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TITOLO: RELAZIONE DI MOSCOVIA SCRITTA DA RAFFAELLO BARBERINI AL CONTE DI NUGAROLA
AUTORE: RAFFAELLO BARBERINI
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE: RELAZIONE DEL VIAGGIO COMPIUTO IN RUSSIA NEL 1564
DA UN MERCANTE FIORENTINO
DIRITTI D'AUTORE: NO
LICENZA: QUESTO TESTO È DISTRIBUITO CON LA LICENZA
SPECIFICATA AL SEGUENTE INDIRIZZO INTERNET:
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TRATTO DA: RELAZIONE DI MOSCOVIA SCRITTA DA
RAFFAELLO BARBERINI (1565) A CURA DI
MARIA GIULIA BARBERINI E IDALBERTO FEI
SELLERIO EDITORE, PALERMO, 1996
COLLANA: IL DIVANO, 114
CODICE ISBN: 88-389-1107-X
1A EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 29 DICEMBRE 2000
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: AFFIDABILITÀ BASSA
1: AFFIDABILITÀ MEDIA
2: AFFIDABILITÀ BUONA
3: AFFIDABILITÀ OTTIMA
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
GIULIA CANGIOLI, GCANGIO@TIN.IT
REVISIONE:
CATIA RIGHI, CATIA.RIGHI@RISORSEI.IT
PUBBLICATO DA:
MARIA MATALUNO, M.MATALUNO@MCLINK.IT
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RELAZIONE DI MOSCOVIA
SCRITTA DA RAFFAELLO BARBERINI
AL CONTE DI NUGAROLA
Illustre signor mio
Poiché V. S. con tanto affetto mi pregato, per sua humanità, ad instanza dell’Illustrissimo e
Reverendissimo Cardinal Amulio, quello che essa mi poteva comandare, cioè di scrivere
particolarmente quanto ch’io ho visto nel mio viaggio fatto da me quest’anno passato e quello che di
più io habbia inteso di quelle regioni, non molto conosciute da noi per essere paesi poco frequentati,
non ho voluto mancar di pigliar volentieri questa fatica. Ben mi dispiace, ch’io non metterò forse
per ordine il tutto come si apparterrebbe e però sa V. S. ch’io desiderava più tosto che scrivere da
me stesso, che ella mi avrebbe interrogato di quei particolari che desiderava, per metterli poi al netto
e già che a V. S. così piacque, la prego, che dove in questo mancassi, mi scusi lo averle solo voluto
ubbidire.
E perciò, prima cominciando dal principio del mio viaggio, dirò quanto ho visto io; di poi dirò
quello che di alcuni di quei paesi, dove non sono arrivato, ma parlo per informatione di chi vi è
stato e delli proprij del paese. Le quali informationi prese più vere e fedelmente che mi sia stato
possibile. E per far questo non hò guardato à fatica, né à spesa, per parlar, come hò detto, alli proprij
paesani.
Dico adunque, che partendosi di questa città d’Anversa pigliando il camin dritto, si passa in
Amsterdam in Holanda, ivi imbarcandosi si attraversa un picciol golfo di 25 miglia, e si arriva in
Frigia ad una terra chiamata Campo, bella, e gran terra. Di là si passa per mezzo il paese della
Vesfalia, paese, donde uscirono i Longobardi. E di là si arriva alla costiera della Danimarca, che
dalla banda di là cinque o sei miglia lontano dal mare, in su un fiume navigabile chiamato Detrave,
è posta la città di Lubeco. Ivi seguitando la riva del mare, trovasi il paese di Mechelborgo, lungo tre
giornate; ma molto buon paese, e buone terre. Di là si cammina circa otto giornate sempre pel Paese
della Pomerania, molto fertile, entrovi buone terre. Lontano 40 miglia da questo confine, si trova
Dansiche, terra libera, nondimeno sotto la protezione del Rè Polacco; la quale è famosa e di
grandissimo trafico, situata fra tre fiumi, tutti navigabili che la fanno ricca: l’uno dei quali esce di
Polonia, uno di Lituania e l’altro, ivi non molto lontano, del paese. Sempre vi si trovano 500 ò 600
navi grosse; il negotio vi è grande e il concorso grandissimo di ogni natione, tanto ch’è incredibile, e
particolarmente di grani, segale, pegole, legnami, cenere e altro. E ivi lontano dal mare tre miglia
incirca risiede, dove il mare fa un gomito di più di 60 miglia.
Hora de Lubeco fino in detto luogo per tutto già erano i Vandali e ancora in Pomerania vi sono circa
70 miglia di paese habitato da Vandali, li quali ancora parlano la loro lingua, la quale assai si confà
alla Schiavona e Polacca.
Più dentro terra, cominciando da Dansiche verso mezzogiorno, resta la Masovia, che domandano
Piccola Polonia; più abbasso, dietro alla Pomerania, è la Misnia, e sotto la Sassonia. Ma partendo da
Danziche verso levante, tre giornate lontano, in un golfo è la città di Cunisbergo, dove risiede il
Duca di Prussia.
Dipoi si entra nel paese di Curlant.
Appresso si viene alla Livonia, regione famosa e grande, molto fertile di grani e bestiami e piena di
buone terre, ma da 10 anni ò 12 in quà molto distrutta e impoverita, rispetto alle gran guerre. Perché
prima era governata da uno gran Maestro quasi dell’ordine de’ Cavalieri di Rhodi, onde poi il
Moscovito l’occupò, e ruinò quasi tutto in un tempo. Una gran parte, non del peggiore, ne preso
il di Polonia, una parte il di Dania, e ildi Sueda un’altra parte. Similmente una parte ha il
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duca di Prussia, e così frà loro se la sono spartita.
Il Polacco tiene Riga, terra grossa in sul fiume Dun, quasi al mare; Reuelez 150 miglia presso alla
Nerve lo tiene lo Svedo ed è luogo forte. Il Moscovito tiene le Nerve, Dorp, Plesco e molte altre
terre e villaggi, e questo paese si domanda Bornolum ed è di Lubeco. Seguitando si trova la Gotia,
che chiamano Gotland, Isola che è lunga 90 miglia, ma stretta, nella quale vi è una città che si vede
essere stata per gli edificij molto magnifica, benché oggi assai guasta, e si domanda Bilbua. Di qui
uscirono i Gothi, quando per li peccati nostri passarono in Italia alla distruzione nostra. Poi vi sono
molte altre Isole, parte del Re di Sveda, e parte d’altri.
Questo mare è dove più stretto, e dove più largo; e nel più stretto è à Reuelez, dove circa 50 miglia
viene infine alle Nerve. Ma di verso la Sveda fa un’altro corno, e si caccia frà la detta Regione.
Resta ivi alle Nerve il mar dolce affatto, benché tutto sia poco salato, rispetto agli altri mari.
Le Nerve restano lontane dal mare circa otto miglia insù una fiumana dalla banda di quà poste con
un castello. Questa terra già era de’ detti Cavalieri. Dall’altra banda del fiume, a riscontro vi è una
terra che si chiama Ivanogrot, fortificata di castello ancora. Talche dell’un castello all’altro (essendo
posti in su ’l più stretto del fiume) si trarrebbe con un sasso.
E che così sia, il Moscovita da detto castello prese 10 anni sono le Nerve con gittar fuochi lavorati,
e bruciare, e gittare à basso la maggior parte delle case. Questo fiume si chiama Nerva e sopra la
terra un miglio principio, uscendo quindi di un lago chiamato Pebus, lungo 150 miglia e largo
cinquanta: mettonvi dentro più di 50 fiumicelli, e solo esce per la Nerva. Di questo lago uscendo
una subita caduta grandissima con grande strepito e dalla terra al mare è navigabile, e copiosissimo
di pesci e de’ più famosi, come lamprede, murene, e simili.
Di poi pigliando il camino più verso levante, si trova un paese paludoso e boscaglie d’abeti, con
strade fantastiche e fastidiose e pericolose à caminarvi, fatte a viva forza e acconcie di legnami, e
male habitato. Trovasi la gran Nogarte, terra molto grande, di legname, ma di gran fama in quei
paesi, con un castello murato. Per mezzo alla qual terra ci passa la Volga fiume, sopra il quale è un
ponte lunghissimo pieno di case, e botteghe come una strada ed è detta terra lontana circa 250
miglia dalla Nerve.
Da questa terra partendosi si trova un paese un pezzo paludoso e poi boscaglie, ed alcuni villaggi e
monisteri. Appresso si trova una buona terra chiamata Dorcioc. Si trova anche una grande e buona
terra chiamata Otfer, posta in sul fiume Volga.
Dipoi si trova paese molto megliore, cioè campagne di grani, e colline alquante. Da detta terra
lontano circa 300 miglia si trova il Ducato di Moscovia, dove la terra principale chiamano Mosca,
posta in sul fiume Mosca, il quale fiume nasce nel contado di detto Otfer e fino alla Mosca non è
navigabile.
Qui risiede ordinariamente il Gran Duca Moscovita. La detta terra è grandissima, ma più delli sette
ottavi di legname; vi è un castello con buone mura, ma non forte, fatto già da Italiani, similmente vi
sono parecchie Chiese grandi di bello edificio e Palazzo Ducale con tetti e cupole coperte di rame
dorato, pur fabbricate da Italiani, stati quivi condotti per i tempi passati, prigioni e di Polonia e di
Lituania. Vi sono oltra le dette, chiese d’incredibil numero quali più piccole quali più grandi, murate
e di legnami, si che non è strada dove non ne siano parecchie, di modo che il giorno e la notte di San
Nicolò la quantità delle campane che si sentivano erano fastidiose ed intolerabili. Le case, tanto di
questa terra, come delle altre e de’ villaggi ancora, sono piccole e male accomodate, senza civiltà o
maniera: hanno una stanza grande dove mangiano, lavorano e fanno tutto, nella quale hanno un
forno col quale scaldano detta stanza, in sul quale accostuma tutta la famiglia dormire, né, pur
hanno tanto ingegno di farle un camino donde esca il fumo ma lo lasciano sfogare e uscire per la
porta e per le finestre: che è penitenza non piccola a starvi. Nogarde è governata da un Duca
mandatovi dal Gran Duca e le altre terre da un Vaivoda.
Tutto questo cammino si fa con cavalli di poste che corrono molto forte e le poste son lunghissime,
li cavalli son piccoli ma molto forti; similmente fa tenere detto Signore poste per tutto il paese e
ordinariamente si può avere a ciascuna posta sempre 50 o 60 cavalli: ma non stanno tutti in una
stalla come si costuma negli altri paesi, ma ciascuno che abita il villaggio ne tiene e subito in
arrivando ciascuno mena il suo cavallo e fanno a gara e talhor quistione a voler dare ciascuno il suo,
e bisogna portar seco e la sella e la briglia perché non li danno che nudi. E talhora avviene che detto
Moscovita quando vuol fare qualche impresa di guerra, come seguì dieci anni sono quando ruppe la
guerra in Livonia, comanda che pel camino tutti gli huomini de’ villaggi facciano andare i loro
cavalli a quei villaggi dove sta la posta: tal che farà correr 10 mila huomini a 500 per volta con
poche ore di spazio dagli uni agli altri, di sorte che arriva uno esercito suo in paese inimico allo
improvviso e preda e piglia e distrugge inanzi ch’l nemico ne sappia pur la venuta. E così ha fatto
cose di non poco momento, il perché fanno diligenza incredibile.
Ma lasciando questo e seguitando la fiumana della Mosca (la quale va molto stortamente) circa a 65
miglia si trova un Monistero di Frati alla Greca che si chiama S. Trinità. Vi sono 250 frati e il
Monasterio è grande e murato e guardato con artiglierie; hanno entrata grandissima e fanno le spese
a tutti quelli che vi capitano, e alcuna volta viene il Gran Duca con grandissima gente ed essi
ricettano e danno da vivere a tutti.
Vi sono di gran boscaglie e molte fiere e fra l’altre molti orsi grandissimi li quali vanno infino alle
case ad assaltar le genti.
Circa 90 miglia lontan dalla Mosca città, si trova la città di Colomna, per la quale passa il fiume
Mosca e cinque o 6 miglia di mette in una gran fiumana chiamata la Occa, la qual mette nella
Volga lontan dalla Mosca 500 miglia dove è posta la piccola Nogarde, buona terra e con un castel
murato. La qual fiumana è ingrossata da molti altri fiumi e passa per molti boschi e campagne
paludose e parte fertili. Dipoi si addiritta alla volta del Mare Caspio, e 500 miglia lontano da detta
Nogarde si trova insù detta fiumana Cafano, terra e regno de’ Tartari, ma suddita al Moscovita il
quale nuovamente vi fabrica un castello. Questa terra resta posta dove mette il fiume Recziza, che
viene di verso levante, come ho detto, nella Volga, la quale mette, come dissi sopra, nel Mar Caspio
con molti rami, per quanto ne ho di questo inteso; e a poche miglia lontano di detta uscita vi è
Astracano, terra e regno de’ Tartari, suddita pure al Moscovita.
Però addietro tornando, dove ho visto io, dico che 140 miglia lontano da detta piccola Nogarde si
trova un fiume che viene di verso mezzogiorno e che si domanda Zura e mette nella Volga dove è
posto un castello chiamato Basilovogorode: questo fiume è confine del ducato di Moscovia e del
regno di Cafano.
Non molte miglia lontano si trova un altro fiume chiamato la Piccola Mosca che mette nell’Occa
sotto una terra chiamata Muron. In questo spazio frà detti due fiumi restano gran boscaglie le quali
sono habitate da’ popoli Mordoviti, che son sudditi al medesimo Moscovita, parte Idolatri e parte
Mahomettani, gente bellicosa ma tutti a piè con archi e frecce. Girando più abbasso si trova un lago
grandissimo che per quanto meglio mi potessi informare gira più di mille miglia e lo domandono
Ivanovvolèro e resta fra gran boscaglie fra l’Asia e l’Europa. Vi sono sul detto lago più villaggi e
terre di legnami e una è chiamata Tulla, appresso 40 miglia alla quale esce il fiume Tanai: il quale
per un pezzo è maggior per fama che per acqua. Percioche per quanto io potei ritrare dell’origine
sua, non è navigabile fino a Donco, terra grossa che si trova insul detto fiume verso la palude
Meotide, ma in alcuni luoghi è strettissimo e altrove si allarga per le campagne de’ Tartari Nogai
che non si vede dall’una all’altra riva; ma da Donco fino alla palude Meotide, dove entra, è
navigabile, e questo spazio per terra è 400 miglia ma con barche per lo fiume vanno in 20 giorni
perche si torce molto verso la Volga presso fino a 35 o 40 miglia, e poi ritornando mette al
sopradeto luogo appresso una terra chiamata Avoph: dicono terra molto mercantile e di concorso di
nazioni strane, per quanto mi hanno riferito alcuni Circassi che di là venivano.
Dipoi rigirando dal detto lago verso la Moscovia si entra nel regno di Severa del quale viene un
fiume nomato il picciol Tanai, il quale entra nel Tanai. Questo paese è abbondante di grani, di frutti
e selvaggiumi d’ogni sorte. Resta ancora fra la Occa e il Tanai una Signoria che domandano il
Principato di Rezzano, la quale è abbondantissima di grani e bestiami, d’ogni sorta di salvaticini,
cera e mele e, fra l’altre, quaglie grasse: e vi sono grani che fanno tre spiche.
Dopo questo restano fra mezzogiorno e la Moscovia lontano 300 miglia in circa da Mosca molti
paduli e pantani, questo paese lo chiamano Mscenech; in questo luogo esce la riviera dell’Occa, nel
qual luogo sono varie terre e villaggi e quando questi popoli habitatori sono con forza assaltati da’
nimici, si salvano in detti paduli. E fra l’altre terre ve n’è una chiamata Corfira, dove vi è una
miniera grande di ferro e di acciaio, benché in piano. Ad una di dette terre chiamata Coluga sempre
son tenuti come in guarnigione del detto Moscovita molte miglia di Tartari, in ordine e pronti per
poter sempre spingerli o verso il Tartaro di Crema o verso la Lituania o dove più gli aggrada.
Però girando verso mezzo si trova la regione di Lituania, dove vi è Smolenzco: gran terra, la
quale è posta in sul fiume Boristene; era vescovado e signoria inanzi che fosse presa dal Ruscio.
Questa regione è suddita al Polacco, se bene il Ruscio gli ha preso paese e terre delle quali la più
importante è Polozca: è quasi sempre vi è fra loro guerra. Questo paese è molto abbondante d’acque
perché vi è un gran bosco molto paludoso donde escono parecchie fiumane grosse; el detto bosco lo
chiamano Vuolconschi e da questo ha origine il fiume Volga, il quale prima gira verso
mezzogiorno, poi torna verso levante e poi si drizza verso il mar Caspio, dove, come ho detto, entra
e dal principio alla fine è ingrossato da 72 fiumane. Produce molti pesci, ma in particolare storioni
grandissimi e io ne ho visto quantità infinita, che salati per tutto ne portano. Non molto lontano
donde escono dette fiumane vi è un villaggio chiamato Dniepersco, appresso al quale nasce il
Boristene, e non molto lontano vi è un Monistero di frati sotto il titolo della Trinità, appresso al
quale assai presto si congiunge col Boristene e fassi gran fiume navigabile e drizza il corso suo
verso Capha.
Per confine frà la Lituania e Moscovia vi è un fiume chiamato l’Orfa sopra il quale vi è un castello
delò medesimo nome presso al quale 52 anni sono vi fu fatto un conflitto e una mortalità
grandissima per forza e astuzia de’ Lituani li quali erano 60 mila che ammazzarono 100 mila Russi
e ancora vi si vede una chiesa piena d’ossa, che allora fece fare quel Signore per raccorvi i morti che
eran sparsi alla campagna. Paiono favole, ma è tanta la gente di che abbonda quel paese, oltre che
grandissime regioni sono suddite al Moscovita. Ne in altro s’impiegano i popoli che per servizio del
loro Signore, et io del mese di Decembre passato ho veduto partire esso Moscovita con 40 mila
cavalli fra Moscoviti e Tartari, con 4 mila file di vettovaglie, e munizione, con 3 mila cavalli in
mandria sciolti che seguivano lo esercito per rinfrescare gli stanchi.
Li Moscoviti ne’ riti vivono quasi alla Greca, nientedimeno in qualche cosa differenti. Sono molto
superstiziosi nelle immagini de Santi e adorano San Nicola quasi senza far menzione d’altro Dio, e
fanno di quel giorno più festa che di nessun altro.
E perché sono tanto suggetti allo imbriacarsi, onde ne nascono poi infiniti scandali di abbruciare
case e cose simili; però il Signore ordinariamente gliene prohibisce e vieta, ma in tempo di S.
Nicola dà loro per 15 giorni licenza ove in quel tempo non fanno altro che bere giorno e notte per le
case e per le strade, e per tutto si trovano imbriachi d’acqua di vita che molto ne bevono per
ripararsi da i freddi e di birra e di metto che è bevanda fatta con mele.
Non lasciano entrare forastiere alcuno nelle Chiese loro, se non quelli che al modo loro si
ribattezzano: ma pur tanto operai io con parole e con danari che vi fui menato due volte, una di
giorno, l’altra di notte, e in somma ivi viddi ordini e modi medesimi che tengono in Grecia per le
chiese, cioè molte imagini de’ Santi, altari, candele, lampade e cose simili, con modi e seremonie
differenti dalle nostre immagini di Crucifissi con quattro chiodi cioè a ciascun piede uno, e ufficiano
al tutto, come ho detto, alla Greca. Dicono Messa e in iscambio di ostia consacrano il pane e
cantano tutto in loro lingua che è consimile, come ho detto, alla Schiavona. Fanno molti digiuni
l’anno e con grande astinenza e prima fanno la nostra quaresima ordinaria e dipoi quella di S. Pietro
e quella dell’avvento e molte altre che quasi ascendono alla metà dell’anno. Accostumano
battezzare i loro figliuoli, come da noi, alle chiese e fanno compari, ma secondo essi, dicono, noi
non siamo ben battezzati per due cause e perciò in questo son differenti a noi: e per la prima non
vogliono che il prete habbia autorità di dire battezzando «Io ti battezzo» e però dicono essi usando
questo Sacramento «Battezzasi la creatura di Dio N. in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo»; per la seconda, dicono, che Christo battezzandosi si mette nell’acqua, però dunque che non
basta bagnar la testa e perciò essi mettono la creatura tutta sott’acqua tre volte, dipoi vanno intorno
al pozzo col lume in mano dicendo alcune parole e fanno croci in molti luoghi del corpo con olio
santo, fino sotto i piedi, senza adoperare sale.
Questi popoli si maritano pigliano salvo una moglie e sempre ch’ella muoia si possono
rimaritare: ragiono de’ secolari, che più abbasso dirò de preti e frati. Ma tornando a i secolari
possono (quando avvenga che marito e moglie si accordino) tutti e due far divorzio e lasciarsi; in
questo caso usano di questa cerimonia di andare ad un’acqua corrente, il marito di una banda e la
donna dall’altra e pigliano un pezzo di tela sottile e ciascuno da un capo tirando la stracciano, sì che
a ciascuno ne resti un pezzo in mano e fatto questo ciascun piglia il camin suo ove più li piace e
restano liberi. Hanno ancora una costuma per la più gran parte, che quando si vedono nell’estremità
della vita e che par loro non poter più campare, si fanno frati e lasciano la moglie e se pure avviene
che poi campino bisogna che il resto di loro vita rimangano frati e le mogli si cerchino la loro
ventura. Quando lo intesi mi posi a ridere, pensando che se così si accostumasse tra noi, conosco un
mio amico che si fingerebbe ammalato per farsi frate per sempre purché si liberasse dalla moglie.
Trovansi molti frati tutti di uno ordine alla Greca, ma questi non si possono maritare; simili donne
religiose con habito quasi vestite come li medesimi frati. Ma se bene degli uni e degli altri ve ne
sono di ricchi, nondimeno una quantità grande ve ne sono che vivono necessariamente e non per via
di limosine. Li preti bisogna che habbiano moglie, ma come quella muore non ne possono pigliar
più, neanche esercitare la preteria. Accostumano nelle case loro sempre havere qualche imagine di
Santi, dove subito venendo uno amico di fuori a visitare o negoziare, arrivato alla porta della stanza
dove sono dette imagini inanzi di che saluti persona di casa, cavandosi la berretta si fa tre volte la
croce dal capo al petto, dipoi salutando il padrone di casa comincia a parlare e fornire il bisogno suo
e volendosi partire fa il medesimo. Così andando per strada, per tutto dove veggono imagini o
chiese da presso o da lontano, si fermano per fare una infinità di croci, e essendo in camino
veggendo una chiesa fin da lontano quanto possa essere, purché ne veggano il campanile, smontano
e fanno una infinità di croci.
Sono grandemente gelosi, universalmente delle loro donne, e pochi le lasciano andar fuori e non
senza causa. Son tanto le donne, come gli huomini, belli e forti, ma le donne si lisciano e
s’impiastrano di rosso e di bianco, oltre che con mala grazia, tanto che è una cosa vergognosa.
Quando fanno matrimoni, la mattina che la sposa va fuora fanno molte cerimonie nel vestirla,
presenti i parenti e il marito; poi va alla Chiesa con la faccia coperta, dove il prete è che fa le parole
e le porge l’anello e dipoi li fa baciare insieme e piglia una tazza di bevanda e bevono prima gli
sposi e poi il prete: il quale lascia subito cadere la tazza in terra e il marito e la moglie fanno a gara
a chi vi darà prima su del piede. Io ho domandato per saper la causa di questo, mi hanno saputo
dir cosa che vaglia. Dipoi torna la sposa con la faccia discoperta, sparsi in su le spalle zibillini o
martore o altre pelli secondo le qualità loro, e arrivata a casa hanno per tutto distesi lenzuoli bianchi
per terra e conducono gli sposi a sedere in su ’l letto e pigliano una gallina bollita in mano e
pigliando ciascuno da una parte la stracciano e mangiano un poco e dipoi vanno con li parenti a
tavola. Fatto questo danzano e suonano con i loro instrumenti e dipoi se ne vanno a letto a
consumare il matrimonio. Or qui notate una cosa molto stravagante: che il padre o madre o fratello
della sposa, insomma il più stretto parente che ella ha, aspetta fuori della camera tanto che il marito
venga a portargli nuova se l’ha trovata vergine o no: il quale glielo significa in questo modo, che
esce fuora con un vaso di terra pien di bevanda, che ha un buco nel fondo, sotto il qual buco il
marito vi tiene il dito e così lo porge al detto parente, che se egli pretende haverla trovata vergine,
serra detto buco prima con della cera, che non possa versare, e così il padre o chi altri che sia, il
beve. Ma se egli al contrario pretende altrimenti haverla trovata, non serra altrimenti detto buco, ma
subito in porgendo il vaso, leva il dito e glielo lascia versare addosso, onde il detto parente gli
qualche danari accio che si contenti e così nell’uno modo e nell’altro rimangono d’accordo.
Quanto alla giustizia non vanno dietro né alle leggi di Baldo o Bartolo, ma secondo piace al Signore
così segue il rigore della sentenza, onde spesso avviene che per piccola cosa fa mangiare uno dagli
orsi e gli piglia ciò che ha, e di un altro per gran delitto commesso non se ne parla. Il perché sà che i
popoli suoi ne tremano e siano più obedienti assai che nissun altro popolo al suo Signore;
ardiscon pur che si sappia le facultà loro, anzi vi ho conosciuto di quelli che hanno danari assai e
vanno mal vestiti e tengono nascosto a casa a qualche amico loro forzieri, danari, scritture e altre
cose, senza fidarsi pure della madre o de’ fratelli, insomma sono talmente soggetti che spesso il
Signore accostuma (per tenergli più in freno) mandare gentilhuomini che essi chiamano Baiari ad
habitare d’una terra in un’altra e dell’altra in quella e tanto più quando piglia terre nuovamente lo
come quando prese la Lituania, Polozca e Smolenzco, che vi mandò de’ più ricchi ad habitare, a
causa ch’essi havesino più cura e stessino più vigilanti per obviare bisognando a quello che potesse
nuocere alla terra. E mi è stato conto essere più volte avvenuto che avendo domandato il Signore
una quantità di danari ad uno suo vassallo e quello volutosi scusare che non ne haveva tanto o cose
simili, esso Signore subito haver mandato a torgli la casa e ciò che haveva, di loro essersi inteso
più mai altro. di cosa che egli faccia vi è huomo che ardisca farne parola, così in questo modo
con la sua propria volontà governa, anzi tiranneggia il suo paese, manda per tutto il suo Regno al
governo di ciascuna terra uno di detti Baiari con nome di Vaivoda e quelli per cose ordinarie che
occorrono, esseguiscono liberamente; ma di cose d’importanza bisogna farne capo alla corte, cioè a
Mosca.
Il perché sono in questa terra 68 case che essi chiamano stuse, nelle quali si tiene ragione e giustizia,
di criminale e civile di tutte le cose del paese; perché ciascuna di esse case ha sotto di se tante terre
scritte e villaggi, i popoli delli quali ricorrono ivi per li bisogni loro e piatiscono senza procuratori o
avvocati ma ognuno si aiuta da per se a produrre le sue ragioni, e quelli che per cosa debbono ad
un’altro, e il creditore del quale faccia opera d’esser pagato subito al debitore è comandato che ogni
mattina si ritrovi ad una hora ferma inanzi alla casa del suo comandatore e bisogna che di ciò ne
diano sicurtà ovvero sono messi in ferri; e quando poi si rappresentano da quell’hora fino ad uno
spazio che è circa di due hore che alhor suona una campana, stanno dico in piè in strada sciolti e vi
sono sergenti che continuamente loro battono con uno bastone le polpe delle gambe, e questo fino a
tanto che paghino e ogni mattina se ne vedono centinaia inanze alle dette case, tanto huomini come
donne: e io ho visto un Baiaro che ogni mattina veniva co’ suoi servitori a rappresentarsi al
supplizio, e perché corroppe il sergente con danari che li desse piano, il detto sergente fu poi battuto
anche egli per molti giorni, e ho visto l’uno e l’altro. E se tal volta come avviene che fra due
Moscoviti nasca lite di dare o di havere, cioè che uno nieghi dovere e l’altro affermi che quel gli
deve e di questo non habbia testimonianza, scritture o giustificazione, hanno usanza di disfidarsi a
corpo a corpo in una piazza che hanno per questo eletta e deputata, e se tra essi sarà uno o tutti e dua
che per viltà o vecchiezza od altro non vogliano combattere, possono chiamar altri che per loro
combattano, che vi sono molti sempre che per premio pigliano la impresa e per altrui combattono. È
cosa ridicola la maniera come s’armano quando a questo fatto vengono, perché sono tanto pesanti
d’armi che se cascano è impossibile levarli. E prima si mettono una gran camicia di maglia con le
maniche e sopra quella un corsaletto, in gamba un paio di calze e calzoni di maglia, in testa un
morione ferrato con certi pezzi di maglia intorno al collo che con alcune corregge si attaccano sotto
le braccia e alle mani guanti di maglia: questo è quanto alla difesa. Per arme offensive hanno nella
mano stanca un ferro che ha due punte come due pugnali, una di sopra e una di sotto e nel mezzo vi
è uno fesso che vi caccian dentro la mano di forte che senza tenerlo sta alla mano; poi hanno uno
pezzo d’arme d’asta forcuto e alla cintura una piccozza di ferro, e in questo modo combattono
insieme fino a tanto che l’uno di loro per perdente s’arrenda. Mi fu raccontato una volta essere alla
Mosca avvenuto che un Lituano hebbe per tal differenze a combatter con un Moscovita; il quale
Lituano non si volle armare di sorte alcuna, salvo che prese tutte le arme ad offesa e di più,
nascostamente, prese uno sacchetto pien d’arena e se lo cinse; e venuto alle mani esso leggiero
correva e saltava dall’una all’altra banda intorno al Moscovito il quale, per il gran peso e imbarazzo,
era molto tardo di moto e a gran pena si poteva volgere, onde il Lituano preso il tempo segli accostò
e trassegli ai buchi della visiera uno pugno d’arena, talché restarono serrati e tutto in un tempo
cominciò con la piccozza a rompergli l’arme, di sorte che il Moscovita non veggendo si chiamò
perdente e il Lituano restò vincitore, da questo tempo in poi hanno concesso à forestieri che
combattan con loro.
Sono queste genti cerimoniose infra di loro, il perché trovandosi per le case o per le strade si cavano
la berretta abbassando la testa e alcune volte l’uno e l’altro persevera a rinovare e rendere il saluto,
facendo con testa e mani segni che par facciano bagatelle. Ragiono fra i pari perché uno che da più
dell’altro si tenga havrà più cura a non si cavar la berretta prima dell’altro e vi usano più arte che se
fossino Spagnoli e Biscaini. Costumano, rincontrandosi, non sendosi visti in qualche tempo,
baciarsi l’un l’altro. Il modo di render gratie è che uno fa offerte di parole all’altro, cavandosi la
berretta bassa la mano inverso terra se vorrà fare il ringraziamento maggiore tocca con la mano
terra, e se poi maggiore ancora o per essere chi fa l’offerta da più dell’altro o se pur per esser la cosa
in se stessa d’importanza, toccherà con tutte e due le mani in terra. Se dipoi uno di qualità una
grazia od un favore ad un’altro minore di lui, quegli toccando con ambedue le mani terra in
ginocchioni batte la testa ancora in terra. Questo simil modo fanno quando vanno a domandare una
grazia con istanza e per questo ad una gran parte di loro si vede nella testa un callo, perché quanto
più forte la battono tanto maggiore è il favore e la cerimonia.
Quanto alla spedizione delle cose più importanti del paese e appartenenti a’ Principi forastieri come
sono cose di ambascerie o consigli di guerra, son queste si fatte cose spedite dal Signore o dal suo
gran Cancelliere e da due Thesorieri. E perché spesso vengono degli Ambasciatori di paesi lontani e
di lingue differenti molto dalla loro: hanno perciò molti interpreti e di ogni lingua parecchi, per
mezzo dei quali trattano le spedizioni e mentre ch’io ero là vennero Ambasciatori di Circassia da un
Signore, padre della moglie del Gran Duca Moscovita, e Ambasciatori vennero ancora da un Gran
Mastro di Cavalieri quali dell’ordine Gerosolimitano, di Rodi o di Malta il quale risiede in
Franconia in Alemagna; vennero con assai Gentilhuomini e servitori e portarono vari presenti e per
valore di tremila scudi; intesi che trattavano di riavere un gran Mastro di quell’ordine, che al
principio dissi era Signor della Livonia, il quale è della Nobil casa di Fustembergo di Vesfalia, il
quale fu preso dal Moscovita quando prese la Livonia, li quali Ambasciatori no ’l possettero
ottenere. Ne voglio lasciar di dire quanto sieno mal trattati gli Ambasciatori in quel paese, come
cosa molto severa; quando arrivano nel paese sono tanti giorni trattenuti dalli governatori fin che
siano spediti corrieri alla corte e datovi l’avviso, dipoi quando hanno risposta di lasciarli passare,
loro danno parechi di quelli Baiari alla guardia, che li conducono senza pure in camino lasciargli
parlare a persona. Dipoi arrivati a Mosca sono messi in una casa a parte con guardie, alcuni di
loro, ne pure un minimo servitore, può uscir fuora per la terra, li lasciano comperar cosa alcuna
per commodità loro altro che cose necessarie per vivere; anzi non solo lasciano che vadano essi
medesimi a comperare, ma non vogliono che alcun di lor gente vadano a trovargli a casa per vender
loro cosa alcuna, solo per mal trattargli e che patiscano ogni incommodità. E così avanti avere
audienza fanno un mese e più e meno, secondo la fantasia del Signore; dipoi quando delibera dar
loro pur audienza glielo fa intendere un giorno avanti e così esso Signore il giorno deliberato
mettere in ordine una infinità di gentilhuomini e signori con vesti lunghe quasi alla Hungaresca, con
grossi bottoni d’argento e d’oro, di drappi varij d’oro e di seta foderate variamente di zibellini,
martore, hermellini, lupi cervieri e altre pelli simili con berrettoni alti in testa guarniti d’oro e perle
foderati di zibellini e di volpe nera, con stivali in piè ferrati di varij colori alla Turchesca; la
maggior parte de’ quali empiono una grandissima sala stando tutti a sedere, appresso alla quale è
un’altra simile dove il Signore si mette a sedere sopra una sedia molto alta che monta tre o quattro
scalini parato dietro e sopra e la sedia ancora di drappo d’oro, e esso Signore con corona d’oro in
testa con gioie, allo intorno della qual corona è una mostra grande di zibellino molto negro e ricco
con veste lunga fino alli piedi di drappo d’oro con perle, guarnita, affibbiata con bottoni d’oro grossi
come picciol ova, con stivali gialli con un becco che torce dalla punta del piè fino a mezzo il piè di
sopra tutti imbollettati di piccoli chiodi d’argento, e tiene in mano un bastone d’argento dorato
come un Pastorale da Vescovo. Nella medesima stanza a sedere sono lontano da lui allo intorno e
per tutto più di dugento riccamente vestiti che sono signori e de’ più principali. In questo mezzo,
che tutto come dico sta di questa sorte in ordine, alcuni cortigiani dal Signore deputati si partono dal
palazzo riccamente vestiti sopra belli cavalli con fiocchi di varij colori guarniti e in questo modo
vanno alla casa degli Ambasciatori e così li conducono su cavalli cattivi, molto male in arnese, al
palazzo; ma prima li fanno smontare 25 o 30 e passi e ire a piè, e così di filato li conducono alla
presenza del gran Signore e facendo essi molte riverenze a poco a poco a lui s’accostano e esso
Signore a baciar la mano loro porge, poi fa agli interpreti suoi domandare qual Signore li manda,
essi rispondono il bisogno e soddisfatto alla domanda offeriscono li presenti che portano e essi
accettando li ringrazia e di nuovo domandatogli della sanità del loro Signore e cose simili, li convita
per quella mattina a mangiare con lui con parole che in nostra lingua significano così: «Io vi
grazia che per stamane mangiate il pane e ’l sale con me». I quali rispondono che accettano la grazia
e subito sono da’ medesimi cortegiani condotti in una sala a parte del medesimo palazzo.
Tanto quanto ho detto ho ben veduto, perché mezz’hora avanti che avessero audienza i detti
Ambasciatori hebbi, senza essere Ambasciatore di persona, nel medesimo modo udienza e da esso
Signore fui nel medesimo modo convitato; e perché la consuetudine e costume è che tutti quelli che
di paesi forestieri vengono volendo udienza fanno un presente al Gran Duca, così convenne ch’io
donassi una gran coppa d’argento dorato coperta e lavorata, senza il qual presente era a pericolo di
non poter uscire del paese, ancora ch’io havessi portato per detto Signore lettera in mio favore della
Serenissima Regina d’Inghilterra la quale ha con lui buona amicizia. Ma tornando al proposito,
subito che li detti Ambasciatori furono partiti, esso Signore si rizzò per andarsene alla Messa e
passato le due sale e altre stanze scese le scale del Palazzo dietro seguendolo più di ottocento vestiti
riccamente, come detto, e prese il cammino a piè passo passo appoggiandosi col detto bastone
verso una Chiesa molto vicina; egli era messo in mezzo a quattro huomini di età di circa 30 anni
robusti e grandi, figliuoli de’ principali Signori, cidue andavano inanzi lontano l’uno dall’altro e
due a dietro co ’l medesimo ordine ma lontani parecchi passi da lui ugualmente, i quali erano vestiti
di una sorte medesima, in questo modo: con berrettoni lunghi di velluto bianco con perle e argento
foderati con gran mostra allo intorno di pance di lupi cervieri, con veste di tela d’argento infino à i
piedi con bottoni molto grossi d’argento, foderate le vesti d’Hermellino, con stivali bianchi ferrati, li
quali portavano in su la spalla una bella e grande accetta per uno lavorata d’argento e d’oro. Così
seguitando molti che il Signor vedeva e conosceva per soldati, li convitava per quella mattina a
mangiare il pane e il sale seco. Così arrivato alla Chiesa ed entrato dentro con tutta la sua gente
stette a gli ufficij una grande hora, dipoi se ne tornò col medesimo ordine al Palazzo e, stato
alquanto spazio ritirato, uscì fuori rivestito di un’altra veste ricca ma senza corona in testa, che
haveva in cambio di essa un Berrettone alto ricamato con perle e gioie, e venne in una gran sala
dov’era una stufa scaldata richiedendolo la stagione perciòche era del mese di Novembre. Eranvi
tutto allo intorno tavole coperte di tovaglie con poco ordine, percioche quale era più bassa e quale
più alta, l’una stretta e una larga e le tovaglie allo avvennante. Quasi nel mezzo della stanza era
posta e addirizzata una credenza di una diversità grande di vasi e di vaselli d’argento dorato e non
dorato, di gran catini e di molte strane sorti, di vasi da bere grandi e pesanti, alcuni erano piatti altri
cupi, alcuni con piedi e altri senza e molte coppe lavorate alla nostra usanza, lavoro d’Alemagna;
eranvi due botti grandi fatte d’argento, con li cerchi dorati, le quali erano messe in modo che
tenevano in mezzo la credenza; circa la metà di quella sala era piena di panche basse con tavolette,
come s’usa ordinariamente nell’hosterie d’Italia.
Hora stando in quella forma la sala, il Signore si mette a sedere da un canto in una sedia; dipoi fece
chiamare gli Ambasciatori e appresso di lui stava in ginocchione un suo interprete che gli diceva il
nome di quel che vi entrava di mano in mano, allhora il Signore chiamandolo per nome gli mostrava
il luogo dove havesse a sedere e così ad uno ad uno detti Ambasciatori insieme con li loro
gentilhuomini e servitori si accomodarono. Dipoi fece chiamar me, che altri forestieri non vi erano,
che chiamatomi si come fece gli altri, per nome, mi sedere ad un’altra tavola la quale gli restava
giusto per fronte insieme con il mio interprete e due servitori che avevo che così accostumano.
Dipoi fece sedere alla medesima tavola circa 20 gentilhuomini Alemanni i quali hoggi servono detto
Signore e già gli furono inimici perciò che furono presi nella guerra di Livonia ed erano tutti stati
principali e di governo in quella regione. possono uscire del paese e hanno provisione che
tengono cavalli e servitori e così stando pronti al servizio del Signore vivono. Dipoi fece cenno che
tutti li Baiari e soldati si mettessino a tavola, onde in un subito furono presi tutti li luoghi alle dette
piccole tavole e il resto ancora, riservato la tavola dove il Signore era il quale restò solo a quella
mensa. E perché noi in quella stagione non havevamo più che cinque hore di sole intero durante il
giorno, già sendo notte havevamo posto sopra le tavole candelieri d’ottone con candele di sego; del
resto non era sopra le tavole che saliere con sale, ma subito fu portato pane assai bello e bianco
dinanzi al Signore il quale era spezzato e egli distribuendolo lo porgeva a molti c’haveva de’ suoi
ch’erano all’intorno mandandolo a presentare a ciascuno. Hora qui si vedeva una confusione non
piccola, sendo uso per buona creanza che mandando il Signore a presentare ad una persona, tutti si
rizzano in piedi, di modo che così uno ottavo d’hora che altro non si faceva che rizzarsi e porsi a
sedere senza che alcuno mangiasse. Finito questo a noi tutti forastieri fu dato un vaso largo e grande
pieno di vino da parte del Signore e pur bisognava tornare a rizzarsi in piè; poi vennero circa 25
huomini che portavano grandi piatti di vivande arrosto come montone, bue, oche e altre carni grosse
e andati fino alla tavola del Signore, tornati tutti indietro senza lasciar la vivanda, uscirono fuori
donde erano entrati ma assai presto ritornarono dentro con le vivande spezzate in piatti e le
portarono attorno per le tavole. Cominciammo pur a mangiare mancavano continuamente di
quelli che non restavano di empir le tavole di copia di vasi da bere grandi e piccoli di varie bevande
con mele e di più sorte, e talvolta era portato qualche piatto nuovo di vivanda ma senza ordine di
seconda o terza vivanda; in questo mentre inanzi al Signore sempre stava un suo coppiere con una
tazza dorata in mano piena di vino o bevanda e tenendola alta aspettava che ’l Signore volesse bere
e così molto spesso egli accennava glie ne porgesse e dandogliene senza far credenza esso Signore
beveva sempre a qualche duno di quelli che sedeva a tavola, ma inanzi che bevesse sempre si faceva
inanzi tre volte il segno della Croce e subito a quel tale che egli havea bevuta gli era fatto intendere
per uno di essi Baiari che servivano i quali si alzavano in piè e anche a questo sempre ciascuno si
rizzava e subito fatto con la testa riverenza, ci riponevamo a sedere; e questo fu così spesso a fare
ch’io feci tanto essercizio che in cambio di saziarmi l’appetito mi aumentava. Così si stette a queste
tavole più di tre grosse hore che poco si mangiava ma vi era gran rumore di bere e già di quelli
Baiari non pochi imbriachi. Quando vennero li soliti deputati per lo servizio a levar le vivande e
appresso le tovaglie, allhora ciascuno affrettava con non poco strepito ad andarsene, quando il
Signore restando fermo alla sua sede fece venire gli Ambasciatori avanti a lui e subito porse con la
sua mano una tazza a ciascuno di vino i quali subito che la ricevevano, essendo prima stati instrutti
del costume del paese, con le berrette in mano pigliavano la tazza e voltando le spalle al Signore
camminavano 5 o 6 passi, dipoi fermandosi si rivolgevano e facevano una reverenza con bassar la
testa alla Turchesca, dipoi bevevano tutto o parte quanto a loro piaceva e senza altro dire se ne
andavano. Quando questi Ambasciatori hebbero havuto il loro dovere, il detto Signore fece chiamar
me ancora e egli stesso, come haveva fatto a gli Ambasciatori, mi porse una tazza di vino e io
avvertito tenni il medesimo ordine che haveva veduto tenere agli altri, e subito seguito questo tanto
gli Ambasciatori come io, con gran premura e calca fummo cacciati fuora che non con maggior
prestezza credo usciron già dal tempio gli Scribi e i Farisei di quella con la quale uscimmo noi. Così
passando per quelle stanze fra quella turba confusa e imbriaca senza lumi arrivamo alle scale del
Palazzo dove 20 passi lontano aspettava un’infinità di servitori con cavalli per condurre i padroni
loro a casa e dalle scale per ire a cavalli vi era fango fino sopra alle ginocchia e era molto oscura la
notte e come ho detto senza lumi, tale che vi fu da fare assai avanti ci potessimo mettere a cavallo e
questa è una usanza loro che non vogliono che si monti o si smonti presso al Palazzo. Gli
Ambasciatori furono dalle loro guardie ricondutti alle loro stanze solite, guardati, ed io me ne andai
alle mie. Non ho voluto mancar di dir questo affine che con ciò si possa giudicare la loro strana
usanza.
Ho trovato alcuni di quel paese estremamente avari, perché senza donare e presentare non è
possibile poter concludere cosa alcuna, si vergognano alcuni sfacciatamente a domandare se
veggono anelli o alcune altre cose simili addosso e danari ancora, ed è costume del Gran Cancelliere
quando uno va a dirgli che desidererebbe baciar la mano al Signore per qualche suo bisogno
(perché, come ho detto, prima a lui si fa capo) esso domanda subito: «Hai tu portato qualcosa per
poter vedere li chiari occhi del Signore?». Però, come dico, è forza presentargli a chi vi capita e per
questa universale avarizia degli anziani li particolari ancora sono corrotti, onde spesso il Signore fa
frustare per la terra de’ più suoi principali e vi sono più ufficiali che sono stati a quello supplizio più
volte.
A riscontro di tanto male trovo di bene: che per tutto questo paese si va molto sicuro e portando
attorno robbe o danari mai non si trova che sia stata rotta la strada ne offesa da persona, e questo
solo nasce dalla gran paura e timore del loro Principe, oltre il non esser pratichi per li paesi
forestieri, si che sapessino vivere fuor del loro nidio, ancor che non sia loro concesso dal Signore,
quando volessino andare in altri paesi talché trovandosi inesperti e prigioni operano bene in questo
solo chi per virtù chi per timore. Come in altre nazioni, così ancora in questa si trovano ladri accorti,
quando ascosamente lo possono fare e di questi bisogna haversi cura perché ogni cosa fa per loro.
Bisogna che chi tratta con loro di mercatanzia stia molto desto e avvertito e sopratutto non fidarsi,
perché hanno parole assai e buone, ma cattivi fatti e sanno contrafar bene il viso e le parole della
intenzione dell’animo. Sono molto destri ad ingannare e falsificare le mercatanzie: tingono zibellini
e altre pelli per farle parer più belle; mostreranno una cosa per vendere e trattando del prezzo
mostrano di volersene andare e non la vendere e poi subito ritornando la scambiano ad un’altra che
hanno sotto la veste e tornano ad offerirla.
Sono industriosi del lavorare cose di Cuoia, come selle, carcassi e altre cose simili, il perché non
peggio che li Turchi le cusciono e le adornano.
Hanno l’anno passato introduttovi la stampa, la quale hanno cavato di verso Costantinopoli da’
Greci e io ho veduto che già stampavano a Mosca con gran facilità e li caratteri loro sono la maggior
parte cavati dall’Alfabeto Greco.
Erano appresso per introdurvi il far la carta e già se ne faceva, ma non se ne possono di essa servire
ancora perché non è perfetta. Così a poco a poco si vede che vanno avanzandosi perché già vi
gettano artiglierie e campane e fabbricanvi archibugi e altre cose che vi hanno imparato da’ prigioni
di Livonia e d’altrove che hanno fatti e della navigazione degli Inglesi ancora.
Questo Signore è superbo e quanto a lui si tiene di essere il più grande Principe del Mondo e da
pochi anni in qua ha preso per sue arme una Aquila nera con due teste incoronate in campo verde.
Intitolasi Imperatore di tutta la Russia, Re di Cafano e d’Astracano, benché le lettere ancora ch’io
stesso portai particolarmente della Serenissima Regina d’Inghilterra, lo chiamavano Imperatore di
tutta la Gran Ducea di Moscovia ecc.
Nel suo paese non ha miniere d’oro, d’argento, di rame, di pombo, di stagno. Ma da 12
anni in qua gli Inglesi vi hanno trovato la navigazione di dietro alla Norvegia: li portano molte cose
che li mancano con grande loro utile. Nondimeno hebbi informazione che detto Signore ha
ragionevolmente di oro battuto cioè ducati, scudi e simili, perché tutto quello che è portato dalli
mercanti lo tira a se, però egli da ciascuno li comperare e mette in cassa che mai più non si
riveggono.
Hanno moneta d’argento assai perché per via d’Osterlante e di Polonia quando non è guerra ne vien
portata grandissima quantità di Dallari in ispezie per comperar delle loro mercatanzie che sono
d’ogni sorta di Pelletterie, cere, lini, canapi, coiami e altre robbe. Li quali Dallari subito, perché non
habbiano più ad essere per banda alcuna estratti fuori del paese, li fanno fondere e battere in loro
monete che la più grande ne va 50 per uno scudo, che sono come Aspri Turcheschi e si domandano
Denghe e si battono in due piazze e non altrove, cioè a Mosca che vi è improntato uno huomo a
cavallo con una spada in mano, e a Nogarde che vi è dentro un S. Giorgio, e sono di lega come
Reali di Spagna, di sorte che tutto l’oro e l’argento che arriva in detto paese mai più non solo non
esce del paese ma quasi entra tutto in mano del Signore senza mai spenderne, talché è forza ne
habbia massa; perché ancora che habbiano continuamente gran guerre le quali, pare, non si possano
fare senza grande spesa, tuttavia il paese in questo è differente da tutti quanti gli altri, perché, come
ho detto, tutti li popoli s’impiegano nel servizio del Signore per la guerra e essendo con questa
soggezione nati e allevati, si paiono obligati a farlo, anzi riputano lo essere impiegati da lui a buona
fortuna. Perciò non ha se non a comandare e subito ha la quantità degli uomini che domanda pronti;
i quali quando sono per partire per andare alla guerra gli fa tutti venire davanti al Palazzo, nel qual
luogo fa distribuire a ciascuno due veste di panno foderate e senza fodra di varij colori fatte che non
hanno se non a mettersele addosso, li quali panni sono da’ forestieri portati nel paese e barattati con
altre sue mercatanzie che sono le sue intrate e rendite che d’ogni banda gli son portate per tributo.
Quanto alle provisioni de’ viveri il paese è abbondantissimo di grani, segale e di ogni sorte di carni
come buoi e montoni e volatili infiniti come fagiani e pernici in grande abbondanza e tutto a buon
mercato. Esso Signore fa tenere in varij luoghi del paese, dove fia più commodità di fieni, gran
copia di cavalli perché tutte le loro guerre le fanno a cavallo e la più gran parte degli huomini ne
tengono ordinariamente da per loro, tuttavia per qualsivoglia causa che essi non ne habbiano, esso
Signore supplisce loro, di sorte che fa gran guerra senza spesa perché solo dona qualche piccolo
stipendio ma poca cosa; ma costuma più tosto, quando tornano vittoriosi, donare alli capitani
qualche vesta di drappo d’oro o una coppa d’argento o cose simili e agli altri fa intendere che
sendosi portati bene sono in sua grazia e essi si contentano e di nuovo sono pronti alla morte per lui
come segue tutto ’l giorno.
Va bene spesso il Signore a spasso per la terra privatamente, vestito di panni di colore senza oro con
pochi servitori a piè e senza gente a cavallo; e perché per tutte le strade vi è gran gente, alcuna volta
trovandosi fra la calca egli porta all’arcione un piccolo quasi tamburo come portano a cavallo i
Mori, in sul quale batte un colpo col manico della sferza, la quale costumano tutti portare a cavallo
e subito ciascuno s’allarga, benché questo strumento l’ho visto ancora alli figliuoli suoi e ad alcuni
altri Signori principali.
Nello citdi Mosca, per lo gran popolo che vi è, quasi ciascuno va a cavallo al tempo che non son
le nevi e i ghiacci, ma com’è passato il mese d’ottobre cominciano li freddi grandi, benché di
settembre ho visto ghiacciarsi e nevicare. Perroche subito si serrano tutte le fiumane per grandi e
grosse ch’elle sieno e tutte le strade e campagne si riempiono di neve e si gelano si che tanto per le
terre a viaggio non si può andare se non con le slede, le quali sono fatte come tregge con sponde di
qua e di là e da seder e così si va per tutto, le quali sono tirate da un cavallo in sul quale vi monta un
servitore che guida la sleda, ma questo nelle terre, perché le più volte andando poi a camino sono
guidati i cavalli dal medesimo che siede nella sleda.
Ma li frati o preti che sieno ricchi o donne di qualità, questi hanno il servitore sopra un’altro cavallo
che caminando appresso al cavallo che tira lo guidano e governano. In queste slede l’inverno si
corrono le poste e vi fanno diligenze grandissime e incredibili; e ordinariamente restano le fiumane
e le strade ghiacciate e tutte le campagne, alberi, case e ogni altra cosa bianca per le nevi fino a
mezzo Aprile, siche a cui non vi è accostumato offende molto gli occhi veder sempre quel bianco.
Alcuni anni, come avvien per tutto, è quando più e quando meno freddo; però quest’anno passato
ch’io ci son stato, dicono sono stati li più gran freddi che non sono avvenuti simili in 50 anni.
Io lo credo per avervi visto cose a pena credibili e che eccedono il pensamento humano, oltre che in
questi paesi bassi di Fiandra e in Alemagna e in molti altri luoghi come sa V. S., ci sono seguite
cose per li freddi più che ordinarie le quali non ci è huomo si ricordi di simili, però posso tanto più
crederlo poi che in molte regioni è stato generale.
Io mi trovai a camino quasi tutto l’inverno e arrivai alle Nerve la mattina di Natale e perché bisogna
provedersi nelle terre da vivere e poi portare per 6 o 8 giorni vivanda per mangiare e per bere e
perciò portavamo dentro alle nostre slede pane e carne cotta e di quelle bevande di birra e metto,
cioè bevanda fatta con mele, e acqua di vita ancora. Dico, ci si agghiacciava di forte la vivanda e il
bere nelle fiasche di legno che tutto restava duro come pietra e poco ce ne potevamo servire;
hannomi detto quei popoli di non haver più vista ghiacciata l’acqua di vita che quest’anno e per
necessità bisogna portarne fiaschi pieni per bere e lavarne le mani e il viso, perché altrimenti non è
possibile si possa durare non videndo più opportuno rimedio che quello contra il freddo. Ho trovato
molte genti morte e bestiami come buoi e cavalli e alcuni huomini che già erano gelati e erano allo
estremo che con coltelli per forza gli aprimmo la bocca e con detta acqua di vita camparono,
ancorché per esperienza è seguito in quei paesi più volte che chi gli avesse subito portati al fuoco
sarieno morti. Ho visto cavalli caminando sfenderglisi la carne e la pelle per lo freddo come se fosse
tagliata; ho sentito di notte arboli nelli boschi scoppiare e fendersi similmente legnami delle case; e
perché dentro delle stufe sicome hanno delle finestre di vetro e ancora di una pietra come vetro
lucente che è tutta a scagliola, che si leva e spicca l’una disù l’altra più sottile che carta la quale si
trova in Moscovia, dico adunque che dentro alle stufe, che son molto calde, il freddo di fuori fa si
come si vede ancor per tutto che quell’aria si converte in acqua attaccata alli detti vetri e poi
s’agghiaccia e multiplica si forte l’uno insù l’altro che vi resta grosso il ghiaccio di sorte che a pena
si vede lume.
Molte altre cose simili potrei contare con verità che paiono incredibili, in somma dico che quando
tira il vento che esce dritto dalla tramontana par giusto quando da nel viso li sia tirato un pugno di
vetro rotto, perché subito si guasta e taglia la carne si secca e si perdono le membra ch’è impossibile
imaginarselo e maraviglioso a chi lo vede. E perché ho inteso che la openione di alcuni è che quel
mare che viene dalle Nerve non agghiacci ma che uscendo di quelle fiumane che vi sboccano molti
grandi pezzi di ghiaccio si vengono ad unire insieme che pare quasi sia agghiacciato il mare, perciò
dico che questo è falso e tutto il contrario. Conciosia che in quelli tempi le fiumane sono tanto
assodate e forti per tutto che il ghiaccio è grosso quanto è alto un huomo e tanto ogni notte di nuovo
sempre indurisce che a gran pena per li bisogni loro lo possono rompere con pali di ferro e in
dette fiumane vi è fatta la strada delle slede e da cavalli non altrimenti che in terra e questo avviene
similmente sul mare, però dico che non esce ghiaccio di esse fiumane ma che il mar proprio
ghiaccia molto forte e che per molte miglia vi si con cavalli e slede. E io stesso vi fatto
camino assai dalle Nerve fino a Reveler e mentre ch’io tornava da quelli paesi ed essendo per terra
in Livonia per passar alla volta di Riga intendemmo come il camino era mal sicuro, perché certa
cavalleria del Re di Polonia marciava alla volta del Perno, che è luogo molto forte all’hora del Re di
Sueda ma hoggi del Polacco perché allhora fu preso da detta cavalleria per trattato; però dico che
per fuggir questo pericolo ci mettemmo insù ’l mare con le slede e andammo ad una isola di Ofele,
Vescovado di un fratello del Re di Danimarca e ivi bisognò ch’io tardassi alquante settimane, che
ogni giorno andavamo a spasso a passare il tempo sul mare e questo fino alli 28 d’Aprile; ma
all’hora havendovi già forza il Sole indeboliva forte il ghiaccio, però sopravvenuto un vento
fortunevole ruppe tutto e restò il mare aperto, ma con tutto ciò bisognò aspettar due giorni senza
mettersi insù ’l mare con Navilij perché ondeggiano pezzi grandissimi di ghiaccio per tutto che se vi
investisse sarebbe come dare in uno scoglio; è pericoloso in quel tempo ancora perché getta il vento
ghiaccio alle rive e se avviene con vento forte ivi ne fa montagne di sorte che à un bisogno che
venga l’huomo non può andare a pigliar terra: onde concludo che il detto mare in quelle parti sta
serrato e ghiacciato almeno cinque mesi all’anno e di sorte tale che questo inverno ch’io dico sono
passate genti attraverso il mare, cioè di Livonia in Sueda.
Non voglio hora mancar di dire come ho promesso di alcune cose che non mi sono tocche a vedere
delle quali mi sono informato e honne havuto relazione da’ medesimi paesani e da gente che hanno
visto quanto scriverò.
In prima informandomi della navigazione che tengono gli Inglesi per andare in Moscovia; trovo che
sono 12 anni che fu trovata; li quali avanti che l’abbiano imparata bene ne’ primi anni perderono 8 o
9 navi con huomini e mercatanzie, ma oggi facilmente fanno questo viaggio sempre navigando
dietro alla Norvegia non molto lontano da terra, et hanno con la esperienza imparato la giusta
stagione che regnano li venti per loro e inanzi che vengano li freddi ghiacciando molto più forte
prima quel mare che quel delle Nerve per esser più settentrionale.
Così passato la Norvegia, Uvilt, Laplant arrivano al paese suddito al Russio che si chiama
Colmagora nel qual luogo sbocca il fiume Duina e ivi scaricano le navi e con altri navilij vengono
col vento contra il corso dell’acqua di detto fiume fino ad una grossa terra che si domanda Vologda
che vi sono 1000 miglia e di là vengono a Mosca con le slede, che vi sono altre 700 miglia.
Per mezzo di Vologda passa un fiume il quale ha il medesimo nome di Vologda, donde nasce il
nome della terra, ma poche miglia cade in un fiume detto Zuccana che vien prima verso mezzanotte
e s’addirizza poi fra levante e mezzogiorno e poi diritto a levante e ivi si congiunge con un gran
fiume chiamato Iug e perdono ambidue i nomi, ma alhora, come ho detto si domanda Duina che in
Ruteno vuol dire Dua, poi si fa ricco di acque per varij fiumi grossi che vi mettono.
Tutto questo paese inondato dal fiume si chiama Colmagora e ivi dove sbocca il mare ci sono
quantità di pesci mostruosi come balene e lupi marini, i denti de’ quali sono molto grandi ma lucenti
e belli che vanno infino in Turchia per farne manichi di coltelli. Ci sono per tutto questo paese molti
orsi bianchi i quali sempre la state stanno nell’acqua, ne’ paludi e ne’ laghi e comunemente sono
grandissimi; trovavisi ancora un piccolo animale come un gran topo e della medesima forma, ma ha
il pelo un poco più lungo e ha la coda come una anguilla e vive in acqua e in terra e sopra gli alberi,
ha buonissimo odore si che li paesani tengono la loro pelle fra i loro panni per farli sentir bene. Nel
paese di Vologd si trovano particolarmente le volpi negre delle quali la pelle è molto stimata, che
vagliono 30 e quaranta scudi l’una che la stimano quanto li zibellini e specialmente li Signori
principali ne fanno berrette e io di tutte queste sorte d’animali ne ho visto morti e vivi.
Molte e molte giornate passato il detto fiume di Duina si trovano li famosi monti Rifei li quali per la
relazione havuta da un Ruteno, il quale mi disse come il padre dell’Imperatore di Russia che vive
oggi mandò il proprio padre di detto Ruteno con altri a scoprir quello che trovassino nel più alto
luogo dove potessino salire di detti Monti, li quali andarono il meglio che poterono provisti de’ loro
bisogni e dal pie’ in 17 giorni montarono in sul piano del giogo; dicono essere monti sassosi e
sterili, trovanvisi falconi bianchi, i quali sono di molto gran cuore e forza e io ne ho veduti a Mosca
che sono alquanto maggiori degli altri e mi dicono vagliono un solo per due ordinarij di forza.
Passato questi monti si trova il Regno delli Tartari Zibiri i quali popoli sono sudditi al Moscovita e
tengono per loro Iddio una statua di una vecchia che ha un figliuolo in braccio e essi dicono che
miracolosamente in qualche tempo gliene hanno veduto haver dua. La chiamano i Moscoviti
Slatababa. Né hanno queste genti casa od habitatione ferma ma sempre vanno con slede insù le nevi
e ghiacci cacciando ogni sorte di fiere, ma di là particolarmente vengono li più belli e ricchi zibellini
e quando si accosta la stagione per pigliar dette fiere quale è il verno, che la natura provvede loro
che habbiano in quel tempo il pelo più lungo e folto, essi cacciatori all’hora partendosi fanno voto
alla lor Dea di dedicarle la pelle della prima fiera che uccideranno pregandola perciò ch’ella voglia
esser loro favorevole e così poi di fare osservano, talché per tutto e d’ogni intorno le sono attaccate
di più sorte di pelli in tanta copia che ivi si marciscono; et essi andando come ho detto per li boschi
errando, tanto si fermano quanto lor durano per pascersi le carni che pigliano giornalmente. Così
vivono lor vita.
Io ho parlato e mangiato insieme con due di tali popoli li quali alla corte erano venuti a portare i
loro soliti tributi al Signore, i quali sono tutti diverse pelletterie in quantità, ed erano vestiti con
giubboni e calze cuscite insieme, fatte di una pelle simile a quella del cervo, pur col pelo, e le
maniche havevan lunghe serrate da mano ma vi è una buca fatta un palmo abbasso per potere
volendo cavar fuora le mani; in testa berrette di pelle e addosso poi una vesta lunga pur di pelle.
Essi erano magri, senza colore e senza barba, benché di età che proprio parevan vecchi: così dicono
che sono comunemente tutti per causa delli freddi continui.
Di là di questo Regno trovano un fiume il quale dicono essere estremamente largo e che a gran pena
lo possano passare in un naturale. Lo chiamano Obi, dicon che esce dal regno del Cattaio, di un
gran lago nel qual luogo vi è una principal terra nominata Combalick e quanto ne parlo è per
relazione di detti due Tartari li quali mi dissero ancora che di da questo fiume vi sono alcuni
popoli che chiamano Locumori, li quali dal mese di Novembre sono così flemmatici che lor
abbonda gran matyeria come gomma per li meati, ma particolarmente per lo naso, talché
stoppandoli lo spirito, a guisa di ghiri o tassi dormono fino al mese d’Aprile. Come ch’io lo trovava
cosa strana e maravigliosa me ne ridevo, ma essi ne ferono mille giuramenti che così era la verità e
io non mi contentando però di questo ne parlai a varie persone: tutti mi dissero che tanti quanti di
vengono affermano il medesimo.
Mi riferirono questi ancora benché ne trovava fama universale, che passato detti Locumori si trova
un fiume grande il quale chiamato il Taccanin, nel quale fiume trovano pesci fatti interamente come
huomini: cioè con tutte le membra ma con scaglia come altri pesci. Alle rive di questo fiume sono
boscaglie con popoli mostruosi, con teste di bestie, altri con occhio in fronte e altri mostri simili.
hanno più in là altra cognizione.
Li popoli circonvicini al mar Caspio li domandano ancora Tartari Zibiri e restano sopra la Volga. In
questa regione passa un fiume Iaick chiamato, fra il quale e la Volga vi è una semenza come quella
del mellone ma alquanto più tonda, la quale produce frutto simile ad un Agnello e il tronco gli esce
per lo bellico e alto fino a tre palmi, ha li piedi pelosi senza corno, la parte dinanzi è come li
gambari da mangiare e quella di dietro di carne, e vivono fino a tanto che hanno dell’herba
all’intorno. Lo chiamano Boranez, che in quella lingua vuol dire Agnello e io ho visto alcune
berrette foderate che mi hanno affermato esser la pelle di questo animale.
Non ho voluto mancar di mettere in iscritto quanto ch’io ho visto in questo mio viaggio e quanto ho
potuto ritrarre ancora da paesi più lontani e l’ho fatto con ogni diligenza per saperne il vero. Però in
quel modo che viste e udite le ho, le scrivo. Scusimi V. S. che conosco che son messe
confusamente, mal dette e senza ordine: perché a me è bastato ubidire e dare a V. S. fedele
informatione. E senz’altro me le offerisco pronto in ogni suo servizio.
E così baciandole la mano, la prego si degni tenermi nel numero de’ suoi servitori e nella sua buona
grazia, che nostro Signore Iddio la conservi nella sua.
D’ANVERSA ALLI 16 D’OTTOBRE 1565
IL FINE
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