che già suo ingegno sempre fu quieto,
facile, umano verso me e piatoso.
E io che 'l provo troppo mansueto,
sciocca mai resto, mai, d'ingiuriarlo;
ogni sua grazia a me stessa vieto.
Dovre' io sì, s'egli ama me, amarlo.
Ma chi sa qui s'egli ama o e' mi fugge.
Anzi, me trista, che non so odiarlo.
Ma lascia pur, lasc'ir ch'amor lo strugge.
Amor ti strugge, Archilogo; amore
non men che me, ben veggo, ancor te strugge.
E che a me s'egli arde? E 'l suo dolore
liev'egli el mio? Sì, leva e m'è conforto
s'altri con meco langue in questo ardore.
Anzi me duol veder quant'io ho el torto
con un mie sdegno tormentar lui e me.
Così più fiamme al mio seno apporto.
Poss'io far, hen, ch'io non mi sdegni? Che,
contro d'Archilago? Sì, contro te, sì:
e s'tu non ami me, debb'io amar te?
Tutto vedo, tutto odo, ben ch'io stia qui
sola, deserta. E che poss'io pensare
di poi la notte ch'io te non vidi el dì?
Ed anche i' ho chi me comincia a amare;
sì, e più d'uno, e begli sì bene.
Mai sì ch'io gli amo: e chi me 'l può vetare?
Agilitta, Agilitta, e dove ène
in te la fede e intera fermezza?
Qual tu accusi in altri in te dov'ène?
Tu dubiti di lui, ma egli ha certezza
di te palese che tu se' incostante.
Ed i' mi sia: io pur gli do tristezza.
Né ancora sono le sue pene tante
quante le mie, né quanto io gli augurio;
e son le prece di chi ama sante.
Ma stolta, non vegg'io quant'io iniurio
chi m'ama e me. Resta, Agilitta, omai
di più infuriar. Sì certo io infurio.
Un solo me sospetto tiene in guai,
ch'Archilogo mi pare a troppe grato.
Ma venne amor sanza sospetto mai?
Ma lui, ove se vede oltreggiato
da me, e scorge ch'io mi profferisco
a questo e a quello, vive adolorato.
E io ingrata che di nuovo ordisco
tutto il dì gare, poi troppo mi pento,
e piango quanto a vendicarmi ardisco.
Vivi, adunque, in pianto e lamento,
infelice Agilitta,
poi che tu cresci a te stessa tormento.
Oimè, che sdegno ed amor mi gitta
or su or giù fra mille onde d'errori,
né scorgo ove sie mai mia voglia addritta.
E tu, o Archilogo, de' miei dolori,