- È vero - mi ha detto il Bellucci - che tua sorella ha sposato
quell'arruffapopoli dell'avvocato Maralli?
- È vero - gli ho risposto - ma il Maralli non è quello che dici tu:
invece è un uomo d'ingegno, e presto sarà deputato.
- Deputato? Bum!... -
E il Bellucci si è coperto la bocca, soffocando una risata.
Io, naturalmente, ho incominciato a riscaldarmi.
- C'è poco da ridere! - gli ho detto scotendolo per un braccio.
- Ma non sai - ha ripreso lui - che per fare il deputato ci vogliono
dimolti, ma dimolti quattrini? Sai chi sarà deputato? Mio zio Gaspero:
ma lui è commendatore e il Maralli no; lui è stato sindaco e il Maralli
no; lui è amico di tutte le persone più altolocate e il Maralli no; lui ha
l'automobile e il Maralli no...
- Che c'entra l'automobile! - gli ho detto.
- C'entra, perché con l'automobile mio zio Gaspero può andare in tutti i
paesi di campagna e anche in cima ai monti a fare i discorsi, mentre il
Maralli, se ci vuole andare, bisogna che ci vada a piedi...
- Nel paesi di campagna? Il mio cognato, per una certa regola tua, è il capo di tutti gli operai e di
tutti i contadini, e se il tuo zio va in campagna anche con l'automobile ci troverà delle brave
bastonale!
- Bum! A parole!
- C'è poco da far bum...
- Bum!
- Smetti di fare bum, t'ho detto.
- Bum! bum!
- Quando poi s'esce di scuola, te lo dò io il bum! -
Lui s'è chetato perché sa, come sanno tutti, che Giannino Stoppani riffe non se ne lascia far da
nessuno.
Difatti dopo scuola l'ho raggiunto alla porta d'uscita dicendogli:
- Ora facciamo i conti fra noi! -
Ma lui ha affrettato il passo e, appena fuori, è montato sull'automobile di suo zio che lo aspettava
e s'è messo a suonar la tromba tra l'ammirazione di tutti i nostri compagni, mentre lo scioffèr girava
il manubrio e via di gran corsa...
Non importa. Gliele darò domani!
23 dicembre.
È quasi una settimana che non scrivo in questo mio caro giornalino.
Sfido! Come avrei potuto farlo con la clavicola spostata e il braccio sinistro ingessato?
Ma oggi finalmente il dottore mi ha tolto l'apparecchio, e alla meglio posso descrivere qui, dove
confido tutti i miei pensieri e tutti i casi della mia vita, la tremenda avventura che mi successe il 18
dicembre - data memorabile per me perché fu un vero miracolo che non segnasse l'ultimo giorno
della mia vita.
Quella mattina, dunque, appena Cecchino Bellucci venne a sedermi accanto in scuola, lo trattai
di vigliacco perché era scappato in automobile per paura della lezione che gli avevo promesso.
Lui allora mi spiegò che in questi giorni essendo i suoi genitori a Napoli per la malattia di suo
nonno, che sarebbe il babbo della sua mamma, era stato accolto in casa del suo zio Gaspero il quale
lo mandava a prendere a scuola tutti i giorni con l'automobile per lo scioffèr, e che perciò non
poteva trovarsi a solo a solo con me, almeno per un certo tempo.
Dietro queste spiegazioni mi calmai, e ci mettemmo a discorrere dell'automobile che è una cosa
che mi interessa assai; e il Bellucci mi spiegò tutto il meccanismo, dicendomi che lui lo conosce
benissimo e ci sa andare anche solo e ci è andato più d'una volta, perché basta saper girare il
manubrio e stare attenti alle voltate, anche un ragazzo lo sa manovrare.
Io veramente ci credevo poco, perché mi pareva impossibile che lasciassero l'automobile nelle
mani a un ragazzetto come Cecchino Bellucci. E siccome glielo dissi, lui per punto d'impegno mi
propose una scommessa.
- Senti, - mi disse - lo scioffèr oggi deve fermarsi alla Banca d'Italia per sbrigare una
commissione che gli ha dato lo zio Gaspero, e io rimarrò solo sull'automobile. Tu cerca il modo di
uscir prima dalla scuola, e fatti trovare sul portone della Banca; mentre lo scioffèr si tratterrà dentro
tu monterai sull'automobile e io ti farò fare un giretto intorno alla piazza, e così vedrai se son capace
o no. Va bene?
- Benone! -
E si scommise dieci pennini nuovi e un lapis rosso e turchino.
Detto fatto, una mezz'oretta prima dell'uscita cominciai a dimenarmi sulla panca, finché il
professor Muscolo mi disse:
- Tutti fermi! Che cos'ha lo Stoppani che si divincola come un serpente? Tutti zitti!
- Mi dòle il corpo, - risposi. - Non ne posso più...
- Allora vada a casa... tanto c'è poco all'uscita. -
E io, come s'era stabilito con Cecchino, uscii e andai difilato alla Banca d'Italia, dove aspettai
fuori del portone.
Poco dopo eccoti l'automobile del Bellucci. Lo scioffèr discese, e quando fu entrato nella Banca,
a un cenno di Cecchino, montai su e mi misi a sedere accanto a lui.
- Ora vedrai se so mandarla anche da me, - mi disse. – Tieni intanto la tromba, e suona... -
Sì chinò dicendo:
- Vedi? Per andare, basta girar questo... -
E girò il manubrio.
L'automobile fece: putupum! due o tre volte, e via di gran carriera.
Io lì per lì mi divertii molto e mi misi a sonar la tromba a tutt'andare ed era un ridere a veder tutta
la gente sgambettar di qua e di là per scansarsi, guardandoci spaventata.
Ma fu un attimo; capii subito che Cecchino non sapeva regolar l'automobile in nessuna maniera,
né frenarla, né fermarla.
- Suona, suona! - mi diceva, come se il sonare la tromba potesse influire sul meccanismo.
Si usci dalla città come una palla di schioppo, e via per la campagna con una velocità vertiginosa,
tanto che non si respirava.
Cecchino a un tratto lasciò il manubrio e si abbandonò sul sedile, bianco come un cencio lavato.
Dio mio, che momento!
Solamente a ripensarci, mi sento rizzare i capelli sulla testa.
Fortunatamente la strada era larga e diritta, e io vedevo come in sogno sfuggirmi dinanzi agli
occhi la campagna intorno. Di questa visione mi è rimasta un'impressione così viva, che posso qui
riprodurla come in una istantanea.
Ricordo benissimo che un contadino che badava ai buoi, vedendoci passare come una saetta, urlò
con una voce formidabile che arrivò a coprire il rumore dell'automobile:
- L'osso del collo!... -
Il mal augurio si avverò anche troppo presto, e se non ci si ruppe proprio l'osso del collo, andaron
rotte altre ossa non meno utili. Io ricordo appena che a un certo punto vidi dinanzi a me sorgere a un
tratto dalla terra come un grande fantasma bianco che si riversasse sull'automobile... e poi più nulla.
Dopo ho saputo che a una svoltata della strada eravamo andati contro una casa, che la violenza
dell'urto era stata tale, che io e Cecchino avevamo fatto un volo per aria di una trentina di metri e
che nella disgrazia avevamo avuto la fortuna di cascare dentro una macchia che ci servì come di una
molla, attutendo il colpo della caduta, in modo che non fu - come poteva essere - mortale.
Dice che dopo mezz'ora del disastro arrivò lo scioffèr del Bellucci con un'altra automobile, che
era corso a prendere a nolo appena si era accorto della nostra fuga, e ci trasportò tutti e due
all'ospedale dove a Cecchino ingessarono la gamba destra e a me il braccio sinistro.
Io non mi potevo muovere, e dovettero accompagnarmi a casa in lettiga.
Certo è stato un brutto azzardo, e i miei poveri genitori e Ada hanno provato un gran dispiacere;
ma però è stata anche una bella soddisfazione per me il raccontare a tutti quelli che son venuti a
farmi visita questa mia avventura: descrivendo la nostra corsa vertiginosa che faceva ripetere a
ciascuno:
- È stata una vera e propria corsa alla morte, come quella di Parigi!
E oltre a questo, ho la soddisfazione di aver vinto a quello sballone di Cecchino Bellucci dieci
pennini nuovi e un lapis rosso e turchino che, appena saremo guariti, mi dovrà dare, se non vuole
che gli dia quella famosa lezione che deve avere per i suoi bum contro mio cognato!
24 dicembre.
Il dottore ha detto che il braccio ritornerà certo come prima, ma intanto io non posso moverlo.
Luisa, alla quale il babbo aveva scritto di questa mia malattia, ha risposto proponendo di
mandarmi da lei a Roma dove il dottor Collalto dice che c'è un suo amico specialista che mi farebbe
la cura elettrica e il massaggio sicché potrei trattenermi da loro durante le vacanze di Natale e poi
ritornare a casa guarito.
Io ho incominciato a urlare dalla contentezza, e avrei anche battuto le mani se mi riuscisse
d'alzare il braccio.
- Però - ha detto il babbo - con che coraggio ti si può mandar fuori di casa?
- Io starei sempre in pensiero di qualche disgrazia - ha aggiunto la mamma.
L'Ada ha messo la nota finale:
- Bisogna proprio dire che il Collalto sia un buon uomo a invitarti a casa sua dopo il bel regalo di
nozze che gli facesti...-
Io son rimasto così avvilito da questo plebiscito, che la mamma s'è mossa a compassione e ci ha
messo subito una buona parola:
- Se almeno, dopo tanti guai, promettesse proprio sul serio d’esser buono d’esser gentile col
dottor Collalto...
- lo prometto! - ho gridato con quello slancio e quell'entusiasmo che metto sempre nelle mie
promesse.
E così, dopo un po' discussione, è stato stabilito che per Santo Stefano il babbo mi
accompagnerà a Roma.
Io sono felice e benedico il momento in cui mi son rovinato il braccio.
Andare a Roma è un mio antico sogno, e non mi par vero di vedere il Re, il Papa, gli Svizzeri e
tutti i monumenti antichi che ci sono.
Quello poi che mi solletica più di tutto è l'idea di far la cura elettrica, solamente a pensarci mi par
di sentirmi dentro il corpo una batteria di pile e non posso star fermo.
Viva Roma capitale!
#
In questo momento ho saputo che Cecchino Bellucci sta male.
Pare che sia proprio un affare serio, e che sia difficile che la gamba gli ritorni come prima.
Povero Cecchino! Ecco a che cosa si può andare incontro quando ci si vanta di saper fare una
cosa, mentre invece non se ne sa niente!
Però mi dispiace molto di questa cosa perché il Bellucci con tutti i suoi difetti è un buon ragazzo.
25 dicembre.
Io preferisco a tutti gli altri mesi dell'anno quello di dicembre, perché c'è il Natale e Caterina fa
sempre due bei budini, uno di riso e uno di semolino perché alla mamma piace quello di semolino e
quello di riso non lo può soffrire, e il babbo va matto per quello di riso mentre quello di semolino
l'ha a noia come il fumo agli occhi; io, invece, li preferisco tutti e due, e siccome anche il dottore
dice che tra i dolci i budini sono i più igienici, così ne mangio quanto mi pare e nessuno mi dice
nulla.
26 dicembre.
Parto per Roma fra due ore.
C'è una grande novità; il babbo non viene ad accompagnarmi, ma mi affida invece al signor
Clodoveo Tyrynnanzy, suo intimo amico che viene appunto nella capitale per affari, e che mi
consegnerà al dottor Collalto, - nelle sue proprie mani medesime - come ha detto lui.
Che tipo buffo è il signor Clodoveo!
Prima di tutto vuol far sempre il forestiero, e s'è cambiato gli i
del suo cognome, che sarebbe Tirinnanzi, in tanti ipsilonni
facendone un Tyrynnanzy, perché dice che nel suo commercio,
rappresentando le principali fabbriche d'inchiostri dell'Inghilterra,
gli giova presentarsi ai clienti con tre ipsilonni...
E poi è un tombolotto grosso e grasso con un faccione largo
contornato da due cespugli rossi di fedine e con un nasino più
rosso che mai e tondo tondo nel mezzo, che pare proprio un di
que' pomodorini piccoli ma tutto sugo.
- Bada! - gli ha detto il babbo - ti prendi una bella
responsabilità, perché Giannino è un ragazzaccio capace di
tutto...
- Eh! - ha risposto il signor Clodoveo - ma non sarà capace di
scuotere la mia flemma inglese garantita come i miei inchiostri...
Se non è buono gli tingo la faccia e lo mando in una colonia
indiana!...
- Marameo! - ho detto fra me, e son salito a prepararmi la valigia con Caterina, perché da me
solo, col braccio malato, non posso.
Ho messo tutto quel che mi può occorrere a Roma: le tinte, la palla di gomma coi tamburelli, la
pistola col bersaglio, e ora metterò anche te, mio caro giornalino, che mi accompagni in tutte le
vicende della mia vita...
A rivederci dunque a Roma!
27 dicembre.
Giornalino mio, ti riprendo subito, appena arrivato a Roma, perché ho, da narrare nelle tue
pagine tutte le mie avventure di viaggio che non sono piccole né poche.
Ieri, poco dopo che si fu partiti, il signor Clodoveo si mise a porre in ordine la sua roba
esclamando:
- Meno male! Siamo noi due soli... e speriamo che si rimanga così fino a Roma. Vedi, ragazzo
mio? Questa è la mia cassetta coi miei campionari... Guarda qui quante boccette e boccettine, e che
varietà d'inchiostri!... Ne avresti da scrivere per tutta la vita!... Questo è inchiostro per penne
stilografiche... Questo qui è inchiostro per i ministeri dei quali ho la fornitura... e su questi ci
guadagniamo bene, sai? Vedi? E bisogna che io sappia fino a un puntino i prezzi di tutti, e la qualità
chimica... Ci vuol la testa a posto, sai, per il commercio! -
Io da principio mi son divertito molto a veder tutte quelle boccette ma poi il signor Clodoveo ha
avuto un'ispirazione infernale e mi ha detto:
- Ora sta' attento a tutte le principali stazioni dove si ferma il treno, e guarda dal finestrino; io ti
spiegherò l'importanza dì tutte le città e te le farò conoscere meglio che la geografia, perché io ho la
pratica commerciale e questa fa più dì tutti i libri... -
E infatti via via che si arrivava a una stazione il signor Clodoveo si affannava a far la sua brava
lezione peggio del professor Muscolo, finché a forza di sentire spiegazioni mi sono addormentato
profondamente.
Quando mi sono destato ho visto nel divano difaccia il signor Clodoveo che dormiva, russando
come un contrabbasso.
Mi sono affacciato al finestrino e mi son messo a guardar la campagna; ma poi mi son seccato e
non sapevo che cosa fare... Ho aperto la valigia, ho riguardato tutti i miei balocchi... Ma ormai li
conoscevo da un pezzo, e non bastavano a farmi passar la noia da dosso...
Allora ho tirato giù la cassetta dei campionari del signor Clodoveo e mi son divertito a riguardar
tutte quelle boccette coi cartellini di tutti i colori.
In quel momento il treno si era fermato, e dal finestrino ho visto che un altro treno era fermo di
faccia a noi, per lo scambio, a pochissima distanza, tanto che, spenzolandomi fuori, forse avrei
potuto toccare la faccia dei viaggiatori che vi stavano affacciati...
È stato allora che m'è venuta un'idea terribile.
- Se avessi uno schizzetto! - ho pensato.
Mentre pensavo a questo, lo sguardo si è fermato sulla palla di gomma che era nella mia valigia
rimasta aperta, e allora ho detto fra me:
- E perché non potrei fabbricarmelo? -
E cavato di tasca il temperino ho fatto un buco nella palla; poi ho preso tre bottigliette
d'inchiostro dalla cassetta del signor Clodoveo, e sono andato nella ritirata, dove, stappate le
boccette, ho versato il contenuto nella catinella allungandolo con l'acqua. Fatto questo ho sgonfiato
la palla, e immersala nella catinella l'ho riempita...
Quando son tornato nello scompartimento il treno di faccia si moveva e i viaggiatori eran tutti
affacciati...
Non ho fatto altro che sporgere un po' le braccia fuori del mio finestrino e stringere gradatamente
la palla tra le mani, col foro rivolto in avanti...
Ah, che emozione! Che effetto! Che divertimento!...
Campassi mill'anni non riderò mai quanto ho riso in quel momento nel vedere tutti quei visi
affacciati, che da principio avevano una grande espressione di stupore e poi subito di rabbia,
spenzolarsi fuori in mezzo alle braccia che mi tendevano i pugni chiusi, mentre il treno si
allontanava...
Mi ricordo perfettamente di uno che ebbe uno schizzo d'inchiostro in un occhio, e che pareva
diventato pazzo e ruggiva come una tigre...
Se lo incontrassi lo riconoscerei... ma forse è meglio che non lo incontri più!
Il signor Clodoveo intanto seguitava a dormire come un ghiro, sicché io ebbi il tempo di
rimettere a posto la sua cassetta dei campionari in modo che non potesse accorgersi di niente.
E tutto sarebbe andato a finir bene ed egli non avrebbe avuto di che lamentarsi di me, se più tardi
non mi fosse venuta un'altra idea peggiore della prima, perché questa ha avuto delle serie
conseguenze.
Ricominciavo a seccarmi di veder sempre il signor Tyrynnanzy
sdraiato sul divano e di sentirlo stronfiare, quando
disgraziatamente mi dètte nell'occhio il manubrio del segnale
d'allarme che pendeva da una cassettina sospesa nel soffitto dello
scompartimento.
Bisogna sapere che qualche altra volta mi aveva dato
nell'occhio quel gingillo, e che sempre avevo provato una grande
tentazione di vedere che cosa succede in un treno quando si
l'allarme.
Questa volta non seppi resistere: montai sul divano, infilai la
mano nel manubrio, e tirai giù con quanta forza avevo. Il treno si
fermò quasi istantaneamente.
Allora aiutandomi alla meglio col braccio malato mi riuscì
d'arrampicarmi sulla rete dove si metton le valige e mi ci
accovacciai, stando a vedere che cosa sarebbe accaduto.
Immediatamente si aprirono tutti e due gli sportelli dello
scompartimento e cinque o sei impiegati vi entrarono dentro,
fermandosi dinanzi al signor Clodoveo che seguitava a dormire; e
uno scotendolo disse:
- Ah! forse gli è venuto un accidente! -
Il signor Tyrynnanzy si svegliò di soprassalto, esclamando:
- Che vi pigli!... -
E allora vennero le spiegazioni:
- Lei ha dato il segnale d'allarme!
- Io? Niente affatto!...
- Eppure è stato dato da questo scompartimento!
- Ah! È Giannino!... Il ragazzo!... Dov'è il ragazzo!... - esclamò a un tratto come fuori di il
signor Clodoveo. Ah! Forse qualche disgrazia! Dio mio! Il figlio di un mio amico che mi era stato
affidato!... -
Mi cercarono nella ritirata; guardarono sotto i divani; finalmente un impiegato mi scoprì
accucciato tra due valige sulla rete, ed esclamò:
- Eccolo lassù!...
- Disgraziato!... - gridò il signor Clodoveo. - Tu hai dato il segnale d'allarme?... Che hai fatto?...
- Ohi!... - risposi con voce piagnucolosa, perché ora capivo tutto il male fatto - mi doleva tanto il
braccio malato...
- Ah! E per questo ti sei arrampicato costassù? -
Intanto due impiegati mi avevano preso di peso e mi avevano tirato giù, mentre gli altri eran corsi
via a far ripartire il treno.
- Lei sa che c'è la multa! - dissero gl'impiegati rimasti.
- Lo so: ma la pagherà il padre di questo signorino! - rispose il signor Clodoveo, guardandomi
come se mi avesse voluto incenerire.
- Intanto, però, bisogna che paghi lei...
- Ma se io dormivo!
- Appunto: dal momento che le era stato affidato il ragazzo doveva vigilarlo...
- Sicuro! - esclamai io tutto contento, guardando l'impiegato che dava prova di tanto senso
comune. - La colpa è del signor Clodoveo... Ha dormito per tutto il viaggio!... -
Il signor Tyrynnanzy fece l'atto come di strozzarmi, ma non disse niente.
È stato fatto il verbale di contravvenzione, e il signor Clodoveo ha dovuto pagar la multa.
Rimasti soli, ha durato un pezzo a dirmi delle impertinenze; e il peggio è stato quando, essendosi
egli ritirato nella ritirata, è riuscito fuori e, dopo aver dato un'occhiata nella sua cassetta dei
campionari, s'è accorto delle boccette che mancavano.
- Che hai fatto dei miei campioni d'inchiostro, assassino!... - ha gridato.
- Ho scritto una lettera ai miei propri genitori! - ho risposto tremando.
- Come una lettera!... Qui mancano tre bottigliette!...
- Ne avrò scritte tre... ora non mi ricordo!...
- Ma tu sei peggio di Tiburzi!... Come fa la tua povera famiglia a sopportare una canaglia come
te?... -
E così ha seguitato a dirmi parolacce finché non siamo arrivati a Roma.
Bel modo, questo, di accompagnare un ragazzo affidato da un amico!...
Ma io ho avuto prudenza e non gli ho risposto mai niente, meno che quando mi ha consegnato al
mio cognato Collalto, al quale ha detto:
- Tenga: glielo consegno intatto... ma in parola d'onore darei dieci anni di vita piuttosto che
essere nei piedi di lei che è costretto, povero signore, a tenerlo per diversi giorni!... Dio gliela mandi
buona!... Hanno ragione a chiamarlo Gian Burrasca! -
Allora non ne ho potuto più, e gli ho risposto:
- Con codesti piedoni che ha lei, invece, dovrebbe ringraziare Iddio se potesse essere nei piedi di
chiunque altro! E in quanto a Gian Burrasca è meglio farsi chiamar così che farsi chiamare con tre
ipsilonni come fa lei che è proprio una ridicolaggine! -
Il dottor Collalto mi ha fatto cenno di stare zitto; e mentre mia sorella mi faceva passare in
un'altra stanza, ho sentito che egli diceva sospirando:
- Si comincia bene! -
28 dicembre.
Il mio braccio è molto peggiorato a causa dello sforzo fatto ieri per salire nella rete del
compartimento. Il Collalto mi ha portato stamani da quel suo amico che fa le cure elettriche, e che si
chiama il professor Perussi il quale, dopo avermi visitato, mi ha detto:
- Ci vorrà una diecina di giorni e anche più...
- Meglio! - ho detto io.
- O che hai piacer a star male? - ha esclamato il professore sorpreso.
- No, ma mi piace tanto di stare a Roma, e poi a far la cura elettrica con tutte quelle macchine
deve essere molto divertente... -
Il professor Perussi ha incominciato subito a farmi il massaggio elettrico applicandomi la
corrente con una macchina motto complicata che mi faceva come un gran formicolìo in tutto il
braccio, mentre io ridevo a più non posso.
-
Questa - ho detto - è la macchina per fare il solletico... Ci vorrebbe per il signor Tyrynnanzy che,
dopo l'affare del segnale d'allarme, è diventato così serio!
- Vergognati! - ha detto il Collalto; ma l'ha detto ridendo.
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Mia sorella Luisa mi ha fatto grandi raccomandazioni di star buono e quieto in questi giorni che
rimarrò presso di lei, perché prima di tutto la sora Matilde che è sua cognata, ossia la sorella di
Collalto, è una ragazza invecchiata ed è molto ordinata nelle sue cose e anche un po' meticolosa, e
poi perché il dottor Collalto è specialista per le malattie del naso, della gola e degli orecchi, come è
scritto nel cartellino sull'uscio di casa, e dà le consultazioni tutti i giorni, motivo per cui non bisogna
far rumore a causa dei clienti che vengono a farsi visitare.
- Del resto - ha detto - tu anderai molto fuori, a veder Roma, e ti accompagne il cavalier
Metello che la conosce sasso per sasso. -
29 dicembre.
Ieri sono stato a girare col cavalier Metello che è un signore amico Collalto, molto istruito e
che sa la storia d'ogni monumento dall'a alla zeta. Mi ha portato a vedere il Colosseo che
anticamente era un anfiteatro dove facevano i combattimenti degli schiavi con le bestie feroci, e le
matrone si divertivano a veder mangiare i cristiani vivi.
Com'è bella Roma per uno che abbia passione per la storia! E che grande varietà di paste al caffè
Aragno, dove sono stato iersera con mia sorella!
Stamani andiamo con lei a fare una passeggiata a Ponte Molle.
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Torno ora da Ponte Molle, dove sono stato in tranvai con Luisa. Le ho domandato perché si
chiama Ponte Molle, ma lei non lo sapeva, e allora ci siamo rivolti a un uomo di lì il quale ha detto:
- Si chiama Ponte Molle perché è sul Tevere che è sempre molle, ossia bagnato a questo modo, e
non è come tanti altri fiumi che appena vien l'estate si asciugano subito. -
Quando ho detto questa cosa al cavalier Metello, che è venuto poco fa per fissar la passeggiata di
domani, si è messo a ridere a crepapelle, e poi, ritornato serio, ha detto:
- Questo ponte si chiamava anticamente Molvius e anche Mulvius e v'è pure chi lo chiamava
Milvius, ma il nome che ha ora è forse una corruzione dell'antica denominazione Molvius, nome che
deriva probabilmente dal colle che gli sovrasta di faccia, sebbene molti si ostinino nella
denominazione Milvius, facendola derivare da Aemilius ossia da Emilio Scauro che si crede sia
stato il costruttore del ponte, mentre d'altra parte è provato che lo stesso ponte esisteva un secolo
prima che nascesse Emilio Scauro, tanto è vero che Tito Livio dichiara che quando il popolo di
Roma andò incontro ai messi che portavano la notizia della vittoria contro Asdrubale, traversarono
proprio quel ponte... -
Il cavalier Metello è molto istruito, e certo pochi posson vantarsi di sapere la storia romana come
la sa lui; ma in quanto a me, dico la verità, mi persuadeva più la spiegazione che mi ha dato stamani
quell'uomo che tutti i Milvius, i Molvius e i Mulvius del cavalier Metello.
30 dicembre.
Oggi, mentre eravamo a colazione, Pietro il cameriere è venuto a dire a Collalto:
- Professore, c'è la marchesa Sterzi, che desidera parlar con lei per quella cura che le disse ieri
l'altro... -
Il Collalto che aveva molto appetito ha incominciato a sbuffare dicendo:
- Proprio in questo momento!... Dille che aspetti... E intanto tu va' dal farmacista, e fatti spedir
questa ricetta subito!... -
E mentre il cameriere se n'andava ha aggiunto:
- Questa vecchia civetta che parla col naso come un òboe, si è messa in testa che io possa farla
guarire... Però è buona cliente, e va trattata bene... -
Dopo questo discorso mi è venuto naturalmente una voglia pazza di
vedere questa signora, e poco dopo, con una scusa, mi sono alzato da
tavola e sono andato nella sala d'aspetto dove infatti ho trovato una
signora buffa con una bella mantella di pelliccia, e che appena mi ha
visto mi ha detto:
- Ah, bel ragazzino... che fai? -
Io per non ho saputo resistere alla tentazione di rifarle il verso, e
ho risposto discorrendo col naso:
- Io sto bene, e lei? -
Nel sentirmi discorrer col naso si è turbata, poi mi ha guardato, e
vedendo che stavo serio, mi ha detto:
- Ah! forse anche tu hai la mia malattia? -
E io, parlando col naso più che mai:
- Sissignora! -
- Forse - ha seguitato la marchesa - fai anche tu la cura del professor
Collalto? -
E io daccapo:
- Sissignora!... -
Allora mi ha abbracciato e baciato, e poi ha detto:
- Il professor Collalto è molto bravo, è uno specialista e, vedrai, ci
guarirà tutti e due...-
E io, sempre discorrendo col naso:
- Sissignora, sissignora!... -
In quel momento è entrato il Collalto che sentendomi discorrere a
quel modo è diventato pallido come questa carta, e voleva certo dirmi
qualcosa, ma la signora non glie ne ha dato il tempo perché ha detto
subito:
- Ecco qui un mio compagno di sventura, è vero, professore? Anche lui, mi ha detto, è ammalato
come me, e viene da lei a chiederle la guarigione... -
Il Collalto mi ha dato un'occhiata che pareva volesse fulminarmi, ma per non pregiudicare la
situazione ha detto in fretta:
- Eh, già, già... vedremo, sicuro! Intanto ecco, signora marchesa, prenda questa boccetta e faccia
delle inalazioni mattina e sera, versando poche gocce del contenuto in una catinella d'acqua
bollente... -
Io sono uscito dalla sala e son corso da mia sorella, dove poco dopo mi ha raggiunto il Collalto
che mi ha detto con la voce che gli tremava dalla rabbia:
- Bada bene, Giannino: se tu ardisci un'altra volta di entrare nella sala d'aspetto e di parlare con i
clienti, io ti strozzo, hai capito? Ti strozzo, in parola d'onore... Ricòrdatelo! -
Come sono interessati gli uomini, e specialmente i dottori specialisti in malattie del naso e della
gola!
Per paura di perder la clientela strozzerebbero anche le persone di famiglia e perfino i poveri
ragazzi innocenti.
31 dicembre.
Com'è uggioso quel cavalier Metello!
Anche oggi mi ha portato a veder Roma e
questo mi fa piacere, ma lui ci mette tante
spiegazioni, che è una cosa insopportabile.
Per esempio dinanzi all'arco di Settimio
Severo s'è messo a dire:
- Questo splendido arco trionfale eretto dal
Senato l'anno 205 dell'Era cristiana in onore di
Settimio Severo e, dei suoi figli Caracalla e Geta,
ha sulle due facce una iscrizione nella quale è
dette come in seguito alle vittorie riportate sui
Parti, sugli Arabi, sugli Adiabeni... -
Ah! Alla fine del discorso quest'arco di
Settimio Severo mi pareva d'averlo tutto sullo
stomaco, e la mia bocca era diventata fin arco
trionfale più grande di tutti gli archi trionfali di
Roma messi insieme...
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La sora Matilde, cioè la sorella di Collalto, è molto brutta e molto uggiosa, e non fa che sospirare
e discorrere col gatto e col canarino; però con me va molto d'accordo, e anche oggi mi ha detto che
in fondo sono un buon figliolo.
Mi domanda sempre come era Luisa da ragazza e che cosa faceva e diceva, e io le ho raccontato
la storia delle fotografie che trovai in camera sua prima che pigliasse marito e della burletta che feci
distribuendole ai rispettivi originali, e poi le ho detto anche di quando le trovai nel cassetto della
toeletta un vasetto di pomata rossa con la quale mi tinsi le gote e lei s'arrabbiò tanto e mi dette
perfino uno schiaffo, perché c'era presente la sua amica Bice Rossi che era una ragazza pettegola e
non le sarebbe parso il vero d'andare a dire che mia sorella si tingeva...
Bisognava vedere come si divertiva la sora Matilde a sentirmi descrivere queste cose, e basti dire
che da ultimo mi ha regalato cinque gianduiotti e due caramelle di limone, e bisogna proprio dire
che mi vuol bene, perché, a quel che dice la Luisa, è più golosa lei di dolci che dieci ragazzi, e se li
mangia tutti per sé.
Se li tiene tutti chiusi nell'armadio e ce n'ha di tutte le qualità, ma se mi riesce un di questi giorni
di metterci le mani, può dire addio alle sue provviste!...
Ora, caro giornalino, ti lascio perché domani è il primo dell'anno e devo scrivere una lettera ai
miei genitori per chieder perdono delle mie mancanze di quest'anno, e promettere per l'anno novo
d'esser bono, studioso e ubbidiente.
2 gennaio.
Eccoci nell'anno novo!
Che pranzo, ieri! Quanti dolci e liquori e rosolii e pasticcini di tutti i colori
e di tutti i sapori!
Che bella cosa è il capodanno e che peccato che venga così di rado! Se
comandassi io, vorrei fare una legge perché il primo dell'anno capitasse
almeno un paio di volte al mese, e ci starebbe anche la sora Matilde, la quale
ieri mangiò tanti biscottini, che stamani ha dovuto pigliare l'acqua di Janos.
3 gennaio.
Ieri ne ho fatta una grossa, ma però ci sono stato spinto; e se si andasse in
tribunale, credo che i giudici mi darebbero le circostanze attenuanti, perché era
un pezzo che il signor marchese mi provocava senza nessuna ragione.
Questo signor marchese è un vecchio ganimede tutto ritinto che viene dal
professor Perussi, dove anche lui fa una cura elettrica ma tutta diversa dalla
mia perché lui fa i bagni di luce, mentre io fo il massaggio... o per dir meglio
lo facevo perché dopo questo fatto non lo fo più.
Pare che a questo tale il professor Perussi avesse raccontato il fatto
dell'automobile che fu causa che io mi ruppi il braccio, perché ogni volta che
ci incontravamo su nel gabinetto di consultazione mi diceva:
- Ehi, giovanotto! Quando andiamo a fare una corsa in automobile! -
E questo me lo diceva con un risolino così maligno, che non so come abbia fatto a non
rispondergli male.
Io domando chi gli dava il diritto, a questo corvo spelacchiato che non so nemmeno come si
chiama, di mettere in ridicolo la mia disgrazia, e se io non avevo tutte le ragioni d'averlo preso in
uggia e di accarezzare l'idea di fargli qualche tiro che gli servisse di lezione...
E il tiro gliel'ho fatto ieri ed è riuscito anche peggio di come l'avevo architettato io.
Bisogna sapere prima di tutto che il bagno di luce che fa il signor marchese consiste in una specie
di cassa piuttosto grande, dentro la quale il malato si mette a sedere su un apposito sedile, e ci riman
chiuso dentro con tutta la persona, meno la testa, che sporge fuori da un'apertura rotonda nella
parete superiore. Dentro questa cassa vi sono moltissime lampade rosse di luce elettrica che rimane
accesa e nella quale dicono che il malato fa il bagno, mentre invece non si bagna per niente e resta
asciutto come quando ci è entrato, se non di più.
Io, dunque, avevo visto un paio di volte il signor marchese entrare in codesto cassettone, che è in
una stanza molto distante da quella dove io mi facevo il massaggio, e rimanervi un'ora, trascorsa la
quale l'inserviente andava ad aprir la cassa e a levarlo di dentro.
E lì in quella stanza ieri si è svolta la mia feroce ma giusta vendetta.
Avevo portato con me una cipolla che avevo trovato in cucina a casa di mia sorella. E dopo fatto
il massaggio, invece d'andar via, sgattaiolai nella stanza del bagno di luce dove si era recato poco
prima il signor marchese.
Egli era là, infatti, ed era così buffa quella sua testa tutta ritinta sporgente fuori da quel cassone,
che non potei fare a meno di ridere.
Egli mi guardò meravigliato, e poi, col suo solito risolino canzonatorio, mi disse:
- Che venite a far qui? Perché non andate a fare una passeggiata in automobile, oggi che è una
bella giornata? -
Io non ne potevo più dalla rabbia. Tirai fuori la cipolla e gliela stropicciai forte forte sotto il naso
e tutt' intorno alla bocca; ed era buffo il sentirlo agitar gambe e braccia dentro il cassone dov'era
chiuso, senza poter difendersi in nessuna maniera, e vederlo fare con la faccia le più ridicole
smorfie, cercando di gridare, ma inutilmente, perché l'odore acutissimo della cipolla quasi lo
soffocava...
- Ed ora, - gli dissi - se permette, vado a far una giratina in automobile! -
E me ne venni via, richiudendo la porta della stanza.
Stamani ho saputo che, passata l'ora del bagno gli inservienti andarono per levarlo dal cassone, e
vedendolo col viso rosso e tutto in lacrime, chiamarono d'urgenza il professor Perussi che esclamò
subito:
- Questa è una crisi nervosa... Presto, fategli una doccia... -
E il signor marchese fu inaffiato ben bene, malgrado le sue proteste e le sue grida, le quali non
facevano che confermar sempre più il professore nella sua opinione che si trattasse di una terribile
sovraeccitazione nervosa.
Inutile dire che il professor Perussi si è affrettato a informare dell'accaduto il suo amico e mio
cognato Collalto, pregandolo di non mandarmi più a far la cura elettrica; ed è anche inutile
aggiungere che il Collalto me ne ha dette di tutti i colori, terminando con queste parole:
- Bravo davvero!... Gian Burrasca non poteva incominciar l'anno meglio di così... Ma in quanto a
proseguirlo, caro mio, lo proseguirai a casa tua, perché io ne ho abbastanza! -
4 gennaio.
Stamani Collalto aveva scritto al mio babbo una lettera col pepe e col sale (come ha detto lui)
informandolo di tutte le mie birbanterie (son sempre sue parole) e pregandolo di venirmi subito a
riprendere; ma poi la lettera non è stata più impostata e anzi mio cognato ha smesso il broncio e mi
ha detto sorridendo:
- Via per questa volta ci passeremo sopra, anche per non dare un dispiacere ai tuoi genitori... Ma
bada bene! La lettera rimane qui nel cassetto del mio scrittoio, e alla prima che mi fai ancora, io
l'aggiungo alle altre e le spedisco tutte insieme a tuo padre... Règolati! -
Il curioso è che questo cambiamento di scena è avvenuto in seguito a un'altra mia birbanteria -
per dir come dice Collalto - ma che pare abbia fatto molto piacere a mio cognato.
Ed ecco come sta il fatto.
Oggi, alla solita ora, cioè quando si era a colazione, è venuta la marchesa Sterzi, quella che fa la
cura per non parlar più col naso. Io allora ho pensato, che, giacché il Collalto aveva scritto al babbo
(allora credevo che avesse già impostata la lettera), potevo pigliarmi qualche altro divertimento
senza pregiudicare di più la mia situazione; e còlto il momento propizio sono andato di corsa nella
sala delle consultazioni.
La marchesa stava seduta in una poltrona voltando le spalle verso la porta per la quale ero entrato
io.
Mi sono avvicinato piano piano alla poltrona, e, quando le sono stato proprio dietro, mi son
chinato perché non mi vedesse e ho gridato:
- Maramèo!..-
La marchesa ha fatto un salto sulla poltrona, e quando mi ha visto accoccolato sul tappeto ha
esclamato:
- Chi è là?
- Il gatto mammone! - ho risposto, inarcando la schiena, puntandomi sulle mani e sul piedi e
sbuffando come fanno i gatti.
Mi aspettavo che la marchesa Sterzi si risentisse per questo mio scherzo ma invece ella mi ha
guardato un poco con ammirazione e poi si è chinata su me, mi ha rialzato, mi ha abbracciato, mi ha
accarezzato, e ha incominciato a dire con voce tremante per la commozione:
- Oh caro! Oh caro! Ah che gioia, che grande gioia mi hai recata, ragazzo mio!... Oh che grata
sorpresa!... Parla, parla ancora... Ripeti ancora quella magica parola che mi ridà la pace dell'anima e
suona al mio orecchio come una dolce promessa e il più gradito augurio ch'io possa mai
desiderare...-
Io, senza farmi pregare, ho ripetuto:
- Marameo! -
E la marchesa a raddoppiare le carezze e gli abbracci, mentre io, per farle piacere, seguitavo a
ripetere: Marameo, marameo...
Finalmente ho capito il motivo di tanta allegrezza: la marchesa sentendo che non discorrevo più
col naso come la prima volta che mi aveva incontrato, mi credeva guarito e non finiva di
domandarmi:
- E quanto tempo è durata la cura? E quando hai cominciato a sentire il miglioramento? E quante
inalazioni facevi al giorno? E quanti sciacqui? -
Io da principio le rispondevo quel che mi veniva alla bocca; ma poi, siccome cominciavo a
seccarmi, l'ho piantata li, e soltanto quando sono stato sulla porta, le ho ripetuto, sempre per farle
piacere:
- Marameo! -
Ma proprio in quel momento stava per entrare il dottor Collalto il quale, avendo sentito quella
parola, mi ha allungato una pedata nel corridoio che son riuscito a scansare per miracolo, e ha
borbottato fremendo:
- Canaglia, ti avevo proibito di venir qui!.. -
Poi è entrato nella sala di consultazione, e io, ritornando indietro per il corridoio con l'intenzione
di andare in camera mia e chiudermici dentro a scanso di altre pedate, ho sentito che diceva alla
marchesa Sterzi:
- Perdonerà, signora marchesa, se quel ragazzaccio maleducato...
Ma la marchesa lo ha interrotto subito:
- Che dice mai, caro professore! anzi non può immaginare quanto confortante sia stato per me il
poter constatare i miracolosi effetti della sua cura... Quel ragazzo è guarito in pochi giorni!... -
Qui ci è stata una pausa, e poi ho sentito il Collalto che diceva:
- Già, già... infatti è guarito presto... Sa, un ragazzo! Ma spero col tempo di guarire anche lei... -
Non ho voluto sentir altro; e invece andarmi a chiudere in camera, sono andato da mia sorella
che ho trovato nel suo salottino da lavoro e alla quale ho raccontato tutta la scena.
Che risate abbiamo fatto insieme!
E così, mentre si rideva a crepapelle, ci ha sorpresi il Collalto che ha riso anche lui... e non ha
spedito più la lettera al babbo.
- Giannino - ha detto mia sorella - ha promesso dì esser buono, non è vero?
- Sì, - ho risposto - e non dirò più bugie... nemmeno alla marchesa Sterzi.
- Ah! - ha esclamato mio cognato - badiamo bene che tu non abbia a incontrarti più con lei,
altrimenti c'è il caso che il bene vada a finire in male! -
5 gennaio.
Oggi ho avuto un'altra grande soddisfazione... Pare proprio che in casa di mia sorella si
incominci un po' a render giustizia ai ragazzi!
Stamani verso le dieci è venuto da mio cognato il professore Perussi, quello che fa le cure
elettriche, e siccome si son chiusi tutti e due nello studio, io, dubitando che ci fosse qualche nuova
complicazione nell'affare di quel signor marchese ritinto al quale sfregai una cipolla nel muso
mentre era chiuso nel bagno di luce elettrica, mi son messo con l'orecchio al buco della serratura per
ascoltare...
Dico la verità: se invece di aver sentito quel che ho sentito proprio con quest'orecchio me l'avesse
raccontato qualcuno non ci crederei per tutto l'oro del mondo!
Il professor Perussi, appena entrato nello studio, dando in una gran risata ha detto al Collalto
queste precise parole:
- Non sai che mi càpita? Quel marchese, sai bene, che veniva da me a fare i bagni di luce, dopo la
canagliata che gli fece l'altro giorno quel pezzo da galera di tuo cognato, mi ha detto che in vita sua
non era stato mai bene né si era sentito così in forze come quel giorno, e che certo doveva dipendere
dalle fregagioni di cipolla fattegli sul viso durante il bagno... Conclusione: ora nel mio gabinetto gli
fo una cura novissima, mai sentita rammentare nelle cronache scientifiche di tutto il mondo, che ho
battezzato bagno di luce con massaggio faciale di allium cepa. -
A questo punto hanno dato tutt'e due in una grande risata, e questa è stata una fortuna, perché
così non hanno sentito la mia.
Poi il Collalto ha raccontato il fatto della marchesa Sterzi, e qui daccapo a ridere come due matti.
E pensare che spesso si sgridano i ragazzi per certe cose che, se i grandi aspettassero il tempo
necessario per vedere come vanno a finire, dovrebbero invece lodarle e ringraziarci di averle fatte!
6 gennaio.
Evviva la Befana!
Stamani Luisa mi ha portato in, camera una bella calza piena di dolci con un bel
pulcinella in cima, e Collalto mi ha regalato un bel portamonete di pelle di
coccodrillo. Da casa mia poi mi hanno scritto di avermi preparato altre liete
sorprese per quando ritornerò...
Per me oggi è una bellissima giornata. Viva la Befana!...
8 gennaio.
Sono qui in camera mia e sto aspettando il babbo che deve venire a prendermi, perché purtroppo
ieri il Collalto gli ha spedito la famosa lettera, e quel che è peggio con l'aggiunta delle ultime mie
birbanterie.
Questo è il nome che egli dà alle disgrazie che possono capitare a un povero ragazzo perseguitato
dal proprio destino che pare si diverta a ricacciarlo nell'abisso proprio nel momento in cui tenta di
sollevarsi alla stima dei propri genitori e parenti.
E le disgrazie, si sa, non vengono mai sole; motivo per cui ieri me ne son successe diverse
collegate insieme in modo che, se i grandi non fossero sempre propensi a esagerare l'importanza dei
nostri errori, si dovrebbero considerare logicamente come una disgrazia sola.
Ed ecco per filo e per segno come andò la faccenda.
Ieri mattina, mentre la sora Matilde era fuori di casa, andai nel suo salottino da lavoro dove
avevo visto entrare Mascherino, il grosso gatto bianco e nero prediletto di mia cognata.
Sul tavolino da lavoro stava la gabbia col canarino, un'altra creatura che gode la protezione della
sora Matilde la quale, come dicono tutti, vuol molto bene alle bestie mentre non può soffrire i
ragazzi, cosa, questa, assai ingiusta e che non si spiega.
E poi non ho mai capito che razza di bene sia quello di tenere, per esempio, un povero uccellino
rinchiuso in una gabbia, invece di lasciarlo volare libero per l'aria come è la sua abitudine.
Povero canarino! Mi pareva che mi guardasse e cinguettando dolcemente mi dicesse come nel
libro di lettura che avevo in seconda elementare:
- Fammi gustare, anche per poco, la libertà che da tanto tempo m'è negata! -
La porta e la finestra del salottino erano chiuse: non c'era pericolo perciò che il canarino potesse
scappare... Io gli aprii la gabbietta, ed esso si affacc girando il capino qua e là, tutto sorpreso di
trovar l'usciolino aperto. Poi finalmente si decise e uscì dalla prigione.
Io m'ero messo a sedere su una sedia, col gatto sulle ginocchia e stavo osservando con grande
attenzione tutte le mosse del canarino.
Fosse l'emozione o altro, per prima cosa la povera bestiola sporcò un bel ricamo di seta che era
sul tavolino; ma siccome non era ancora finito, pensai che fosse poco male, ché la sora Matilde
avrebbe potuto rifarlo facilmente.
Ma il gatto, forse dando alla cosa una maggiore importanza, volle punire crudelmente l'infelice
canarino; il fatto è che mi saltò via a un tratto dalle ginocchia, balzò su una sedia che era tra mezzo
rovesciandola, e di sul tavolino, abbrancò il povero uccellino e lo divorò in un boccone prima
ancora che io potessi pensare a impedire una simile tragedia.
Però a mia volta volli punire esemplarmente la crudeltà Mascherino perché in avvenire in
simile occasione non avesse a ricadere nello stesso difetto.
Accanto al salottino da lavoro della sora Matilde c'è la sua stanzetta da bagno; io dunque vi
entrai, e, salito su una sedia, aprii la cannella dell'acqua fredda; poi afferrai il gatto per il collo e lo
tenni un pezzo con la testa sotto la doccia mentre esso si divincolava come se avesse le convulsioni.
A un certo punto dètte un tale scossone che non lo potei più reggere, e Mascherino, gnaolando in
modo che pareva ruggisse, si slanciò nel salottino, facendo salti terribili attorno alla stanza e
rompendo un vaso di vetro di Venezia che era lì sulla consolle.
Io intanto cercavo di richiudere la cannella dell'acqua, ma per quanti sforzi facessi non vi
riuscivo. La tinozza era già piena e l'acqua incominciava a traboccare... Peccato! Mi dispiaceva
molto per l'impiantito della stanza da bagno, tutto lucido che era una bellezza; ma fortunatamente
l'acqua che già vi scorreva come un fiume trovò uno sfogo nel salottino da lavoro dove anche io mi
ritirai per non bagnarmi troppo le scarpe.
Ma ci rimasi poco, perché vidi sulla consolle Mascherino, accovacciato che mi guardava fisso
con certi occhi gialli spaventosi, come se da un momento all'altro mi avesse voluto mangiare come
aveva fatto col povero canarino. Ebbi paura e uscii chiudendo la porta.
Passando dalla stanza degli armadi, vidi dalla finestra una bambina bionda, che stava facendo i
balocchi sulla terrazza del piano di sotto, e siccome la finestra era molto bassa mi venne il pensiero
gentile di fare una visita a quella bella bambina e mi calai di sotto.
- Oh! - esclamò la bambina. - Chi sei? Non sapevo che la signora Collalto avesse un bambino... -
Io allora le dissi chi ero e le raccontai la mia storia che pare la divertisse immensamente. Poi mi
fece passare in una stanzetta vicino alla terrazza dove aveva le sue bambole e me le fece vedere
tutte, spiegandomi in quali circostanze le aveva avute, chi gliele aveva date e via dicendo.
A un tratto però incominciò a venir giù dell'acqua dal soffitto e la bambina chiamò la sua
mamma dicendo:
- Mamma, mamma! Piove in casa!... -
La mamma accorse e rimase molto sorpresa di trovarmi con la sua bambina, ma io le spiegai la
cosa ed ella, che doveva essere una signora molto ragionevole, sorrise dicendo:
- Ah! si è calato nella terrazza? Ecco un ragazzo che incomincia presto ad avere delle avventure
galanti! -
Io le risposi molto gentilmente; e poi, siccome ella si mostrava assai impensierita per l'acqua che
veniva giù sempre più abbondante dal soffitto, le dissi:
- Non tema niente, signora; non piove in casa... Io credo che quest'acqua venga invece dalla
stanza da bagno di mia cognata, dove ho lasciato il rubinetto aperto...
- Ah, ma allora bisogna avvertire di sopra... Presto, Rosa, accompagnate questo signorino dalle
signore Collalto e avvertitele che hanno la stanza da bagno allagata. -
Rosa, che era la cameriera, mi accompagnò infatti di sopra e venne ad aprire il servitore di mio
cognato; ma fu inutile avvertire, perché proprio in quel momento era tornata in casa la sora Matilde
e s'era accorta di tutto.
Il servitore del Collalto si chiama Pietro e ha un fare così serio e
una voce così grave che fin dalle prime volte mi ha dato sempre una
grande soggezione.
- Guardi! - mi disse con un tono solenne che mi fece fremere dal
capo al piedi. - Cinque cose aveva la signorina Matilde alle quali
teneva molto e che erano, si può dire, le cose che avesse più care al
mondo: il suo canarino che aveva allevato lei, il suo bel gatto bianco
e nero che aveva trovato e raccolto per la strada lei stessa quando
era piccino, il vaso di vetro di Venezia che era il ricordo di una sua
amica d'infanzia che è morta l'anno passato, il ricamo di seta al
quale lavorava da sei anni e che voleva regalare all'altar maggiore
della chiesa dei Cappuccini, e il tappeto del suo salottino da lavoro,
un tappeto vero persiano che le aveva portato un suo zio da un
viaggio che fece... Ora il canarino è morto, il gatto è in agonia e
di stomaco tutta roba gialla, il vaso di vetro di Venezia è in mille
bricioli, il ricamo di seta è rovinato e il tappeto vero di Persia è tutto
scolorito dall'acqua che ha allagato il salottino... -
Tutte queste cose le disse lentamente, con aria dignitosa e mesta
a un tempo, come se raccontasse una storia misteriosa di paesi e di
tempi lontani.
Mi sentivo così avvilito, che balbettai:
- Che devo fare?
- Io soggiunse Pietro - se avessi la disgrazia di essere ne' suoi
piedi... li adoprerei per ritornare a Firenze di corsa. -
E disse questa freddura con una voce funebre che mi fece
rabbrividire.
Eppure, in fin dei conti, il suo consiglio mi parve il solo che mi offrisse una via di salvezza nella
critica situazione in cui mi trovavo.
Avrei voluto andarmene subito, sicuro com'ero di non incontrar nessuno de' miei parenti; ma
potevo partire lasciando in mani nemiche queste pagine alle quali confido tutta l'anima mia? Potevo
abbandonarti, giornalino mio caro, unico conforto in tante vicissitudini della mia vita?
No, mille volte no!
Zitto, zitto, in punta di piedi, salii nella mia cameretta, mi misi, il cappello, presi la mia borsa e
ritornai giù, pronto a lasciar la casa di mia sorella per sempre.
Ma non feci a tempo.
Proprio nel momento in cui ero per varcare la soglia di casa, Luisa mi agguantò per le spalle
esclamando:
- Dove vai?
- A casa - risposi.
- A casa?
- A quale casa?
- A casa mia, dal babbo, dalla, mamma e dall'Ada...
- E come fai a prendere il treno?
- Non prendo treno: vo a piedi.
- Disgraziato! A casa anderai domani. Collalto ha spedito al babbo in questo momento, la lettera
alla quale non ha aggiunto che queste parole: “Stamani Gian Burrasca in meno di un quarto d'ora ha
fatto tante birbanterie che ci vorrebbe un volume a descriverle. Venga a prenderlo domattina, e
gliele dirò a voce”. -
Mi sentivo accasciato sotto il peso delle mie sventure e non replicai.
Mia sorella mi spinse in camera sua e, vedendomi in quello stato, cedette e un sentimento di
pietà, e passandomi una mano sul capo esclamò:
- Ma Giannino, Giannino mio! Come hai fatto a far tanti danni in pochi minuti che sei rimasto
solo?
- Tanti danni? - risposi singhiozzando. - Io non ho fatto niente... È il mio destino infame che mi
perseguita sempre, perché son nato disgraziato... -
In quel momento entrò il Collalto che, avendo udite le mie ultime parole, esclamò a denti stretti:
- Disgraziato? Disgraziati son quelli che devono tenerti in casa... ma per me, questa volta puoi
star sicuro, è una disgrazia che finisce domani! -
L'accento ironico di mio cognato mi fece tanto rabbia in quel momento, che le lacrime mi si
seccarono a un tratto negli occhi, e scattai:
- Sì, disgraziato! Qualche volta, è vero, m'è successo di far del male che poi è riuscito in bene per
gli altri, come il fatto di quel marchese che faceva i bagni di luce dal professor Perussi il quale
guadagna ora dei bei quattrini con la cura della cipolla che ho inventata io...
- Ma chi te l'ha detto?...
- Lo so e basta. E come quell'altro fatto della marchesa Sterzi alla quale ho fatto credere che tu
mi abbia guarito dalla voce nasale...
- Zitto!
- No, non voglio stare zitto! E siccome quel fatto ti fece dimolto comodo, così tu non mandasti
la lettera a casa mia, per non dare un dispiacere ai miei genitori! Succede sempre così: quando il
male che può fare un ragazzo vi torna utile, voialtri grandi siete pieni di indulgenza; mentre poi se
facciamo magari qualcosa a fin di bene e che ci riesce male, come è successo a me stamani, allora ci
date tutti addosso senza remissione!..
- Come! Ardiresti di sostenere che quel che hai fatto stamani era a fin di bene?
- Sicuro! Io volevo far godere un poca di libertà a quel povero canarino che s'era annoiato a star
sempre rinchiuso in quella gabbia; è forse colpa mia se il canarino appena fuori ha sporcato il
ricamo di seta della sera Matilde? Allora il gatto l'ha voluto castigare e gli è saltato addosso; è colpa
mia se Mascherino è troppo severo e si è mangiato il canarino? Per questo fatto si meritava una
lavata di testa e io l'ho messo sotto la cannella del bagno... È colpa mia se l'acqua gli ha fatto male
allo stomaco? È colpa mia se ha rotto il vaso di vetro di Venezia? È colpa mia se, non riuscendomi
di chiudere la cannella del bagno, l'acqua ha allagato il salotto e ha fatto scolorire il tappeto di
Persia della sora Matilde? E poi io ho sempre sentito dire che i tappeti veri di Persia non
sbiadiscono... Se è sbiadito vuol dire elle non era persiano...
- Come non era persiano! - urlò in quel momento la sora Matilde
entrando in camera di mia sorella come una bomba. Anche le
calunnie! E che calunnie! Si osa calunniare la buon'anima di mio zio
Prospero che era un galantuomo, incapace di regalarmi un tappeto
persiano falso!... Ah! Quale profanazione, mio Dio!... -
E la sora Matilde appoggiò un gomito sul cassettone alzando gli
occhi al cielo e prendendo una posa malinconica che mi è rimasta così
impressa da poterla riprodurre come un ritratto con la fotografia, e
che lì per lì mi fece proprio ridere.
- Andiamo, via! - esclamò mia sorella. Non bisogna poi
esagerare: Giannino non voleva certo mancar di rispetto a tuo zio...
- Non è forse mancar di rispetto a mio zio il dire che mi ingannava
regalandomi dei tappeti coi colori falsi? Sarebbe come se dicessi a te
che hai le gote tinte col rossetto!
- Eh no! - rispose piccata mia sorella. - Non è lo stesso caso perché
il tappeto alla fin fine è scolorito, mentre io ho in faccia una tinta che
non sbiadisce, e, grazie a Dio, non divento mai gialla...
- Dio, come prendi le cose sul serio! esclamò la sora Matilde
sempre più indispettita. - Io ho fatto un paragone, e non ho voluto dir
niente affatto che tu ti tinga. Se mai lo dice qui il tuo signor fratello
che mi ha raccontato che quando eri ragazza avevi il rossetto sulla
toelette... -
A queste parole mi sentii arrivare uno scapaccione che veniva certo da mia sorella, e corsi a
chiudermi in camera mia, dalla quale sentii una gran lite che si accendeva tra le due donne che
facevano a chi urlava di più, mentre ogni tanto la voce del Collalto cercava invano di calmarle
esclamando:
- Ma no... Ma sì... Ma senti... Ma pensa... -
E rimasi nella mia camera finché non venne Pietro a prendermi per andare a pranzo, durante il
quale il Collalto e Luisa, tra i quali ero a sedere, mi tenevano a turno per la giacchetta come se io
fossi stato un pallone senza frenare, e loro avessero avuto paura che volassi via da un momento
all'altro.
La stessa scena si è ripetuta stamani per la colazione, dopo la quale Pietro mi ha riaccompagnato
qui in camera dove sto aspettando l'arrivo del babbo il quale certamente considererà la cose dal lato
peggiore, come fanno tutti!
Intanto Pietro mi ha detto che Luisa e la sora Matilde non si parlano più da ieri... E anche di
questo si dirà che la colpa è mia come se dipendesse da me il fatto di avere una sorella con la faccia
troppo rossa e una cognata con la faccia troppo gialla!...
9 gennaio.
Scrivo in casa del Maralli.
Ho un nodo alla gola e duro fatica a riordinare le idee per raccontare qui la scena di ieri che è
stata come la scena d'una tragedia, ma non di quelle che fa D'Annunzio che sentii recitare una volta
e che anche la mamma diceva che non poteva stare, benché le mie sorelle le dessero sulla voce,
dicendo che dipendeva che lei non era intellettuale. La mia, invece, è una tragedia vera che si
potrebbe intitolare: Il piccolo bandito, ossia La vittima della libertà, perché, in fin dei conti, tutto
quello che mi succede è stato per dare la libertà a un povero canarino che la sora Matilde voleva
tenere chiuso in gabbia.
Ieri mattina, dunque, il babbo venne a prendermi a Roma, e naturalmente ebbe dal Collalto la
descrizione tutte le mio birbanterie, meno, s'intende, quella della marchesa Sterzi e del marchese
che fa la cura della cipolla.
Il babbo è stato a sentir tutto, e da ultimo ha detto:
- Ora il vaso è colmo. -
E non mi ha detto più una parola, finché non siamo arrivati a casa.
ho trovato la mamma e l'Ada che mi hanno abbracciato tutte piangenti, ripetendo come un
lamento:
- Ah Giannino! Oh Giannino!... -
Il babbo mi staccò da loro, mi accompag in camera mia e mi disse serio serio, con voce
calma, queste precise parole:
- Ho già fatto tutte le carte necessarie e domani andrai in collegio. -
E se n'andò richiudendo l'uscio.
Più tardi venne l'avvocato Maralli con mia sorella Virginia, e l'uno e l'altra fecero di tutto per
rimuovere il babbo dalla sua risoluzione, ma io sentivo che il babbo ripeteva sempre questo
ritornello:
- Non lo voglio più vedere! Non lo voglio più vedere! -
Bisogna che renda questa giustizia all'avvocato Maralli: è un uomo di cuore che difende i deboli
contro la persecuzione e contro le ingiustizie, e che a tempo e luogo sa mostrarsi grato dei benefici
ricevuti. E per questo, ricordando la pistolettata che gli tirai nell'occhio ha detto al babbo:
- Che vuole? quel ragazzo fu per accecarmi e dopo, il giorno in cui sposai Virginia, andai
anche a rischio di esser seppellito vivo sotto le rovine del caminetto nel salotto da ricevere. Ma non
posso dimenticare che io e Virginia dobbiamo a lui se siamo uniti... E poi prese anche le mie difese,
a scuola, contro il nipote di Gaspero Bellucci che diceva male di me... Io l'ho saputo, e questo indica
che Giannino è un ragazzo di sentimento, non è vero, Giannino? Perciò io gli voglio bene... Perché
bisogna guardare al fondo delle cose: per esempio anche per quei danni commessi a Roma, dopo
tutto, il movente è stato generoso: egli voleva dar la libertà a un uccellino... -
Che avvocato d'ingegno è il Maralli!... Io che stavo fuori dell'uscio a sentire questo suo discorso
così poderoso, non potei più star fermo ed entrai nella stanza gridando:
- Viva il socialismo!... -
E caddi nelle braccia di Virginia, singhiozzando.
Mio padre si mise a ridere, e poi disse, asciutto:
- Va bene: ma poiché il socialismo vuole che ciascuno abbia la sua parte di gioia nel mondo,
perché l'avvocato non ti prende con sé per qualche tempo?
- E perché no? - esclamò il Maralli. - Scommetto che ho la maniera di farlo diventare un omino...
- Sentirai che gioia! - disse il babbo. - In ogni modo, siccome io non voglio più vederlo, per me
lo scopo è ugualmente raggiunto. Piglialo pure... -
E così fu conchiuso il patto: io sarei stato bandito da casa mia e tenuto in prova per un mese dal
Maralli, dove potrò riabilitarmi e dimostrare che non sono, in fondo, quell'essere insopportabile che
dicono tutti.
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Virginia e suo marito, fin dal loro ritorno dal viaggio di nozze che fecero quando prese fuoco il
caminetto nel salotto da ricevere, vennero ad abitare questo quartiere che è molto comodo e centrale
e dove mio cognato ha messo pure il suo studio d'avvocato, che ha un ingresso a ma che
comunica con la casa per mezzo d'un usciolino che mette nella stanza degli armadi. Io ho una
cameretta piccola, ma elegante, che dà sul cortile e dove sto benissimo.
In casa, oltre mia sorella e il Maralli, c'è il signor Venanzio, zio del Maralli, che è venuto da
qualche giorno a passare un po' di tempo presso il nipote, perché dice che questo clima gli giova di
più alla salute. Però la salute non si sa dove l'abbia: è un vecchio cadente, sordo al punto che
bisogna parlargli col corno acustico, e ha una tosse che pare un tamburo.
Dicono però che è ricco sfondato, e che bisogna trattarlo con tutti i riguardi.
Domani ritorno a scuola.
10 gennaio.
In questo momento vorrei avere la penna di Edmondo De Amicis perché la scena che è successa
a scuola stamani è una di quelle da far piangere la gente come vitelli.
Appena sono entrato in classe si è sentito un gran brusìo: tutti i compagni avevano gli occhi fissi
su me.
Certo è una bella soddisfazione l'essere stato il protagonista di un'avventura come quella
dell'automobile, e io non stavo in me dalla gioia, e guardavo tutta quella massa di ragazzi dall'alto al
basso, perché nessuno di loro s'era mai trovato a un pericolo come quello che avevo passato io...
Ma però sbagliavo: ce n'era uno, invece, che ci s'era ritrovato come me... e quest'uno uscì
faticosamente dal suo posto, puntellandosi con le mani sul banco e mi venne incontro reggendosi su
una stampella.
Io mi sentii tutto un rimescolìo dentro l'anima e il corpo, e in un baleno mi andò via tutta la
vanità d'essere stato un eroe, mentre mi saliva un nodo alla gola e, pallido come un morto, ripetevo
dentro di me:
- Oh povero Cecchino! Oh povero Cecchino! -
In un momento io e il Bellucci ci si ritrovò avvinghiati insieme, tutti bagnati di pianto,
singhiozzando, senza poter dire una parola. Tutti i ragazzi avevano le lacrime agli occhi e persino il
professor Muscolo che aveva incominciato a dire: Tutti fermi, rimase sull'effe che gli uscì di bocca
come un lungo soffio: il quale finì da ultimo in un dirotto pianto.
Povero Cecchino, davvero!
Malgrado tutte le cure che gli hanno fatto fare gli è rimasto la gamba destra più corta e dovrà
andare zoppo per tutta la vita.
Ah credi pure, giornalino mio: il vederlo ridotto a quel modo, con la stampella, mi ha fatto una
grande impressione, e io che mi ero ormai quasi dimenticato il fatto dell'automobile, dinanzi allo
spettacolo di terribili conseguenze, mi accorgo di tutta la leggerezza che mettiamo spesso noi
ragazzi nell'affrontare certi rischi senza dar loro l'importanza che devono avere.
Naturalmente mi son guardato bene dal chiedere al povero Cecchino Bellucci i dieci pennini
nuovi e il lapis rosso e turchino che avevamo scommesso e che gli avevo vinto.
13 gennaio.
Il mio cognato è proprio una brava persona. Egli mi tratta come se io fossi un uomo, non mi
mai mortificazioni e ripete sempre:
- Giannino in fondo è un bravo ragazzo e diventerà qualche cosa.
Or ora mi ha sorpreso mentre avevo dinanzi a me il giornalino, e lo ha sfogliato guardando le
figure che vi ho disegnato.
- Ma sai - ha detto - che tu hai una grande disposizione per il disegno? E poi si vede che osservi e
ti vai migliorando... Vedi un po' dalle prime figure che hai fatto a queste ultime che progresso!
Bravo Giannino! Faremo di te un artista! -
Queste sono cose che fanno piacere a un ragazzo, e io voglio dimostrare a mio cognato quanto gli
sono riconoscente per tutto quello che fa per me, perciò ho deciso di fargli un regalo e, non avendo
neppure un soldo, ho pensato di ricorrere al signor Venanzio, che è tanto ricco, e di chiedergli in
prestito un paio di lire.
#
Oggi a desinare il Maralli ha parlato ancora del mio giornalino.
- Tu non l'hai mai visto? - ha domandato a Virginia.
- No.
- Faglielo vedere, Giannino: vedrai ci siamo tutti, e come somiglianti! Giannino è un artista! -
Io tutto contento ho preso il giornalino e ho mostrato a mia sorella le figure, ma ho proibito a
tutti di leggerlo, perché voglio che i miei pensieri rimangano segreti.
Però, nonostante la mia proibizione, a un certo punto, Virginia ha esclamato:
- Ah, guarda: qui c'è il nostro sposalizio di San Francesco al Monte! - A queste parole mio
cognato s'è slanciato sul giornalino e ha voluto vedere quelle pagine dove è descritto il mio viaggio
sulla traversa dietro la carrozza e la scena che, successe quando li sorpresi tutti in chiesa e li
rimproverai perché non mi avevano detto nulla.
Dopo aver letto quello che avevo scritto, il Maralli mi ha fatto una carezza e poi mi ha detto:
- Senti, Giannino, mi devi fare un gran piacere... Me lo prometti?
Io gli ho risposto di sì.
- Bene: - ha ripreso il mio cognato. - Tu devi permettermi di strappare dal tuo giornalino queste
pagine...
- Questo poi no!
- Come! Ma se mi hai detto di si!
- Ma scusa, perché mi vuoi strappar quelle pagine?
- Per bruciarle.
- Ma perché bruciarle?
- Perché... perché... Il perché lo so io, e non è una cosa che possa capire un ragazzo. -
Ecco le solite ragionacce! Ma ormai avevo giurato a me stesso di esser buono, e ho voluto
accondiscendere anche a questo sacrifizio, ma molto a malincuore, perché l'idea di sottrarre al mio
caro giornalino una parte delle mie confidenze, mi pareva una cosa fatta male e mi faceva un gran
dispiacere.
Il Maralli, dunque, ha strappato le pagine del suo sposalizio a San Francesco al Monte, ne ha
fatto una palla e l’ha buttata nel caminetto.
Quand'ho visto che il fuoco s'è attaccato a un angolo di una pagina che era rimasto arricciato
sulla palla di carta fatta da mio cognato, mi son sentito una stretta dolorosa al cuore; ma ne ho
sentita subito un’altra, e questa volta era di gioia, vedendo che la fiamma appena lambito quel pezzo
di carta accartocciata s'è spenta rispettando la palla che era stata molto compressa ed era perciò assai
resistente; e da quel punto, quanti palpiti a ogni minaccia del fuoco contro le pagine del mio
giornalino! Ma fortunatamente ormai la fiamma aveva esulato dalla parte ove il Maralli l'aveva
gettato, e poco dopo, mentre nessuno badava a me, svelto svelto, ho raccattato dal caminetto la palla
di carta, me la son nascosta nella blouse, e ora ho steso per bene le pagine e con la gomma le ho
riappiccicate al loro posto.
C'è l'angolo di una pagina un po' abbruciacchiato ma lo scritto e l'illustrazione sono rimasti
intatti, e io, caro giornalino mio, sono felice di riaverti intero, così, con tutti i miei sfoghi, buoni o
cattivi, belli o brutti, spiritosi o stupidi ch'essi sieno, secondo il momento.
Ora voglio andare a chiedere due lire al signor Venanzio.
Me le darà?
#
Ho preso il momento buono: mia sorella è fuori, il Maralli è nel suo studio, e io ho afferrato la
trombetta, l'ho ficcata in un orecchio al signor Venanzio e gli ho gridato:
- Per piacere mi prestereste due lire?
- Il paniere per poter partire? - ha risposto lui. - Che paniere? -
Io ho ripetuto la domanda con quanta voce avevo, e allora ha risposto - I ragazzi non devono aver
mai quattrini.-
Questa volta aveva capito!
Allora io gli ho detto :
- Ha ragione la Virginia a dire che lei è un grande avaraccio!... -
A queste parole il signor Venanzio ha dato un balzo sulla poltrona, e ha cominciato a brontolare:
- Ah, dice così? Brutta pettegola! Eh! Si sa!... se avesse molti denari, lei li spenderebbe tutti in
vestiti e cappellini!... Ah!... Ha detto che sono un avaraccio? Eh! Eh!...-
Io per consolarlo ho creduto bene di dirgli che per questo il Maralli l'aveva sgridata, come infatti
era vero; e lui tutto contento mi ha domandato:
- Ah, mio nipote l’ha sgridata? Meno male! Volevo ben dire io! Mio nipote è un buon giovane e
mi è stato sempre molto affezionato... E che le ha detto?
- Le ha detto: È bene che lo zio sia avaro: così mi lascerà più quattrini. -
Il signor Venanzio è diventato rosso come un tacchino, e s'è messo a balbettare in modo che
credevo gli venisse un colpo.
- Si faccia coraggio! - gli ho detto - forse questo è il colpo apoplettico che il Maralli dice sempre
che un giorno o l'altro le deve venire... -
Egli ha alzato le braccia al cielo, ha borbottato dell'altre parole e poi alla fine s'è levato di tasca il
suo borsellino, ha preso una moneta di due lire e me l'ha data dicendomi:
- Eccoti le due lire... E te le darò spesso, ragazzo mio, a patto che tu mi dica sempre quello che
dicono di me mio nipote e tua sorella... perché sono cose che mi fanno molto piacere! Tu sei un
bravo ragazzo e fai bene a dir sempre la verità!..-
È un fatto che a esser buoni e a non dir bugie ci si guadagna sempre.
Ora penserò a fare il regalo a mio cognato, perché se lo merita.
14 gennaio.
Il giovane di studio del Maralli è, invece, un vecchio tentennone che sta sempre nella stanza
d'ingresso, seduto a un tavolino, con lo scaldino tra le gambe, e scrive sempre, dalla mattina alla
sera, sempre copiando e ricopiando le medesime cose...
Io non so come fa a non incretinire; ma forse dipende perché è cretino di suo.
Eppure mio cognato ha molta fiducia di lui, e ho sentito spesso che l'ha incaricato d'incombenze
anche difficili che non so come faccia a disimpegnarle, con quella faccia da Piacciaddìo che si
rimpasta...
Invece, se il Maralli avesse giudizio, quando ha qualche commissione da sbrigare alla svelta e per
la quale c'è bisogno d'un po' d'istruzione e d'intelligenza, dovrebbe affidarla a me, e così piano piano
farmi impratichire nella professione e tirarmi su per avvocato.
Mi piacerebbe tanto diventar come lui e d'andar nei tribunali a difendere i birbanti, ma quelli
buoni però, cioè che son diventati cattivi per disgrazia e per forza delle circostanze nelle quali si son
trovati, come è successo a me; e lì vorrei fare certi bei discorsi, urlando con tutto il fiato che ho in
corpo (e mi par d'averne più di mio cognato) per fare stare zitti gli avversari e far trionfare la
giustizia contro la prepotenza delle classi sfruttatrici, come dice sempre il Maralli.
Io qualche volta mi trattengo a discorrere con Ambrogio che è appunto il giovane di studio e che
è dello stesso mio parere.
- L'avvocato Maralli si farà strada, - mi dice spesso - se lei diventasse avvocato troverebbe qui
nel suo studio la nicchia bell'e fatta. -
Oggi intanto ho incominciato a impratichirmi un poco di processi e di tribunali.
Mio cognato era fuori; e Ambrogio a un certo punto ha posato lo scaldino, è uscito di dietro il
suo tavolino e mi ha detto:
- Che mi potrei fidar di lei, sor Giannino, per un piacere? -
Gli ho risposto di sì, e lui allora mi ha detto che aveva da andare un momento a casa sua dove
aveva dimenticato certe carte importantissime, che avrebbe fatto presto...
- Lei stia qui finché torno io: e chiunque venga lo faccia aspettare... Mi raccomando però; non si
muova di qui... Posso star sicuro, sor Giannino? -
L'ho rassicurato e mi son messo a sedere dove sta lui, con lo scaldino tra le gambe e la penna in
mano.
Di a poco è entrato un contadino, un tipo buffo con un
ombrellone verde sotto il braccio, e che, rigirandosi il cappello tra le
mani ha detto:
- Che è qui che ho a venire?
- Chi cercate? - gli ho domandato.
- Del sor avvocato Maralli...
- L'avvocato è fuori... ma io sono il suo cognato e potete parlare
liberamente... È come se ci fosse lui in persona. E voi chi siete?
- Chi sono io? Io son Gosto contadino del Pian dell'Olmo, dove mi
conoscono tutti, e anzi mi chiamano Gosto grullo per distinguermi da
un altro Gosto che sta nel podere accanto, e sono, come lei saprà,
ascritto alla Lega dove pago due soldi tutte le settimane che Dio mette
in terra, e il sor Ernesto lo può dire che è il nostro segretario e sa far
di conto perché lui non è un contadino come noialtri disgraziati...
Sicché i' ero venuto a sentire per quel processo dello sciopero con la
ribellione, che deve andare fra due giorni e dove son testimonio,
come qualmente il giudice istruttore mi ha mandato a chiamare per
farmi l'interrogatorio, ma io prima di andar da lui son venuto qui per
sentire come mi devo regolare... -
Io non ne potevo più dal ridere, ma mi son trattenuto, e anzi ho
preso un'aria molto seria e gli ho detto:
- Come andò il fatto?
- Gua'! Il fatto andò che quando noi ci si trovò di fronte ai soldati si cominciò a vociare, e poco
dopo Gigi il Matto e Cecco di Merenda cominciarono a tirar sassate e allora i soldati spararono. Ma
che le ho a dire queste cose al giudice istruttore? -
S'intende esser bestie, ma a questo punto non credevo mai che un contadino ci potesse arrivare.
Hanno proprio ragione a chiamarlo Gosto grullo! Come si fa, dico io, a non sapere che in Tribunale
i testimoni devono dire la verità, tutta la verità e niente altro che la verità, che sono cose che le
sanno anche i bambini d'un anno?
Io gli ho detto di dire le cose come stavano, che in quanto al resto poi ci avrebbe pensato il mio
cognato.
- Ma i compagni di Pian dell'Olmo però mi hanno raccomandato di negare il fatto delle sassate!
- Perché sono ignoranti e grulli come voi. Fate come vi dico io: non dite nulla a nessuno di quel
che avete fatto, e vedrete che tutto anderà a finir bene.
- Gua'!... Lei non è il cognato del sor avvocato Maralli?
- Sicuro.
- E a discorrer con lei non è lo stesso che discorrer con lui?
- Precisamente.
- E quand'è così vo via tranquillo e dico come stanno le cose per filo e per segno. Arrivedella e
grazie. -
E se n'è andato. Io son rimasto molto soddisfatto d'aver sbrigato quest'affare a mio cognato...
Pensare che se stessi qui sempre potrei preparare i processi, dare il parere ai clienti ed essergli utile
e nello stesso tempo divertirmi chi sa quanto!...
Sento proprio d'esser nato per far l'avvocato...
Quando è tornato Ambrogio e mi ha domandato se c'era stato nessuno gli ho risposto:
- C'è stato un grullo... ma me lo son levato di tra i piedi. -
Ambrogio ha sorriso, è tornato al suo posto, s'è messo lo scaldino tra le gambe e la penna tra le
dita, e ha ricominciato a scrivere sulla carta bollata...
13 gennaio.
Il signor Venanzio è uggioso, ne convengo, ma ha delle buone qualità. Con me per esempio, è
pieno di gentilezze e dice sempre che sono un ragazzo originale e che si diverte un mondo a
sentirmi discorrere.
È di una curiosità straordinaria. Vuol saper tutto quello che si fa in casa e tutto quello che si dice
di lui, e per questo mi dà quattro soldi al giorno.
Stamani, per esempio, si è molto interessato ai soprannomi coi quali lo chiamano in casa, e io
glie ne ho detti parecchi.
Mia sorella Virginia lo chiama vecchio spilorcio, sordo rimbambito, spedale ambulante; il
Maralli lo chiama lo zio Tirchio, lo zio Rùdero, e spesso gli dice anche vecchio immortale perché
non muore mai. Perfino la donna di servizio gli ha messo il soprannome: lo chiama Gelatina perché
trema sempre.
- Meno male! - ha detto il signor Venanzio. - Bisogna convenire che, fra tutti, la più gentile verso
di me è la serva. La ricompenserò! -
E s’è messo a ridere come un matto.
16 gennaio.
Ho già pensato al regalo che debbo fare a mio cognato. Gli comprerò una
bella cartella da tenere sulla sua scrivania invece di quella che ha ora, che è
tutta strappucchiata e sudicia d'inchiostro.
E poi comprerò anche un paio di razzi che manderò dalla terrazza in segno
di gioia per esser finalmente diventato un buon ragazzo come desiderano i
miei genitori.
17 gennaio.
Ieri mattina me n’è successa una bella.
Nel ritornare a casa, dopo aver comprato la cartella per il Maralli e i due
razzi, passai dallo studio, e vedendo nella stanza d'aspetto che Ambrogio non
c'era e che aveva lasciato sotto il tavolino lo scaldino spento, mi venne l'idea
di fargli una sorpresa e gli ci misi dentro i due razzi, nascosti ben bene sotto la
cenere.
Veramente, se avessi potuto immaginare le conseguenze, questo scherzo
non lo avrei fatto; ma come si fa, santo Dio, a immaginarsi le conseguenze che
hanno il torto di venir sempre dopo, quando nelle cose non c'è più rimedio?
Però da qui in avanti voglio pensarci ben bene prima di fare una burla in
modo che non mi succeda più di sentirmi dire, come per questo fatto, che io fo
gli scherzi di cattivo genere.
È stata proprio una faccenda seria, ma per me che sapevo che non c'era
pericolo è stata una cosa da morire dal ridere.
Io avevo visto Ambrogio andare in cucina ad assettare lo scaldino, come fa tutte le mattine, e
naturalmente stavo in vedetta. A un certo punto si è sentito un gran tonfo ed un urlo, e allora mio
cognato e due clienti che erano nello studio si son precipitati nella stanza d'aspetto e son corse pure
Virginia e la donna di servizio per vedere quel che era successo. Ma ecco che, quando tutti erano lì
riuniti, scoppia nello scaldino un tonfo più grosso di prima, e allora via tutti come pazzi a scappar di
qua e di là, lasciando quel povero Ambrogio solo, incastrato fra il tavolino e la seggiola e che non
aveva la forza di moversi e balbettava:
- Che sarà mai? Che sarà mai? -
Io ho cercato di fargli coraggio, dicendogli:
- Non è niente di pericoloso... Anzi! Io credo che sieno certi razzi che avevo messo lì per fare un
po' di festa... -
Ma il povero Ambrogio non capiva più niente e non mi sentiva neppure; però mi ha sentito il
Maralli, che dopo essere scappato via con gli altri ora ritornava piano piano e faceva capolino alla
porta.
- Ah! - ha gridato mostrandomi il pugno - sei stato tu, ancora coi tuoi fuochi d'artifizio? Ma
dunque hai giurato proprio di farmi rovinar la casa in capo? -
Io allora ho cercato di rinfrancare anche lui dicendogli:
- Ma no, via; t'assicuro che non è rovinato altro che uno scaldino... Non è niente, vedi? È stata
più la paura che il danno... -
Non l'avessi mai detto! Mio cognato è diventato rosso dalla rabbia, e ha incominciato a gridare:
- Che paura e non paura, brutto imbecille che non sei altro! Io non ho paura di nulla, per tua
regola... ma ho paura a tenerti in casa mia, perché sei un flagello, e vedo che, prima o poi, finiresti
col farmi la pelle... -
Io allora mi son messo a piangere e sono scappato in camera mia, dove poco dopo è venuta mia
sorella che mi ha fatto una predica d'un'ora, ma poi ha finito col perdonarmi e col persuadere il
Maralli a non riportarmi a casa mia per esser mandato in collegio.
E io, per dimostrargli la mia gratitudine, stamani prima che egli andasse nello studio, gli ho
messo sulla scrivania la cartella nuova che gli comprai, e ho buttato quella vecchia nel caminetto.
Speriamo che anche lui mi sia grato della mia gratitudine...
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Oggi ho pensato tutto il giorno a correggermi del difetto di fare gli scherzi di cattivo genere, e
perciò mi è venuto in mente di farne uno che non può aver nessuna seria conseguenza recar
danno a nessuno.
Mentre ero dal signor Venanzio, che tra parentesi si è divertito un mondo al racconto del fatto
d'ieri, ho colto il momento in cui aveva posato le lenti sul tavolino e gliele ho prese. Poi sono andato
nella stanza d'aspetto, e quando Ambrogio è andato nello studio a parlare col Maralli, lasciando le
sue lenti sul tavolino, ho preso anche le sue e son corso in camera mia.
ho rotto una delle due punte di un pennino facendone un piccolo cacciavite; e con questo,
svitando i perni delle lenti ho messo quelle d'Ambrogio nei cerchietti d'oro del signor Venanzio e le
lenti del signor Venanzio nei cerchietti d'acciaio di Ambrogio, riserrando poi i pernetti con le viti
com'eran prima.
L'operazione è stata fatta così alla lesta, che ho potuto rimettere le due paia di lenti al loro posto
senza che né Ambrogio né il signor Venanzio si fossero accorti della loro mancanza.
Non mi par vero vedere come anderà, a finire questo scherzo che non potrà essere certo
giudicato uno scherzo di cattivo genere.
18 gennaio.
Mi convinco sempre più che è molto difficile per un ragazzo il
prevedere le conseguenze di quello che fa, perché anche la burla più
innocente può causare a volte delle complicazioni straordinarie, che
neppure a esser grandi si saprebbero immaginare.
Iersera, dunque, appena Ambrogio ritornò al suo solito tavolino e si
mise le lenti sul naso, fece un atto di meraviglia: e dopo averle rigirate
tra le dita e ben considerate da tutte le parti e averle appannate più
volte col fiato e ben ben ripulite col suo fazzolettone a scacchi turchini
ed essersele rimesse sul naso, incominciò a mugolare:
- O Dio, o Dio, o Dio! Che diamine mai m'è accaduto? Non ci
veggo più... Ah! Ho capito... questa è una conseguenza dello spavento
di ieri! Vuol dire che sono ammalato grave... Pover' a me! Son
rovinato... - E andò a rammaricarsi col Maralli, al quale chiese il
permesso di assentarsi subito dallo studio per recarsi in una farmacia,
perché sentiva non reggere e certo gli era per venire qualche cosa di
molto serio.
E questa è una conseguenza. L'altra è anche più strana e complicata.
Stamani il signor Venanzio s'è messo nella poltrona per leggere
come fa sempre il Corriere della Sera che, invece, gli arriva la mattina;
ma appena s'è messo le lenti ha incominciato a dire: - Uh! mi si
appannano le pupille... Uh! mi si confonde la vista... Mi gira la testa...
Ah, ci siamo! Per carità, mandate subito a chiamare il medico... e un
notaro, mi raccomando! Un notaro! -
Allora in casa è successo una rivoluzione. Il Maralli è accorso al fianco dello zio e, ficcatogli il
corno acustico nell'orecchio ha cominciato a dirgli - Coraggio, zio... Ci son qui io, non tema di
niente! Penso a tutto io... Non si spaventi, è un deliquio passeggero... -
Ma il signor Venanzio aveva chiuso gli occhi ed era stato preso da un tremito che andava
aumentando sempre più.
Arrivato il medico l'ha visitato e ha detto che il malato era in condizioni disperate. A questa
notizia il Maralli è diventato di tutti i colori, non poteva più star fermo, e non faceva che ripetere:
-- Zio, coraggio... Sono qui io! -
Per metter fine a questa scena tragica son corso nella stanza d'aspetto e ho preso le lenti
d'Ambrogio (che egli aveva lasciato iersera sul suo tavolino) con l'intenzione di portarle al signor
Venanzio, e che avrebbero fatto il miracolo di guarirlo immediatamente. Ma quando son ritornato la
porta era chiusa e di fuori stava mio cognato e Virginia.
Il Maralli era piuttosto allegro, e ho sentito che diceva:
- Ha detto al notaro che sarebbe stata una cosa lesta... e questo, capirai, è un buon segno perché
vuol dire che ci saranno pochi legati... -
E a me che avevo steso la mano per aprir la maniglia della bussola ha soggiunto:
- Lascia andare... Non si può entrare. C'è il notaro... fa il testamento... -
Di a poco mio cognato se n'è andato nello studio perché gli è venuto un cliente, e anche
Virginia è andata via, raccomandandomi di star lì e di avvertirla appena fosse uscito il notaro.
Ma io, invece, quando il notaro è uscito sono entrato in camera e presa la trombetta ho gridato al
signor Venanzio:
- Non dia retta al dottore! Lei si è impaurito perché non ci vedeva più coi suoi occhiali... Ma si
tratta probabilmente di un indebolimento di vista. Provi questi d'Ambrogio che sono più forti dei
suoi... -
E messegli sul naso le lenti che avevo con me gli ho presentato davanti agli occhi il Corriere
della Sera.
Il signor Venanzio allora, nel vedere che ci vedeva, s'è calmato subito, poi ha fatto il confronto
fra le due paia di lenti, e abbracciandomi mi ha detto:
- Ma tu, ragazzo mio, sei un portento! Tu hai un acume molto superiore alla tua età, e diventerai
certamente qualcosa di grosso... E mio nipote dov'è?
- Era lì fuori, ma ora è nel suo studio.
- E che diceva?
- Diceva che se lei si sbrigava presto col notaro era buon segno, perché significava che c'erano
pochi legati. -
A queste parole il vecchio ha dato in una tal risata che credo non ne abbia mai fatte di simili in
tutta la sua vita, e poi regalandomi i suoi occhiali d'oro che gli avevo chiesto e che gli erano oramai
inutili ha esclamato:
- Ah, questa poi è la più carina di tutte! E ora non mi dispiace che di una cosa: di non potere,
quando sarò morto, risuscitare per assistere all'apertura del testamento... Rimorirei dal ridere! -
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È tornato Ambrogio, tutto impensierito perché il medico gli ha detto che ha una nevrastenìa acuta
e gli ha ordinato di smettere di fumare e di mettersi in assoluto riposo.
- Pensare - diceva quel pover'uomo - che non posso fare una cosa l'altra! Come fo a
mettermi in riposo se ho bisogno di lavorare per vivere? E come farò io, disgraziato, a smettere di
fumare... se non ho mai fumato in vita mia neppure una sigaretta? -
Ma io l'ho tolto da ogni imbarazzo, e, presentandogli gli occhiali d'oro del signor Venanzio, gli
ho detto :
- Si provi un po' queste lenti, e vedrà che gli passerà la nevrastenìa... -
Bisognava vedere la gioia d'Ambrogio! Pareva diventato pazzo e voleva sapere una quanti di
come e di perché; ma io ho tagliato corto dicendogli:
- Questi occhiali mi son stati regalati dal signor Venanzio e io li regalo a lei. Se li tenga e non
cerchi altro!... -
19 gennaio.
Il Maralli da iersera è di un umore terribile.
Prima di tutto se la prese con me perché non lo avevo avvertito, come mi era stato detto, quando
il notaro era uscito dalla camera del signor Venanzio, e poi era molto preoccupato perché non
riusciva a spiegarsi il miglioramento avvenuto nelle condizioni di salute di suo zio, così a un tratto,
senza una causa, mentre il medico aveva detto prima che si trattava di una cosa grave.
Stamani era anche più nero di iersera e me ne ha dette di tutti i colori perché gli buttai nel
caminetto la sua vecchia cartella tutta strappata e scarabocchiata mettendogli invece sulla scrivania
una cartella nuova, tutta dorata che è una, bellezza. E questa è la gratitudine per avere avuto il
gentile pensiero di fargli un regalo!
Pare, a quanto ho potuto capire, che nella cartella vecchia vi fossero delle carte e dei documenti
importantissimi che riguardavano un processo, e che ora, per la loro mancanza, il Maralli non sappia
più dove battere la testa...
Fortunatamente era l'ora della scuola e me sono andato via lasciando che si sfogasse con
Ambrogio.
Quando son tornato di scuola ho trovato mio cognato anche più nero di stamani.
Il signor Venanzio gli aveva detto che ero stato io che l’avevo guarito dandogli le lenti
d'Ambrogio e Ambrogio poi gli aveva raccontato d'essere stato guarito pure da me per avergli dato
le lenti del signor Venanzio.
- Voglio assolutamente sapere come sta questa faccenda! - ha detto il Maralli sgranandomi tanto
d'occhi in faccia.
- Ma io che c'entro?
- C'entri benissimo. Com'è che mio zio non ci vede più con le sue lenti mentre ci vede con quelle
d'Ambrogio? E com'è che Ambrogio non ci vede più con le sue e ci vede con quelle dello zio
Venanzio?
- Uhm! Bisognerebbe sentire un oculista... -
In quel momento però è venuto Ambrogio, esclamando:
- Tutto è spiegato! Guardi: lo vede questo sgraffietto in questa lente? Ebbene: da questo
sgraffietto ora riconosco che la lente è mia… Queste sono le mie lenti che ho sempre avute: soltanto
sono state messe nei cerchietti d'oro di suo zio... Capisce? -
A questa rivelazione il Maralli ha cacciato un grido e ha fatto un passo verso di me, stendendo un
braccio per afferrarmi, ma io ho fatto più presto di lui e son corso a chiudermi in camera.
Che anche questo di cambiar le lenti a due paia d'occhiali sia stato uno scherzo di cattivo genere?
Ma chi avrebbe potuto prevedere che per questo scherzo il signor Venanzio e Ambrogio si
sarebbero ìmpauriti a quel modo?
Ed è colpa mia se i loro medici per questo fatto hanno riscontrato nel primo un caso disperato e
nel secondo una nevrastenìa acuta?
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È un'ora che son chiuso in camera mia. Tanto per passare il tempo, con un bastoncino, una
gugliata di refe e uno spillo ritorto, mi son fabbricato una lenza e mi son divertito a pescare nella
mia catinella certi pesciolini ritagliati nella carta...
20 gennaio.
Stamani Virginia s'è intromessa nella questione tra me e il Maralli e pare che egli non mi riporti a
casa mia come aveva minacciato di fare.
- Che badi bene, però, - ha detto a mia sorella - che badi di rigar diritto! Io mi son già pentito di
quel che ho fatto per lui, e ormai basta una goccia per far traboccare il vaso!... -
21 gennaio.
Altro che goccia! Su quel vaso di mio cognato che era per traboccare c'è cascato addirittura
un diluvio e... non so proprio di dove cominciare.
Dovrei piangere dal dispiacere, strapparmi i capelli, dalla disperazione... ma le disgrazie che mi
son capitate ieri tra capo e collo sono tante e si sono scatenate così improvvisamente, tutte insieme,
che io son rimasto rimbecillito e mi par di sognare...
Andiamo per ordine.
La prima causa della mia rovina è stata la passione per la pesca.
Ieri, appena ritornato da scuola, presi in camera mia
quella lenza che mi ero fabbricato ieri l'altro e andai nella
stanza del signor Venanzio con l'intenzione di pescare
nella sua catinella per farlo divertire.
Disgraziatamente il signor Venanzio dormiva; e
dormiva in un modo curioso, con la testa arrovesciata
sulla spalliera della poltrona e con la bocca spalancata
dalla quale gli usciva un rantolino che andava a finire in
un piccolo fischio...
Allora cambiai idea. Dietro alla poltrona c'era una
tavola, e io montatovi sopra, stando seduto su un
panchettino, mi misi, per ridere, a pescare nella bocca del
signor Venanzio, tenendo la lenza al disopra della sua
testa e l'amo sospeso all'altezza della bocca spalancata...
- Ora quando si sveglia - pensavo - chi sa come rimarrà
sorpreso!
Disgraziatamente gli venne a un tratto da starnutire; e nello starnuto, avendo egli chinata la testa,
l'amo andò a posarglisi sulla lingua e, avendo poi richiusa la bocca, gli restò dentro, mentre io senza
accorgermene, per un semplice istinto di pescatore, detti una stratta alla lenza tirando in su...
Si udì un grido acutissimo, e io vidi, con mia grande meraviglia, attaccato all'amo un dente con
due barbe!
Nello stesso tempo il signor Venanzio sputava una boccata di sangue...
In quel terribile istante, preso da un grande sgomento, gettai la lenza e, sceso con un salto dalla
tavola, scappai come un pazzo in camera mia.
Dopo un'oretta è venuto mio cognato, seguito da mia sorella che gli raccomandava: - Riportalo a
casa magari subito, ma non lo picchiare!
- Picchiarlo? Se mi ci mettessi dovrei ammazzarlo! - rispondeva il Maralli. - No, no; ma voglio
che sappia almeno quel che mi costa l'averlo tenuto una settimana in casa mia! -
Quando mi fu dinanzi mi guardò ben bene in faccia e poi disse lentamente con una calma che mi
faceva più paura che se avesse urlato come tante altre volte :
- Sai? Ora son convinto anche io che tu anderai a finire in galera... e t'avverto che io non sarò
certo il tuo avvocato difensore... Io, vedi, ho conosciuto molta canaglia: ma tu hai nelle tue
intraprese di delinquente delle risorse misteriose, ignorate a tutti gli altri... Per esempio, come avrai
fatto a fare un taglio alla lingua di mio zio Venanzio e a portargli via un dente che è stato trovato
attaccato a uno spillo ricurvo legato a un filo di refe? E perché hai fatto questo? Chi lo sa! Ma
quello che devi sapere è che mio zio vuole assolutamente andar via da casa mia, dove dice di non
sentirsi sicuro, e che così, per causa tua, io vado a rischio di perder una vistosa eredità della quale,
senza di te, potevo dirmi sicuro. -
Il Maralli s'è asciugato il sudore, mordendosi al tempo stesso le labbra; poi ha ripreso
lentamente :
- Tu mi hai dunque rovinato come uomo; ma aspetta, ché c'è dell’altro! E quest'altro, purtroppo,
l'ho scoperto in tribunale, al processo, che è andato tutto a rotoli e che ha segnato la mia rovina nella
mia professione e nella mia carriera politica. Tu parlasti quattro o cinque giorni fa con un contadino
chiamato Gosto grullo?
- Sì - confessai io.
- E che gli dicesti? -
A questo punto mi parve che la constatazione di una buona azione compiuta dovesse compensare
il fallo rimproveratomi precedentemente e risposi con accento trionfale:
- Gli dissi che in tribunale doveva dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità, come ho
visto scritto nel cartello che è sulla testa del presidente.
- Sicuro! E infatti l'ha detta! Egli ha raccontato che gli imputati avevan tirato dei sassi ai soldati e
gli imputati sono stati condannati. Hai capito?... E gli hai fatti condannar te! E io che ero avvocato
difensore ho perso la causa per te! E per te i giornali avversari mi attaccheranno ora con violenza, e
per te il nostro partito avrà in paese meno credito di quel che aveva... Hai capito? Sei contento ora?
Sei soddisfatto dell'opera tua? Vuoi far qualche cos'altro? Hai in mente altre rovine, altri cataclismi
da compiere? Ti avverto che nel caso hai tempo fino a domattina alle otto, perché ora è troppo tardi
per riaccompagnarti a casa tua.
Io non capivo più nulla, non avevo la forza né di parlare né di muovermi...
Il Maralli mi lasciò come inebetito; mia sorella mi disse: - Disgraziato! - e se ne andò anche
lei.
Ah sì, disgraziato: disgraziato io e più disgraziati tutti quelli che hanno a che far con me...
Sono già le otto, caro giornalino: il Maralli mi aspetta nello studio per ricondurmi a mio padre
che mi metterà subito in collegio!
Si può essere più disgraziati di me!
Eppure non mi riesce di piangere... Anzi! Con tutta la tremenda prospettiva del mio triste
avvenire, non so levarmi dalla mente l'immagine di quel dente con quelle due barbe che ho pescato
ieri nella bocca spalancata del signor Venanzio e ogni tanto mi scappa da ridere...
22 gennaio.
Ho appena due minuti di tempo per scrivere due righe. Sono a Montaguzzo, nel collegio
Pierpaoli, e profitto di questo momento in cui mi trovo solo, in camerata, con la scusa di prendere
dal mio baule la biancheria che mi è necessaria per la mia toilette.
Proprio così. Ieri mattina il Maralli mi riaccompagnò dal babbo al quale raccontò tutto quello che
gli era successo per causa mia, e allora il babbo - a racconto finito - non disse altro che queste
parole:
- Me l'aspettavo: tant'è vero che il suo baule con tutto il corredo richiesto dal collegio Pierpaoli è
su bell'e pronto. Partiremo subito, con la corsa delle nove e quarantacinque! -
Giornalino mio, non ho coraggio di descrivere qui la scena della separazione dalla mamma,
dall'Ada, dalla Caterina... Si piangeva tutti come tante fontane, e anche ora nel ripensarci mi vengon
giù, su queste pagine, i goccioloni a quattro a quattro...
Povera mamma! In quel momento ho capito quanto bene mi vuole, e ora che sono così lontano
da lei capisco quanto bene le voglio io...
Basta: il fatto è che, dopo due ore di treno e quattro diligenza, sono arrivato qui, dove il babbo
uni ha consegnato al signor direttore e mi ha detto lasciandomi:
- Speriamo che quando ritornerò a prenderti possa trovare un ragazzo diverso da quello che
lascio!
Mi riescirà di diventare diverso da quel che sono? Sento la voce della direttrice...
#
Mi hanno messo la divisa del collegio che è bigia, col berrettino da soldato, la tunica con una
doppia fila di bei bottoni d'argento e i calzoni lunghi con le bande rosso-scure.
I calzoni lunghi mi stanno benissimo; ma però la divisa del collegio Pierpaoli non ha sciabola e
anche questo, per me è stato un bel dispiacere!
29 gennaio.
È una settimana, giornalino mio, che non ho scritto più un rigo in queste tue pagine, nelle quali in
questi giorni avrei avuto pur tante cose tristi e comiche da confidare e anche tante lacrime da
versare!...
Ma qui, in questo stabilimento carcerario che chiamano collegio, non siamo mai soli, neppure
quando si dorme, e la libertà non penetra mai per nessuno, neppure per un minuto secondo...
Il direttore si chiama il signor Stanislao ed è un uomo secco secco e lungo lungo, con due gran
baffoni brizzolati che quando s'arrabbia gli treman tutti, e con una zazzera di capelli nerissimi che
gli vengono in avanti appiccicati sulle tempie e che gli dànno l'aria di un grand'uomo, ma dei tempi
passati.
È un tipo militare, che parla sempre a forza di comandi e facendo gli occhi terribili.
- Stoppani, - mi ha detto un paio di giorni fa - stasera starete a pane e acqua! Per fianco destro...
March! -
E questo, perché? Perché mi aveva sorpreso nel corridoio che conduce alla sala di ginnastica
mentre scrivevo col carbone sul muro: Abbasso i tiranni!
Più tardi la direttrice mi disse:
- Sei un sudicione e un malvagio. Sudicione perché hai sporcato il muro, e malvagio perché
offendi le persone che cercano di farti del bene correggendoti. Chi hai voluto indicare come tiranni?
Sentiamo...
- Uno è Federigo Barbarossa, - risposi pronto - un altro è Galeazzo Visconti, un altro è il generale
Radeschi, e un altro è...
- Siete anche un impertinente, ecco tutto! Andate in classe subito! -
Questa direttrice non capisce nulla; invece d'aver piacere chi io mi appassioni contro i peggiori
personaggi della storia patria, s'è messa in testa, da quella volta, che io la canzoni, e non mi leva mai
gli occhi di dosso.
La direttrice si chiama la signora
Geltrude ed è la moglie del signor
Stanislao, ma è un tipo tutto diverso da
lui. È bassa bassa e grassa grassa, con un
naso rosso rosso, e declama sempre, e fa
dei grandi discorsi per delle cose da nulla,
e non si cheta mai un minuto, corre per
tutto e discorre con tutti e su tutto e su
tutti trova a ridire.
Gli insegnanti che fanno lezione alle
diverse classi sono tutti dipendenti dal
direttore e dalla direttrice e paion loro
servitori. Il professore di francese arriva
perfino a baciare la mano alla signora
Geltrude tutte le mattine quando le il
buon giorno e tutte le sere quando le la
buona sera; e il professore di matematiche
dice sempre al Signor Stanislao quando va
via: “Servo suo, signor direttore!
Noi collegiali siamo ventisei in tutti:
otto grandi, dodici mezzani e sei piccoli.
Io sono il più piccino di tutti. Si dorme in
tre camerate, una accanto all'altra, si
mangia tutti in un gran salone, due pasti al
giorno e la mattina il caffè e latte col pane
inzuppato, ma senza burro e sempre con
poco zucchero.
Il primo giorno a desinare vedendo venir la minestra di riso esclamai:
- Meno male! Il riso mi piace moltissimo... -
Un ragazzo di quelli grandi che sta di posto accanto a me (perché a tavola ci mettono sempre
alternati, uno piccino e uno più grande) e che si chiama Tito Barozzo ed è napoletano, dètte in una
gran risata e disse:
- Tra una settimana non dirai più così! -
Io allora non capii niente, ma ora ho compreso benissimo il significato dì quelle parole.
Sono sette giorni che sono qui e, meno l'altro ieri che era venerdì, si è sempre mangiato la
minestra di riso due volte al giorno...
Mi è venuta così a noia, che l'idea di una minestra di capellini, che prima mi era così antipatica,
ora mi manda tutto in solluchero!...
Oh mamma mia, cara mammina che mi facevi fare spesso da Caterina gli spaghetti con
l'acciugata che mi piacciono tanto, chi sa come ti dispiacerebbe se tu sapessi che il tuo Giannino in
collegio è obbligato a mangiare dodici minestre di riso in una settimana!
1° febbraio.
È appena giorno e io che mi sono svegliato presto ne profitto per continuare a registrare le mie
memorie nel mio caro giornalino, mentre i miei cinque compagni dormono della grossa.
In questi due giorni passati ho due tatti notevoli da narrare: una condanna alla prigione e la
scoperta della ricetta per fare un'eccellente minestra di magro.
Ieri l'altro dunque, cioè il 30 Gennaio, dopo colazione, mentre stavo chiacchierando con Tito
Barozzo, un altro collegiale grande, un certo Carlo Pezzi, gli si accostò e gli disse sottovoce:
- Nello stanzino ci son le nuvole...
- Ho capito! - rispose il Barozzo strizzando un occhio.
E poco dopo mi disse: - Addio, Stoppani, vo a studiare - e se n'andò dalla parte dove era andato il
Pezzi.
Io che avevo capito che quella d'andare a studiare era una scusa bella e buona e che invece il
Barozzo era andato nello stanzino accennato prima dal Pezzi, fui preso da una grande curiosità e,
senza parere, lo seguii pensando:
- Voglio vedere le nuvole anch'io. -
E arrivato a una porticina dove avevo visto sparire il mio compagno di tavola, la spinsi e... capii
ogni cosa.
In una piccola stanzetta che serviva per pulire e assettare i lumi a petrolio (ve n'erano due file da
una parte, e in un angolo una gran cassetta di zinco piena di petrolio e cenci e spazzolini su una
panca) stavano quattro collegiali grandi che nel vedermi, si rimescolarono tutti, e vidi che uno, un
certo Mario Michelozzi, cercava di nascondere qualcosa...
Ma c'era poco da nascondere, perché le nuvole dicevano tutto; la stanza era piena di fumo e il
fumo si sentiva subito che era di sigaro toscano.
- Perché sei venuto qui? - disse il Pezzi con aria minacciosa.
- Oh bella! Son venuto a fumare anch'io.
- No, no! - saltò a dire il Barozzo. - Egli non è avvezzo... gli farebbe male, e così tutto sarebbe
scoperto.
- Va bene: allora starò a veder fumare.
- Bada bene però, - disse un certo Maurizio Del Ponte. - Guai se...
- Io, per tua regola - lo interruppi con alterezza, avendo capito quel che voleva dire - la spia non
l'ho mai fatta e spero bene! -
Allora il Michelozzi che era rimasto sempre prudentemente con le mani didietro, tirò fuori un
sigaro toscano ancora acceso, se lo cacciò avidamente tra le labbra, tirò due o tre boccate e lo passò
al Pezzi che fece lo stesso passandolo poi al Barozzo che ripeté la medesima funzione passandolo al
Del Ponte che, dopo le tre boccate di regola, lo rese al Michelozzi... e così si ripeté il passaggio
parecchie volte, finché il sigaro fu ridotto a una misera cicca e la stanza era così piena di fumo che
ci si asfissiava...
- Apri il finestrino! - disse il Pezzi al Michelozzi. E questi si era mosso per eseguire il saggio
consiglio quando il Del Ponte esclamò:
- Calpurnio! -
E si precipitò fuori della stanza seguito dagli altri tre.
Io, sorpreso da quella parola ignorata, indugiai un po' nella istintiva ricerca del suo misterioso
significato, pur comprendendo ch'era un segnale di pericolo; e quando a brevissima distanza dagli
altri feci per uscir dalla porticina, mi trovai a faccia a faccia col signor Stanislao in persona che mi
afferrò per il petto con la destra e mi ricacciò indietro esclamando:
- Che cosa succede qua? -
Ma non ebbe bisogno di nessuna risposta; appena dentro la stanza comprese perfettamente quel
che era successo e con due occhi da spiritato, mentre gli tremavano i baffi scompigliati dall'ira,
tonò:
- Ah, si fuma! Si fuma, e dove si fuma? Nella stanza del petrolio, a rischio di far saltar l'istituto!
Sangue d'un drago! E chi ha fumato? Hai fumato tu? Fa' sentire il fiato... march! -
E si chinò giù mettendomi il viso contro il viso in modo che i suoi baffoni grigi mi facevano il
pizzicorino nelle gote. Io eseguii l'ordine facendogli un gran sospiro sul naso ed egli si rialzò
dicendo:
- Tu no... difatti sei troppo piccolo. Hanno fumato i grandi... quelli che sono scappati di qui
quando io imboccavo il corridoio. E chi erano? Svelto... march!
- Io non lo so.
- Non lo sai? Come! Ma se erano qui con te!
- Sì, erano con me... ma io non li ho visti... Sa, con questo fumo!... -
A queste parole i baffi del signor Stanislao incominciarono a ballare una ridda infernale.
- Ah! Sangue di un drago! Tu ardisci rispondere così al direttore? In prigione! In prigione!
March! -
E afferratomi per un braccio mi portò via, chiamò un bidello e gli disse:
- In prigione fino a nuov'ordine! -
#
La prigione è una stanzetta su per giù come quella dei lumi a petrolio, ma più alta della metà, e
c'è una finestra lassù per aria, con una barra di ferro che le dà, proprio l'aspetto triste di una
prigione.
Fui serrato dentro a catenaccio, e vi rimasi solo con ì miei pensieri finché non venne a farmi
visita la signora Geltrude la quale mi fece una lunga predica sul pericolo dell'incendio che avrebbe
potuto succedere se il fuoco del sigaro si fosse appiccato al petrolio, e seguitò a declamare per un
bel pezzo per finire poi, con voce patetica, a scongiurarmi di dire a lei la verità, assicurandomi che
non era per dare delle punizioni ai colpevoli, ma per prendere delle precauzioni nell'interesse di
tutti...
Io naturalmente seguitai a dire che non sapevo niente e che non avrei detto
niente mai, anche se mi avessero tenuto in prigione per una settimana, che
dopo tutto era meglio stare a pane e acqua che essere obbligati a mangiar la
minestra di riso due volte al giorno...
La direttrice se ne andò tutta invelenita dicendomi con voce drammatica:
- Vuoi essere trattato con tutto il rigore? Tal sia di te! -
Rimasto solo daccapo, mi sdraiai sul lettuccio che era in un canto della
prigione e non tardai ad addormentarmi perché era già tardi e io ero stanco da
tante emozioni.
La mattina dopo, cioè iermattina, mi svegliai di lietissimo umore.
Il mio pensiero, considerando i miei casi, corse ai tempi delle cospirazioni,
quando i patriotti italiani marcivano nelle prigioni piuttosto che dire i nomi dei
congiurati ai tedeschi, e mi sentivo pieno d'allegria, e avrei voluto magari che
la prigione fosse stata più stretta e magari anche umida, e con qualche topo.
Però, in mancanza di topi, c'era qualche ragno, e io mi misi in testa di
ammaestrarne uno, come Silvio Pellico, e mi misi all'opera con tutto
l'impegno, ma dovetti smettere. Non so se dipenda perché i ragni d'allora
fossero più intelligenti di quelli d'ora o perché i ragni di collegio siano più
zucconi degli altri, ma il fatto è che quel maledetto ragno faceva tutto il
contrario di quel che gli dicevofare, e mi fece tanto arabbiare che da ultimo
lo schiacciai con un piede.
Allora mi venne in mente che, se avessi potuto chiamare dalla finestra
qualche passerotto, sarebbe stato molto più facile di ammaestrarlo; ma la
finestra era così alta!...
Non so che cosa avrei dato per potere arrampicarmi su quella finestrino; e a furia di pensarci mi
era venuto come una frenesia e non potevo più star fermo, mi riusciva di levarmi dal cervello
quell'idea...
Cominciai dal trascinare il lettuccio sotto la finestra per diminuirne la distanza; poi presi un
pezzo di corda che avevo in tasca, levai la cinghia dei calzoni e l’aggiunsi a quella... Ma con tutt'e
due si arrivava appena alla metà dell'altezza cui era posta la finestra. Allora mi cavai la camicia, la
strappai a strisce, che attorcigliai a uso fune e che aggiunsi alla corda che avevo già; ne venne una
corda assai lunga che lanciai mirando alla finestra. Ora ci arrivava, ma occorreva una lunghezza
maggiore per farne ritornar giù una parte dopo averla fatta passare sulla sbarra che era nel mezzo
alla finestra. Mi cavai anche le mutande delle quali feci altre strisce che aggiunsi alle altre. Cosi
ottenni una corda sufficiente a tentare la scalata che mi ero prefisso di dare alla finestra.
Da un capo di essa attaccai una scarpa; e incominciai i miei esercizi di tiro a segno lanciando con
la destra la scarpa contro la barra di ferro e tenendo nella sinistra l'altro capo della corda.
Quanti vani tentativi! Non avevo orologio per calcolare quanto tempo occupassi in questo lavoro,
ma potevo giudicarne la durata dal sudore che mi bagnava tutto per la fatica.
Finalmente mi riuscì di fare in modo che la scarpa lanciata al disopra della sbarra girasse al di
sotto, ritornando dentro la stanza; e dopo, piano piano, a forza di piccole e prudenti scosse date con
la parte di corda che avevo in mano mi riuscì di far calare giù l'altro capo tanto da arrivare ad
acchiapparlo.
Che felicità! Su quella doppia corda mi arrampicai su fino alla finestra, dove mi riescì di
accoccolarmi, alla meglio, e salutai il cielo che mai mi era parso così limpido e così bello come in
quel momento.
Ma oltre alla bellezza del cielo che scorgevo al disopra di me mi commosse l'animo un grato
odorino di soffritto che veniva dal di sotto... La finestrina, infatti, dava sul cortiletto della cucina in
un angolo del quale era una enorme caldaia piena d'acqua bollente.
Allora mi ricordai che era venerdì, il giorno sacro alla famosa minestra di magro che in mezzo a
tutte le minestre di riso della settimana veniva ad allietare i nostri stomachi, a quella eccellente
minestra di magro così saporita e che pareva riunire in sé le fragranze più care dell'umano palato...
Mi sentivo venir l'acquolina in bocca e una grande malinconia mi scendeva giù nella desolata
solitudine delle mie povere budella...
Fortunatamente questo atroce supplizio durò poco, perché ogni desiderio mi sparì come per
incanto dallo stomaco appena scoprii la ricetta con la quale il cuoco del collegio faceva la sua
ottima minestra di magro.
Stando appollaiato sulla finestra avevo visto più volte andare e venire lo sguattero, un
ragazzettaccio che da quel che capii era stato preso da poco perché sentivo il cuoco che gli diceva
continuamente: - Fa' così, fa' cosà, piglia qui, piglia là - e gli insegnava tutto quel che aveva a fare e
dove stavano gli utensili e come dovevano essere adoperati...
- Tutti i piatti sudici di ieri, - gli domandò a un certo punto il cuoco - dove gli hai messi?
- Lassù su quell'asse come mi diceste voi.
- Benone! Ora rigovernali nella solita caldaia dove hai rigovernato ieri e ier l'altro, ché l'acqua
calda dev'essere al punto giusto... E poi risciacquali come le altre volte nell'acqua pulita. -
Lo sguattero portò tutti i piatti sudici nel cortiletto e a due a due li fece scivolare dentro il
caldaione dell'acqua calda. Poi si mise a tirarli su, a uno per volta, sciaguattandoli e strisciandovi
sopra l'indice della destra steso per
levarvi bene l'unto...
Quand'ebbe tirato su l'ultimo piatto, lo sguattero esclamò immergendo la mano nella caldaia:
- Che brodo! Si taglia col coltello!...
- Benone! - disse il cuoco comparendo sull'uscio della cucina. Gli è come deve essere per la
minestra d'oggi. -
Lo sguattero sgranò tanto d'occhi, proprio come feci io lassù sul mio osservatorio.
- Come! La minestra d'oggi?
- Sicuro! - spiegò il cuoco, accostandosi al caldaione. - Questo è il brodo per la minestra di
magro alla casalinga del venerdì che piace tanto a tutte queste carogne di ragazzi. Capirai! Qui ci
son tutti i sapori...
- Sfido io! Ci ho rigovernato i piatti di due giorni di seguito...
- E prima che tu venissi tu c'erano stati rigovernati i piatti d'altri due giorni... Insomma, per tu'
regola, in questa caldaia si comincia a rigovernar la domenica e si dura fino al giovedì, sempre nella
medesima acqua; e capirai bene che quando si arriva al venerdì l'acqua non è più acqua, ma è un
brodo da leccarsi i baffi...
- Vo' direte bene, - disse lo sguattero sputando - ma io i baffi non me li voglio leccare un
accidente...
- Grullaccio! - ribatté il cuoco. - Ti par’egli che noi si mangi di questa roba? Il personale di
cucina mangia la minestra speciale che si fa per il direttore e per la direttrice...
- Ah! - fece lo sguattero, tirando un gran respiro di sollievo.
- Ora, via: portiamo la caldaia sul fuoco, che c'è già il pane bell'e affettato e il soffritto è pronto.
E tu impara il mestiere, e mosca! Il personale di cucina, questo te l'ho già spiegato, non deve mai far
parola con nessuno al mondo di quel che si fa intorno ai fornelli. Hai capito? -
E, uno da una parte uno dall'altra, afferrarono la caldaia e l'alzarono di peso; ma allo sguattero
nel chinarsi cadde nella caldaia il berrettaccio tutt'unto che aveva in testa, ed egli fermatosi dette in
una grande risata e ritiratolo su strizzandovelo dentro esclamò:
- Gua'! Ora gli è anche più saporito di prima! -
A questo punto non ne potetti più dallo schifo e dall'ira: e cavatomi la scarpa rimastomi in piedi
la tirai giù con forza nella caldaia urlando.
- Porci! allora metteteci anche questa!... -
Il cuoco e lo sguattero si voltarono in su, come due spiritati, e mi par di vedere anche ora quei
quattro occhi dilatati, fissi su me in una comica espressione di maraviglia e di sgomento.
Io intanto seguitavo a lanciar loro tutti i titoli che si meritavano, finché essi, riavutisi finalmente
dallo sbalordimento, si precipitarono dentro la cucina.
Pochi minuti dopo, la piccola porta della mia prigione si apriva e vi entrava di profilo - ché
altrimenti non ci sarebbe potuta passare - la signora Geltrude declamando:
- Ah disgraziato! Uh, che vedo!... A rischio di cader giù e sfracellarsi!... In nome di Dio,
Stoppani, che cosa fate costassù?
- Eh! - risposi - sto a veder preparare la minestra di magro alla casalinga...
- Ma che dici? sei impazzato? -
In quel momento entrò un bidello con una scala.
- Appoggiatela , e fate scendere quello sciagurato! - impose con aria drammatica la signora
Geltrude.
- No, non scendo! - risposi aggrappandomi alla sbarra ferro. - Se devo rimanere in prigione
voglio starmene quas perché c'è più aria... e poi si impara come si cucinano i ragazzi in
collegio!...
- Scendi, via! Non capisci che ero venuta appunto per farti uscire dalla prigione? Purché,
s'intende, tu prometta di essere buono e ubbidiente, ché se no, figliuolo mio, è un affar serio!… -
Io guardai la direttrice sorpreso.
- Perché questa improvvisa liberazione? - pensavo fra me. - Eppure non ho rivelato i nomi dei
ragazzi che fumavano nello stanzino del petrolio... Dunque? Ah! Ho capito! Ora cercan di pigliarmi
con le buone maniere perché non racconti ai miei compagni la scoperta della ricetta per la zuppa di
magro alla casalinga. -
In ogni modo non c'era più ragione di rimanere appollaiato sulla finestrina e discesi.
Appena ebbi toccato terra, la signora Geltrude, ordinò al bidello di riportar via la scala, e poi,
presomi per un braccio, mi disse con tono imperioso:
- Di’ su: che volevi dire della minestra di magro che si fa in collegio?
- Volevo dire che io non intendo di mangiarla più mai. Guardi! Mi assoggetto piuttosto a mangiar
quella di riso anche il venerdì... a meno che non mi dia la minestra speciale che fanno per lei e per il
signor direttore...
- Ma che dici? Io non t'intendo... Dimmi tutta la verità... tutta, capisci? -
Allora le raccontai semplicemente tutto quello che avevo visto e sentito dalla finestrino della mia
prigione e con mia grande sorpresa la signora Geltrude, molto impressionata dal mio racconto,
esclamò:
- La cosa che dici, ragazzo mio, è molto seria... Bada bene! Si tratta di far perdere il pane a due
persone: al cuoco e allo sguattero... Pensaci: hai detto proprio la verità?
- L'ho detta e la sostengo.
- Allora vieni a far rapporto dal signor direttore! -
Difatti mi condusse nell'ufficio di direzione dove, dietro a una scrivania piena di libri, stava il
signor Stanislao.
- Lo Stoppani - gli disse la signora Geltrude - ha un rapporto molto grave da fare contro il
personale di cucina. Via, racconta -
E io raccontai da capo la scena alla quale avevo assistito.
Passavo di sorpresa in sorpresa. Anche il direttore mi apparve indignato del racconto fatto.
Chiamò il bidello e ordinò:
- Fate venir qui il cuoco e lo sguattero. March! -
Poco dopo, eccoli tutti e due; e io daccapo a ripetere il racconto per la terza volta... Ma la mia
maraviglia giunse al colmo quando, invece di rimanere confusi, com'io mi aspettavo, sotto il peso
delle mie rivelazioni, essi dèttero in una grande risata, e il cuoco, presa la parola, disse
indirizzandosi al signor Stanislao:
- La mi scusi, signor direttore, ma le par possibile che si faccia tutto questo? Deve sapere che io
ho per abitudine di far sempre la burletta, e ora specialmente che ho per le mani questo sguattero,
che è nuovo del mestiere, mi diverto un mondo a dargliene ad intendere delle cotte e delle crude...
Quello che ha raccontato il signorino è sacrosantamente vero: soltanto, come le ho detto, si trattava
di parole dette per ischerzo...
- Va bene, - disse il direttore. - Ma il mio dovere mi impone di procedere immediatamente a
un'ispezione in cucina. Precedetemi... March! E voi, Stoppani, attendetemi qui... -
E uscì impettito, con passo militare.
Quando ritornò poco dopo mi disse sorridendo:
- Tu hai fatto bene a riferirmi quel che avevi visto... Ma fortunatamente la cosa sta come aveva
raccontato il nostro cuoco... e puoi mangiar tranquillo la tua brava scodella di minestra alla
casalinga. Cerca di esser buono... Va'! - E mi dètte un colpetto di mano su una guancia.
Io me ne andai tutto contento e persuaso in mezzo ai miei compagni, che giusto in quel momento
uscivano di classe.
Poco dopo andammo tutti a pranzo, e il Barozzo che, come dissi già, è di posto accanto a me, mi
strinse forte la mano sotto la tovaglia e mi disse sottovoce:
- Bravo Stoppani! sei stato forte... Grazie! -
Quando venne in tavola la minestra di magro alla casalinga, il mio primo movimento fu di
repulsione. Ma le parole del cuoco mi avevano persuaso... E poi avevo molta fame... E poi, appena
assaggiata dovetti riconoscere che quella minestra era proprio buona e mi pareva impossibile che
una cosa tanto prelibata potesse esser preparata in un modo così ripugnante.
Avrei voluto raccontare al Barozzo tutta la scena che si era svolta nel cortiletto della cucina e poi
nell'ufficio di direzione... Ma la signora Geltrude, che quando si mangia gira sempre intorno alla
tavola, non mi levava gli occhi di dosso, e mi accorsi che mi vigilava in modo speciale, proprio per
vedere se mangiavo la minestra e se raccontavo l'avventura della mattinata ai miei compagni di
tavola.
Anche dopo, durante l'ora di ricreazione, la signora Geltrude continuò la sua sorveglianza
speciale; la quale non impedì che il Pezzi, il Del Ponte e il Michelozzi mi facessero una gran festa,
dichiarandomi che benché io sia piccino, dopo quel fatto d'aver sostenuto la prigione piuttosto che
far la spia, mi consideravano un amico grande come loro, e mi avrebbero ammesso nella loro
società segreta che si chiama: Uno per tutti e tutti per uno.
La sorveglianza speciale è durata fino a ieri sera; ma a cena mi parve che il mio contegno avesse
finalmente persuaso la direttrice che mi ero dimenticato di quel che avevo visto la mattina.
Così potei narrar tutto per filo e per segno al Barozzo, il quale prese la cosa molto sul serio e
dopo aver pensato un po' disse:
- Vorrei sbagliare... Ma per me l'interrogatorio del cuoco e dello sguattero è tutta una commedia.
- Come!
- Sicuro. Prendiamo a considerare la faccenda dal momento in cui il cuoco, accortosi che tu avevi
assistito alla preparazione della minestra di magro alla casalinga, è corso ad avvertire il direttore o la
direttrice. Qual era il consiglio che dovevano seguire nel loro interesse? Quello di rabbonirti e di
cancellare dalla tua mente lo spettacolo che avevi visto. Essi dunque hanno detto al cuoco e allo
sguattero: Quando sarete chiamati dite che è stata una burletta!... Ed ecco che la direttrice viene ad
aprirti la prigione, finge di scandalizzarsi al tuo racconto e ti conduce dal direttore il quale finge di
fare un tremendo processo al cuoco e allo sguattero, i quali fingono di avere scherzato... e tu,
persuaso di tutto questo, mangi e gusti, come al solito, la tua brava minestra di magro alla casalinga
e... e tutto sarebbe andato bene per loro se tu non avessi raccontato la cosa al tuo amico Barozzo che
ha più esperienza di te e che riferirà la cosa alla società... -
Per questa faccenda, in tempo di ricreazione faremo un'adunanza e decideremo. Non mi par vero
che arrivi quell'ora!...
Ma è già sonata la sveglia e bisogna che mi affretti a nasconderti, giornalino mio!
#
L'adunanza della Società segreta Tutti per uno e uno per tutti è andata benissimo.
Ci siamo riuniti tutti in un angolo del cortile; questo disegno che ho fatto qui stasera, prima di
addormentarmi, rappresenta il momento più solenne della discussione, con Tito Barozzo che
presiedeva alla mia sinistra, e accanto i lui Mario Michelozzi, alla mia destra Carlo Pezzi e, tra
questi e il Michelozzi, Maurizio del Ponte.
Prima di tutto c'è stato un voto di plauso per me, perché quel giorno in cui i soci si erano riuniti a
fumare nello stanzino del petrolio, piuttosto che far la spia mi ero fatto condannare in prigione. Poi
un altro voto di plauso per avere scoperto l'affare della minestra di magro... Insomma sono stato
trattato come un eroe, e tutti mi hanno dimostrato una grande ammirazione.
Dopo aver discusso ben bene ci siamo trovati d'accordo su questo punto: che per accertarsi se la
minestra del venerdì è fatta con la rigovernatura dei piatti serviti ai pasti degli altri giorni, bisogna,
incominciando da domani, dopo mangiato, mettere nel piatto qualche cosa che dia un colore
all'acqua nella quale i piatti saranno rigovernati...
- Ci vorrebbe dell'anilina! - ha detto il Del Ponte.
- Ci penso io a procurarla! - ha aggiunto Carlo Pezzi - ne ho vista nel gabinetto di chimica.
- Benissimo. Domani allora principieremo la prova. -
E ci siamo separati dandoci la mano; quello che la stendeva diceva:
- Tutti per uno! -
E l'altro, stringendo la mano, rispondeva:
- Uno per tutti! -
Sono molto contento di essere entrato in questa società; ma ero incerto, caro giornalino mio, di
scriverne nelle tue pagine, avendo giurato di non confidare il segreto a nessuno... Però ho pensato
che a te potevo confidar tutto perché mi sei fedele e poi io ti custodisco bene, chiuso a chiave nella
mia valigetta.
A proposito; la mia valigia è riposta con la mia biancheria in un piccolo armadietto scavato nel
vano della parete a capo del letto, al disopra del comodino.
Tutti i collegiali hanno un armadietto simile, chiuso da uno sportello bigio.
L'altra sera, dunque, mentre gli altri dormivano, per riporre nella valigia il giornalino mi ficcai
addirittura dentro il mio armadino, e sentii delle voci.
Rimasi in ascolto, pieno di curiosità. Non mi ero sbagliato: le voci erano al di del muro in
fondo all'armadietto... e mi parve perfino di riconoscere la voce della signora Geltrude.
Dev'essere una parete sottilissima.
2 febbraio.
Si incomincia la prova.
Prima di mezzogiorno Carlo Pezzi aveva già distribuito a ciascuno di noi un involtino nel quale
sono dei granellini minutissimi come quelli della rena.
Per l'appunto oggi, essendo domenica, abbiamo avuto una pietanza di più e cioè il pesce con la
maionese, e così noi altri soci della Società segreta abbiamo messo un granellino nel piatto che
aveva servito per il pesce, e un altro nel piatto dei muscoletti in umido (anche questa dei muscoletti
in umido è una pietanza che ritorna spesso in tavola, come la minestra di riso) e così abbiamo
rimandato in cucina due granellini d'anilina a testa, cioè dieci in tutto.
Stasera a cena poi, essendoci una pietanza di stracotto, abbiamo messo nei piatti sudici un altro
granellino, sicché nella giornata sono quindici granellini che sono andati in cucina nel famoso
caldaione...
- Capirai, - mi ha detto il Barozzo - anche se di qui a giovedì ne mettiamo un altro solo al giorno
(perché bisogna mettere il granellino soltanto nei piatti dove si è mangiato una pietanza in umido)
sono altri venticinque granellini e cioè quaranta in tutti, tanti quanti bastano per colorire di rosso il
brodo della minestra di venerdì... ammesso che l'inchiesta del signor Stanislao sia stata, come
séguito a credere, una burletta.
- Sicché avremo la minestra col brodo rosso?
- Eh no! Molto probabilmente in settimana lo sguattero non si accorge affatto del colore che
aumenterà gradatamente, giorno per giorno; e se n'avvedrà solo il cuoco il venerdì mattina quando si
disporrà a manipolare la sua famosa minestra alla casalinga.
- Ma allora farà un'altra minestra!
- Sicuro: e, dovendo rimediare alla svelta, farà una minestra di riso... Ebbene: se venerdì non ci
sarà la tradizionale minestra di magro alla casalinga, vorrà dire... che questa era proprio fatta col
brodo della rigovernatura, e allora noi insorgeremo. -
Che ingegno ha il Barozzo! Egli prevede tutto e sa rispondere a tutto, sempre...
Ora, giornalino mio, ti rimetto a posto e... E poi lo sai che cosa fo? Ho qui uno scalpello che ho
preso oggi nell'ora di ricreazione giù nel cortile, mentre il muratore che viene da qualche giorno a
far dei lavori era uscito... E con questo scalpello voglio incominciare piano piano a fare un buco
nella parete in fondo all'armadino per vedere di dove vengono le voci che sentii l'altra sera.
I miei compagni dormono: ora spengo il lume e mi ficco dentro l'armadietto a lavorare...
3 febbraio.
Oggi dopo desinare durante una riunione della nostra Società segreta abbiamo, tra altre cose,
parlato anche della continuità di questa stomachevole minestra di riso, e ci siamo tutti trovati
d’accordo nel pensare che sarebbe davvero ora di finirla.
Mario Michelozzi ha detto:
- Io ho un'idea. Se mi riesce di procurarmi i mezzi per metterla in esecuzione ve la comunicherò,
e domanderò l'aiuto del nostro bravo Stoppani. -
Per me è un piacere di sentirmi così stimato dai ragazzi più grandi, e di godere tutta la loro
fiducia, mentre gli altri ragazzetti della mia classe non son considerati nulla e non li guardano
neppure.
Però c'è un mio compagno che ha l'età mia e si chiama Gigino Balestra il quale è un bravo
figliolo e siamo diventati amici. Questo meriterebbe di entrare nella Società segreta perché mi pare
fedele e sicuro... Ma prima voglio accertarmi meglio, perché mi dispiacerebbe troppo di farmi
canzonare presentando un traditore.
#
Mi è venuta una lettera della mamma la quale mi dice tante belle cose e mi ha consolato un poco
nella vita di collegio che è una vitaccia impossibile, sia per la mancanza di libertà, sia perché si
mangia molto male, e più di tutto perché siamo lontani dalle nostre famiglie e, per quanto dicano di
tener le veci dei nostri genitori, il signor Stanislao e la signora Geltrude non arriveranno mai a farei
dimenticare il babbo e la mamma.
4 febbraio.
Grande novità!
Stanotte, dopo un lungo e paziente lavoro, dovendo fare in modo di non far rumore per non
svegliare i compagni del dormitorio, son riuscito finalmente a fare un buco nella parete in fondo
all'armadietto che è nel vano del muro a capo del mio lettino.
Subito è apparso un chiarore, una luce opaca che veniva dall'altra parte, ma riparata da qualche
cosa che era frapposta al di là della parete.
Spingendo lo scalpello fuori del buco sentii che l'ostacolo era cedevole e, dopo averne studiata
per un pezzo la natura, mi convinsi che doveva essere un quadro attaccato nella parete che avevo
forata.
Ma se la tela mi vietava la vista non mi impediva l’udito; e io sentivo, sebbene non riuscendo ad
afferrar le parole, la voce del signor Stanislao e della signora Geltrude che parlavano tra di loro.
Mi giunse solo distintamente questa frase pronunziata con vivacità dalla direttrice:
- Tu sarai sempre un imbecille! Queste carognette mangiano anche troppo bene! Intanto ho fatto
un contratto col fattore del marchese Rabbi per trenta quintali di patate... -
Con chi parlava la signora Geltrude? L'altra voce che io sentivo era certamente quella di suo
marito; ma è impossibile che il signor Stanislao, con quella sua aria rigida di vecchio militare,
permettesse alla signora Geltrude di trattarlo a quel modo...
L'argomento delle patate mi ha fatto pensare che vi fosse presente anche il cuoco e che il dialogo
corresse con lui.
Tito Barozzo al quale ho raccontato la cosa mi ha risposto:
- Chi sa! In ogni modo questa è una faccenda secondaria. La questione principale è che si
presentano dinanzi al nostro immediato avvenire di infelici collegiali trenta quintali di patate, cioè
trenta volte cento chilogrammi, ovverosia tremila chilogrammi che è quanto dire centoquindici
chilogrammi per ogni stomaco, dovendosi certo escludere dal conto gli stomachi direttoriali e del
personale di cucina, per i quali è fatto un trattamento diverso!... -
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Oggi durante l'ora di ricreazione si è riunita la Società segreta, e io ho raccontato l'affare del buco
nell'armadietto, e tutti hanno applaudito dicendo che quel posto d'osservazione era importantissimo
e poteva essere di molta utilità per tutti, ma che bisognava prima accertarsi che stanza fosse quella
dalla quale venivano le voci del direttore e della direttrice.
Di questo si è preso l'incarico Carlo Pezzi che ha uno zio ingegnere e che sa come si fa a
sviluppare le piante delle case.
5 febbraio.
Stamani mentre attraversavo il corridoio che conduce alla scuola di disegno, Mario Michelozzi
mi si è avvicinato mormorando:
- Uno per tutti!
- Tutti per uno! - ho risposto.
- Vai nello stanzino del petrolio che è aperto. Dietro la porta troverai un bottiglione pieno di
petrolio coperto con un asciugamano: prendilo, portalo nel tuo dormitorio e nascondilo sotto il tuo
letto. Maurizio Del Ponte fa la guardia: se senti gridare: Calpurnio!” lascia andare il bottiglione e
scappa. -
Io ho eseguito l'ordine e tutto è andato benissimo.
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Oggi, durante la ricreazione, Carlo Pezzi ha studiato molto per scoprire quale stanza è quella al
di del mio armadino. Ma più che con la sua scienza d'ingegnere si è aiutato chiacchierando con i
muratori che seguitano a lavorare a certe riparazioni del collegio.
Il Michelozzi mi ha detto:
- Stasera tieni pronto: mentre tutti dormiranno noi ci occuperemo del riso... e rideremo! -
6 febbraio.
È vicina la sveglia, giornalino mio, e io ho molti fatti da registrare.
Prima di tutto una lieta notizia: i convittori del collegio Pierpaoli non mangeranno più minestra
di riso per un pezzo!
Iersera, quando tutti dormivano, io che stavo sull'attenti sentii nella porta del dormitorio un lieve
sgretolo a più riprese, come quello di un tarlo. Era il segnale convenuto: il Michelozzi raschiava la
porta con l'unghia per avvertirmi di portar fuori il bottiglione pieno di petrolio, ciò che io feci in un
batter d'occhio.
Egli lo prese e porgendomi la mano mi sussurrò in un orecchio:
- Vieni dietro a me rasentando il muro... -
Che palpiti nell'avventurarsi così, nel buio dei corridoi, fermandosi in ascolto a ogni più lieve
rumore, trattenendo il respiro...
A un certo punto, sboccando da un corridoio stretto stretto, la scena fu rischiarata da una finestra
le cui imposte erano aperte, e ci fermammo dinanzi a una porticina nascosta nel muro.
- Il magazzino! - mormorò il Michelozzi. - Prendi questa chiave... È quella del gabinetto di fisica
e apre benissimo anche questa porta... Fa' piano... -
Presi la chiave, la introdussi pian piano e la girai nella serratura adagino adagino... La porticina si
aprì ed entrammo.
Il magazzino era fiocamente illuminato dal chiarore che veniva da un finestrino aperto sulla
parete difaccia alla porta, in alto; e a quella luce incerta vedemmo da un lato una fila di balle aperte,
con della roba bianca...
Vi misi le mani; era il riso, quell'odiato riso che nel collegio Pierpaoli ci era servito a tutti i pasti,
tutti i giorni, meno il Venerdi e la domenica...
- Aiutami! - mormorò il Michelozzi.
Lo aiutai ad alzare il bottiglione, e giù! innaffiammo ben bene le balle col petrolio.
- Ecco fatto! - aggiunse il mio compagno posando il bottiglione in terra e incamminandosi verso
l'uscita. - E ora quella bella provvista di riso posson farsela fritta. -
Io non risposi. Avevo adocchiato un sacco di fichi secchi e me ne ero empite già le tasche e la
bocca.
Dopo aver richiusa la porticina tornammo cautamente per la strada già fatta e ci separammo
dinanzi al mio dormitorio.
- Tutto è andato bene! - disse a bassa voce il Michelozzi - e abbiamo reso un grande servigio a
tutti i nostri compagni. Ora vo a riportare la chiave del gabinetto di fisica al suo posto e poi a letto...
Uno per tutti!
- Tutti per uno! - e ci stringemmo la mano.
Io zitto zitto andai a letto; ma ero così commosso per questa avventurosa spedizione notturna che
non potevo prender sonno.
Alla fine mi decisi a ripigliare il mio lavoro dentro l'armadietto; il segnale col quale il Michelozzi
mi aveva prima annunziato la sua presenza mi aveva suggerito il modo di forare senza pericolo la
tela che rendeva inutile il mio osservatorio.
Ma prima di accingermi a tal lavoro ho voluto allargare la buca, e adoperando con tutta la
prudenza possibile lo scalpello nelle connessiture dei quattro lati di un mattone riuscii a indebolirlo
talmente che finì con lo staccarsi.
Ora avevo dinanzi a me un vero e proprio finestrino che potevo a mio talento richiudere e
riaprire, rimettendo o rilevando il mattone, a seconda del bisogno.
Restava a bucar la tela che vi era dinanzi. Un po' con l'unghie e un po' con lo scalpello mi misi a
grattarla a riprese cadenzate, pensando:
- Anche se di dentro sentono questo rumore crederanno che sia un tarlo e io potrò seguitare il mio
lavoro fino a che non abbia raggiunto lo scopo. Difatti ho seguitato a grattare finché non ho sentito,
tastando col dito sulla tela, un forellino... Ma nella stanza che era oggetto di tante faticose ricerche
da parte di Maurizio Del ponte v'era buio perfetto.
Allora, non essendovi per il momento altro da fare, me ne ritornai a letto soddisfatto del mio
lavoro.
In verità la mia coscienza non poteva rimproverarmi di essermi abbandonato all'ozio che è il
padre dei vizii... e io mi addormentai placidamente pregustando già in sogno le grandi sorprese che
mi riserba questo mio osservatorio che mi costa tanti sudori e per il quale ho perduto tanti sonni...
Non mi par vero d'arrivare a stasera!
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Evviva, evviva!...
Oggi a desinare si è finalmente cambiato minestra!... Abbiamo avuto una eccellente pappa col
pomodoro alla quale le ventisei bocche dei convittori dei collegio Pierpaoli han rivolto con ventisei
sorrisi il più caldo e unanime saluto...
Noi della Società segreta ci si guardava ogni tanto con un sorriso diverso da tutti gli altri perché
sapevamo il mistero di questo improvviso cambiamento.
Chi sa che tragedia era successa in cucina!...
La signora Geltrude girava attorno alla tavola con gli occhi iniettati di sangue che pareva una
belva, volgendo lo sguardo qua e là sospettosamente...
Per me e per Mario Michelozzi è stata una grande soddisfazione
quella di aver fatto cambiar regime ai nostri pasti, e ripensando alla
nostra audace spedizione di stanotte, ai pericoli affrontati con tanto
sangue freddo, mi par d'essere uno degli eroi di quelle imprese gloriose
che si trovano in tutto le storie di tutti i popoli e che a farle devono
essere state molto divertenti per chi le ha fatte, quanto sono noiose a
leggerle per i poveri scolari perché devono poi impararle a mente con
tutte le date...
E alla fin dei conti non si tratta forse, sia pure in un campo più
ristretto, delle medesime cause e dei medesimi fatti nei quali chi ha più
core e più coraggio si sacrifica per il bene comune?
Anche nelle storie delle nazioni ci sono i popoli che ogni tanto si
stancano d'aver sempre minestra di riso, e allora avvengono le congiure,
i complotti, e saltan fuori i Michelozzi e gli Stoppani che affrontano i
pericoli finché per la loro abnegazione, non si passa alla pappa al
pomodoro...
Che fa se il popolo ignora chi è stato che ha fatto cambiar minestra?
A noi ci basta la coscienza d'aver fatto quel che abbiamo fatto per la
felicità di tutti.
Però gli altri soci della nostra Società segreta ci han fatto molta festa,
a me e al Michelozzi, per la riuscita dell'impresa, e Tito Barozzo
stringendoci la mano ci ha detto:
- Bravi! Vi nomineremo i nostri petrolieri d'onore!... -
Intanto Maurizio Del Ponte ci ha fatto una comunicazione molto importante.
- Ho visto la stanza sulla quale il nostro bravo Stoppani ha aperto il suo finestrino che ci sarà di
una utilità incalcolabile. Ho potuto penetrarvi perché in questi giorni i muratori stanno rifacendovi
un pezzo d'impiantito. È la sala particolare della direzione, quella dove il signor Stanislao e la
signora Geltrude ricevono le persone più intime e di riguardo. Questa stanza a destra comunica con
l'ufficio di direzione e a sinistra con la camera da letto dei coniugi direttori. In quanto al quadro che
impedisce al nostro Stoppani di spingere lo sguardo su questa importante piazza nemica, è il grande
ritratto a olio del professor Pierpaolo Pierpaoli, benemerito fondatore di questo collegio, zio della
signora Geltrude alla quale passò in eredità... -
Benissimo!
Stasera mi godrò dunque lo spettacolo nella sala riservata di Pierpaolo Pierpaoli buonanima, dal
mio palchetto su all'ultimo ordine stando comodamente sdraiato nel mio armadietto.
- Come vorremmo essere al tuo posto! - mi hanno detto i compagni della Società Uno per tutti e
tutti per uno.
7 febbraio.
Iersera, appena i miei piccoli compagni si furono addormentati saltai su nel mio armadietto
richiudendo lo sportello per di dentro e levato il mattone aprii il mio finestrino, vi ficcai la testa e
appiccicai l'occhio al buchino fatto ieri notte nella tela in cui è effigiato il compianto professor
Pierpaolo Pierpaoli che ebbe l'infelicissima idea di fondare questo odioso collegio.
Da principio tutto era buio: ma poco dopo la scena si rischiarò a un tratto e vidi comparire giù
dalla porta a sinistra la signora Geltrude impugnando un doppiere con le candele accese, seguìta dal
signor Stanislao che diceva con accento di preghiera:
- Ma cara Geltrude, è certo che quest'affare del petrolio nelle balle del riso è inesplicabile... -
La direttrice non rispose e seguitò lentamente a camminare verso la porta di destra.
- Possibile che si annidi tra i collegiali un tipo così audace da compiere un fatto simile? In ogni
modo farò di tutto per scoprirlo... -
A questo punto la signora Geltrude si fermò, si rivoltò verso il marito e con voce stridula gli
disse:
- Voi non scoprirete niente. Perché voi siete un imbecille! -
Ed entrò nella camera lasciando la sala del defunto Pierpaolo Pierpaoli nella più completa
oscurità.
La scena alla quale avevo assistito dal palchetto era stata brevissima, ma abbastanza interessante.
Se non altro essa mi aveva dimostrato che l'altra notte la direttrice parlando delle patate non si
era rivolta al cuoco come mi aveva fatto supporre la grande libertà di linguaggio adoperato, ma
aveva parlato col direttore...
La signora Geltrude quando diceva: imbecille! si rivolgeva proprio al suo marito in persona!...
Oggi è una grande giornata; è venerdì, e noi della Società segreta aspettiamo con ansia l'esito del
nostro strattagemma per scoprire se la minestra di magro è fatta o no con la rigovernatura dei
piatti...
8 febbraio.
Ieri sera avrei voluto scrivere in queste pagine l'ultima parte della cronaca della giornata, ma mi
premeva di vigilare il campo nemico dal mio osservatorio... E poi bisogna da ora in avanti
adoperare una grande prudenza perché siamo spiati da tutte le parti e tremo al solo pensiero che mi
possano trovare questo mio giornalino...
Fortuna che la chiave della valigia nella quale lo tengo rinchiuso è assai complicata... E poi i
sospetti sono contro i convittori grandi e... E poi in fin dei conti, se fossi messo alle strette potrei dir
delle cose che farebbero smascellar dalle risa tutti quanti, come rido io in questo momento
soffocando a stento l'ilarità per non svegliare i miei compagni...
Ah, giornalino mio, quante cose ho da scrivere!... E che cose!...
Ma andiamo per ordine, e cominciamo dal fatto meraviglioso, strabiliante della minestra di
magro di ieri.
#
Dunque a mezzogiorno in punto, tutti i ventisei convittori del collegio Pierpaoli erano, come al
solito, seduti intorno alla tavola del refettorio in attesa del pranzo... E qui mi ci vorrebbe la penna
del Salgari oppure di Alessandro Manzoni per descrivere l'ansietà di tutti i compagni della nostra
Società segreta, mentre si aspettava che portassero la minestra.
A un tratto eccola!... I nostri colli si allungano, i nostri occhi seguono con grande curiosità le
zuppiere... e appena la minestra incomincia a riempire le scodelle tutte le bocche si arrotondano in
un lungo ooooh!... di meraviglia e un mormorio generale si leva nel quale son ripetute queste
parole: - L'è rossa!... -
La signora Geltrude, che gira qua e là dietro le nostre sedie, si ferma ed esclama sorridendo:
- Si capisce! ci sono le barbabietole rosse, non vedete? -
E la minestra di magro, infatti, questa volta, è piena di piccole fette di barbe rosse, testimoni muti
e terribili, per la nostra Società segreta, della ingegnosa nequizia del cuoco...
- E ora che si fa? - dico piano al Barozzo.
- Ora si fa così! - mormora egli con gli occhi sfavillanti di sdegno.
E alzatosi in piedi, girando lo sguardo intorno ai compagni, esclama con la sua voce energica:
- Ragazzi! nessuno mangi questa minestra rossa... Essa è avvelenata! -
A queste parole i collegiali lasciano cadere il cucchiaio sulla tavola e rissano gli occhi in faccia a
Barozzo esprimendo il massimo stupore.
La direttrice, il cui volto è diventato anche più rosso della minestra, accorre e afferrato il Barozzo
per un braccio gli grida con la sua voce stridula:
- Che dici?
- Dico - ripiglia il Barozzo - che non sono le barbe che tingono di rosso la minestra ma è l'anilina
che ci ho messo io! -
L'affermazione fatta con tanta precisione e tanta fermezza dal coraggioso presidente della Società
Uno per tutti e tutti per uno sconvolge addirittura la signora Geltrude che resta li per qualche
minuto confusa, senza poter nulla rispondere; ma infine l'ira sua terribile esplode in questa frase
piena di recondite minacce:
- Tu!... tu!... tu!... Ma sei pazzo?...
- No, non sono pazzo - ribatte il Barozzo. - E ripeto che questa minestra è rossa in causa
dell'anilina che vi ho messo io, mentre avrebbe avuto tutte le ragioni di diventar rossa di vergogna
per il modo col quale è fatta!-
Questa bella frase, detta con quell'accento meridionale così sonoro, ha finito di sconvolgere la
povera direttrice che non sapeva far altro che ripetere:
- Tu! Tu! Proprio tu!... -
E infine, scostando la sua sedia, ha concluso in un sibilo: - Va' giù in Direzione! Bisogna che
tutto sia spiegato!-
E ha fatto un cenno al bidello che lo accompagnasse.
Questa scena si è svolta così fulmineamente che i convittori, anche dopo l'uscita del Barozzo dal
Refettorio, rimanevano lì, ringrulliti, sempre con gli occhi fissi sulla sedia rimasta vuota.
Frattanto la direttrice aveva dato ordine di portar via la minestra rossa e di portare in tavola l'altra
pietanza - che era baccalà lesso - sul quale i convittori si scagliarono così affamati che esso oppose
invano ai loro denti la più dura e stopposa resistenza.
Io invece, per quanto avessi non meno appetito degli altri, spelluzzicai la mia porzione di baccalà
con fare impacciato. Mi sentivo nell'anima lo sguardo fisso, acuto della signora Geltrude che, fin dal
primo momento in cui s'era alzato da sedere il Barozzo gettando l'allarme contro la minestra di
magro, non mi aveva mai levato gli occhi da dosso.
Durante l'ora della ricreazione continuò la vigile sorveglianza della direttrice e non potei parlare
che di sfuggita col Michelozzi.
- Che si fa?
- Prudenza! Bisogna prima sentire il Barozzo. -
Ma il Barozzo non fu visto da nessuno in tutto il giorno.
La sera ricomparve a cena, e pareva un altro. Aveva gli occhi rossi e infossati e sfuggiva gli
sguardi curiosi dei suoi compagni, special cute di noi della Società segreta.
- Che è stato? - gli domandai piano.
- Zitto...
- Ma che hai?
- Se mi sei amico non parlarmi. -
Il suo fare era imbarazzato, la sua voce mal sicura.
Che era dunque accaduto?
Ecco la domanda che mi rivolgevo ieri senza trovarvi una risposta.
Ieri sera appena i miei piccoli compagni di dormitorio si furono addormentati, mi ficcai dentro il
mio armadietto, senza neppur pensare a scrivere in queste pagine i fatti della giornata, per quanto
fossero di grande importanza. Era per il momento assai più importante il vedere quel che accadeva
nella sala del defunto professor Pierpaolo Pierpaoli cercando di scoprire le batterie nemiche.
E per la verità, la mia aspettazione non fu punto delusa.
Appena dentro nel mio osservatorio sentii la voce della signora Geltrude che diceva:
- Sei un perfetto imbecille! -
Capii subito che parlava con suo marito; e difatti, accostato l'occhio al forellino fatto nel ritratto
del compianto fondatore di questo collegio, ho visto giù nella sala i due coniugi direttori, l'uno di
fronte all'altra, la direttrice con le mani sul fianchi, col naso addirittura paonazzo e gli occhi
sfavillanti, e il direttore dritto, rigido in tutta la sua lunghezza, nell'attitudine di un generale che si
prepari a sostenere un assalto.
- Sei un perfetto imbecille! - ripeteva la signora Geltrude. - E si deve a te, naturalmente, se
abbiamo tra i piedi quel pezzente napoletano che finirà col rovinare l'istituto propalando l'affare
della minestra...
- Calmati, Geltrude, - rispondeva il signor Stanislao - e cerca di considerare seriamente la cosa.
Prima di tutto il Barozzo fu accettato di comune accordo a condizioni eccezionali per riguardo al
suo tutore che ci procurò altri tre convittori a retta intera...
- D'accordo? E sfido! Non la finivi più con le tue ragionacce stupide...
- Via, Geltrude, cerca di moderarti e di ascoltarmi. Il Barozzo, vedrai, non abuserà della scoperta
fatta con la sua anilina. Tu sai che egli ignorava di esser tenuto qui a patti speciali; e io profittando
di questo e toccando la corda sensibile della sua dignità gli ho fatto considerare con un discorso
molto efficace, che egli era tenuto qui quasi per compassione e che perciò aveva, lui più degli altri,
il dovere di mostrarsi grato e affezionato a noi e al nostro istituto. A questa rivelazione il Barozzo è
rimasto talmente turbato che non ha avuto più parola ed è diventato un pulcino. Dopo la mia
reprimenda ha balbettato: “Signor Stanislao, mi perdoni... Capisco ora di non avere qui dentro
nessun diritto... e può esser sicuro che non avrò mai né una parola né un atto contro il suo collegio...
Glielo giuro”.
- E tu, imbecille, ti fidi dei suoi giuramenti?
- Certamente. Il Barozzo ha un fondo di carattere serio ed è rimasto molto impressionato dal
quadro che gli ho fatto delle sue condizioni di famiglia. Sono assolutamente sicuro che da parte sua
non avremo nulla da temere...
- Non capisci nulla. E lo Stoppani? Lo Stoppani che è la causa prima dello scandalo? Lo
Stoppani che è proprio quello che ha messo il campo a rumore per la minestra di magro?
- Lo Stoppani è meglio lasciarlo stare. Per lui è un altro paio di maniche; egli è addirittura un
bambino e le sue chiacchiere non possono nuocere alla buona fama dell'istituto...
- Come! Non lo vuoi neppur punire?
- Ma no, cara. Il punirlo lo irriterebbe maggiormente. E poi chi ha messo l'anilina nei piatti è il
Barozzo: mi ha confessato egli stesso di essere stato lui, lui solo... -
A questo punto la signora Geltrude ebbe un tale accesso di bile che credetti le pigliasse li per
un accidente.
Alzò le braccia al cielo e si mise a declamare:
- Ah numi! Ah eterni dèi!... E tu fai il direttore di un collegio? Tu così cretino da credere a quel
che ti dice un ragazzaccio come il Barozzo, pretendi di stare alla testa di questo istituto? Ma tu sei
da rinchiudere in un manicomio!... Tu sei un idiota come non ve ne sono mai stati nel mondo! -
Il Direttore sotto questa valanga di ingiurie reagì, e abbassata la testa al livello della sua violenta
consorte la guardò negli occhi esclamando:
- Ora poi basta. -
E a questo punto io vidi, giornalino mio, la cosa più
straordinaria, più lontana da ogni previsione e insieme
più comica che si possa immaginare.
La signora Geltrude, allungando la destra sul capo del
signor Stanislao, come un artiglio, gli afferrò i capelli
esclamando:
- Ah! che vorresti fare? -
E mentre ella ringhiava queste parole io vidi con
profondo stupore che la chioma corvina del direttore era
rimasta nelle grinfie della direttrice la quale agitava la
parrucca in aria ripetendo furiosa:
- Ah! Vorresti anche minacciarmi? Tu? Me?... -
E gittata via a un tratto la parrucca afferrò un
battipanni di giunco ch’era su un tavolino e si mise a
inseguire il signor Stanislao che, avvilito, con la testa
completamente nuda cercava goffamente di sfuggire alle
minacce coniugali girando attorno alla tavola...
La scena era così supremamente ridicola che per quanti sforzi facessi, non potei trattenere
completamente le risa e mi usci dalla bocca un mugolìo acuto.
Questo mugolìo fu la salvezza del signor Stanislao. I due coniugi si voltarono in su stupiti verso
il ritratto; e la signora Geltrude passando dalla irritazione a una vaga paura mormorò:
- Ah! La buonanima dello zio Pierpaolo!... -
Ed io prudentemente mi ritirai lasciando i due coniugi pacificati ad un tratto da un comune
sentimento di timore, a fantasticare intorno al mugolìo del compianto fondatore di questo
malaugurato collegio.
9 febbraio.
Stamani fra i componenti la società Uno per tutti, tutti per uno è passata la solita parola d'ordine
che significa: Nell'ora di ricreazione c'è adunanza.
E infatti l'adunanza c'è stata e io non mi ricordo d'aver mai assistito a una seduta di società
segreta più emozionante di questa.
Nel rileggere il resoconto che ne ho fatto nella mia qualità di segretario, mi par d'avere davanti
agli occhi una scena della vita dei cristiani nelle catacombe o un episodio della Carboneria, come si
trovano descritti nei romanzi storici.
Figurati dunque, giornalino mio, che all'adunanza non mancava nessuno della nostra società,
perché il contegno del Barozzo aveva dato nell'occhio a tutti, e s'era tutti ansiosi di sapere come mai
tutto ad un tratto egli aveva cambiato così, dopo essere stato chiamato in direzione, a proposito
dell'affare dell'anilina.
Ci siamo riuniti nel solito angolo del cortile, con molta precauzione, per non dare nell'occhio alla
Direttrice, la quale pare che diventi più sospettosa un giorno dell'altro, e me specialmente non mi
abbandona mai con lo sguardo, come se da un momento all'altro temesse qualche gherminella.
Per fortuna non sospetta neppure lontanamente che la voce del signor Pierpaolo, che le ha fatto
tanta paura, fosse invece la mia voce, se no mi ammazzerebbero per lo meno; perché quella donna
io la credo capace di tutto! Dunque appena ci siamo raccolti in circolo, il Barozzo, che era pallido in
modo da fare impressione, ha detto sospirando, con aria cupa:
- Assumo la presidenza dell'assemblea... per l'ultima volta... -
Tutti siamo rimasti male e ci siamo guardati in viso con espressione di grande meraviglia, perché
il Barozzo era stimato da tutti un giovine pieno di coraggio, d'ingegno, e di un carattere molto
cavalleresco: insomma proprio il presidente ideale per una società segreta.
È seguìto un momento di silenzio che nessuno ha osato interrompere; poi il Barozzo con la voce
sempre più cupa ha continuato:
- Sì, amici miei, fino da questo momento io debbo declinare l'alto onore di presiedere la nostra
associazione... Ragioni gravi, gravissime, per quanto indipendenti dalla mia volontà, mi costringono
a dimettermi. Se non mi dimettessi sarei una specie di traditore... e questo non sarà mai! Di me tutto
si potrà dire ma nessuno deve potermi accusare mai di aver conservato per un giorno solo una carica
di cui mi considero indegno... -
Qui il Michelozzi, che ha un'indole piuttosto tenera, per quanto di fronte al pericolo si comporti
da eroe, ha interrotto, con una voce strozzata dalla commozione:
- Indegno? Ma è impossibile che tu ti sia reso indegno di restare fra noi... di conservare la
presidenza della nostra società!
- È impossibile! - abbiamo ripetuto tutti in coro.
Ma il Barozzo tentennando la testa ha proseguito:
- Io non ho fatto nulla per diventare indegno... la coscienza non mi rimprovera nessuna azione
contraria alle leggi della nostra società o a quelle dell'onore in generale. -
Qui il Barozzo si mise una mano sul cuore in modo straordinariamente drammatico.
- Non posso dirvi nulla! - prosegui l'ex presidente. - Se avete ancora un po' d'affetto per me non
dovete domandarmi né ora né mai quale motivo mi costringe ad abbandonare la presidenza. Vi basti
sapere che io non potrei, d'ora innanzi, aiutare e tanto meno promuovere la vostra resistenza contro
le autorità del nostro collegio... Dunque vedete bene che la mia posizione è insostenibile e la mia
decisione immutabile. -
Tutti si guardarono di nuovo in faccia e qualcuno si scambiò anche le proprie impressioni a bassa
voce. Io capii subito che le parole del Barozzo sembravano a tutti molto significanti, e, che, passata
la prima impressione di stupore, le sue dimissioni sarebbero state accettate.
Anche il Barozzo lo capì, ma rimase fermo nel suo atteggiamento, come Marcantonio Bragadino
quando aspettava d'essere scorticato dai Turchi.
Allora io non ne potei più e pensando a quello che avevo visto e sentito la sera prima dal buco
fatto attraverso il fondatore del collegio, gridai con quanto fiato avevo:
- Invece tu non ti dimetterai!
- E chi me lo può impedire? - disse il Barozzo con molta dignità. - Chi può vietarmi di battere la
strada che mi suggerisce la voce della coscienza?
- Ma che voce della coscienza! - risposi io. - Ma che strada da battere! La voce che ti ha turbato
così è stata quella della signora Geltrude: e quanto al battere, ti assicuro che non c'è bisogno d'altre
battiture dopo quelle che ha ricevuto ieri sera il signor Stanislao! -
A queste parole i componenti la società Uno per tutti e tutti per uno sono rimasti così
meravigliati che m'hanno fatto compassione, e ho subito sentito il bisogno di raccontar loro tutta la
scena avvenuta in Direzione.
E non ti so dire, giornalino mio, se tutti son stati soddisfatti di sentire che nessun motivo serio
costringeva il Barozzo a dimettersi, perché non era vero nulla che lo tenessero in collegio per
compassione, mentre anzi ci avevano trovato il loro tornaconto per via dei molti convittori procurati
dal tutore del nostro presidente.
Ma più specialmente i componenti la società s'interessarono al racconto della bastonatura, e della
perdita della parrucca, perché nessuno si sarebbe immaginato che il Direttore con quella sua aria
militare si lasciasse maltrattare in quel modo dalla moglie; e tanto meno si poteva supporre che i
suoi capelli fossero presi a prestito appunto come l'aria militare.
Il Barozzo però era rimasto sempre distratto e come concentrato in stesso. Si vedeva che le
mie spiegazioni non lo avevano consolato dalla terribile delusione provata quando aveva saputo di
trovarsi nel collegio a condizioni diverse dagli altri.
E infatti, nonostante la nostra insistenza non volle recedere dalla grave deliberazione presa, e
concluse dicendo:
- Lasciatemi libero, amici miei, perché io prima o dopo farò qualcosa di grosso... qualcosa che
voi non credereste in questo momento. Io non posso più essere della vostra Società perché uno
scrupolo me lo vieta, e ho bisogno di riabilitarmi, e non di fronte a voi, di fronte a me stesso. -
E disse queste parole in un modo così deliberato che nessuno osò aprir bocca. Si decise di
riunirsi al più presto possibile per eleggere un altro presidente, perché ormai s'era fatto tardi e c’era
il caso che qualcuno venisse a cercarci.
- Gravi avvenimenti si preparano! - mi disse Maurizio Del Ponte mentre ci stringevamo la mano
scambiandoci le fatidiche parole: Uno per tutti! Tutti per uno!
Vedremo se il Del Ponte avrà indovinato, ma anche a me l'animo presagisce qualche grossa
avventura, per un'epoca forse molto prossima.
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Altra strepitosa notizia!
Iersera dal mio osservatorio ho scoperto che il direttore, la direttrice e il cuoco sono spiritisti...
Sicuro! Quand'ho messo l'occhio al solito forellino essi eran già riuniti tutti e tre attorno a un
tavolino tondo e il cuoco diceva:
- Eccolo! Ora viene! -
E chi doveva venire era proprio lo spirito del compianto professor Pierpaolo Pierpaoli
benemerito fondatore del nostro collegio e dietro alle cui venerate sembianze io stavo in quel
momento vigilando i suoi indegni evocatori...
Non mi ci volle dimolto tempo né dimolto ingegno per comprendere la causa e lo scopo di quella
seduta spiritistica.
Evidentemente il signor Stanislao e la signora Geltrude erano rimasti molto impressionati dal
mugolìo che avevan sentito la sera avanti discendere dal ritratto del loro predecessore, e ora, spinti
un po' dal rimorso per la scenata fatta in presenza alla rispettabile effige del compianto fondatore
dell'istituto e forse anche da un vago timore che incutevan nel loro animo i recenti avvenimenti,
evocavano lo spirito dell'illustre defunto per domandargli perdono, consiglio ed aiuto.
- Ora viene! Eccolo! - ripeteva il cuoco.
A un tratto la signora Geltrude esclamò:
- Eccolo davvero! -
Infatti il tavolino s'era mosso.
- Parlo con lo spirito del professor Pierpaoli? - domandò il cuoco fissando sul piano del tavolino
due occhi spalancati che luccicavano come due lumini da notte.
Sì udirono alcuni colpi battuti sul tavolino e il cuoco esclamò convinto:
- È proprio lui.
- Domandagli se era lui anche ieri sera - mormorò la signora Geltrude.
- Fosti qui anche ieri sera? Rispondi! - disse il cuoco in tuono di comando.
E il tavolino a ballare e a picchiare, mentre i tre spiritisti si alzavano dalla sedia e si dondolavano
qua e là e si rimettevano a sedere seguendone tutti i movimenti.
- Sì, - disse il cuoco - era lui anche ieri sera. –
Il signor Stanislao e la signora Geltrude si scambiarono un'occhiata come per dire: - Eh! Ci
abbiamo fatto una bella figura! -
Poi il signor Stanislao disse al cuoco:
- Domandagli se posso rivolgergli la parola... -
Ma la signora Geltrude lo interruppe bruscamente, fulminandolo con una occhiata:
- Niente affatto! Se qualcuno ha il diritto di parlare con lo spirito del professor Pierpaolo
Pierpaoli sono io, io sua nipote e non voi che egli non conosceva neanche per prossimo! Avete
capito? -
E rivolta al cuoco soggiunse:
- Domandagli se vuol parlare con me! -
Il cuoco si concentrò in stesso e poi, sempre figgendo gli occhi sul piano del tavolino ripeté la
domanda.
Poco dopo il tavolino ricominciò a ballare e a scricchiolare.
- Ha detto di no - rispose il cuoco.
La signora Geltrude rimase male, mentre il signor Stanislao, non sapendo padroneggiarsi, diè
libero sfogo alla gioia che provava per la meritata sconfitta della sua prepotente consorte,
esclamando con accento di giubilo infantile degno più di me che di lui:
- Hai visto? -
E non l'avesse mai detto!
La signora Geltrude si rivoltò tutta inviperita scagliando in volto al povero direttore l'ingiuria
abituale:
- Siete un perfetto imbecille!
- Ma Geltrude! - rispose egli imbarazzato con un fil di voce. - Ti prego di moderarti... almeno in
presenza al cuoco... almeno in presenza allo spirito del compianto professore Pierpaolo Pierpaoli! -
La timida protesta di quel pover'uomo in quel momento mi commosse e volli vendicarlo contro
la violenza di sua moglie. Perciò con voce rauca e con accento di rimprovero esclamai : - Ah!... -
I tre si voltarono di botto verso il ritratto, pallidi, tremanti di paura. Vi fu una lunga pausa.
Il primo a ritornare padrone di fu il cuoco, il quale fissando verso di me i suoi occhi di fuoco
esclamò:
- Sei tu ancora lo spirito di Pierpaolo Pierpaoli? Rispondi! -
Io feci un sibilo: - Sssssss... -
Il cuoco continuò: - Ti è concesso di parlare direttamente con noi? -
Mi venne un'idea. Contraffacendo la voce come prima risposi:
- Mercoledì a mezzanotte! -
I tre tacquero commossi dal solenne appuntamento. Poi il cuoco disse a bassa voce:
- Si vede che stasera e domani gli è vietato di parlare... A domani l'altro! -
Si alzarono, misero il tavolino da una parte, rivolsero uno sguardo supplichevole verso di me e
poi il cuoco uscì ripetendo con voce grave:
- A domani l'altro. -
Il signor Stanislao e la signora Geltrude restarono un po' in mezzo della stanza, impacciati. Poi il
direttore dolcemente disse alla moglie:
- Geltrude... Geltrude... Cercherai di moderarti? Sì, è vero? Non mi dirai più quella brutta
parola?... -
Ella, combattuta tra la paura e il suo carattere arcigno, rispose a denti stretti:
- Non ve la dirò più... per rispettare il desiderio di quell'anima santa di mio zio... Ma anche senza
dirvelo, credete a me, rimarrete sempre quel perfetto imbecille che siete! -
A questo punto lasciai il mio osservatorio perché non ne potevo più dal ridere.
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Stamani dopo aver scritto in queste pagine il fatto della seduta spiritistica di ierisera, mi sono
accorto che uno dei miei compagni di dormitorio era sveglio.
Gli ho fatto cenno di stare zitto, e del resto anche se non glielo
avessi raccomandato sarebbe stato zitto lo stesso, perché si trattava
di un amico fidato, di Gigino Balestra del quale ho già parlato in
questo mio giornalino.
Gigino Balestra è un ragazzo serio, che mi è molto affezionato e
ormai ho potuto riscontrare in più circostanze che posso contare su
lui senza pericolo d'esser compromesso. Prima di tutto siamo
concittadini. Egli è figlio del famoso pasticciere Balestra dal quale si
serve sempre mio padre, rinomato per le meringhe che ha sempre
fresche, molto amico del mio cognato Maralli perché è anche lui un
pezzo grosso del partito socialista.
E poi ci sentiamo anche legati di amicizia per la rassomiglianza
delle vicende della nostra vita. Anche lui è disgraziato come me e
mi ha raccontato tutta la storia delle sue sventure, l'ultima delle
quali, che fu la più grossa e che fece prendere al suo babbo la
risoluzione di cacciarlo in collegio, è così interessante che voglio
raccontarla qui nel mio giornalino.
- Campassi mill'anni - mi diceva Gigino - non mi scorderò mai del primo Maggio dell'anno
passato che è e rimarrà sempre il più bello e il più brutto giorno della mia vita! -
E in quel giorno evocato da Gigino - io stesso me ne ricordo benissimo - c'era una grande
agitazione in città perché i socialisti avrebbero voluto che tutti i negozi fossero stati chiusi mentre
molti bottegai volevano tenere aperto; anche nelle scuole c'era un certo fermento perché alcuni
babbi di scolari, essendo socialisti, volevano che il Preside desse vacanza, mentre molti altri babbi
non ne volevan sapere.
Naturalmente i ragazzi in quella circostanza si schierarono tutti dalla parte dei socialisti, anche
quelli che avevano i babbi di un altro partito, perché quando si tratta di far vacanza io credo che tutti
gli scolari di tutto il mondo sieno pronti a dichiararsi solidali nello stesso sacrosanto principio che
sarebbe quello d'andare a fare piuttosto una bella passeggiata in campagna col garofano rosso
all'occhiello della giacchetta.
Difatti successe che molti ragazzi in quel giorno fecero sciopero, e mi ricordo benissimo che lo
feci anche io, e che per questo fatto il babbo mi fece stare tre giorni a pane e acqua.
Ma pazienza! Tutte le grandi idee hanno sempre avuto i loro martiri...
Al povero Gigino Balestra però successo qualche cosa di peggio.
Egli, dunque, a differenza di me, aveva fatto sciopero dalla scuola col consenso di suo padre;
anzi suo padre lo avrebbe obbligato a far vacanza se, per una ipotesi impossibile ad avverarsi,
Gigino avesse voluto andare a scuola.
- Oggi è la festa del lavoro - gli aveva detto il signor Balestra - e io ti il permesso di andare
fuor di porta con i tuoi compagni. Sta' allegro e abbi giudizio. -
Gigino non aveva inteso a sordo: e con alcuni suoi amici era andato a fare una visita a certi
compagni che stavano in campagna.
Arrivati sul posto, tutti insieme si misero a fare il chiasso e, via via, il numero della comitiva era
andato aumentando, tanto che da ultimo erano non meno di una ventina di ragazzi di tutte le età e di
tutte le condizioni sociali, tutti affratellati in una grande baldoria d'urli e di canti.
A un certo punto Gigino che si dava una cert'aria per essere il figlio di uno dei capi del partito
socialista, entrò a parlare del primo maggio, della giustizia sociale e di altre cose delle quali aveva
sentito parlare spesso in casa e che aveva imparato a ripetere pappagallescamente: ma ad un tratto
uno della comitiva, un ragazzaccio tutto strappucchiato gli rivolse a bruciapelo questa inopportuna
domanda:
- Tutti bei discorsi; ma che è giusta, ecco, che tu abbia una bottega piena di paste e di pasticcini a
tua disposizione, mentre noi poveri non si sa neppure di che sapore le sieno? -
Gigino a questa inaspettata osservazione rimase male. Ci pensò un poco e rispose:
- Ma la bottega non è mica mia: è del mio babbo!...
- E che vuol dire? - ribatté il ragazzaccio. - Non è socialista anche il tuo babbo? Dunque, oggi
che è la festa del socialismo dovrebbe distribuire almeno una pasta a testa a tutti i ragazzi,
specialmente a quelli che non ne hanno mai assaggiate... Se non comincia lui a dare il buon esempio
non si può pretendere certo che lo facciano i pasticcieri retrogradi!... -
Questo tendenzioso ragionamento ebbe la virtù di convincere l'assemblea e tutta la comitiva si
mise a urlare:
- Ha ragione Granchio! (Era questo il soprannome del ragazzaccio tutto strappato) Evviva
Granchio!... -
Gigino, naturalmente, era mortificato perché gli pareva, di fronte, a tutti quei ragazzi, di farei una
cattiva figura, e non solo lui ma anche il suo babbo; sicché si struggeva dentro di trovar qualche
ragione colla quale ribattere il suo avversario, quando gli venne una idea che da principio lo
spaventò quasi per la sua arditezza, ma che gli apparve poi di possibile esecuzione e l'unica che
avesse la virtù in quel frangente di salvare la reputazione politica e sociale sua e di suo padre.
Aveva pensato che in quel momento il suo babbo era alla Camera del Lavoro a fare un discorso,
e che le chiavi di bottega erano in casa, nella sua camera, dentro il cassetto del comodino.
- Ebbene! - gridò. - A nome mio e di mio padre vi invito tutti nel nostro negozio ad assaggiare le
nostre specialità... Ma intendiamoci, eh, ragazzi! Una pasta a testa! -
L'umore dell'assemblea si mutò come per incanto e un solo grido echeggiò, alto, entusiastico,
ripetuto da tutte quelle bocche in ciascuna delle quali serpeggiava la medesima acquolina tentatrice.
- Evviva Gigino Balestra! Evviva il suo babbo! -
E tutti quanti mossero dietro di lui, compatti con l'ardore e la velocità di un eroico drappello alla
conquista di una posizione lungamente vagheggiata o il cui possesso si presenti a un tratto privo
ogni ostacolo.
- Sono una ventina fra tutti - pensava intanto Gigino - e per una ventina di paste... mettiamo pure
una venticinquina... dall'esserci al non esserci, in bottega dove ce ne sono a centinaia, nessuno se ne
può accorgere... In verità non varrebbe la pena che per una simile miseria compromettessi il mio
prestigio, quello di mio padre e perfin quello del partito al quale apparteniamo! -
Arrivati in città Gigino disse ai suoi fedeli seguaci:
- Sentite: ora vo a casa a pigliar le chiavi di bottega... fo in un lampo. Voialtri intanto venite
dall'usciolino di dietro... ma alla spicciolata, per non dar nell'occhio!
- Bene! - gridarono tutti.
Ma Granchio osservò:
- Ohé!... Non ci farai mica la burletta, eh? Se no, capisci?... -
Gigino ebbe un gesto di grande dignità:
- Sono Gigino Balestra! - disse - e quando ho dato una parola si può esser sicuri! -
Andò lesto lesto a casa, dove c'era la sua mamma e una sua sorellina; senza farsi vedere sgusciò
in camera del babbo, prese dal cassetto del comodino le chiavi di bottega e ritornò via di corsa
lanciando alla mamma queste parole:
- Vo con i miei compagni, ma tra poco ritorno a casa! -
E se n'andò difilato al negozio, guardando a destra e a sinistra per paura che qualche persona di
conoscenza della sua famiglia avesse a sorprenderlo durante quella manovra.
Aprì la porta scorrevole di ghisa e la tirò su tanto da potere entrare in bottega, e una volta dentro
la richiuse. S'era provvisto in casa di una scatola di cerini e con essi accese una candela che il babbo
teneva sempre vicino alla porta; così trovò il contatore del gas, l'aprì, e accese poi le lampade della
pasticceria; e fatto questo andò ad aprir l'usciolino dietro il negozio che dava in un vicolo poco
frequentato.
Da quell'usciolino incominciarono a entrare i compagni di Gigino, a uno, a due a tre...
- Mi raccomando - badava a ripetere il figlio del pasticcere. - Uno per uno... al più due... Ma non
mi rovinate! -
Ma a questo punto è meglio che lasci la parola allo stesso Gigino Balestra che essendo stato il
protagonista di quella avventura comica e tragica a un tempo, la racconta certamente meglio di quel
che potrei fare io.
- per - dice Gigino - mi parve che il numero dei miei compagni fosse molto cresciuto. Il
negozio era addirittura invaso da una vera folla che bisbigliava girando intorno sulle paste e sulle
bottiglie de'rosolii certi occhi che parevan di fuoco. Granchio mi domandò se potevano prendere
una bottiglia di rosolio, tanto per non murare a secco, e avendo acconsentito, me ne versò
gentilmente un bicchiere pieno dicendo che il primo a bere doveva essere il padrone di casa. E io
bevvi e bevvero tutti facendomi dei brindisi e invitandomi e ribere, sicché si dovette stappare
un'altra bottiglia... Intanto anche le paste sparivano e i più vicini a me ne offrivano dicendomi: -
Prendi, senti com'è buona questa, senti com'è squisita quest'altra - proprio come se loro fossero stati
i padroni della pasticceria e io il loro invitato. Che vuoi che ti dica, caro Stoppani? Si arrivò a un
punto che io non capivo più nulla; ero esaltato, mi sentivo addosso un ardore e un entusiasmo che
non avevo provato mai, mi pareva d'essere in un paese fantastico tutto popolato di ragazzi di
marzapane col cervello di crema e il cuore di marmellata uniti da un dolce patto di fratellanza
condita con molto zucchero e rosolio di tutte le qualità... E ormai anche io seguitavo come tutti gli
altri a mangiar paste a quattro ganasce e a vuotar bottiglie e boccette di tutti i colori e di tutti i sapori
volgendo delle occhiate di beatitudine in quel campo aperto alla baldoria nel quale si agitavano
come fantasmi tutti quei ragazzi che ogni tanto urlavano a bocca piena: - Evviva il socialismo!
Evviva il primo maggio! - Io non ti so dire quanto durasse quella grande scena d'ogni dolcezza e
d'ogni letizia... So che a un certo punto la musica cambiò a un tratto e una voce terribile, quella di
mio padre, rimbombò nel negozio gridando: - Ah, razza di cani, ora ve lo io il socialismo! - e fu
un diluvio di scapaccioni che piovve da tutte le parti fra le grida e i pianti di tutta quella folla di
ragazzi ubriachi che si accalcava confusamente verso la porticina cercando di fuggire. Io ebbi un
momento di lucido intervallo nel quale, con un volger d'occhi, abbracciai quel quadro bizzarro e
sentii in un lampo tutta la terribile responsabilità che mi pesava... Il banco prima cosparso di
centinaia di paste tutte messe per ordine era vuoto, gli scaffali attorno erano tutti in disordine e vi si
affacciavano qua e là i colli di bottiglie rovesciate dalle quali colavano giù rosoli e sciroppi, in terra
era un piaccichiccio di pasta sfoglia pesticciata, dovunque sulle sedie, nelle cornici degli scaffali e
del banco eran bioccoli di crema e di panna sbuzzata fuori dalle meringhe, e ditate di cioccolata...
Ma fu solo, come ho detto, in un lampo ch'io intravidi tutto questo, perché un maledetto scapaccione
mi fece rotolar sotto il banco e non vidi sentii più nulla. Quando mi svegliai ero a casa, nel mio
letto, e accanto a me c'era la mia mamma che piangeva. Mi sentivo un gran peso nella testa e sullo
stomaco... Il giorno dopo, 2 maggio, il babbo mi dette due once d'olio di ricino; la mattina di poi, tre
maggio, mi fece vestire e mi portò qui nel collegio Pierpaoli... -
Cosi Gigino Balestra ha concluso il suo racconto, con un accento comicamente solenne che mi ha
fatto proprio ridere.
- Vedi? - gli ho detto. - Anche tu sei vittima, com'è accaduto a me in più circostanze della vita,
della tua buona fede e della tua sincerità. Tu avendo il babbo socialista hai creduto nel tuo
entusiasmo di dover mettere in pratica le sue teorie distribuendo i pasticcini a que' poveri ragazzi
che non ne avevan mai assaggiati, e il tuo babbo ti ha punito... È inutile: il vero torto di noi ragazzi è
uno solo: quello di pigliar sul serio le teorie degli uomini... e anche quelle delle donne! In generale
accade questo: che i grandi insegnano ai piccini una quantità di cose belle e buone... ma guai se uno
dei loro ottimi insegnamenti, nel momento di metterlo in pratica, urta i loro nervi, o i loro calcoli, o
i loro interessi. Io mi ricorderò sempre d'un fatto di quando ero piccino... La mia buona mamma, che
pure è la più buona donna di questo mondo, mi predicava sempre di non dir bugie perché a dirne
solamente una si va per sette anni in Purgatorio; ma un giorno che venne a cercarla la sarta col conto
e che lei aveva fatto dire dalla Caterina che era uscita, io per non andare in Purgatorio corsi alla
porta di casa a gridare che non era vero nulla e che la mamma era in casa... e in premio d'aver detto
la verità ci presi un bello schiaffo.
- E perché ti hanno messo in collegio?
- Per aver pescato un dente bacato!
- Come! - ha esclamato Gigino al colmo dello stupore.
- Per uno starnuto d'un vecchio paralitico! - ho aggiunto io divertendomi a vederlo a sgranar tanto
d'occhi.
Poi, dopo averlo tenuto per un bel pezzo di curiosità, gli ho raccontato l'ultima mia avventura in
casa del mio cognato Maralli, per la quale fu interrotto il mese di esperimento concesso da mio
padre ed io fui accompagnato in questa galera.
- Come vedi, - conclusi - anche io sono stato una vittima del mio destino disgraziato... Perché se
quel signor Venanzio zio di mio cognato non avesse fatto uno starnuto proprio nel momento in cui
lo avevo avvicinato la lenza con l'amo alla sua bocca sgangherata, io non gli avrei strappato
quell'unico dente bacato che gli rimaneva e non sarei qui nel collegio Pierpaoli! Vedi un po', a volte,
da che può dipendere la sorte e la reputazione di un povero ragazzo... -
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Ho voluto raccontar qui le confidenze che son corse tra me e Gigino Balestra per dimostrare che
siamo legati ormai in intima amicizia e che, se stamani egli era sveglio e mi guardava mentre io
scrivevo nel Giornalino, non avevo nessuna ragione - come ho già detto in principio - di diffidare di
lui. Anzi gli ho detto in grande segretezza di queste mie memorie che vo scrivendo, l'ho messo a
parte dei miei progetti e gli ho proposto, d'entrare nella nostra Società segreta...
Egli mi ha abbracciato con uno slancio d'affetto che mi ha commosso e ha detto che si sentiva
orgoglioso della fiducia che rimettevo in lui.
Oggi, infatti, durante l'ora di ricreazione, l'ho presentato ai miei amici che l'hanno accolto
benissimo.
Il Barozzo non c'era. Da quando ha dato le dimissioni egli vive solitario e pensieroso e quando ci
incontra si limita a salutarci con un'aria triste triste. Povero Barozzo!
Io in adunanza ho raccontato tutta la scena della seduta spiritistica di iersera e si è stabilito, di
riflettere tutti seriamente per trarre partito da questa nuova situazione e per preparar qualche tiro per
mercoledì notte.
Domani martedì ci riuniremo per eleggere il nuovo presidente e per decidere sull'intervento dello
spirito del compianto professore Pierpaoli all'appuntamento dato al signor Stanislao, alla signora
Geltrude e al loro degno cuoco inventore della minestra della rigovernatura.
11 febbraio
Ieri sera nulla di nuovo.
Dal mio osservatorio vidi il Direttore e la Direttrice traversare la sala del venerato Pierpaolo,
lentamente silenziosamente, e andarsene nella loro camera dopo aver rivolto verso il ritratto una
timida occhiata, come per dire:
- A domani sera, e che Dio ce la mandi buona! -
Gigino Balestra, mentre scrivo, è là nel suo lettuccio che mi guarda e sorride...
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Oggi, durante l'ora di ricreazione, c'è stata l'elezione del presidente della nostra Società segreta.
Tutti i soci avevano già scritto il nome scelto in pezzetti di carta che ripiegati sono stati messi in
un berretto. Gigino Balestra che è il socio più piccino (ha due mesi e mezzo meno di me) ha fatto lo
squittinio ed è risultato eletto presidente Mario Michelozzi.
Anche io ho votato per lui perché se lo merita, e perché se da qualche giorno nel collegio non si
mangia più la solita minestra di riso si deve a lui.
Abbiamo discusso su quello che si deve preparare per la seduta spiritica di domani sera.
Ciascuno aveva la sua idea, ma è stata approvata quella di Carlino Pezzi.
Carlo Pezzi, che è quel ragazzo che ha la specialità della topografia, mentre cercava di stabilire
su quale stanza dava il mio osservatorio, fece conoscenza con un ragazzo che serve da manovale ai
muratori addetti ai lavori di riparazione nel collegio.
Servendosi di questa sua amicizia egli spera di poter penetrare nel salone del ritratto di Pierpaolo
e fare una cosa, che se riesce, avrà un effetto straordinario sui tre spiritisti...
E poi... e poi... ma non voglio scrivere di quel che abbiamo progettato e complottato.
Dirò solo che se quel che abbiamo pensato di fare riuscirà noi saremo finalmente vendicati di
tanti bocconi amari che abbiam dovuto ingozzare... compresi quelli della famosa minestra di magro
fatta con la rigovernatura dei nostri piatti, e quel che è peggio di quelli del signor Stanislao e della
signora Geltrude.
12 febbraio
Dio, quanti avvenimenti si accumulano per stanotte!
A pensarci mi va via la testa e mi pare d'essere il protagonista d'uno di quei romanzi russi dove
tutto, anche le cose più semplici come sarebbe quella di mettersi le dita del naso, acquista una
grande aria di tenebroso mistero.
Intanto registrerò qui due notizie importanti.
Prima: oggi Carlino Pezzi, mentre il Direttore e la Direttrice erano a pranzo, ha trovato modo per
mezzo di quel suo amico manuale, di entrare nel salone di Pierpaolo dove l'imbianchino aveva
lasciato una lunga scala che gli era servita per ritoccare la riquadratura del soffitto.
In un attimo il Pezzi ha drizzato la scala al ritratto di Pierpaolo e, arrampicatosi fin lassù, con un
temperino gli ha fatto due buchi negli occhi. Cosi tutto è stato felicemente preparato per il grande
spettacolo di stanotte.
Seconda notizia. Ho visto Tito Barozzo che era già stato messo a parte del nostro progetto e che
mi ha detto:
- Senti, Stoppani. Devi sapere che, dal giorno in cui ebbi a patire nella stanza del Direttore la
grande umiliazione che tu sai e che ha annientato nell'anima mia ogni slancio di ribellione contro le
ingiustizie e i soprusi che si commettono in questo collegio dove io son tenuto per compassione, un
solo pensiero, uno solo, capisci? mi ha dato la forza finora di resistere, ed è questo: la fuga. -
Io ho fatto un atto di sorpresa e di dolore all'idea di perdere un amico così simpatico e così amato
da tutti; ma egli ha soggiunto subito:
- È inutile, credi, ogni argomento che mi si potesse portare in contrario. Della mia miserabile
condizione qui dentro non posso esser giudice che io, e io ti so dire che essa è intollerabile e che, se
si dovesse prolungare, finirebbe con l'uccidermi. Perciò ho deciso di scappare, e nulla potrà
rimuovermi da questa mia risoluzione.
- E dove anderai? -
Il Barozzo s'è stretto nelle spalle allargando le braccia.
- Non lo so: anderò per il mondo che è così grande e dove io sarò libero e non soffrirò mai che
nessun mio simile ardisca umiliarmi come hanno ardito il mio tutore e il Direttore del collegio. -
A queste parole pronunziate con nobile alterezza l'ho guardato con ammirazione e poi ho
esclamato con entusiasmo:
- Scappo anch' io con te!... -
Egli mi ha guardato con uno sguardo pieno d'affetto che non scorderò mai e nel quale ho letto la
gratitudine e il ricambio di tutto il bene ch'io gli voglio. Poi con accento grave nel quale ho sentito
tutta la sua superiorità su me, ha soggiunto:
- No, caro amico mio. Tu non puoi devi scappare di qui perché tu sei in condizioni molto
diverse dalle mie. Tu stai qui con tutti i tuoi diritti e puoi insorgere ogni volta che qualcuno te li
contesti con l'inganno o con la violenza. E poi tu hai una mamma e un babbo che soffrirebbero
molto della tua scomparsa... mentre io non ho che un tutore il quale non piangerà certo ignorando le
mie notizie!... -
E nel dir così il povero Barozzo ha avuto un sorriso così triste e così amaro che m'ha fatto venir
le lacrime agli occhi e in un impeto di affetto e di pietà l'ho abbracciato stretto stretto esclamando:
- Povero Tito!... -
E l'ho baciato bagnandolo del mio pianto.
Egli ha avuto un singhiozzo, mi ha stretto forte forte sul petto; e poi scostandomi e passandomi
una mano sugli occhi ha ripreso:
- Dunque senti, Stoppani. Quello che avete combinato per stanotte, può favorire splendidamente
il mio progetto. Vorrete aiutarmi? È l'ultimo atto di solidarietà fraterna che chiedo ai miei compagni
della Società segreta...
- Figurati!
- Allora sta' bene attento. Quando il Direttore, la Direttrice e il cuoco saranno sopraffatti dagli
spiriti, tu andrai nella stanzina dei lumi a petrolio che tu conosci, l'aprirai con questa chiave e,
attaccata alla porta dalla parte interna, troverai una chiave molto grossa che prenderai teco. Quella è
la chiave del portone d'ingresso del collegio con la quale esso è chiuso ogni sera per di dentro. Vieni
con questa chiave nel corridoio a pian terreno... Lì ci sarò io. -
In così dire Tito Barozzo mi afferrò la destra, me la strinse e si allontanò in fretta.
Sono sopraffatto dagli avvenimenti che si preparano per stanotte...
Come anderà?
13 febbraio.
Quante cose, e quali, ho da scrivere stamani!... Ma tutto ora consiglia la massima prudenza e non
posso perdermi in descrizioni e in considerazioni oziose, ma bisogna che mi sbrighi a registrare i
fatti nudi e crudi.
Che notte!... e che botte!...
#
Ecco dunque com'è andata.
Naturalmente ieri sera non mi sono addormentato.
L'orologio della chiesa vicina suonava le undici e mezza...
I miei compagni dormivano... mi alzai e mi vestii. Gigino Balestra che dal suo lettuccio non mi
perdeva di vista fece lo stesso e pianino pianino, in punta di piedi, mi venne accanto.
- Sdràiati sul mio letto - gli dissi all'orecchio. - Io vo nell'armadietto; a suo tempo di lassù ti darò
il segnale. -
Egli obbedì e io salii sul comodino, e di lì entrai nel mio piccolo osservatorio.
Misi l'occhio al solito forellino. Tutto era buio nel salone; ma i tre spiritisti non tardarono ad
arrivare.
Il cuoco che portava un lume a petrolio lo posò su una consolle, e tutti e tre si rivolsero a me...
cioè al compianto Pierpaolo Pierpaoli.
Il direttore disse a bassa voce:
- Mi pare che stasera abbia gli occhi più neri… -
La signora Geltrude lo guardò e schiuse le labbra in modo ch'io capii benissimo che era per dargli
dell'imbecille, ma si ritenne per paura dello spirito di suo zio. E pensare che il povero sor Stanislao
aveva pienamente ragione, perché i due buchi fatti da Carlino Pezzi negli occhi del ritratto, sul
fondo nero dello sgabuzzino dove stavo io, dovevano fare appunto l'effetto che gli occhi del
compianto fondatore del Collegio si fossero molto ingranditi! Poco dopo il Direttore, la Direttrice e
il cuoco erano seduti attorno al solito tavolino, con le mani unite e stavano aspettando
silenziosamente, tutti riconcentrati, che il fluido si sviluppasse.
L'orologio della chiesa suonò dodici tocchi.
Il cuoco esclamò:
- Pierpaolo Pierpaoli! -
Il tavolino dette un balzo.
- C'è - mormorò la signora Geltrude
Vi fu una pausa solenne.
- Puoi parlare? - domandò il cuoco: e tutti e tre sbarrarono gli occhi verso il ritratto.
Incominciava la mia parte. Risposi assentendo con un sì che pareva un soffio.
- Ssssss... -
I tre spiritisti erano così commossi che ci volle un bel pezzetto prima che ripigliassero un po' di
fiato.
- Dove sei? - disse finalmente il cuoco.
- In Purgatorio - risposi con un fil di voce.
- Ah zio! - esclamò la signora Geltrude. - Voi che eravate così buono, così virtuoso!... E per quali
peccati?
- Per uno solo, - risposi io.
- E quale?
- Quello di aver lasciato questo mio istituto a persone indegne di dirigerlo! -
Dissi queste parole con voce un po' più alta e con accento adirato; e parve che esse cadessero
sulla testa dei tre spiritisti come tante tegole. Si abbandonarono col capo e con le braccia stese sul
piano del tavolino, affranti dalla terribile rivelazione e rimasero così sopraffatti dai loro rimorsi, per
parecchio tempo.
La prima a riaversi fu la signora Geltrude che domandò:
- Ah zio... adorato zio... Degnatevi di dire i nostri torti e noi li ripareremo.
- Li sapete! - risposi con voce grave.
Ella parve riflettere; poi riprese:
- Ma ditemeli... Ditemeli!... -
Io non risposi. Mi ero già imposto di non rispondere che alle domande che favorivano il nostro
progetto e oramai non ve n'era che una che aspettavo, e che non poteva indugiare a essermi rivolta.
- Zio!... Non rispondete più?... - disse ancora la Direttrice con voce insinuante.
Lo stesso silenzio.
- Sei dunque molto sdegnato con noi? - aggiunse ella.
E io sempre zitto.
- Che sia andato via? - chiese al cuoco.
- Pierpaolo Pierpaoli! - disse l'odiato manipolatore delle minestre di magro con le rigovernature. -
Ci sei sempre?
- Ssssss... - risposi.
- C'è sempre; - disse il medium - se non risponde vuol dire che a certe domande non vuol
rispondere e bisogna fargliene delle altre.
- Zio, zio!... - esclamò la signora Geltrude. - Abbiate pietà di noi, poveri peccatori!... -
A questo punto io mi scostai dal forellino fatto da me nella tela e piantai gli occhi nei buchi fatti
da Carlino Pezzi e incominciai a roteare le pupille a destra e a sinistra e, ogni tanto, a fissarle sui tre
spiritisti.
Essi che tenevano sempre lo sguardo intento al ritratto, poco dopo si accorsero che esso moveva
gli occhi, e presi da un gran tremito si scostarono dal tavolino e caddero in ginocchio.
- Ah, zio! - mormorò la signora Geltrude. - Ah, zio!... pietà... pie di noi!... Come potremo
riparare ai nostri torti? -
Era qui che l'aspettavo.
- Togliete il segreto alla porta - dissi - perché io possa venire a voi... -
Il cuoco si alzò e pallido, camminando a zig-zag come un ubriaco, andò a togliere il segreto alla
porta.
- Spengete il lume e aspettatemi tutti in ginocchio! -
Il cuoco spense il lume e io sentii poi tornare a inginocchiarsi accanto agli altri due.
Il gran momento era giunto.
Lasciai il mio posto d’osservazione e affacciatomi all'ingresso dell'armadietto feci con la gola un
suono come si fa quando si russa.
Immediatamente Gigino Balestra si alzò dal mio letto ov'era ancora disteso e, senza far rumore,
uscì dalla camerata.
Egli andava a dar l'avviso ai compagni della Società segreta che eran tutti pronti per irrompere
nel salone di Pierpaolo Pierpaoli e, armati di cinghie e di battipanni, farne le giuste vendette.
Io mi rivoltai nel mio sgabuzzino e accostai l'orecchio alla tela del ritratto per godermi un po' la
scena.
Sentii aprire l'uscio della sala, richiuderlo col segreto, e poi ad un tratto le grida dei tre spiritisti
sotto i primi colpi.
- Ah! gli spiriti!... Pietà!... Aiuto!... Soccorso!... –
Mi ritirai precipitosamente, e uscito di camerata accesi uno stoppino del quale mi ero provvisto,
andai nella stanzetta dei lumi a petrolio, aprii con la chiave che mi aveva dato il Barozzo, staccai la
grossa chiave che trovai attaccata dietro la porta secondo le istruzioni che mi aveva dato, e corsi al
portone d'ingresso del collegio.
Tito Barozzo era lì. Prese la chiave, aprì il portone, poi si rivolse a me e mi avvinghiò con le
braccia, e mi tenne stretto stretto al suo petto; mi baciò e le nostre lacrime si confusero insieme sui
nostri visi...
Che momento! Mi pareva d'essere in un sogno... e quando ritornai in me io ero solo, appoggiato
al portone dell'Istituto, chiuso.
Tito Barozzo non c'era più.
Girai la mandata e ritirai la chiave dal portone e rifacendo rapidamente la strada già fatta l'andai a
rimettere al suo posto, richiusi l'uscio dello stanzino dei lumi e ritornai in camerata dove mi
affacciai con la massima precauzione, assicurandomi se i miei piccoli colleghi dormivano tutti.
Dormivano infatti. Il solo desto era Gigino Balestra, a sedere sul mio letto, che mi aspettava
inquieto, non sapendo il motivo per il quale ero uscito.
- Siamo tutti ritornati in dormitorio - mormorò. - Ah, che scena!... -
Voleva parlare, ma io gli accennai di stare zitto; salii sul comodino, mi tirai su a sedere
nell'armadietto e feci cenno a Gigino di venir su anche lui. Con molti sforzi si riuscì a ficcarci tutti e
due nel mio osservatorio tra le cui anguste pareti, stavamo distesi, stretti l'uno all'altro come due
sardine di Nantes, con la differenza che non eravamo senza testa come loro, ma anzi avevamo i
nostri visi, anch'essi appiccicati insieme, dentro la finestrina da me aperta sulla gran sala di
Pierpaolo che era nella più completa oscurità.
- Ascolta, - dissi in un soffio di voce a Gigino. Si udiva già un singulto cadenzato.
- Geltrude - sibilò il mio compagno.
Doveva essere intatti la Direttrice che piangeva e ogni tanto borbottava con accento fioco:
- Pietà!... Perdono!... Mi pento di tutto! Non lo farò più!... Misericordia dell'anima mia!... -
A un tratto nel silenzio tragico di quel momento s'alzò una voce tremula che diceva:
- Pierpaolo Pierpaoli... possiamo riaccendere il lume? -
Era quel mascalzone del cuoco, inventore della minestra di rigovernatura.
Non mi pareva vero di vedere come lo avevano conciato i compagni della Società segreta e mi
affrettai a rispondere col solito sibilo:
- Sssssss... -
Si udì inciampare; poi lo sfregamento scoppiettante di un fiammifero di legno contro il muro, si
vide una piccola scialba fiammella giallognola vagar qua e nel buio come un fuoco fatuo nel
cimitero e finalmente un lume si accese.
Ah, che spettacolo! Non lo dimenticherò mai.
Le sedie, i tavolini erano rovesciati per terra. Sulla consolle il grande orologio, i candelabri erano
in bricioli. Dovunque regnava uno spaventevole disordine.
Da un lato, accanto al lume acceso, appoggiato alla parete, il cuoco col faccione verde pieno di
bitorzoli, vòlto verso di noi, guardava con gli occhi languidi e lacrimosi il ritratto.
Dall'altra parte, accovacciata in un angolo, era la Direttrice, col viso sgraffiato, i capelli disciolti
e le vesti in brandelli. Anche lei aveva gli occhi gonfi, stralunati, e fissava sul ritratto le inquiete
pupille.
Poi sopraffatta dal rimorso e dal dolore dètte in un pianto dirotto, balbettando sempre rivolta alla
venerata effige del defunto Pierpaolo:
- Ah, zio! hai avuto ragione di punirci! Sì... noi siamo indegni di questa tua grande istituzione
alla quale dedicasti tutta la tua vita intemerata!... E hai fatto bene a mandarci gli spiriti a punirci, a
gastigarci delle nostre colpe... Grazie, zio! Grazie... E se ci vuoi dare altri gastighi, fa' pure!... Fa'
pure! Ma ti giuro che da qui in avanti noi non ricadremo più nel peccato tremendo dell'egoismo,
dell'avarizia, della prepotenza... Te lo giuriamo, non è vero, Stanislao!... -
E si volse lentamente alla sua destra, poi girò
lo sguardo da ogni parte, sgomenta.
- O Dio! Stanislao non c'è più!... -
Infatti il Direttore mancava, e io sentii una
stretta al cuore. Che ne avevano fatto, i compagni
della Società segreta?...
- Stanislao!... - chiamò con voce più alta la
Direttrice.
Nessuno rispose.
Allora il cuoco alzò la voce verso il ritratto:
- Pierpaolo Pierpaoli! Gli spiriti punitori
hanno forse portato il nostro povero Direttore
all'inferno?... -
Io rimasi zitto. Volevo dimostrare, ora, che lo
spirito del fondatore del Collegio non era più
presente. E vi riuscii perché il cuoco, dopo
averlo più volte chiamato, disse (e nel dir questo
la sua voce aveva ripreso il suo tono calmo e
naturale):
- Non c'è più! -
Anche la signora Geltrude fece un sospiro di
sollievo e parve liberata da una gran
preoccupazione.
- Ma Stanislao? - disse. - Stanislao! Stanislao, dove sei?... -
A un tratto dall'uscio che dalla sala mette nella camera dei due coniugi venne fuori una lunga
figura così comicamente fantastica che, pur essendo recente la drammatica solennità di quel terribile
convegno spiritistico, il cuoco e la direttrice non poterono frenar le risa.
Il signor Stanislao pareva diventato più secco e più allampanato di prima; ma il pezzo della sua
persona cui era impossibile volger lo sguardo senza ridere era la testa tutta monda e bianca come
una palla di biliardo e con un occhio tutto cerchiato di nero intorno e con espressione di così comica
desolazione che tanto io che Gigino Balestra, malgrado i nostri più eroici sforzi, non potemmo
frenare una risata.
Fortunatamente in quel momento ridevano anche il cuoco e la signora Geltrude, sicché non si
accorsero di noi. Ma il direttore che non rideva dovette udire qualcosa perché volse l'atterrito occhio
cerchiato di nero verso di noi... e noi ci frenammo ancora, resistendo finché ci fu possibile, ma la
risata ad un tratto ci scappò via dal naso in un sordo grugnito e ci ritirammo, più in fretta che ci fu
possibile in quella ristrettezza, nell'armadietto scendendo poi giù nella camerata.
Gigino raggiunse il suo lettuccio e tutti e due spogliatici in un baleno ci ficcammo sotto le
rispettive lenzuola palpitanti...
Non ho chiuso occhio in tutta la notte, temendo sempre che tutto fosse stato scoperto e che
un'improvvisa ispezione venisse a sorprenderci. Fortunatamente nulla di nuovo è accaduto e io
posso stamani confidare al mio Giornalino le ultime vicende del collegio Pierpaoli.
14 febbraio.
Ho appena il tempo di segnare qui in stile telegrafico gli avvenimenti di ieri. Nel critico
momento che attraversiamo se questo mio giornalino cadesse nelle grinfie della Direttrice sarebbe
una rovina per tutti... Perciò l'ho levato dalla mia valigia e lo tengo legato sul petto con uno spago e
vorrei vedere chi avesse l'ardire di venirmelo a cercare!
Ecco dunque quel che è successo in queste ventiquattr'ore.
Ieri fin dalla prima mattina in tutto il collegio ci fu un gran movimento e un gran chiacchierare
sottovoce, ed anche un estraneo avrebbe capito subito che qualcosa di straordinario doveva essere
avvenuto.
Si era sparsa la notizia della fuga di Tito Barozzo e mentre tutti i collegiali commentavano il
fatto e andavano a caccia di particolari, i bidelli e gli inservienti dell'Istituto andavano e venivano
con certe facce smunte come se avessero perso un terno al lotto e davano in giro certe occhiate torve
che parevan proprio poliziotti alla ricerca di qualche bandito.
Intanto si diceva che la Direzione aveva diramato telegrammi a destra e a sinistra, avvisando le
autorità di tutti i paesi vicini, dando i connotati del fuggiasco, mentre era aperta una severissima
inchiesta per stabilire se nella fuga il Barozzo aveva avuto dei complici tra i suoi compagni o nel
personale addetto al collegio.
C'era in giro anche la notizia che la Direttrice, appena scoperto il fatto si era ammalata
d'un'eruzione nella pelle ed era dovuta tornare a letto e che il Direttore per correre qua e a dare
ordini aveva battuto un occhio in uno spigolo e poi aveva preso una gran flussione sicché aveva la
testa tutta rinfagottata in una gran ciarpa di seta nera e aveva un occhio anche più nero...
Io e i miei compagni della Società segreta sapevamo il motivo di queste eruzioni e di queste
flussioni, ma stavamo naturalmente zitti e cheti, limitandoci a scambiare degli sguardi che valevano
cento discorsi.
A colazione apparve in refettorio il signor Stanislao e non so come si facesse tutti quanti a non
scoppiare in una clamorosa e sonora risata. Si sentiva bensì qua e qualcuno che malgrado tutti gli
sforzi sghignazzava, e si vedeva dovunque un grande affaccendarsi a pulirsi la bocca col tovagliolo
per nascondere alla meglio l'ilarità che aveva invaso tutti...
Com'era ridicolo, povero signor Stanislao, con quella ciarpona nera avvoltolata intorno alla zucca
completamente pulita (noi della Società si sapeva che ormai non poteva più coprirsela con la
parrucca ch'era stata buttata in un luogo tale che anche se l'avesse ritrovata, non se la sarebbe
rimessa di certo!) e con quell'occhio grosso, languido e lacrimoso come un uovo al tegamino poco
cotto...
- Pare un becchino turco! - disse piano Maurizio Del Ponte alludendo a quel turbante nero che gli
copriva la testa.
Più tardi si seppe che a uno a uno i collegiali erano chiamati in Direzione per subire un
interrogatorio.
- Che t'hanno domandato? - chiesi a uno che incontrai nel corridoio grande mentre usciva di
Direzione.
- Nulla - mi rispose.
Verso sera ne acchiappai un altro:
- Che t'ha detto il Direttore?
- Nulla. -
Capii allora perfettamente che il signor Stanislao doveva avere nel suoi interrogatori intimiditi i
ragazzi in un modo addirittura feroce con chi sa quali minacce se avessero rivelato una parola.
In questa idea mi confermò più tardi Mario Michelozzi, il quale passandomi accanto, mi disse
rapidamente:
- All'erta! Calpurnio ha mangiato la foglia! -
Ma in camerata mi aspettava la terribile rivelazione della nostra completa rovina...
- Sei stato in Direzione? - sussurrai a Gigino Balestra mentre mi passava dinanzi.
- No, - rispose.
Come mai erano stati interrogati tutti i collegiali più piccoli e noi due no?
Questa esclusione mi dava molto da pensare e andai a letto deciso di non avventurarmi nel mio
osservatorio, temendo di una vigilanza speciale notturna.
Non so quanto tempo stetti così sveglio, riflettendo sui casi della giornata, architettando
deduzioni su deduzioni; ma la tentazione di salire sull'armadietto mi si riaffacciava sempre, ostinata,
a traverso a tutte le mie riflessioni, finché da ultimo mi vinse e mi fece abbandonare ogni saggio
consiglio di prudenza.
Mi assicurai prima se tutti i miei compagni dormivano, ficcai lo sguardo in tutti gli angoli della
camerata per vedere se c'era qualche spia messa a vigilare, e alzatomi pian piano salii sul comodino
ed entrai nell'armadietto...
Oh, sorpresa!... La parete in fondo era murata; murata come era prima ch'io levassi con tanto
paziente lavoro il mattone, aprendomi così vasto e interessante campo di osservazione sulla vita
privata dei signori Direttori del collegio Pierpaoli!
Non so come riuscii a trattenere un grido.
Sgusciai giù dall'armadietto sul comodino e di sotto ì lenzuoli... e in mezzo alle ipotesi più
strane e fantastiche che mi ballavano vertiginosamente nel cervello, una dominava sulle altre, e
ritornava alla mia mente, tenace, implacabile, mostrandomi tutte le probabilità delle quali era
armata...
- È andata così: - diceva con una terribile sicurezza l'ipotesi trionfatrice di tutte le altre - il signor
Stanislao ha sentito ridere te e Gigino Balestra dietro il quadro di Pierpaolo Pierpaoli, e gli è entrato
da quel momento un vago sospetto che è andato via via crescendo; e siccome gli ci voleva poco a
sincerarsi, stamattina ha preso una scala, l'ha appoggiata alla parete, è salito fino al quadro, l'ha
alzato, ha guardato sotto di esso, ha scoperto il finestrino che avevi fatto e... e l'ha fatto murare,
dopo essersi assicurato - questo s'intende - dove rispondeva questo finestrino e avere scoperto così
che esso corrispondeva proprio nell'armadietto di Giannino Stoppani, detto dai suoi nemici Gian
Burrasca! -
Ahimé! L'ipotesi, giornalino mio caro, mi pare proprio che colga nel segno e mi aspetto qualche
cosa di grosso...
Chi sa, dopo queste righe che butto giù alla meglio in questa terribile nottata insonne, quando
potrò ancora confidare i miei pensieri e i casi della mia vita alle tue pagine?
20 febbraio.
Novità! Novità! Novità!
Quanti avvenimenti in questa settimana! Me ne sono accadute tante che non ho avuto mai il
tempo di scriverle... Anche perché non volevo sciupare le mie avventure descrivendo in queste
pagine troppo alla svelta, mentre meriterebbero di essere narrate in un romanzo.
Perché la mia vita è un vero romanzo, e io quando ci penso non posso fare a meno di ripetere
sempre fra me il solito ritornello:
- Ah, se avessi la penna di Salgari, che volume vorrei scrivere, da far rimanere a bocca spalancata
tutti i ragazzi di questo mondo, peggio che con tutti i corsari rossi e neri!... -
Basta: scriverò come so, e tu, mio caro giornalino, non ti vergognerai, spero, se le tue pagine
sono scritte con poca arte, tenendo conto in compenso che sono scritte con grande sincerità.
E veniamo dunque alle grandi novità, la prima delle quali è questa: che io in questo momento sto
scrivendo sul mio tavolino, in camera mia, di fronte alla finestra che dà sul mio giardino...
Proprio così. Sono stato mandato via dal collegio Pierpaoli, e questa è certamente una gran
disgrazia; ma sono finalmente in casa mia e questa è una grandissima fortuna.
Andiamo dunque per ordine.
La mattina del 14 avevo un triste presentimento, come appare dalle righe che scrissi in fretta e
furia qui nel giornalino; e il presentimento non mi ingannava.
Uscendo dalla camerata mi accorsi subito che qualche cosa di grosso era per succedere. Si
vedeva nelle facce delle persone, si sentiva nell'aria un non so che di grave e di solenne che
annunziava qualche avvenimento straordinario.
Incontrai Carlo Pezzi che mi disse in fretta:
- I grandi sono stati interrogati tutti, meno io, il Michelozzi e il Del Ponte...
- E dei nostri, - risposi - sono stati chiamati tuttì meno io e Gigino Balestra!
- È evidente che tutto è stato scoperto. Ho saputo che la signora Geltrude dirige il processo dal
letto facendo agire Calpurnio che, certo, non sarebbe stato capace d'andare in fondo alla faccenda...
Noi siamo tutti d'accordo, se saremo interrogati, a non rispondere neanche una sillaba, per non
compromettere di più la situazione.
- Io e il Balestra faremo lo stesso, - risposi alzando la destra in segno di giuramento.
Proprio in quell'istante venne un bidello che mi disse:
- Il signor Direttore la desidera. -
Confesso che quello fu un brutto momento per me. Mi sentii un gran rimescolìo nel sangue... ma
fu proprio un momento, e quando mi presentai in Direzione ero relativamente calmo e mi sentivo
sicuro di me.
Il signor Stanislao, sempre col suo turbante nero in testa e il suo occhio maculato che era
diventato violetto, mi squadrò ben bene da dietro la sua scrivania, senza parlare, credendo di
incutermi chi sa che paura, mentre invece io che conoscevo quest'arte, girai in qua e in là lo sguardo
distrattamente sugli scaffali pieni di libri, tutti splendidamente rilegati, con certe dorature bellissime
e che lui non leggeva mai.
Finalmente il Direttore mi domandò a bruciapelo con accento severo:
- Voi, Giovanni Stoppani, la notte dal 13 al 14 siete uscito verso mezzanotte dalla vostra
camerata e non vi avete fatto ritorno che dopo un'ora circa. È vero? -
Io seguitai a guardare i libri degli scaffali.
- Dico a voi, - ripeté il signor Stanislao alzando la voce. - È vero o no? -
E non ricevendo risposta urlò anche più forte:
- Ehi, dico! Rispondete; e ditemi dove siete stato e che avete fatto in quell'ora! -
Io a questo punto fissai lo sguardo sulla carta dell'America appesa alla parete a destra della
scrivania e... seguitai a far l'indiano.
Il signor Stanislao allora si alzò dalla sedia puntando le mani sulla scrivania e protendendo la
faccia stralunata verso di me; poi al colmo dell'ira gridò:
- Hai capito che devi rispondere, eh? Pezzo di canaglia! -
Ma io non mi scossi, e pensai fra me:
- Si arrabbia perché sto zitto; dunque io sono il primo dei collegiali compromessi che egli ha
chiamato in Direzione! -
A questo punto l'usciolino a sinistra della
scrivania si aprì e comparve la signora Geltrude
tutta rinfagottata in una veste da camera
verdognola, con un viso pure verdognolo e con
gli occhi tutti pesti, che si volsero subito su di
me pieni di odio.
- Che c'è? - disse. - Che sono questi urli?
- C'è - rispose il Direttore - che questo
pessimo soggetto non risponde alle mie
domande.
- Lascia fare a me, - rispose lei - ché tanto te
sarai sempre il medesimo… -
E si fermò; ma io capii, e lo capì certo anche
il signor Stanislao, che la parola che mancava al
discorso era imbecille.
La Direttrice fece tre passi e mi si piantò dinanzi, in una attitudine minacciosa e cominciò a voce
bassa, nella quale si sentiva concentrata una rabbia tanto più terribile in quanto doveva essere
repressa:
- Ah, non rispondi, eh? pezzo di mascalzone... Tu non vuoi convenire, eh? delle tue prodezze!...
Chi è dunque che ha fatto scappare l'altra notte quell'altro mascalzone come te, il tuo, degno amico
Barozzo? Fortunatamente c'è stato chi ti ha visto e chi ha parlato... Ah, credevi di farla liscia, eh?
Sei tu che ci hai messo il collegio in rivoluzione fin dal primo momento che ci sei capitato tra i
piedi, con le tue perfide invenzioni, con le tue vili calunnie... Ma basta, sai? E anche senza
interrogarti vi sono tante prove e testimonianze delle tue canagliate che abbiamo avvertito fino da
ieri tuo padre di venirti a riprendere, e a quest'ora dev'essere per la strada... Se non ti vuol tenere in
casa ti metterà in galera, che è il solo posto degno d'un briccone come te! -
Mi afferrò per un braccio e scuotendomi riprese:
- Sappiamo tutto! Una cosa sola ci potresti dire... Lo sai tu dov'è andato il Barozzo? -
Non risposi; ed ella scuotendomi forte:
- Rispondi. Lo sai? -
E siccome io seguitavo a tacere, ella esasperata, allargò un braccio come per lasciarmi andare
uno schiaffo; ma io balzai indietro e afferrato un gran vaso giapponese che era sulla consolle feci
l'atto di buttarlo in terra.
- Brigante! Assassino! - urlò la Direttrice tendendomi il pugno. Lascia andare! Gaspero!... -
Accorse il bidello.
- Portate via questo demonio, e fategli preparare la sua roba che se Dio vuole tra poco ce lo
leveremo di torno! Portatemi qui il Balestra. -
Il bidello mi accompagnò in camerata, mi fece rivestire degli abiti da borghese
che avevo quando entrai in Collegio, - e che tra parentesi mi eran diventati corti
ma larghi, prova manifesta che il regime del collegio Pierpaoli fa allungare i
ragazzi ma non li ingrassa - e preparare la mia valigia.
Poi fece l'atto di andarsene dicendomi: - Stia qui, che tra poco arriverà il suo
babbo e se Dio vuole si avrà dopo un po' di pace.
- Imbecille più del signor Stanislao che è tutto dire! - gli risposi al colmo
dell'ira.
Egli parve offendersi e mi venne sulla faccia esclamando:
- Lo ridica!
- Imbecille! - ripetei io.
Egli si morse un dito e si allontanò tutto stizzito, mentre io gli dicevo:
- Se vuoi che te lo ridica anche un'altra volta non far complimenti, hai capito?
-
E dètti in una risata; ma era un riso sforzato, perché nell'anima ero più
arrabbiato io di lui, arrabbiato per non poter trovare il bandolo dell'arruffata
matassa e per ignorare la sorte dei miei compagni della Società segreta.
Mi appariva chiara una cosa: che la risata mia e di Gigino Balestra mentre eravamo
nell’armadietto ad assistere alla famosa scena notturna aveva fatto scoprire a Calpurnio il nostro
osservatorio; che zitto zitto Calpurnio lo aveva fatto murare mentre noi eravamo alle lezioni; che
poi con una intuizione molto facile Calpurnio aveva capito che le bòtte distribuite nella fatale
nottata non erano state date dallo spirito dello zio di sua moglie ma dai collegiali; che aveva perciò
incominciato a interrogare qualche beniamino cercando di scuoprire quali collegiali in quella notte
erano usciti di camerata; e che infine avevano trovato il beniamino che in quella notte, essendosi
svegliato, aveva visto uscire dalla camerata i congiurati e aveva fatto bravamente la spia.
E certamente le spie erano almeno due: una dei ragazzi grandi che aveva compromesso Mario
Michelozzi, Carlo Pezzi e Maurizio Del Ponte, e una dei piccoli che aveva compromesso me e
Gigino Balestra.
Un'altra cosa era chiara: che Calpurnio, certamente guidato dall'astuta sua moglie, aveva basato
tutto il suo processo sulla nostra complicità nella fuga del Barozzo, non accennando neanche
lontanamente al nostro complotto, dirò così, spiritistico che era in realtà molto più grave ma che
avrebbe, se ammesso e risaputo, fatto perdere il prestigio del Direttore e della Direttrice... e anche
del cuoco!
Però in questa ridda di tetri pensieri, di deduzioni e di induzioni che mi frullava nel cervello,
un'idea buffa mi si riaffacciava continuamente:
- Chi sa perché i compagni della Società segreta hanno messo al signor Stanislao il soprannome
di Calpurnio? -
E mi meravigliavo di non averne mai domandato una spiegazione finora che mi sarebbe stato
così facile averla, mentre ora che mancava poco tempo ad abbandonare per sempre il collegio mi
sentivo a un tratto una grande curiosità che mi pungeva sempre più, che a poco a poco mi invadeva
tutto cacciando via, in seconda linea, tante altre preoccupazioni che pure avevano diritto d'essere
accolte in prima fila...
A un certo punto vidi passare pel corridoio il Michelozzi e mi slanciai verso di lui.
- Dimmi - gli dissi rapidamente - perché il signor Stanislao si chiama Calpurnio? -
Il Michelozzi mi guardò trasecolato.
- Come! - disse. - Ma non sai quel che è successo? Non sei stato chiamato?
- Sì: e sono stato mandato via. E voialtri?
- Anche noi!
- Sta bene: ma io voglio andar via sapendo il perché il signor Stanislao si chiama Calpurnio... -
Il Michelozzi rise.
- Guarda nella Storia Romana e capirai! - rispose e fuggì via.
In quel momento passava un ragazzo della mia camerata, un certo Ezio Masi, che mi guardò con
un lieve risolino maligno.
Quel risolino, in quel momento, fu per me come una rivelazione. Mi
ricordai d'una volta in cui avevo avuto che dire col Masi il quale infine aveva
ceduto alle mie minacce di picchiarlo; sapevo che egli era uno dei collegiali
più ben visti dalla signora Geltrude...
E tutto questo condusse, nella mia mente, a formular subito un'accusa:
- È stato lui che ha fatto la spia! -
Non ci stetti a ragionar sopra; lo presi per un braccio e lo spinsi così in
camerata mormorando:
- Senti, Masi... t'ho da dire una cosa. -
Sentivo che egli tremava; e intanto andavo architettando nella mia mente
l'interrogatorio da rivolgergli e una vendetta nel caso ch'io lo avessi scoperto
veramente colpevole.
Nel tragitto che feci trascinandolo dalla porta della camerata al mio letto
feci tutto un piano strategico per l'assalto, e uniformandomi a quello rallentai
la mano colla quale lo stringevo e lo invitai a sedere accanto a me col più bel
sorriso del mondo.
Egli era pallido come un morto.
- Non aver paura, Masi, - gli dissi con accento mellifluo - perché anzi ti ho
portato qui per ringraziarti. -
Egli mi guardò sospettoso.
- Lo so che sei stato tu che hai detto al signor Stanislao che io l'altra notte ero uscito di
camerata...
- Non è vero! - protestò lui.
- Non lo negare; me l'ha detto lui, capisci? E appunto per questo io ti voglio ringraziare, perché
mi hai fatto proprio un piacere...
- Ma io...
- Non capisci che io non ci volevo più stare qui dentro? Non capisci che ne facevo di tutte
apposta per farmi mandar via? Che non mi par vero d'essere arrivato a questo momento in cui sto
aspettando mio padre che sarà qui fra poco a prendermi? Dunque perché dovrei avercela con te che
m'hai fatto raggiungere il mio scopo? -
Egli mi guardò non ancora rassicurato.
- Ora giacché mi hai fatto questo piacere, me ne devi fare un altro. Senti... vorrei andare un
momento di là a salutare un mio amico e a dargli la mia giacchetta da collegiale che ho promesso di
lasciargli per ricordo: puoi aspettarmi qui, e dire al bidello, nel caso che venisse a cercarmi, che
ritorno subito? -
Il Masi ora non dubitava più e manifestò una grande contentezza di essersela cavata così a buon
mercato.
- Ma figurati! - mi disse - fa' pure, sto qui io!... -
Io corsi via. La scuola di disegno, ch'era lì vicina era aperta e non c'era nessuno. Vi entrai stesi la
mia giacchetta da collegiale su un banco e preso un pezzo di gesso scrissi nella schiena della giacca,
a grandi lettere, la parola: Spia.
Fatto questo, in un lampo, ritornai in camerata, dove entrai con passo misurato, tenendo la mia
giubba per il bavero, ripiegata in due in modo che il Masi non vedesse la parola che vi avevo scritta.
- Non ho potuto trovare l'amico - dissi. - Pazienza! Ma poiché non ho potuto lasciar la mia
giacchetta a lui, per ricordo, voglio lasciarla a te, mentre io mi prenderò la tua in memoria del gran
servizio che mi hai reso. Vogliamo fare a baratto? Vediamo se ti sta bene! -
E appoggiata lievemente la mia giacchetta sul letto lo aiutai a levarsi la sua
e poi a rimettergli la mia, facendo in modo naturalmente che non vedesse la
parola che v'era scritta sulla schiena.
Quando l'ebbe indossata gliela abbottonai e gli dissi toccandolo con la
mano sulla spalla:
- Caro Masi, la ti va come un guanto! -
Egli si dètte un'occhiata alla bottoniera, e si adattò facilmente a questa mia
stravaganza. Si alzò, mi porse la mano... ma io feci finta di non accorgermene,
perché mi ripugnava di stringer la destra di un traditore, e mi disse:
- Dunque, addio Stoppani! -
Io lo ripresi per il braccio e accompagnandolo alla porta risposi:
- Addio Masi: e grazie sai? -
E lo vidi allontanarsi per il corridoio recando dietro la schiena la parola
infamante che s'era meritata.:
Poco dopo venne il bidello che mi disse:
- Stia pronto, suo padre è arrivato ed è in Direzione a parlare col signor Stanislao. -
Mi venne un'idea
- Se andassi anche io in Direzione, a raccontare a mio padre in faccia al signor Stanislao, tutti i
fatti ai quali egli si sarebbe certo guardato bene accennare, da quello della minestra di rigovernatura
a quello della seduta spiritistica? -
Ma l'esperienza, purtroppo, mi avvertiva che i piccini di fronte ai più grandi, hanno sempre torto,
specialmente quando hanno ragione.
A che pro difendersi? Il Direttore avrebbe detto che quelle che io narravo eran fandonie,
malignità e calunnie di ragazzi, e mio padre avrebbe creduto certo più a lui che a me. Meglio stare
zitti e rassegnarsi al proprio destino.
Infatti quando mio padre venne a prendermi non disse nulla.
Avrei ben voluto saltargli al collo e abbracciarlo dopo tanto tempo che non lo rivedevo, ma egli
mi dètte un'occhiataccia severa che mi agghiacciò e non mi disse altra parola che questa:
- Via! -
E partimmo.
In diligenza si mantenne sempre il medesimo silenzio. Esso non fu rotto da mio padre che
nell'entrare in casa.
- Eccoti di ritorno, - disse - ma è un cattivo ritorno. E ormai per te non c'è che la Casa
correzione. Te lo avverto fin d'ora. -
Queste parole mi spaventarono; ma la paura mi passò subito perché di a poco ero nelle braccia
della mamma e di Ada, piangente e felice.
Non dimenticherò mai quel momento: e se i babbi sapessero quanto bene fa all'anima dei figlioli
il trattarli così affettuosamente piangerebbero anche loro con essi quando c'è l'occasione di farlo,
invece di darsi sempre l’aria di tiranni, ché tanto non giova a niente.
Il giorno dopo, cioè il giorno 15, seppi dell'arrivo di Gigino Balestra, anche lui mandato via dal
collegio per l'affare della grande congiura del 12 febbraio, data memorabile nella storia dei collegi
d'Italia e forse d'Europa. E anche questa è una novità che mi ha fatto piacere perché spero di
trovarmi spesso insieme col mio buon amico... e magari di mangiar qualche volta insieme qualche
pasticcino nel suo bel negozio... però quando non vede il suo babbo che è socialista, ma che in
quanto a pasticcini li vorrebbe tutti per sé.
E ieri poi ne ho saputa un'altra.
Il signor Venanzio, quel vecchio paralitico al quale pescai a canna l'ultimo dente che gli era
rimasto, pare che stia di molto male, poveretto, e il mio cognato è in grande aspettativa per la
eredità.
Questo almeno ho raccapezzato dai discorsi che sento fare; e anzi ho anche saputo che il Maralli,
appena ebbe la notizia del mio ritorno dal collegio, disse all'Ada:
- Per carità, badate che non mi venga in casa, perché se no mi fa perdere quel che ho acquistato
in questo tempo nell'animo dì mio zio e va a finire che mi disereda davvero! -
Ma non abbia paura, che io in casa sua non ci vado. Oramai ho promesso alla mia buona mamma
e all'Ada di metter la testa a partito e di fare in modo che il babbo non abbia a mettere in esecuzione
la minaccia fatta di cacciarmi in una Casa di correzione ché questo sarebbe davvero un disonore per
me e per la mia famiglia; e in questi cinque giorni ho dimostrato che questa volta non si tratta di
promesse da marinaro, e che se voglio so anche essere un ragazzo di giudizio.
Tant'è vero che la mamma stamani mi ha abbracciato e mi ha dato un bacio dicendo:
- Bravo Giannino! seguita così e sarai la consolazione dei tuoi genitori! -
La frase non è nuova, ma però detta da una mamma buona come la mia fa sempre un effetto
nuovo nel cuore di un figliolo per bene, e io le ho giurato di mantenermi sempre così.
Io l'ho sempre detto che le mamme sono più ragionevoli dei babbi. Infatti la mamma, quando le
ho raccontato dell'affare della minestra di magro che ci davano in collegio il venerdì e dell'eterno
riso che si mangiava in tutti gli altri giorni della settimana mi ha dato pienamente ragione e ha detto
a mia sorella:
- Poverini, chi sa come si stomacavano a mangiar quelle porcherie! -
21 febbraio.
Pare che il babbo, visto che mi son corretto dal miei difetti, abbia intenzione di mettermi un
maestro in casa per farmi poi pigliar l'esame regolare a fìn d’anno. Speriamo bene!
Oggi finalmente ho rivisto Gigino Balestra. Per l'appunto mia sorella ha un'amica, una certa
signorina Cesira Beni, che sta di casa in un quartiere accanto a quello dove abita Gigino, e siccome
oggi Ada è andata a far visita a questa sua amica io ho colto l'occasione di farne una al mio amico.
Quanto abbiamo parlato delle nostre avventure passate!
A un certo punto dei nostri discorsi mi s'è riaffacciata alla mente la curiosità di sapere come mai
nel collegio Pierpaoli era venuto l'uso di chiamare il signor Stanislao col nome di Calpurnio.
- Mi hanno detto che è levato dalla Storia Romana, e a questo ci arrivavo anche io. Ma che
significa? Perché l'hanno adattato al Direttore? Lo sai tu? -
Gigino Balestra si è messo a ridere; poi ha preso una Storia Romana che era nel suo scaffaletto,
ha cercato un po' e mi ha messo il libro dinanzi agli occhi aperto nelle pagine dove sono raccontate
le guerre di Giugurta; e ho letto questo pezzetto che mi son ricopiato perché volevo metterlo qui
nel mio giornalino proprio tale e quale:
“Dopo che Giugurta ebbe fatto torturare e uccidere il cugino profuse oro a destra e a sinistra
perché il misfatto fosse taciuto. Ma il tribuno Caio Memmio manifestò dinanzi al Fòro la
scelleraggine di Giugurta e il Senato bandì contro lo sleale principe numida la guerra che affidò a
uno dei consoli eletti, per l'anno successivo, e che chiamavasi Lucio Calpurnio Bestia…”.
- Ah! - gridai smascellandomi dalle risa. - Ora ho capito finalmente! Lo chiamavano Calpurnio
perché...
- ... perché anche se sentiva, - concluse Gigino, non avrebbe capito che gli si dava della bestia!
È un ingegnoso strattagemma, non c'è che dire. Ma sarebbe stato molto meglio che l'avessi
conosciuto prima, perché allora chiamando Calpurnio il signor direttore del collegio Pierpaoli ci
avrei provato più gusto.
Ho parlato con Gigino Balestra anche di un altro importante argomento: dei pasticcini.
- Vedi se puoi passare domattina dal negozio, verso le dieci. Il babbo a quell'ora ha una adunanza
per le elezioni... Ti aspetto sulla bottega. -
Infatti ho saputo che ci sono le elezioni politiche, perché quello che era deputato è diventato
pazzo a un tratto, per il motivo, - dicono tutti quelli che s'intendono di politica, - che aveva preso le
cose troppo sul serio. E i nuovi candidati sono il commendatore Gaspero Bellucci, zio di Cecchino,
e l'avvocato Maralli mio cognato.
Pensare che nel dicembre scorso, proprio il giorno prima che ci si rovinasse in quella disastrosa
corsa in automobile, con Cecchino Bellucci ci pigliammo a parole appunto sulla maggiore o minore
probabilità che avrebbero avuto di diventar deputati i due che oggi si trovavano in lotta davvero.
A sentir Gigino Balestra parrebbe che l'elezione del Maralli fosse sicura; e lui è al caso di saperlo
perché il suo babbo non solamente è un pasticciere, ma è il grande elettore del suo partito e dice che
di riffe o di raffe questa volta il collegio deve essere conquistato dai socialisti e che è già sicuro
della vittoria.
Per questo ha messo fuori un giornaletto intitolato Il sole dell'avvenire che è in grande polemica
con l'Unione Nazionale che sostiene lo zio di Cecchino.
Gigino Balestra mi ha fatto vedere questi giornali e mi ha detto:
- Il babbo ora non ripara a dar retta a tutte le commissioni, ed è sempre occupato a scrivere nel
giornale... Domani siamo sicuri che in bottega non viene. Non mancare! -
23 febbraio.
Stamani mi son purgato.
Non ho mai potuto capire il perché i pasticcini che sono tanto buoni debbano far male e i
purganti che son tanto cattivi debbano far bene. Il fatto è che dei pasticcini ieri ne mangiai una
ventina, tutti con le mandorle, e pare che per l'appunto le mandorle sieno molto indigeste.
Gigino Balestra all'ora che avevamo fissato, cioè alle dieci, era sulla porta del negozio e mi fece
l'occhiolino come per dire che aspettassi un poco prima di entrare. Infatti fece una giratina in su e in
giù e finalmente mi fece cenno, di passare. In quel momento non c'era nessuno, perché il ministro di
bottega era andato a dare un'occhiata nel laboratorio.
- Bisogna far presto, - disse Gigino - perché ritorna subito.
Io feci in un lampo: quattro pasticcini ogni boccone... e si vede che il mangiar così in fretta e
furia mi fece male, perché appena tornato a casa mi sentii un gran peso allo stomaco e dei giramenti
di testa tali che dovettero mettermi a letto.
Naturalmente dell'affare dei pasticcini non dissi niente... anche per non compromettere il mio
amico Gigino Balestra.
24 febbraio.
Stamani ci è arrivata in casa una triste notizia; il signor Venanzio è morto stanotte.
Povero signor Venanzio! Era un po' uggioso, ne convengo, ma era un buon uomo e mi dispiace
molto che se ne sia andato.
Mi pare di vederlo ancora... Povero signor Venanzio!
25 febbraio.
Che giornata di grandi emozioni!
È vicina la mezzanotte; tutti son già andati a letto e io sono solo qui nella mia cameretta: solo col
mio segreto, col mio grande segreto, e piango e rido e tremo non so perché di che, e stento quasi
a scrivere qui questo importante avvenimento della mia vita nella paura che sia risaputo...
Ma no! Oramai in queste pagine ho confidato ogni mio atto e ogni mio pensiero e sento come un
bisogno di sfogare qui, in questo mio caro giornalino, la piena dei sentimenti che mi invade l'animo
e mi commuove tutto...
Però prima di tutto voglio dare un'occhiata se il mio prezioso segreto e al suo posto...
Sì, sì! Sono lì tutti e duegento... Non ne manca uno! Procuriamo di rimetterci in calma, dunque, e
ripigliamo il discorso tranquillamente dal punto in cui è stato interrotto.
Il povero signor Venanzio, dunque è morto: e questo l'ho scritto fino da ieri.
Scrissi anche che la notizia mi aveva fatto dispiacere, ed è proprio vero, perché in fondo quel
vecchio sordo e paralitico, al quale tutti auguravano la morte, mi faceva compassione, e ora che è
morto e di lassù può vedere le cose come stanno deve capire che se gli pescai con l'amo l'ultimo
dente non lo feci a fin di male ma con lo scopo di divertirlo, e che certo non avrei fatto quello che
feci se ne avessi potuto prevedere le conseguenze, che del resto furono motto esagerate da mio
cognato perché in una bocca avere un dente solo e bacato e non averne punti è tutt'uno, e non credo
per questo di avere abbreviato la vita d'un minuto a quel povero disgraziato.
Però, per quanto la notizia della morte del signor Venanzio mi avesse fatto dispiacere, stamani
non ci pensavo più, quando un fatto stranissimo è venuto a richiamarmelo alla mente.
Verso le nove e mezzo, mentre inzuppavo il terzo panino imburrato nel mio caffè e latte con
molto zucchero (non è per ghiottoneria, ma io metto sempre dimolto zucchero perché la mattina
prendo sempre dimolto latte con dimolto caffè per poterci inzuppare dimolti panini con dimolto
burro) mi son sentito chiamare a un tratto.
- Giannino! Giannino!... Vieni qua, subito... -
Era l'Ada che urlava a quel modo e io certo, occupato com'ero, non mi sarei mosso neanche d'un
passo se nell'accento di mia sorella non avessi sentito veramente qualche cosa di insolito...
Son corso nella stanza d'ingresso dove l'ho trovata insieme alla mamma, e tutte e due stavano
commentando una lettera che tenevano in mano.
- Guarda, Giannino, - mi ha detto subito la mamma - questa lettera è per te...
- E allora, - ho osservato subito - perché l'avete aperta?
- Oh bella! Io sono la tua mamma e ho diritto, credo, di vedere chi ti scrive...
- E chi mi scrive?
- Ti scrive il cavaliere Ciapi notaro.
- E che vuole da me?
- Leggi. -
Allora ho letto, pieno di meraviglia la lettera che ricopio qui tale e quale:
CAVALIER TEMISTOCLE CIAPI
NOTARO
Signor Giovanni Stoppani,
Nella mia qualità di pubblico notaro incaricato di dare esecuzione alle disposizioni
testamentarie del defunto signor Venanzio Maralli, mi pregio ricopiare qui il paragrafo 2 di dette
disposizioni che La riguardano personalmente:
Ҥ 2. - Desidero e domando che alla lettura di questo mio testamento, oltre agli interessati, e
cioè mio nipote avvocato Carlo Maralli, Cesira Degli Innocenti sua donna di servizio e il
commendatore Giovan Maria Salviati, sindaco della città, intervenga anche il giovinetto
Giovannino Stoppani cognato del predetto Carlo Maralli, sebbene nessuna delle disposizioni
testamentarie qui contenute lo interessino. Ma io desidero la sua presenza perché avendolo
conosciuto di persona amo che in queste mie disposizioni il giovinetto Stoppani trovi un efficace
ammaestramento sulla vanità delle umane ricchezze e un nobile esempio verso il prossimo. A tale
scopo espresso incarico al notaro cavaliere Temistocle Ciapi di mandare a prendere il detto
Giovanni Stoppani dove si trova, a tutte spese da pesare sulla somma dell'intero capitale di cui al
paragrafo 9”.
In ordine dunque al desiderio espresso nel paragrafo qui sopra riportato La prevengo che alle
ore quindici di oggi manderò alla sua abitazione un mio incaricato di fiducia il quale La
accompagnerà in vettura fino al mio studio in via Vittorio Emanuele numero 15, piano 1°, dove
sarà data lettura dei testamento del defunto signor Venanzio Maralli.
TEMISTOCLE CIAPI, NOTARO.
- Guarda un po' di ricordarti bene, caro Giannino... - mi disse la mamma dopo che ebbi letto la
lettera del notaro. - Pensa a quello che facesti in quei giorni che rimanesti in casa del Maralli... Non
c'è il caso che ci sia sotto qualche altro dispiacere?
- Uhm! - risposi io. - Ci fu l'affare del dente...
- È curiosa! - esclamò l'Ada. - Non si è mai sentito un altro esempio di invitare un ragazzo ad
assistere alla lettura di un testamento...
- Se ti avesse lasciato qualcosa si capirebbe - aggiunse la mamma. Ma di questo non c'è pericolo
dopo tutto quel che gli facesti...
- E poi, - osservò mia sorella - la lettera parla chiaro: sebbene, dice, nessuna delle disposizioni
testamentarie qui contenute lo interessino... Dunque!
- In ogni modo, - concluse la mamma - non diremo niente al babbo, hai capito! Ché se c'è
qualche strascico d'allora non vorrei che compromettesse quel che hai acquistato dacché sei tornato
di colleggio e ti mettessero in una Casa di correzione...
Siamo rimasti dunque d'accordo che alle ore quindici Caterina si sarebbe trovata fuori della porta
di casa per dire al vetturino di attendere senza fargli suonare il campanello e che io sarei salito zitto
zitto nella carrozza annunziata dalla lettera del notaro. Al babbo, la mamma e l'Ada avrebbero detto
di avermi mandato a divertirmi dalla signora Olga.
È inutile dire con quanto desiderio abbia aspettato l'ora fissata.
Finalmente Caterina è venuta a chiamarmi e io sono sgusciato via di casa e son montato nella
carrozza che mi aspettava con lo sportello aperto. Dentro c'era un uomo tutto vestito di nero che mi
ha detto:
- È lei Giovannino Stoppani?
- Sì; e ho qui la lettera...
- Benissimo. -
Quando, poco dopo, sono entrato nello studio del notaro Ciapi c'era il sindaco, e poco dopo è
arrivato il mio cognato Maralli che appena mi ha visto ha alzato tanto di muso, ma io ho fatto finta
di nulla e invece ho salutato la sua donna di servizio Cesira, che è arrivata subito dopo di lui e che è
venuta a mettersi a sedere accanto a me, e mi ha domandato come stavo.
Il notaro Ciapi stava seduto su una poltrona, davanti a un tavolino. Questo notaro è un tipo buffo,
piccolo piccolo e grasso grasso, con una faccia tonda mezza affogata dentro una papalina ricamata,
con una nappa che gli vien sempre sull'orecchio e che egli cerca di cacciar via con certe scrollatine
di testa come farebbe uno che avesse i capelli troppo lunghi sulla fronte per mandarseli indietro.
Egli ci ha guardato tutti e poi ha suonato il campanello e ha detto:
- I testimoni! -
E son venuti due così neri neri, che si son messi tra me e il notaro, il quale ha preso uno
scartafaccio e ha cominciato a leggere con voce nasale, come se avesse avuto da dire un'orazione:
- In nome di Sua Maestà il re Vittorio Emanuele III felicemente regnante... -
E giù una filastrocca di cose nelle quali non capivo niente finché poi a un certo punto incominciò
a leggere proprio le parole dettate dal signor Venanzio prima di morire e quelle le capii benissimo.
Naturalmente non posso ricordarmi le frasi precise, ma ricordo le cifre dei diversi làsciti, e
ricordo anche che tutte quelle disposizioni testamentarie erano dettate in un modo curioso, con uno
stile pieno di ironia come se il povero signor Venanzio nell'ultima ora della sua vita si fosse preso il
supremo divertimento di pigliare in giro tutti quanti.
La prima disposizione era di dare dal suo patrimonio la somma di diecimila lire alla Cesira, e non
saprei ridire la scena che nacque quando il notaro ebbe letto questo paragrafo del testamento. La
Cesira alla notizia di quella fortuna si svenne e tutti corsero attorno, fuori che il Maralli che diventò
pallido come un morto e guardava la sua donna di servizio con due occhi come se la volesse
mangiare.
Eppure a sentire il povero signor Venanzio, che spiegava tutte le ragioni per le quali lasciava tutti
quei quattrini a quella ragazza, pareva che l'avesse fatto proprio per far piacere al suo nipote.
- Io lascio questa somma alla nominata Cesira Degli Innocenti (su per giù diceva così) prima di
tutto per gratitudine mia verso di lei che, nella casa di mio nipote ove passai gli ultimi anni della
mia vita mi trattò con ogni riguardo, superando in gentilezze perfino i miei parenti. Basta dire che
ella abitualmente si limitò sempre a trattarmi col soprannome di gelatina alludendo al tremore
continuo che mi dava la paralisi. -
Ora io mi ricordavo benissimo che questo fatto al povero signor Venanzio l'avevo detto proprio
io, ragione per cui se a Cesira ora capitava questa bella eredità doveva ringraziar me. Ma il signor
Venanzio aggiungeva altre ragioni:
- Inoltre, - diceva press'a poco nel suo testamento - a favorire in modo speciale questa buona
ragazza son mosso dalle giuste e sane teorie politiche e sociali di mio nipote, il quale ha sempre
predicato che nel mondo non vi devono essere più servi padroni; ed egli, io credo, accoglierà
benissimo questo mezzo ch'io porgo a Cesira Degli Innocenti di non esser più serva in casa di lui e a
lui di non esser più suo padrone. -
L'avvocato Maralli nel sentir leggere questo paragrafo sbuffava e ripeteva a bassa voce,
rivolgendosi al sindaco:
- Eh!... Uhm!... Già mio zio, è stato sempre un originale!... -
Il sindaco sorrideva con una certa aria canzonatoria e stava zitto. Intanto il notaro seguitava a
leggere ed era arrivato a un altro paragrafo che diceva così:
- Sempre per rispetto alle nobili teorie di altruismo sulle quali sono fondate le teorie politico-
sociali di mio nipote, poiché mi parrebbe di recare ad esso una profonda offesa lasciando del mio
capitale erede lui che fu sempre avversario accanito del capitale e dei suoi privilegi, primo dei quali
è quello della eredità, lascio tutto il mio patrimonio già descritto ai poveri di questa città, dei quali il
giorno della mia morte risulterà negli atti del Comune la fede di miserabilità; mentre al mio
amatissimo nipote, in ricordo del suo affetto verso di me e degli auguri e voti fatti continuamente a
mio riguardo, lascio per mio ricordo personale, che egli certo terrà carissimo, l'ultimo mio dente
strappatomi dal suo piccolo cognato Giovannino Stoppani e che ho fatto espressamente rilegare in
oro per uso di spillo da cravatta. -
E il notaro levò infatti da un astuccio un enorme spillone in cima al quale era proprio il dente con
le barbe che avevo pescato io nella bocca sgangherata del povero signor Venanzio.
A quella vista, naturalmente, non seppi resistere e mi scappò da ridere.
Non l'avessi mai fatto! l'avvocato Maralli che pareva invecchiato di dieci anni e tremava tutto per
la rabbia e per lo sforzo che faceva per contenersi, scattò e tendendo una mano verso di me esclamò:
- Canaglia! Ridi anche, eh? al frutto delle tue canagliate! -
E c'era in queste parole tale accento di odio che tutti si son voltati a guardarlo e il notaro gli ha
detto:
- Sì calmi, signor avvocato!
E ha fatto per porgergli l'astuccio col dente del povero signor Venanzio, ma il Maralli l'ha
respinto con un gesto energico, esclamando:
- Lo dia a quel ragazzo... Fu lui che lo levò al defunto e io glielo regalo! -
E s'è messo a ridere. Ma si capiva che era un riso sforzato per rimediare alla scena fatta prima.
Infatti, dopo aver messo la firma sotto ai fogli che gli porgeva il notaro, ha salutato e se n'è
andato via.
Mentre il sindaco prendeva degli accordi col notaro per distribuire ai poveri i denari lasciati loro
dal povero signor Venanzio, la Cesira mi ha detto:
- Ha visto, sor Giovannino, com'è rimasto il sor padrone!
- Eh! il bello è che se la pigliava con me.
- Già. Chi sa che scena farà a casa! Io non so come fare a andarci!..
- Che t'ímporta? Ormai tu sei una signora... Vedi che cosa vuol dire a trovar bene un soprannome
a un vecchio paralitico?... -
In quel momento il sindaco aveva finito di firmar fogli e fissare col notaro, e questi ha chiamato
la Cesira alla quale ha detto di ritornar da lui l'indomani.
Così rimasto solo nella stanza, il notaro ha aperto un cassetto della sua scrivania, ha levato fuori
un involto e alzandosi gli occhiali e guardandomi fisso in faccia mi ha detto:
- Il defunto signor Venanzio Maralli era veramente un originale, ma a me non sta il giudicarlo, e
il mio dovere di notaro è di seguire fino all'ultimo le sue volontà testamentarie, sieno esse state
espresse per iscritto che a voce. A voce dunque il signor Venanzio mi disse: - Io ho qui un involto
contenente mille lire in tanti biglietti di banca da cinque che desidero, dopo la mia morte, sieno
consegnati a brevimano e senza che nessuno veda e che nessuno venga a saperlo, al cognato di mio
nipote, Giovannino Stoppani, col patto che egli li prenda e li tenga con e ne disponga a suo
piacere e non dica a nessuno di possedere tale somma. -
Queste parole che mi hanno empito di meraviglia il notaro le ha dette con un tono di voce uguale
come se le avesse imparate a mente. Poi cambiando accento mi ha detto accarezzandomi:
- Il defunto mi disse che tu eri la disperazione de' tuoi parenti...
- Ora però sono diversi giorni che sono buono! - ho detto io.
- Meno male! Guarda dunque di non usar male del denaro che ti consegno. Forse il defunto
signor Maralli lasciandotelo senza alcun vincolo e nessuna vigilanza ha voluto darti una prova di
grande stima e di grande fiducia... e sia per questo, o sia che per la sua bizzarra natura si sia
divertito a pensare a quel che tu avresti potuto fare trovandoti in possesso di questi quattrini, ho
creduto mio dovere di darti un consiglio che la mia qualità di notaro e di esecutore testamentario
non mi vietava... -
E mi ha consegnato l'involto. Poi ha aggiunto porgendomi anche l'astuccio col dente del defunto:
- E questo? Tuo cognato te lo ha ceduto. Prendi; e ora ti farò riaccompagnare a casa. -
Io ero così confuso da tante inaspettate sorprese che non gli dissi neppure grazie. Sull'uscio dello
studio era quell'uomo tutto nero che mi aveva accompagnato fin e che è sceso giù con me alla
porta ed è entrato con me nella carrozza che mi ha portato fino a casa.
Il babbo non c'era, e la mamma e l'Ada mi son venute subito d'intorno a farmi mille domande.
Quando hanno saputo che il signor Venanzio aveva lasciato tutto il suo patrimonio ai poveri del
Comune e che al Maralli non era toccato che uno spillo d'oro col dente che aveva ceduto a me,
hanno cominciato a scaricarmi un diluvio di esclamazioni:
- Come!... Possibile!... Ma perché?... Ma come mai?... -
Io però ho risposto sempre che non ne sapevo nulla, e quando alla fine ho potuto liberarmi dalle
loro domande me ne son venuto qui in camera e ho riposto il mio tesoro nel cassetto del tavolino
che ho chiuso a chiave. Per il resto della giornata ho fatto finta di nulla, ma era tanto il nervoso che
avevo addosso che il babbo a cena se n'è accorto, e ha detto:
- Si può sapere che cos'hai stasera, che mi sembri un'anguilla? -
Finalmente quando sono stato solo qui nella mia cameretta, ho dato libero sfogo alla mia
emozione e ho contemplato il mio tesoro, e ho contati e ricontati i duecento biglietti da cinque lire
dei quali sono possessore, e li ripongo nel cassetto del tavolino e lo chiudo, e poi lo riapro e poi li
ritiro fuori e li rimiro e li riconto daccapo per poi richiuderli e rilevarli senza decidermi a separarmi
da loro...
Mi pare d'essere diventato quel vecchio d'una operetta che ho sentita due anni fa che era intitolata
Le Campane di Corneville; ma però non è per avarizia che contemplo tutti questi quattrini, ma per i
sogni che ci fo sopra che sono tanti e così diversi! Ho sognato più in queste poche ore che sto
sveglio, che in tutte le nottate dormite da che son nato!...
Basta: mi par che sia ora d'andare a letto... Chiudo la mia cassaforte e buonanotte!
26 febbraio.
È appena giorno e io sono ancora qui a contare i miei duecento biglietti da cinque lire che mi si
parano davanti come duecento punti interrogativi:
- Che ne farò? -
Il fatto è che da quando ho tutti questi quattrini non sono più io: ho la testa piena di pensieri, di
preoccupazioni, di paure. Stanotte non m'è riuscito di chiuder occhio: ogni tantino mi svegliavo di
soprassalto perché mi pareva sempre che venissero i ladri a rubarmi le mie mille lire, o il babbo a
domandarmi di dove provenivano, ciò che per me, in fondo, rappresentava lo stesso pericolo di
perderle.
In ogni modo bisogna che le assicuri meglio perché ci potrebbe essere in casa un'altra chiave che
apra il cassetto del mio tavolino e nulla di più facile che la mamma e Ada vengano a frugarci
dentro...
La prima spesa che bisogna che faccia è quella di una buona cassaforte, piccola in modo che
possa nasconderla in fondo all'armadio dove tengo miei balocchi di quando ero più piccino.
In quanto all'impiego che farò dell'eredità, fra i tanti sogni che ho fatto due specialmente mi
stanno fissi alla mente: comperare un automobile, o aprire un negozio di pasticceria come quello del
babbo di Gigino Balestra...
Vedremo! Intanto prendo venti biglietti da cinque lire in tasca e vo a cercare la cassaforte...
Ed eccomi di nuovo solo in camera mia mentre tutti dormono: solo col mio tesoro che è qui,
finalmente sicuro nel mio armadio...
Che bella soddisfazione avere una cassaforte con mille lire dentro!... Un momento: ora non sono
più mille lire, ma settecentotrentuno perché oggi ho speso la somma non indifferente di lire
duecentosessantanove!
Ma tutte spese giustificate e tutte regolarmente registrate qui nel libro d'entrata e uscita che costa
una lira e dal quale risulta il seguente stato di cassa a tutt'oggi.
ENTRATA USCITA
Ereditato dal povero signor
Venanzio
Libro d’entrata e uscita
Elemosine
Cassaforte
Pasticcini
1000,00
1,00
15,00
250,00
3,00
Nel registro che ho comperato c'è anche una colonna per le Osservazioni, ma non ho scritto
niente, perché l'unica osservazione che potevo metterci era questa: che i quattrini peggio spesi sono
stati quelli delle elemosine.
Infatti stamani appena sono uscito di casa ho trovato sugli scalini della chiesa di San Gaetano un
povero cieco che chiedeva l'elemosina, e io messa subito mano a tasca ho tirato fuori un biglietto da
cinque lire e gliel'ho lasciato cadere dentro il cappello che egli teneva sulle ginocchia.
Egli ha fatto un gesto di meraviglia e, agguantato con moto fulmineo il biglietto, lo ha messo
contro la luce guardandolo attentamente; poi mi ha chiesto:
- Ma... non è mica falso, eh, signorino? -
Immediatamente un altro povero cieco che era dall'altra parte della scalinata è venuto a
esaminare il biglietto e ha detto:
- Ma non vedi che è buonissimo? E a me, signorino? Non me ne dà uno anche a me? -
Io per non fare ingiustizie ne ho dato uno anche a lui: e siccome in quel momento uno zoppo che
chiedeva l'elemosina sulla porta della chiesa è corso precipitosamente a me per godere dello stesso
trattamento dei suoi due colleghi ho dato cinque lire anche a lui.
Ma il bello della scena è stato questo: che io infatuato come ero in quel momento della mia
munificenza, mentre mi davo una grande aria di importanza nel levar di tasca i miei biglietti di
banca, non ho neanche menomamente pensato al fatto stranissimo di quei due ciechi che vedevano e
di quello zoppo che correva.
Ci ho ripensato dopo...
Allora ho capito che la carità è una gran bella cosa, ma bisogna saperla fare... e per ho
provato tanta stizza di essere stato ingannato così sfacciatamente che, per un legittimo sentimento di
reazione, sono andato al negozio Balestra e mi son mangiato tre lire di pasticcini!
Forse ne ho mangiati troppi, e senza dubbio ho abusato di canditi che mi piacciono di molto e per
l'appunto, fra i dolci sono i più indigesti di tutti.
Ma insomma questa è stata una spesa fatta bene e non me ne pento.
Un'altra spesa molto complicata è stata quella della cassaforte. Pare impossibile che sia così
difficile a un ragazzo che si presenta in una bottega coi suoi bravi quattrini di comperare quel che
più gli pare e piace!
Eppure al primo negozio ove mi sono presentato a chiedere una cassaforte si son messi a ridere e
siccome io insistevo mi hanno detto:
- Bambino, levati di qui che abbiamo altro da fare che badare alle tue burlette! -
In un altro negozio siccome si disponevano a farmi la stessa accoglienza, mi son risentito e ho
detto:
- Che credono perché sono un ragazzo che io non abbia i quattrini? -
E ho levato di tasca una manciata di biglietti.
Allora il commesso del negozio ha cambiato subito maniere e mi ha dato del lei. Penon mi ha
voluto dar la cassaforte, scusandosi che lui non poteva vendere ai minorenni e che perciò bisognava
che ci andassi col mio babbo.
Già: non ci mancherebbe altro!
Per fortuna in quel momento sulla bottega ci era un giovanotto che mi guardava mentre tiravo
fuori i quattrini e che appena sono uscito mi ha detto:
- Ma come son buffi! Per comprar la roba da ora in avanti ci vorrà la fede di nascita... -
Naturalmente io ho acconsentito a questa giusta critica, e allora questo bravo giovanotto mi ha
domandato:
- Ma lei che voleva comprar qualcosa?
- Sì: una cassaforte, - ho risposto - ma una cassaforte piccola...
- Quanto vorrebbe spendere?
- Ma... non saprei. Voglio una cassaforte che sia forte davvero, capisce? -
Il giovanotto ha pensato un poco, e poi ha detto guardandomi fisso:
- Trecento lire?...
- Eh! È un po' cara.
- Cara? No davvero! Non sa che le casseforti costano delle migliaia di lire? Ma lei deve prendere
una cassaforte d'occasione... se ne trovano facilmente: le costa meno e le fa lo stesso servizio.
- E dove si trovano?
- Lei deve venir con me. Ho diversi negozianti amici, tutte brave persone che vendono roba
garantita e senza far tante storie come fanno nei negozi di lusso... -
E mi ha accompagnato in diverse botteghe dove vendevano tutta roba usata e di tutte le specie.
Da principio pareva difficile trovare una cassaforte: nessuno ce l'aveva. Abbiamo girato parecchio
prima di trovare finalmente quel che si cercava. Quel giovanotto era proprio servizievole e non è
stato contento finché finalmente non è riuscito a procurarmi quel che mi occorreva. Egli entrava via
via nelle botteghe di questi negozianti suoi amici coi quali si tratteneva a parlare mentre io aspettavo
sulla porta: e all'ultima bottega dove ci siamo fermati è ritornato fuori col padrone mostrandomi una
cassaforte che per la misura era proprio quel che ci voleva sebbene fosse un poco arrugginita. Io
naturalmente ho tirato nel prezzo, e dài, picchia e mena me l'ha rilasciata per duecentocinquanta lire.
Gli ho dati tutti i quattrini che avevo in tasca e me la son fatta portare a casa per le cinque, perché
sapevo che a quell'ora il babbo non c'era e la mamma e l'Ada erano a fare una visita.
Difatti ho avuto la cassaforte e ho dato il resto, cioè centosessantotto lire oltre le ottantadue che
avevo già date.
Ma ora son contento perché il mio capitale è al sicuro e non c'è più paura!
27 febbraio.
L'orizzonte si rannuvola.
Oggi il babbo mi ha fatto una predica d'un'ora, dicendomene di tutti i colori e terminando colla
solita conclusione: che io son destinato a esser la rovina della famiglia.
E tutto questo perché, a quanto pare, l'avvocato Maralli gli ha detto che era stato diseredato dal
suo zio per colpa mia.
Ma, anche se questo fosso vero, dico io, è giusta mi si debbano dare ora le sgridate per una colpa
passata, della quale ho già scontata la pena in Collegio?
Sempre così! Sempre ingiustizie e prepotenze!
Io sono stato a sentire sempre zitto; e dopo la predica sono uscito con una scusa e sono andato al
negozio Balestra, dove ho mangiato dodici paste tutte svariate per rifarmi la bocca.
Uscendo ho incontrato Gigino Balestra al quale ho raccontato della sgridata avuta ed egli mi ha
detto tutto meravigliato:
- Ma se l'avvocato Maralli, anzi, dice che è stato lui che ha consigliato suo zio a lasciar tutto ai
poveri!...
- Come!
- Vieni con me a casa mia e vedrai. -
Siamo andati infatti a casa sua e Gigino mi ha fatto vedere l'ultimo numero del Sole
dell'avvenire dove è un articolo intitolato: Il nostro candidato contro il privilegio dell'eredità.
Ricopio qui il principio dell'articolo dal giornale che mi ha regalato Gigino, perché è bene che in
queste pagine di un giornale scritto da un bambino si veda con quale sincerità sieno scritti i giornali
dei grandi:
A costo di parere indiscreti al nostro egregio amico avvocato Maralli, e sicurissimi delle
proteste che gli inspirerà la sua naturale modestia, noi non possiamo assolutamente tacere di un
nobilissimo fatto che torna a suo onore e che è prova novella della coerenza che egli segue sempre
in tutti gli atti della vita verso i suoi principii.
Il nostro candidato, dunque, con la generosità che è una delle prime virtù dell'animo suo, aveva
ospitato un suo zio molto malato e molto ricco, straordinariamente ricco, del quale egli sarebbe
stato il naturale erede... se il nostro valoroso compagno non fosse fedele seguace dei nostri principî
contro ogni privilegio capitalistico, primo dei quali il diritto di eredità.
Egli dunque, in ossequio al programma del nostro partito, non solo nulla fece di quel che
avrebbe fatto qualunque borghese per persuadere il ricco zio di farlo erede del lauto patrimonio,
ma con la predicazione sincera delle proprie idee lo convinse a nominare eredi i poveri della città,
i quali oggi appunto in cui avverrà la distribuzione del làscito al nostro Municipio, avranno un
aiuto alla loro grama esistenza.
E qui l'articolo era tutto un attacco contro il candidato avversario che era chiamato egoista,
sfruttatore ecc., mentre si esaltava il disinteresse del mio cognato.
Io, quando ho letto quest'articolo, son cascato dalle nuvole, poiché ben sapevo com'erano andate
le cose riguardo all'eredità del povero signor Venanzio. E sapendo che il giornale era fatto dal babbo
di Gigino gli ho detto:
- Ma come! Ma qui il tuo babbo ha sbagliato!... Quando lo vedrà il Maralli, quest'articolo, starete
freschi!...
- Che dici? Ma il Maralli l'ha visto e come!
- L'ha visto?
- Non solo l'ha visto, ma prima hanno discusso a lungo, lui e il babbo, se conveniva di farlo, e da
ultimo hanno deciso di sì, perché, come ha detto il Maralli, il suo zio nel testamento stesso dichiara
che lascia eredi i poveri in ossequio alle idee del nipote e sebbene abbia scritto questo per
canzonarlo, da chi non conosce come stanno le cose può essere preso benissimo sul serio.
“Almeno,” ha detto il tuo cognato “avrò avuto un utile morale!...”. - Sicché ha approvato tutto?
- Ha approvato? Altro che! Anzi, il principio dell'articolo lo ha scritto il Maralli stesso... -
Io sono rimasto di stucco: ma Gigino Balestra, che è più infarinato di me di cose elettorali, mi ha
detto: - Ti fa meraviglia? Non è nulla ancora! Ora, vedi, incomincia la polemica con l’Unione
Nazionale e sentissi che cosa non si dicono!... Ma il babbo, mentre gliene scrive di quelle da levare
il pelo, ci ride e ci si diverte... Se il mio babbo non facesse il pasticciere, sarebbe un giornalista di
prim'ordine, lo dicono tutti: ma lui dice gli rendono più i pasticci con la crema che quelli scritti!
- E come anderà a finire l'elezione?
- Eh! Il Maralli ha tutte le probabilità di riuscire perché c'è l'unione dei partiti popolari...
- Meno male! -
Bisogna che dica la verità; io avrei piacere che il mio cognato fosse eletto deputato.
Perché? Non lo so neppur io precisamente; ma mi pare che avere un deputato in famiglia sia una
cosa utile e da averci delle soddisfazioni, e ho in idea che se il Maralli riuscisse, mi perdonerebbe; e
allora mi piacerebbe molto d'andar con lui nei comizi elettorali dove tutti urlano, anche i ragazzi,
senza che nessuno li sgridi…
- Anzi, - mi ha detto Gigino - più che si urla e più ci hanno piacere. Se vuoi venire domenica si
va a Collinella dove c'è una gran fabbrica con di molti operai e lì il babbo vuole che si gridi: Evviva
la lega! -
Ci anderei volentieri, ma non so se il babbo mi ci manderà... Vedremo.
1° Marzo.
Queste elezioni incominciano a interessarmi davvero.
Ieri, mentre ero fuori, ho sentito urlare il giornale dei moderati:
- Legghino, Signori, l'Unione Nazionale, con la vera storia dell'eredità del candidato socialista! -
Io l'ho comperato subito e ho letto il primo articolo nel quale si rispondeva punto per punto
all'articolo del Sole dell’avvenire che mi aveva fatto vedere l'altro giorno Gigino Balestra.
Si vorrebbe dal nostro avversario trarre vantaggio da una meritata punizione (così diceva
l’Unione) e non possiamo negare che egli dimostri in questo suo strattagemma elettorale un
cervello assai sottile e una faccia molto tosta..
E seguitava a raccontar la storia del povero signor Venanzio che non divideva affatto le idee
dell'avvocato Maralli e che anzi per queste idee del nipote in perfetta opposizione con le sue si
decise a diseredarlo, lasciando il vistoso patrimonio ai poveri della città.
E di questo (seguitava a dire l'Unione) il nostro avversario che vorrebbe ora apparire un eroe
del disinteresse e un martire dell'altruismo, ebbe tutt'altro che piacere, e anzi provò tanto dolore e
tanta rabbia che licenziò su due piedi la propria domestica Cesira Degli Innocenti, magari dopo
averla coperta d'improperi perché tra i legati del defunto Venanzio Maralli ve n'era uno di
diecimila lire in favore di lei.
Bisogna convenire che questa era la verità; e io non potevo comprendere come mai il mio
cognato, che pure era cosi furbo, avesse potuto dare appiglio ai suoi avversari di dirgli delle cose
cosi scottanti mentre era facile prevedere che essi sarebbero stati informati esattamente di tutta la
faccenda, pensando che l'incaricato di distribuire ai poveri l'eredità del signor Venanzio era stato
proprio il sindaco cioè uno dei capi del partito conservatore e che era stato presente alla lettura del
testamento quando l'avvocato Maralli aveva fatto quella famosa scenata che ho detto prima.
Ma si vede che nelle lotte elettorali le bugie sono all'ordine del giorno in tutti i partiti, perché
anche l’Unione Nazionale ne dice parecchie, e una poi è così sfacciata che non la posso mandar giù.
In seconda pagina, infatti, c'è un articoletto intitolato: I nemici della religione, che ricopio qui tal
quale:
Si dice che questa volta, come al solito, gli elettori cattolici si asterranno dal dare il voto. Ora
noi non sapremmo concepire, nella lotta attuale, questa astensione la quale verrebbe direttamente
a favorire, contro un candidato ossequiente a tutti gli articoli del nostro Statuto e prima che agli
altri al primo, il trionfo di un candidato socialista che si vanta nemico di tutte le istituzioni che
sono i cardini d'ogni civile società e rinnega la religione dello Stato in ogni modo, con le parole e
con le opere.
E qui il giornale seguitava per una colonna a trattare il Maralli di miscredente, mentre io mi
ricordo benissimo (e ho registrato il fatto proprio qui nel mio caro giornalino) che mio cognato
quando sposò mia sorella andò in chiesa perché altrimenti il babbo e la mamma non avrebbero mai
acconsentito al matrimonio.
Come si fa, domando io, a inventare tante calunnie?
Queste menzogne del giornale conservatore mi hanno talmente indignato che da ieri sto
pensando se non sia il caso di andare alla Direzione per far rimettere le cose a posto.
Mi pare questo sarebbe prima di tutto il mio dovere perché si deve sempre far risaltare la verità, e
poi sarebbe anche una buona occasione per rendere un servizio al mio cognato dopo che, sia pure
senza volerlo, gli ho fatto perdere l'eredità di suo zio sulla quale egli faceva tanto assegnamento.
Voglio andar subito a trovare il mio amico Gigino Balestra che s'intende molto di questioni
elettorali per sentire il suo parere.
2 marzo.
Oggi sono stato da Gigino Balestra al quale ho confidato il mio progetto.
Egli ci ha pensato un po' sopra e poi mi ha detto:
- È una buona idea! Ci andremo insieme. -
Infatti siamo rimasti d'accordo che domattina alle undici anderemo alla Direzione dell'Unione
Nazionale e porteremo una rettifica (dice Gigino che si chiama così) all'articolo intitolato: I nemici
della religione.
Questa rettifica l'abbiamo combinata insieme, e ora, prima di andare a letto, l'ho ricopiata
perbene in certi fogli di carta che mi ha dato Gigino e nei quali mi ha raccomandato di scrivere da
una parte sola perché dice che quando si scrive per la stampa sì deve far cosi.
Ed ecco la rettifica che ricopio tal quale:
Onorevole Direzione,
Leggendo l'articolo del numero scorso del suo pregiato giornale il quale è intitolato “I nemici
della religione” mi credo in dovere di fare osservare alla S. V. che non è esatto quel che si afferma
nel detto articolo dove è scritto che l'avvocato Maralli mio cognato è miscredente, mentre posso
garantire che questo è assolutamente falso avendo assistito io in persona al suo matrimonio che fu
celebrato nella chiesa di San Sebastiano a Montaguzzo dove si comportò molto divotamente dando
prova di essere un buon cristiano al pari di chiunque.
GIANNINO STOPPANI.
È la prima volta che scrivo un articolo in un giornale e non mi par vero di arrivare a domani.
Stamani mi sono alzato ho fatto il riscontro di cassa e vi ho trovato la somma di lire italiane
settecentododici e centesimi trentacinque.
Quando sono sceso per colazione ho trovato il babbo di un umore insopportabile, perché dice
che io non studio, che io non penso che a divertirmi e altre simili ripetizioni che non so capire come
non gli venga a noia a ritirarle fuori cosi spesso senza neanche cambiarci una sillaba, senza trovarci
neppure un'intonazione di voce diversa.
Basta. Io sono stato a sentirlo con rassegnazione fino alla fine pensando alla rettifica che devo
portare all'Unione Nazionale.
Come mi accoglieranno?
Uhm! In ogni modo bisogna ristabilire la verità, come ha detto Gigino Balestra, e io lo farò ad
ogni costo.
#
Siamo stati, come avevamo stabilito, con Gigino Balestra alla Direzione del giornale l'Unione
Nazionale, e sono proprio soddisfatto di avere avuto un'idea cosi felice...
Da principio quando ci siamo presentati in ufficio, vedendo due ragazzi non ci volevano far
passare nella Direzione e uno ci ha detto:
- Ragazzi, qui non si ha tempo da perdere!... -
Il bello è che lui stava lì a sedere dinanzi a un tavolino senza far nulla!
- Ma noi veniamo per una rettifica! - ha detto subito Gigino Balestra dandosi una certa aria.
- Una rettifica? Che rettifica? -
Allora sono intervenuto io e ho detto:
- Siccome nell'Unità Nazionale è stato stampato che l'avvocato Maralli non è cristiano, io che
sono il suo cognato posso giurare che non è vero perché l'ho visto io con questi occhi quando ha
sposato mia sorella che stava inginocchiato nella chiesa di San Sebastiano a Montaguzzo.
- Come, come? Lei è cognato dell'avvocato Maralli? Ah! Aspetti un poco... -
E quel giovanotto è andato in un'altra stanza da dove è riuscito poco dopo dicendomi:
- Si accomodino! -
E cosi siamo entrati proprio dal direttore che è un uomo con una testa pulita pulita, e anzi è la
sola cosa pulita che abbia perché ha un vestito che pare tessuto col sudiciume, e una cravatta nera
tutta unta nel cui centro brillava uno schizzo di torlo d'uovo in modo che pareva proprio che ce lo
avesse messo lì apposta per far finta d'averci uno spillo d'oro.
Però è stato molto gentile e quando ha letto la mia rettifica, dopo aver riflettuto un poco ha detto:
- Benissimo! La verità innanzi tutto... Ma ci vorrebbero delle prove... dei documenti... -
Io allora gli ho raccontato che tutto il fatto com'era andato era descritto qui nel mio giornalino, in
quelle pagine che fortunatamente avevo potuto salvare dal caminetto quando il mio cognato aveva
tentato di distruggerle...
- Ah! aveva tentato di distruggerle, eh?
- Sicuro! Ma vede la combinazione, eh? Se io non le avessi riprese a tempo ora sarebbe peggio
per lui perché non potrei dimostrare la verità di quel che io dico...
- Eh già... sicuro... -
Infatti il direttore dell'Unione Nazionale, ha detto che gli era necessario di vedere questo mio
giornalino con la mia firma, e ho fissato di portarglielo stasera stessa, mentre egli da parte sua si è
impegnato di pubblicare nel prossimo numero non solo la mia rettifica, ma anche se ci sarà bisogno
la descrizione del matrimonio religioso di mio cognato...
Chi sa che piacere avrà il Maralli quando leggerà l'articolo nel giornale avverso dove gli
renderanno giustizia, e quando saprà che io sono stato la causa di tutto. Mi figuro già di vedermelo
venire incontro con le braccia aperte a rifar la pace, e allora si metterà una pietra sul passato e
l'innocenza trionferà contro tutte le calunnie...
E ora, caro giornalino mio, ti chiudo e mi accingo a separarmi da te per qualche giorno, ma son
contento perché tu mi aiuti a compiere una buona azione e a far rifulgere la verità contro tutte queste
invenzioni tendenziose - come le chiama il mio amico Gigino Balestra!
Qui termina il giornalino di Gian Burrasca; ma non terminano qui, naturalmente, le sue
monellerie e le sue avventure, e a me che ho impresa la pubblicazione di queste memorie corre
almeno l'obbligo immediato di completar la narrazione dell'avventura elettorale rimasta interrotta
sul più bello... o sul più brutto, secondo il punto di vista politico-sociale dei miei piccoli lettori.
Infatti proprio in una questione politico-sociale andò a incappare il nostro povero Giannino
Stoppani, e non è da far le meraviglie se la sua buona fede fu tradita da tutte le parti e ogni suo
calcolo da cima a fondo sbagliato.
Vero è che il direttore dell'Unione Nazionale accolse come aveva promesso la rettifica
rimessagli da Gian Burrasca, ma il titolo dell'articolo in cui essa comparve basta a rivelare il
secondo fine cui si faceva servire il riconoscimento della verità.
L'articolo era intitolato: L'avvocato Maralli libero pensatore in città e bigotto in campagna, e in
esso alla dichiarazione di Giannino Stoppani si faceva seguire la descrizione del matrimonio
religioso di sua sorella col Maralli fedelmente ricopiata dal Giornalino e si concludeva col
dipingere il candidato socialista come un opportunista della peggiore specie, non spinto da altre
molle in ogni sua attitudine nell'agone politico che da quelle di un volgare interesse e di una
smodata ambizione.
In casa Stoppani la notizia di questa tragedia elettorale giunse di prima mattina. Il babbo di
Giannino ricevé il numero dell'Unione Nazionale, con quel terribile articolo segnato con lapis bleu
e con queste parole scritte nel margine dall'avvocato Maralli.
- “Vostro figlio che mi aveva già rovinato come uomo facendomi perdere l'eredità di mio zio e
come professionista facendomi perdere una causa importante è tornato in tempo dal Collegio per
rovinarmi nella mia carriera politica... e c'è riuscito perfettamente!” -
La tempesta scoppiò tremenda sul capo del povero Gian Burrasca... e anche più in giù.
- Ma io ho detto la verità! - gridava egli sotto la gragnuola inaspettata. - Io credevo di far bene
difendendolo da un'accusa ingiusta!...
E il padre, mentre la gragnuola rinforzava:
- Stupido! Rompicollo! I ragazzi, non devono impicciarsi nelle cose che non possono capire!
Cretino! Birbante! Sei la rovina di tutta la famiglia!... –
E certo il nostro Giannino non poteva capire i misteri della politica per i quali a volte la difesa
fatta da un'anima semplice e ingenua può recar più danno di un'offesa lanciata dall'anima più nera
e perversa.
Il fatto è che la rivelazione ch'egli fece all'Unione Nazionale e che questa fece al pubblico
determinò la ribellione contro il Maralli di una frazione del suo stesso partito e i partiti che a
quello si erano alleati, e il giorno dell'elezione fu ignominiosamente sconfitto.
Ma non basta. La polemica fra l'Unione Nazionale e il Sole dell'avvenire inacerbì al punto
che non bastando più tutte le male parole del vocabolario elettorale italiano si passò alle bastonate
e un giorno la pasticceria del babbo di Gigino Balestra fu teatro di una zuffa terribile tra moderati
e socialisti che si picchiarono di santa ragione, dicendosi le cose più amare su un terreno cosparso
delle cose più dolci che si possano immaginare, e riducendosi scambievolmente in uno stato
compassionevole e anche appetitoso, col volto ammaccato pieno di bitorzoli e di bioccoli di crema,
annerito da ecchimosi e da ditate di cioccolata, gocciolante di sangue e dì alkermes...
Ne vennero querele da ambe le parti, e in Tribunale uno dei documenti più importanti per
stabilire l'origine dei fatti dei quali si discuteva, fu appunto il Giornalino di Gian Burrasca che il
direttore dell'Unione Nazionale non aveva più restituito al suo legittimo proprietario e che rimase
poi lungamente dimenticato fra gli incarti della Cancelleria giudiziaria, ciò che non farà certo
maraviglia a chi sa come tutto della Giustizia italiana sia lungo e oblioso.
Come alla fine il Giornalino di Gian Burrasca capitasse tra le mie mani, io non dirò: basti
sapere che io, che ebbi la fortuna di scoprirlo da una portinaia moglie d'un usciere del Tribunale
mentre ella lo leggeva a' suoi figliuoli, dovetti durar molta fatica e spender molti quattrini in carta
bollata per ottenere - col consenso di Giannino Stoppani - la restituzione del manoscritto, non
potendo il Tribunale, per regolarità, consegnare un documento processuale a Gian Burrasca
che era proprietario ma era minorenne a me che ero purtroppo maggiorenne, ma non ero il
proprietario. E neanche questo farà maraviglia a chi sappia come tutto nella Giustizia italiana sia
regolarmente faticoso e costoso...
Ho detto in principio che non terminato col Giornalino le avventure di Gian Burrasca... Infatti
dopo che egli ebbe rovinata la posizione politica di suo cognato, il suo babbo si decise a
rinchiuderlo in una Casa di correzione, e la stessa decisione nello stesso tempo era presa dal
babbo di Gigino Balestra che, come avete visto, era stato complice necessario nella rettifica recata
all'Unione Nazionale.
Sotto questa terribile minaccia i due ragazzi concertarono una fuga e... e da questo punto si
apre un altro periodo della storia di Gian Burrasca che vi racconterò un'altra volta.
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