aurifera spiaggia di Ofir; i capi delle tribù di Caldili, di Rapiati, di Magalani, Cadascì, Dihtani, Ihilu,
Gahpani, Guzbièh. Tutti costoro, valenti arcadori, vestivano succinte tuniche e portavano calzari
intessuti con fibre di palma; cingevano il capo di bende a più giri ravvolte, e corte spade recavano al
destro lato sospese. Nel sembiante della più parte di loro erano impressi i segni della stirpe camitica;
breve la fronte, il naso piatto, corti i capegli e crespi, la carnagione abbronzata.
Seguivano gli uomini delle regioni d'occidente, di Martu, di Aharru e di Hatti. Erano costoro
duecento migliaia, tutti della progenie di Sem. Numerosi tra essi i Dimaskiti, quei di Birtu, la città
bianca sul monte, di Laki, di Simari, alle falde del Libano, di Arvada, che è sul mare, di Bit Buruta,
di Sidunnu, la trafficante di porpora. Mancavano quei d'Izcaluna, avendo Semiramide liberati i suoi
concittadini dall'ufficio dell'armi. C'erano in quella vece i fieri abitatori di Palastu, armati di fionda e
di accette di selce. Seguivano del pari le insegne i popoli marinari di Yatnana, che è Cipro, e delle
altre isole, di Idihai, Kitusi, Sillua, Pappa, Aprodissa, poste sul mare del sole occidente; questi
armati di scure e diligenti artefici di macchine da espugnare città; gli altri tutti, nominati più sopra,
arcieri gagliardi e destri nel maneggiare la clava nodosa.
Venivano dopo questi i guerrieri delle regioni settentrionali di Nahiri e di Assur, di Urusu e
di Urumi, di Nazibi e di Arbel, di Tusan e di Amida, che è sulla riva sinistra del Tigri, di Ninua, la
futura rivale di Babilu, di Tuhani e di Izama, di Kabsu, nei pressi di Nipur, le cui abitazioni son
fabbricate in alto sui greppi come nidi d'uccelli, di Haran e di Resen, di Tadmor e di Reoboth. Tutti
costoro discendenti di Assur, Semiti, fuggiaschi dalla terra di Sennaar ai primi tempi della
dominazione cussita, ed ora assoggettati da Nino e da Semiramide all'impero babilonese. Forti
guerrieri son essi, e nel combattere corpo a corpo valenti. Portano corazze a sette doppi di lino,
macerato da prima nell'aceto, donde si fa più tenace e più saldo; imbracciano tondi scudi, e cingono
elmi di bronzo; spade, archi e mazze ferrate, son l'armi loro. Di essi una parte è a cavallo, e gli uni e
gli altri ascendono a cento migliaia.
Quarto in ordine di cammino veniva il forte popolo d'Elam, che è di là dai monti orientali. Si
notavano per la bella presenza gli uomini di Susan, città reale, di Rasu e di Hamanu. Seguivano i
Madai, nobilissima schiatta, i Parsua, gli Ariarvi, i cittadini di Muru e di Bakdi, tutti della
antichissima e pura stirpe di Javan, e di sangue, ma non più di memorie e d'affetti, congiunti agli
Armeni. I Parsua attiravano più d'ogni altra gente lo sguardo, per le loro bionde capigliature
inanellate e per gli occhi bigi, che li facevano parer quasi una famiglia al tutto separata dalle altre.
Elamiti, Medi, Persi, Ariani, Margiani e Battriani (che cosi, lievemente mutati, giunsero i nomi loro
alle età susseguenti) erano duecento migliaia: metà de' quali a cavallo con archi sugli ómeri, corazze
di ferro a squamine, elmetti e scudi parimente di ferro. Destri erano costoro a trar l'arco cavalcando
e a tôr la mira fuggendo, colla fronte ed il petto rivolti all'indietro. I fanti vestivano di cuoio;
portavano, come i cavalieri, le anassiridi di pelle a difesa delle gambe; armi da offesa avevano i
giavellotti, ascie a due tagli e spade di ferro alla cintura. |
A queste genti tenevano dietro gli abitatori del Sennaar, i fieri Cussiti, gli Accad, i Sumir
aspro favellanti, tutta, insomma, quella mescolanza di popoli diversi, che furono i fondatori di
Babilu. Cinquanta migliaia erano i cavalieri, con loriche ed elmi di forbito rame, lancie ritte sulla
staffa e mazze ferrate pendenti all'arcione. Più numerosi i fanti, tutti vestiti di cuoio; parte
fiondatori, con bisacce sull'ómero, che recavano selci, ghiande di piombo, o d'argilla e bitume; parte
arcadori, dalle cui spalle pendevano le capaci faretre.
Si avanzavano poscia le artiglierie, torri, uncini e macchine da trarre, con cammelli carichi di
munizioni, dardi intrisi di nafta, palle di bitume e di zolfo. Seguivano quaranta elefanti, smisurati
animali condotti dalle rive dell'Indo, ognun de' quali portava il suo custode sulla negra cervice e una
torre sul dorso, con dieci uomini armati di giavellotti e di frecce. Ultimi quattrocento carri di guerra,
con scelti guerrieri, armati d'aste poderose e accompagnati da esperti cocchieri.
Chiudevano la marcia diecimila uomini di scelta cavalleria. Militava in quella schiera il fiore
e il nerbo della gioventù babilonese, tutti usciti dalle prime famiglie dei Sennaar. Era gran lustro lo
entrarvi, imperocchè s'avevano a comandanti dei drappelli uomini di regio sangue, o congiunti di
parentado colla discendenza di Nemrod.
Le fogge e l'armi rispondevano per lo sfarzo loro alla dignità di quel nobilissimo corpo.
Sulla lorica di ferro temprato portavano il candì, tessuto di bisso, di latteo colore, con fregi di por-
pora, cosparso di soli fiammanti in oro. Sul capo avevano la tiara, i cui lembi si raccoglievano a