Che Dio si vuol con teco scorucciare.
'Sippa' è vocabulo antiquo, 'deroccare' e 'tartussare' moderno, e Cinotto, poeta coronato per man
di papa Leon, l'usa e sta molto bene; sí che questi comentatori di vocabuli del Petrarca gli fanno
dire cose che non le faría dire al Nocca da Fiorenza otto altri tratti di corda, come ebbe già,
benemerito, in persona propria, da la patria sua.
E non è niuno che sappia meglio di Pasquino quello si può usare o no. Egli ha un libro il qual
tratta de la sua genologia e c'è de belle cose, come intenderete, e perché gli è nato di poeta però
qui lo faccio autore. Parnaso è un monte alto, aspero, indiavolato, che non ci andarebbe San
Francesco per le stímate, e questo loco era d'un povero gintilomo che si chiamò ser Apollo; il
qual, o fosse per voto o per disperazione, fattoci un romitorio, si viveva ivi. Avvenne che non so
chi toccò il core a nove donne da bene, e dette donne, accettate dal sopra detto Apollo, entroron
seco nel monasterio e dandosi a la virtú steteron non molto insieme che si piglioron grande
amore. E, come accade che 'l Demonio è sutile, ser Apollo bello e madonne muse bellissime, si
consumò el matrimonio, onde nacquero figlioli e figliole. E perché Apollo fu ceretano, come per
la lira si può cognoscere, e molti anni cantò in banca, tutti e' figlioli e figlie ch'egli ebbe fur poeti
e poetesse. Ora, cominciandosi a sapere che suso quel monte, a petizione d'un solo, stavono nove
cosí belle donne, ce furon molti che per industria saliron in cima al monte, e assai, credendosi
salire, rupporo il collo. E come le buone muse videro di poter scemare la fatica a Apollo, si
domesticorono sí con coloro che erono con tanto ingegno saliti su l'indiavolato monte, che
poseno le invisibile corna a quella gintil creatura di Apollo: e con tale archimia fu acquistato
Pasquino, né si sa di qual musa o di qual poeta. Bastardo è egli, questo è certo, e chi dice che
dette muse fussero sorelle ha il torto, et ha quel giudizio in le croniche ch'ha il Mainoldo
mantuano in anticaglie o in gioie; e lo prova, non essere pur parenti, la differenzia de le lingue
che si leggono, e lo conferma Pasquino, che cicala d'ogni tempo greco, còrso, francese, todesco,
bergamasco, genovese, veneziano e da Napoli. E questo è perch'una musa nacque in Bergamo,
l'altra in Francia, questa in Romagna e quella in Chiasso e Caliope in Toscana. O vedete se di
tanta mescolanza nascono le sorelle! E la ragion che piace piú la lingua toscana che l'altre, è
perché ser Petrarca in Avignon s'inamorò di monna Laura, la qual fu fantesca di Caliope, e aveva
tutto il parlare suo, e a ser Francesco piacendoli la dolce lingua di monna Laura, cominciò a
comporre in sua laude. E perché a lui non è ancora agiunto stile se non quello de l'Abate di
Gaeta, bisogna andare dietro a le autorità sua, ma circa al parlare non c'è pena niuna, salvo se non
se dicessi el vero. E il milanese può dire 'micca' per 'pane' e il bolognese 'sippa' pro 'sia'...
ISTR. ARG. Oh, tu leggeresti bene il processo o la condemnazione a un podestà. O che cicalare è
stato il tuo? Che domin t'importa egli il volere disputare del parlare? Tu non dovevi finire mai
piú, acciò ch'io avessi a stare con questa calza tutt'oggi in mano, e che 'l serviziale si freddassi e
che costoro non ricevessino la mità de l'argomento.
ISTR. PROL. Tu hai ragione; tamen io voglio sapere, quanto ad un certum quid, che erbe sono in
cotesto cristero, perché se tu ci avessi messo 'snelle', 'frondi', 'ostro', 'sereno', 'campeggianti
rubini', 'morbide perle' e 'terse parole' e 'melliflui sguardi', e' sono sí stitichi, che non gli
smaltirebbono gli struzzi, che padiscono e' chiodi.
ISTR. ARG. Io li ho messo la merda, sta' queto, e vedi farmi cotale argomento, e poi mi parla.
ISTR. PROL. Or comincia.
ARGOMENTO
In questa calza vi porto un argomento molto ristorativo e in questa sua composizione, ch'è buona
a fare ridere il pianto, c'è Messer Maco di Coe da Siena, studiante in libris, venuto a Roma per
acconciarsi per cardinale con qualche papa; che essendo in caso di morte per il mal di mazzucco,
suo padre fe' voto che, guarendo il detto Messer Maco, lo acconcería per cardinale con un papa.
Sendo essaudito, e sano e piú bello che mai il figliolo, l'ha mandato in Roma per adempire il voto
fatto per la salute sua e, preso maestro Andrea per pedagogo, gli fa credere che non è possibile a
mettersi per cardinale con il papa se prima non si diventa cortigiano; e facilmente gli fa credere
ch'un Gioan Manente da Reggio si fece cortigiano ne le forme, e con questa solenne sciocchezza
mena questo ineffabile castrone a la stufa, dove gli dice esser le forme che fanno i piú bei